“ET SANCTA HELENA IN SUA ROTUNDA” Il mausoleo di Elena e la

Articolo tratto da ImagoRomae
“ET SANCTA HELENA IN SUA ROTUNDA”
Il mausoleo di Elena e la basilica dei SS. Marcellino e Pietro
sulla Labicana
- Parte III Di Gabriella Cetorelli Schivo ([email protected])
Fotografie ed apparato iconografico di Alfredo Corrao
Il mausoleo dell’Augusta
Parte I - Parte II
Il mausoleo di Elena si presentava come un edificio a pianta centrale preceduto
da un vestibolo rettangolare, situato in posizione obliqua di m. 20.40 per 9.50,
e costituito da una rotonda coperta a cupola il cui diametro esterno misurava
m. 27.74.
Sui restanti tre lati la rotonda era circondata da un muro con portici.
La struttura del mausoleo, sia all’interno che all’esterno, appariva
estremamente movimentata nella sue linee architettoniche.
Esse, infatti, si articolavano in una sovrapposizione di zone di cui quella
inferiore, alta m. 9.60, era costituita da una serie di nicchie sormontate da una
zona a finestre, di m. 5.74, sulla quale si impostava la cupola, alta m. 10.08,
cosicché tutto l’edificio raggiungeva, complessivamente, l’altezza di m. 25.42.
La prima zona era costituita, internamente, da quattro nicchie curvilinee e da
tre nicchie rettilinee, situate sugli assi principali, mentre quella posta sul lato
occidentale venne adoperata come entrata.
Tutte le nicchie presentavano una larghezza di circa m. 4.90, ad eccezione
della nicchia di fronte all’ingresso, che aveva una ampiezza di m. 5.50, ed
era, molto probabilmente, quella destinata ad accogliere il grande sarcofago di
porfido che conteneva le spoglie di Elena.
Anche nelle altre nicchie dovettero probabilmente essere collocati dei sarcofagi.
Una scala, posta a sinistra della nicchia maggiore, e coperta “alla cappuccia”,
permetteva l’accesso ad un ambulacro esterno situato all’altezza delle finestre.
All’interno tutte le nicchie erano inquadrate da strutture verticali,
verosimilmente pilastri, e da archivolti.
Esternamente la zona delle nicchie risultava liscia e non suddivisa; essa
terminava all’altezza dei parapetti delle finestre con una serie di grosse
mensole in pietra.
Al di sopra di queste, la parete diminuiva di spessore presentando, all’esterno,
una serie di otto nicchie poco profonde con finestre arcuate che si aprivano in
corrispondenza delle nicchie inferiori interne.
Le finestre avevano un’ampiezza di m. 3.40-3.57 mentre gli archi che le
chiudevano verso l’alto erano profondi m. 0.80.
Un’altra serie di mensole chiudeva la zona delle finestre al di sopra delle quali
si impostava la cupola costruita in opus signinum. Essa risultava articolata in
una duplice serie di nervature poste nella parte superiore a partire dall’imposta
della cupola[1].
Nella parte inferiore di essa, sopra l’appoggio interno della volta, erano inserite
verticalmente due file di anfore (pignatte), a giri concentrici, che hanno dato il
nome all’edificio.
Il loro compito era quello di alleggerire il peso della copertura e
contemporaneamente di facilitare l’asciugamento del calcestruzzo all’interno
delle masse murarie[2].
Internamente l’edificio non presentava due piani, ma un’unica aula spaziosa
di m. 20.18 di diametro, sormontata da una calotta che nella parte inferiore è
attualmente conservata fino ad un terzo della sua altezza.
Deichmann e Tschira hanno potuto ricostruire, in base alla posizione dei fori
per i perni, il sistema di decorazione interna del monumento.
In tal senso è stato possibile stabilire che la rotonda era coperta, fino
all’imposta della cupola, da incrostazioni marmoree policrome.
Sulla volta sono ancora visibili le tessere di un mosaico in pasta di vetro che
probabilmente ne ricopriva tutta la superficie.
Sappiamo inoltre che il Bosio, nella cavità delle nicchie, scorse ancora ai suoi
tempi un mosaico con figure di santi nimbati, di cui oggi non rimane traccia.
Cornici in opus sectile dovettero essere utilizzate per rifinire la linea di imposta
delle finestre. Esternamente l’edificio era invece tutto intonacato.
Interessante è anche l’analisi del vestibolo del mausoleo. Questo aveva la
forma di un’aula rettangolare, lunga quanto era larga in tutto la basilica alla
quale si addossava, con pareti di m. 0.75 di spessore.
Venendo dalla basilica, la rotonda era accessibile solo attraverso questo
atrio, che secondo il Deichmann, comunicava originariamente con il nartece
della chiesa tramite una triplice arcata, mentre il Guyon, in base alla
localizzazione delle tombe dislocate sul pavimento della basilica, ha avanzato
l’ipotesi che tale comunicazione dovette avvenire mediante un’unica porta
larga all’incirca m. 3.00.
Mentre la conformazione del mausoleo ci è nota in tutti i particolari, l’alzato
del vestibolo può essere ricostruito solo ipoteticamente, dal momento che la
parte occidentale del mausoleo, in cui esso si apriva, è andata completamente
distrutta.
In tal senso è possibile supporre che il vestibolo raggiungesse la zona delle
finestre, come ha ipotizzato il Deichmann in seguito all’analisi strutturale
dell’edificio .
Trovandosi ad essere elemento indispensabile di raccordo tra due costruzioni successive,
l’atrio presentò all’inizio una sorta di copertura definita dal Tolotti “un dispositivo
costruttivamente criticabile”.
Ed infatti la parete del vestibolo veniva a toccare, su una lunghezza di m. 30, il tetto del
nartece, che si inclinava contro di essa in modo tale da implicare una “soluzione di ripiego”
per il deflusso delle acque. Successivamente l’attacco venne mutato per poter porre
rimedio alle infiltrazioni di acque meteoriche in corrispondenza dei punti più delicati della
copertura.
A tale proposito, nel nartece, in prosecuzione delle pareti della navata centrale, furono
posti dei pilastri in muratura che, secondo Deichmann, furono eretti per sostenere i muri
mediante i quali detta nave fu prolungata fino a raggiungere l’atrio del mausoleo.
In tal modo la linea del tetto del vestibolo veniva a corrispondere a quella della basilica.
Probabilmente in questa fase di ristrutturazione il vestibolo e le navate prolungate vennero
collegati tramite una grande apertura simile ad un arco trionfale.
Modifiche vennero apportate anche al mausoleo, dove si rialzò il cilindro murario e si
coprirono i preesistenti gradoni circolari, posti alla base dell’estradosso della
cupola, mediante un manto di calcestruzzo opportunamente sagomato.
Purtroppo non è stato possibile stabilire in quale periodo sia avvenuta tale
ristrutturazione dell’edificio, che si presenta come un intervento troppo vasto
per poter essere messo in relazione ai lavori di restauro dei papi Vigilio e
Adriano di cui parlano le fonti.
I documenti storici datano il mausoleo all’età costantiniana.
Tale attribuzione è suffragata dalla scoperta di un bollo laterizio, trovato nella
copertura della scala interna, databile al 320 circa, e dalla tecnica muraria
dell’edificio. Inoltre una moneta, coniata a Roma fra il 324 ed il 326, rinvenuta
nella malta del muro interno del mausoleo, confermerebbe questa datazione,
specie se si accetta l’ipotesi del Deichmann secondo cui vi sarebbe stata posta
durante l’applicazione delle lastre marmoree.
La posizione e la grandezza del mausoleo hanno trovato concordi tutti gli
studiosi nell’affermare che si tratta di una costruzione imperiale, ed in
particolare che questo sia il mausoleo romano, costruito da Costantino il
Grande ancor prima della fondazione della nuova capitale d’Oriente.
Pianta della Basilica dei ss Marcellino e Pietro e del Mausoleo di Elena
Ed infatti, dal punto di vista architettonico, l’edificio si presenta come un’opera
della tarda età imperiale, ponendosi come elemento di realizzazione intermedia
tra la serie degli edifici rotondi pagani e quella dei monumenti centrali cristiani.
La sopravvivenza del significato cultuale della rotonda, nell'altomedieo, è
testimoniata dalla presenza di numerose sepolture poste nelle immediate
vicinanze del monumento. La posizione della tomba di Elena, ed il perdurare
delle pratiche devozionali, furono infatti la causa per cui si continuò a seppellire
in questa zona anche dopo la distruzione della basilica e la traslazione delle
altre reliquie in città.
In tal senso la caducità del mausoleo è da mettere in relazione con il trasporto
delle spoglie di Elena in Aracoeli, avvenuto sotto il Pontificato di Innocenzo II
[3].
In età tardo-medievale i ruderi della rotonda furono trasformati in fortezza. Fu
probabilmente in questo periodo che, nella parete della nicchia rettangolare
a sud, fu praticata un’apertura che dava sulla strada, mentre le altre nicchie
furono usate come abituri.
Nel XVII secolo, sulle rovine dell’edificio, furono costruite, ad opera del
Capitolo lateranense, una chiesa ed una casa parrocchiale.
Del mausoleo rimane oggi solo la parte inferiore della metà nord nei suoi
elementi costruttivi tipici del IV secolo; nessun resto medievale è invece
attualmente visibile.
Mausoleo di Elena particolare della muratura e delle pignatte
La basilica dei SS. Marcellino e Pietro
Il luogo di fondazione della basilica dei SS. Marcellino e Pietro era già stato
individuato dal Marucchi nel 1898[4].
Tuttavia fu solo in seguito agli scavi effettuati da Deichmann e Tschira nel
1956 che fu possibile individuare i resti di questo monumento e del complesso
di cui faceva parte, costituito da alcuni mausolei[5] - tra cui quello di Tiburzio dalla rotonda di Elena e da un’antica cinta muraria.
Gli scavi del Deichmann e dello Tschira, e quelli seguenti del 1974[6] e del
1978[7] hanno permesso di stabilire l’anteriorità di queste mura di recinzione
rispetto alla basilica, cosicché la prima costruzione sul posto dovette consistere
in un grande recinto a pianta rettangolare.
La raffigurazione del Bosio[8], che probabilmente vide ancora gli angoli
dell’antica cinta, lascia supporre che essa fosse chiusa sui quattro lati da portici
con colonne o pilastri, e che formasse inoltre, a sud della basilica, una sorta di
atrio.
Tuttavia non è stato possibile verificare tale ipotesi, come pure non si può
provare che il recinto racchiudesse mausolei più antichi, anche se, secondo
il Krautheimer[9] l’attuale cappella di S. Tiburzio, che è fuori asse e perciò
evidentemente anteriore alla basilica, deponga a favore di tale supposizione.
La basilica, che venne ad inserirsi nel recinto, era un grande edificio lungo
m. 65 e largo m. 29[10]. Essa era preceduta da un nartece nel quale a sud si
apriva un ingresso ad arco, largo circa m. 4.
All’interno l’edificio era diviso in tre navate coperte con travature lignee, le
quali comunicavano con il nartece mediante una triplice arcata.
Le navate minori, la cui lunghezza era circa la metà di quella della navata
centrale[11] formavano, nel congiungersi, un deambulatorio la cui esistenza,
secondo il Krautheimer, troverebbe conferma anche dalla pianta del Bosio,
nella quale l’esedra sporgente dal muro di recinzione dovrebbe corrispondere
proprio al muro esterno di tale deambulatorio.
Il Bosio riporta inoltra una fila di pilastri situati all’interno di questo
muro, i quali avevano evidentemente la funzione di separare l’abside dal
prolungamento delle navate laterali.
Interessante è pure l’ipotesi, formulata sempre dal Bosio, secondo cui proprio
al centro del muro absidale esterno doveva trovarsi una grande apertura,
definita dall’autore “ingresso all’atrio”, fiancheggiata da due piccole nicchie.
Secondo il Krautheimer[12] tale apertura potrebbe essere del tipo di quelle che
si aprivano lungo il muro del deambulatorio della basilica maior di S. Lorenzo.
L’ingresso principale della basilica dovette essere quello ad arco ricavato nel
muro del nartece, al quale si accedeva tramite un diverticulum della Labicana.
Un altro ingresso si apriva probabilmente al centro del muro orientale dello
stesso nartece; questo muro, tuttavia, venne distrutto quando il mausoleo di
Elena fu addossato alla basilica, rendendo così impossibile la verifica di tale
dato.
Altri ingressi, secondo il Krautheimer, furono forse aperti nel lato nord del
deambulatorio; in questo caso l’accesso ad essi sarebbe avvenuto tramite un
secondo diverticolo proveniente dalla Labicana.
All’interno della basilica una serie di finestre poste lungo il perimetro della
navata centrale aveva il compito di illuminare l’edificio.
I numerosi resti di stucchi colorati rinvenuti nel corso degli scavi, fanno
ritenere che i muri dell’alzato della basilica fossero intonacati e decorati con
una sorta di finta incrostazione marmorea.
Nessuna traccia è stata trovata del pavimento originario dell’aula di culto,
costituito probabilmente da lastre tombali[13].
Rifacimenti interessarono il nartece che fu alterato con l’inserimento di pilastri, i quali
continuavano l’allineamento delle arcate delle navate.
Secondo il Krautheimer lo scopo di questi pilastri fu quello di portare gli archi attraverso la
profondità del nartece, dividendolo così in tre vani corrispondenti alle navate laterali e a
quella centrale della basilica.
Deichmann e Tschira suggerirono inoltre l’idea che questi archi a croce avessero la
funzione di sostenere alti muri a continuazione di quelli finestrati della navata centrale.
In tal modo, eliminato il nartece, la navata veniva a diretto contatto con il vano di ingresso
al mausoleo di Elena.
La comunicazione avvenne probabilmente tramite una grande apertura creata in
sostituzione delle tre arcate precedenti, dando così al complesso un nuovo centro nella
tomba dell’Augusta.
Il Liber Pontificalis attribuisce a Costantino ed al pontificato di Silvestro la costruzione della
basilica[14].
Gli scavi eseguiti nel 1956 e quelli successivi hanno confermato l’attendibilità delle
testimonianze storiche, situando l’edificio, dal punto di vista cronologico, ai primi anni di
regno dell’imperatore.
Nella seconda metà del IV secolo il complesso dovette raggiungere la sua massima
espansione, come prova il rinvenimento di numerosi mausolei datati a questo periodo,
sorti a nord ed a sud della basilica.
Un primo restauro fu apportato al monumento da Papa Onorio I (625-640)[15], ma le
traslazioni dei corpi dei santi dalla vicina catacomba, divenute sempre più frequenti nel IX
secolo, fecero sì che la basilica venisse gradualmente abbandonata.
In età medievale sul luogo occupato dalla basilica dei SS. Marcellino e Pietro sorse un’
area cimiteriale.
Gabriella Cetorelli Schivo ([email protected])
NOTE
[1]
Per giustificare l’esistenza dei possenti pilastri costruiti a sud ed a
nord dei muri laterali della rotonda, il Guyon ha invece proposto che la volta
fosse a crociera (Guyon et alii, Basilique, p. 1018).
[2]
Si tratta di una tecnica costruttiva ben nota agli architetti romani ,
che offre notevoli punti di confronto non solo nel territorio dell’impero, ma
anche nella stessa capitale. Essa nasce dall’esigenza di applicare il sistema
romano della volta su grandi costruzioni in cui l’uso di materiale leggero,
oltre a rendere relativamente modesta l’azione di spinta, aveva anche il
compito di semplificare l’enorme armatura su cui veniva a poggiarsi la cupola
(Giovannoni, S. Costanza, pp. 213 ss.). Tale procedimento, iniziato con
l’impiego di pomici vesuviane nella volta del Pantheon, avrà larga applicazione
durante tutto il periodo dell’impero (si vedano, ad es., le Terme Stabiane
di Ercolano, la c.d. Minerva Medica a Roma e l’heroon di Romolo sull’Appia)
e diverrà frequente nel V secolo, durante il quale prevarrà l’uso di vasi
appositamente costruiti con la punta collegantesi “a bicchiere” con gli elementi
successivi. Questa tecnica sarà continuata e perfezionata anche in ambito
bizantino, ove anfore in argilla saranno usate non solo nei rinfianchi delle volte,
ma anche nella costruzione vera e propria di cupole.
[3]
[4]
Acta Sanct., Augusti III, p. 606.
Marucchi, Cripta, p. 192.
[5]
Si tratta di una serie di piccoli mausolei che vennero ad addossarsi
alla basilica. Tra essi vanno menzionati un mausoleo rotondo in opus listatum,
scavato dallo Stevenson nel 1896 (Deichmann-Tschira, Mausoleum, p. 55) nel
quale sono stati rinvenuti i resti di un sarcofago ancora in situ, ed il mausoleo
conservato nell’attuale cappella di S. Tiburzio di cui già il Bosio diede la pianta
(Bosio, R.S., p. 325).
[6]
Guyon, Recherches, pp. 307-323.
[7]
Guyon et alii, Basilique, pp. 999-1061.
[8]
Bosio, R.S., p. 323.
[9]
Krautheimer, Corpus II, p. 201.
[10]
La lunghezza è calcolata comprendendo il nartece (DeichmannTschira, Mausoleum, p. 510).
[11]
Il Deichmann e lo Tschira stabilirono l’altezza della navata centrale in
m. 13.80 e quella delle navate minori in m. 6.80 (Mausoleum, p. 55).
[12]
Krautheimer, Corpus II, p. 203.
[13]
L’ipotesi è del Krautheimer (Corpus II, pp. 202-203). E’ peraltro
d’obbligo il riferimento alle altre basiliche cimiteriali con deambulatorio del
suburbio romano, tutte identificate nella loro funzione di coemetria subteglata.
[14]
[15]
L.P. I, pp. 182-183.
L.P. I, p. 324.
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