La società decente: l’accesso ai servizi sociali degli immigrati residenti a Roma. di Marco Accorinti Elena Spinelli Paper for the Espanet Conference “Sfide alla cittadinanza e trasformazione dei corsi di vita: precarietà, invecchiamento e migrazioni” Università degli Studi di Torino, Torino, 18 - 20 Settembre 2014 Marco Accorinti, ricercatore IRPPS-CNR, [email protected] Elena Spinelli, assistente sociale, docente Sapienza – Università di Roma, [email protected] 1 La società decente: l’accesso ai servizi sociali degli immigrati residenti a Roma. Umiliazione è ogni comportamento o condizione che costituisce una valida ragione perché una persona consideri offeso il proprio rispetto di sé, ancora, umiliazione è vista come esclusione di una persona dal consorzio umano e perdita di controllo essenziale della propria vita. […] Una società buona da viverci è innanzitutto una società in cui le persone non vengano umiliate. L’umiliazione è distruttiva dell’onore e del rispetto delle persone, un modo per escluderle, per considerarle non umane. Il riconoscimento delle persone è, invece, il fondamento della società decente. Avishai Margalit, 1998 Premessa Il lavoro degli Assistenti sociali con immigrati di origini nazionali, etniche, sociali ed economiche differenti ha creato disagi e perplessità nella relazione e nell’intervento professionale. Sono state messe in discussione conoscenze e competenze, compromettendo a volte la capacità di fornire un effettivo aiuto alle persone che si rivolgono ai servizi e la possibilità di instaurare un rapporto di fiducia, indispensabile perché si avvii un processo di aiuto. Nella regione Lazio nel corso degli anni sono stati svolti vari corsi di formazione e di aggiornamento degli Assistenti sociali e gruppi di supervisione sui temi dell’immigrazione e della diversità culturale, in particolare da parte della Provincia di Roma, da alcuni corsi universitari di servizio sociale e da privati. Il lavoro qui proposto ha come punto di partenza un recente corso “L’accoglienza dei migranti: una sfida per il welfare locale. Immigrazione e servizio sociale” offerto dalla Sapienza - Università di Roma in collaborazione con l’Ordine regionale degli Assistenti sociali del Lazio. Il corso si articolava in due parti tra loro integrate realizzate con costante riferimento all’attività professionale. Una prima parte di contributi teorici (lo sviluppo dell’immigrazione in Italia e a Roma, le comunità di migranti, i tipi di migranti, approfondimenti relativi alla protezione internazionale, aspetti giuridici e legali dell’immigrazione, il sistema di accoglienza, i centri e i servizi per migranti, i minori stranieri, l’accesso ai diritti, lo scenario delle politiche europee sull’immigrazione, la cittadinanza e la salute) e lavori di gruppo di confronto tra varie prassi di accoglienza da parte dei servizi. Una seconda parte consisteva in un lavoro di supervisione su casi presentati dai partecipanti con elementi introduttivi di clinica transculturale (l’involucro culturale, il trauma migratorio, il decentramento culturale, le rappresentazioni culturali, vulnerabilità e migrazione,sofferenza e meccanismi difensivi nelle separazioni e ricongiungimenti familiari, la genitorialità nella migrazione, elementi di valutazione e sostegno). La mediazione culturale è stata trattata a più riprese da una mediatrice culturale attiva nei servizi sociali e sanitari di Roma. Il presente paper elaborato dai docenti del corso1, mantiene l’articolazione in due parti distinte una prima, Il sistema di assistenza sociale a Roma: scelte politiche e attori locali, risultato di 1 Il contributo è stato condiviso da entrambi gli autori anche se Marco Accorinti ha redatto il paragrafo 1 e Elena Spinelli il paragrafo 2 e la premessa. 2 ricerche e approfondimenti condotti negli ultimi due anni, presenta alcuni dei nodi problematici della governance del welfare di Roma Capitale nella attuale precarietà delle risorse sociali in relazione alla popolazione immigrata. La seconda parte, Senso di appartenenza: alcune riflessioni sulla relazione d’aiuto professionale frutto di riflessioni scaturite dalle osservazioni emerse in vari gruppi di supervisione con Assistenti sociali che operano con l’utenza straniera nei servizi sociali municipali e sociosanitari di Roma nel settore pubblico e del Terzo settore, tratta in particolare le tematiche che riguardano la transnazionalità, la transculturalità, la discriminazione e il loro intreccio nel lavoro professionale perlopiù con immigrati/e presenti da vari anni nel paese nel contesto della capacità di appartenenza come inteso dalla Nussbaum. I temi relativi al lavoro professionale con la popolazione immigrata presentano una complessità di risvolti e di implicazioni che non permettono una trattazione completa. Proporremo quindi delle considerazioni su alcune dimensioni del fenomeno migratorio che possono portare a forme di esclusione e di mancato riconoscimento dell’altro, e costituire barriere e criticità nel processo d’aiuto agli immigrati in relazione al loro senso di appartenenza. Nella trattazione si fa riferimento essenzialmente ai servizi sociali in cui l’utenza straniera rappresenta una buona parte dell’utenza complessiva del Servizio sociale municipale con valori che oscillano tra il 40% e il 70% del totale di tutti i cittadini che chiedono assistenza, e che sono anche destinati a crescere. E’ proprio il diritto alle risorse sociali, riconosciuto da sempre solo agli immigrati regolari, che è messo in discussione nell’attuale crisi del welfare e in cui maggiormente si esplicita la discrezionalità dell’Assistente sociale nell’esplicare il suo mandato professionale, a differenza del settore sanitario dove la cultura del diritto universale alla salute sancita dalla Legge 833/1978 che equipara legalmente anche l’immigrato irregolare agli autoctoni con diritto quindi alla assistenza. 1. Il sistema di assistenza sociale a Roma: scelte politiche e attori locali Analizzare l’assistenza sociale per gli immigrati a Roma significa cercare di cogliere elementi di un processo, tutt’ora in corso e con livelli di complessità organizzativa e gestionale rilevanti, che sta perseguendo una nuova formalizzazione a seguito dell’insediamento della Giunta comunale poco più di un anno fa (di orientamento politico differente rispetto alla precedente). Peraltro Roma Capitale ha da anni, in maniera autonoma rispetto alla Regione Lazio, dato attuazione alla Legge n. 328 del 2000 relativa al “Sistema integrato degli interventi e servizi sociali” che ha - come è noto previsto l’estensione nazionale delle prestazioni sociali ai detentori della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno2. Già dal primo Piano Regolatore Sociale del 2004 l’amministrazione capitolina ipotizzava che per affrontare le situazioni di emergenza degli stranieri non in regola con le norme sul soggiorno, si sarebbe dovuto assicurare una rete di protezione sociale territoriale efficace adottando «un apposito provvedimento, in analogia con quanto previsto in campo sanitario già dal 1995 […] volto a garantire interventi sociali urgenti ed essenziali a coloro che sono presenti a Roma in condizione di irregolarità giuridica, a tutela della maternità e dell’infanzia e di coloro che si trovano in gravi e certificate condizioni di fragilità sanitaria. Tale provvedimento dovrà definire le modalità di accesso ai servizi sociali urgenti ed essenziali da parte delle persone temporaneamente presenti, nei limiti delle condizioni di vulnerabilità socio-sanitaria sopra indicate, attraverso la sperimentazione del codice a sigla (STP – 2 Ai quali si aggiunge quanto già previsto dal Testo Unico ovvero l’estensione anche ai minori iscritti nella carta o nel permesso di soggiorno dei genitori, quindi molti dei minori ricongiunti. 3 straniero temporaneo presente) analogamente a quanto già in atto nel servizio sanitario.»3 Nei dieci anni successivi, la citata disposizione prevista dal Primo Piano Regolatore Sociale non ha avuto seguito e le iniziative nel settore sono state sporadiche. Del resto anche a livello regionale alcune dichiarazioni di principio e disposizioni normative hanno fatto sì che il Lazio assomigliasse ad altre Regioni italiane caratterizzandosi per situazioni a macchia di leopardo, parzialmente compensate dall’attività di una pluralità di attori ma senza una effettiva regia. Del resto alcuni studiosi sostengono che a livello nazionale la vera azione di supplenza all’indeterminatezza statale nel campo dell’immigrazione, è stata assunta dagli organismi di Terzo settore, ai quali dapprima in maniera tacita poi sempre più istituzionalizzata, è stata delegata anzitutto la gestione della accoglienza alloggiativa e poi più in generale l’inserimento socio-lavorativo, secondo una strategia definita da Giovanna Zincone (2000) di ‘integrazione indiretta’. Ovviamente il ruolo e l’importanza del Terzo settore varia a seconda dell’assetto dei diversi sistemi locali di welfare (Mingione, Pugliese, 2002), ma a Roma nell’ambito degli interventi per gli stranieri ha assunto nel tempo molta importanza all’interno del processo di costruzione sociale indicato come “welfare mix”, secondo una certa ideologia che vedeva nell’inserimento degli attori non-profit la soluzione a tutte le disfunzioni e le mancanze dello Stato Sociale. D’altronde, sulle tematiche dell’integrazione dei migranti, è proprio la Legge a istituzionalizzare il ruolo degli Enti locali i quali, a Roma, hanno operato attraverso il tramite delle organizzazioni di Terzo settore, grazie a finanziamenti specifici del Fondo nazionale delle politiche sociali4, ma anche con fondi regionali dedicati erogati o direttamente dalla Regione Lazio5 o per il tramite della Provincia di Roma6, o anche a valere sul Bilancio del Comune7. Come caso emblematico nell’ambito del processo di applicazione della Legge 328/2000 ma anche di revisione della spesa sociale, nonché sull’utilizzo dei fondi europei, la Città può infatti rappresentare un osservatorio interessante, anche in considerazione della sua strutturazione amministrativa che prevede un’azione di coordinamento/integrazione tra Amministrazione cittadina e gli attuali 15 Municipi metropolitani.8 Dal punto di vista organizzativo, 3 Punto 6.4 Primo Piano Regolatore Sociale approvato dal Consiglio Comunale con Deliberazione n. 35 del 2004. Dapprima all’interno del Fondo nazionale per le politiche migratorie, poi confluito nel più generale Fondo nazionale. 5 L.R. n. 10 del 2008, Disposizioni per la promozione e la tutela dell'esercizio dei diritti civili e sociali e la piena uguaglianza dei cittadini stranieri immigrati, che all’articolo 21 laddove si stabilisce la programmazione triennale delle attività regionali di integrazione e di accesso ai servizi socio-sanitari, si prevede la concessione dei contributi a favore delle associazioni, degli enti e degli organismi iscritti al registro regionale. 6 Ai sensi della Legge regionale n. 10 del 2008, la Provincia di Roma partecipa alla definizione ed attuazione dei servizi e degli interventi da inserire nei Piani di Zona distrettuali ed interviene in materia di alfabetizzazione e formazione, di orientamento e accompagnamento al lavoro, nonché definisce programmi di formazione permanente rivolti agli operatori del settore immigrazione. L’amministrazione inoltre estende la propria azione anche a soggetti ricongiunti, minori non accompagnati, giovani immigrati di seconda generazione e vittime di tratta e della riduzione in schiavitù, oltre che a richiedenti e titolari di protezione internazionale. 7 Secondo gli ultimi dati disponibili (fonte sito istituzionale di Roma Capitale) il 17% dell’intero bilancio comunale (pari a 5.142,45 milioni di Euro) nel 2011 era dedicato a tutti gli interventi sociali; non si hanno cifre certe circa la percentuale di impiego specifica per gli immigrati, ma le analisi consultate affermano che più dell’80% dei servizi sociali romani sono finanziati direttamente dal bilancio del Comune e non già dai trasferimenti nazionali o regionali (ex Legge n. 328 del 2000) e che la maggior parte dei fondi per le politiche di integrazione degli stranieri è investito nell’accoglienza alloggiativa. 8 Si ricorda che in base allo Statuto di Roma Capitale (delibera n. 8 del 2013) il territorio metropolitano è oggi articolato in 15 Municipi, frutto di un lavoro di decentramento territoriale avviato nel 1966. In quell’anno (deliberazione n. 1.113 del 1966) il Consiglio Comunale deliberò la suddivisione del territorio comunale in 12 zone, denominate “Circoscrizioni“; poi con la deliberazione n. 693 del 1972, il Consiglio Comunale compì una nuova suddivisione in 20 Circoscrizioni; la Legge regionale n. 25 del 1992 ha costituito il Comune di Fiumicino, che quindi si staccò dalla Città, alla quale rimasero le 19 Circoscrizioni territoriali fino al 2013. 4 4 l’organismo centrale è il “Dipartimento Politiche Sociali, Sussidiarietà e Salute di Roma Capitale” che è preposto alla programmazione e al coordinamento metropolitano in materia di tutti i servizi sociali e di promozione della salute, e tra i suoi compiti, attua interventi a supporto di cittadini stranieri in materia di accoglienza e di assistenza, attraverso “l’Ufficio immigrazione”; dal punto di vista politico la delega alle politiche sociali e ai servizi alla persona, alle politiche per la promozione della salute, al Piano per l'inclusione sociale dei migranti (previsto dalla Legge Regionale del Lazio), è stata assegnata all’Assessore al Sostegno sociale e sussidiarietà.9 La spesa di Roma Capitale per tutti i cittadini stranieri ha riguardato varie prestazioni che però possono essere divise in servizi indirizzati al totale della popolazione residente oppure progetti specifici per gli stranieri. Tra i primi, a livello generale per la popolazione residente, si devono citare gli interventi sociali che sono i più importanti e comuni a tutti e 15 Municipi romani, ovvero: il servizio sociale professionale, il segretariato sociale, l’assistenza domiciliare, i contributi economici (tra cui anche le misure per l’assistenza alloggiativa); a questi interventi si aggiungono il Pronto Intervento Sociale, le misure relative all’affidamento familiare e l’adozione, le mense e i dormitori gestiti a livello centrale, le case popolari gestite da un Dipartimento specifico. 10 Ogni territorio ha poi elaborato una serie di progetti a carattere locale che sono stati o finanziati in maniera autonoma o per tramite dei fondi regionali ex Legge 328/2000 e possono riguardare l’infanzia straniera, la disabilità, gli anziani ricongiunti, l’attivazione di sportelli legali, ecc. . Considerando invece gli interventi specifici per i cittadini stranieri, si può dire che l’Amministrazione romana ha concentrato la sua attenzione in due interventi, ovvero le soluzioni alloggiative e la mediazione culturale. Proprio sull’accoglienza degli stranieri (in particolare per i richiedenti asilo), Roma ha anche impegnato ingenti risorse economiche del proprio bilancio. Nei paragrafi successivi si cercherà di approfondire gli effetti della recente ri-strutturazione del sistema romano di accoglienza e le modalità di gestione dei servizi sociali municipali, prima di presentare alcune considerazioni relative alla appartenenza degli immigrati al sistema, per come è stato progettato e viene gestito. Le considerazioni di questa parte sono desunte da varie indagini specifiche condotte negli ultimi due anni, e raccolte anche direttamente dagli Assistenti sociali che operano nel settore, in particolare nei Servizi sociali municipali. 1.1 I Centri per l’accoglienza alloggiativa Lasciando ad altri approfondimenti un’analisi dettagliata sui centri di accoglienza11, l’Assessorato preposto ai servizi sociali sta compiendo una sorta di riforma del sistema romano istituito nel 1992 e parzialmente riorganizzato nel 2010, avendo fatto la scelta di suddividere le strutture secondo il tipo di destinatari. Fino al 2013 infatti il sistema era articolato per tipi di strutture (centri per adulti, per donne con bambino, per nuclei e per minori non accompagnati) con un accesso indistinto sia per gli stranieri residenti, sia per i migranti economici, sia per i richiedenti asilo, sia per i protetti internazionali (migranti forzati). Anche in considerazione del fatto che l’accesso negli ultimi anni era per la totalità costituito da richiedenti o titolari di protezione internazionale, 9 L’Assessore Cutini ha anche la delega su: Diversamente abili e non autosufficienza, Atti connessi al trattamento sanitario obbligatorio, Definizione e verifica indirizzi gestionali all'azienda speciale “Farmacap” e alla “Agenzia capitolina sulle tossicodipendenze”. 10 Per ognuno dei servizi/interventi sociali citati ci sono delle specifiche riguardo ai requisiti per l’accesso. 11 All’interno della presente Conferenza Espanet 2014, viene presentato un paper dal titolo “Impatti sul sistema di accoglienza dei richiedenti/titolari di protezione internazionale a Roma: operatori, interventi e politiche sociali” insieme a Chiara Denaro e Antonio Sanguinetti. 5 l’Assessorato ha inserito le strutture per richiedenti protezione nel sistema SPRAR,12 ma sono ancora presenti esperienze di grandi centri di accoglienza (adibiti a seguito della conversione di strutture pubbliche dismesse tipo scuole o caserme) e occupazioni abusive di immobili pubblici e privati. Al riguardo, l’Assessore competente a marzo 2014 ha dichiarato che fossero 68 gli immobili occupati a Roma, ma ha anche aggiunto che gli sgomberi autorizzati dalle Forze dell’Ordine senza mettere a corrente l’Amministrazione capitolina hanno procurato una forte pressione sul sistema di accoglienza romano difficilmente gestibile (in assenza di finanziamenti specifici). La rete dei centri e delle strutture presenti in Città predisposte da Roma Capitale, dal Ministero dell’Interno e dalle organizzazioni del Terzo settore (in maniera autonoma), riesce infatti ad accogliere soltanto una parte dei profughi che giungono a Roma, poiché i posti disponibili non sono sufficienti, nonostante negli anni siano andati aumentando. Nell’ottobre 2010, sono stati finanziati progetti per l’accoglienza in convenzione, attraverso un bando di Roma Capitale (il più recente, ancora in vigore, con regimi di proroga), in cui erano previsti centri con le seguenti caratteristiche: apertura per 24 ore, periodi di accoglienza prestabiliti13 e possibilità per gli ospiti di rimanere oltre i termini previsti pagando un contributo. Emergeva dalle analisi la mancanza all’interno del sistema di un percorso completo dalla prima accoglienza alla semi-autonomia14: il circuito dell’assistenza, le politiche e le misure emergenziali messe finora in atto sicuramente non sembrano aver fornito risposte adeguate. E, con il tempo, la situazione appare sempre più grave: le problematiche dell’accoglienza per coloro che vivono in Italia da poco tempo e per coloro che arriveranno, si affiancano a quelle degli immigrati residenti, richiedenti e titolari di protezione internazionale che si trovano in Italia ormai da diversi anni e che vivono in insediamenti spontanei o per strada (e che abbastanza regolarmente sono oggetto di sgomberi). Ci sono poi notizie (e in alcuni casi denunce) riguardo le condizioni di vita all’interno dei Centri: alimentazione non adeguata o rispettosa della cultura o della religione degli ospiti, servizi previsti ma non forniti, strutture fatiscenti o gravi condizioni igieniche, promiscuità e scarso rispetto della privacy.15 La situazione dei servizi relativi all’accoglienza degli immigrati, come si dirà anche oltre, è quindi complessa e aggravata in particolare in questi mesi in cui non è chiaro ancora quali siano i centri SPRAR e che tipo di servizi offrano16, se esistano differenze tra i vari centri SPRAR o l’Ufficio Immigrazione riesca a fare un’azione di coordinamento, quali siano i centri di accoglienza per le altre categorie di stranieri e quanti posti l’Amministrazione abbia disponibili e in che forma (centri con capienza superiore a 100 posti o strutture più piccole), come verranno investiti i circa 10 miliardi di Euro che il Comune ha “risparmiato” transitando i Centri di accoglienza al Sistema 12 SPRAR - Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati, è il sistema nazionale di accoglienza e integrazione per richiedenti e protetti internazionali, promosso dal Ministero dell’Interno e dagli Enti Locali in collaborazione con le organizzazioni umanitarie e gli enti di tutela. Esso offre ai richiedenti asilo ed ai rifugiati, nei limiti delle sue disponibilità recettive, supporto di tipo alloggiativo e aiuto all’avvio di un percorso d’integrazione sul territorio nazionale. È costituito dalla rete degli enti locali che, per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata, accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Roma ne ha fatto sempre parte, in misura però contenuta per un totale di 186 posti (dati del Servizio Centrale al 6 dicembre 2013); situazione che si è avuta fino all’attuale allargamento dei posti, avvenuto a livello nazionale e su Roma in particolare. 13 Con un massimo di 180 giorni per i singoli e 270 prorogabili di ulteriori 90 giorni per i nuclei familiari. 14 Ovvero soluzioni tipo gruppi appartamento, condivisioni, voucher per affitto, garanzie per l’affitto, ecc. 15 Tra i fatti di cronaca ricordiamo i 12 ospiti intossicati dal cibo nel Centro di Pietralata nel 2009, o le fiamme divampate nel Centro Via Amarilli nel 2013, o la barricata di 500 ospiti del Centro di Via Staderini nel 2012. 16 Alcune organizzazioni romane dichiarano che nonostante abbiano avviato il servizio come richiesto dall’Amministrazione dal 1 marzo 2014, ad agosto 2014 non hanno ancora firmato alcun accordo scritto con Roma Capitale. 6 SPRAR e infine quali siano le sorti di un cittadino straniero neocomunitario 17 (o anche un residente da lungo periodo) che abbia bisogno di accoglienza notturna. 1.2 I Servizi sociali municipali Riguardo l’aiuto sociale di coloro che sono cittadini immigrati residenti è competente il Servizio sociale municipale, del territorio dove lo straniero ha la residenza. E, considerando appunto l’intervento dei Servizi sociali municipali, dalle analisi territoriali emergono una serie di aspetti problematici, proprio rispetto all’accoglienza e alla scarsa capacità/possibilità di accesso per residenti stranieri in condizioni di bisogno. In particolare ciò vale per gli uomini, ma anche per le donne sole, mentre in genere attraverso la rete sociale si riescono a trovare soluzioni, a volte improvvisate e molto temporanee, per le donne con figli minori o in alcune condizioni di forte vulnerabilità. Ma l’indagine svolta nei primi mesi del 2014 con gli assistenti sociali municipali ha evidenziato elementi di problematicità anzitutto dal punto di vista dell’organizzazione complessiva dell’intervento: i professionisti lamentano un eccessivo appesantimento del sistema (con collegata sproporzione nell’investimento economico) rispetto alla gestione dell’accoglienza e scarsi interventi dell’amministrazione centrale per il sostegno dei nuclei residenti nei municipi romani. Inoltre l’assenza di un supporto e di un servizio di mediazione linguistico culturale a carattere continuativo (e non legato alle progettualità e ai finanziamenti annuali) rende l’attività di sostegno dei nuclei familiari molto difficoltosa, soprattutto quando il Municipio non abbia fondi per attivare un proprio servizio di mediazione. Del resto nell’introduzione al presente saggio si è già detto che, sempre sulla base dell’indagine svolta all’inizio del 2014, gli stranieri rappresentano una buona parte dell’utenza complessiva del Servizio sociale municipale con valori che oscillano tra il 40% e il 70% del totale di tutti i cittadini che chiedono assistenza (valori peraltro in crescita). Dalla stessa indagine diretta svolta nel corso del 2014 le domande espresse dai nuclei migranti ai Servizi sociali municipali sono in maggioranza richieste di contributo economico e di sostegno per questioni abitative, ma non sono rare anche le necessità di orientamento lavorativo, di inserimento scolastico dei minori (magari di minori con disabilità), e di rapporti con strutture sanitarie e ospedaliere (sia per dimissioni difficili e sia per le donne in cinta con difficoltà socioeconomiche e di integrazione). La domanda sociale straniera viene espressa al Segretariato sociale municipale (o al P.U.A. - Punto Unico di Accesso, sportello integrato sociale e sanitario) sia da migranti in regola con le norme sul soggiorno sia da stranieri non in regola, con la difficoltà che questi ultimi non possono essere presi in carico. Per gli utenti stranieri che accedono ai servizi territoriali (magari a seguito del “passaparola” tra connazionali), come peraltro per tutta l’utenza (italiana e non) del Servizio sociale municipale e dei servizi sanitari, le possibili risposte e interventi di aiuto possono comportare l’emergere di situazioni complesse, le quali con difficoltà possono essere affrontare con le risorse economiche attualmente disponibili. Dopo molti anni che non succedeva, il 2014 si è caratterizzato al riguardo per una generalizzata difficoltà di bilancio nei Municipi, i quali, in molti casi, a maggio si sono trovati costretti a chiudere servizi e interventi. I primi che hanno chiuso sono i servizi promossi con progetti finanziati dai fondi della Legge 328/2000, non più trasferiti dalla Regione Lazio; e poi in alcuni Municipi non si ha la certezza di 17 Se un uomo cittadino romeno, ad esempio, abbia bisogno di accoglienza, può chiedere all’Ufficio Immigrazione di essere ospitato per 15 giorni (rinnovabili) in uno dei centri di pronta accoglienza, che hanno però liste di attesa che superano attualmente i tre mesi; viceversa se si tratta di una donna romena con un figlio minore, la pronta accoglienza è garantita (quasi in tempo reale) e superato il periodo di 15 giorni se permangono le condizioni di difficoltà, l’Ufficio cerca di trovare una soluzione alternativa a loro tutela. 7 poter continuare ad erogare l’assistenza domiciliare, ad esempio, alla fine del mese di settembre 2014. Se la situazione finanziaria dei municipi colpisce indistintamente i cittadini residenti, spesso per gli stranieri le richieste di aiuto si caratterizzano per alti livelli di delusione laddove, arrivati fiduciosi ai servizi, capiscono che non ci sono risorse disponibili per un loro personale progetto di sostegno direttamente dalle parole dell’assistente sociale. Tuttavia nei casi in cui il Servizio riesce a prendere in carico il nucleo, magari perché si presenta all’inizio dell’anno (e quindi c’è una maggiore disponibilità di fondi) si tratta quasi sempre di interventi che possono riguardare l’attivazione di aiuti economici specifici (ad esempio la domanda di superamento dell’emergenza abitativa), l’attività di sostegno nella ricerca lavoro attraverso l’accompagnamento al COL,18 l’attività di sostegno per le problematiche abitative, l’orientamento (e l’integrazione) verso altri servizi, l’inserimento in strutture di accoglienza, il trattamento psico-sociale, ecc. . C’è poi un’altra utenza straniera del Servizio sociale municipale, ovvero le situazioni di disagio sociale, generalmente di minori (in alcuni casi seguite dal GIL - Gruppo Integrato Lavoro19), per conto di richieste provenienti dal Tribunale e in particolare dal Tribunale per i Minorenni di Roma. L’attività di alcuni Municipi è particolarmente gravata dal carico di richieste di indagini o azioni del Tribunale, al punto che alcuni Servizi sociali hanno creato un’area funzionale denominata “magistratura” o “interventi Autorità giudiziaria”, ingenerando alcune difficoltà di comprensione da parte dell’utenza. Come è noto, si possono infatti distinguere i servizi sociali e sanitari in tre ampie categorie: i servizi universalistici (rivolti all’intera popolazione), i servizi specialistici o migrant-specific (il cui target è rappresentato dall’utenza straniera) e servizi ethnic-sensitive, ossia servizi universalistici che contengono al loro interno dispositivi a supporto degli utenti immigrati, per garantire il corretto accesso e utilizzo dei servizi stessi (Busso, Gargiulo, Mannocchi 2013). A Roma sembra essersi consolidato un sistema che sovrappone i tre tipi ora indicati: esistono servizi sociali universalistici (per residenti e non), esistono servizi specialistici offerti sia dall’Ente pubblico (ad esempio la rete dei Centri Servizi per l’Immigrazione – CSI20) sia da organismi di Terzo settore21, ed esistono 18 I Centri di Orientamento al Lavoro (COL) sono sedici sportelli operativi sul territorio di Roma Capitale che svolgono, nell’ambito della rete integrata dei Servizi per l’Impiego, azioni di orientamento al lavoro indirizzate ai singoli cittadini. Possono rivolgersi ai COL giovani disoccupati, studenti in uscita dall’obbligo scolastico e formativo, disoccupati di lunga durata e adulti, che vogliano orientarsi nella scelta di un percorso professionale e/o di formazione, finalizzato all’inserimento nel mondo del lavoro, sia italiani sia stranieri. 19 Dal sito www.comune.roma.it, si legge che «Il G.I.L. su mandato della magistratura, prende in carico le famiglie del territorio sulle quali pende un provvedimento giudiziario di tutela nei confronti dei/del figlio minore (Es. separazioni giudiziarie, consensuali, provvedimenti di allontanamento dal nucleo familiare; sostegno psicologico sul minore o sulla coppia genitoriale; inserimento in casa famiglia o collocamento presso altra famiglia attraverso l'istituto dell'Affido Familiare, ecc).». 20 I CSI, istituiti nel 2004, avevano infatti l’obiettivo di favorire il processo di inclusione sociale degli stranieri; coordinati e gestiti dalla Provincia di Roma, gratuitamente offrivano - tra l’altro - servizi di mediazione linguisticaculturale, assistenza nell’avvio di procedure amministrative, facilitazione all’accesso ai servizi pubblici e privati assicurando l’informazione sulle risorse e sulle modalità per accedervi, azioni per l’inserimento sociale; erano presenti nei tre Centri per l’Impiego di Roma (a Cinecittà, Primavalle e Ostia) garantendo così ogni azione di integrazione istituzionale. Misure di contenimento della spesa hanno imposto la chiusa dei CSI e il passaggio degli operatori nei COL o nei Centri per l’Impiego. 21 Si consideri ad esempio che il Centro di Ascolto Stranieri di Via delle Zoccolette della Caritas di Roma, è aperto dal 1986. 8 dispositivi che garantiscono l’accesso degli stranieri al welfare22. Appare però che l’offerta di interventi migrant specific risenta di un diffuso orientamento che privilegia l’opzione di servizi rivolti al totale della popolazione, superando una visione emergenziale del fenomeno migratorio, e per evitare la separazione o ghettizzazione. Tuttavia rimane la consapevolezza tra gli operatori della necessità di superare le barriere di entrata dovute a difficoltà linguistiche o carenze informative perché non diventino barriere nel processo di aiuto: gli Assistenti sociali intervistati affermano che difficoltà di comunicazione si risolvono con la pratica di orientare le persone straniere verso risorse “alternative” a quelle municipali per lo più del Terzo settore (ad esempio verso sportelli specifici per immigrati) anziché ricorrere alla promozione di dispositivi specifici all’interno di servizi rivolti a tutta la popolazione, come ad esempio la mediazione culturale (appunto) o la preparazione degli operatori23. 1.3 La domanda e l’offerta di prestazioni Dalle opinioni raccolte tra gli Assistenti sociali che operano a Roma, sicuramente conciliare l’universalità delle prestazioni con la sensibilità ai migranti è un problema complesso (Ponzo e Zincone, 2010), che si sta sempre più acuendo con la scarsità delle risorse senza le quali l’accesso ai servizi (e l’appartenenza) rimane garantito solo su un piano formale. Il quadro si complica laddove l’impreparazione dei servizi nel rispondere a bisogni sociali si traduca nella difficoltà di comunicazione o nella disparità di trattamento, che sono questioni che riguardano anche la dimensione culturale dell’intervento sociale. I vincoli finanziari sembrano valere in misura maggiore per i servizi pubblici, al contrario di altri attori che riescono a trovare risorse per servizi migrant-specific, accedendo magari a fondi pubblici (tipo FEI-FER) o che riescano a superare le difficoltà di progettazione in contesti meno burocratizzati. Se si vuole quindi comprendere le dinamiche di sistema locale a Roma non si può quindi non allargare lo sguardo analizzando il rapporto tra Ente locale e organismi del Terzo settore, che, in alcuni casi da decenni, operano nel campo. In realtà, come rivela anche una ricerca in Piemonte, la situazione romana sembra anche più complessa, «per l’intrecciarsi di dinamiche legate sia alla domanda, sia all’offerta. Sul lato della domanda, si riscontra il permanere di barriere all’accesso degli immigrati ai servizi dovute, per esempio, a difficoltà linguistiche o carenze informative. Inoltre, i nuovi arrivi dall’estero […] non sono scomparsi, per cui i sistemi locali di welfare continuano a dover rispondere a domande di persone provenienti da altri paesi e che, per quanto sovente inserite in filiere migratorie consolidate, possono mostrare bisogni specifici e differenti da quelli della popolazione maggiormente radicata sul territorio. Anche le dinamiche interne all’offerta non conducono necessariamente a una progressiva scomparsa delle prestazioni ad hoc per gli immigrati. […] le organizzazioni di welfare possono infatti sviluppare servizi più o meno specialistici per gli immigrati seguendo logiche proprie, strategie organizzative orientate alla sopravvivenza e all’espansione, sganciate dalla domanda. Queste dinamiche risultano particolarmente rilevanti, se si pensa che l’offerta non solo risulta parzialmente autonoma dalla domanda, ma può influenzarla in maniera significativa.»24 Meraviglia quindi che in base alla propria struttura locale del welfare mix e del 22 Il Consiglio Comunale di Roma con Delibera n. 160 del 2005 ha istituito il Registro pubblico dei Mediatori Interculturali a cui possono accedere i cittadini stranieri in possesso dei requisiti previsti dalla Delibera stessa e dalla Determinazione Dirigenziale del Dipartimento V n. 3350 del 2006. 23 Fino al 2011 la Provincia di Roma aveva i fondi per garantire la formazione e l’aggiornamento degli Assistenti sociali proprio sui temi dell’immigrazione e della diversità culturale. I processi di revisione della spesa degli Enti pubblici non solo non hanno garantito il finanziamento di suddetti corsi, ma hanno fatto sì che si chiudesse la direzione preposta alla formazione. 24 Busso, Gargiulo, Mannocchi, 2013, pag. 7. 9 livello di specializzazione dei servizi (già articolato in interventi a favore di nuclei familiari e adulti, interventi a favore degli anziani, interventi a favore delle persone diversamente abili e interventi a favore dei minori) un Municipio romano stia pensando ad un’area del Servizio sociale specifica per gli immigrati che potrà influenzare il ricorso e le modalità di accesso degli stessi al welfare pubblico universale. Probabilmente le risorse destinate agli interventi alloggiativi e quelle per protetti internazionali rappresentano la parte più cospicua dell’intervento pubblico per gli stranieri presenti a Roma. Tuttavia sono anche la spia più evidente di forme di intervento pubbliche e di welfare mix, fortemente emergenziali (e riferite quasi esclusivamente a centri di accoglienza temporanea) senza una reale linea di intervento sociale, anzi demandando ai servizi municipali una questione complessa come quella dell’assistenza allo straniero residente. Per tali motivi, è recente la lamentela dei Municipi romani rispetto alla programmazione di interventi e di servizi per esempio per richiedenti asilo effettuati dal Dipartimento capitolino senza un’azione di governance con l’organo politico-amministrativo del territorio sul quale i nuovi servizi e centri di accoglienza vengono aperti, o anche l’effettuazione improvvisa di sgomberi di baraccopoli da parte delle Forze dell’Ordine che fanno ricadere l’assistenza agli sfollati proprio sul Servizio sociale del territorio. La scarsa attenzione che sembra rilevarsi circa l’integrazione tra servizi centrali e municipali rischia di costituire un fattore di ostacolo alla concreta garanzia dei diritti di cittadinanza per tutti e alla promozione dell’integrazione dei cittadini e dei nuclei stranieri. Il taglio alla spesa pubblica può rappresentare, dal punto di vista operativo, una condizione per favorire l’outsourcing come soluzione per il contenimento dei costi piuttosto che come coerente applicazione di principi di sussidiarietà, ma, sul piano della programmazione, può rischiare di indebolire il potere decisionale dell’Ente pubblico, sempre più impossibilitato a utilizzare il finanziamento dei servizi come fonte di legittimazione e strumento di negoziazione (Busso, Gargiulo, Mannocchi 2013). Sulla base delle analisi relative all’offerta di interventi e considerando le prospettive di crescita della domanda sociale dei migranti, non si può non concludere l’approfondimento sull’assistenza sociale per i migranti a Roma senza evidenziare che la crescente selettività nella distribuzione delle risorse economiche tra i diversi soggetti pubblici e privati e non-profit, allocate attraverso il meccanismo dei bandi pubblici, non sembra essere la condizione per generare una maggiore efficienza dell’intero sistema né per garantire l’inclusione e il riconoscimento degli immigrati residenti e/o temporaneamente domiciliati (come i richiedenti asilo che accendono al sistema di accoglienza). 1.4 Può esistere una società decente a Roma ? Dalle indagini di campo svolte negli ultimi due anni sembrano esserci a Roma elementi che espongono gli immigrati ad una maggiore vulnerabilità sociale e a una condizione di rischio, che rappresenta una importante sfida di equità redistributiva per il sistema di welfare, nazionale e locale (Monaci, Cabone, Bonapace, 2010). Il tema è appunto non tanto (o non soltanto) la risposta ai bisogni sociali, quanto piuttosto riguarda la possibilità di definire le forme della convivenza e della regolazione dei rapporti sociali, ambito di azione delle politiche sociali. Dall’esperienza di ricerca sembra infatti necessario che l’intervento pubblico si faccia promotore di iniziative che diminuiscano le forme di discriminazione e di esclusione degli immigrati, che molto spesso, nella retorica della revisione della spesa, si insinuano nelle pieghe di bandi pubblici di affidamento di servizi ad organismi esterni alla Pubblica Amministrazione. La consuetudine dell’adozione delle gare di assegnazione dei servizi che privilegiano il massimo ribasso e non il criterio della proposta economicamente più vantaggiosa, non sembra infatti poter dare garanzie di qualità: gli enti gestori 10 si dovrebbero preoccupare sempre della “qualità” del servizio offerto sulla base delle indicazioni di livelli minimi di prestazioni e mansioni, numero e professionalità degli operatori, numero dei destinatari (e a volte, come nello SPRAR, anche standard definiti a livello nazionale) indicati dall’attore pubblico, come potrebbero erogare un servizio a minor prezzo dagli altri senza ammettere che qualcuno possa offrire un servizio ad un prezzo migliore del loro solo perché meglio organizzato ? definendo la gara, l’Ente locale è nelle condizioni di monitorare e indirizzare la gestione dei servizi preoccupandosi che venga garantito a tutti gli utenti il livello medio di prestazioni o la modalità di pagamento pro die pro capite non rischia di delegittimare una tensione verso l’individualizzazione e la personalizzazione dell’intervento? Utilizzando le parole di A. Di Prizio25 «l’istituzione pubblica deve essere in grado di garantire la qualità degli interventi e contrastare possibili forme di collusione con gli enti, che in alcuni casi sono in grado di influenzare le scelte dei soggetti decisori»26. La localizzazione delle politiche sociali per gli immigrati ha costituito un terreno importante su cui si possa ora verificare il passaggio dal government alla governance, che, come è noto, si caratterizza per il coinvolgimento di una pluralità di attori e di sedi decisionali nei processi di governo dei fondi pubblici. Nel caso romano tale coinvolgimento ha riguardato il Terzo settore, che se da una parte non rappresenta l’unica formula possibile di mix, ma da altra parte fa oggi emergere alcune variabili cruciali relative al grado di inclusività della partecipazione alle scelte politiche, e all’apprendimento nei processi di policy. Il grado di rappresentatività degli attori27, le condizioni di opacità dei progetti di intervento o di accoglienza28, l’assenza di ciò che Le Gales, Lascoumes (2004) hanno chiamato “il governo attraverso gli strumenti” ovvero cornici normative soft (come gli standard relativi all’accreditamento dei centri) o dispositivi che vincolano e incentivano tipi di coordinamento tra servizi analoghi, sono elementi da analizzare con attenzione perché sviluppano forme di contrattualizzazione, che devono individuare funzioni gestionali e di verifica, a cura del Servizio sociale, in ordine all’attività di programmazione, monitoraggio, controllo e valutazione dei servizi esternalizzati (Di Prinzio, 2014). Le indagini svolte e il recente approfondimento con gli Assistenti sociali romani, per quanto si tratti di ricerche limitate nel numero di persone e a carattere esplorativo-descrittivo, mostrano la necessità di una maggiore integrazione tra servizi pubblici, di carattere sociale e sanitario, ma soprattutto pubblico/privato-sociali esistenti sul territorio, a garanzia di effettivi processi di inclusione dei migranti. Come sostengono Novara e Lavanco (2005) sembra necessaria una promozione delle risorse presenti nel territorio, sia di carattere formale sia informale, sia di servizi universalistici sia ethnic-sensitive, sia di prevenzione sia di promozione e cura, e anche di rappresentanza sociale e culturale dell’immigrazione, che però non perda di vista la libertà di scelta, la responsabilizzazione, o la partecipazione dei destinatari. Proprio il tempo presente, seppur reso complesso dalla stratificazione e dal consolidamento di pratiche della governance rispetto alle politiche relative agli immigrati, sollecitato dalle profonde trasformazioni in corso in particolare rispetto all’esiguità delle risorse economiche disponibili, sembra richiedere una sorta di 25 Angelina Di Prinzio è un assistente sociale e pedagogista che lavora proprio al Dipartimento sociale di Roma Capitale. 26 Di Prinzio, 2014, pag. 52. 27 Un esempio: il delegato del Sindaco alla Commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato e un sacerdote presidente di un Ente gestore di servizi di accoglienza del Comune. 28 Un esempio: nel corso dell’indagine sui centri di accoglienza gli operatori hanno dichiarato di lavorare senza conoscere il progetto di servizio presentato dall’Ente gestore e approvato dall’Ente locale per il finanziamento. 11 trasgressione dall’esistente/precedente e una re-configurazione dei ruoli degli attori. In particolare sembra necessario un “riconoscimento” degli indispensabili legami sociali di dignità e di rispetto tra individui, che sia capace di contenere le differenze e di elaborarle anche conflittualmente. Nella parte che segue Elena Spinelli affronterà le forme di aiuto agli immigrati in relazione alla loro capacità di appartenenza; in questa parte si è voluto evidenziare come in una città come Roma non sia difficile prevedere che stia crescendo una nuova domanda di cittadinanza proprio a seguito dei ricongiungimenti e della stabilizzazione residenziale nei Municipi. E se come afferma Sayad (2002) le migrazioni assumono una funzione di specchio rivelando le contraddizioni delle società che prendono forma nelle relazioni tra autoctoni e migranti, lo straniero è presenza da cui può scaturire un cambiamento e la politica sociale è chiamata a risolvere differenze tra affermazioni di principio, norme, direttive, amministrazioni e comportamenti di fatto, senza però correre il rischio di un mancato riconoscimento dei bisogni specifici. La ricerca sociale deve ancora illuminare i percorsi di istituzioni e degli operatori sociali impiegati nel campo, e i sistemi di welfare, nella loro configurazione localizzata, andrebbero analizzati non soltanto per i loro effetti in termini di efficienza della spesa sociale, in base alle compatibilità economiche del momento presente, ma anche per i loro “effetti politici”, in base a quanto producono nella loro capacità di riconoscere le persone (Margalit, 1998). La tendenza attuale di concentrare e rafforzare gli interventi migrant specific nel Terzo settore, rischia infatti di avere come conseguenza che la centralità dei servizi sociali pubblici tendi a diminuire, e con essa il ricorso degli stranieri a tali servizi. Ecco allora che diviene rilevante il modello locale di integrazione o di complementarietà tra offerta pubblica e privato-sociale, ovvero la governance del sistema. Se infatti amministrazioni dello Stato riconoscono un ruolo chiave nell’erogare, ad esempio, servizi di accoglienza a rifugiati finanziando progetti di intervento con fondi europei ad un numero a volte esiguo di organismi non-profit, diventa chiara la deriva all’autonomia dei soggetti stessi rispetto al quadro locale di intervento. E ancora, se tutti gli organismi di Terzo settore rincorrano i bandi sull’accoglienza, maggiormente finanziati, offrendo servizi analoghi, come sarebbe possibile l’integrazione degli interventi? Senza una programmazione concertata e una governance, il sistema rischia l’inefficienza e il perdurare di aree scoperte del bisogno sociale dei migranti. Parafrasando Bourdieu (2002) quando parla del “campo”, il policy maker non opera nel vuoto, ma in un quadro sociale regolato da relazioni che connotano il «campo» delle pratiche, delle azioni e che hanno come obiettivo il controllo degli interessi di tutti. Detto in altro modo: esiste a monte un insieme di simboli, norme, determinazioni ben connessi fra di loro, strutturati, che a loro volta producono a valle altre situazioni strutturate. Gli Assistenti sociali sembrano avere un ruolo chiave nell’erogare l’assistenza ai nuclei stranieri: non è detto che l’operazione di revisione della spesa o di affidamento a soggetti esterni (ristrutturazione) riescano sempre e non possano trovare resistenze verso una maggiore garanzia di riconoscimento (Margalit, 1998) degli stranieri come portatori di bisogni sociali. 2. Senso di appartenenza: alcune riflessioni sulla relazione d’aiuto professionale29 Nel testo della call relativo alla Sessione “Trasformazione dei corsi di vita, funzioni di regolazione e cittadinanza attiva :sfida per le professioni sociali”, si legge che «chiamate da sempre a mediare 29 Parte del presente lavoro e delle tematiche sono sviluppate in vari scritti dell’autrice tra cui Spinelli, 2005. 12 tra i bisogni delle persone e le possibilità di risposta da parte dei sistemi di welfare, le professioni sociali non sono solo inscindibilmente connesse ai mutamenti e alle politiche sociali, ma sono anche direttamente coinvolte nell’organizzazione della solidarietà e nella costruzione di risposte volte ad esprimere in concreto tale solidarietà nel quadro di un concetto di cittadinanza sociale inteso non solo come status formale ma anche come pratica in grado di realizzare integrazione, partecipazione e senso di appartenenza.» E’ dal senso di appartenenza che si propongono alcune riflessioni relative agli interventi di servizio sociale nell’ambito della immigrazione. 2.1 Capacità di appartenenza Tra le 10 capacità centrali indicate da Martha C. Nussbaum necessarie perché una vita sia all’altezza della dignità umana che nel suo approccio alla giustizia sociale un buon ordinamento politico deve garantire a “tutti i cittadini” la settima capacità appunto è “l’appartenenza”: «a) poter vivere con gli altri e per gli altri, riconoscere e preoccuparsi per gli altri esseri umani; impegnarsi in varie forme di interazione sociale; essere in grado di immaginare la condizione altrui (proteggere questa capacità significa proteggere istituzione che fondano e alimentano tali forme di appartenenza e anche tutelare la libertà di parola e di associazione politica), b) disporre delle basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati: poter essere trattati come persone dignitose il cui valore eguaglia quello altrui. Questo implica tutela contro la discriminazione in base a razza, sesso, tendenza sessuale, religione, casta, etnia, origine nazionale.»30 Secondo la Nussbaum: «l’approccio delle capacità punta alla protezione di sfere di libertà talmente fondamentali che la loro rimozione renderebbe una vita non all’altezza della dignità umana […] La dignità umana, fin dall’inizio è uguale in tutti coloro che sono in grado di essere agenti (esclusi dunque coloro che versano in stato vegetativo permanente o coloro che sono anencefali, senza agency di alcun tipo). Tutti insomma meritano uguale rispetto da parte delle leggi e delle istituzioni. Quando le persone sono cittadini le rivendicazioni di tutti i cittadini sono uguali. […] La Tesi di fondo del mio approccio alla giustizia sociale è la seguente: il rispetto della dignità umana richiede che i cittadini raggiungano un alto livello di capacità in tutte e dieci le sfere specificate31 (parlando di cittadini non voglio negare agli stranieri legali e illegali tutta una serie di diritti: semplicemente parto dall’inizio)»32. Ci sembra che proprio sulla capacità di appartenenza dello straniero –immigrato legale e illegale sia opportuno riflettere in particolare per quanto attiene la protezione di questa capacità e quindi delle istituzioni che fondano e alimentano tali forme di appartenenza nel nostro paese. 2.2 Transnazionalità e Transculturalità Il fenomeno per cui singoli individui o gruppi di persone abbandonano il luogo di origine per trasferirsi altrove è sempre esistito e studi sulla sociologia e storia delle migrazioni in vari contesti geografici, anche in epoche passate (Mackeowwn, 2004), hanno rilevato come i migranti siano posti nel contesto estensivo di reti che attraversano le nazioni e le regioni, peraltro enfatizzando la centralità della famiglia nel processo decisionale, il ruolo centrale che questa ha nella strategia migratoria del singolo. Ma è negli anni Ottanta del secolo scorso che il concetto di transnazionalismo è stato formulato per la prima volta come alternativa all’approccio che negli anni 30 Nussbaum, 2013, pag. 40. Le altre sfere riguardano: 1) vita, 2) salute fisica, 3) integrità fisica, 4) sensi, immaginazione, pensiero, 5) sentimenti, 6) ragion pratica, 8) altre specie, 9) gioco, 10) controllo del proprio ambiente politico e materiale. 32 Nussbaum, 2013, ibidem 31 13 Settanta e Ottanta dominava gli studi migratori. Tale approccio contemplava due possibili concettualizzazioni del migrante: soggetto completamente assimilato alla cultura del paese ricevente o soggiornante temporaneo che sarebbe poi tornato nel paese d’origine. Mentre il fuoco degli studi migratori per lungo tempo è stato la partecipazione dei migranti nella società d’accoglienza, il transnazionalismo sposta l’attenzione sulle istituzioni, sulle pratiche sociali, sulle attività economiche e sulle identità culturali che i migranti creano essendo contemporaneamente coinvolti in due o più paesi. La necessità di una maggiore attenzione alle specificità culturali e alla diversità intraculturale oltre che tra culture di cui sono portatori gli/le immigrati/e è conseguente alla messa in discussione della impostazione “assimilazionista” basata su una richiesta di adeguamento da parte dell’immigrante a comportamenti, modelli culturali e stili di vita della società di arrivo, trascurando la fase di passaggio dalla società di origine dell’immigrato a quella di arrivo. Per non reagire nel modo più ovvio all’impatto con culture diverse proponendo come unico modello di comportamento l’assimilazione alla nostra cultura, non dimenticando che la cultura non va intesa come una identità statica sottratta alla storicità dei rapporti sociali, può aiutare il concetto di “decentramento culturale”33 elaborato nella etnopsicanalisi, che indica «la capacità di sospendere il giudizio intorno agli elementi culturali che emergono, di prendere coscienza di quali siano i nostri riferimenti e di non anteporli alla conoscenza e comprensione dell’altro, di aprire uno spazio per la narrazione e l’espressione dei riferimenti culturali altrui, di percepire quali siano le nostre contro-attitudini culturali nei confronti dei nostri interlocutori.»34 Di fondamentale aiuto può essere nelle situazioni più complesse in cui l’elemento culturale pone criticità, l’utilizzo della mediazione linguisticoculturale che permette agli operatori e agli immigrati una comprensione che va al di là del piano puramente linguistico entrando nella comprensione delle rappresentazioni culturali di cui sono portatori gli immigrati. Non va sottovalutata comunque la barriera linguistica e la difficoltà nei colloqui dovuta alla non conoscenza da parte dell’immigrato/a della lingua italiana di cui non tutti gli operatori si fanno carico, in primis prendendo atto del problema e cercando una soluzione che non sia lo strillare pensando che si tratti di sordità, o non realizzare che il silenzio di uno dei partner di una coppia in trattamento può essere dovuta alla non comprensione della lingua, o parlare senza porsi il problema del diritto alla parola dell’altro. Che cosa accade lì dove la barriera linguistica/culturale può non solo impedire la comprensione ma anche l’avvio di quel processo che dovrebbe rafforzare l’autonomia delle persone e le loro capacità di gestire la loro vita? Si amplifica nell’incontro con la persona immigrata il rischio di una distinzione fra i bisogni definiti dall’operatore e i bisogni percepiti dai diretti interessati che peraltro possono avere difficoltà di vario tipo ad esprimerli, in primis linguistica, “Accostarsi al disagio significa accostarsi a dei parlanti, istituire nell’altro la capacità di parlare. E la sua capacità è istituita dalla nostra capacità di considerarlo un interlocutore e non solo di essere un recipient. Istituire nell’altro la capacità di parlare significa istituire la sua possibilità di essere, indipendentemente dalla congruenza della nostra domanda”35 «La transnazionalità è la condizione del migrante che viene da noi ma resta legato al proprio paese e alla sua famiglia di origine, lavora e agisce sui territori di destinazione ma intrattiene relazioni sociali, economiche e politiche con la sua comunità nei contesti da cui è partito, attraverso i confini 33 Cattaneo, dal Verme, 2009. Cattaneo, dal Verme, 2009, pag. 36. 35 Pironi, 2010, pag. 103. 34 14 nazionali il lavoro che il migrante svolge è spesso destinato ad aiutare la propria famiglia lasciata indietro, contribuendo così alla crescita economica e sociale»36. Ma non si tratta di una condizione facile da vivere ed esente da sofferenze, l’emigrazione continua a rappresentare un trauma37 ed è in questo contesto che può diventare difficile esplicare la «capacità di appartenenza» di cui parla la Nussbaum e può perpetuarsi quella condizione in cui il migrante diviene il luogo controverso di una “doppia assenza”: egli è al contempo assente sia dalla società d’origine sia da quella presso cui risiede; escluso dall’ordine politico e sociale di entrambi i luoghi che ha abitato e che abita, come fosse straniero presso il mondo intero, come indicava il sociologo algerino Sayad (2002). La doppia assenza, come definisce Sayad la condizione del migrante, sembra interferire con la sua capacità di appartenenza nei due paesi quello di origine e quello di arrivo. Gli immigrati sviluppano strategie di adattamento diverse tra loro con momenti di crisi, ripresa e nuovi progetti sia rispetto alla società di origine sia rispetto alla società di arrivo. Ogni immigrato trova i suoi modi per affrontare le difficoltà, ma il bisogno di riconoscimento, e di un riconoscimento “qualificato” è uno dei bisogni che si può considerare comune a tutti gli immigrati/e. Nell’incontro con l’assistente sociale, a partire dal problema che l’interessato pone e da come lo pone, in un momento di difficoltà e di sconforto, legato spesso anche alla disoccupazione, uno spazio di condivisione del senso di “doppia assenza”, ricordandosi che ogni immigrato è anche un emigrato può facilitare la comprensione indispensabile per il processo d’aiuto. La storia dell’immigrato ha un “prima dell’Italia”, la verbalizzazione di un tempo precedente, di un arrivo, di un prima appunto è uno degli elementi fondamentali nel riconoscimento della differenza. Domande quali: «da dove viene, da quanto tempo è qui, cosa fa qui, cosa faceva lì, chi sta ancora lì, che risposta aveva a questi problemi lì…» diventano indispensabili per una capacità di ascolto anche emotiva dell’uomo straniero o della donna straniera che si ha di fronte, ma anche per il progetto di intervento. 2.3 Lavoro delle donne:colf o badanti Dopo un lungo intervento con la signora R. originaria di un paese sudamericano, in cui i problemi affrontati insieme avevano riguardato le difficoltà di inserimento del figlio preadolescente che aveva raggiunto la donna dopo una lunga separazione ma anche l’inserimento lavorativo della donna come colf in varie famiglie, la signora R. in una fase di disoccupazione fu inviata dall’assistente sociale ad una associazione di donne immigrate per aiuto. All’incontro successivo che avvenne dopo un certo tempo risultò che la signora R. aveva trovato lavoro come sarta presso una sartoria, mestiere che conosceva bene avendo lavorato in una grande sartoria nel suo paese. Alla domanda del perché non aveva mai detto che era sarta la risposta fu: «non mi ha mai chiesto cosa facevo “prima”». Ed è proprio questo “ascolto” ad essere problematico nell’incontro con l’utente immigrato, quei mondi “altri” sconosciuti con cui si ha difficoltà ad identificarsi, che ci pongono in difficoltà evidenziando «di fronte alla diversità e alle incertezze determinate dal contatto con una realtà che non riusciamo concettualmente e cognitivamente a padroneggiare siamo, quasi automaticamente, 36 Turco, 2012. Il concetto di trauma migratorio consente di spiegare gli effetti a breve e a lungo termine dello sradicamento causato dalla migrazione e dalla perdita dei riferimenti culturali, e i meccanismi difensivi che possono essere attivati per far fronte alla sofferenza. 37 15 portati a ricorrere alla tipizzazione, all’uso dello stereotipo: lo straniero è così, in primo luogo un tipo». (Simmel, 1989)38 La categoria “migranti” nasconde una consistente varietà di persone, non tanto per le differenti provenienze, ma perché ognuno costruisce i propri riferimenti di senso in modo originale, ha una sua storia prima “lì” e una sua storia “qui”.“Migranti” può essere uno stereotipo se ci scordiamo di vedere le differenze di nazionalità, di area di origine rurale o urbana, di religione, dieta, di sesso, (immigrazione femminile o maschile) di occupazione qui e nel loro Paese, di status socioeconomico nel loro Paese, di livello di istruzione, di influenza della famiglia estesa, di differenze tra la prima e la seconda generazione di immigrati. Non riconoscere le differenze è come preparare la strada al razzismo. Se quella storia fa fatica ad emergere nella prassi quotidiana della relazione con gli immigrati il punto di vista dei diretti interessati, fondamentale tanto per la valutazione professionale della situazione presa in esame quanto per il progetto d’aiuto, può essere non compreso, rifiutato dall’assistente sociale o non cercato e si porta l’interessato a rinunciare al suo potere inteso come la sua capacità di produrre gli effetti desiderati in altri. Nelle dinamiche del processo d’aiuto professionale in contesti interculturali la esistenza di un potere professionale è stata virtualmente ignorata. Il senso di impotenza nell’utente può essere rafforzato in un incontro crossculturale più velocemente e frequentemente di quello che uno si aspetta, con conseguenze sulla capacità di appartenenza indicata nel paragrafo b) ovvero disporre delle basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati: poter essere trattati come persone dignitose il cui valore eguaglia quello degli altrui. 2.4 Essere qui e/o li:quale appartenenza ? Ma non si tratta solo di un altrove di “prima”. La transnazionalità ci pone di fronte a persone le cui reti relazionali sono collocate in altri spazi geografici che possono diventare in momenti di crisi reti di sostegno a cui gli immigrati fanno riferimento ed entrare prepotentemente nella relazione. La signora S., immigrata da vari anni in Italia, aveva perso il lavoro perché in gravidanza e poi il permesso di soggiorno; malgrado l’inserimento al nido della bambina non era riuscita a trovare lavoro. La gestione della bambina aveva comunque messo in difficoltà la madre al punto di indurla a tornare nel suo paese per poter essere supportata dalla propria madre per lo svezzamento della figlia. Il momento difficile per la donna può essere affrontato andando “a casa”dove peraltro ha lasciato un figlio ora di 13 anni che vive appunto con la nonna. Il tema del regime alimentare della bambina sarà nel proseguimento del trattamento dopo il suo ritorno un tema critico in cui la signora S. di fronte alle critiche degli operatori risponde che si attiene alle abitudini alimentari del suo paese. Il decentramento culturale, e se necessario un mediatore culturale, può aiutare ad affrontare le differenze permettendo all’immigrata quella narrazione che tenendo conto della rottura dell’involucro culturale39 può trasformare uno scontro tra culture in un incontro in cui trovare una 38 Dino, 1998, pag. 23. Uno dei concetti della clinica transculturale che può essere un riferimento importante nel lavoro dei servizi: involucro culturale sottolinea l’importanza strutturante per l’organizzazione psichica, dell’appartenenza ad un 39 16 mediazione che permetta di affrontare la situazione. La consapevolezza da parte degli operatori di essere portatori di una precisa cultura istituzionale e di una cultura di servizio che si esprimono attraverso le regole di accesso, le modalità di erogazione delle prestazioni e di controllo dell’adempimento delle stesse, aiuta a cogliere quanto la valutazione delle singole situazioni sia determinata piuttosto che dalle situazioni stesse, dal grado di adeguamento al modello proposto. Sapere che non esistono erogazioni nei servizi che non siano influenzate dalla propria cultura e dalle tradizioni aiuta a confrontarsi con l’“altro’’. La signora S. aggiunge che gli operatori non sono in grado di capire il suo disagio perché lei ha un altro figlio a cui pensare nel suo paese e che si sente in colpa perché si trova qui mentre il suo primo figlio è lontano. Il sociologo Sayad nella sua riflessione sui molteplici aspetti del fenomeno migratorio nella sua doppia componente di emigrazione e immigrazione dice: «L’emigrazione, per non essere pura assenza, richiede un’ubiquità impossibile, un modo di essere che influenza le modalità dell’assenza da essa causate (nello stesso modo in cui essa influenza le modalità della presenza con cui l’immigrazione si materializza): continuare ad essere presenti a dispetto dell’assenza, a essere presente anche se assente e anche là dove si è assenti- che è la stessa cosa dell’essere parzialmente assente là dove si è assenti-, è la sorte e il paradosso dell’emigrato.»40 La complessità di questa situazione presenta un intreccio di problemi in cui il passaggio da una condizione di lavoro con permesso di soggiorno per lavoro della donna ad una di irregolarità e quindi di perdita di diritto alle risorse sociali obbliga alla ricerca di soluzioni (art. 31 del Testo unico sull’immigrazione che riguarda il diritto all’unità familiare e tutela dei minori)41,, per poter continuare l’intervento in un contesto legislativo che nega diritti agli immigrati irregolari anche se dovuto al licenziamento in gravidanza che è ancora proibito dalla legge in Italia.42 In un contesto legislativo per l’immigrazione quale quello attuale italiano in cui è proprio l’appartenenza a coloro che hanno diritti che viene messa in discussione sulla base del loro status legale, nell’intervento di advocacy perché si possano usare le risorse sociali ancora disponibili può universo culturale che costituisce una sorta di contenitore in relazione al quale si sperimenta la coerenza tra mondo interno ed esterno, nella condivisione dell’attribuzione di senso, ad eventi, vissuti, modalità implicite di comunicazione, valori, comportamenti. 40 Sayad, 2002, pag. 45. 41 Il Tribunale per i Minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza. 42 I passaggi da regolarità a irregolarità e viceversa possono avvenire in qualsiasi momento della storia migratoria. Differentemente dal caso in cui a cadere al di sotto della soglia minima di reddito siano cittadini italiani - situazione che garantisce il diritto ad interventi di natura assistenziale - ove a trovarsi in difficoltà è il lavoratore straniero in fase di soggiorno precario, lo Stato è legittimato a imporre il rimpatrio, non essendo tenuto a sobbarcarsi l’onere del mantenimento di una persona non appartenente alla comunità, non cittadino, che non può auto-mantenersi. Ciò succede anche se risiede regolarmente in Italia da anni: diventa un irregolare, divento un clandestino, secondo la Legge n. 59 del 2009 il cosiddetto «Pacchetto sicurezza», ed essere senza il permesso di soggiorno costituiva un reato penale, abrogato nel gennaio 2013. 17 essere difficile non dimenticare che resta fondamentale che l’utente debba fare il minimo possibile di compromesso e che non venga manipolato (Sosin, Caulum, 1983), prendendo atto e non colludendo con il contesto di ingiustizie che deve subire. Quali spazi di intervento di politica sociale è possibile trovare?Per quanto riguarda i diritti sociali e l’accesso ai servizi, diventa importante non solo intervenire perché circolino le informazioni sulle risorse, ma anche produrre e diffondere conoscenze sulle criticità dell’accesso utilizzando il criterio di ragionevolezza o irragionevolezza della «stratificazione civica», una classificazione dei migranti in differenti posizioni attraverso un processo di inclusione ed esclusione, a partire dal loro status legale (regolare con permesso di soggiorno; con carta di soggiorno; irregolare; richiedente asilo; rifugiato; con protezione umanitaria) per una eventuale prassi di contrasto ad un sistema di ingiustizia sociale. È nel quotidiano lavoro con gli immigrati che molti colloqui nei servizi sociali e sociosanitari iniziano con domande relative al permesso di soggiorno, se l’immigrato ne è in possesso, di quale permesso si tratta, quando scade, piuttosto che dall’ascolto della domanda di aiuto di cui l’immigrato/a è portatore. «Se è lo status di immigrato a determinare a quali benefici si ha diritto, le istituzioni preposte alla loro fornitura possono legittimamente svolgere indagini e quindi esercitare una sorveglianza»43 gli operatori sociali possono trovarsi ad esplicare questa funzione di controllo nella fornitura delle prestazioni di welfare. I diritti non sono evidenti e assoluti, perché associati al controllo delle prestazioni, e gli immigrati sono “immeritevoli” per la sola “colpa” di non essere in regola con il permesso di soggiorno, o comunque di non avere quello “giusto” per la prestazione prevista in risposta al suo bisogno. 2.5 Appartenenza o nuova partenza? In un complesso intervento professionale di una assistente sociale44 che permette di rivedere il piano iniziale di una collega di dare in affidamento il bambino e di organizzare una possibilità per la madre immigrata di riprendere con sé il figlio che peraltro è sano e sta bene, è stato anche attuato un intervento di empowerment nei confronti della signora e cioè attivato quel processo che comporta una transizione da uno stato di impotenza ad uno di relativo controllo della propria vita, destino e ambiente. La signora sembra riconoscere una funzione positiva avuta dall’assistente sociale nel suo processo di riformulazione del progetto migratorio che comprende però un altro viaggio della speranza. Dopo pochi giorni T. viene al Consultorio, dice di aver capito che l’ intervento è stato di grande aiuto per lei e il figlio, ringrazia per il programma di sostegno proposto, ma aggiunge che con il marito ha deciso di trasferirsi con il figlio prima in Inghilterra e poi in Canada, dove sta il marito. Non vuole più rischiare di vedersi portare via il figlio, consapevole della sua condizione di precarietà con il suo lavoro di badante. Cosi commenta l’assistente sociale del consultorio il caso: «Il programma termina qui, nel confronto con i servizi coinvolti per l'eventuale sostegno a T. ricevo una critica da parte delle colleghe sul mio operato: «ti sei fatta gestire […] del resto la cultura conta ed è obiettivamente difficile lavorare con persone provenienti da altri paesi». Gli ostacoli iniziali che impedivano una buona comunicazione con T., non erano riferibili a “diversità culturali”, T. temeva un rapporto con i servizi sociali, vissuti come punitivi e giudicanti. Solo un atteggiamento 43 44 Sosin, Caulum, 1983, pag. 30. Spinelli, 2005, pag.128 18 di ascolto attento e interessato alla sua storia e alla sua vita ha aiutato a comprendere i suoi punti di forza e stimolare l'attivazione delle sue risorse personali. Si è cercato di stabilire una relazione di fiducia valutando e condividendo poi il suo progetto e mi sono posta come “risorsa e sostegno”, anche se il caso è partito da una richiesta del Tribunale dei Minori. La vera differenza da affrontare è stata la differenza di culture professionali. È importante prendere atto delle diverse culture professionali nei confronti della popolazione immigrata a partire dal fatto che come veniva affermato in un interessante dibattito sul lavoro sociale: «Gli operatori sono anche soggetti parlanti a nome dell’immaginario sociale collettivo. Nonostante le buone intenzioni restano all’interno di una società che esercita una pressione su di loro. Il loro lavoro è fatto di quotidianità quindi di stereotipi, di routine, di significati collettivi.» 45 L’intervento sociale con gli immigrati può essere influenzato in vari modi e può diventare difficile proseguire quel lavoro di inclusione messo in atto in alcune realtà territoriali, con prassi attive di implementazione dei diritti facilitante della capacità di appartenenza. 2.6 Discriminazione e Welfare: discriminazione istituzionale Se guardiamo alle politiche sull’immigrazione in Italia vediamo che il sistema legale è discriminatorio nei confronti di “non italiani” in quanto li esclude o ne limita il godimento di alcuni fondamentali diritti civili, come il diritto al voto, il diritto di libera circolazione, le libertà professionali, il diritto di accesso agli uffici pubblici. Sottopone gli immigrati a leggi speciali come ad esempio il permesso di soggiorno, ora a punti, il permesso di lavoro con i suoi tempi, le limitazioni relative al ricongiungimento familiare, e ne limita la possibilità di godere di misure relative ai diritti sociali, quindi alle risorse del welfare. Gli immigrati subiscono discriminazione per alloggi, per il lavoro, per la salute, per l’accesso e la fruibilità dei servizi sociali. Le possibilità di usare le loro capacità sono limitate. Le preclusioni verso gli immigrati e persone di origine straniera sono presenti, «nonostante esse siano ormai parte integrante di molte famiglie italiane e contribuiscano fino ad essere quasi indispensabile allo sviluppo economico e demografico del paese».46 I maggiori ostacoli che devono affrontare gli stranieri sono per lo più connessi alle varie forme di discriminazione e/o di razzismo interferendo in modo esplicito con quella capacità di appartenenza garante della dignità umana e quindi della giustizia sociale. Malgrado sulla base delle leggi in vigore gli immigrati regolari siano equiparati ai cittadini italiani e gli irregolari mantengano alcuni diritti tra cui quello alla assistenza sanitaria, il tema dei diritti sociali resta molto problematico e la riduzione per gli immigrati di quelli che vengono percepiti dagli autoctoni come “privilegi” nell’ambito delle politiche sociali sono stati e sono spesso connessi ai movimenti xenofobi anti-immigrati. Un processo di inclusione degli immigrati non è necessariamente vissuto dagli autoctoni positivamente in quanto come è stato detto, non è facilmente accettabile da parte dei locali, che possono sentirsi detentori di un privilegio esclusivo in quanto legato alla nazionalità (Macioti, Pugliese, 2003). La solidarietà sociale, garantita dai diversi Welfare State,47 è stata costituita in diverse nazioni europee come solidarietà nazionale, e quindi la nazionalità è diventata l’elemento di riferimento che segna la distinzione tra cittadini di diritto e 45 Olivetti Manoukian, D’Angella, Floris, 2003, pag. 12. UNAR, Centro Studi e Ricerche IDOS, pag. 26. 47 Secondo Castel, «la responsabilità dello Stato non dipende dai meriti di individui particolari ma dalla loro appartenenza alla nazione, facendo di tutti i suoi membri degli aventi diritto», in Castel, Duvouix, 2013, pag. 76. 46 19 stranieri, escludendo questi ultimi dai diritti di cittadinanza in quanto non cittadini dello Stato in cui risiedono. In questo contesto, in anni recenti, il riferimento ai diritti umani e la promessa di universalismo, in presenza di un’aumentata diversità di culture e convinzioni propria della globalizzazione, sono stati usati come base per rivendicazione di diritti particolaristici in relazione ai diritti dei migranti. In una società più attenta alla sicurezza ché alla solidarietà, in cui le risorse economiche e sociali sono sempre più limitate e i servizi si sentono sotto assedio, sta diventando più difficile sostenere la legittimità dei diritti degli immigrati e il loro riconoscimento. L’uso demagogico della xenofobia, la paura dello straniero, ha avuto una funzione anti-immigrati legittimando atteggiamenti razzisti. È in questa difficile situazione che si intravede per gli operatori la necessità di un continuo interrogare le pratiche rendendosi consapevoli del senso che queste possono avere. Saper riconoscere e confrontare la discriminazione e/o il razzismo nelle sue varie forme diventa un compito centrale nell’analisi degli interventi e richiede una attenzione a questa tematica. La conoscenza della complessità dell’aiuto nel rispetto delle differenze passa attraverso una decostruzione del razzismo e una consapevolezza antirazzista. Il primo passo è di riconoscere le differenze e di identificare le similarità tenendo in mente il pericolo che le differenze vengano generalizzate in stereotipi. Gli stereotipi diventano generalizzazioni e prima che ce ne rendiamo conto siamo parte attiva di produzione di razzismi. 2.7 Discriminazione istituzionale o scommessa sulla possibilità di cambiare Affinché nella situazione attuale l’intervento professionale non si trasformi in “discriminazione istituzionale”48 cioè quella forma di esclusione dai diritti di cui gli operatori non si sentono responsabili in quanto “non dipende da loro” ma dalle norme o dalla burocrazia sembra indispensabile «riflettere su quelle norme, che vengono emanate per mettere in atto una vera e propria discriminazione che, presentata come operazione necessaria e transitoria (classe ponte, permesso di soggiorno a punti...) in attesa di una futura integrazione, segna in modo indelebile il presente e il futuro delle persone producendo di fatto esclusione e marginalità»49. Vari sono gli esempi: rifiutare l’iscrizione al SSN di immigrati regolari perché non hanno la residenza nel territorio della ASL dove di fatto vivono, non tenendo in considerazione che è un loro diritto e quindi va implementato come è stato poi fatto grazie a quesiti posti da operatori di ASL di Roma agli uffici competenti regionali che hanno indicato il domicilio in alternativa alla residenza; o rifiutare di far fare la richiesta del sussidio previsto per la maternità a immigrate che hanno il permesso di soggiorno di 6 mesi parchè il sussidio arriva quando il permesso di soggiorno è scaduto, prassi contestata da alcune assistenti sociali sulla base del diritto che non poteva essere perso per la inefficienza della burocrazia su cui invece intervenire. Sembra importante per gli operatori darsi tempo per la riflessione sulle scelte amministrative e organizzative la cui applicazione è discriminatoria sapendo che possono essere rivisitate non avvallando passivamente prassi non più personalizzate di uso delle risorse. 48 Con il termine discriminazione istituzionale si intende l’effetto discriminatorio prodotto da procedure amministrative la cui applicazione comporta l’accentuarsi di condizioni di evidente disuguaglianza sociale per alcune categorie di cittadini, in genere appartenenti a gruppi deboli. La discriminazione istituzionale ha due specifiche caratteristiche:la presenza di procedure burocratiche e amministrative che producono ineguaglianze e l’assenza degli individui che la praticano. 49 Jabbar, 2011, pag. 38. 20 Un esempio è la scelta dell’affidamento familiare invece dell’istituto per figli di donne immigrate che lavorano a pieno tempo o ancora le case-famiglia per madri con figli in cui si è passati da una organizzazione che permetteva alle madri di cucinare, ad una con i pasti precotti forniti da una qualche cooperativa. Non poter cucinare può avere un valore affettivo e simbolico per le madri immigrate tale da rifiutare la risorsa offerta come è successo più volte. Si tratta di riconoscere agli utenti immigrati quel potere di influenzare le scelte organizzative adeguando le prestazioni ai loro bisogni, avviando un processo riorganizzativo che non necessariamente rappresenta un costo maggiore. Si evidenzia la natura relazionale costruita e quindi negoziata dei bisogni di intervento sociale Nella tradizionale organizzazione dei servizi sociali il bisogno viene trattato come un “fatto” come il dato emergente da una rappresentazione oggettiva della realtà. Di esso si nega la natura relazionale come se fosse possibile definirlo in modo indipendente dal sistema delle risposte. Molte difficoltà dei servizi discenderebbero dall’idea che i bisogni siano un dato preesistente al loro trattamento politico-amministrativo, e che sia possibile rappresentare separatamente i bisogni da un lato e il sistema delle risorse dall’altro (Tosi, 1982). Proteggere le istituzioni che fondano e alimentano le forme di appartenenza di cui parla la Nussbaum (2013) rientra negli interventi di advocacy che gli operatori possono, e forse devono, fare nella loro pratica quotidiana. Un esempio è stato l’organizzazione del “non segnaliamo day” da parte di operatori di varie professioni che si sono opposti con successo alla introduzione nel pacchetto sicurezza della segnalazione degli “irregolari” che si rivolgevano alle strutture sanitarie per cure. L’intervento sociale non può non avere un peso politico se si interviene per l’inclusione di fasce della popolazione escluse o marginali (Olivetti Manoukian, et altri, 2003), significa far parte di un progetto politico di una società di cui solo se si è attori parlanti si garantirà la partecipazione degli utenti, nel caso specifico gli immigrati, nei progetti che li riguardano. Per concludere riprendiamo una immagine della differenza usata in un lontano gruppo di supervisione (1993) sul lavoro di Assistenti sociali con immigrati rappresentata dalla figura di un triangolo: 1) lato dell’identità collettiva-insieme dei riferimenti culturali su cui si basa il sentimento di appartenenza; 2) lato dell’individuo moderno-individuo titolare e partecipe dei diritti; 3) lato della soggettività che riguarda i conflitti e le scelte personali. La configurazione ideale del triangolo implica la integrazione delle esigenze delle persone singole, con i diritti di cittadinanza dell’individualismo moderno che non comportano la rinuncia all’identità di appartenenza: a tale elaborazione può contribuire anche l’intervento che l’assistente sociale riesce a fare, perché le illusioni dell’emigrato/a non si trasformino in sofferenze dell’immigrato/a. Riferimenti bibliografici Bourdieu P., 2002, Il mondo sociale mi riesce sopportabile perché posso arrabbiarmi, Roma, Nottetempo srl. 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