SOMMARIO
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Gli accordi amministrativi
Veronica Varone
1. Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni.... 266
1.1.Premessa................................................................... 266
1.2.L’origine.................................................................... 268
1.4.Disciplina.................................................................. 276
1.5.Le manifestazioni empiriche della contrattualizzazione del
potere...................................................................... 285
2. Gli accordi tra le pubbliche amministrazioni.............................. 292
2.1.Gli accordi tra le pubbliche amministrazioni ........................ 292
2.2.Gli accordi tra pubbliche amministrazioni nell’ambito del Tuel... 299
3. La tutela giurisdizionale...................................................... 305
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7. Gli accordi amministrativi
1. Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni  art. 11, Legge n. 241/1990
1.1. Premessa
Gli accordi amministrativi introdotti dalla Legge 7.8.90, n. 241 rappresentano
l’istituzionalizzazione legislativa del modello della consensualità in luogo
dell’autoritatività.
La Legge n. 241/1990 ha infatti provveduto a codificare in due disposizioni
la disciplina generale degli accordi amministrativi: l’art. 11 della Legge
n. 241/1990, dedicato agli accordi conclusi tra i privati e la pubblica amministrazione, e l’art. 15, Legge n. 241/1990, che riguarda invece gli accordi conclusi tra pubbliche amministrazioni per lo svolgimento di attività di interesse
comune.
Si tratta di due istituti accomunati dalla ricerca del consenso da parte del soggetto pubblico procedente, sebbene l’uno sia tipicamente espressione della
partecipazione del privato al procedimento e quindi costituisca istituto di
azione amministrativa paritetica e partecipata - gli accordi di cui all’art. 11 - e
l’altro invece - gli accordi tra pubbliche amministrazioni di cui all’art. 15 - sia
strettamente funzionale alla semplificazione dell’azione amministrativa.
Occorre cominciare la disamina dell’istituto degli accordi partendo dall’art. 11
e, quindi, dagli accordi tra privati e p.a. (par. 1), per poi dedicarci in un secondo
momento agli accordi tra pubblici poteri di cui art. 15 (par. 2).
Il nostro ordinamento conosce due tipi di accordi tra privati e pubblica amministrazione, ambedue disciplinati dall’art. 11: gli “accordi integrativi” e gli
“accordi sostitutivi” del provvedimento. I primi sono funzionali alla definizione di alcuni elementi che confluiranno nel provvedimento finale; i secondi,
invece, rappresentano un modo di conclusione del procedimento alternativo
al provvedimento.
Gli accordi, integrativi o sostitutivi, trovano ragion d’essere nel procedimento
amministrativo e, quindi, nell’esercizio del potere amministrativo, e a questo
restano immancabilmente legati.
Infatti, anche se il potere amministrativo si concretizza in atti bilaterali (procedimentali o addirittura sostitutivi del provvedimento), con fusione tra potere
amministrativo e autonomia privata in un atto consensuale (l’accordo in senso
stretto), tuttavia l’amministrazione, nella conclusione di tali accordi, diversamente dalla parte privata, non esercita alcuna autonomia privata, bensì un
potere unilaterale non privatistico.
Gli accordi integrativi Segnatamente, gli accordi integrativi sono quelli conclusi dall’amministrazione “con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale”. In questa prima fattispecie un
provvedimento vi è ed il suo contenuto, lungi dall’essere determinato in via
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unilaterale dall’amministrazione, è adottato all’esito dell’interazione tra il soggetto pubblico e il soggetto privato.
In assenza di una specifica denominazione legislativa, la dottrina vi aveva
attribuito le denominazioni più varie: accordi preliminari, endoprocedimentali, procedimentali e anche, appunto, “integrativi”.
Oggi il nomen “integrativi” è stato “ufficializzato” nell’art. 11 per effetto della
modifica alla rubrica intervenuta con la Legge 11.2.05, n. 15.
L’accordo integrativo è pertanto volto a determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale, senza ad esso sostituirsi e senza realizzare ex
se l’assetto di interessi.
Esso si inserisce nella fase preparatoria del procedimento amministrativo, fungendo da presupposto per l’atto conclusivo, dal quale soltanto dipendono gli
effetti giuridici tipici del provvedimento amministrativo. Infatti, nell’accordo
integrativo sul piano formale accordo e provvedimento restano separati, l’uno
bilaterale (l’accordo) e l’altro, unilaterale, di esclusiva competenza dell’amministrazione (il provvedimento).
Per questa ragione il privato non diventa attore al pari della pubblica amministrazione procedente e l’effetto giuridico continua a scaturire dal provvedimento e non già dall’accordo.
Con l’accordo in questione il privato concorda con l’amministrazione alcune
clausole del provvedimento finale, rinunciando ad un eventuale e successivo
contenzioso in merito alle stesse; al tempo stesso anche l’amministrazione si
impegna a far fede agli accordi nella stesura dell’atto finale, pena la corresponsione di un indennizzo al privato (in tal senso, Tar Sicilia, Catania, sez. I,
21.11.06, n. 2319, in Foro amm. TAR, 2006, 11, 3670).
Gli accordi sostitutivi Negli accordi sostitutivi, invece, il provvedimento
amministrativo viene a mancare, poiché quest’ultimo risulta integralmente
assorbito, e quindi sostituito, dall’accordo.
Prima della Legge 11.2.05, n. 15 gli accordi sostitutivi possedevano un ambito
applicativo molto più limitato rispetto a quelli integrativi, dal momento che
erano ammissibili “nei soli casi previsti dalla legge”. Il significato di tale limitazione era evitare che l’amministrazione potesse, in via generale, rimpiazzare
il provvedimento amministrativo, per definizione e tradizione unilaterale e
imperativo, con un accordo, invero bilaterale e negoziato.
Con la Legge n. 15/2005, di riforma alla legge sul procedimento amministrativo, la tassatività degli accordi sostitutivi (limitati ai soli casi previsti dalla
legge) è venuta meno ed essi sono oggi, al pari degli accordi amministrativi, ammessi ogniqualvolta l’amministrazione vanti un potere discrezionale
rispetto ad un procedimento già avviato.
L’accordo sostitutivo è capace di incidere sulle situazioni giuridiche della parte
privata, negli stessi termini in cui avrebbe inciso il provvedimento sostituito, e
cioè costituendo, estinguendo e modificando situazioni giuridiche soggettive.
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Portata dell’art. 11 La tendenza più recente si orienta nel senso di ricondurre
nell’ambito dell’art. 11 la gran parte delle tipologie consensuali presenti nel nostro
ordinamento in quanto “norma generale sugli accordi amministrativi” [Massera, 560;
Greco, 159; Pioggia, 622; Trimarchi Banfi, 237]. Secondo questo orientamento, l’accordo
amministrativo disciplinato dall’art. 11 costituisce la tipizzazione di una fattispecie contrattuale di diritto pubblico, che si pone in alternativa sia al provvedimento che ai contratti di diritto privato.
In senso critico si pone altra parte della dottrina, che ritiene che l’eccessiva enfasi
attribuita alla disciplina degli accordi amministrativi cristallizzata nell’art. 11 finisca con
il renderlo un “contenitore” vuoto privo di una connotazione giuridica pregnante e
ne indebolisca la portata precettiva (in questo senso, Cerulli Irelli, 224; Moliterni, 597;
Romano, 598).
La giurisprudenza, senza giungere a prendere posizione sulla portata dell’art. 11, in
più occasioni ne ha sottolineato il collegamento con l’esercizio del potere, là dove ha
chiarito che gli accordi costituiscono una modalità di esercizio del potere amministrativo attuata attraverso un modulo bilaterale e consensuale, pur rimanendo “pubblica” la potestà esercitata e, quindi, istituzionalmente funzionalizzata al perseguimento
dell’interesse pubblico di cui è titolare l’Amministrazione e soggetta alle regole generali
dell’attività amministrativa, in parte diverse da quelle che disciplinano l’attività contrattuale privatistica (Cons. Stato, sez. V, 14.10.13, n. 5000, in Foro amm. CDS (II),
2013, 10, 2085).
Ciò si spiega in quanto anche con il ricorso a moduli consensuali, lo svolgimento
dell’azione amministrativa resta in ogni caso ancorato ai canoni tipici dell’agire della p.a.
e, in particolare, al vincolo teleologico posto a fondamento della preesistente tensione
al perseguimento dell’interesse pubblico (cd. vincolo di scopo), informato, altresì, ai
principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. (Tar Sicilia, Catania,
sez. II, 27.10.04, n. 298 in Foro amm. TAR, 2004, 3180).
1.2. L’origine
Positivizzazione Prima della formalizzazione nella legge sul procedimento
amministrativo, gli accordi tra privati pubblica amministrazione erano già
emersi nella prassi, non essendo inusuale che il provvedimento unilaterale
costituisse il frutto di un qualche contatto o negoziazione informale preventiva, per poi essere successivamente disciplinati solo in relazione a fattispecie
specifiche nella legislazione speciale. A tal proposito si pensi, ad esempio, alle
convenzioni di lottizzazione, alle concessioni contratto, agli accordi di cessione
amichevole del bene espropriato.
Tuttavia, la formula emersa dalla realtà fattuale scontava molto spesso
l’assenza di qualsivoglia effetto vincolante in capo alla pubblica amministrazione, in spregio al principio di matrice civilistica connaturato a qualunque
forma di accordo tra le parti del pacta sunt servanda. L’amministrazione si sentiva libera di derogare, unilateralmente e senza obblighi, agli impegni assunti
con il privato alla luce del prioritario obiettivo del perseguimento dell’interesse pubblico che era chiamata a conseguire.
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Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni
Con l’entrata in vigore della Legge n. 241/1990 gli accordi amministrativi
acquisiscono una propria autonoma dignità giuridica, diventando strumenti
idonei a vincolare entrambe le parti a rispettare gli impegni assunti.
Segnatamente, gli accordi amministrativi conclusi tra i privati e la pubblica
amministrazione rappresentano uno dei due modi (insieme alla via autoritativa) attraverso i quali si esplica la discrezionalità tipica di ogni pubblica
amministrazione. Ove non è presente potere discrezionale non può essere raggiunto alcun accordo con il privato.
Valenza innovativa È discussa la carica innovativa dell’art. 11, anche alla luce
della controversa natura giuridica dello strumento in questione. In particolare,
si è indagato a lungo se, in un panorama caratterizzato dal diritto “pubblico”
amministrativo quale “regola dell’operare della pubblica amministrazione”
[Giannini, 994], la positivizzazione degli accordi tra privati e pubblica amministrazione, con conseguente fissazione di uno statuto giuridico ad essi dedicato,
inaugurasse realmente una nuova visione della pubblica amministrazione che
negozia il contenuto del suo potere, venendo a patti su chi di quel potere ne
costituirà il destinatario.
Secondo alcuni, l’art. 11 è “figlio del suo tempo” [Rossi, 1215; Mengoli, 3; Ledda,
1296], in quanto è nato in un contesto di privatizzazione dell’agire amministrativo,
di coinvolgimento di capitali privati in opere e servizi pubblici, di esternalizzazione
di funzioni amministrative. L’introduzione della disciplina positiva sugli accordi, pertanto, lungi dal porsi in rotta di collisione con il passato o dal risultare “rivoluzionaria” si innesta in un continum di costruzioni teoriche [a partire dalle “profezie”
all’epoca utopiche di Berti, 48 ss.] ed esperienze pratiche.
Non sono mancate però voci più entusiaste che hanno salutato la disposizione come
una vera e propria svolta nel panorama normativo italiano [si veda, a tal proposito
Sticchi Damiani, 23; Merusi, 2; Massera, 560].
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La ratio Quanto alla ratio dell’art. 11, essa è duplice: da un lato (e in via prioritaria) vi è l’obiettivo di accelerare e snellire l’agire amministrativo, dall’altro
vi è lo scopo di prevenire il contenzioso.
La funzione di rendere il corso procedimentale più rapido ed efficace emerge dai lavori
preparatori della disposizione: inizialmente, infatti, essa era contenuta nel capo relativo alla “Semplificazione del procedimento amministrativo”; fu poi solo in un secondo
momento spostata nel capo III relativo alla “Partecipazione al procedimento amministrativo”.
La funzione di prevenire il contenzioso si evince, invece, dal parere reso dal Consiglio
di Stato in sede consultiva, dove si è riconosciuto che l’assenso preventivo ad un certo
assetto di interessi destinato a sfociare nel o a sostituire l’atto amministrativo evita, in
linea di massima, future controversie. La struttura normativa degli accordi è infatti idonea
a conferire agli stessi anche una funzione deflattiva del contenzioso, posto che la partecipazione del privato al procedimento consente una sorta di “contraddittorio anticipato”
(Tar Campania, Salerno, sez. I, 22.6.04, n. 1571, in Ragiusan 2005, 251/2, 42).
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Natura giuridica La questione sulla natura giuridica degli accordi ha costituito terreno di scontro dottrinale tra le tesi di autorevoli studiosi; tale contrasto ha risentito di quello, più generale, sull’autonomia negoziale della pubblica
amministrazione e sulla rilevanza del contratto di diritto pubblico.
Infatti, prima del varo della legge generale sul procedimento amministrativo
la conciliabilità delle categorie giuridiche del potere pubblico e del contratto
è stata oggetto di un vivace dibattito che, sin dalla fine dell’Ottocento, ha
interessato gli ordinamenti europei continentali, incentrandosi sulla configurabilità stessa dell’istituto del “contratto di diritto pubblico”, ossia di una convenzione tra amministrazione e privato all’interno della quale l’esercizio del
potere pubblicistico sia oggetto di obbligazione.
Con l’entrata in vigore dell’art. 11, Legge n. 241/1990, la querelle circa la sussistenza nel nostro ordinamento del “contratto di diritto pubblico” ha perso
ogni utilità, quantomeno a fini pratici, dal momento che le fattispecie che erano
state in passato attratte sotto l’orbita del contratto di diritto pubblico sono state
oggi ricondotte dalla giurisprudenza alla disciplina dell’art. 11.
Quel che resta rilevante è, invero, chiarire la natura giuridica dell’accordo
delineandone i confini rispetto al contratto di diritto privato. Non si vuole in
questa sede prendere esplicita posizione sulla questione in esame bensì riportare le tesi avanzate, in quanto dall’adesione all’una o all’altra discendono specifiche conseguenze in merito alla disciplina applicabile.
SULLA NATURA GIURIDICA
La dottrina Fermo restando il perseguimento del pubblico interesse, la p.a. può porre
in essere tre tipi di attività: un’attività amministrativa di diritto pubblico (quando l’amministrazione persegue l’interesse pubblico in via autoritativa, ossia tramite l’esercizio del
potere amministrativo), un’attività amministrativa di diritto privato (quando la p.a. persegue scopi di interesse pubblico con strumenti privatistici); un’attività privata di diritto
privato (quando l’amministrazione agisce iure privatorum).
Secondo la tesi contrattualistica o panprivatistica gli accordi rappresentano dei
contratti di diritto comune, caratterizzati dalla presenza di posizioni giuridiche di diritto
- obbligo e diversi da quelli civilistici solo perché ad oggetto pubblico. L’amministrazione,
quindi, spenderebbe un’autonomia negoziale con alcuni profili di specialità ma non eserciterebbe alcun potere pubblico. Gli indici dai quali i sostenitori di detta tesi traggono
argomenti a sostegno della stessa sono tre: il nomen “accordi” che rinvia alla nozione
civilistica di contratto ex art. 1321 c.c. (“il contratto è l’accordo di due o più parti…)”;
il rinvio ermeneutico ai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti”
(art. 11, comma 2); l’incontro delle volontà su cui si fonda l’accordo amministrativo.
Da questa impostazione derivano altresì le seguenti conseguenze in punto di disciplina:
– oltre al recesso di cui all’art. 11, non sono ammissibili altre forme di revoca unilaterale
dell’accordo da parte della pubblica amministrazione: ne deriva l’inammissibilità di tecniche di autotutela pubblicistica (come l’annullamento per vizi di legittimità);
– trovano applicazione le regole civilistiche in tema di nullità, annullamento e rescissione, in luogo di quelle pubblicistiche di cui all’art. 21-septies e 21-octies.
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Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni
Tale tesi [sostenuta da Altieri, 283 ss.; Bassani, 251; Castiello, 164] è oggi in dottrina
minoritaria.
Secondo un’altra tesi cd. pubblicistica, nettamente prevalente sia in dottrina che in
giurisprudenza, gli accordi amministrativi hanno natura pubblicistica: l’assunto poggia
essenzialmente sulle difformità esistenti tra accordi e contratti. Tra le tante diversità le
più macroscopiche individuate dalla dottrina sono le seguenti: nei primi manca parità
formale tra i contraenti, che nei secondi è requisito essenziale; la causa degli accordi
risiede nella migliore realizzazione dell’interesse pubblico, mentre la causa dei contratti
consiste nel contemperare interessi diversi delle parti; inoltre, gli accordi sottostanno
al regime dei controlli provvedimentali e possono produrre effetti pubblicistici, a differenza dei contratti.
Ne deriva che:
– oltre al recesso di cui all’art. 11 (che in realtà viene considerato una revoca pubblicistica), va a fortori ammessa l’autotutela sotto forma di annullamento degli accordi
illegittimi;
– non è applicabile la disciplina codicistica in tema di nullità - annullamento - rescissione
ma il regime pubblicistico di cui all’art. 21-octies della Legge n. 241/1990.
In tal senso, ex multis, Dugato, 176; Fracchia, 160 ss.; Sticchi Damiani, 63 ss.
Non è mancato chi, in dottrina, ha aderito ad una tesi mista non riuscendo a inquadrare pienamente gli accordi né nella categoria dei contratti né in quella dei provvedimenti amministrativi. A tal senso si è coniata, con riferimento agli stessi, l’etichetta di
“provvedimenti consensualmente determinati”: si tratterebbe di tertium genus,
cioè di una categoria a sé stante avente natura giuridica mista e complessa [in tal senso
Mengoli, 28; Lo Sardo, 1270].
Tuttavia, il dibattito interpretativo deve oggi necessariamente fare i conti con la portata
del novellato disposto normativo, in base al quale, la rispondenza dell’accordo al vincolo di scopo normativamente prefissato e le ragioni di opportunità che giustificano la
conclusione dello stesso si estrinsecano nella determinazione preliminare che, ai sensi
del comma 4-bis dell’art. 11, Legge n. 241/1990 (introdotto con la Legge 11.2.05, n. 15),
deve precedere la stipula dell’accordo (il tema verrà approfondito infra, pag. 24). La
tesi di segno contrario che ne evidenzia, invece, la natura privatistica appare indebolita anche alla luce delle indicazioni offerte dalla Corte costituzionale (Corte cost.
nn. 204/2004 e 191/2006) sui limiti entro i quali il legislatore ordinario può sagomare
la giurisdizione esclusiva del g.a. Il Giudice delle leggi, infatti, ha chiarito che l’utilizzo
dello strumento degli accordi presuppone l’esistenza in capo alla p.a. di un potere autoritativo: l’accordo sostituisce l’atto unilaterale, ma non può essere utilizzato se non in
sostituzione di un provvedimento espressione di potere autoritativo. Da qui l’impossibilità di ricondurre sic et simpliciter l’accordo allo schema del contratto di diritto privato e
la conseguente giustificazione dell’assegnazione al g.a. della giurisdizione esclusiva anche
per quelle controversie che attengono all’esecuzione dell’accordo.
Se questo è il tessuto normativo di riferimento, si deve ritenere che il legislatore abbia
inteso, in tal modo, rimarcare la natura spiccatamente pubblicistica degli accordi
stipulati tra amministrazione e privato.
La giurisprudenza Dal canto suo, la giurisprudenza è stata molto più compatta, schierandosi in prevalenza per la tesi “pubblicistica”, sulla base dell’assunto per cui la
natura pubblicistica degli accordi si ricava non solo dal percorso storico-giuridico che ha
condotto all’elaborazione dello stesso istituto degli “accordi amministrativi”, ma anche
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in ragione dell’esegesi della norma, che offre molteplici argomenti, quali il necessario perseguimento dell’interesse pubblico e il riferimento al “contenuto discrezionale “
(art. 11, comma 1); il richiamo ai soli principi del codice civile in materia di obbligazioni
e contratti e il limite della “compatibilità” nel richiamo ai suddetti principi (art. 11,
comma 2); l’invarianza quanto al regime dei controlli (art. 11, comma 3); la previsione
della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ora assorbita dall’art. 133 c.p.a.
(Cons. Stato, sez. V, 20.8.13, n. 4179, in D&G 2013, 23.9.13; Tar Puglia, Bari, sez.
I, 4.6.13, n. 899, in Foro amm. TAR (Il), 2013, 6, 2080).
SCHEMA RIEPILOGATIVO
Dalla disamina della diatriba sulla natura degli accordi, è significativo che
ventiquattro anni dopo l’entrata in vigore della disposizione essi continuino a
costituire un rompicapo, per il loro essere sulla linea di confine, border line, tra
il diritto pubblico e il diritto comune, la procedura civile e quella amministrativa. Continuano, soprattutto, ad essere linfa per la giurisprudenza che, lungi
dal costruire categorie o avallare quelle (talora anacronistiche) della dottrina
ha perfezionato la disciplina legislativa, risolvendo dubbi nel nome del carattere “pubblicistico” degli accordi e del primario perseguimento dell’interesse
pubblico che li connota.
Tesi contrattualistica
Tesi Pubblicistica
Contratti di diritto comune
Provvedimenti
Tesi mista
Atti misti
1.3. I requisiti
Genesi La genesi, i soggetti e i presupposti per addivenire ad un accordo nel
corso del procedimento amministrativo sono comuni ad entrambe le categorie.
Infatti, nel corso dell’istruttoria procedimentale, “in accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’art. 10 l’amministrazione può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento
del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo”
(art. 11, comma 1).
La ricerca del consenso con il destinatario del provvedimento avviene
nell’ambito della fase dedicata all’istruttoria a fronte della partecipazione del
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privato al procedimento attraverso osservazioni e proposte scritte nelle modalità previste dall’art. 10.
Pertanto, la norma postula che un procedimento (ad iniziativa di parte o d’ufficio) sia già in corso.
Tuttavia la dottrina maggioritaria [Caringella, 1532] si è dimostrata incline a fornire
un’interpretazione estensiva del “momento” di elaborazione dell’accordo, ammettendo che l’incontro delle volontà pubblica e privata possa anche avvenire a monte
o a valle del procedimento e non necessariamente in pendenza dello stesso. In particolare, ben potrebbe il privato, avuto contezza dell’intenzione dell’amministrazione di intraprendere un procedimento amministrativo, tentare di accordarvisi sul
suo contenuto (e in tal caso, se i “negoziati” si concludono positivamente il nuovo
procedimento inizierà alla luce dell’accordo); e parimenti, nell’ipotesi in cui il procedimento sia già terminato con un provvedimento, accordarsi a valle dello stesso
per regolarne gli effetti o in un’ottica transattiva.
Soggetti L’amministrazione competente deve individuarsi nell’organo competente all’adozione del provvedimento finale o altro organo appositamente
delegato.
Possono mettere in moto la macchina della consensualità la stessa amministrazione procedente (come riconosciuto espressamente da Cass. civ., sez. un.,
15.12.00, n. 1262, in Urb. e app., 2001, 407) o, più verosimilmente, il privato che
partecipa al procedimento. Infatti, in accoglimento degli apporti partecipativi del privato chiamato ad intervenire nel procedimento, l’amministrazione
competente può addivenire ad un accordo che sfoci o addirittura sostituisca il
provvedimento finale di sua competenza.
Possono presentare osservazioni e memorie ai sensi dell’art. 10, Legge n. 241/
1990 sia coloro che risultano destinatari della comunicazione di avvio del procedimento (art. 7) che coloro a cui l’ordinamento consente di intervenire nel
procedimento (art. 9).
I primi, individuati dall’art. 7, sono: a) i destinatari del provvedimento finale
(ad esempio, i privati proprietari di un’area soggetta ad espropriazione); b)
coloro che per legge debbono intervenirvi (ad esempio, il genitore del minore
destinatario del provvedimento); c) i soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai diretti destinatari del provvedimento, i quali possano
ricevere un pregiudizio dal provvedimento finale.
La legge sul procedimento amministrativo estende la facoltà di intervenire nel
procedimento anche a soggetti diversi dai destinatari della comunicazione di
avvio.
Tali soggetti, legittimati ad intervenire ai sensi dell’art. 9, sono tutti i titolari di
interessi pubblici, privati, collettivi o diffusi cui possa derivare un pregiudizio
dal provvedimento finale.
Entrambe le categorie - i destinatari della comunicazione del provvedimento
e gli interventori non destinatari della stessa - possono accedere agli atti del
procedimento (accesso endoprocedimentale) e presentare memorie scritte
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e documenti (partecipazione procedimentale), che l’amministrazione ha
l’obbligo di valutare se pertinenti all’oggetto del procedimento (art. 10).
La presentazione di una proposta di accordo da parte del privato comporta l’obbligo,
per la pubblica amministrazione di prendere in esame la stessa, allo stesso modo di qualunque altro contributo dell’interessato sotto forma di memoria scritta. Da ciò discende
l’illegittimità dell’atto finale non preceduto da alcun tipo di valutazione della proposta
del privato, il che non equivale, beninteso, ad obbligo di accettazione della stessa, bensì
ad onere di motivazione circa le ragioni che rendono la proposta inaccettabile, o comunque rendono preferibile nello specifico l’adozione di atti unilaterali. Alla proposta presentata dal privato non consegue, dunque, in via automatica, l’obbligo di dare corso alla
stipula dell’accordo, ma la sola apertura della fase delle trattative precontrattuali, il cui
fallimento, pertanto, non preclude all’Amministrazione il successivo esercizio di poteri
autoritativi (in questi termini, Tar Trentino Alto Adige, Trento, sez. I, 27.10.11,
n. 260, in Foro amm. TAR, 2011, 10, 3069).
Ben può accadere, in caso di più partecipanti ad uno stesso procedimento, che l’amministrazione indica una pubblica selezione per valutare quale sia l’offerta, tra quelle
presentate, maggiormente rispondente all’interesse pubblico (è questo quello che è
avvenuto nel caso deciso dal Tar Molise, Campobasso, sez. I, 28.10.10, n. 109, ove
per valutare la migliore tra le proposte di localizzazione di un impianto eolico presentate dalle diverse imprese partecipanti al procedimento l’amministrazione comunale
procedente ha, nel rispetto dell’art. 97 Cost. e della procedura di cui all’art. 11 della
Legge n. 241/1990, indetto una procedura di selezione).
FOCUS
Presupposti L’accordo amministrativo tra il privato e la pubblica amministrazione di volta in volta competente richiede il consenso delle parti su un medesimo contenuto, il cosiddetto “accordo delle parti”. Esso può essere adottato a
condizione che l’amministrazione eserciti un potere discrezionale, purché non
vi sia “pregiudizio dei diritti dei terzi” e “in ogni caso nel perseguimento del
pubblico interesse”.
L’accordo delle parti
È indispensabile che l’incontro delle volontà delle parti in gioco (la parte pubblica e
quella privata) avvenga ed abbia ad oggetto lo stesso contenuto.
Il potere discrezionale
Perché ci sia consenso è necessario che, con riferimento al provvedimento ove si inserisce
o sostituisce l’accordo, la pubblica amministrazione procedente sia chiamata dalla legge
ad esercitare un potere discrezionale. La discrezionalità è la scelta, da parte della pubblica amministrazione, tra più alternative, di quella che soddisfi massimamente il pubblico
interesse concreto alla cui cura è posta la pubblica amministrazione. Tale massimizzazione
deve essere attuata nel rispetto dei principi generali dell’azione amministrativa e, in particolare, del principio di proporzionalità, che impone alla pubblica amministrazione di
ricercare la massima realizzazione dell’interesse pubblico con il minor sacrificio possibile
e, quindi, con il pieno contemperamento di tutti gli interessi in gioco (pubblici e privati).
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Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni
La discrezionalità è ben diversa dall’autonomia negoziale, perché mentre la prima è
potenzialmente illimitata e libera nel fine, la seconda è limitata in quanto teleogicamente
vincolata al soddisfacimento, nel rispetto del principio di proporzionalità, dell’interesse
pubblico.
La giurisprudenza, a tal proposito, con riferimento al requisito della “discrezionalità”, ha
chiarito che anche nei procedimenti finalizzati all’adozione di provvedimenti vincolati
sussistono fasi in cui l’amministrazione deve esercitare poteri chiaramente discrezionali,
quantomeno sotto il profilo tecnico, attinenti al quantum, al quomodo e al quando degli
adempimenti da eseguire, e quindi risulta pienamente configurabile la stipulazione di un
opportuno accordo procedimentale, trattandosi di un vero e proprio strumento di semplificazione, idoneo a far conseguire alle parti un’utilità ulteriore rispetto a quella che
sarebbe consentita dal provvedimento finale (Cons. Stato, sez. IV, 10.12.07, n. 6344
in Foro amm. CDS, 2008, 5, 1450).
L’assenza di pregiudizio per i terzi
Con la precisazione legislativa “salvi i diritti dei terzi” il legislatore ha subordinato
l’efficacia dell’accordo alla tutela dei diritti dei terzi.
Il “terzo” è un colui che, pur non essendo il diretto destinatario del provvedimento
amministrativo o dell’accordo amministrativo, subisce una lesione (sia pur mediata o
riflessa) alla propria posizione giuridica.
La locuzione “diritti” va senz’altro intesa in senso ampio, in quanto comprensiva sia dei
“diritti soggettivi” che degli “interessi legittimi” alla luce della pari dignità, sostanziale e
processuale, che hanno acquisito nel tempo le due situazioni giuridiche (a partire dalla
celebre sentenza della Cassazione a Sezioni unite, 22.7.99, n. 500).
Tale inciso va pertanto interpretato come una clausola generale e residuale, posta quale
extrema ratio, per evitare che l’accordo amministrativo leda, sia pur indirettamente, le
posizioni soggettive di terzi, cioè di soggetti che non ne costituiscono “parte”.
Quello che non è pacifico, in dottrina, è il rimedio posto a tutela del terzo che dovesse
risultare pregiudicato dall’accordo integrativo e/o sostitutivo.
Infatti, l’interpretazione di detto requisito c.d. “negativo” (in quanto deve mancare perché l’accordo sia legittimo) o secondo alcuni di tale “condizione di efficacia” [Mengoli,
74] risente della scissione, in dottrina, tra diverse tesi in merito alla natura giuridica
dello strumento consensuale in esame.
Allo stato la dottrina maggioritaria che si schiera per la natura pubblicistica degli accordi,
fa discendere direttamente dall’inciso di legge la limitazione degli effetti alle sole parti
dell’accordo, con la conseguenza che la sua inosservanza genera in ogni caso illegittimità,
tutelabile innanzi al giudice amministrativo entro il termine decadenziale. Non mancano
autori che, sostenendo la natura privatistica degli accordi, hanno ritenuto che l’inosservanza del precetto conduca, in caso di accordo integrativo, alla nullità dello stesso
per violazione di norme imperative di legge, ai sensi dell’art. 1418 c.c. mentre, nel caso
di accordo sostitutivo, all’inefficacia rispetto ai terzi degli effetti negativi, ai sensi degli
artt. 1372 e 1411 c.c.
Il perseguimento del pubblico interesse
L’accordo amministrativo, sia esso conclusivo o anche soltanto anello di una catena procedimentale destinata a concludersi con il provvedimento amministrativo, deve essere
sempre causalmente preordinato al perseguimento del pubblico interesse.
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7. Gli accordi amministrativi
La realizzazione dell’interesse pubblico per il tramite dell’accordo si correla strettamente al carattere immancabilmente discrezionale del potere dell’amministrazione che “negozia”, vale a dire al potere di determinare in più modi l’assetto degli
interessi in gioco nella prospettiva del miglior perseguimento dell’interesse pubblico.
L’interesse privato giunge ad emersione dall’interazione con l’interesse pubblico, al pari
di quest’ultimo che, da astratto e indistinto, assume concretezza e specificità.
La compatibilità con l’interesse pubblico è un filo rosso, che lega l’accordo dal momento
iniziale fino alla sua puntuale elaborazione.
SCHEMA RIEPILOGATIVO
Esclusioni La disciplina degli accordi dettata dall’art. 11, per espressa previsione dell’art. 13, Legge n. 241/1990 non è applicabile ai procedimenti amministrativi finalizzati all’adozione di atti normativi, amministrativi generali, di
pianificazione e di programmazione. Per siffatte categorie di atti il modulo
consensuale è ammissibile solo a condizione che lo prevede la legislazione di
settore e secondo regole particolari ivi previste (si pensi alle convenzioni di
lottizzazione).
Genesi e presupposti
L’accordo nasce
e presuppone
nella fase istruttoria
il potere discrezionale della p.a.
L’accordo :
Non deve
Ma deve
Recare pregiudizio a terzi
Perseguire il pubblico interesse
Esclusioni: atti normativi; atti amministrativi generali; atti di pianificazione; atti di programmazione.
1.4. Disciplina
La disciplina degli accordi è ibrida: ad un sostrato privatistico si innestano
numerosi elementi a carattere pubblicistico.
Il ruolo del responsabile del procedimento  art. 11, comma 1-bis Una
volta definiti i soggetti, l’oggetto e gli altri requisiti dell’accordo è possibile esaminarne la disciplina, anch’essa codificata all’art. 11 della Legge n. 241/1990.
Il comma 1-bis, aggiunto dal d.l. 12.5.95, n. 163 (convertito in Legge 11.7.95,
n. 273) assegna al responsabile del procedimento un ruolo ben preciso ai fini
della conclusione dell’accordo, che è quello di “predisporre un calendario di
incontri in cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del
provvedimento ed eventuali controinteressati”.
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Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni
Il legislatore ha scelto, quindi, di assegnare a colui che governa il corso del
procedimento, cioè il suo responsabile, il ruolo di sollecitare - attraverso la
pianificazione di incontri con il destinatario del provvedimento ed eventuali
contro interessati - il raggiungimento di un accordo sul contenuto o in sostituzione del provvedimento.
Tale previsione è un chiaro indizio del favor che l’ordinamento ripone nei confronti degli accordi amministrativi. Ciò si spiega in quanto è in gioco un istituto
che privilegia, per quanto possibile, soluzioni concordate volte a ridurre possibili contenziosi e che pone l’amministrazione su un piano di parità rispetto al
privato [in questo senso, Clarich, 248].
CASISTICA
La forma  art. 11, comma 2 (prima parte) Gli accordi amministrativi
“devono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge
disponga diversamente”. La forma scritta è richiesta ad substantiam e rende
l’atto negoziale “a forma vincolata”.
L’obbligo della forma scritta è legato al principio di legalità dell’azione amministrativa e risponde alla necessità di assicurare, rispetto all’esercizio negoziato del
potere, la certezza dei rapporti giuridici. Rispetto agli accordi sostitutivi, poi, tale
necessità diventa ancor più stringente dal momento che essi sono sottoposti, come
si vedrà infra, agli stessi controlli riservati al provvedimento amministrativo.
L’accordo sarà inoltre assoggettato all’obbligo di trascrizione di cui agli
artt. 2643 e 2645 c.c. a fini di opponibilità ai terzi, e alla normativa in materia
di registrazione.
La casistica in tema di forma dell’accordo è ampia. Si citano, a titolo esemplificativo,
le seguenti:
• In un accordo finalizzato alla cessione volontaria del bene espropriato, il requisito
della forma scritta può ritenersi osservato soltanto in presenza di un documento
che contenga in modo esplicito e diritto la volontà negoziale e perciò redatto al fine
specifico di manifestare la stessa e dal quale si possano desumere la concreta instaurazione del rapporto e le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni che
debbono essere svolte da ciascuna delle parti (Cass. civ., sez. I, 27.4.11, n. 9390, in
Guida dir., 2011, 29, 52);
• Nel caso di un accordo avente ad oggetto la localizzazione di un depuratore e l’occupazione delle aree interessate, il verbale di una riunione che si conclude con la condivisa definizione dell’assetto degli interessi è sempre valido ed efficace nei confronti
di tutte le parti pubbliche e private se è debitamente sottoscritto dai partecipanti e
contiene altresì una specifica descrizione del contenuto delle decisioni (Consiglio di
Stato, sez. IV, 25.11.11, n. 6261 in D&G online 2011, 12.12.11).
È sufficiente che le parti abbiano sottoscritto il verbale di una riunione nel corso della
quale siano concordate le modalità di successivo esercizio, da parte della p.a., di una sua
competenza. Viene pertanto considerata integrata la forma scritta richiesta dall’art. 11
dal verbale di audizione con il quale il soggetto che ha realizzato un abuso edilizio e
l’amministrazione comunale si accordano sulle modalità di ripristino (Cons. Stato, sez.
IV, 10.12.07, n. 6344, in Foro amm. CDS, 2008, 2, I, 425).
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7. Gli accordi amministrativi
I principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti 
art. 11, comma 2 (seconda parte) Quanto alla disciplina applicabile, la
legge stabilisce che agli accordi “si applicano, ove non diversamente previsto, i
principi del codice civile in materia di obbligazione e contratti in quanto compatibili”.
Il rinvio al diritto civile si pone in sintonia con l’art. 1, comma 1-bis della Legge
n. 241/90, aggiunto dalla Legge n. 15/2005, che chiarisce che ove la pubblica amministrazione adotti atti di natura autoritativa “si applicano le norme di diritto privato
salvo che la legge disponga diversamente”.
La disposizione richiede, ai fini dell’applicazione del principio civilistico in
materia di obbligazioni e contratti di volta in volta rilevante, di svolgere due
indagini: accertare la compatibilità del principio con l’interesse pubblico (a)
e verificare l’assenza di una disciplina specifica (b). Solo una volta superato
tale doppio test di compatibilità e assenza di specialità, la fattispecie potrà
essere regolata applicando il principio generale di matrice civilistica.
La dottrina si è interrogata a lungo sulla portata di tale richiamo, sia pur condizionato, ai principi generali.
Da un lato vi è stato il dibattito, alquanto sterile perché privo di risvolti pratici,
sulla portata della disposizione, il quale si attesta su binari analoghi a quello sulla
natura giuridica dell’accordo. A seconda di quale approccio si accolga (privatistico,
pubblicistico o misto) discende anche la rilevanza assegnata a tale disposizione e,
specificamente, se di rinvio generale o soltanto teorico - orientativo.
Dall’altro vi è stata la questione circa il significato da attribuire all’inciso “ove non
diversamente previsto”. Secondo un primo orientamento la “diversa disciplina” deve
essere adottata dal legislatore; secondo un altro orientamento la disciplina derogatoria può anche essere il risultato del regolamento pattizio delle parti.
CASISTICA
Ben più interessanti sono gli spunti che possono trarsi dalla giurisprudenza,
che ha sul punto mostrato un atteggiamento non aprioristico ma fattuale, indagando caso per caso e in relazione alla fattispecie di volta in volta considerata la compatibilità del principio civilistico con l’accordo amministrativo e
l’assenza di una disposizione specifica al riguardo.
Dalle pronunce giurisprudenziali si ricava la ricostruzione “pretoria” della disciplina
civilistica applicabile agli accordi.
• I criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362-1371 c.c. sono
applicabili per l’interpretazione non solo dei provvedimenti amministrativi, ma anche
degli accordi di cui all’art. 11, Legge n. 241/1990, giusto il richiamo del comma secondo
ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti “per quanto compatibili” (Tar Umbria, Perugia, 11.9.13, n. 475, in D&G, 2013, 21.10.13);
• Anche nelle trattative per la formazione di accordi ex art. 11, Legge n. 241/1990,
è configurabile una responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, ai
sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c., allorché essa, con il proprio complessivo colpevole
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Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni
comportamento, leda l’affidamento in buona fede del privato in merito alla conclusione dell’accordo medesimo, indipendentemente dal profilo della legittimità o meno
dell’esercizio del potere autoritativo di autotutela (Tar Bari, sez. III, 11.11.11,
n. 1704, in Foro amm.TAR, 2011, 11, 3619; Cons. Stato, sez.V, 30.11.07, n. 6137,
in Foro amm. CDS, 2008, 4, II, 1153);
• La persistenza, pur nell’ambito di un rapporto convenzionale di lottizzazione (figura
classica di accordo), di un potere discrezionale dell’ente pubblico (potere, in presenza
del quale la posizione soggettiva del privato non può configurarsi altrimenti che in
termini di interesse legittimo) non vale di per sé a escludere, che atti amministrativi
aventi rilievo nel procedimento di esecuzione degli accordi e normalmente incidenti
su interessi pretensivi dei privati possano (e debbano) essere assoggettati a un sistema
di tutela di quelle posizioni non solo mediante il tradizionale meccanismo impugnatorio e demolitorio proprio delle posizioni di interesse legittimo, ma anche (allorché una
parte del rapporto contesti alla controparte un inadempimento degli obblighi di fare),
mediante applicazione diretta della disciplina dell’inadempimento del contratto (art. 1453 c.c.) (Cons. Stato, sez. IV, 4.5.10, n. 2568, in Guida dir., 2010,
2295; Tar Lombardia, Milano, in Foro amm. TAR, 2009, 2, 325). In applicazione
di tale principio sono state ritenute applicabili, rispettivamente, la risoluzione per
eccessiva onerosità sopravvenuta a causa di eventi straordinari e irripetibili
e la exceptio inadempienti contractus (Tar Toscana, Firenze, sez. III, 7.4.06,
n. 1146, in Riv. giur. edilizia, 2006, 3, I, 690).
La motivazione  art. 11, comma 2 (terza parte) L’obbligo di motivazione è il più recente (ma anche il meno incisivo) dei restyling adottati sul
testo dell’art. 11. Aggiunto con la legge anticorruzione del 6.11.12, n. 190
(art. 1, comma 47) esso contribuisce a rafforzare la componente “pubblicistica”
dell’accordo, ricollegandosi al generale obbligo di motivazione art. 3 della
Legge n. 241/1990 che connota i provvedimenti amministrativi.
CASE HISTORY
I controlli La legge precisa, al comma 3 dell’art. 11, che “gli accordi sostitutivi
del provvedimenti sono soggetti agli stessi controlli previsti per questi ultimi”.
Ne consegue che, se per un determinato provvedimento amministrativo la
legge preveda un controllo quale condizione di efficacia, la sua sostituzione
con un accordo non fa venire meno la cogenza di tale passaggio procedimentale e, quindi, la sottoposizione all’organo tutorio per il controllo di legge.
Sulla duttilità dell’accordo sostitutivo e la sua facilità ad essere utilizzato come
strumento elusivo delle norme imperative si veda il “case history” che segue.
Il caso
Con decreto direttoriale veniva approvato il contratto sottoscritto in data 6 agosto
2009 tra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e un’ATI per
l’affidamento del servizio per la prevenzione e lotta all’inquinamento marino da idrocarburi e da sostanze tossico-nocive in genere, di durata biennale.
Tale provvedimento costituiva un “accordo sostitutivo” ex art. 11 della Legge 7.8.90,
n. 241, adottato dall’Amministrazione al fine di superare la mancata aggiudicazione
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7. Gli accordi amministrativi
definitiva del servizio de quo, a causa della contrazione delle risorse pubbliche disponibili
ex art. 1, comma 507, della legge finanziaria 2007, in luogo dell’adozione dei provvedimenti formali tipici della materia degli appalti pubblici.
In sostanza, si è inteso affidare il servizio mediante atto avente natura pattizia con
connotazioni anche transattive, allo scopo di prevenire ogni possibile lite relativa al
procedimento di gara di cui trattasi.
Come è stato affrontato
L’atto veniva sottoposto a verifica da parte dell’Ufficio di controllo della sezione della
Corte dei conti, il quale, non reputate convincenti le controdeduzioni dell’amministrazione, rimetteva la valutazione sulla legittimità dello stesso ai fini della concessione del
“visto”, al Collegio della Corte dei conti, Sezione Centrale di controllo di legittimità su
atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato.
Come è stato deciso
La Corte dei Conti, chiamata a deliberare in merito alla possibilità di utilizzare il particolare procedimento dell’accordo sostitutivo in luogo dell’“approvazione definitiva”
del procedimento di gara comunitaria instaurato e non concluso dall’Amministrazione a
causa della contrazione delle risorse pubbliche disponibili, ha ricusato il visto. Il diniego
del visto veniva motivato alla luce dell’incompatibilità del ricorso effettuato dall’Amministrazione all’accordo sostitutivo con la disciplina comunitaria in tema di appalti pubblici. A tal riguardo si richiama la sentenza della Corte di giustizia, sez. VI, 12.7.01 (causa
C-399/98), secondo cui si sono ritenuti non compatibili con l’ordinamento comunitario
gli accordi fra l’Amministrazione ed il privato (consentiti in via generale dall’art. 11 della
Legge n. 241/1990) nelle materie caratterizzate dalla scelta, da parte della P.A., di un
soggetto al quale affidare prestazioni che eccedono la soglia di rilevanza prevista dalle
direttive di settore.
(Deliberazione Corte dei Conti, Sezione Centrale di controllo di legittimità
su atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, n. 19/2009/P).
Recesso La legge attribuisce in via generale all’amministrazione il potere di
recesso unilaterale dall’accordo “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse” e fatto “salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo
in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato”.
Sono due gli elementi specificati dalla norma per definire i limiti dell’esercizio
del predetto potere di recesso da parte della norma: da un lato, il carattere
preminente dell’interesse pubblico che l’amministrazione deve perseguire
anche quando ricorre allo strumento degli accordi (e che la deve condurre a
sciogliersi dal vincolo tutte le volte l’interesse pubblico in cui venga meno);
dall’altro l’obbligo di indennizzare il privato che abbia eventualmente subito
pregiudizi proprio a causa del recesso.
Con il perseguimento dell’interesse pubblico ritorna quel “vincolo di scopo”
che deve assistere l’accordo sia nella sua fase genetica che in quella esecutiva.
Il potere di recesso unilaterale riconosciuto all’Amministrazione testimonia,
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Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni
infatti, la necessità di chiari margini di compatibilità tra l’esecuzione del rapporto intercorrente tra privato e pubblica amministrazione e la perdurante
rilevanza del profilo finalistico, collegato al pubblico interesse, sì da giustificare speciali poteri unilaterali di risoluzione (in questo senso, Tar Puglia, Bari,
sez. I, 4.6.13, n. 899, in Foro amm. TAR, 2013, 6, 2080 e Cons. Stato, sez. V,
24.10.00, n. 5710 in Riv. giur. edilizia, 2001, I, 213).
Quanto, invece, all’indennizzo, esso rappresenta un ristoro economico a carattere reintegrativo. Trattandosi di una responsabilità dell’amministrazione per
fatto lecito, è limitato al danno emergente e non al mancato guadagno.
Per converso, in caso di recesso contra legem la pubblica amministrazione è tenuta
a corrispondere al privato il risarcimento integrale dei danni subiti (in questo senso,
Tar Friuli Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 22.5.04, n. 2319; Tar Lombardia, Milano, sez.
III, 11.3.03, n. 434 in Foro amm. TAR, 2003, 839).
Tuttavia, il recesso della pubblica amministra continua a costituire per alcuni
versi terreno di “scontro” ermeneutico.
Come accade per altri istituti esaminati nel corso della trattazione, anche (e forse
soprattutto) il recesso risente della disputa sorta in merito alla natura giuridica degli
accordi e favorita dall’ambivalenza del dettato legislativo. I fautori della tesi pubblicistica leggono nel recesso ex art. 11, comma 4 nient’altro che una revoca “per
sopravvenuti motivi di interesse pubblico” ex art. 21-quinquies, espressione quindi
della potestà pubblicistica di autotutela; coloro che invece si schierano a favore
della natura contrattuale degli accordi lo riconducono alla previsione dell’art.1373
c.c. qualificandolo come un diritto potestativo tipico dei rapporti di durata.
Infine, non sono mancate voci a sostegno di una qualificazione “mista” dello stesso
istituto del recesso, non pienamente revoca pubblicistica né recesso unilaterale ex
art.1373 c.c.
Benché la disputa risenta di petizioni di principio e posizioni dogmatiche aprioristicamente assunte, la qualificazione del recesso nell’uno o nell’altro modo (potestà
pubblicistica o diritto potestativo) comporta conseguenze ben precise in merito al
regime giuridico applicabile.
Nel primo caso si applicheranno le norme contenute nel capo III della Legge
n. 241/1990 (comunicazione di avvio, motivazione, annullamento in autotutela con
eventuale reviviscenza del vincolo contrattuale); nel secondo caso il recesso sarà
regolato dal regime giuridico previsto per gli atti unilaterali di diritto privato. Infine,
secondo l’orientamento intermedio, vi è una “scissione” tra struttura e funzione:
dal punto di vista strutturale il recesso sarà parificabile al corrispondente civilistico,
soprattutto per l’effetto estintivo del rapporto, mentre dal punto di vista funzionale
(ove risiede il fulcro della specialità della disciplina) emerge la sua valenza provvedimentale e, quindi, l’applicabilità del capo III della Legge n. 241/1990.
Sia in dottrina che in giurisprudenza tende tuttavia a prevalere l’inquadramento in
termini pubblicistici del recesso.
Anche con riguardo alla forma di esercizio, da parte dell’amministrazione,
del potere di recesso da un accordo stipulato con un privato sussiste contrasto
di vedute.
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7. Gli accordi amministrativi
CASE HISTORY
Contrariamente alla giurisprudenza della Cassazione in ordine ai requisiti degli atti
negoziali della pubblica amministrazione che richiede per il recesso, al pari dell’atto
costitutivo dell’accordo, la forma scritta, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha
ammesso la “libertà delle forme di esercizio del recesso”, non dovendosi necessariamente tradursi in un provvedimento ma potendo essere desunto anche per facta
concludentia dall’adozione di altri atti incompatibili con la persistenza e l’adempimento del vincolo contrattuale (Cons. Stato, sez. IV, 30.9.13, n. 4872, in Foro Amm.
CDS (Il), 2013, 9, 2487).
Il caso
Il Comune e i privati proprietari degli immobili sottoposti a dichiarazione di pubblica
utilità, concludevano un contratto di cessione volontaria dei beni soggetti alla procedura
espropriativa, con cui il soggetto pubblico si impegnava a corrispondere ai proprietari
espropriati, a titolo di corrispettivo, una somma pari all’80% dell’indennità di esproprio,
precedentemente determinata a titolo di acconto. I ricorrenti s’impegnavano, invece,
a rinunciare al contenzioso, in cambio dell’approvazione, previa deliberazione definitiva dell’organo consiliare, di una variante urbanistica comportante l’attribuzione della
destinazione ad uso commerciale dei residui terreni in proprietà degli stessi. Successivamente al raggiungimento dell’accordo e pochi giorni prima della scadenza del termine,
il Comune rifiutava di darvi seguito, poiché era venuto a conoscenza del fatto, celato
dai ricorrenti in sede di stipulazione del contratto con comportamento evidentemente
contrario alla buona fede di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c., che l’immobile espropriando
era gravato da pesi (un privilegio immobiliare e tre ipoteche, oltre ad un residuo mutuo
non ancora estinto).
Come è stato affrontato
Il Comune, a fronte delle circostanze successivamente apprese ma preesistenti alla stipula dell’accordo, non corrispondeva ai privati contraenti l’importo pattuito ed emetteva un nuovo decreto di occupazione d’urgenza.
Come è stato deciso
Nel caso di conclusione, da parte della p.a., di un accordo procedimentale ex art. 11,
Legge 7.8.90, n. 241, avente ad oggetto la cessione volontaria dei beni soggetti ad esproprio, legittimamente la stessa rifiuta di corrispondere l’acconto previsto, ove tale rifiuto
derivi dalla circostanza, da essa appresa solo successivamente ma nota ai privati, relativa
all’esistenza di un privilegio immobiliare e di tre ipoteche iscritte sull’immobile in proprietà di questi ultimi, costituendo tale circostanza una causa sopravvenuta che giustifica
il suo recesso unilaterale, atteso che il comportamento dei privati costituisce una condotta improntata a scorrettezza e contraria a buona fede, ai sensi degli art. 1337 e 1338
c.c., nella fase delle trattative e in quella della conclusione dell’accordo.
(Cons. Stato, sez. IV, 30.9.13, n. 4872, in Foro amm. CDS (Il), 2013, 9, 2487).
Determinazione dell’organo competente Aggiunto con la citata riforma del
2005 (la Legge n. 15/2005), il comma 4-bis prevede che, “a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa”, ogniqualvolta la
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Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni
pubblica amministrazione concluda accordi, integrativi o sostitutivi, “la stipulazione dell’accordo è preceduta da una determinazione dell’organo che
sarebbe competente per l’adozione del provvedimento”.
Con la novella in esame si è voluto introdurre un limite alla libertà per la p.a.
di concludere accordi che potesse compensare la generalizzazione (anch’essa
opera della Legge n. 15/2005) del ricorso agli accordi sostitutivi, non più limitati ai soli casi previsti dalla legge.
In realtà, la determinazione preventiva alla stipulazione dell’accordo non è stata
creata ex novo dal legislatore del 2005. Infatti, già prima della riforma era stata
vagliata, a livello teorico, la necessità di far sì che l’accordo venisse preceduto da
un atto amministrativo preventivo che esplicitasse le ragioni che avevano condotto
il soggetto pubblico a ricorrere allo strumento dell’accordo in luogo del provvedimento. Tuttavia, sempre all’esito delle speculazioni dottrinali, era prevalso l’orientamento restrittivo, sul presupposto della pari ordinazione e della piena fungibilità
tra modulo consensuale e modulo autoritativo: come la p.a. non è tenuta a giustificare l’adozione del provvedimento imperativo e unilaterale allo stesso modo non
deve motivare perché ne ha disposto la sostituzione o l’integrazione con un accordo.
Con la Legge n. 15/2005 riemerge l’orientamento restrittivo.
Il comma 4-bis non precisa alcunché in merito al contenuto che deve possedere
siffatta determinazione. A fronte del silenzio legislativo, guardando alla ratio
della norma affinché la determinazione raggiunga il suo scopo, e cioè garantire l’imparzialità e il buon andamento della p.a., essa deve necessariamente
individuare sia la funzione che la p.a. si prefigge di raggiungere con l’accordo
in questione che le ragioni che hanno reso preferibile ricorrere all’accordo al
posto dell’iter provvedimentale ordinario. Interpretata in questi termini, la
determina sembra quasi costituire l’antesignano (e oggi il “doppione”) della
motivazione dell’accordo, rendendo così superflua la previsione obbligatoria
introdotta con la legge anticorruzione (vedi supra, pag. 19).
Non è mancato chi, in dottrina e in giurisprudenza, ha accostato la determinazione
preventiva ex art. 11, comma 4-bis alla determina a contrarre di cui all’art. 192 del
d.lgs.18.8.00, n. 267, ovvero l’atto, di spettanza dirigenziale, con il quale la stazione appaltante manifesta la propria volontà di stipulare un contratto.
Se da un punto di vista contenutistico l’analogia è fondata, essendo auspicabile che
determinazione preventiva all’accordo possegga i contenuti essenziali della determina a contrarre [in questo senso, Caringella, 1544], da un punto di vista strutturale
si tratta di due atti tra loro molto diversi. Infatti, mentre la determina a contrarre
è un atto interno, che può provenire anche da un organo diverso da quello chiamato
a stipulare il contratto ed è liberamente revocabile, la determinazione preventiva
all’accordo è un atto a rilevanza esterna che deve provenire dallo stesso organo che
sarebbe competente per adozione del provvedimento.
Poiché la legge nulla prevede al riguardo, si ritiene che la forma della determinazione sia libera, ben potendo essa porsi quale premessa dell’accordo, ovvero
costituirne atto separato.
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7. Gli accordi amministrativi
La mancanza o invalidità della determinazione comporta, quale conseguenza
necessaria, l’invalidità dell’accordo.
Anche la qualificazione del vizio derivato dalla mancanza, inesistenza o invalidità
della determinazione cambia a seconda di quale approccio si segua in merito alla
natura giuridica dell’accordo. L’orientamento contrattualista ritiene che un accordo
non preceduto da determinazione sia annullabile per vizio del procedimento legale
di formazione del consenso della parte pubblica; il filone pubblicistico, invece, parla
di annullabilità per difetto dell’atto presupposto (e precisamente: violazione di
legge se vi è mancanza assoluta di determinazione, eccesso di potere se non sono
adeguatamente motivate le ragioni poste a sostegno della scelta dell’accordo).
La dottrina maggioritaria ritiene che sia passibile di annullamento d’ufficio
una determinazione preventiva illegittima. Ammettere il contrario significherebbe legittimare il consolidamento di situazioni giuridiche fondate su presupposti illegittimi.
FOCUS
Ci si è interrogati anche in merito alla mancata impugnazione nel termine di decadenza della determinazione viziata poi trasfusa nell’accordo. Anche qui si registra
la (ormai) nota scissione: i fautori della tesi privatistica ritengono che il vizio di
legittimità della determina si converta in un’ipotesi di nullità dell’accordo; i sostenitori della tesi pubblicistica invece non ammettono, fuori dal termine di decadenza,
un’autonoma impugnazione dell’accordo per quei vizi, propri della delibera preliminare, suscettibili di convertirsi in autonome cause di invalidità dell’accordo.
Dall’analisi della disciplina degli accordi si è dimostrato quanto detto in apertura: a elementi privatistici si affiancano elementi pubblicistici dando vita ad una disciplina complessivamente “ibrida”, né completamente sottoposta al diritto civile ma neppure
del tutto amministrativa. La scelta della via consensuale, che trova il suo immediato
riflesso nell’applicabilità dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, non può (e non deve) mai risolversi in un mancato soddisfacimento dell’interesse
pubblico affidato alla cura della pubblica amministrazione, né in una sua cura non trasparente e imparziale. Tale necessità di presidiare i valori dell’imparzialità, del buon andamento (espressamente menzionati al comma 4-bis) e della trasparenza e di rispettare i
criteri dell’efficacia, efficienza ed economicità, misura realmente le distanze che intercorrono tra l’autonomia negoziale tout court e autonomia negoziale come strumento di esercizio del potere discrezionale. Il contrasto tra autonomia privatistica e discrezionalità
pubblicistica non viene risolto all’insegna dell’inconciliabilità, ma della diversa configurazione delle regole di formazione della volontà del privato e della pubblica amministrazione, mentre la disciplina degli effetti trova nell’accordo un momento unitario.
Nel voler ricostruire razionalmente la linea di confine tra aspetti privatistici e pubblicistici, ci si accorge che lo statuto degli atti (unilaterali o consensuali) del potere pubblicistico ha evidentemente connotazioni pubblicistiche sia in termini di diritto sostanziale
(necessità di applicare le regole del giusto procedimento e del miglior contemperamento
possibile tra interesse pubblico e interessi privati coinvolti dal procedimento; sottoposizione degli accordi sostitutivi ex art. 11, Legge n. 241/1990 ai controlli previsti per i
provvedimenti) sia dal punto di vista processuale e giurisdizionale (cognizione da parte
del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva delle controversie afferenti
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Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni
gli accordi ex art. 11, Legge n. 241/1990). Per tutto il resto vale - per effetto del rinvio
ai suoi principi generali - la disciplina del codice civile.
Gli inneschi, continui da parte del legislatore (l’ultimo, si ricorda, risale al 2012 nell’ambito
di una legge che non aveva alcuna pertinenza con il procedimento amministrativo), hanno
dato luogo ad connubio che ha costituito, sin dalla sua prima formulazione, un rompicapo
per la dottrina e la giurisprudenza. Si vuole, senza alcuna pretesa di certezza, riproporre in
uno schema riepilogativo quali sono gli elementi spiccatamente privatistici e quali, invece,
quelli a carattere pubblicistico, alla luce della trattazione sin qui condotta.
Aspetti privatistici
applicazione dei principi generali
del codice civile in materia di
obbligazioni e contratti
recesso inteso come atto ex
art. 1373 c.c.
Aspetti pubblicistici
limiti all’applicabilità dei principi
(“in quanto compatibili” e “ove non
diversamente disposto”)
forma scritta
Motivazione
Controlli
recesso inteso come revoca ex
art. 21-quinquies
determinazione preventiva
1.5. L
e manifestazioni empiriche della contrattualizzazione del
potere
Grazie all’opera pretoria della giurisprudenza amministrativa, l’art. 11, da
contenitore in potenza idoneo a disciplinare ogni manifestazione di amministrazione consensuale (e, per ciò stesso, privo di una reale caratterizzazione e
pericolosamente “vuoto”), ha acquisito una sua identità pratico - applicativa
sia pur contingente e priva di stabilità. Infatti la giurisprudenza amministrativa, con il suo tratto inconfondibilmente “creativo”, ha definito e, per certi
versi, tipizzato alcun figure di accordi amministrativi siglati in applicazione
dell’art. 11, Legge n. 241/1990. Si tratta di manifestazioni empiriche della
contrattualizzazione del potere che attengono agli ambiti del procedimento
amministrativo più rilevanti per gli interessi, pubblici e privati, coinvolti:
l’espropriazione per pubblica utilità, l’urbanistica e l’edilizia pubblica.
Gli accordi nel procedimento espropriativo: la cessione volontaria L’atto
di cessione volontaria del bene oggetto di espropriazione per pubblica utilità
è stato qualificato dalla giurisprudenza come accordo amministrativo “sostitutivo” del provvedimento, trattandosi di un modello consensuale posto in
essere nell’esercizio di una potestà pubblicistica in sostituzione del decreto di
esproprio.
Come è orientamento prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza, nel
contesto di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, la cessione
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7. Gli accordi amministrativi
CASISTICA
volontaria assolve alla peculiare funzione dell’acquisizione del bene da parte
dell’espropriante, quale strumento alternativo all’ablazione d’autorità. In particolare, l’art. 12, Legge 21.10.71, n. 856, oggi trasfuso nell’art. 20 T.U. delle
espropriazioni, d.P.R. 8.6.01, n. 327, prevede la possibilità per il proprietario
espropriando di comunicare all’espropriante se condivide la misura dell’indennità di esproprio, rendendosi così disponibile ad una cessione volontaria del
bene oggetto di espropriazione.
La scelta di concludere il procedimento espropriativo con la cessione volontaria
del bene ha essenzialmente l’effetto di attribuire al proprietario espropriando:
a) il diritto di pretendere dall’espropriante che abbandoni il procedimento
ablatorio in corso e acquisisca la proprietà del bene con attività negoziale; b) di
ottenere l’indennità secondo i criteri di cui al d.P.R. n. 327/2000, art. 20.
Pertanto, la cessione volontaria del bene costituisce l’atto conclusivo del procedimento di espropriazione, comportando l’effetto traslativo della proprietà
interessata dalla realizzazione dell’opera pubblica e, nel procedimento espropriativo, produce i medesimi effetti del decreto di esproprio che “sostituisce”;
per questa ragione, essa non perde la sua connotazione di atto autoritativo
implicando la confluenza, in un unico atto, di “provvedimento e negozio” e
senza che la presenza del negozio snaturi l’attività dell’amministrazione. Del
resto, è proprio a partire dall’introduzione dell’art. 11 Legge n. 241/1990 che
il fine pubblico ben può essere perseguito anche attraverso la diretta negoziazione del contenuto del provvedimento finale (sulla cessione, tra le altre, Cass.
civ. sez. un., 30.1.08, n. 2029, in Giust. civ. Mass., 2008, 1, 113; Cons. Stato, sez.
VI, 14.9.05, n. 4735 in Foro amm. CDS, 2005, 9, 2678).
Come tale, anche la cessione risulterà sottoposta alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo (vedi infra pag. 51).
• Sulla distinzione tra la cessione volontaria e il contratto di compravendita
di un bene - L’istituto della cessione volontaria si distingue dall’ordinario strumento contrattuale, avendo una sua peculiarità procedimentale che si evidenzia
nei seguenti punti: a) l’inserimento del contratto in un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, avente la funzione di realizzarne il risultato peculiare
dell’acquisizione della proprietà dell’immobile da parte dell’espropriante, mediante
uno strumento alternativo; b) la preesistenza, nell’ambito del procedimento, della
dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare, nonché della determinazione dell’indennità da parte dell’espropriante, che deve essere offerta all’espropriando e da questi accettata in conformità dell’art. 12, Legge 22.10.71, n. 865; c)
il prezzo per il trasferimento volontario dell’immobile deve essere correlato in
modo vincolante ai parametri di legge stabiliti per la determinazione
dell’indennità spettante per la sua espropriazione, dai quali non è possibile in alcun
modo discostarsi (Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 3.7.14, n. 319, in Redazione
Giuffrè amministrativo, 2014, 7-8, 82);
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Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni
• Sull’insussistenza di un contratto preliminare tra espropriante e espropriato - L’iter procedurale della cessione volontaria di un bene oggetto di espropriazione per pubblica utilità non consente di individuare, prima della stipula del contratto
definitivo di cessione del bene, un contratto preliminare tra l’ente espropriante e il
proprietario espropriando. Ora, nell’intervenuto scambio fra le parti dei due atti (la
comunicazione dell’espropriante e la dichiarazione di condivisione dell’espropriando),
non è ravvisabile un contratto preliminare rispetto a quello successivo di cessione
volontaria del bene perché nessuno degli atti in questione ha un contenuto volitivo,
ma solo conoscitivo nel senso che il primo dei due si limita a fornire alla controparte
gli elementi di conoscenza necessari perché questi possa consapevolmente decidere
di optare per il proseguo del procedimento oblatorio, ovvero per una soluzione negoziale, mentre il secondo, a sua volta, si limita a dichiarare che condivide la stima effettuata dal primo, dichiarandosi, quindi, disponibile ad una cessione su base negoziale
del terreno. Piuttosto, come è anche opinione della dottrina più accreditata, tra le
parti interviene un solo contratto ed è quello che ha per oggetto il trasferimento
della proprietà dell’immobile (Cass. civ., 8.5.14, n. 9990, in Giust. civ. Mass., 2014);
• Sull’insussistenza dell’obbligo a contrarre per la p.a. - Tra gli effetti della scelta
di ricorrere alla cessione volontaria del bene in luogo del procedimento di espropriazione cd. ordinario non vi è quello di obbligare la Pubblica Amministrazione a porre in
essere il trasferimento del bene, perché l’amministrazione che ha iniziato un siffatto
procedimento non è obbligata per legge a completarlo, e quindi, neppure, a porre in
essere il contratto di cessione, né è configurabile in capo al privato che abbia concluso
detto accordo un diritto ad essere espropriato.
È questo un aspetto che, per quanto implicito nella normativa di cui alla Legge
n. 865/1971 trova chiara esplicazione nel T.U. sull’espropriazione (d.P.R.
n. 327/2001). Infatti, l’art. 20, comma 11 sancisce che, “dopo aver corrisposto
l’importo concordato, l’autorità espropriante, in alternativa alla cessione volontaria,
può procedere, anche su richiesta del promotore dell’espropriazione, all’emissione e
all’esecuzione del decreto di esproprio”; la medesima facoltà, ai sensi del comma 12,
è riservata all’Amministrazione per le ipotesi in cui il proprietario “abbia condiviso
la indennità senza dichiarare l’assenza di diritti di terzi sul bene, ovvero qualora non
effettui il deposito della documentazione di cui al comma 8 nel termine ivi previsto
ovvero ancora non si presti a ricevere la somma spettante”. In altri termini, il Testo
Unico conferisce all’autorità espropriante il vero e proprio potere di decidere se,
dopo la corresponsione dell’indennità concordata, stipulare la cessione volontaria,
ovvero emettere il decreto di esproprio.
Sicché, in conclusione, si può affermare che: a) rispetto alla scelta se concludere o
meno l’accordo di cessione, la P.A. conserva intatto il proprio potere discrezionale,
rimanendo sempre libera di chiudere il procedimento espropriativo con un atto
autoritativo unilaterale (quale il decreto di esproprio) anziché consensuale; b) una
volta che il proprietario abbia condiviso la determinazione dell’indennità di esproprio,
l’Amministrazione ha, comunque, l’obbligo di corrispondergli il beneficio economico
previsto dalla Legge n. 865/1971, art. 21 (applicabile rationis materiae), a prescindere
dalla concreta modalità di chiusura della procedura ablatoria. Più che di diritto alla
stipula della cessione bonaria, dunque, sembra opportuno parlare di diritto del privato
all’accettazione dell’indennità provvisoria, che di per sé già consente al proprietario di
ottenere il vantaggio economico della non decurtazione o della maggiorazione di cui
alla normativa richiamata. Con la conseguenza che per il privato accettante, è del tutto
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7. Gli accordi amministrativi
indifferente che la vicenda ablativa si concluda con la stipula della cessione volontaria,
ovvero con l’emanazione del decreto d’esproprio, poiché in entrambi i casi egli godrà
del vantaggio economico già prefigurato, concordando la cessione volontaria del bene.
(Cass. civ., 8.5.14, n. 9990 in Giust. civ. Mass., 2014);
Sulla natura giuridica - La cessione volontaria del bene in corso di espropriazione, ancorché sia disciplinata da prestabiliti parametri legali che circoscrivono la
discrezionalità dell’amministrazione all’an della stipulazione, deve essere ricondotta
nell’alveo degli accordi sostitutivi di provvedimento amministrativo contemplati dall’art. 11 Legge n. 241/1990, in quanto l’atto negoziale stipulato
tra la p.a. e il privato tiene luogo del decreto di espropriazione, di cui produce i
medesimi effetti, e comporta la confluenza in un unico testo di provvedimento e
negozio senza che la presenza del secondo snaturi l’attività dell’amministrazione, la
quale persegue il fine pubblico attraverso la diretta negoziazione del contenuto del
provvedimento finale (Cons. Stato, sez. V, 20.8.13, n. 4179, in Riv. giur. edilizia,
2013, 6, I, 1157).
L’urbanistica negoziata: la convenzione di lottizzazione Il diritto urbanistico è sicuramente il campo in cui si riscontra maggiormente il modus operandi degli accordi tra Amministrazione e privati, con i quali viene definito il
contenuto dell’azione amministrativa. La convenzione di lottizzazione è uno
strumento di attuazione del piano regolatore generale avente ad oggetto la
definizione dell’assetto urbanistico di una parte del territorio.
Anch’essa costituisce una manifestazione empirica di quella contrattualizzazione del potere che trova nell’art. 11 della Legge n. 241/1990 fondamento
legislativo e organica disciplina. In particolare, lo strumento convenzionale in
oggetto è stato pacificamente qualificato dalla giurisprudenza come accordo
sostitutivo di provvedimento, in quanto costituisce esercizio consensuale di
un potere pianificatorio che sfocia in un progetto e in una serie di disposizioni
urbanistiche generanti obbligazioni od oneri, rese pubbliche attraverso la trascrizione, che si impongono anche agli aventi causa dal lottizzante in forza
della loro provenienza e della loro funzione sostitutiva (così Cons. Stato, sez.
IV, 8.7.13, n. 3597, in Foro amm. CDS (Il), 2013, 7-8, 1949; Cons. Stato, sez. IV,
21.1.13, n. 324, in Riv. giur. edilizia, 2013, 2, I, 317).
La convenzione di lottizzazione, dal carattere bilaterale e vincolante per le
parti, è pertanto assoggettata alla disciplina dettata dall’art. 11 della Legge
n. 241/1990 e, quindi, ai principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti, per aspetti non incompatibili con la generale disciplina pubblicistica (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 2.2.12, n. 616 in Riv. giur. edilizia, 2012, 1, 239; Cons.
Stato 2.8.11, n. 4576 in Riv. giur. edilizia, 2011, 6, I, 1648; Cass. civ. sez. Unite,
1.7.09, n. 15388 in Giust. civ. Mass., 2009, 7-8, 1015).
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CASISTICA
Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni
• Sulla giurisdizione in tema di convenzioni di lottizzazione - Rientra pacificamente nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo una controversia
riguardante l’esatta esecuzione di obblighi nascenti dalla convenzione urbanistica,
riguardante l’attuazione di un piano di lottizzazione (Cons. Stato, 14.5.14, n. 2477,
in Redazione Giuffrè amministrativo, 2014, 5, 62). Non mancano pronunce in cui
la giurisdizione esclusiva, lungi dal fondarsi sull’art. 133 c.p.a. è stata giustificata dal
fatto che si vertesse in materia di urbanistica (Tar Calabria, Catanzaro, sez. I,
25.8.12, n. 880, in Foro amm. TAR, 2012, 7-8, 2553). Le ampie maglie della giurisdizione esclusiva sono atte a comprendere anche la risoluzione della suddetta convenzione per inadempimento della pubblica amministrazione, nonché la condanna di
quest’ultima al risarcimento del danno (Cons. Stato, sez. IV, 28.11.12, n. 6033 in
Foro amm. CDS, 2012, 11, 2865; Cons. Stato, sez. IV, 23.8.10, n. 5904, in Foro
amm. CDS, 2010, 7-8, 1458);
• Sull’inadempimento del lottizzante - In caso di inadempimento della parte lottizzante o del suo avente causa, all’amministrazione è pacificamente riconosciuto
il diritto di avvalersi di tutti i rimedi offerti dall’ordinamento al privato creditore,
per poter realizzare coattivamente il proprio interesse patrimoniale (Tar Piemonte,
Torino, sez. I, 21.2.14, n. 318). Di conseguenza, a fronte dell’inadempimento del privato
lottizzante, ben può il soggetto pubblico dichiarare la decadenza della convenzione urbanistica stipulata, cui era subentrata la società ricorrente, per grave inadempimento dei soggetti attuatori in relazione alle opere di urbanizzazione e disporre
l’escussione della relativa polizza fideiussoria (Tar Emilia Romagna, Bologna, sez.
I, 21.3.14, n. 306, in Foro amm. CDS (II), 2014, 3, 876); così come può chiedere
l’emissione di una sentenza costitutiva, utilizzando il rimedio di cui all’art. 2932
c.c., che rappresenti l’esecuzione specifica dell’inadempiuto obbligo assunto dal privato nei confronti dell’amministrazione, sempre se gli effetti, definitivi e finali, in cui
si articola il programma negoziale siano già stati compiutamente definiti dalle parti
(Tar Lazio, Roma, sez. II, 3.7.13 n. 6577 in Foro amm. TAR (Il), 2013, 7-8, 2371);
• Sull’inadempimento della p.a. - In caso di inadempimento della parte pubblica,
che non si concreti nell’esercizio dello ius variandi (di cui infra), al privato è preclusa
l’azione per l’adempimento coattivo ex art. 2932 c.c. stante il carattere incoercibile
dell’impegno di autorizzare la lottizzazione nei termini di cui alla sottoscritta convenzione. L’unica azione esperibile, in tal caso, è l’azione avverso il silenzio - inadempimento (Cons. Stato, sez.VI, 15.5.02, n. 2636 in Foro it., 2004, III, 152;Tar Lazio,
Latina, sez. I, 2.8.05, n. 646, in Foro amm. TAR, 2005, 2452);
• Lo ius variandi - La natura della convenzione di accordo sostitutivo del provvedimento autorizza l’amministrazione a sciogliersi dall’accordo per sopravvenuti motivi
di pubblico interesse ed a regolare unilateralmente ed autoritativamente i rapporti e
le attività oggetto della convenzione. Riconoscendo pertanto tale ius variandi di fronte
a sopravvenute esigenze pubbliche, a fortiori non può precludersi all’amministrazione
la facoltà di modificare la convenzione di fronte ad un’errata applicazione della normativa vigente. La necessità quindi di applicare la disciplina vigente, essendosi l’amministrazione avveduta dell’errore nel mero calcolo delle aree destinate a parcheggio
rende legittimo il provvedimento con cui unilateralmente viene modificata la convenzione, applicando correttamente la disciplina in materia. (Tar Lombardia, Milano,
sez. II, 18.1.11, n. 104 in Foro amm. TAR, 2011, 1, 26).
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7. Gli accordi amministrativi
• Sulla natura delle obbligazioni e l’efficacia degli impegni assunti con le convenzioni - Le obbligazioni assunte con le convenzioni urbanistiche si configurano
come di natura reale, in quanto legate ai beni che le presuppongono e fanno acquisire con la trascrizione della convenzione efficacia reale agli impegni assunti dal
soggetto attuatore, che vengono in tal modo ad operare propter rem anche nei
confronti e a favore dei successivi proprietari, senza necessità di uno specifico atto
di assunzione di tali obbligazioni verso il Comune. La realità delle obbligazioni comporta la loro natura ambulatoria ed il trasferimento della proprietà dei beni comporta l’automatica successione dell’acquirente nelle relative obbligazioni, ma anche
dei diritti, assunti ed acquisiti nei confronti del Comune dal venditore, senza necessità
di espresse “volturazioni” della convenzione. Non dovendo quindi il Comune accettare la cessione del contratto ex art. 1406 c.c. affinché le obbligazioni si trasferiscano
all’acquirente, l’acquirente subentra nella titolarità del diritto all’attuazione dell’intervento convenzionato e l’amministrazione può pretendere l’adempimento della convenzione senza necessità di ulteriori atti (Cons. Stato, sez. IV, 12.3.09, n. 1477, in
Foro amm. CDS, 2009, 3, 680).
La convenzione per l’edilizia abitativa e la convenzione per l’edilizia
economica e popolare L’amministrazione consensuale è riuscita a penetrare
e diffondere i suoi moduli anche nell’ambito di un settore così socialmente
rilevante come l’edilizia abitativa e l’edilizia economica e popolare. Ivi, hanno
acquisito una sempre maggiore pregnanza le convenzioni attraverso le quali
l’amministrazione negozia con i privati l’esercizio del suo potere accordandosi
sulle misure da adottare e che vanno sotto l’etichetta di “edilizia residenziale
convenzionata”.
Con l’espressione “edilizia residenziale convenzionata” si fa riferimento a
quegli interventi di edilizia residenziale posti in essere previa stipulazione di
una convenzione tra il privato e il Comune con la quale il primo si impegna,
a fronte di concessioni da parte dell’Amministrazione pubblica (riguardanti,
rispettivamente, l’assegnazione delle aree su cui edificare o la riduzione del
contributo concessorio), ad assumere obblighi inerenti l’urbanizzazione del
comparto e l’edificazione di alloggi di edilizia economico popolare e dalla
quale, inoltre, discendono vincoli incidenti sulla successiva circolazione degli
alloggi così realizzati.
Due sono le convenzioni che tradizionalmente si fanno rientrare nell’ambito
dell’edilizia residenziale convenzionata: la convenzione di attuazione di un
Piano di Edilizia Economico Popolare (P.E.E.P.), detta anche “convenzione
per l’edilizia economica e popolare”, e la convenzione per la riduzione del
contributo concessorio al cui pagamento è subordinato il rilascio del permesso
di costruire detta anche “convenzione per l’edilizia abitativa”.
Le due tipologie di convenzioni se condividono la funzione, che è quella di
garantire il diritto all’abitazione anche a fasce sociali maggiormente disagiate,
si differenziano tra loro per la struttura.
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Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni
La convenzione per l’edilizia economica e popolare, si pone nell’ambito
del più ampio procedimento di edilizia residenziale pubblica tracciato dalla
Legge 22.10.71, n. 865 ed è oggi disciplinata dall’art. 35 della suddetta Legge
n. 865/1971 (di seguito “la convenzione P.E.E.P.”).
Come riconosciuto dalla giurisprudenza, essa, nella forma e nella sostanza,
configura un accordo sostitutivo del provvedimento. In particolare, la convenzione in esame è certamente sostitutiva, in virtù di specifica previsione
normativa, dei procedimenti di espropriazione che la p.a. avrebbe dovuto
necessariamente attivare per reperire le aree su cui attuare il programma di
edilizia residenziale pubblica (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11.12.07, n. 6358, in
Foro amm. CDS, 2007, 12, I, 3403 che richiama Cass., sez. un., n. 14031/2001;
n. 8593/1998).
Vi si applicherà quindi l’art. 11 della Legge n. 241/1990 quanto alla disciplina
sostanziale, e l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 2) c.p.a. quanto alla disciplina processuale.
Segnatamente, sono da ricondurre all’alveo della giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo tutte le controversie in materia di edilizia residenziale
pubblica in quanto espressione dell’uso particolare del territorio che si traduce nell’attività di edificazione o nel suo diniego mediante provvedimenti
espressivi di funzione pubblica o moduli convenzionali sostitutivi (Cass. civ.,
sez. un., 11.2.03, n. 2063 in Riv. giur. edilizia, 2003, I,1234; Cons. Stato, sez. V,
1.12.03, n. 7820 in Vita not., 2003, 1401).
Al giudice ordinario continueranno invece a spettare le controversie relative al mero
pagamento di indennità o canoni (Tar Sardegna, Cagliari, sez. I, 14.6.10, n. 1485 in
Foro amm. TAR, 2010, 6, 2212).
La “convenzione per l’edilizia abitativa” è invece disciplinata dall’art. 18
del d.P.R. 6.6.01, n. 380 (T.U. in materia edilizia) che sul punto ha sostituito
la disciplina in precedenza dettata dagli artt. 7 e 8 della Legge 28.1.77, n. 10
(meglio nota come “Legge Bucalossi”) (di seguito “la convenzione Bucalossi”).
A siffatta convenzione è riconosciuto invece un carattere di accordo integrativo ed accessorio, qualificandosi come accordo sul contenuto discrezionale
del provvedimento di permesso di costruire, a partire dalla sentenza della
Cass. civ., sez. un., 9.4.99, n. 230, in Giust. civ. Mass., 1999, 789.
La convenzione per la gestione del servizio idrico integrato La panoramica in merito alle figure di “accordi amministrativi” tratte dalla realtà giuridica ad opera della giurisprudenza si conclude con la convenzione adottata
all’esito della procedura di affidamento condotta dall’Autorità d’ambito per
la gestione del servizio idrico integrato.
Tale strumento convenzionale trova la sua ragion d’essere nel “servizio idrico
integrato” che l’art. 141, comma 2, D.Lgs. 3.4.06, n. 152 definisce come insieme
di “servizi pubblici” (di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad
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7. Gli accordi amministrativi
usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue), la cui “organizzazione” è affidata agli enti locali (riuniti in Autorità di ambito) che ne stabiliscono tariffe e forme di gestione, provvedendo altresì a vigilare sul loro
regolare svolgimento (art. 142, comma 3).
In tale contesto la convenzione che, ai sensi dell’art. 150, D.Lgs. n. 152/2006,
disciplina i rapporti fra i predetti enti ed il gestore del servizio idrico costituisce
uno strumento pubblicistico strettamente funzionale ai compiti di vigilanza
ed organizzazione del servizio che la legge attribuisce alle amministrazioni
locali, come dimostra il fatto che, in caso di mancato esercizio dei predetti
poteri, la regione può nominare un commissario ad acta che si sostituisca agli
enti inadempienti nell’esercizio delle prerogative convenzionalmente previste
(art. 152, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006).
Lungi dal configurare un contratto di diritto privato, dunque, la convenzione
in esame integra uno strumento bilaterale per l’esercizio di potestà pubbliche,
che ben può farsi rientrare nel genus degli accordi amministrativi necessari
soggetti alla disciplina dell’art. 11, Legge n. 241/ 1990 e, quanto alla giurisdizione, all’art. 133, comma 1, lett. a), n. 1 del c.p.a. In questo senso, Tar Lombardia, Milano, sez. I, 26.9.13, n. 2206, in Foro Amm. TAR (Il), 2013, 9, 2685.
2. Gli accordi tra le pubbliche amministrazioni
2.1. G
li accordi tra le pubbliche amministrazioni  art. 15, Legge
n. 241/1990
La sussidiarietà orizzontale L’altra figura di amministrazione consensuale
che il nostro ordinamento conosce è rappresentata dagli accordi tra le pubbliche amministrazioni.
Tali accordi, disciplinati dall’art. 15 della Legge n. 241/1990, consentono alle
pubbliche amministrazioni “al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 14” (cioè
dalla “conferenza di servizi”) “di disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune” riconducibili all’esercizio delle pubbliche funzioni loro assegnate dall’ordinamento.
Il rapporto che lega la conferenza di servizi agli accordi è definito dallo stesso
legislatore: ambedue sono istituti di semplificazione ma la prima si pone
quale minus rispetto ai secondi, in quanto mentre nella conferenza di servizi
c’è sempre un’amministrazione procedente, con gli accordi ex art. 15 la semplificazione raggiunge il suo massimo livello poiché tra le parti si instaura un
vero e proprio rapporto pattizio e pari ordinato, con diritti e obblighi reciproci.
Per individuare i requisiti necessari ai fini dell’integrazione della fattispecie di
cui trattasi, occorre prendere le mosse proprio dalla (succinta) definizione che
ne offre l’ordinamento, secondo cui, in base a quanto in precedenza riportato,
si tratta di “accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività
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Gli accordi tra le pubbliche amministrazioni
di interesse comune”. I due elementi testuali che emergono dalla predetta definizione sono pertanto i seguenti:
- attività di interesse comune tra le pubbliche amministrazioni coinvolte;
- svolgimento in collaborazione tra di loro della predetta attività.
Il primo requisito è lo svolgimento di una “attività di interesse comune”.
Quanto alle caratteristiche dell’attività, la stessa deve essere intesa come qualsiasi tipo di attività giuridica posta in essere da parte di una pubblica amministrazione finalizzata alla realizzazione di un interesse pubblico. Non rileva,
pertanto, l’esatta tipologia dell’attività in questione, che può essere attività
amministrativa di diritto pubblico, attività amministrativa di diritto privato
funzionalizzata, in quanto immediatamente intesa al perseguimento di interessi pubblici, o ancora attività di diritto comune avente ad oggetto i rapporti
patrimoniali e le acquisizioni di beni e di servizi strumentali allo svolgimento
delle attività finali della amministrazione e anche attività materiali da svolgere nell’espletamento di un pubblico servizio e direttamente in favore della
collettività (Cons. Stato, sez. VI, 8.4.02, n. 1902). Ciò che conta è che la stessa si
concretizzi, comunque, in definitiva, in una (immediata o mediata) funzione
di interesse pubblico.
Tale attività richiede lo “svolgimento in collaborazione” da parte delle amministrazioni contraenti. Si badi che tale norma non prevede l’identità delle funzioni, e pertanto delle competenze, ma solamente lo svolgimento di attività di
interesse comune; e, in effetti, non ha senso richiedere una perfetta sovrapposizione di competenze per poter concludere un accordo ai sensi del richiamato
art. 15, ma sembra sufficiente il ricorrere di una evenienza in cui una determinata attività può essere complementare e sinergica ad un’altra di competenza
di altra amministrazione.
Ne consegue che le pubbliche amministrazioni possono integrare le proprie
rispettive competenze istituzionali, scambiandosi tra di loro la prestazione di
servizi proprio attraverso lo “svolgimento in collaborazione” di attività di interesse comune.
A tal proposito, l’accezione di “interesse comune” in ambito nazionale è piuttosto ampia e coincide, nella sostanza, con il perseguimento dell’interesse
pubblico da parte degli enti partecipanti all’accordo conformemente ai loro
scopi istituzionali; non è necessario, pertanto, che lo specifico scopo istituzionale perseguito sia esattamente il medesimo per entrambe le amministrazione
contraenti.
La cifra distintiva di tale rapporto tra soggetti pubblici risiede pertanto nella
finalità di collaborazione e di condivisione che induce le amministrazioni ad
accordarsi per il raggiungimento degli obiettivi di rilevanza pubblica.
Il coordinamento dell’azione di diversi apparati amministrativi si inquadra
nell’ambito della sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost. e consente
al tempo stesso di dare attuazione ai criteri costituzionali dell’efficacia e del
buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
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7. Gli accordi amministrativi
FOCUS
Tale norma chiude il cerchio della amministrazione negoziata consentendo
agli enti, con la clausola generale dell’art. 15, di negoziare fra loro, anche
nell’ambito della sfera pubblicistica, gli accordi più diversi con i soli vincoli
dati dall’irrinunciabilità della titolarità delle funzioni attribuite dalla legge,
dal rispetto di eventuali norme imperative che possano costituire ostacolo agli
accordi in questione e, naturalmente, dal rispetto dei principi di buona amministrazione e dei principi di concorrenza di derivazione comunitaria.
In particolare, il riconoscimento alle amministrazioni pubbliche della potestà
di adempiere alle proprie funzioni di diritto pubblico in collaborazione con
altre autorità pubbliche non può mai costituire uno strumento elusivo dei vincoli imposti dalla normativa sugli appalti pubblici.
Recentemente si è posto in giurisprudenza, con frequenza, un problema,
che attiene alla possibilità per un’amministrazione di fare legittimamente
ricorso alle convenzioni pubbliche ex art. 15, Legge 7.8.90, n. 241 senza il
previo esperimento di una gara.
“Collaborare” significa condividere, in una logica di sussidiarietà orizzontale, la tensione
verso obiettivi aventi rilevanza pubblica e, dunque, l’esercizio di funzioni pubbliche. Se
questo è il vero significato da attribuire all’espressione “collaborazione”, allora gli strumenti giuridici da utilizzare per regolare i rapporti che ne conseguono non possono che
essere diversi dall’appalto.
Infatti, atteso che l’accordo tra pubbliche amministrazioni può anche comportare l’affidamento senza una gara di un servizio finalizzato all’esercizio della funzione, è necessario che il relativo intervento non sia incompatibile con i principi di concorrenza,
trasparenza e non discriminazione che regolano il mercato degli appalti pubblici.
Ciò ha reso indispensabile individuare un discrimen tra la figura degli accordi tra
pubbliche amministrazioni e i contratti di appalto, in quanto mentre nel primo
caso le p.a. sono libere di addivenire alla stipula dell’accordo senza alcuna formalità
preventiva, nel secondo caso devono rispettare la rigida procedura ad evidenza pubblica
dettata dalle direttive comunitarie per la scelta del contraente.
La Corte di Giustizia ha stabilito, in generale, che un’autorità pubblica può adempiere
ai compiti ad essa incombenti mediante propri strumenti, senza essere obbligata a far
ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi, e che può farlo, altresì, in
collaborazione con altre autorità pubbliche (Corte giust. CE, 13.11.08, causa C 324/07
e 9.6.09 causa C-480/06).
In particolare la sentenza 9.6.09 in C-480/06, e soprattutto il paragrafo n. 47, attribuisce
rilievo al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico mediante accordi tra pubbliche amministrazioni, e ne valuta la compatibilità con la normativa comunitaria, in quanto
la stessa tende preminentemente a salvaguardare il principio della parità di trattamento
tra soggetti privati aventi scopo di lucro.
In conclusione, si deve ritenere che, pacificamente, nella giurisprudenza comunitaria sia
riconosciuta la possibilità che le amministrazioni pubbliche, ferma la loro legittimazione
a concorrere alla pari delle imprese private nelle pubbliche gare, concludano accordi
diretti per il perseguimento di fini di interesse pubblico.
Il Parlamento europeo, con Risoluzione del 18.5.10 sui nuovi sviluppi in
materia di appalti pubblici (2009/2175(INI), ricordando che il Trattato di Lisbona
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Gli accordi tra le pubbliche amministrazioni
CASE HISTORY - STUDIO CLARICH
entrato in vigore il 1° dicembre 2009 ha introdotto per la prima volta nel diritto
dell’Unione europea un riconoscimento del diritto all’autonomia regionale e locale, ha
posto l’accento sulla possibilità accordata dalla più recente giurisprudenza comunitaria (sent. 19.4.07, in causa C-295/05 Tragsa; 18.12.07, in causa C-532/03 Commissione
contro Irlanda; 13.11.08, in causa C-324/07 Coditel Brabant; 10.9.09, in causa C-206/08
Eurawasser; 9.10.09, in causa C-573/07 Sea s.r.l.; 15.10.09, in causa C-196/08 Acoset;
15.10.09, in causa C-275/08 Commissione contro Germania; 25.3.10, in causa C-451/08
Helmut Muller) alle autorità pubbliche di ricorrere ai propri strumenti per adempiere a
missioni di diritto pubblico in collaborazione con altre autorità pubbliche ed ha sottolineato come, in particolare dopo la sentenza della Corte (Grande Sezione) del 9 giugno
2009 nella causa C-480/06 Commissione contro Germania, i partenariati pubblico-pubblico, così come gli accordi di collaborazione tra autorità locali, non rientrino nel campo
di applicazione delle direttive sugli appalti pubblici a condizione che siano soddisfatti i
seguenti criteri:
a) lo scopo del partenariato sia l’esecuzione di un compito di servizio pubblico spettante a tutte le autorità amministrative in questione;
b) il compito sia svolto esclusivamente dalle autorità pubbliche, senza la partecipazione
di privati o imprese private;
c) l’attività sia espletata essenzialmente per le autorità pubbliche coinvolte.
I tre criteri elaborati dal Parlamento europeo per legittimare una convenzione pubblicistica che affidi il servizio senza gara sono stati ripresi da Tar Lazio, Roma, sez.
III-quater, 27.10.12, n.9848.
Sul punto, però, si è recentemente pronunciata la Corte di giustizia con sentenza
19.12.12, n. C-159/11 a seguito del rinvio pregiudiziale proposto dal Consiglio di Stato.
Al momento la decisione comunitaria costituisce il punto di arrivo della giurisprudenza
nella costruzione di un’area di accordi pubblicistici svincolati dall’obbligo di gara ma pur
tuttavia legittimi. Si riporta la fattispecie in quanto “leading case”.
Il caso
La ASL di Lecce senza previo esperimento della procedura ad evidenza pubblica, con
deliberazione del suo Direttore generale approvava il disciplinare relativo all’esecuzione, da parte dell’Università del Salento, di un’attività di studio e di valutazione della
vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce alla luce delle
recenti normative nazionali emanate in materia di sicurezza delle strutture e, in particolare, degli edifici cosiddetti «strategici». I due enti pubblici concludevano pertanto un
contratto di consulenza a titolo oneroso.
La deliberazione in oggetto è stata impugnata dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia
di Lecce, nonché da altre associazioni a causa dell’asserita inosservanza della normativa
in materia di appalti pubblici.
Il problema che ha dato origine al contenzioso amministrativo prima e al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia poi attiene proprio alla qualificazione del suddetto contratto
e, segnatamente, se esso configuri un accordo di cooperazione tra soggetti pubblici per
lo svolgimento di attività di interesse generale ex art. 15 della Legge n. 241/1990 (come
ritengono i contraenti) oppure un appalto di servizi (tesi dei ricorrenti).
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7. Gli accordi amministrativi
Come è stato affrontato
In primo grado, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia ha accolto il ricorso
dell’Ordine degli Ingegneri e altri dichiarando l’illegittimità della deliberazione sul presupposto per cui l’affidamento dell’incarico relativo all’attività di studio costituiva un
appalto di servizi d’ingegneria, ai sensi della normativa italiana e, in quanto tale, soggiaceva al Codice dei contratti pubblici, fedele trasposizione della normativa comunitaria
in materia di pubblici appalti.
In appello, il Consiglio di Stato ha sottoposto alla Corte di Giustizia con ordinanza
11.2.11 n. 966 la questione pregiudiziale avente ad oggetto l’interpretazione della
direttiva 2004/18/CE (in particolare art. 1, par. 2, lett. a e d; art. 2 e 38 e all. II, cat. 8 e
12) e del principio di libera concorrenza per comprendere se osti al diritto dell’Unione
la conclusione di un contratto di consulenza tra due amministrazioni aggiudicatrici,
senza previa gara, verso un corrispettivo non superiore ai costi per l’esecuzione della
prestazione, qualora l’amministrazione esecutrice possa qualificarsi come “operatore
economico”.
La decisione
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sentenza 19.12.12, n. C-159/11 Pres. Skouris - rel. Šváby, ha risolto la questione pregiudiziale nei seguenti termini.
Per tutti quei contratti che istituiscono una cooperazione tra enti pubblici finalizzata
a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune le norme del
diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici non sono applicabili, ma a condizione
che:
a) tali contratti siano stipulati esclusivamente tra enti pubblici, senza la partecipazione
di una parte privata;
b) che nessun prestatore privato sia posto in una situazione privilegiata rispetto ai suoi
concorrenti;
c) e che la cooperazione da essi istituita sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico.
Il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici, pertanto, osta ad una
normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un
contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione tutte le volte in cui lo strumento contrattuale non abbia il fine di
garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti
medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse
al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico, oppure sia tale da porre un
prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti. L’accertamento dei tre requisiti (cumulativi), ovvero la comunanza ai contraenti della
funzione di servizio pubblico, la sussistenza di esigenze di interesse pubblico e l’assenza
di privilegio anticoncorrenziale, spettano al giudice nazionale del rinvio.
Il giudice del rinvio, alla luce della pronuncia della Corte di giustizia, ha vagliato se
nella fattispecie concreta tra gli enti sussistessero i tre requisiti.
Negli accordi tra enti pubblici l’assetto di interessi è il frutto dell’utilizzo di uno strumento consensuale, in più occasioni definito dalla giurisprudenza “contratto a oggetto
pubblico”, che in comune con il contratto ex art. 1321 c.c. ha solo l’accordo tra le parti
in condizione di parità e il suo carattere vincolante senza che a esso si accompagni
l’ulteriore elemento della patrimonialità del rapporto.
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Gli accordi tra le pubbliche amministrazioni
Infatti, le amministrazioni pubbliche partecipano all’accordo in posizione di equiordinazione non già per comporre un conflitto tra interessi diversi di tipo patrimoniale,
bensì per coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune. E
invero è proprio la “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, pur nella
diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione a difettare nel caso
di specie, perché il contratto in contestazione è inquadrabile nel paradigma generale
previsto dall’art. 1321 c.c., essendo caratterizzato dalla patrimonialità del rapporto giuridico con esso costituito e disciplinato, a causa della riconducibilità delle prestazioni
demandate all’Università del Salento ai servizi di cui alle categorie 8 e 12 dell’allegato
IIA alla direttiva 2004/18 e del fatto che queste sono destinate ad essere fatte proprie
dall’Asl affidante.
Corte giust. CE, 19.12.12, C-159/11.
Cons. Stato, sez. V, 15.7.13, n. 3849, in Publica 2013.
Disciplina Per gli accordi tra pubbliche amministrazioni la disciplina applicabile è frutto di un rinvio, operato dall’art. 15, comma 2, alle disposizioni
previste dall’art. 11, commi 2 e 3 della Legge n. 241/1990. E quindi valgono
anche per gli accordi tra soggetti pubblici i principi generali del codice civile
in materia di obbligazioni e contratti (in quanto compatibili e ove non diversamente disposto); l’obbligo della forma scritta a pena di nullità; l’obbligo di
motivazione e, infine, i controlli.
Tale rinvio alle disposizioni previste per gli accordi tra privati e p.a. lungi
dall’essere generale è subordinato alla clausola “in quanto applicabili”.
Il giudizio sulla compatibilità si è posto, in particolar modo, con riguardo ai
“principi generali del codice civile in materia di obbligazioni e contratti”.
La giurisprudenza ha precisato che siffatto giudizio di compatibilità va condotto caso per caso, guardando al contenuto degli accordi, alle singole clausole
e, finanche, al ruolo dei soggetti privati coinvolti per discernerne la natura
“politico-istituzionale” ovvero “giuridico-gestionale”.
Ai sensi dell’art. 11, comma 2, Legge. 7.8.90, n. 241 anche agli accordi fra Pubbliche amministrazioni, disciplinati dal successivo art. 15 della stessa Legge n. 241 e
da specifiche discipline di settore, possono applicarsi i principi del codice civile in
materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili, ma l’applicazione della
disciplina civilistica delle obbligazioni dipende dal contenuto degli accordi e delle
singole clausole contenute negli stessi atteso che detti accordi possono avere contenuti molto diversi ed essere, prevalentemente, di natura politico istituzionale
(come gli accordi quadro e i protocolli d’intesa fra Ministri o fra Ministri e Presidenti
di Regione), che necessitano di successivi molteplici atti per il perseguimento in
concreto degli obiettivi comuni indicati, o essere viceversa molto dettagliati nella
definizione dei reciproci impegni, come quando sono sottoscritti al fine di risolvere
singole problematiche comuni di carattere gestionale. Accordi e protocolli d’intesa
possono coinvolgere poi anche soggetti privati come nelle intese istituzionali di programma, gli accordi di programma quadro, i patti territoriali, i patti d’area in cui
soggetti pubblici diversi (Stato, Regioni, amministrazioni locali) e anche soggetti
privati concordano l’uso di risorse delle quali hanno la disponibilità per lo sviluppo di
determinati ambiti settoriali o di determinate aree territoriali impegnandosi, anche
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7. Gli accordi amministrativi
con strumenti paracivilistici, al reciproco rispetto dei diritti e dei doveri contenuti
negli accordi.
Se il protocollo d’intesa ha un contenuto prevalentemente politico istituzionale
all’eventuale mancata attuazione di uno degli impegni assunti non potrà che provvedersi con modalità istituzionali. Infatti, tali protocolli d’intesa non contengono,
normalmente, clausole idonee ad assumere rilievo anche sul piano civilistico.
Viceversa il mancato adempimento di un impegno assunto in un protocollo d’intesa
riguardante la gestione comune di un servizio pubblico può comportare anche conseguenze di natura civilistica.
In uno stesso protocollo d’intesa possono poi individuarsi disposizioni più o meno
cogenti e, normalmente, gli stessi protocolli d’intesa prevedono le conseguenze per
il mancato rispetto di una o più delle clausole contenute nell’accordo sottoscritto
(Cons. Stato, sez. III, 24.6.14, n. 3194 in Redazione Giuffrè amministrativo, 2014,
6, 34).
Recesso Sull’ammissibilità del recesso da un accordo siglato tra pubbliche
amministrazioni vi è contrasto di vedute in giurisprudenza.
Secondo un orientamento, prevalente nella giurisprudenza di legittimità, salvo il
caso in cui siano state le stesse parti a prevedere il diritto di recesso nel momento in
cui hanno concordato il regolamento pattizio, quando più amministrazioni pubbliche
utilizzano lo strumento convenzionale al fine di esercitare in collaborazione tra loro
attività di interesse comune, non è consentito l’esercizio della facoltà di recesso
unilaterale.
Ed invero, traendo spunto dalla previsione normativa contemplata dall’art. 15 della
Legge n. 241/1990 che, pur facendo rinvio ad alcune norme di disciplina codificate
dal precedente art. 11 in tema di accordi integrativi o sostitutivi di provvedimenti,
non ne richiama espressamente e significativamente il comma 4 (che regolamenta,
appunto, la facoltà di recedere unilateralmente dall’accordo per sopravvenuti
motivi di pubblico interesse) deve opinarsi per la necessità che l’accordo in questione venga privato di efficacia solo attraverso un contrarius actus, ossia solo nelle
forme del mutuo dissenso mediante una nuova determinazione espressa da tutte le
amministrazioni contraenti che giungono ad un nuova sistemazione degli interessi
sottostanti all’azione amministrativa.
Infatti, l’efficacia perdurante dell’accordo non è nella libera disponibilità di una sola
delle amministrazioni stipulanti, posto che le stesse sono in egual misura attributarie
di un interesse pubblicistico qualificato a tenere in vita i patti.
Ciò non significa che l’amministrazione pubblica che intenda sciogliersi dall’accordo
ex art. 15, Legge n. 241/1990 sia priva di strumenti di tutela di fronte al rifiuto
delle altre amministrazioni di modificare l’assetto degli interessi a seguito delle
intervenute sopravvenienze negli interessi pubblici sottesi all’azione amministrativa. La volontà delle altre amministrazioni non è, infatti, una volontà negoziale
fondata sull’autonomia privata, ma una volontà discrezionale funzionalizzata alla
tutela degli interessi pubblici. Ne consegue che l’amministrazione che intende recedere dall’accordo potrà censurare in sede giurisdizionale il rifiuto delle altre parti di
modificare l’assetto degli interessi originariamente concordato, qualora tale rifiuto
non sia conforme al principio di leale cooperazione tra gli enti pubblici che deve
informare i rapporti tra le amministrazioni pubbliche per effetto della sentenza
n. 303/2003 della Corte Costituzionale.
In definitiva, l’accordo tra amministrazioni pubbliche non modifica l’ordine delle
attribuzioni della funzione amministrativa, perché non è altro che un modulo
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Gli accordi tra le pubbliche amministrazioni
organizzativo dell’azione amministrativa che sostituisce la pluralità di procedimenti
condotti in modo autonomo dalle diverse amministrazioni e destinati a sfociare in
provvedimenti diversi ma tra loro strettamente collegati. L’inscindibilità degli interessi pubblici sottesi all’azione consensuale delle pubbliche amministrazioni, se
non muta l’ordine delle competenze delle stesse, preclude, però, che una singola
amministrazione possa decidere unilateralmente di tornare al modello della amministrazione per singoli provvedimenti, e finisce per imporre pertanto alle stesse un vincolo a continuare a regolare gli interessi pubblici disciplinati dall’accordo mediante
l’utilizzo del modulo organizzativo consensuale (Tar Puglia, Lecce, sez. II, 12.12.12,
n. 1986, in D&G online, 2013, 7 gennaio; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 14.1.09,
n. 90 in Foro amm. TAR, 2009, 1, 13).
Al contrario, secondo un altro orientamento che si attesta su posizioni minoritarie,
l’assenza nell’art. 15 di un richiamo al comma 4 dell’art. 11, che espressamente
consente il recesso dall’accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, non
esclude la possibilità per l’amministrazione di recedere dall’accordo, considerato
che è proprio della funzione d’amministrazione attiva il generale potere di revoca
dal provvedimento amministrativo, del quale l’accordo ha il contenuto ed al quale
è sottesa la cura di un pubblico interesse, per cui è affievolita la forza vincolante di
una convenzione sottoscritta da soggetti pubblici ed è reso inapplicabile il principio
civilistico per il quale il contratto ha forza di legge tra le parti, e che la previsione
dell’art. 11 è confermativa e non derogatoria di detta regola generale (Tar Marche,
sez. I, 19.9.03, n. 1015, in Foro amm. TAR, 2003, 2604).
Ad ogni modo, con riferimento all’ipotesi del recesso, il giudice amministrativo vanta giurisdizione esclusiva.
La giurisdizione Gli accordi tra pubbliche amministrazioni, stipulati ai sensi
dell’art. 15, Legge n. 241/1990, hanno natura pubblicistica, costituendo strumenti di contemperamento di interessi pubblici e di esplicazione di poteri
amministrativi funzionalizzati. L’azione diretta a far dichiarare l’illegittimità
e/o l’inefficacia di un accordo della detta tipologia rientra nella giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’espressa previsione contenuta nell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a. (ex multis, Tar Lazio, sez. II,
8.4.13, n. 3517, Codice amministrativo, Dike, 558). Sulla giurisdizione si veda
infra.
2.2. Gli accordi tra pubbliche amministrazioni nell’ambito del Tuel
In presenza della norma contenuta nell’art. 15 della Legge n. 241/1990, gli
strumenti tipici previsti da altre disposizioni possono essere considerati delle
tipicizzazioni dello strumento generale.
Le disposizioni che vengono in rilievo quali applicazioni della regola generale
di cui all’art. 15 della Legge n. 241/1990 sono tre, gli artt. 30, 31 e 34, D.Lgs.
18.8.00, n. 267, cosiddetto Testo Unico degli enti locali.
L’art. 30 Tuel disciplina le cosiddette “Convenzioni” che gli enti locali possono stipulare tra loro al fine di “svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati”.
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7. Gli accordi amministrativi
Tale convenzione rappresenta, secondo la giurisprudenza, una specie del
genere più ampio degli accordi tra pubbliche amministrazioni di cui all’art. 15
della Legge n. 241/1990, ai quali sono certamente applicabili, in virtù del
richiamo all’art. 11, comma 2 della stessa legge, i principi generali del codice
civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili (si veda Tar
Campania, Salerno, sez. I, 1.12.05, n. 3496, in Codice Amministrativo, Dike,
560; Tar Lombardia, Milano, sez. I, 8.11.04, n. 5620, in Foro amm. TAR, 2004,
3251).
Gli enti locali possono però provvedere anche alla creazione di “Consorzi” ai
sensi dell’art. 31 Tuel “per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio
associato di funzioni”. A tal fine i rispettivi consigli approvano a maggioranza
assoluta dei componenti una convenzione ai sensi dell’art. 30, unitamente allo
statuto del consorzio. La convenzione ha la funzione di disciplinare le nomine
e le competenze degli organi consortili coerentemente a quanto disposto dai
commi 8, 9 e 10 dell’art. 50 e dell’art. 42, comma 2 lett. m), e prevedere la trasmissione, agli enti aderenti, degli atti fondamentali del consorzio (comma 2);
lo statuto, in conformità alla convenzione, ha il compito di disciplinare l’organizzazione, la nomina e le funzioni degli organi consortili (art. 31, comma 3).
Anche l’accordo dal quale trae origine il consorzio rientra è stato fatto rientrare
dalla giurisprudenza nell’ampia categoria generale degli accordi tra amministrazioni pubbliche previsti dall’art. 15, Legge n. 241/1990. In virtù degli
espressi richiami di cui al comma 2 di tale articolo, ne discende poi da un lato
l’applicabilità dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili e dall’altro la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo “in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli
accordi” ai sensi dell’art. 11, comma 5, della stessa Legge n. 241/1990 (Tar
Lombardia, Brescia, sez. 11.4.05, n. 303). Ciò comporta che, in linea di principio, i rapporti instaurati tra amministrazioni aderenti e Consorzio ed il loro
svolgimento - che abbraccia la fase attuativa dell’accordo concluso - ricadono
nella sfera di giurisdizione del giudice amministrativo (si cfr. Cons. Stato, sez.
IV, 12.11.09, n. 7057, in Foro amm. CDS, 2009, 11, 2536; Cons. Stato, 8.10.08,
sez. V, n. 4952, in Guida dir., 2011, 3, 101).
Fra le “specie” del più ampio genere di accordi cui all’art. 15, un’attenzione
del tutto particolare merita l’“accordo di programma”, disciplinato dall’art. 27
della Legge 8.6.90 ed ora confluito nell’art. 34, D.Lgs. 18.8.00, n. 267, cosiddetto Testo Unico degli enti locali.
Gli accordi di programma hanno ad oggetto “la definizione e l’attuazione
di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la
loro completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata di comuni, di
province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o
comunque di due o più tra i soggetti predetti”. È evidente la portata generale dello strumento dell’accordo di programma, i cui limiti oggettivi devono
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Gli accordi tra le pubbliche amministrazioni
essere individuati con esclusivo riferimento all’ampia definizione, contenuta
nel comma 1 dell’art. 34, D.Lgs. n. 267/2000.
Anche la modifica di un piano territoriale paesistico - e non solo la variazione di uno
strumento urbanistico - può rientrare nel contenuto di un accordo di programma.
L’art. 34 contiene la disciplina applicabile all’accordo di programma. Il
potere di iniziativa per la promozione della conclusione dell’accordo spetta al
presidente della Regione, al presidente della Provincia e al sindaco che abbia
competenza primaria o prevalente sull’opera, sugli interventi o sui programmi
di intervento; nell’ipotesi in cui essi comportino il concorso di due Regioni
finitime, il potere di iniziativa spetta alla presidenza del Consiglio dei ministri
(comma 8). L’organo che promuove la conclusione dell’accordo di programma
assicura il coordinamento delle azioni, determina i tempi, le modalità, il finanziamento e ogni altro adempimento connesso; inoltre, convoca una conferenza
tra i rappresentanti di tutte le amministrazioni coinvolte al fine di acquisire
i diversi interessi e gli elementi necessari alla sua conclusione. L’accordo si
perfeziona con il consenso unanime dei presidenti della regione, della provincia, del sindaco e delle amministrazioni interessate, esso è approvato con
un atto formale dell’autorità che lo ha promosso ed è pubblicato nel Bollettino
ufficiale della regione. Non è prevista la partecipazione dei privati e i destinatari dell’accordo di programma sono esclusivamente le pubbliche amministrazioni. Peculiari sono le ipotesi previste dai comma 5 e 6, nei quali è prevista la
ratifica da parte del consiglio comunale, entro 30 giorni, l’adesione del sindaco
nel caso di variazione degli strumenti urbanistici e la dichiarazione di pubblica
utilità, indifferibilità e urgenza da parte dell’amministrazione competente in
caso di approvazione di progetti di opere pubbliche.
La differenza essenziale tra l’accordo di programma di cui all’art. 34 e la convenzione di cui all’art. 30 è data dal fatto che con l’accordo di programma potranno
essere posti in essere gli accordi che consistano in un coordinamento di azioni di
competenza delle diverse amministrazioni, relative alle proprie ordinarie funzioni, e
che solo con la convenzione potranno essere negoziate forme di collaborazione che
comportino modelli collaborativi più penetranti.
Per quanto attiene agli effetti dell’accordo di programma e alla competenza,
la giurisprudenza si è inserita nelle maglie del dettato legislativo completandone i punti lacunosi. Con riguardo all’efficacia sostitutiva che lo stesso
può assumere in relazione ai provvedimenti amministrativi necessari in via
ordinaria, esso produce l’obbligo delle parti stipulanti di ottemperare agli
impegni assunti con l’accordo stesso, nel rispetto delle competenze che caratterizzano ciascuna amministrazione; ciò comporta che gli impegni assunti in
sede di conclusione dell’accordo possono riguardare soltanto ciò che era nella
disponibilità dei soggetti che hanno partecipato all’accordo; la partecipazione
all’accordo di diverso organo dello stesso ente non può sostituire decisioni
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7. Gli accordi amministrativi
ESEMPIO
riservate ad altro organo, a meno che tale organo non si sia già espresso in via
preventiva o non sussista un’espressa previsione normativa; ad eccezione di
tali ultime ipotesi, la partecipazione di un organo non competente all’accordo
comporta l’impegno da parte di questi a sottoporre la questione all’organo
competente, la cui decisione dovrà essere istruita e motivata anche con specifico riferimento all’accordo di programma (nel senso che un’eventuale decisione in senso diverso da quanto previsto nell’accordo dovrà essere supportata
da adeguata istruttoria e motivazione) (Tar Sicilia, Catania, sez. II, 4.6.13,
n. 1677, in Foro amm. TAR, 2013, 6, 2151).
Infine, anche con riguardo all’accordo di programma le controversie in materia
di accordi di programma devono ritenersi attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto gli accordi di cui al citato art. 34
costituiscono una specie del più ampio genere degli accordi di cui artt. 11 e 15,
Legge n. 241/1990 per i quali è espressamente prevista la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (come si vedrà infra pag. 51 ss.).
MODELLO DI ACCORDO TRA SOGGETTI PUBBLICI ACCORDO QUADRO
DI COOPERAZIONE
tra
XXXXX [Nome Ente] (di seguito indicata come XXXX”), con sede legale in Via XXXX
n.X, XXXX, C.A.P XXXX Città XXXX, Cod. Fisc. XXXXX - P. IVA XXXX, in persona
del suo XXXX [carica del legale rappresentante] XXXX [nome],
e
e YYYYY (di seguito indicata come “YYYY’), con Sede Legale in YYYY n. Y, YYYYY - Cod.
Fisc. XXXXX - P. IVA XXXX, in persona del suo Presidente YYYY,
di seguito chiamati anche, singolarmente come “la Parte” e congiuntamente come “le
Parti”
Premesso che:
1. XXXX intende (descrivere quali sono le proprie iniziative nel settore di …);
2. la YYYY ha il compito di … e nell’attuazione dei suoi compiti favorisce forme di sinergia tra gli enti di ricerca, le amministrazioni pubbliche, le strutture universitarie ed il
mondo delle imprese; in particolare, ai sensi dell’articolo … del proprio statuto, la YYYY
per le predette finalità può stipulare accordi e convenzioni;
3. la YYYY intende promuovere le proprie attività di sviluppo svolte nell’ambito del
Centro di …;
4. nel rispetto delle rispettive finalità, le Parti intendono stabilire una collaborazione al
fine di addivenire allo sviluppo di singole iniziative YY ero progetti e programmi congiunti nell’ambito del sistema di relazione locale, nazionale ed internazionale per la
realizzazione di attività di ricerca, sviluppo e formazione, basate su un’equa compartecipazione;
5. XXXX e YYYY concordano sull’utilità e sull’importanza di contribuire reciprocamente allo sviluppo della ricerca scientifica, dell’innovazione tecnologica e della formazione favorendo concrete ricadute socio-economiche delle medesime;
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Gli accordi tra le pubbliche amministrazioni
6. che l’art. 15 della Legge 7.8.90, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni,
disciplina lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune tra pubbliche
amministrazioni,
Tutto ciò premesso, a formare parte integrante e sostanziale del presente Accordo,
le Parti convengono quanto segue
Art. 1
La collaborazione tra le Parti prevede la realizzazione congiunta e coordinata di iniziative, attività e programmi (indicare la natura delle attività, ad esempio ricerca e/o,
sviluppo e/o formazione ect.), basate su un’equa compartecipazione.
Le Parti si impegnano fin da ora ad operare nello spirito di massima collaborazione e a
scambiare tutte le informazioni tecniche e scientifiche necessarie per il corretto svolgimento degli impegni previsti dal presente Accordo.
La collaborazione si concretizzerà attraverso:
(indicare le modalità operative, ad esempio realizzazioni di progetti, strumenti, accessi a
strutture delle parti, promozione e divulgazione etc.), tramite specifici Accordi Operativi come descritti al successivo articolo 2. modello Soggetti pubblici
Art. 2
Il presente Accordo costituisce l’avvio di una collaborazione che potrà concretizzarsi
in tutti i campi e nelle discipline di comune interesse, di cui al successivo articolo 3, e
che si attuerà concretamente tramite specifici Accordi Operativi, nei quali verranno
definiti e dettagliati i singoli scopi della cooperazione scientifica, tempi e modalità del
suo svolgimento, le rispettive responsabilità, gli eventuali impegni economici ed i risultati attesi. Previa valutazione congiunta fra le Parti, i singoli Accordi Operativi potranno
coinvolgere altri Soggetti Terzi quali Aziende, Enti ed Istituzioni locali, nazionali, europee
ed internazionali.
Art. 3
AI fine di perseguire il generale sviluppo delle attività di collaborazione e l’efficace coordinamento delle singole iniziative, le Parti convengono di designare due nominativi quali
Referenti responsabili dell’attuazione del presente Accordo:
per [ACRONIMO ENTE]: X [nominativo];
per [ACRONIMO ENTE]: Y: [nominativo];
I Referenti suindicati, con cadenza periodica almeno semestrale, valuteranno avanzamenti e risultati delle attività in cui le Parti sono nel frattempo impegnate, le eventuali
nuove opportunità su cui cooperare e la possibilità di estendere ovvero ridurre gli
ambiti della presente collaborazione e della sua durata.
In particolare, riconoscendo l’importanza di addivenire ad una prima concreta collaborazione sui seguenti temi:
Elencare i temi
1) XXXX
2) XXXX
3) XXXX
4) …
Le Parti stabiliscono di dare incarico ai Referenti già indicati affinché si pervenga entro
un anno ad una proposta di un primo Accordo Operativo che preveda la realizzazione
di … sui temi di cui ai punti “XXXX” precedenti.
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7. Gli accordi amministrativi
Art. 4
Ogni soggetto coinvolto nelle attività previste dal presente Accordo e dai successivi
Accordi Operativi deve possedere idonea copertura assicurativa a carico della Parte di
appartenenza.
Art. 5
I risultati tecnico-scientifici sviluppati congiuntamente dalle Parti nell’ambito dei singoli
Accordi Operativi, spettano, salvo diversa intesa opportunamente definita e formalizzata
nei medesimi, ad entrambe le Parti, in relazione all’ammontare della quota di partecipazione ai progetti individuati nei singoli Accordi Operativi.
Ciascuna Parte si impegna a manlevare e tenere indenne l’altra Parte da ogni pretesa
o rivendicazione che possa derivare dall’attuazione del presente accordo e dei suoi
Accordi Operativi ed in particolare da quelle eventualmente sollevate dal personale di
propria afferenza o da soggetti in contatto con esso.
Art. 6
Il presente Accordo avrà una durata di … dalla data della firma.
Il presente Accordo potrà essere rinnovato solo previo accordo scritto tra le Parti.
Ogni modifica e/o integrazione del presente Accordo dovrà essere concordata, scritta e
sottoscritta dalle Parti, a pena di nullità.
È facoltà di ciascuna Parte recedere in qualsiasi momento dal presente Accordo. La
comunicazione di recesso deve avvenire mediante lettera raccomandata con ricevuta
di ritorno, almeno sei mesi prima dalla data in cui il recesso avrà efficacia e farà salve le
attività eventualmente in corso portando le medesime a compimento secondo risultati
ed obiettivi previsti.
Art. 7
Le Parti si impegnano a concordare reciprocamente e preventivamente il livello di riservatezza di qualsiasi documento o informazione che Esse abbiano a scambiarsi, limitandone anche la conoscenza e diffusione a quelle sole persone, uffici, organi o cariche che,
per ragione della loro funzione, abbiano bisogno di venirne a conoscenza nel rispetto
delle normative nazionali sulla sicurezza delle informazioni.
Art. 8
Resta inteso che con il presente Accordo non si intende creare un’organizzazione
comune, associazione, anche in partecipazione, joint venture, consorzio, né un rapporto
di lavoro subordinato od altro.
XXXX e YYYY sono Parti indipendenti, e in nessun caso l’una parte può assumere obbligazioni, ricevere pagamenti, né compiere altre attività per conto dell’altra.
Ove una o più clausole del presente fossero invalide o nulle, ciò non inficerà le altre
clausole che rimarranno in vigore senza modifiche. Le Parti negozieranno al fine di
sostituire le clausole non valide o nulle con altre appropriate al fine di ottenere gli stessi
risultati legali ed economici.
Ogni avviso, notizia e/o comunicazione richiesta o prevista dal presente Accordo dovrà
essere inviata a mezzo di telegramma, posta ordinaria, fax o consegnata a mano alle Parti
presso i loro rispettivi indirizzi e recapiti come già indicati in testa; le comunicazioni
avranno effetto dalla data di ricevimento.
Le Parti si impegnano a comunicarsi tempestivamente eventuali variazioni dei loro indirizzi.
Art. 9
Ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs. n. 196 del 30.6.03 (Codice in materia di protezione
dei dati personali), le Parti dichiarano di essere state informate circa l’utilizzo dei dati
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La tutela giurisdizionale
personali che verranno utilizzati nell’ambito dei trattamenti automatizzati o cartacei di
dati ai fini della esecuzione del presente Accordo.
Le Parti dichiarano che i dati forniti e qui riportati sono esatti e corrispondono al vero
esonerandosi reciprocamente da ogni e qualsivoglia responsabilità per errori materiali
di compilazione ovvero per errori derivanti da una inesatta imputazione negli archivi
elettronici o cartacei di detti dati.
Ai sensi della legge indicata, tali trattamenti saranno improntati ai principi di correttezza,
liceità e trasparenza e nel rispetto delle norme di sicurezza.
Art. 10
Le parti concordano di definire amichevolmente qualsiasi controversia che possa
nascere dall’interpretazione e attuazione della presente convenzione. Nel caso in cui
non sia possibile raggiungere l’accordo, la controversia sarà devoluta al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. n. 133 del Codice del processo amministrativo.
Il presente Accordo consta di dieci articoli e … pagine, è redatto in lingua italiana ed è
firmato in due originali di uguale valore.
Firmato a ….
In data xx
Per XXXX
Il Legale rappresentante
NOME …
Per YYYY
Il Legale rappresentante
NOME…
3. La tutela giurisdizionale
Giurisdizione esclusiva Con il D.Lgs. 2.7.10, n. 104, cosiddetto Codice del
processo amministrativo (d’ora in poi: c.p.a.), è stato abrogato il comma 5
dell’art. 11, che disciplinava il profilo giurisdizionale in relazione agli accordi.
Oggi la giurisdizione in materia di accordi è regolata dall’art. 133, comma 1,
lett. a), n. 2 del c.p.a., che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie in materia di “formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni”.
Dal tenore della disposizione processuale in parola è evidente l’ampiezza dei
confini della giurisdizione esclusiva in quest’ambito, che giunge ad inglobare
la totalità delle controversie concernenti la funzione amministrativa esercitata per il tramite del peculiare modulo consensuale di cui all’art. 11 e
all’art. 15. Infatti, affinché scatti tale giurisdizione è necessario (ma anche sufficiente) che la res litigiosa riguardi un accordo concluso per il perseguimento del
pubblico interesse, quale alternativa nell’esercizio di un potere discrezionale
ed autoritativo della p.a. (in questo senso, ex multis, Cass. civ., sez. un., 29.4.09,
n. 9952, in Guida dir., 2009, 22, 62).
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7. Gli accordi amministrativi
CASISTICA
L’art. 133, riprendendo il dettato dell’art. 11, comma 5, specifica che l’area
della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è tale da ricomprendere ogni controversia insorta in ciascuna delle fasi fisiologiche dell’accordo,
dalla formazione alla conclusione e finanche l’esecuzione, sia con riferimento
agli accordi tra privati e pubbliche amministrazioni di cui all’art. 11 che con
riferimento agli accordi tra pubbliche amministrazioni previsti dall’art. 15,
come chiarito dalla sentenza della Cass. civ., sez. un., 14.5.11, n. 5923, in D&G
online, 2011, 26 maggio.
• Nell’ambito di un protocollo di intesa stipulato tra due enti pubblici (un Comune e
una Regione) è sottoposta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la
controversia fondata sul parziale inadempimento di un protocollo d’intesa.
Non rileva, infatti, il richiamo dell’appellante ad una precedente sentenza della terza
sezione dello stesso Tar Campania (n. 4261/2011) relativa all’inadempimento da parte
di una società privata di un protocollo di intesa intervenuto con la Regione ed altre
pubbliche amministrazioni, in cui il Tribunale aveva dichiarato il difetto di giurisdizione
del giudice amministrativo. La sentenza richiamata riguardava una controversia relativa
ad una intesa tra una azienda privata e un soggetto pubblico e l’accordo aveva natura
prettamente negoziale e non sostitutiva o integrativa di alcun provvedimento.
Nel caso di specie, invece, non vi è dubbio che si verta nel quadro della cosiddetta
azione amministrativa per accordi, con la conseguenza che la cognizione delle controversie connesse alla loro formazione, conclusione ed esecuzione rientra tra quelle
attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo dall’art. 11 della Legge 7.8.90,
n. 241, così come le controversie relative ai finanziamenti concessi nell’ambito di
un accordo (Consiglio di Stato, sez. IV, 2.2.11, n. 741; sez. VI, 19.1.14, n. 220) (Cons.
Stato, sez. V, 17.7.14, n. 3795, in Redazione Giuffrè amministrativo, 2014);
• Nell’ipotesi di convenzione per cessione di un’area da parte del Comune in cambio della costruzione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, mentre la pronuncia di decadenza dell’assegnatario dalla cessione del suolo, a causa
della dichiarazione di fallimento prima dell’integrale realizzazione dell’edificazione e urbanizzazione, costituisce esercizio di poteri autoritativi dell’ente, cui
è sottoposto il soggetto attuatore fino a che non sia realizzata la finalità pubblicistica alla quale la concessione è diretta, sicché l’inserimento della sua previsione
nella convenzione rientra nello schema dell’azione amministrativa concordata
o negoziata di cui all’art. 11 Legge n. 241/1990 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14.4.10,
n. 2072; 25.6.10, n. 4093 e n. 4094; Cons. Stato, sez. V, 17.9.10, n. 6982; Cass., sez.
II, n. 13712/2005), le posizioni nascenti dalla risoluzione della cessione successiva alla decadenza e parimenti regolata dalla convenzione - come la restituzione del bene ed il pagamento del valore di quanto realizzato, hanno la consistenza
di diritto soggettivo e non sono tutelabili attraverso l’azione tipica di cui agli artt. 31
e 117 c.p.a., intrapresa con il presente giudizio.
Infatti, secondo piani e consolidati principi (Cons. Stato, sez. V, 30.9.13, n. 4835; sez.
IV, 22.1.13, n. 355; CAS. 17.1.12, n. 65; Cons. Stato, sez. IV, 12.11.09, n. 7057), il rito
speciale in tema di silenzio serbato dalla pubblica amministrazione non ha
lo scopo di tutelare, come rimedio di carattere generale, la posizione del privato di
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La tutela giurisdizionale
fronte a qualsiasi tipo di inerzia comportamentale della p.a., bensì quello di apprestare
una garanzia avverso il mancato esercizio di potestà pubbliche discrezionali,
dal quale non può prescindersi al fine di valutare la compatibilità con l’interesse pubblico di quello sostanziale dedotto dall’interessato. Conseguentemente, tale rimedio
non può essere attivato per la tutela di una posizione di diritto soggettivo allo scopo
di ottenere l’adempimento di un obbligo convenzionale, come, nella specie, la restituzione dell’immobile ed il pagamento del corrispondente valore, per il quale deve
essere proposta un’azione di accertamento e di condanna (Cons. Stato, sez. V, 27.6.12,
n. 3787; Cass. 28.7.11, n. 523; Cons. Stato, sez. V, 17.1.11, n. 210; sez. IV, 27.2.08, n. 741).
La situazione non muta per effetto della devoluzione alla giurisdizione del giudice
amministrativo delle controversie in materia di accordi integrativi o sostitutivi di
provvedimenti e di atti e di provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni
pubblici (art. 133, lett. a, n. 2 e b) c.p.a.), dal momento che anche in sede di giurisdizione esclusiva non è ammessa la tutela di diritti soggettivi mediante il ricorso avverso
il silenzio, sussistendo le medesime ragioni dell’esclusione (Cons. Stato, sez. IV,
10.3.14, n. 1087 in Foro amm. (II), 2014, 3, 808);
• Tenuto conto della natura giuridica della cessione volontaria di beni nell’ambito
dei procedimenti di espropriazione per p.u., deve ritenersi sussistente la giurisdizione amministrativa del g.a. sulle eventuali controversie in sede di esecuzione. La
riconducibilità, infatti, della cessione volontaria sotto il più ampio ombrello dell’art. 11
della Legge n. 241/1990, così come l’ampia duttilità che caratterizza quest’ultimo sia
pure nei limiti della tipicità dei provvedimenti autoritativi che va a sostituire, consentono di affermare che le controversie relative all’esecuzione della cessione volontaria,
diverse da quelle in tema di indennità, devono essere conosciute dal g.a. (Cons. Stato,
20.8.13, n. 4179, in Foro amm. CDS, 2013, 7-8, 2096);
• Nell’ipotesi in cui l’esecuzione dell’accordo sulla cessione volontaria del
bene espropriato abbia comportato la costituzione di una servitù, quest’ultima si
sovrappone, sicché, una volta costituito il diritto reale, tutte le controversie a valle
che attengono all’esercizio del diritto, restano slegate dall’esecuzione della cessione
volontaria. Quindi, la circostanza che, all’indomani della costituzione della servitù, a
causa del maggior volume d’acqua contenuta nell’invaso, sia divenuto non più esercitabile il diritto di servitù, è vicenda che non attiene all’esecuzione della cessione
volontaria, ma all’esercizio del diritto reale che ne è scaturito. Pertanto, le correlate
controversie non possono che rientrare, unitamente a quelle inerenti l’esercizio delle
posizioni attive e passive che la caratterizzano, e sono in capo ai proprietari dei fondi,
nella giurisdizione del g.o., come tutte le vicende che riguardano l’esercizio di servitù
prediali, risultando del tutto reciso quel legame con il potere autoritativo che solo
giustifica la giurisdizione esclusiva del g.a. secondo il richiamato insegnamento offerto
dalla Corte costituzionale. (Cons. Stato, 20.8.13, n. 4179, in Foro amm. CDS,
2013, 7-8, 2096);
• È inammissibile, e quindi nulla la relativa clausola compromissoria, il ricorso all’arbitrato per la soluzione di controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi soggetti alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto inerenti agli accordi previsti dall’art. 11, Legge 7.8.90, n. 241 (Cons. Stato, sez. IV, 4.5.10, n. 2658, in Foro
amm. CDS, 2010, 5, 1003).
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Procedimento amministrativo
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CASE HISTORY - STUDIO CLARICH
7. Gli accordi amministrativi
Il caso
La Fondazione Ordine Mauriziano e la Regione Piemonte siglavano dapprima un protocollo d’intesa e poi una convenzione aventi ad oggetto l’attività prestata dalla Fondazione presso i cd. “ospedali mauriziani”. La Fondazione Ordine Mauriziano conveniva in
giudizio dinnanzi al giudice ordinario la Regione Piemonte per la condanna al pagamento
del credito, liquido ed esigibile, dovutole a titolo di assegnazioni economiche riconosciute e non erogate dalla Regione per l’attività degli ospedali mauriziani. La Regione
convenuta si costituiva in giudizio eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. In particolare, secondo la Regione le domande della Fondazione si fonderebbero
su due atti, il protocollo e la convenzione, ambedue qualificabili come “accordi sostitutivi” siglati tra pubbliche amministrazioni.
Nella pendenza del giudizio dinanzi al Tribunale di Torino, la Fondazione proponeva
ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, chiedendo accertarsi e dichiararsi
la giurisdizione del giudice ordinario. La Regione Piemonte presentava controricorso.
Come è stato affrontato
Dal canto suo la ricorrente Fondazione, per sostenere la giurisdizione del g.o., asseriva che la controversia aveva ad oggetto la condanna al pagamento di corrispettivi
nell’ambito di accordo contrattuale e che l’art. 133 del codice del processo amministrativo, nel sottrarre alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie relative
a indennità, canoni e corrispettivi di pubblici servizi, faceva riferimento anche alle controversie concernenti la debenza di somme da parte dell’ente pubblico; ne conseguiva
l’irrilevanza della natura degli accordi intercorsi tra la Regione e l’Ordine Mauriziano,
posti a fondamento della domanda della Fondazione.
Di contro la Regione, nel concludere perché venisse dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, osservava che il particolare rapporto tra la Regione e l’Ordine
Mauriziano era qualificabile come concessione ex lege di pubblico servizio, e che la
determinazione da parte dell’amministrazione del tetto di spesa costituiva esercizio del
potere di programmazione sanitaria. E poiché la domanda coinvolgeva necessariamente
la validità o anche il contenuto della convenzione presupposta e, in particolare nel suo
ambito, la configurabilità di un tetto massimo di spesa e gli effetti che ne derivavano,
la cognizione della relativa controversia sarebbe dovuta rientrare nella giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo. Inoltre, la particolare natura di enti pubblici dei
soggetti sottoscrittori degli accordi sarebbe valsa altresì a sottrarre la controversia dalla
giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a), numero 2), del
codice del processo amministrativo.
Come è stato deciso
La domanda relativa al credito per l’esercizio dell’attività sanitaria vantato dalla Fondazione Ordine Mauriziano rinviene il proprio titolo della citata convenzione tra l’Ordine
Mauriziano e la Regione Piemonte e, vertendosi in materia di esecuzione di accordo
tra amministrazioni pubbliche (tale essendo non solo la Regione Piemonte, ma anche
l’Ordine Mauriziano, data la sua natura di ente pubblico non economico nazionale) per
la gestione del pubblico servizio rappresentato dal servizio sanitario, con la previsione
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La tutela giurisdizionale
APPROFONDIMENTI
di corrispettivi preventivati in seno alla spesa sanitaria regionale nell’ambito della prestazione di attività concordate, la controversia nascente dal dedotto inadempimento
della Regione agli obblighi di erogazione di assegnazioni economiche assunti con il detto
accordo è attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai
sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2), del codice del processo amministrativo, approvato con il D.Lgs. 2.7.10, n. 104 (cfr. sez. un., 2.3.01, n. 87; sez. un., 16.4.07,
n. 8953; sez. un., 14.3.11, n. 5923; sez. un., 21.3.13, n. 7046, cit.)
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