La consulenza di processo: sviluppo organizzativo e apprendimento generativo di gruppo. Sintesi Secondo il paradigma psicosocioorganizzativo, la consulenza è innanzitutto prassi critica e trasformativa della cultura delle organizzazioni che ha come obbiettivo finale lo sviluppo; lo sviluppo organizzativo definito da Schein come il «programma pianificato su scala di un’intera organizzazione, in cui tuttavia le parti che lo compongono sono in genere costituite da attività che il consulente svolge in cooperazione con persone singole o con gruppi» è lo sviluppo inteso nell’accezione ecologico-pragmatica di equilibrio dinamico dei micro e macro sistemi intra e interorganizzativi. Quello di una prassi critica e trasformativa in senso evolutivo della cultura delle organizzazioni è a un tempo l’orizzonte di senso e il livello di azione più radicale del pensiero consulenziale scheiniano che ha nella facilitazione relazionale e comunicativa, nella determinazione dei processi e nella loro formalizzazione in strutture i due livelli di oggettivazione interdipendenti di analisi e di intervento. Esso muove dall’osservazione che l’organizzazione fenomenicamente si dà come gruppo, sia in senso sincronico sia in senso storico. Il rapporto organizzazione-gruppo riguarda, innanzitutto e fondamentalmente, lo statuto complesso di realtà processuali di entrambi. Il gruppo come sistema complesso o interattivo: riprendendo la definizione generale di sistema di Hall e Fagen di sistema come «insieme di oggetti e di relazioni tra gli oggetti e i loro attributi»; se gli oggetti sono gli individui e gli attributi i loro comportamenti comunicativi, in questo sistema ciò che è specifico è lo statuto della relazione tra gli individui e i loro comportamenti comunicativi perché in esso la relazione non è data e definitiva ma è problema e gli individui sono posizionati non astrattamente ma dal loro esser essenzialmente impegnati a comunicare tra di loro, nel processo di definizione della natura della loro relazione. Le proprietà del sistema complesso come sistema interattivo sono: totalità o non-sommatività; retroazione; equifinalità (gli esiti non sono determinati tanto dalle condizioni iniziali quanto dalla natura e dai parametri del sistema e quindi gli stessi esiti possono avere origini diverse). I livelli di complessità del gruppo e dell’organizzazione sono sette, dalla relazione a due all’organizzazione-gruppo (livello individuale intrapsichico, individuale interpersonale, di gruppo faccia-a-faccia, intergruppo, organizzativo, interorganizzativo, di grandi sistemi) e ridefiniscono sempre di nuovo la figura del cliente e l’ordine del problema consulenziale. Il gruppo è stato fin qui pensato come realtà processuale e relazionale, dai sette livelli della complessità gruppale e organizzativa; per poter osservare e descrivere i sette livelli della complessità gruppale e organizzativa nella ricerca, nell’analisi e nell’intervento consulenziale è necessario costruire e istituire, nel significato clinico, quattro forme e qualità di non visibilità dei fenomeni gruppali e organizzativi: Il non visibile è inteso psicoanaliticamente come inconscio ed è identificato a) come il non consapevole, come ciò che si sottrae in misura diversa ma che può essere recuperato alla relazione e comunicazione: - l’occulto o segreto inteso come ciò di cui siamo consapevoli e che intenzionalmente e volontariamente è nascosto all’esterno (i segreti della comunicazione organizzativa ai diversi livelli: «l’agenda segreta» di una équipe, etc.); - l’implicito inteso come il non-consapevole che è operante e che facilmente può essere recuperato alla consapevolezza (gli assunti della cultura di gruppo); - il represso inteso come il non consapevole che è sottoposto a meccanismi psicologici di difesa e che si manifesta attraverso comportamenti sia individuali sia di gruppo disfunzionali; b) come il non consapevole che è inaccessibile allo sguardo del consulente ma che può essere recuperato alla relazione e comunicazione da uno sguardo e operatività altre: - l’ignoto nel significato di sconosciuto –a noi e agli altri e che il consulente non ha il diritto di esplorare se non è un terapeuta (qui si dischiude il passaggio alla valenza terapeutica della consulenza). Come queste quattro forme e qualità di non visibilità dei fenomeni gruppali e organizzativi sono istituite? La loro istituzione presuppone: -un rapporto tra la superficie e il profondo secondo il quale il profondo riguarda il consulente nella misura in cui produce effetti in superficie, inderivabili nelle loro origini-cause (equifinalità) ma osservabili come fenomeni contestualizzati; -un rapporto tra salute e malattia secondo il quale, l’equilibrio salutare è l’equilibrio che promuove lo sviluppo e l’equilibrio patogeno (omeostatico) è l’equilibrio che ostacola fino a impedire lo sviluppo; ciò che promuove lo sviluppo ed è salutare è funzionale; ciò ostacola e può impedire lo sviluppo ed è patogeno è disfunzionale; ciò che è disfunzionale deve essere corretto diagnosticando la violazione di norme di funzionamento. Possiamo pensare il continuum del visibile e del non-visibile come il registro del percorso consulenziale che nel processo di co-costruzione e partecipazione della ricerca, dell’analisi e dell’intervento assume lo statuto di pratica autoformativa sia del consulente sia del gruppo: il consulente e il gruppo apprendono a muoversi in modo orientato lungo un continuum costruendo le quattro forme o qualità di visibilità e non-visibilità sopraccitate a partire dalla definizione di tre aree di osservazione e di tre dimensioni di descrivibilità dei sette livelli di complessità dei fenomeni di gruppo. La loro definizione è conseguente all’ipotesi teorica secondo la quale il gruppo è una formazione storica, con una genesi, un’evoluzione e una crescita psichiche e culturali, e come formazione storica attende nell’attualità quotidiana alla soluzione di tre problemi di fondo che riguardano: -la definizione e la gestione, il rafforzamento e la conservazione dei propri confini, quindi la definizione e la conservazione della propria identità di gruppo; -l’assolvimento di un compito primario, di un compito assunto dal gruppo come qualificante la propria identità e quindi il proprio rapporto con l’altro da sé e con l’esterno, rispetto al quale vengono messe a punto strategie di soluzione di problemi e di assunzione di decisioni che prendono la forma stabile e rinnovata nella condivisione operativa di una organizzazione; -la manutenzione delle relazioni interpersonali tra i membri del gruppo come condizione necessaria dell’efficienza del gruppo rispetto all’assolvimento del compito, che investe i due temi dell’attribuzione del potere e dell’istituzione di gradi di familiarità. Questi tre problemi investono la complessità sia storica sia attuale, sia psichica – e quindi affettivo-relazionale, sia culturale – e quindi relazionale interpersonale e organizzativa dei fenomeni di gruppo. Il complesso di autoappprendimenti del gruppo nell’elaborazione e soluzione di questi tre problemi di fondo genera processi ricorrenti ovvero la struttura interpersonale e organizzativa del gruppo, la «cultura» del gruppo. Essa è definita da un linguaggio comune e una visione del mondo; da criteri di appartenenza/esclusione; da gradi di familiarità, forme di cooperazione e competitività; da caratteristiche di status e adeguate forme di deferenza e di comportamento; da rituali che diano senso al non-prevedibile e al non-gestibile. Sulla cultura del gruppo intesa come struttura interpersonale e organizzativa il consulente non interviene direttamente ma mediatamente attraverso l’osservazione, la descrizione e l’analisi degli espliciti e impliciti linguistici, rappresentazionali, di norme di condotta che egli porta all’emersione focalizzando l’attenzione sul processo del compito. Egli declina la propria funzione a seconda del problema e dell’area di osservazione conseguentemente selezionata: -osservare e analizzare come il gruppo adempie/inadempie alle funzioni di gestione e rafforzamento-difesa dei confini; facilitare il gruppo nell’esplorazione delle funzioni inadempiute e nelle conseguenti presa di consapevolezza e sperimentazione; -facilitare l’assolvimento del compito primario del gruppo; -facilitare la relazione e la comunicazione interpersonale all’interno del gruppo. Il processo è la dimensione nella quale l’attualità dispiegata degli effetti di interdipendenza delle tre aree problematiche nella formazione gruppale diventa osservabile e descrivibile, a partire dalle condizioni relazionali e comunicative di facilitazione dell’autoapprendimento del gruppo che il consulente predispone e presidia; è sul processo del compito che il consulente focalizza, inizialmente e primariamente, la sua attenzione per sospendere e riprendere la complessa attualità dei fenomeni di gruppo perché i processi interpersonali, necessariamente interdipendenti con il processo di compito, necessitano, per essere osservati e descritti direttamente, di un affinamento delle capacità di apprendimento del gruppo che può essere solo l’esito di un percorso formativo.