III-Sviluppo organizzativo e gruppo_Faucitano

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La consulenza di processo: sviluppo organizzativo e apprendimento generativo di gruppo.
Sintesi
Secondo il paradigma psicosocioorganizzativo, la consulenza è innanzitutto prassi critica e
trasformativa della cultura delle organizzazioni che ha come obbiettivo finale lo sviluppo; lo
sviluppo organizzativo definito da Schein come il «programma pianificato su scala di un’intera
organizzazione, in cui tuttavia le parti che lo compongono sono in genere costituite da attività che il
consulente svolge in cooperazione con persone singole o con gruppi» è lo sviluppo inteso
nell’accezione ecologico-pragmatica di equilibrio dinamico dei micro e macro sistemi intra e
interorganizzativi.
Quello di una prassi critica e trasformativa in senso evolutivo della cultura delle organizzazioni è a
un tempo l’orizzonte di senso e il livello di azione più radicale del pensiero consulenziale
scheiniano che ha nella costruzione di relazioni d’aiuto e nella facilitazione dei processi i livelli di
oggettivazione più accessibili e quindi intermedi di analisi e di intervento.
Esso muove dall’osservazione che l’organizzazione fenomenicamente si dà come gruppo, sia in
senso sincronico sia in senso storico.
Il rapporto organizzazione-gruppo riguarda, innanzitutto e fondamentalmente, lo statuto complesso
di realtà processuali di entrambi.
Il gruppo come sistema complesso o interattivo: riprendendo la definizione generale di sistema di
Hall e Fagen di sistema come «insieme di oggetti e di relazioni tra gli oggetti e i loro attributi»; se
gli oggetti sono gli individui e gli attributi i loro comportamenti comunicativi, in questo sistema ciò
che è specifico è lo statuto della relazione tra gli individui e i loro comportamenti comunicativi
perché in esso la relazione non è data e definitiva ma è problema e gli individui sono posizionati
non astrattamente ma dal loro esser essenzialmente impegnati a comunicare tra di loro, nel processo
di definizione della natura della loro relazione. Le proprietà del sistema complesso come sistema
interattivo sono: totalità o non-sommatività; retroazione; equifinalità (gli esiti non sono determinati
tanto dalle condizioni iniziali quanto dalla natura e dai parametri del sistema e quindi gli stessi esiti
possono avere origini diverse). I sette livelli di complessità del gruppo e dell’organizzazione, dalla
relazione a due all’organizzazione-gruppo (livello individuale intrapsichico, individuale
interpersonale, di gruppo faccia-a-faccia, intergruppo, organizzativo, interorganizzativo, di grandi
sistemi).
Il gruppo è stato fin qui pensato come realtà processuale e relazionale, dai sette livelli della
complessità gruppale e organizzativa; per poter osservare e descrivere i sette livelli della
complessità gruppale e organizzativa nella ricerca, nell’analisi e nell’intervento consulenziale è
necessario costruire e istituire, nel significato clinico, quattro forme e qualità di non visibilità dei
fenomeni gruppali e organizzativi:
Il non visibile è inteso psicoanaliticamente come inconscio ed è identificato
a) come il non consapevole, come ciò che si sottrae in misura diversa ma che può essere recuperato
alla relazione e comunicazione:
- l’occulto o segreto inteso come ciò di cui siamo consapevoli e che intenzionalmente e
volontariamente è nascosto all’esterno (i segreti della comunicazione organizzativa ai diversi livelli:
«l’agenda segreta» di una équipe, etc.);
- l’implicito inteso come il non-consapevole che è operante e che facilmente può essere recuperato
alla consapevolezza (gli assunti della cultura di gruppo);
- il represso inteso come il non consapevole che è sottoposto a meccanismi psicologici di difesa e
che si manifesta attraverso comportamenti sia individuali sia di gruppo disfunzionali;
b) come il non consapevole che è inaccessibile allo sguardo del consulente ma che può essere
recuperato alla relazione e comunicazione da uno sguardo e operatività altre:
- l’ignoto inteso perché lo è per noi ma è anche ignorato dagli altri e che il consulente non ha il
diritto di esplorare se non è un terapeuta (qui si dischiude il passaggio alla valenza terapeutica della
consulenza).
Come queste quattro forme e qualità di non visibilità dei fenomeni gruppali e organizzativi sono
istituite? La loro istituzione presuppone:
-un rapporto tra la superficie e il profondo secondo il quale il profondo riguarda il consulente nella
misura in cui produce effetti in superficie, inderivabili nelle loro origini-cause (equifinalità) ma
osservabili come fenomeni contestualizzati;
-un rapporto tra salute e malattia secondo il quale, l’equilibrio salutare è l’equilibrio che promuove
lo sviluppo e l’equilibrio patogeno (omeostatico) è l’equilibrio che ostacola fino a impedire lo
sviluppo; ciò che promuove lo sviluppo ed è salutare è funzionale; ciò ostacola e può impedire lo
sviluppo ed è patogeno è disfunzionale; ciò che è disfunzionale deve essere corretto diagnosticando
la violazione di norme di funzionamento.
Possiamo pensare il continuum del visibile e del non-visibile come il registro del percorso
consulenziale che nel processo di co-costruzione e partecipazione della ricerca, dell’analisi e
dell’intervento assume lo statuto di pratica autoformativa sia del consulente sia del gruppo: il
consulente e il gruppo apprendono a muoversi in modo orientato lungo un continuum costruendo le
quattro forme o qualità di visibilità e non-visibilità sopraccitate a partire dalla definizione di tre aree
di osservazione e di tre dimensioni di descrivibilità dei sette livelli di complessità dei fenomeni di
gruppo. La loro definizione è conseguente all’ipotesi teorica secondo la quale il gruppo è una
formazione storica, con una genesi, un’evoluzione e una crescita psichiche e culturali, e come
formazione storica attende nell’attualità quotidiana alla soluzione di tre problemi di fondo che
riguardano:
-la definizione e la gestione, il rafforzamento e la conservazione dei propri confini, quindi la
definizione e la conservazione della propria identità di gruppo;
-l’assolvimento di un compito primario, di un compito assunto dal gruppo come qualificante la
propria identità e quindi il proprio rapporto con l’altro da sé e con l’esterno, rispetto al quale
vengono messe a punto strategie di soluzione di problemi e di assunzione di decisioni che prendono
la forma stabile e rinnovata nella condivisione operativa di una organizzazione;
-la manutenzione delle relazioni interpersonali tra i membri del gruppo come condizione necessaria
dell’efficienza del gruppo rispetto all’assolvimento del compito, che investe i due temi
dell’attribuzione del potere e dell’istituzione di gradi di familiarità.
Questi tre problemi investono la complessità sia storica sia attuale, sia psichica – e quindi affettivorelazionale, sia culturale – e quindi relazionale interpersonale e organizzativa dei fenomeni di
gruppo.
Il complesso di autoappprendimenti del gruppo nell’elaborazione e soluzione di questi tre problemi
di fondo genera processi ricorrenti ovvero la struttura interpersonale e organizzativa del gruppo, la
«cultura» del gruppo.
Essa è definita da un linguaggio comune e una visione del mondo; da criteri di
appartenenza/esclusione; da gradi di familiarità, forme di cooperazione e competitività; da
caratteristiche di status e adeguate forme di deferenza e di comportamento; da rituali che diano
senso al non-prevedibile e al non-gestibile.
Sulla cultura del gruppo intesa come struttura interpersonale e organizzativa il consulente non
interviene direttamente ma mediatamente attraverso l’osservazione, la descrizione e l’analisi degli
espliciti e impliciti linguistici, rappresentazionali, di norme di condotta che egli porta all’emersione
focalizzando l’attenzione sul processo del compito.
Egli declina la propria funzione a seconda del problema e dell’area di osservazione
conseguentemente selezionata:
-osservare e analizzare come il gruppo adempie/inadempie alle funzioni di gestione e
rafforzamento-difesa dei confini; facilitare il gruppo nell’esplorazione delle funzioni inadempiute e
nelle conseguenti presa di consapevolezza e sperimentazione;
-facilitare l’assolvimento del compito primario del gruppo;
-facilitare la relazione e la comunicazione interpersonale all’interno del gruppo.
Il processo è la dimensione nella quale l’attualità dispiegata degli effetti di interdipendenza delle tre
aree problematiche nella formazione gruppale diventa osservabile e descrivibile, a partire dalle
condizioni relazionali e comunicative di facilitazione dell’autoapprendimento del gruppo che il
consulente predispone e presidia; è sul processo del compito che il consulente focalizza,
inizialmente e primariamente, la sua attenzione per sospendere e riprendere la complessa attualità
dei fenomeni di gruppo perché i processi interpersonali, necessariamente interdipendenti con il
processo di compito, necessitano, per essere osservati e descritti direttamente, di un affinamento
delle capacità di apprendimento del gruppo che può essere solo l’esito di un percorso formativo.
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