IL METODO – Angela Besana
CAPITOLO 2 – L’ANALISI CLUSTER
L’analisi cluster è importata nell’economia e nel marketing dalle scienze
naturali, dalla biologia dove ha consentito e consente di evidenziare genotipi,
sottospecie di popolazioni animali e vegetali, caratteristiche dominanti e
‘separanti’. In economia è utilizzata prevalentemente per segmentare un
campione, un pubblico, i gruppi strategici rilevanti all’interno di un settore.
Permette cioè di fotografare una popolazione o campione suddividendolo per
caratteristiche rilevanti, così che determinate caratteristiche in evidenza in un
determinato anno o periodo di tempo consentano di registrare tendenze
strutturali o di performance, con l’opportunità di indirizzare strategie e
politiche.
L’economista applicato (o di economia industriale) adotta la cluster per
rafforzare le proprie tesi sugli assetti competitivi (per quote di fatturato e analisi
di performance economiche) in un settore (Delgado, Porter, Stern, 2010, in un
accezione da analisi competitiva più che di metodo; Hairs, Black, Babin and
Anderson 2009; Becattini, Bellandi and De Propis 2009; Ketchen, Shook, 1996).
Punj G. e Stewart D. (1983). Cluster analysis in marketing research: review and
suggestions for application. Journal of Marketing Research, 10: 134-148, è la
fonte storicizzata nell’ambito del marketing. R.P. Bangozzi cura,
successivamente, la pubblicazione nel 1994 con Blackwell di Advanced methods
in marketing research, con ampio capitolo sulla cluster analysis di Arabie e
Hubert.
Una delle più recenti evidenze della cluster è nell’economia e nelle scienze
applicate del turismo.
L’analisi cluster si applica nel turismo per individuare segmenti tendenziali ed
emergenti di turisti (Fodness, 1990; Fodness, Milner, 1992; Loker, Perdue, 1992;
Roehl, Fessenmaier, 1992; Yavas, 1992; Lang et al., 1993; Lieux et al., 1994; Mo
et al., 1994; Cha et al., 1995; Cho, 1998; Prentice et al., 1998; Jang et al., 2002;
Dolnicar, 2004, Segarra-On et al., 2013). Spesso si tratta di analisi k-medie volte
a individuare nei centri finali dei cluster (a differenza di quelli iniziali) le
caratteristiche medie e tendenziali di chi è turista, dal business al leisure.
Finanche, il turista rurale (Pesonen, 2012). Talora, queste analisi non
riguardano solo i turisti ma anche le imprese turistiche e i residenti delle
destinazioni turistiche, per la natura dell’impatto del turismo e degli eventi
turistici (Madrigal, 1995; Friedline, Faulkner, 2000; Zhou, App, 2009; Zhou,
2010, Chen, 2010).
In questo libro, la cluster viene utilizzata sia per analisi microeconomica di
campioni di musei (Caso aziendale 2.2), fondazioni erogative (Caso aziendale
5.2), imprese culturali e creative sia per analisi macroeconomica di gruppi di
paesi che si possono aggregare (e separare da altri cluster) per spese pubblica e
privata in cultura, spesa turistica internazionale, import, export e tassi di
crescita (o decrescita) del PIL (Prodotto interno lordo), specificamente, nel
paragrafo 9.2.
Non si intende qui approfondire la tecnica quanto suggerire le opportunità che
essa offre per chi intende studiare serie sezionali ma anche temporali per gruppi
(cluster) omogenei.
CAPITOLO 4 – ANALISI COMPETITIVA E DI FATTIBILITA’
Nel capitolo 4 si intende integrare un’analisi microeconomica di dettaglio delle
strategie di imprese nonprofit, imprese ausiliarie, manifestazione del Private
Welfare State e soggetti di governo del territorio che costituiscono il c.d. piede
invisibile. In particolare, nel paragrafo 4.3, si adotta un approccio tipico di
analisi competitiva, strategica e di economia territoriale, per il quale si possono
evidenziare e calcolare aree di affari core, collaterali, complementari e di rete e,
di conseguenza, tutti i possibili risultati netti (ricavi-costi o benefici-costi).
Questo tipo di analisi è oggi la base e la premessa di analisi di fattibilità e
business planning, prima che si avvii una start-up o un progetto profit o
nonprofit.
L’analisi prende l’avvio dal focus su cosa e quanto generi l’iniziativa nonprofit.
La chiarezza nel definire quale siano l’oggetto e la causa nonprofit permette di
mappare tutti i possibili stakeholders, a monte ed a valle, di offerta e di
domanda, per poi concentrarsi su quali attività correlate siano nel profit, nel
pubblico, nella rete e finanche nelle esternalità positive (al netto di negative) per
tutti i possibili valori presenti e attualizzati.
Cross-buying, cross-selling e rete ben interpretano questo effetto ‘sismico’, dal
cuore dell’oggetto nonprofit a tutte le possibili trasformazioni, a tutti i possibili
impatti e indotti. Così negli studi di fattibilità si mappano risorse, attività
imprenditoriali, popolazioni, consumatori e segmenti, così da verificare attività
all’avvio o al termine del loro ciclo di vita. Le nuove iniziative (start-up e
progetti) si valutano in ragione di queste risorse, prima di tutto, locali, per poi
passare a livelli nazionali e internazionali se le iniziative hanno la possibilità di
generare questi impatti.
Dal rilievo microeconomico si può, dunque, giungere ad un rilievo
macroeconomico. Si può, infatti, passare da un’analisi delle spese privata e
pubblica locale ad una analisi della spesa nazionale e internazionale. Questo
livello si approfondirà nel capitolo 9.
CAPITOLO 5 – ANALISI MARGINALISTICA E TEORIA DEI GIOCHI
Il criterio marginalistico è il cuore dell’analisi delle strutture competitive, dalla
concorrenza perfetta al monopolio. L’analisi marginalistica consente di
calcolare il volume ottimo di produzione per il quale il costo marginale è
esattamente coperto dal ricavo marginale. A sinistra di questa ipotesi, profitti
marginali inducono l’imprenditore a continuare la produzione. Qualora
l’imprenditore si spinga oltre, a destra dell’uguaglianza marginalistica, perdite
marginali rivelano l’irrazionalità della scelta produttiva, oltre MC=MR (MC,
costo marginale; MR, ricavo marginale).
Il criterio marginalistico non basta. Consente di individuare il volume ottimo di
produzione, per il quale l’analisi della domanda e del ricavo medio di mercato
deve essere accompagnata al calcolo dei costi medi (di breve o lungo periodo).
Il senso del capitolo sta nel metodo marginalistico con il correttivo che l’impresa
nonprofit possa essere ‘in equilibrio’ là dove il costo medio sia coperto dal ricavo
medio, condizione oltre il criterio marginalistico, qualsiasi sia la struttura
competitiva, perfettamente o imperfettamente concorrenziale. Così, l’impresa
nonprofit si rivelerebbe soluzione allocativamente superiore al profit,
producendo di più ad un prezzo inferiore.
Questa analisi può semplificare la realtà degli scambi e delle relazioni, così come
il gioco statico alla Nash in cui la defezione prevale sulla cooperazione.
Nel gioco sono essenziali giocatori, strategie e pay-offs. Dall’evidenza di una
strategia dominante per entrambi i giocatori, qualsiasi sia il payoffs di altra
3
strategia, l’equilibrio di Nash sta nell’incrocio dei payoffs relativi alle strategie
dominanti.
L’equilibrio altruistico trova affermazione nell’ampia letteratura economica
(Delbono, Zamagni, 1999) fintanto che si possano condizionare le soluzioni, cioè
i payoffs per addendi algebrici che diminuiscono (per punizioni) o aumentano
(per premi reputazionali al Buon Samaritano) o risultano variabili per pesi e
ponderazioni.
L’approccio della teoria dei giochi adottata risulta statico e puntuale, cioè
riferibile alla scelta strategica in un preciso momento. Giochi dinamici
potrebbero suggerire riflessioni per ‘strateghi’ del marketing e del fundraising,
onde fidelizzare consumatori e donatori graze a pre-commitments efficaci e
credibili.
CAPITOLO 9 – ANALISI MACROECONOMICA
L’approccio dell’analisi macroeconomica più recente mette in discussione
l’utilità del PIL come misuratore della crescita. La crisi recente ha messo in
discussione la crescita e gli strumenti tradizionalmente adottati per misurarla.
Secondo Stiglitz (2011, Rethinking macroeconomics…) i modelli macroeconomici
sono condizionati da fattori esogeni che si possono difficilmente ‘endogenizzare’.
Peraltro, alcuni approcci di microeconomia, come l’economia comportamentale,
dovrebbero essere applicati anche alle ‘scelte macroeconomiche’ per valutarne
modalità e risultati prevedibili.
Intanto che i macroeconomisti perfezionano, il PIL rimane l’indicatore
fondamentale per misurare il ruolo del nonprofit nella crescita europea, sia
nell’analisi della spesa per consumi, sia nell’analisi della spesa culturale,
turistica e, quindi, complessiva (appunto, del PIL) secondo approcci recenti
come la tourism-led-growth.
Le analisi vengono compiute tenendo conto di valori reali per quanto l’inflazione
sia in anni di crisi, del tutto scomparsa, per dare spazio alla deflazione. Le analisi
riguardano database che, raramente, includono il peso del nonprofit
nell’economia.
Si è riscontrato come le statistiche internazionali non misurano il nonprofit se
non eccezionalmente: o lo includono nell’attore famiglie di un sistema economico
o lo considerano per aggregati rilevanti come le fondazioni erogative o le
categorie censuarie disponibili settorialmente, dalla cultura alla protezione
ambientale, dall’assistenza sociale alla ricerca scientifica. ISTAT fornisce
interessanti analisi per l’Italia, Guidestar per gli Stati Uniti, Foundation Center
per classifiche di respiro internazionale.
Mancherebbe un’autorità del nonprofit che si occupi di statistiche mondiali e di
confronti tendenziali e verificabili a livello mondiale. Per quanto, sulla
filantropia e sul dono, non mancano studi e indagini recenti, di certo respiro
internazionale. Ad esempio, il World Giving Index 2016 include dati su 140
paesi, circa il 96% della popolazione mondiale. 148.000 persone (certo, il
campione è poi assai ristretto!) hanno risposto ad un’intervista su donazioni a
charity, volontariato e altruismo nei confronti di ‘stranger, or someone you
didn’t know who needed help’. I dati classificano il Myanmar al primo posto del
ranking mondiale, seguito da Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Sri Lanka,
Canada, Indonesia… Italia all’82esimo posto e Cina al 140esimo. E’ interessante
come culture occidentali e orientali siano entrambe propense all’economia
altruistica. Sarebbe interessante confrontare le radici culturali, più che strategie
e payoffs, di queste scelte.
CAPITOLO 10 – LA SCATOLA DI EDGEWORTH
Le tabelle del capitolo 10 traggono spunto dalla possibilità di misurare doppie
ascisse parallele e doppie ordinate parallele, entrambe orientate da sinistra verso
destra (ascisse), dal basso verso l’alto (ordinate), onde evidenziare le
combinazioni rilevanti negli angoli da sud-ovest a nord-est.
In economia due piani ortogonali opposti si studiano nella scatola di Edgeworth
(1881; Pareto, 1906; Humphrey, 2016) che rimane ispirazione delle matrici qui
presentate. Nella scatola di Edgeworth si possono argomentare le scelte ottime
di almeno due consumatori e studiarne le variazioni sia in termini di effetto
reddito sia di effetto sostituzione, variando tasso marginale di sostituzione e
prezzo relativo.
Non si escludono soluzioni intermedie tra i poli nella Tabelle 10.1, 10.2, 10.3 e
10.4. Ad esempio, nel settore della certificazione dei processi di qualità (che siano
standard museali o della filiera alimentare da commercio equo e solidale) non
mancano brand di prodotto. Ad essi, talora, si associano brand di distribuzione:
anche il distributore certifica la sua qualità nella fornitura, nell’ingrosso e nel
5
dettaglio. Quanto siano segnaletici gli uni o gli altri brand, è il consumatore a
selezionare. Talora, il valore segnaletico è ricercato nel prodotto più che nella
distribuzione. Talora le regole nazionali divergono, tra Stato nel quale avviene
la produzione e Stato nel quale avviene la distribuzione.
Esiste, quindi la possibilità che comunicare per competere o coopetere implichi
una segnalazione basata su politiche e standard diversi che incidono su ibridi
intermedi tra la nonprofit di ieri e la nonprofit di oggi.
I poli e l’asimmetria perfetta possono non essere realistici.