A11
489
Giacomo Rinaldi
RAGIONE E VERITÀ
FILOSOFIA DELLA RELIGIONE
E METAFISICA DELL’ESSERE
Copyright © MMX
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–3093–6
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: febbraio 2010
INDICE
Prefazione
p. 11
Parte I
Filosofia della religione
15
Capitolo primo
Filosofia e religione
17
1.1. L’idea della Filosofia
1.2. Determinazione preliminare del concetto della religione
1.3. Il carattere problematico della Filosofia della religione
1.4. Obiezioni contro la possibilità di principio della Filosofia della religione
1.5. Replica alle accennate obiezioni
1.6. Deduzione della possibilità di principio della Filosofia della religione
19
24
28
30
37
45
Capitolo secondo
I presupposti sistematici della Filosofia della religione
55
2.1. Totalità e sistema
2.2. Deduzione formale–generale del sistema delle scienze filosofiche
2.3. Carattere e limiti della Filosofia della religione
2.4. L’“assenza di presupposti” della filosofia e il presupposto della fede
religiosa
73
Capitolo terzo
La struttura della Filosofia della religione
77
3.1. Il fondamento logico dell’articolazione della Filosofia della religione
3.2. La concezione hegeliana del cristianesimo come “religione compiuta”
3.3. Correnti obiezioni contro la concezione hegeliana del cristianesimo
3.4. Replica alle accennate obiezioni
77
80
85
89
5
55
60
65
6
Indice
Capitolo quarto
La religione e le religioni
103
4.1. Rilevanza teoretica della filosofia hegeliana della religione determinata
4.2. Le religioni della natura
4.3. Le religioni mediorientali
4.4. La religione ebraica
4.5. La religione greca
4.6. La religione romana
4.7. L’islamismo
4.8. Implicazioni metodologiche del concetto hegeliano della “religione
compiuta”
103
105
113
115
119
123
128
132
Capitolo quinto
L’essenza della religione
135
5.1. Deduzione dell’essenza della religione
5.2. Il concetto dello spirito
5.3. L’articolazione immanente dell’essenza della religione
135
137
144
Capitolo sesto
Dio
157
6.1. Il concetto di Dio
6.2. I predicati metafisici dell’essenza di Dio
6.3. I predicati antropomorfici dell’essenza di Dio
6.4. Le antinomie del dogma della Trinità
157
159
161
166
Capitolo settimo
Teismo, ateismo, panteismo
173
7.1. Essenza e dialettica del teismo
7.2. Il significato razionale del dogma della Trinità
7.3. Significato e limiti dell’ateismo
7.4. La concezione immanentistica del divino
173
181
186
192
Indice
7
Capitolo ottavo
L’essenza della rappresentazione religiosa
197
8.1. Analitica della rappresentazione religiosa
8.2. Fede e miracolo
8.3. Dialettica della rappresentazione religiosa
8.4. La concezione idealistica della fede
197
204
209
225
Capitolo nono
La creazione
233
9.1. Il mito biblico della creazione
9.2. Le antinomie della creazione
9.3. L’antropologia del cristianesimo
9.4. Significato e limiti dell’antropologia cristiana
233
236
243
250
Capitolo decimo
La personalità di Cristo
261
10.1. L’unità della natura divina e della natura umana in Cristo
10.2. Le antinomie del dogma dell’incarnazione
10.3. L’insegnamento morale di Cristo
10.4. Carattere e significato della cristologia hegeliana
261
265
273
276
Capitolo undicesimo
L’essenza del culto
283
11.1. La struttura formale–generale del culto
11.2. Il culto determinato: preghiera e sacramenti
11.3. Stato e Chiesa
283
289
294
Capitolo dodicesimo
Certezza e verità della salvezza
301
12.1. L’antinomia fondamentale del culto
12.2. Le contraddizioni del culto interno
12.3. Le contraddizioni del culto esterno
12.4. L’epilogo oltremondano del culto e la contraddizione tra fede ed amore
12.5. Critica della teocrazia
12.6. La concezione hegeliana del culto
301
309
315
322
329
332
8
Indice
Capitolo tredicesimo
Formazione, evoluzione e dissoluzione del cristianesimo
339
13.1. La concezione genetica della storia del cristianesimo
13.2. Il cattolicesimo
13.3. Il protestantesimo
13.4. La critica illuministica del cristianesimo
13.5. Il romanticismo religioso
13.6. La morte del cristianesimo nell’ateismo contemporaneo
13.7. La “maledizione del cristianesimo” di Nietzsche
13.8. La critica psicanalitica dell’“ illusione” religiosa
13.9. La concezione idealistica del cristianesimo
13.10. L’essenza della relazione tra religione e filosofia
339
343
347
352
355
366
371
378
385
391
Parte II
Lo sviluppo storico della Filosofia della religione
395
Capitolo primo
Profilo storico della Filosofia della religione
A) L’Età moderna
397
1.1. I presupposti storici della Filosofia della religione
1.2. Spinoza
1.3. Kant
1.4. Fichte
397
400
405
410
Capitolo secondo
Profilo storico della Filosofia della religione
B) L’Età contemporanea
421
2.1. Hegel
2.2. Feuerbach
2.3. La Scuola hegeliana: D.F. Strauss, B. Bauer e K.L. Michelet
2.4. Augusto Vera e l’Idealismo italiano
2.5. F.H. Bradley e l’Idealismo anglosassone
2.6. Il compito odierno della Filosofia della religione
421
430
435
450
461
477
Indice
9
Capitolo terzo
Religione e Sapere assoluto nella Fenomenologia dello spirito
481
3.1. Considerazioni preliminari
3.2. La figura della Religione nella Fenomenologia dello spirito
3.3. Genesi e struttura del Sapere assoluto
3.4. Dalla Fenomenologia alla Filosofia della religione
3.5. Verità ed attualità della Filosofia hegeliana della religione
481
484
502
512
522
Parte III
Critica della metafisica dell’essere
535
Introduzione
537
1. Filosofia e Storia critica della filosofia
2. Il concetto della “metafisica dell’essere”
3. Il problema del metodo. Metafisica ed antimetafisica
537
542
547
Capitolo primo
Il problema della conoscenza
555
1.1. Gnoseologia e metafisica
1.2. Passività e trascendenza del conoscere
1.3. Senso ed intelletto
1.4. Ratio e intelligentia
1.5. Filosofia, religione, scienza
1.6. Critica
1.7. Risultati e conclusioni
555
557
560
565
568
571
585
Capitolo secondo
Il concetto metafisico di Dio
589
2.1. La relazione tra essenza ed esistenza in Dio
2.2. Le prove dell’esistenza di Dio
2.3. La teoria dell’analogia
2.4. La determinazione metafisica dell’essenza di Dio
2.5. Critica
2.6. Significato e limiti delle prove dell’esistenza di Dio
589
590
594
597
602
612
10
Indice
Capitolo terzo
L’essenza della natura
619
3.1. Dio e la creazione
3.2. L’ontologia neotomistica della natura
3.3. Critica
3.4. Risultati e conclusioni
619
626
630
639
Capitolo quarto
L’anima e la persona
641
4.1.Uomo e natura
4.2. L’essenza dell’anima umana
4.3. L’essenza della persona e la storicità
4.4. Etica, religione, immortalità dell’anima
4.5. Critica
4.6. Risultati e conclusioni
641
642
647
652
658
670
Capitolo quinto
La polemica della metafisica dell’essere contro l’idealismo contemporaneo
673
5.1. Metafisica dell’essere e filosofia contemporanea
5.2. La polemica contro l’Hegelismo
5.3. La polemica contro l’Attualismo
5.4. Risultati e conclusioni
673
684
693
699
Epilogo
711
Bibliografia
717
Indice analitico
733
Indice dei nomi
751
CAPITOLO PRIMO
FILOSOFIA E RELIGIONE
1.1. L’idea della Filosofia
Uno sviluppo consistente e adeguato del progetto di una Filosofia
della religione — come, del resto, di ogni altra scienza filosofica —
presuppone un chiarimento preliminare del suo concetto ed una deduzione delle sue condizioni di possibilità. Ora, nell’espressione linguistica “filosofia della religione” è analiticamente contenuto che essa è
la scienza filosofica che tematizza l’essenza della religione. Dunque, il
chiarimento del suo concetto presuppone la determinazione delle idee
della “filosofia” e della “religione”. Siccome già altrove1 abbiamo
provveduto a sviluppare con una certa ampiezza il contenuto dell’idea
della Filosofia, potremo qui limitarci a riassumerne concisamente le
determinazioni fondamentali.
La filosofia non è un genere letterario, non è costruzione o interpretazione di miti, culture, tradizioni, eventi storici o visioni del mondo,
bensì è una scienza rigorosa. Come tale, essa ha un contenuto (o materia) determinato, specifico, che la distingue a priori da ogni altra possibile scienza, ed una forma non meno peculiare, che è determinata
dall’essenza stessa del suo contenuto, proprio come l’essenza di
quest’ultimo, viceversa, determina la natura della sua forma. Il principio della determinazione reciproca di forma e contenuto del sapere è
infatti una legge fondamentale del pensiero logico.
1
Cfr. G. RINALDI, Teoria etica, Trieste 2004, §§ 1–4.
19
20
Parte I: Filosofia della religione
La forma della filosofia è il pensiero puro, cioè un’attività dello spirito umano che tematizza non già l’esserci casuale e fenomenico, bensì
l’essenza universale e necessaria della realtà, mediante la formazione
di concetti o idee adeguate, la cui immediata molteplicità essa connette nell’unità di un processo logico, o mediazione discorsiva, che fornisce nel contempo la deduzione, cioè la giustificazione, la fondazione
della loro pretesa all’assoluta, obiettiva verità. La forma universale di
tale processo logico è il metodo della filosofia. Esso si distingue essenzialmente sia dal metodo delle scienze empiriche, che è di natura
fondamentalmente analitica e descrittiva, che da quello delle scienze a
priori (ad es., l’aritmetica e la geometria), che ha invece carattere assiomatico e sintetico–deduttivo, per il fatto che esso — a differenza di
questi, che implicano tutti dei presupposti dati, cioè dei principi immediati “dogmaticamente” assunti senza una preliminare indagine circa la loro intrinseca possibilità — solleva la fondamentale ed imprescindibile esigenza gnoseologica della radicale assenza di presupposti.
Come una volta si espresse ottimamente Fichte, la Dottrina della
scienza (che per lui, come è noto, coincide senz’altro con la filosofia)
avanza la pretesa che «tutto il dimostrabile deve essere dimostrato»2; e
noi — a differenza di Fichte — possiamo soggiungere che tutto è dimostrabile, giacché l’ammissione di un residuo teoretico, che può essere oggetto solo di una intuizione, fede o sapere immediato indimostrabile, equivarrebbe palesemente alla postulazione di un dato o presupposto immediato non ulteriormente giustificabile, e perciò meramente soggettivo o ipotetico. In quanto sapere radicalmente privo di
presupposti, la filosofia può dunque soddisfare un’esigenza gnoseologica che ogni altra forma di sapere lascia inadempiuta: quella di una
“fondazione ultima” del sapere3, e dunque di una conoscenza adegua-
2
Cfr. J.G. FICHTE, Über den Begriff der Wissenschaftslehre oder der sogenannten
Philosophie, in Johann Gottlieb Fichte’s sämmtliche Werke, hrsg. von J.H. Fichte,
Berlin 1845, Abth. I, Bd. I, § 7, p. 79: «Es muss alles Erweisbare erwiesen, — ausser
jenem ersten und höchsten Grundsatze müssen alle Sätze abgeleitet werden».
3
La rilevanza gnoseologica della problematica della Letztbegründung del conoscere è stata oggi opportunamente sottolineata da D. Wandschneider, sebbene la soluzione da lui proposta non ci sembri pienamente soddisfacente. Cfr. G. RINALDI,
Über das Verhältnis der dialektischen Methode zu den Naturwissenschaften in He-
Capitolo I: Filosofia e religione
21
ta, affidabile (così teoreticamente che praticamente) della verità. Finché, infatti, una determinata forma del sapere, pur deducendo o giustificando una serie di predicati essenzialmente inerenti all’oggetto da
essa tematizzato, si limita ad asserire dogmaticamente che esso realmente esiste, o che altri predicati meramente immediati gli ineriscono,
essa lascia palesemente aperta la possibilità che l’asserzione in questione, per quanto da alcuni ritenuta immediatamente evidente, ad altri
non sembri invece tale, e che sia addirittura in sé (cioè obiettivamente)
falsa, e che perciò l’intera deduzione su di essa fondata, per quanto in
sé consistente e logicamente cogente, non produca in verità altro —
com’è segnatamente il caso delle argomentazioni sofistiche — che la
speciosa validità di una conclusione in realtà falsa. Il carattere peculiare e cruciale del sapere filosofico, dunque, è la rigorosa assenza di presupposti. In virtù di essa (che, come si vedrà, si configura in concreto
piuttosto come la progressiva eliminazione di ogni presupposto immediatamente assunto [cfr. infra, § 2.4] e si distingue perciò senz’altro da
un atto immediato di soggettiva astrazione, quale è invece il cogito
cartesiano o l’epoché trascendentale husserliana), la filosofia, a differenza delle altre scienze, è dunque (per lo meno in linea di principio)
in grado di conferire il carattere della verità assoluta ai giudizi che essa formula. Laddove le altre scienze producono forme di certezza
sempre e solo relativa (ai presupposti da loro acriticamente assunti),
essa si realizza invece, di necessità, come un Sapere assoluto, ed in
ciò consiste la ragione ultima e decisiva della sua superiorità gnoseologica rispetto ad esse.
L’accennata determinazione della forma del sapere filosofico ci
consente di dare altresì una plausibile risposta alle ulteriori questioni
circa l’essenza del suo metodo e la natura del suo contenuto (o materia). In quanto privo di presupposti, il pensiero filosofico è un’attività
che non solo deduce, media, fonda le determinazioni concettuali che
esso progressivamente tematizza, ma che dissolve anche la acritica
immediatezza dei presupposti di tale deduzione. Ora, nella storia della
filosofia occidentale, da Platone a Hegel, l’attività logica che prova
l’assoluta verità di un concetto mediante l’esplicazione delle contradgels absolutem Idealismus, in AV.VV., Naturwissenschaft und Methode in Hegels Naturphilosophie, hrsg. von W. Neuser, Würzburg 2009, p. 52, n. 33.
22
Parte I: Filosofia della religione
dizioni inerenti nei suoi presupposti immediati, e dunque la loro distruzione critica, è stata generalmente ed opportunamente denominata
col termine di “dialettica”4, sì che potremmo concludere che il metodo
dialettico è il metodo peculiare ed imprescindibile di ogni genuino sapere filosofico.
Forma e contenuto del sapere, abbiamo detto, si determinano reciprocamente. La forma deduttiva, e il conseguente metodo dialettico,
abbiamo altresì visto, configurano la filosofia come un Sapere assoluto. Dunque, l’oggetto specifico della filosofia non potrà che essere
l’idea dell’Assoluto. Ma che cosa possiamo precisamente intendere
con questo termine? Spinoza è il primo filosofo dell’Età moderna a
conferirgli un preciso e pregnante significato filosofico, quando afferma che la Sostanza è “absolute” infinita, a differenza di ciascuno dei
suoi attributi, che è invece infinito solo “in suo genere”5, giacché
l’infinità degli attributi è solo relativa ai modi distinguibili all’interno
di ciascuno di essi (ogni attributo, infatti, esplica l’unità della Sostanza
in infiniti modi, ciascuno dei quali può esser limitato solo da un modo
del medesimo attributo, ma esclude da sé infiniti altri attributi), laddove l’infinità della Sostanza non ha invece alcun limite o condizione al
di fuori di sé. L’idea dell’Assoluto, dunque, si contrappone anzitutto a
quella del relativo: esso è ciò che il relativo non è, ciò che, al contrario
di esso, nulla alia re indiget ad existendum6, che non è dunque da esso
limitato, non ha in esso una condizione esterna alla sua essenza, bensì
è una realtà che in se est et per se concipitur7, che è — come si potrebbe anche dire facendo ricorso ad una non meno pregnante espressione kantiana — “incondizionata”8.
4
Cfr. G. RINALDI, Teoria etica, cit., § 5.
Cfr. B. SPINOZA, Ethica ordine geometrico demonstrata, in ID., Opera. Im Auftrag der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, hrsg. von C. Gebhardt, Heidelberg, s. d., Bd. II, Pars I, Def. VI e Expl.
6
Cfr. R. DESCARTES, Principia philosophiae, in ID., Oeuvres, publiées par C.
Adam & P. Tannery, vol. VIII–1, Paris 1973, Pars I, Prop. 51.
7
Cfr. B. SPINOZA, Ethica, cit., Pars I, Def. III.
8
Cfr. I. KANT, Kritik der reinen Vernunft, in Kant’s gesammelte Schriften, hrsg.
von der Königlich Preußischer Akademie der Wissenschaften, Bd. III, hrsg. von B.
Erdmann, Berlin 1911, I, 2: “Transz. Logik”, 2: “Transz. Dial.”, I, 2, p. 251.
5
Capitolo I: Filosofia e religione
23
L’accennata determinazione dell’essenza dell’Assoluto in contrapposizione al concetto del relativo, per quanto, come si è visto, palesemente opportuna ed imprescindibile, non è tuttavia, come tale, sufficiente. L’Assoluto è ciò che non è meramente relativo, cioè condizionato o limitato; il relativo, al contrario, è ciò che non è assoluto o incondizionato. Ciò significa forse che, com’è il caso di ogni opposizione manifestantesi nella sfera dell’esistenza empirica, l’Assoluto e il relativo sono entità (entia) esterne l’una all’altra; che l’una sussiste perciò dove l’altra non è — magari, come credeva Platone, in un Øperour£nioj tÒpoj9; e che essi perciò non possono coesistere in un unico
e medesimo luogo (o istante), laddove essi sono invece compossibili
in luoghi (o istanti) differenti? Contro questa erronea e perniciosa
convinzione, che inficia alla radice la plausibilità di una più che millenaria fase evolutiva del pensiero metafisico, possono esser sollevate
almeno due fondamentali obiezioni. Anzitutto, se il concetto dell’Assoluto non può esser determinato che in contrapposizione al relativo, e
se il relativo è una realtà ad esso esterna, positivamente esistente, allora l’Assoluto stesso non ci sarebbe se tale sua condizione non sussistesse — dunque, il preteso Assoluto sarebbe in realtà relativo all’immediata posizione del relativo. In secondo luogo, il relativo è ciò che
non è in se, bensì in alio10, ossia c’è solo in quanto altro c’è. In sé,
fuori cioè dalla sua relazione all’altro, il relativo semplicemente non
c’è: è soltanto una illusoria apparenza, non già una realtà. Tale altro
dal relativo, che è la sua stessa possibilità e realtà, tuttavia, non può
esser a sua volta un relativo (ciò darebbe infatti luogo ad un impensabile regressus in infinitum), bensì lo stesso Assoluto. Dunque, il relativo non ha altro senso e realtà che quelli ad esso conferiti dallo stesso
Assoluto. Di conseguenza, possiamo a questo proposito concludere
che non esiste alcuna realtà esterna a quella dell’Assoluto; che l’Assoluto è quindi l’unica realtà possibile e pensabile; che ogni presunta
realtà diversa dall’Assoluto (e da sé stessa) non è in verità tale, risolvendosi piuttosto in una inconsistente apparenza, in un essere che si
9
Cfr. PLATONE, Phaedrus, rec. C. Moreschini, Roma 1966, 247.
Cfr. B. SPINOZA, Ethica, cit., Pars I, Def. V: «Per modum intelligo id, quod in
alio est et per aliud concipitur». Il concetto spinoziano del modo si identifica
senz’altro con quello del relativo.
10
24
Parte I: Filosofia della religione
rovescia immediatamente nel proprio non–essere, e che consegue la
sua sola possibile verità e realtà nell’unità dell’Assoluto11.
L’Assoluto, dunque, che è l’oggetto peculiare della filosofia, è quella realtà che contiene in sé stessa anche ciò da cui essenzialmente si
distingue, che è perciò identica a sé solo in quanto è anche differente
da sé, ed è così una Totalità onnicomprensiva. Col che abbiamo ottenuto una determinazione univoca e (per lo meno in questo contesto
preliminare) sufficiente dell’oggetto specifico del sapere filosofico in
quanto Sapere assoluto: esso non è altro che l’Assoluto in quanto Totalità onnicomprensiva. Mentre, dunque, l’ambito tematico di ogni altra possibile forma dell’umano sapere contempla sempre e solo aspetti
o “regioni” parziali, particolari, limitate dell’esperienza o del mondo
sensibile, l’oggetto della filosofia si distingue radicalmente da esso
perché consiste piuttosto nell’unità totale, infinita, universale, necessaria dell’umana esperienza del mondo e degli oggetti in esso contenuti.
1.2. Determinazione preliminare del concetto della religione
A questo punto, possiamo dunque procedere alla soluzione del secondo compito teoretico che ci siamo proposti di affrontare (cfr. supra, § 1.1), e cioè il chiarimento del concetto della religione. Siccome
questa tematica costituisce l’oggetto specifico dell’intera Parte I del
presente saggio, essa richiede una trattazione analitica e compiuta, che
potrà aver opportunamente luogo solo nel prosieguo (cfr. infra, §§
5.1–5.3). Qui dovremo perciò limitarci ad esplicare, in via preliminare, solo le determinazioni concettuali necessarie alla soluzione del
11
La necessaria immanenza dell’Assoluto in ogni presunta realtà altra da esso è
stata espressa con mirabile, icastica efficacia da Ralph W. Emerson nella poesia
“Brahman”:
They reckon ill who leave me out;
When me they fly, I am the wings;
I am the doubter and the doubt,
And I the hymn the Brahmin sings.
Cfr. E.E. HARRIS, Cosmos and Theos: Ethical and Theological Implications of the
Anthropic Cosmological Principle, Atlantic Highlands, N. J.–London 1992, p. 60.
Capitolo I: Filosofia e religione
25
problema che stiamo affrontando, cioè la delucidazione del contenuto
specifico e delle condizioni di possibilità della Filosofia della religione.
La religione è la forma dello spirito umano, in cui questo contrappone a sé stesso, in quanto ente che si presume radicalmente finito,
“dipendente”, un Ente assolutamente “altro” da sé, che viene denominato col termine di “Dio”, e tenta quindi, mediante forme specifiche di
attività pratica quali il sacrificio, la preghiera, il culto, la liturgia, ecc.,
di stabilire una relazione affermativa, un’unità sostanziale con esso.
L’articolazione sia dell’idea di Dio che dell’autocoscienza dello spirito
finito ha luogo nell’elemento della rappresentazione. Questa è una determinazione concettuale dello spirito teoretico che si distingue dalla
precedente, l’intuizione, e dalla successiva, il pensiero, perché il suo
oggetto — l’immagine, il linguaggio, il mito — è privo tanto della realtà esteriore, sensibile del dato dell’intuizione (il “questo” che è “qui”
ed “ora”) quanto della validità logica, universale e necessaria di quello
del pensiero (il concetto puro), è dunque in sé irreale, e consegue una
realtà apparente solo in virtù dell’attività soggettiva, radicalmente
contingente ed arbitraria, dell’immaginazione. Ciò non esclude, ovviamente, che nella stessa sfera delle rappresentazioni religiose siano
immanenti intuizione e pensiero. L’essenza dello spirito, infatti, come
vedremo più oltre (cfr. infra, §§ 5.2–5.3 e 8.1), è una totalità organica
ideale, in cui ogni suo determinato momento contiene in sé (sia pur
solo in forma implicita o virtuale) anche tutti i rimanenti. La presenza
e funzione dell’intuizione empirica (in quanto coscienza originaria
della fatticità storica) e del pensiero (in quanto riflessione teologica) è
tuttavia strettamente determinata dalla struttura e dalle finalità della
forma spirituale della rappresentazione, e ad essa, in definitiva, subordinata. La prima viene perciò ristretta ad una classe di fatti — ad es.,
quelli che costituiscono la materia della “storia sacra” — arbitrariamente selezionati dalla stessa immaginazione religiosa12. Il secondo
12
L’inestimabile merito storiografico della “spiegazione mitica” (mythische Erklärung) delle Scritture compiutamente elaborata da D.F. Strauss è indubbiamente
quello di aver ridotto — in polemica sia col “sovrannaturalismo” della teologia cristiana tradizionale che col “pragmatismo” teologico di ispirazione illuministica —
ad un trascurabile residuo minimo la presenza ed incidenza dell’elemento storico–
oggettivo rispetto alla sua spontanea elaborazione mitico–allegorica ad opera della
26
Parte I: Filosofia della religione
non è nulla più che l’esplicazione riflessiva, in virtù dell’attività dell’intelletto finito, di un “dato” rappresentativo immediatamente consaputo e per principio sottratto (in quanto oggetto di una presunta speciale “ispirazione” divina) ad ogni possibile indagine critica o dubbio
scettico.
La concreta configurazione che i concetti di Dio e dello spirito umano conseguono nella sfera della religione (specialmente in quelle
superiori, in primis il cristianesimo) è di norma assai elaborata e dettagliata, e costituirà l’oggetto di una trattazione specifica nel prosieguo
(cfr. infra, §§ 6.1–6.4 e 9.3). Qui potremo limitarci ad osservare, a
proposito di Dio, che egli viene in genere concepito come un Ente eterno, infinito, onnisciente, onnipotente, che, pur essendo in sé infinitamente differente, e più perfetto, dell’Universo da lui creato, e pur essendo dotato di una personalità radicalmente diversa da quella dello
spirito umano, è nel contempo «totum in toto et in qualibet parte», costituisce dunque una Totalità infinita, anzi è l’unica possibile Totalità
infinita. L’innegabile complessità e compiutezza della determinazione
dell’essenza di Dio effettuata dalla rappresentazione religiosa, tuttavia,
non ne garantisce eo ipso la verità, ed ancor meno costituisce una prova oggettivamente valida della realtà del suo oggetto. La rappresentazione, infatti, non è altro che una forma astrattamente soggettiva dello
spirito umano finito: il fatto che io possa rappresentarmi, con abbondanza di dettagli ed icastica efficacia, una chimera non è di per sé una
prova sufficiente della sua realtà obiettiva. A differenza della comune
coscienza immaginativa (quale quella, ad es., che si esplica nella sfera
dell’arte), lo spirito religioso avanza tuttavia la perentoria pretesa che
il contenuto delle proprie rappresentazioni esista realmente — anzi,
che la realtà ad esso inerente sia infinitamente più elevata di ogni possibile altra (secondo la teologia e la metafisica cristiana tradizionale,
infatti, Dio è l’Ens realissimum: cfr. infra, § 6.2), e che la verità che ad
esso spetta sia analogamente certa ed indubitabile. Tale assoluta certezza attribuita al contenuto delle proprie rappresentazioni, tale intima
convinzione della verità del loro oggetto, costituisce l’elemento gnoseologico peculiare dello spirito religioso: la fede. Essa viene concepirappresentazione religiosa. Cfr. D.F. STRAUSS, Das Leben Jesu, kritisch bearbeitet
[1835], Tübingen 1984, Bd. I, pp. 1–76, e infra, § 5.3.2, n. 17.
Capitolo I: Filosofia e religione
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ta, in genere, come un “fatto di coscienza” o “dato” immediato — più
precisamente (nell’ultima, e più raffinata, fase evolutiva del cristianesimo: cfr. infra, § 13.5), come un sentimento della presenza dell’Infinito in noi, che pervade ed ispira con forza irresistibile la nostra
personalità interiore, che deve perciò essere riconosciuto ed accettato
(o, nella misura in cui può essere prodotto, realizzato) come tale, indipendentemente, dunque, da ogni fondamento, mediazione o ragione
che ne garantisca la verità. Sebbene, infatti, l’elaborazione riflessiva,
teologica o metafisica del dato della fede religiosa adduca anche delle
ragioni determinate per provare la verità del suo oggetto (cfr. infra,
Parte III, §§ 2.2 e ss.), esse non sono comunque ritenute sufficienti,
giacché non si estendono alla totalità delle sue determinazioni. È stato,
a questo proposito, opportunamente osservato13 che la presenza nella
coscienza individuale del fatto della fede religiosa viene in genere
considerata dalle religioni confessionali come la soddisfazione di
un’esigenza di carattere pratico, cioè come l’adempimento di un obbligo o di un comandamento, che può e deve essere legittimamente
imposto ai loro “fedeli”, sì che l’incredulità, la “miscredenza”, la “poca fede” viene da esse biasimata come un “peccato”, cioè una colpa,
un difetto del volere — anzi, molto spesso (cfr. infra, § 8.2) addirittura
come il più grave dei peccati. L’elemento gnoseologico della fede,
dunque, che costituisce il peculiare criterio di verità della rappresentazioni religiose, sta in diretta opposizione a quello del sapere razionale,
filosofico non solo per il suo carattere piuttosto pratico che teoretico,
ma anche perché essa è una forma del sapere puramente immediata,
che esclude perciò, come tale, qualsiasi prova razionale, obiettiva —
e, a fortiori, qualsiasi “fondazione ultima” — della sua asserita verità.
1.3. Il carattere problematico della Filosofia della religione
Il sommario chiarimento, or ora svolto, delle idee della filosofia e
della religione ci consente di procedere subito ad affrontare anche la
13
Da Feuerbach. Cfr. L. FEUERBACH, Das Wesen des Christentums, in ID., Sämtliche Werke, hrsg. von W. Bolin und F. Jodl, Stuttgart–Bad Cannstatt 1960, Bd. VI:
“Der Widerspruch in der Offenbarung Gottes”, pp. 246–256.
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Parte I: Filosofia della religione
questione dell’essenza, e dell’intrinseca possibilità, di una Filosofia
della religione. La filosofia è la scienza dell’Assoluto nella forma del
pensiero puro. Come e perché essa è tenuta a rendere tematica anche
l’essenza della religione? Ciò evidentemente implica, anzitutto, che la
filosofia, pur non avendo che un unico oggetto (perché l’Assoluto,
come si è detto, è una realtà infinita ed onnicomprensiva, al di fuori
della quale non possono perciò esservene altre: cfr. supra, § 1.1), ed
essendo quindi essa stessa un unico sapere, un’unica scienza (in virtù
della determinazione reciproca della forma e del contenuto del sapere), si dirima tuttavia in sé stessa in una pluralità di discipline, una delle quali sarebbe appunto la Filosofia della religione. D’altra parte, la
religione può costituire l’oggetto di una determinata disciplina filosofica se e solo se essa costituisce un momento necessario, una pars integrans del contenuto peculiare della filosofia. Se, infatti, l’essenza
della religione fosse invece radicalmente eterogenea rispetto a tale
contenuto, verrebbe per principio negata l’intrinseca condizione di
possibilità di una Filosofia della religione.
Ma v’è un ulteriore aspetto della questione, che rende ancora più
complesso, e di difficile soluzione, il problema della possibilità della
Filosofia della religione. Esso si radica nella differente configurazione
della relazione tra soggetto ed oggetto che ha luogo nelle scienze positive e nella filosofia. Le prime prendono le mosse da un dato immediato, i fatti del mondo esterno o della coscienza sensibile–percipiente, la
cui possibilità e realtà viene semplicemente presupposta. La “spiegazione” di tale dato consiste nell’applicazione ad esso di un complesso
di forme categoriali (principi logici, ipotesi, metodi euristici, categorie
dell’intelletto finito, ecc.) originariamente estranee al suo contenuto, e
la validità della medesima viene in genere riposta o nel fatto contingente della corrispondenza empirica (la “verifica” dell’ipotesi) o in
quello non meno contingente del “successo” tecnico–pratico. Soggetto
ed oggetto, dato empirico e forma categoriale rimangono dunque essenzialmente differenti, e la loro identità è sempre e solo casuale, parziale, relativa. Il sapere filosofico, al contrario, in quanto sapere privo
di presupposti, non asserisce né ammette la validità (assoluta) di qualsivoglia dato o presupposto immediato. Ciò significa che esso è tenuto
a dedurre, mediare, giustificare, “costruire” tutti i principi e le tesi che
esso afferma. L’oggetto del sapere filosofico, dunque, è solo in quanto
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vien posto, prodotto, generato dallo stesso sapere filosofico, cioè dal
soggetto dell’atto del conoscere, in e mediante esso. Laddove, dunque,
la possibilità di una teorizzazione antropologica, psicologica o sociologica dell’essenza della religione — quali, ad es., quelle celebri di
Feuerbach, Nietzsche e Freud (cfr. infra, §§ 13.7–13.8, e Parte II, §
2.2) — non presenta altre difficoltà gnoseologiche di principio che
quelle che inevitabilmente ineriscono all’essenza formale–generale del
sapere scientifico–positivo (la religione, in effetti, è un fatto della nostra esperienza proprio come lo sono la società, il linguaggio, l’arte,
ecc., e come tale può e deve certamente costituire l’oggetto di una particolare scienza umana); nel caso di una Filosofia della religione criticamente consapevole delle effettive condizioni logiche della propria
possibilità, al contrario, le cose stanno diversamente. La sua possibilità di principio, infatti, esige che l’essenza della religione non sia semplicemente un “altro” rispetto al sapere filosofico, bensì sia, per lo
meno per qualche verso, un prodotto del suo sviluppo immanente, e
perciò risulti, o per la sua forma o per il suo contenuto, ad esso identica. Qualora, viceversa, la loro differenza dovesse essere radicale, esse
fossero cioè forme spirituali meramente eterogenee, allora anche
l’idea di una Filosofia della religione dovrebbe essere senz’altro respinta in quanto gnoseologicamente inconsistente. Nel migliore dei
casi, l’asserita eterogeneità dei rispettivi oggetti potrebbe giustificare
solo un preliminare chiarimento delle ragioni per le quali si ritiene che
la religione sia estranea alla filosofia, e non possa perciò costituire
l’oggetto di alcuna determinata disciplina filosofica.
Nello sviluppo storico del pensiero moderno e contemporaneo, in
effetti, che è quello stesso in cui la problematica della Filosofia della
religione è stata originariamente formulata ed avviata a soluzione (cfr.
infra, Parte II, § 1.1), diverse, ed autorevoli, voci si sono levate onde
negare la rilevanza di principio della fede religiosa per il sapere filosofico. Appare, dunque, opportuno prender le mosse da una sommaria
disamina delle più significative obiezioni rivolte contro la possibilità
di principio della Filosofia della religione.