SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 2 anno C 3-12-2012 10:18 Pagina 1 supplemento a Tempo di Natale Natale del Signore Santa Famiglia Madre di Dio Epifania Battesimo di Gesù n. 45 del 9/12/2012 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 2 Famiglia a tutto tondo ricca compagine dell’arte cristiana N ella medievale e moderna, le rappresentazioni della Sacra Famiglia pongono la necessità di riflettere su una palese discordanza: ciò che la tradizione ha tradotto in opera d’arte, quello che noi vediamo nei dipinti con questo tema, non coincide con quanto è descritto dal testo evangelico. L’impressione, d’acchito, è che gli artisti si siano mossi del tutto autonomamente, quasi a prescindere dalla lettura dei Vangeli canonici. Perché, infatti, nei loro quadri, Giuseppe e Maria non sono alla ricerca angosciata del figlio scomparso da giorni, così come Luca racconta? Perché Gesù è ancora un infante tra le braccia dei suoi genitori e non il dodicenne che rivendica per sé, come tutti gli adolescenti, spirito d’iniziativa e libertà d’azione? Le età dell’arte precedenti alla nostra sapevano bene che, in tema di sacre rappresentazioni, le uniche variazioni consentite dovevano interessare la “forma” (i particolari del paesaggio di fondo, i tratti di una figura o gli orpelli di un abito), con apporti personali degli artisti che, lungi dal discutere la verità della Parola, potevano ugualmente distinguersi dettagliando la trasposizione dell’evento sacro secondo gradi differenti di profondità estetica e teologica. A discolpa degli ignari trasgressori, occorre precisare che la festa della Sacra Famiglia non si lega a un particolare evento dell’infanzia di Gesù, cui essi avrebbero dovuto attenersi con scrupolo, bensì a un’idea “istituzionalizzata” dalla Chiesa solo nel 1895. Papa Leone XIII, allora, aveva colto i fervori di un sentimento antico che vedeva nella famiglia il fulcro della vita cristiana, il modello di riferimento di ogni sistema sociale, il tempo dell’incontro costante con Dio in un sodalizio d’amore imprescindibile. Per secoli, quel sentimento di fede ha sentito di ritrarre la Sacra 2 ascolto e annuncio 9 dicembre 2012 - n° 2 Famiglia negli amorevoli sguardi che una giovane fanciulla rivolge al suo bambino mentre, insieme al marito, ella gli si stringe attorno nell’intimità di una piccola Chiesa domestica. Sono gli stessi sguardi colmi di attenzioni che leggiamo nel Tondo Doni della Galleria degli Uffizi di Firenze, realizzato dal Buonarroti fra il 1503 e il 1507, per celebrare le nozze del mercante Agnolo Doni con Maddalena Strozzi o, come “desco da parto”, per ben augurare loro la nascita di un figlio. Si tratta di un dipinto, forse l’unico di Michelangelo che ci sia pervenuto su tavola e integro, fuori dai canoni conclamati di quei maestri (Luca Signorelli, ad esempio) che avevano pure fatto ricorso alla forma circolare del supporto pittorico. L’idea, infatti, di includere le figure in un cerchio – segno di perfetto equilibrio e di suprema armonia – era già nella mentalità del Rinascimento, ma Michelangelo supera qualsiasi avanzo della tradizione annullando la superficie piatta della tavola e tramutandola in una trasparente sfera di cristallo nella quale le immagini sono davvero esseri dotati di un corpo, uomini che si sono affrancati dalla mera rappresentazione per calarsi totalmente nella verità del “mondo” cui anche noi apparteniamo. In questo spazio condiviso, il muro da cui sporge il piccolo Battista e che corre orizzontalmente lungo tutto il dipinto come una sorta di diametro equatoriale, distingue la Sacra Famiglia dalle figure alle sue spalle. Chi sono quei nudi? Angeli senz’ali o profeti? Fauni di un’orgia dionisiaca o efebi pagani simbolo dell’umanità ante Legem? Monoliti ancora legati all’aspra roccia che li ha generati, recano testimonianza di un’età del frazionamento, dell’indifferenza, dell’errata convinzione che si possa fare comunità pur rimanendo distanti dagli altri, senza, cioè, essere vicini veramente, non col solo contatto SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 dei corpi, ma con lo spirito. Non si curano del pudore, della sensibilità di chi li osservi né, soprattutto, dell’evento che sta compiendosi fra loro e noi. Il muro che contiene quelle figure non solo le rigetta indietro, relegandole sullo sfondo, ma le colloca a un livello più basso della coscienza, al punto che, se provassimo a raggiungerle, rischieremmo di inciampare e di perderci, alla fine, la bellezza di quanto sta compiendosi proprio davanti ai nostri occhi. È, dunque, a coloro che vogliono porsi sullo stesso nostro piano che dobbiamo rivolgere la più benevola attenzione. Giuseppe è un saggio virilissimo che sovrintende la scena con ferma presenza; il Bambino è ritratto nella torsione di un piccolo Ercole, preso dalla “fatica” dei suoi primi giochi; la Vergine, che siede sul prato come una Madonna dell’Umiltà, anticipa, con le sue braccia scoperte, le sibille dalla mascolina bellezza che Michelangelo ritrarrà nella volta della cappella Sistina. In virtù dello schema compositivo a linea elicoidale o “serpentinata”, il gruppo della Sacra Famiglia è così armoniosamente annodato che il nostro occhio non può non notare il legame di gesti e di sguardi che unisce i suoi membri. Il viso della Madre riluce di una dolcezza intensa, della «meravigliosa contentezza» di chi tiene gli occhi «fissi nella somma bellezza del Figliolo». Questi, da parte sua, le dona il faccino limpidamente tornito a icona di amore filiale, corpo e spirito. Giuseppe, contrariamente a quanto capiti di vedere in altri dipinti, non ricopre un ruolo vicario, non è in disparte, chino sul suo bastone. Egli, anzi, è il monumentale blocco nel quale la Madonna e Gesù sono ricavati di perfetta misura. Michelangelo immagina la famiglia santa non già nella stereotipia della “posa da santino”, bensì nel- Pagina 3 l’atto di compiersi in unità, prima, cioè, che i personaggi si raggelino, così come purtroppo capita di constatare nelle nostre famiglie, in un’aria dai valori rarefatti, nella formalità di atteggiamenti costruiti, nella parata di un’esistenza che ha perso l’amore e, con esso, il suo baricentro. Il dipinto ferma, semmai, un autentico istante di sana vita coniugale, in cui Giuseppe, senza distrarsi, segue il Bambino mentre scivola tra le braccia della Vergine. La critica si è spesa diffusamente nel cercare di capire se non avvenisse il contrario: se non fosse Maria a porgere Gesù a Giuseppe. La scena è costruita con maestria dall’artista, pensata per insinuare il dubbio senza che vi si possa trovare una definitiva soluzione. Del resto, perché tentare di darne una? Nella famiglia di Nazaret, paradigma meraviglioso di ogni “famiglia” cristiana, non ci sono personalismi, pretese di assolutizzare i bisogni dell’uno a scapito dell’altro. È un donarsi totale e insieme: solo da questo derivano l’orgoglio e la forza necessaria per lasciar cadere le incomprensioni e le difficoltà che pure dovettero superare Giuseppe e Maria (dalla fuga in Egitto al mistero delle parole di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»). Eppure, lo sguardo di Giuseppe è attentissimo e severo, è fiero come quello di chi ha accolto nel suo cuore il Figlio di Dio venuto nella carne e si è responsabilmente caricato del grave peso dell’amore paterno. La Madonna chiude sulle sue gambe il libro delle preghiere: non è più la Vergine leggente delle Annunciazioni. Adesso è Madre e lascia che il figlio giochi con lei, col nastro fra i suoi capelli. Tonino Nuccio 3 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 4 nota introduttiva Natale del Signore stupefacente frammento di questa N ello esaltazione isaiana l’oggetto della meraviglia, cantata con squillante gaiezza e partecipe emozione, sono a ben guardare due piedi, dettaglio anatomico di cui viene esaltata la bellezza prima che da essi le parole corrano a scolpire il ritratto del messaggero a cui appartengono. Si dice naturalmente in questi casi della forza retorica della metonimia, di una parte di qualcosa che viene presa per esprimere il tutto a cui appartiene, ma scelta quasi per produrre un bagliore più circoscritto e più scintillante. Saranno piene l’Odissea e l’Iliade. Ma questi piedi fatti oggetto protagonista di un’acclamazione di felicità così ardente stanno soprattutto sulla strada di quella tradizione che ha imparato a prendere la carne umana come tracciato geografico per la ricerca di quanto nella storia porta i segni del Dio dell’alleanza. Testimonianze di questa attitudine stanno ovunque nel racconto biblico. Nascono dalla scoperta – biblica per eccellenza – che il vero crocevia delle grandi umane interrogazioni, tese e trepidanti, sembra essere il corpo dell’uomo, luogo dei bisogni elementari come dei desideri definitivi, organo sensitivo delle differenze qualitative che abitano l’esperienza, ma anche catalogo delle ferite che il tempo incide nella carne della vita. È appunto attorno alla sorte del corpo che le potenti metafore della fede biblica fanno ruotare tutte le loro speranze. È il corpo a nutrire per noi l’irragionevole pretesa di durare, non l’anima. Sicché il Dio dell’alleanza si fa trovare proprio 4 ascolto e annuncio 9 dicembre 2012 - n° 2 Anno C 25 dicembre 2012 Is 9,1-6 Sal 95 Tt 2,11-14 Lc 2,1-14 sul quel crocevia ogni volta che la sua passione per l’uomo matura l’intenzione di compiersi come incontro. L’autore della Lettera agli ebrei, in questa specie di elogio a Cristo dalle tonalità scopertamente escatologiche, lo lascia trapelare tra le cortine d’incenso della sua lingua sacerdotale: Dio ha per molto tempo lasciato campo ai suoi profeti, eroiche controfigure della sua parola viva, ombre umane dell’invisibile luce divina ma, nel tempo maturo dell’alleanza nuova, l’Altissimo decide che la sua ultima definitiva parola sia la carne del suo Figlio, Dio in persona. Questo Figlio, di carne e di sangue, viene accreditato come «irradiazione della sua gloria» e «impronta della sua sostanza». Di questa intronizzazione della carne umana al centro delle divine strategie di alleanza Giovanni espone, nello stesso tempo, la lirica e la teoria, la grazia poetica di un inno intriso di una densità teologica senza precedenti. Il linguaggio è ancora quello gnostico che, parlando di luce e di tenebre, sembra risolvere tutto in un semplice itinerario della conoscenza. Ma la sostanza è inequivocabile: quando Dio si decide per la relazione storica, egli scende nella carne umana. L’irragionevole pretesa di durare, che sale per noi dalla nostra carne mortale, incontra sulla propria strada questo discendere di Dio. Il Figlio sta proprio al centro di questo reciproco imbattersi. Interprete e riflesso della spassionata eleganza divina. Signori si nasce. Giuliano Zanchi SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 5 messaggio biblico Un Dio tutto per noi Per molti questa notte ha un sapore “agrodolce”: “dolce”, perché si fa memoria della nascita di un bambino del tutto speciale: il «Salvatore del mondo»; “agro”, perché – come diceva mio padre, scienziato positivista ateo – si tratta di «una delle più belle favole che siano mai state raccontate» e che, in quanto tale, suscita nell’animo una grande nostalgia. In realtà, se si leggono attentamente i testi del Nuovo Testamento, gli autori insistono molto sulla veridicità e sulla storicità degli eventi da loro narrati. Nella seconda lettera attribuita a Pietro si legge: «Vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza» (2Pt 1,16). Dio mantiene le promesse Nel prologo del suo Vangelo, Luca fa sapere al destinatario del suo scritto, che egli chiama Teofilo (che vuol dire “colui che ama Dio”), di aver fatto «ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato» per il suo illustre lettore, in modo che egli possa rendersi conto «della solidità degli insegnamenti» ricevuti (Lc 1,3-4). L’evento della nascita di Gesù è inquadrato da Luca entro precise coordinate storicogeografiche: al tempo in cui «Quirinio era governatore della Siria» (Lc 2,2) fu emanato un decreto di Cesare Augusto, che ordinava di fare il censimento del suo impero. Tutti andavano dunque a farsi censire nella propria città. Anche Giuseppe, che era della casa di Davide, dalla Galilea scese a Betlemme per farsi censire «insieme a Maria, sua sposa, che era incinta». In questi pochi versetti in realtà si condensa tutta una storia di secoli: le promesse divine fatte alla casa di Davide, che sembravano smentite dai fatti storici. La dinastia davidica infatti era decaduta e con essa tutte le speranze di liberazione e di restaurazione del regno di Israele. Ma nel sottofondo, come la brace che arde ancora sotto la cenere, era rimasta viva l’attesa di un intervento divino in favore della casa di Davide, come avevano preannunciato i profeti: «Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide» (Is 55,3); «Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra» (Ger 23,5); «Infatti così dice il Signore: “Non mancherà a Davide un discendente che sieda sul trono della casa d’Israele”» (Ger 33,17); «In quel giorni rialzerò la capanna di Davide, che è cadente; ne riparerò le brecce, ne rialzerò le rovine» (Am 9,11). Sul trono di Davide, si erano seduti dei re ingiusti e iniqui (tranne Ezechia e Giosia), che avevano portato il suo casato alla rovina. Lo stesso Davide non è stato esente dalla colpa, ma si è macchiato del duplice peccato di adulterio e di omicidio (cf. 1Sam 11). Tuttavia, sia lui che i suoi discendenti sono nominati nella lunga genealogia di Gesù che Matteo pone all’inizio del suo Vangelo. In questa lista di nomi non si dice che Davide generò Salomone da Betsabea, ma «da quella che era stata la moglie di Uria» (Mt 1,6). L’evangelista dunque non glissa e non sorvola sul peccato di Davide, ma sembra piuttosto che lo voglia richiamare alla memoria del suo lettore. Ma il Signore non si arrende. Con la stessa argilla di un vaso malriuscito, sa trarre ancora qualcosa di bello e di buono (cf. Ger 18,2-6). Un messaggio di speranza anche 5 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 6 messagio biblico per noi. Il monaco psicoterapeuta Anselm Grün scrive: «La “spiritualità dal basso” affronta la domanda su che cosa dobbiamo fare quando tutto va storto, su come trattiamo i cocci della nostra vita, a come da essi traiamo qualcosa di nuovo (...). La spiritualità dal basso descrive, in primo luogo, i passi terapeutici da fare per giungere al nostro vero essere; in secondo luogo, essa è la via religiosa che, attraverso l’esperienza del fallimento, porta alla preghiera, al “grido dal profondo” e a una relazione profonda con Dio» (Grün A. - Dufner M., Spiritualità dal basso, Brescia 2006). L’“Agnello Pastore” Il fatto che Giuseppe, «uomo giusto» (Mt 1,19), sia della «casa di Davide» suscita un moto di speranza. Egli si reca con Maria, sua sposa, che era incinta, alla città di Davide, chiamata Betlemme. Ma proprio quando si trovano lì si compiono per lei i giorni del parto. Il viaggio a Betlemme è stato motivato apparentemente dal censimento, ma in realtà perché Gesù doveva nascere a Betlemme, la città di Davide, affinché si compisse la Parola data per mezzo del profeta Michea: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele, le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti» (Mi 5,1). Alla lontananza da casa e alla scomodità del viaggio, si aggiunge un altro disagio, dal momento che «per loro non c’era posto nell’alloggio». Ma, ancora una volta, quella che a noi può sembrare una mancanza di provvidenza da parte del Padre, in realtà si trasforma in messaggio eloquente che suo Figlio ci rivolge, prima ancora di poter parlare. Se, nel suo primo discorso indirizzato alle folle, Gesù dichiara «beati i poveri», lui stesso per primo, sin dalla sua nascita, è stato solidale con i poveri. In quella notte, oltre a Giuseppe e a Maria, i pastori vegliano «facendo la guardia al loro gregge». 6 ascolto e annuncio 9 dicembre 2012 - n° 2 L’antico inno orientale Akathistos crea un bellissimo gioco di parole tra i pastori e il Bambino, che viene chiamato l’“Agnello Pastore”: «I pastori sentirono/ i concerti degli angeli/ al Cristo disceso tra noi./ Correndo a vedere il Pastore,/ lo mirano come agnellino innocente/ nutrirsi alla Vergine in seno,/ cui innalzano il canto:/ Ave, o Madre, all’Agnello Pastore,/ Ave, o recinto di gregge fedele./ Ave, difendi da fiere maligne (inno Akathistos, 7). Davanti all’angelo che appare loro, i pastori sono scossi da un fremito di timore, ma egli li rassicura dicendo: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11). La “gioia” è uno dei temi ricorrenti in Luca che fa da grande inclusione al suo Vangelo. All’inizio infatti l’angelo dice a Zaccaria riguardo al figlio che gli nascerà: «Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita» (Lc 1,14). Maria è salutata dall’angelo che la invita a gioire: «Rallegrati, piena di grazia...!» (Lc 1,28). Alla fine del Vangelo si dice che gli apostoli «tornarono a Gerusalemme con grande gioia» (Lc 24,52). Gesù a Betlemme – che significa «Casa del pane» – viene posto in una mangiatoia, quasi a voler già preannunciare che egli si farà pane per la vita del mondo. L’angelo infatti parla ai pastori del Salvatore che è nato «per voi». La stessa cosa dirà Gesù del pane da lui spezzato: «Questo è il mio corpo che è dato per voi» (Lc 22,19). Gesù è interamente, senza risparmio e senza condizioni, quel Dio che è tutto «per noi». E come dice Paolo: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?» (Rm 8,31-32). Certi di queste parole, gustiamo la dolcezza di questa notte santa, che possa veramente essere del tutto dolce per noi e per tutti quegli uomini «che Dio ama». Cristina Caracciolo SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 7 dal vangelo alla vita La notizia più bella Chi può rispondere alla sete di felicità che ci portiamo dentro? Di cosa abbiamo bisogno davvero? Di un Bambino «deposto in una mangiatoia». «Quanno nascette Ninno a Betlemme, era notte e pareva miezojuorno...». Così recitano i versi di un canto popolare attribuito a s. Alfonso Maria de’ Liguori. Così è stata e continua ad essere, per grazia di Dio, la storia della nostra famiglia. La nascita di Cristo ha squarciato la notte e ha dato significato al nostro desiderio e alle nostre domande. Cosa cerchiamo? Chi può rispondere alla sete di felicità che ci portiamo dentro? Di cosa abbiamo bisogno, davvero? Il mistero lo sa e conosce bene il nostro cuore, perché è suo. Ecco allora che risponde in una maniera inaspettata. Un bambino. Si fa uomo come noi. Tutto il nostro desiderio di vita, di pienezza, di significato ci è venuto incontro. La nostra vita con la nascita di Cristo nei nostri cuori è cambiata così: era notte e subito dopo tutto è diventato più chiaro, quindi più vero. La vita si è riempita di una Bellezza che genera stupore e commuove. Si colora di gratitudine. Ricordo ancora lo sguardo fra me e mia moglie quando ci capitò di leggere Ezechiele (36,26): «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne». Ecco, il Natale è questo cuore nuovo donato. Cristo, entrando nella nostra storia, ci ha tolto il cuore di pietra e ci ha dato un cuore di carne. È stato un nuovo inizio. Anzi l’incontro con Cristo ha generato e continua ogni giorno a generare un inizio sempre nuovo. Ma la cosa più sconvolgente è che non abbiamo rinunciato a nulla e che tutto è diventato più vero; non ci è stato chiesto nulla e tutto acquista significato. Di fronte a questo evento di grazia, dobbiamo solo spalancare il nostro cuore e mettere in gioco la nostra libertà come risposta alla richiesta di amicizia di Cristo. Certo, come i pastori furono presi da grande timore quando l’angelo si presenta e la luce del Signore li avvolge, anche noi spesso proviamo la stessa esperienza. Come se quella luce non sia riuscita ancora ad illuminare tutta la nostra vita e a squarciare il buio delle nostre resistenze. C’è però una compagnia che ogni giorno ci dice: «Non temete». È la Chiesa. È lei che continua ad annunciare che Gesù è la vera felicità, la pace, l’amore, la gioia, la vita, e lo è per sempre. Quante volte, la mattina prima di uscire o la sera durante la cena, lavorando o studiando, oppure guardando il tempo che scorre, ci accorgiamo che, senza quella presenza che si è fatta carne, tutto il nostro fare perde di significato. Ma, al tempo stesso, quante volte ci sentiamo riabbracciati dal «bambino deposto in una mangiatoia»! Nella nostra esistenza, come persone e come famiglia, abbiamo sempre più bisogno «di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla Sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata». Questa frase di Benedetto XVI è diventata per noi fonte di preghiera, perché Cristo ci doni luci vicine capaci di farci stare tra le vicende del mondo con lo sguardo rivolto verso quella luce che, al tempo di Augusto, «avvolse i pastori» e che ancora oggi avvolge i nostri cuori e la nostra storia. Ecco una piccola richiesta a Gesù, come quando da piccoli scrivevamo la letterina di Natale: «Caro Gesù bambino, per questo Santo Natale fa’ che nelle omelie i nostri sacerdoti ci parlino di te, e non del natale consumistico. Fa’ che possiamo riascoltare la notizia più bella di tutte: Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi. Fa’ che possiamo insieme, in questo Natale, piangere di gioia, perché tu, Cristo – attesa del nostro cuore, pienezza dei nostri desideri –, ci sei venuto incontro. Grazie, Gesù». Carla e Franco Pietrosanti 7 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 8 Bibbia per la formazione cristiana N U O VA E D I Z I O N E U no strumento per leggere e capire la Sacra Scrittura utile a chi la co- nosce, indispensabile a chi vi si avvicina per la prima volta. Un percorso agile e immediato per la sintesi e la ‘semplificazione’ dei contenuti, la riflessione e lo studio, l’approfondimento e la preghiera. 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Famiglia la storia della salvezza passa attraA nche verso umane vicende di generazione, nelle quali il mettere al mondo un uomo consegnandolo alla vita richiede la gestione sapiente di inevitabili transiti di iniziazione. Nella vita non si entra di punto in bianco senza affrontare soglie di progressiva approssimazione al suo mistero. Essa di fatto anticipa la nostra entrata in scena con la trascendenza dei legami che ci ospitano, delle memorie che ci precedono, delle promesse che ci avvolgono fin dal primo raggio di luce che abbiamo la grazia di vedere. Ci deve essere anche il momento nel quale cominciamo a volere quello che abbiamo ricevuto, ad assumere come responsabilità personale quello che ci è stato consegnato come dono di altri, a incidere il nome proprio della nostra libertà sulle vicende che ci legano alla storia di tutti. Significa diventare grandi. Prendere il proprio posto. Iniziare a essere in tutto e per tutto uomini. Gli effetti critici della dissoluzione che, nella nostra cultura, hanno patito i grandi passaggi iniziatici, disciolti nel pedagogismo senza frontiere dell’eterno presente dove nessuno ha più un’età precisa, si vedono nelle disperate e irresponsabili invenzioni con cui le nuove generazioni vanno procurandosi da se stesse prove iniziatiche per emergere dalla confusione della fanciullezza di massa. Quelle di Samuele e di Gesù, pur intrise della loro aura teologale, sono storie di iniziazione umana. Anche il futuro Profeta, come il Figlio di Dio, devono prima di tutto diventare uomini. Il processo si manifesta sempre come una lotta. Certamente, come racconta bene la vicenda di 10 ascolto e annuncio 9 dicembre 2012 - n° 2 Anno C 30 dicembre 2012 1Sam 1,20-22.24-28 Sal 83 1Gv 3,1-2.21-24 Lc 2,41-52 Samuele, richiede una sapiente consapevolezza dei generatori, capace di prendere la giusta iniziativa. Se non si svezza il cucciolo non nasce l’uomo. Ma, come ci mostra la vicenda di Gesù, si tratta anche di attraversare inquietudini, accettare definitive recisioni, ritirarsi verso un lato solo della realtà perché qualcuno possa avere un posto da prendere. Quando non succede – come si sa –, il cucciolo resta intrappolato per sempre in una cintura affettiva che è solo una forma più piacevole della morte. Mettere al mondo significa perdere. Non è solo una questione di competenza psicologica. È anche la radice teologale di tutti i legami che intrecciano la vicenda umana con le intenzioni di Dio. La stessa creazione nasce dallo spazio lasciato libero da un Dio che accetta di ritirarsi in un angolo perché qualcosa possa ospitare altre libertà. La storia umana comincia solo dopo una drammatica vicenda di iniziazione fatta di serpenti che mentono e di uomini che sospettano. Siamo diventati uomini lì. Nel bene e nel male. Nell’attesa della vera grande iniziazione umana del Figlio, consumata come prova ultima di libertà personale, imitazione perfetta della paterna attitudine a fare spazio. È lì che possiamo vedere «quale grande amore» è stato necessario al Padre di Gesù per accettare – con ancora più profondo smarrimento di Maria e Giuseppe – la grande soglia di signorile presenza umana attraversata dal Figlio. Perdendo lui, ci ha presi tutti per figli. Giuliano Zanchi SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 11 messaggio biblico Il Gesù feriale N ella messa del giorno di Natale siamo stati trasportati dall’evangelista Giovanni in quel “tempo senza tempo” prima che il mondo fosse, quando il Logos era presso Dio, il Figlio unigenito era tutto rivolto verso il Padre. La liturgia di questa prima domenica dopo Natale ci mostra Gesù dodicenne, che spiazza i suoi genitori, angosciati per averlo cercato per tre giorni e ritrovato infine nel tempio in mezzo ai dottori della Legge, e che risponde loro: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Il Verbo, facendosi carne, ha svuotato se stesso della sua divinità, «assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,7), ma in Gesù dodicenne comincia a farsi strada l’idea di avere un rapporto privilegiato con Dio, che egli da subito chiama il «Padre suo», dichiarando ai suoi genitori di doversi occupare delle sue cose. La centralità di Gerusalemme Nel prologo del Vangelo di Giovanni si dice che «la Legge fu data per mezzo di Mosè», mentre «la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17). Ora, Gesù che interroga e risponde ai dottori della “Legge” (= i primi cinque libri della Sacra Scrittura che, in un certo senso, la rappresentano tutta), ci fa capire che, prima di portare l’annuncio inedito della sua “Buona Notizia”, egli interroga e si confronta con le Scritture ebraiche. Nella narrazione lucana dell’episodio della trasfigurazione l’evangelista annota che Gesù discorreva con Mosè ed Elia, che rappresentano la sacra Scrittura (Mosè la «Legge» ed Elia i «Profeti») e «parlavano del suo esodo, che stava per compiersi in Gerusalemme» (Lc 9,31). È alla luce della categoria biblica dell’«esodo» che Gesù interpreta il suo mistero pasquale. Al termine del Vangelo di Luca, il Risorto si fa esegeta delle sacre Scritture dichiarando che si dovevano compiere tutte le cose scritte su di lui «nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (Lc 24,44), che rappresentano la forma tripartita della Bibbia ebraica: Legge, Profeti e Scritti. Questa è la cornice più ampia del Vangelo di Luca (che leggeremo in questo anno del ciclo B) in cui inserire il brano di oggi. La pericope odierna ci presenta i genitori di Gesù che, come ogni anno, si recano a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Non è però una Pasqua come le altre, perché Gesù ha dodici anni. Questa informazione che ci offre l’evangelista non sembra avere un significato particolare. In realtà, il testo allude a quella cerimonia che rende un fanciullo ebreo di circa dodici anni un «figlio del precetto», perché da questo momento in poi egli assume la responsabilità dell’osservanza dei «precetti» della Torah. Quando è l’ora di riprendere la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimane a Gerusalemme. La menzione di Gerusalemme fa da grande inclusione di tutto il Vangelo che comincia nel tempio con l’annuncio dell’angelo Gabriele a Zaccaria (cf. Lc 1,5-23) e si conclude ugualmente nel tempio dove gli apostoli stavano sempre, lodando Dio (cf. Lc 24,52-53). Gran parte del ministero di Gesù poi si colloca all’interno del grande viaggio verso Gerusalemme (cf. Lc 9,51). Anche l’inizio degli Atti degli apostoli è ambientato a Gerusalemme, dove si trovano gli apostoli «perseveranti e concordi nella preghiera insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù» (At 1,14). Questa ambientazione gerosolimitana di molti punti nevralgici della narrazione lucana non è un dato meramente geografico, ma riveste un importante significato teologico: Dio è fedele alle sue promesse e non 11 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 12 messagio biblico smentisce la sua Parola data «per bocca dei suoi santi profeti di un tempo», come canta Zaccaria nel Benedictus (Lc 1,70). Il Signore Gesù, parola eterna di Dio fatta carne, appena dodicenne, rimane nella città santa, perché, come dice Is 2,3, è da Gerusalemme che «uscirà la parola del Signore». Al ritorno da Gerusalemme, dopo un giorno di cammino, i genitori si accorgono che Gesù non è con loro. Allora lo cercano tra parenti e conoscenti, ma non lo trovano. Talvolta anche nella nostra vita sembra che il Signore si nasconda. Forse allora è il momento per noi di uscire da tutti i luoghi comuni dove crediamo di poterlo trovare. Questo potrebbe essere per noi il significato simbolico di quei “parenti e conoscenti” tra i quali non si trova Gesù, che sono anche tutti i tentativi di addomesticare il Vangelo e di ridurlo ai nostri piccoli schemi mentali. Custodire la Parola Gesù viene trovato «nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte». Gesù ascolta e interroga i maestri, ma anche lui viene da loro interrogato, perché si dice che essi rimasero stupiti per le sue risposte. Anche sua madre e suo padre, al vederlo, «restarono stupiti». A questo punto prende la parola sua madre, che gli rivolge un dolce rimprovero: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo». Penso che per tutte le mamme sia facile riconoscersi nelle parole della madre di Gesù. Ma qui Luca ci dipinge Maria come colei che, pur essendo stata dichiarata da Elisabetta «beata» perché ha creduto nell’adempimento di ciò che le ha detto l’angelo, deve ancora fare un cammino di fede che la porterà a diventare da madre a discepola del suo stesso Figlio, come ci ricorda la Redemptoris mater secondo la quale anche Maria «avanzò nella peregrinazione della fede» (n. 12). 12 ascolto e annuncio 9 dicembre 2012 - n° 2 Quel bambino, che aveva stretto al suo seno e aveva tenuto tra le braccia, ora che è dodicenne le ricorda che non le appartiene, perché egli appartiene totalmente al Padre e al suo disegno di salvezza per gli uomini. Alle parole di Gesù però i suoi genitori «non compresero ciò che aveva detto loro». Di “sua madre”, prima che l’evangelista taccia su di lei lungo tutto il suo Vangelo, si dice che «custodiva tutte queste cose nel suo cuore». È la seconda volta che Maria ci viene presentata da Luca come colei che custodisce nel suo cuore tutto ciò che riguarda il mistero del suo Figlio. La prima volta è nella scena della natività, quando tutti si stupiscono delle cose dette ai pastori dall’angelo riguardo al bambino. E l’evangelista annota: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Poi, l’evangelista, con poche parole, in modo estremamente conciso, dipinge il quadro dei lunghi anni della vita di Gesù a Nazaret, dove sta sottomesso ai suoi genitori. Forse questo è uno dei misteri più grandi della vita di Gesù, che non consiste tanto in ciò che ha fatto, ma in ciò che non ha fatto. Per circa trent’anni ha vissuto nella sua piccola città come tutti gli uomini, lavorando come carpentiere e frequentando di sabato la sinagoga. Gli autori apocrifi si sono sbizzarriti nel tentativo di colmare questo vuoto. Gli evangelisti invece tacciono su questi anni nascosti e segreti vissuti umilmente da Gesù all’interno del proprio nucleo familiare nella ferialità e nella quotidianità. Sarà proprio questo dato che susciterà lo scandalo dei suoi concittadini che diranno di lui: «Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?», e l’evangelista annota: «Ed era per loro motivo di scandalo» (Mc 6,3). Quella della Santa Famiglia di Nazaret sia la nostra icona ispiratrice all’inizio di questo nuovo anno liturgico. Cristina Caracciolo SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 13 dal vangelo alla vita Essere genitori Comprendere che perfino la famiglia di Nazareth ha attraversato le difficili fasi dell’essere genitori, per noi credenti è un conforto importante. Il vangelo di questa domenica propone una riflessione sulla famiglia, sull’essere genitori e sull’essere figli. Durante la nostra vita di coppia, abbiamo letto molte volte questo passo evangelico e ascoltato tante riflessioni in merito ad esso, ma mai, come in questo momento, ci siamo sentiti così vicini a quella coppia di genitori in ansia per aver perso di vista il loro figlio. Siamo diventati mamma e papà da sei mesi e ci siamo resi conto che l’arrivo di un figlio, da un lato, presuppone una scelta consapevole, ovvero l’essere pronti ad accogliere una nuova vita di cui prendersi cura e da educare, ma che, dall’altro, porta alla scoperta di una parte di se stessi di cui prima non si aveva consapevolezza e stimola a sviluppare modi di pensare, di sentire e di percepire completamente nuovi. Da questo punto di vista, i versi di Luca acquistano un significato profondo da leggere sotto l’aspetto emotivo ed affettivo. L’ansia, l’angoscia e le aspettative disilluse contenute nella frase «Figlio, perché ci hai fatto così?» ora, da genitori, si comprendono appieno e altrettanto profondamente si coglie l’idea che, per quanto si possa essere un genitore competente, i figli non saranno mai una copia delle nostre aspettative, ma persone con una propria identità, una propria personalità e un proprio pensiero. Oggi per noi è semplice pensare o progettare le scelte di nostra figlia, ancora così piccola e indifesa, e sarà facile, con l’andare del tempo, fantasticare sull’immagine ideale che ci si costruisce dei propri figli. È un investimento affettivo importante essere genitori perché inconsapevolmente proiettiamo sui figli i nostri sogni, le nostre speranze e le aspettative che a volte si rivelano molto più elevate di quelle che abbiamo per noi stessi. Tutto questo se, da una parte, ci porta ad essere stimolo e sostegno per la crescita dei figli, dall’altra, ci può far perdere di vista il fine ultimo e il compito educativo principale che spetta a noi genitori: rendere una persona autonoma, capace di scelte mature e testimone di quei valori che la nostra educazione le ha trasmesso. Non è affatto un compito semplice, ma comprendere che perfino la famiglia di Nazareth ha attraversato le difficili fasi dell’essere genitori, per noi credenti è un sostegno ed un conforto importante. Non tanto perché ci mostra l’umanità di una coppia di genitori come Maria e Giuseppe, quanto perché ci permette di scoprire il loro stile educativo offrendoci un modello cui ispirarci nei momenti di difficoltà e di sconforto. Chissà quante volte anche noi, come Maria, dovremo «serbare tutte queste cose» nei nostri cuori, soprattutto quando non riusciremo a comprendere alcune scelte o comportamenti di nostra figlia e probabilmente ci sarà un momento in cui affideremo lei e noi stessi allo sguardo vigile e amorevole di Gesù perché supplisca alle nostre debolezze e alle nostre incapacità! Essere genitori non è semplicemente l’acquisizione di uno status. È piuttosto un’opportunità per una crescita reciproca e permanente nel rapporto di coppia e con i figli. Quegli stessi figli che Dio ci ha affidato affinché ne avessimo cura e li aiutassimo a realizzare il progetto che lui ha scelto per loro. Questo è quanto come genitori ci proponiamo di realizzare con i nostri figli: educarli ad essere persone in grado di esprimere al meglio le loro potenzialità, di mettere a frutto i loro talenti e di essere testimoni credibili dei valori in cui credono. Questo, tuttavia, presuppone un continuo lavoro di revisione personale e di coppia e un atteggiamento fiducioso verso Colui che ci ha chiamati ad essere genitori. Un giorno, ci verrà chiesto conto del nostro operato e della nostra fedeltà alla chiamata vocazionale che ci è stata rivolta divenendo genitori. Chiara e Salvo Licciardello 13 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 14 GIORDANO FROSINI Pietro Scoppola Un cristiano del nostro tempo V ero maestro di politica, religione e attualità, Pietro Scoppola (1926-2007) era un uomo di scienza, che ha lasciato ai posteri un metodo da non dimenticare. L’autore individua i momenti salienti dell’ampia e profonda produzione di uno dei principali esponenti del cattolicesimo democratico. Con riconoscenza verso una figura a cui si è ispirato nella giovinezza, egli intende sostenere, attraverso la sua memoria, la comunità cristiana che non rinuncia a riflettere nell’arduo frangente contemporaneo. «FEDE E STORIA» pp. 144 - € 13,00 NELLA STESSA COLLANA GIORGIO VECCHIO UN «GIUSTO FRA LE NAZIONI»: ODOARDO FOCHERINI (1907-1944) Dall’Azione Cattolica ai Lager nazisti pp. 192 - € 16,00 " " SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 15 CARLO MARIA MARTINI Londra, Gerusalemme, Assisi Appunti privati e pubblici di un padre della Chiesa pp. 36 - € 1,50 L’Europa, la fede e la Parola Tre interviste sulla Chiesa e il mondo pp. 48 - € 2,00 Non date riposo a Dio Il primato della Parola nella vita della Chiesa pp. 68 - € 5,00 EDB !# !! !# '!! ' SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 16 nota introduttiva Maria santissima madre di Dio fine, il grande carro della Storia, appeA llasantito dalle masserizie dei potenti e accompagnato dai clangori della sua marcia, viene pur sempre trascinato dal quotidiano invisibile sforzo delle miriadi di umani che continuano a fare cose semplici come incontrarsi, amarsi, accudirsi, mettere al mondo dei figli, sognare per essi un futuro decente, prendersi cura del loro presente, vegliare accanto ai propri compiti, custodire le minuscole tenaci speranze di tutti i giorni. Se non ci fossero questi qui, il mondo sarebbe già finito. La Storia sarebbe uno spettacolo già chiuso da tempo. Senza repliche. Invece, grazie a Dio, dai secoli dei secoli, gli esseri umani persistono, con quell’inerzia animale che non è semplicemente automatismo biologico, nella convinzione che il senso della vita e la volontà divina si incontrano nell’incanto dell’amore e nella grazia della generazione. A questa ostinata linea di continuità, che è come la scia profumata dell’originario gesto creativo, il trambusto della geopolitica come l’affollato pollaio delle persone veramente importanti, non portano un centimetro di ampiezza in più. Coprono semplicemente, col frastuono sterile delle loro convulsioni, il leggero mormorio delle generazioni che continuano a trasformare in carne, viva e personale, il soffio originario dello spirito. Finché ci sarà anche un solo nuovo essere umano a cui dover dare un nome, la Storia ha un vero futuro. La rivelazione del Dio di Gesù, nel compimento della creazione e come primizia della redenzione, entra in scena accettando di affiorare da uno di queste miriadi di gesti gene16 ascolto e annuncio 9 dicembre 2012 - n° 2 Anno C 1° gennaio 2013 Nm 6,22-27 Sal 66 Gal 4,4-7 Lc 2,16-21 rativi, identica nell’unicità che resta propria di ogni nascita umana, benché unica nell’identità di questo parto divino destinato a rendere il tempo pieno, saturo, colmo fino all’orlo della grazia che l’Altissimo vuole da sempre per la sua creazione. Il racconto evangelico incornicia perfettamente questa divina ferialità che prende l’abito ordinario delle attese umane. Ne fa una narrazione silenziosa, bucolica, traboccante di pudore, ridotta all’essenziale, in cui alla tenerezza di un padre e di una madre per il proprio figlio corrisponde la candida meraviglia di gente normale, distratta dal proprio lavoro solo dalla grazia irresistibile di un bambino appena nato. Nessun miracolo. Succede sempre così. In tutte le case umane. La pienezza del tempo, alla fine, la misurano tutti contando la lucentezza di questa immateriale moneta. I figli che siamo stati. I generatori che vorremmo essere. La grazia degli affetti che ci tiene nel perimetro di quello che è umano. Nell’arbitrario conteggio del tempo, nel quale approfittiamo per fare bilanci e tirare delle somme, siamo tutti più sensibili – esultando di sorpresa – per quei legami che hanno tenuto e siamo tutti più avviliti – con costernato rimpianto – per quelli che abbiamo perso per strada. La sensazione è precisa: la volontà di Dio si compie quando riusciamo a restare umani. Nella speranza che serve a dare la vita, come nel coraggio necessario a mantenere la pace. Giuliano Zanchi SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 17 messaggio biblico Madre perché credente L a notte di Natale abbiamo lasciato i pastori con gli occhi rapiti davanti alla visione dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama» (Lc 2,14). I cieli si congiungono con la terra nel giorno in cui, giunta la «pienezza dei tempi», il Figlio di Dio nasce «da donna» (Gal 4,4). Colui che «i cieli e i cieli dei cieli» non possono contenere (1Re 8,27), Maria lo ha portato nel suo grembo e lo ha partorito nel silenzio umile e discreto della notte santa. Colui che regge l’universo, giace piccolo, fragile e indifeso in una mangiatoia! Quando gli angeli si allontanano dai pastori, questi si dicono l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15). C’è un “avvenimento” che il Signore non fa conoscere ai sacerdoti del tempio, agli scribi e ai farisei, ma ad una delle categorie più povere, ignoranti ed emarginate esistenti in Israele a quel tempo: i pastori. Gesù stesso un giorno gioirà ed esulterà nello Spirito Santo perché il Padre ha tenuto nascoste «queste cose ai sapienti e ai dotti» e le ha «rivelate ai piccoli» (Lc 10,21). I pastori sono dunque spettatori privilegiati di uno dei misteri più grandi nella storia della divina rivelazione che essi chiamano “avvenimento”, in greco rèma, che significa sia fatto, avvenimento che parola, come l’ebraico dabar che, a seconda dei contesti in cui ricorre, si può tradurre con fatto, o con parola. Si tratta di un termine che, nel testo originale in lingua greca, ricorre per ben tre volte all’interno di questa narrazione, cosa che invece si perde nella traduzione italiana. La seconda volta si riferisce alla “parola” che è stata detta ai pastori circa il bambino e la terza volta a «tutte queste cose» che Maria custodisce meditandole nel suo cuore. Dal verbo greco (symballô) – che traduciamo con “meditava” – deriva il termine italiano “simbolo”. Cosa fa il simbolo? “Mette insieme” (questo è il significato letterale del verbo) una data cosa con alcuni significati cui essa rimanda. Maria mette insieme tutti i fatti e le parole riguardanti suo Figlio, accostandoli l’uno all’altro e, probabilmente, anche agli eventi e alle parole della storia del suo popolo. Potremmo dire che Maria è la prima “esegeta” della nuova alleanza, il cui cuore, prima ancora di quello dei discepoli di Emmaus nell’udire l’esegesi delle Scritture fatta loro dal Risorto, arde segretamente nel suo petto. Così i pastori vanno, senza indugio, e trovano «Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia». Non c’è un quadro più semplice di questo e, al contempo, tanto sublime! Una donna, un uomo e, in mezzo a loro, un bambino. Anche se il bimbo non fosse il Figlio di Dio incarnato, questa sarebbe già da sola una scena che ha del “divino”. Ne facciamo tutti esperienza quando ci troviamo davanti a quell’alone di mistero che avvolge un bambino appena nato! Da notare che il narratore menziona Maria prima di Giuseppe, quasi a voler mettere in rilievo quel rapporto unico ed esclusivo che lega questo bambino a sua madre. Dare carne alla Parola Se la Vergine Maria è “madre di Dio” in modo del tutto unico e speciale, nondimeno tutti i discepoli del Figlio suo sono in qualche modo chiamati ad essere “madri di Dio”. Quando, un giorno – come ci racconta l’evangelista Marco –, «giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo», Gesù risponde: «“Chi 17 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 18 messagio biblico è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”» (3,31-35). Un’altra volta, in mezzo alla folla che lo ascoltava, una donna esclamò: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!» (Lc 11,27). A queste parole Gesù dichiara: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». Gesù non intende sminuire la grandezza di sua madre, ma vuole spostare l’attenzione dal privilegio unico di averlo portato fisicamente nel grembo e averlo allattato, alla vera beatitudine di Maria che, sempre nello stesso Vangelo di Luca, è dichiarata “beata” da Elisabetta perché «ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). Maria è beata perché ha prestato un ascolto obbedienziale alla parola di Dio a tal punto da rivestirla con la sua stessa carne. Questo è ciò che il Signore vuole da noi e che ci addita in questa solennità. La Madre di Gesù è stata additata dai padri della Chiesa quale terra vergine e feconda nel solco della quale è stata seminata la divina Parola che è germogliata e fiorita dal suo seno. Così si esprime Dante, mettendo in bocca a Bernardo di Chiaravalle, le parole indirizzate alla Vergine Madre, «figlia di suo Figlio»: «Nel ventre tuo si raccese l’amore,/ per lo cui caldo ne l’etterna pace/ così è germinato questo fiore» (Paradiso, XXXIII, 9). Anche noi, come Maria, siamo una terra nella quale il divino Seminatore sparge il seme della sua Parola. Forse, confrontandoci con la madre di Dio, noi ci possiamo scoprire terra sassosa, poco profonda e sulla quale crescono rovi (cf. Mt 13,3-9; 1823), ma il Signore, che è un agricoltore paziente (cf. Lc 13,6-9), offre a ciascuno di noi la possibilità di togliere i sassi, vangare la terra ed estirpare tutti i rovi che potrebbero soffocare la Parola seminata in noi. A 18 ascolto e annuncio 9 dicembre 2012 - n° 2 ciascuno di noi è data la possibilità di ripercorrere l’itinerario di fede della madre di Dio, dando carne nella nostra vita, ciascuno secondo i suoi doni e le sue caratteristiche, a quella Parola che oggi il Signore rivolge a noi. Modello da imitare In questo anno della fede Maria può essere per noi un modello da imitare e una compagna nel cammino. Lei, che prima di essere “madre di Dio” è innanzitutto sorella nostra, è una di noi. Nella lettera apostolica Porta fidei ci viene presentato l’itinerario percorso da Maria dall’annunciazione fino al cenacolo: «Per fede Maria accolse la parola dell’angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cf. Lc 1,38). Visitando Elisabetta, innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a lui (cf. Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità (cf. Lc 2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cf. Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con lui fin sul Golgota (cf. Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cf. Lc 2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel cenacolo per ricevere lo Spirito Santo» (cf. At 1,14; 2,1-4) (n. 13). Varchiamo dunque la soglia di questo nuovo anno che oggi dischiude a noi le sue porte, con fiducia e nella letizia evangelica, anche se tutti noi avvertiamo la crisi che sta attraversando il nostro paese e il mondo intero. Lasciamoci illuminare dalla luce limpida e semplice che emana il volto della madre di Dio, luna che riverbera il vero sole senza tramonto, Gesù Cristo, nostro Salvatore. Cristina Caracciolo SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 19 dal vangelo alla vita Generare Cristo Dobbiamo avere la consapevolezza che siamo resi partecipi in qualche modo della stessa maternità di Maria. Dobbiamo generare ogni giorno Cristo. Nel suo vangelo, Luca descrive la nascita di Gesù in modo semplice, popolare. Gesù nasce al termine di un lungo viaggio, in una stalla: non c’è nessuno pronto ad accoglierlo. Ha avuto bisogno di un po’ di paglia, forse del calore di qualche animale. In questo brano un ruolo da protagonisti lo svolgono Maria, madre di Gesù, e i pastori. I pastori sono i primi a ricevere l’annuncio che è nato il Salvatore. Questa notizia li ha colti di sorpresa, disorientati, spaventati, tuttavia essi, dopo che l’angelo si allontana, decisero di andare senz’indugio a vedere questo avvenimento. Tutti i dubbi scompaiono di fronte alla loro capacità di fidarsi di Dio. Quando i pastori arrivano, si trovano davanti una scena di estrema povertà e semplicità: Maria e Giuseppe accanto al bambino deposto in una mangiatoia, nient’altro. Questa è la famiglia di Gesù, la famiglia di Dio. Eppure, dice l’evangelista, furono pieni di gioia. Si sono fidati delle parole dell’angelo e, con la loro povera fede, hanno visto un Dio povero, piccolo, non lontano ma davanti a loro, come uno dei loro bambini, nato nel loro ambiente. Così sarà accaduto anche a Maria che deve comprendere gradualmente una verità più grande di lei: essere la madre di Dio. Così non perde mai la fiducia, sa che il suo Signore non la abbandonerà ed accetta con umiltà anche una misera stalla per dare inizio al progetto di salvezza che Dio aveva preparato per l’umanità. Sarà stato anche questo il motivo per cui l’evangelista sottolinea che «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore». Il cuore della Madre, infatti, deve accogliere ed accettare due grandi misteri: il mistero del Figlio di Dio che, per arrivare agli uomini, sceglie una strada imprevedibile, difficile da comprendere per la mentalità degli uomini, perché si affida al “sì” di lei, una semplice fanciulla, per entrare nella storia; ed il mistero degli uomini che rifiutano la luce, che non accolgono questo bambino indifeso nel quale si realizzerà la salvezza. Maria, che ha detto “sì” alla proposta di Dio, che non ha esitato ad accettare Gesù nel suo grembo, non riesce a capire le porte sbarrate, i no che, insieme a Giuseppe, riceve nel suo peregrinare alla ricerca di un posto dove dare alla luce suo figlio. Non capisce il perché della fragilità della sua famiglia, senza dimora, debole. Forse non capisce neppure perché il Signore si sia fatto piccolo tra i piccoli, divenendo bambino debole, ma per nulla impotente, perché è la forza che vince il mondo. Maria capisce, sin dall’inizio, che la scala di valori che Dio le propone capovolge quella degli uomini: gli ultimi sono i primi, gli esclusi sono i privilegiati. Come Maria, anche noi dobbiamo rispondere con fiducia all’annuncio della nascita di Gesù. Noi che tanto spesso viviamo nella ricerca affannosa di forza, di indipendenza e di autosufficienza, dobbiamo essere capaci di accogliere quel bambino che ha cambiato il cuore e la vita di tanti uomini. Anche noi, come Maria, non dobbiamo lasciarci scoraggiare dalle prime difficoltà, ma dobbiamo avere la consapevolezza che siamo resi partecipi in qualche modo della stessa maternità di Maria. Dobbiamo pertanto generare ogni giorno Cristo, là dove si svolge la nostra vita quotidiana: al lavoro, in famiglia, nel vicinato, nella vita economica, culturale, politica del paese. Possiamo quindi guardare alla nostra realtà e al nostro futuro con rinnovata speranza, con l’entusiasmo di chi sa che sta partecipando alla realizzazione di un mondo nuovo, per il quale Gesù chiede il contributo di ciascuno di noi, ognuno con le sue capacità. Grazie, Gesù, per averci donato tua Madre come modello della maternità a cui chiami la Chiesa. Fa’ che, come lei, diveniamo consapevoli di questa vocazione che ci affidi. Francesca e Santo Alì 19 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 20 CARLO CIATTINI Missione della Chiesa e Dottrina sociale Presentazione di mons. Mario Toso I n questa epoca di crisi economica e finanziaria, il cristiano non può trascurare un’a- deguata conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa. Assumendone i principi come punto privilegiato di osservazione, il testo è un aiuto a leggere il nostro tempo alla luce del Vangelo e, insieme, un invito ad attualizzare la Parola di Dio in vista di un ripensamento dei modelli di sviluppo dell’intero pianeta. «OGGI E DOMANI» pp. 88 - € 8,00 Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 21 BRUNO SECONDIN Inquieti desideri di spiritualità Esperienze, linguaggi, stile PREFAZIONE DEL CARD. GIANFRANCO RAVASI C apire il nostro tempo e le sue inquietudini significa fare i conti con un mondo profon- damente cambiato, in cui i segni dello spirito non sono scomparsi ma vanno cercati con occhi e intelligenza rinnovati. Si tratta di interpretare la crescente ricerca di Dio, che la nostra contemporaneità manifesta in forme inedite e a volte assai confuse. L’autore suggerisce nuove categorie di teologia spirituale, indispensabili per accompagnare l’uomo di oggi. «CAMMINI DELLO SPIRITO» pp. 288 - € 25,00 Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 22 nota introduttiva Epifania del Signore Scrittura biblica è anche il frutto di un L aprocesso creativo assai vicino all’esperienza delle arti. Il senso classico della parola “invenzione” (inventio), che denota, nello stesso tempo, l’evento di una scoperta e il talento dell’elaborazione, qualcosa che si trova e qualcosa che si crea, spiega molto di questa parentela. Questo fatto non scalfisce un centimetro della natura ispirata che i credenti attribuiscono alle Scritture. Semmai aggiunge a quella natura la realtà e la sostanza proprie di ogni comunicazione vera. In essa il dato storico si intreccia sempre con la forza della metafora. I fatti da soli non dicono niente. Hanno bisogno di uno sguardo capace di discernere il loro senso. Per esprimerlo, occorre l’arte della metafora, capace di dare forma non a un senso lato (dunque anche irreale, artificioso, puramente immaginario) ma al senso ultimo (dunque assai concreto, tangibile, gravido di realismo esistenziale). Matteo, che riscrive la nuova alleanza con l’alfabeto immaginifico di quella antica, non fa mancare la sua creatività in questa teologia dell’universalità applicata alla rivelazione del Figlio. Una delle metafore più potenti che il grande laboratorio biblico abbia saputo produrre, attingendo all’atavico istinto narrativo dell’uomo, è quella di un viaggio in cui si mettono alla prova le forze, si svelano i cuori, si chiariscono i destini. La Scrittura trabocca di viaggi. Lungo le strade della terra come attraverso i meandri dell’anima. Nella narrazione dell’infanzia del Figlio le metafore di viaggio sembrano però convergere verso una sintesi, un punto di arrivo centripeto, il luogo 22 ascolto e annuncio 9 dicembre 2012 - n° 2 Anno C 6 gennaio 2013 Is 60,1-6 Sal 71 Ef 3,2-3.5-6 Mt 2,1-12 appunto della manifestazione definitiva di ogni enigma e della rivelazione finale della meta. La vicenda di uomini che dall’oriente vengono attratti, come polvere di ferro dall’energia di un magnete, verso l’evento ordinario e insieme unico della nascita di un bambino, evoca l’antica profezia di un mondo intero sedotto dal fulgore di una città, condotto a raccogliersi – dimenticata ogni contesa e ogni inimicizia – nel centro di gravità permanente della presenza dell’Altissimo, compiaciuta di aver eletto la città degli uomini come casa propria. Il viaggio dei magi è, insomma, la marcia umana – ritorno e esodo nello stesso tempo – verso una pienezza possibile. Mistero della grazia di Dio. Ai credenti di Efeso, Paolo lo spiega senza veli e senza metafore: le genti – che per l’ebreo di Tarso vuole dire tutti senza eccezioni – sono chiamate a trovare il loro comune destino nella vita del Figlio, a sperare della sua stessa speranza, a diventare una sola umanità sulla forma di lui. La rivelazione – la manifestazione, lo svelamento, l’illuminazione – concerne precisamente questa destinazione universale della cura divina per l’uomo, produce chiarezza definitiva su questa illimitata disponibilità del Dio dell’Alleanza a fare di ogni essere umano un figlio, di ogni straniero un ospite, di ogni lontano un prossimo. Deposto in una culla o innalzato da terra, il Figlio attira sempre tutti a sé. Come un tempo Gerusalemme. Giuliano Zanchi SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 23 messaggio biblico Polvere di stelle In questo giorno intraprendiamo anche noi, come i magi, il nostro viaggio alla ricerca del «re dei giudei», lasciandoci guidare, come loro, da una duplice luce: quella del creato e quella sacra Scrittura. I magi venuti dall’oriente sono stati identificati come sacerdoti dell’antica religione persiana chiamata “zoroastrismo”, una religione monoteistica che ha esercitato il suo fascino anche in epoca moderna nella religiosità di tipo esoterico. Essi erano anche astronomi e astrologi (nell’antichità non c’era differenza). Dal racconto matteano risulta, infatti, che scrutavano la volta stellata per scorgervi segni indicatori di particolari eventi storici, nel caso specifico la nascita del «re dei giudei». Questi personaggi si presentano a Gerusalemme, alla corte del re Erode, dicendo: «Dov’è colui che è nato, il re dei giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2). Essi dunque si sono lasciati guidare da una stella improvvisamente apparsa nel cielo. Alcuni identificano questa stella con una triplice congiunzione di Giove e Saturno verificatasi nel 7 a.C. nella costellazione dei Pesci. Altri ritengono si tratti di una cometa, come quella di Halley, che circola periodicamente all’interno del nostro sistema solare. I due pannelli del dittico Ma il racconto rimanda a un significato che va al di là dei dati puramente storici e astronomici e chiede di essere decodificato. Vogliamo diventare anche noi, come i magi, pellegrini in cammino verso Betlemme, lasciandoci guidare dalla duplice luce, della stella e della Scrittura, perché è in esse che Dio ci comunica la sua Parola. Che la parola di Dio sia inscritta nel cosmo e nella sacra Scrittura ce lo dice il Sal 19, un dittico costituito da due pannelli: il primo celebra la Parola divina inscritta nel creato: «I cieli narrano la gloria di Dio,/ l’opera delle sue mani annuncia il firmamento./ Il giorno al giorno ne affida il racconto/ e la notte alla notte ne trasmette notizia./ Senza linguaggio, senza parole,/ senza che si oda la loro voce,/ per tutta la terra si diffonde il loro annuncio/ e ai confini del mondo il loro messaggio./ Là pose una tenda per il sole/ che esce come sposo dalla stanza nuziale:/ esulta come prode che percorre la via./ Sorge da un estremo del cielo/ e la sua orbita raggiunge l’altro estremo:/ nulla si sottrae al suo calore» (vv. 2-7). I cieli e il firmamento narrano, annunciano e raccontano la gloria di Dio senza parole, ma con un messaggio comprensibile a tutti gli uomini che, davanti alla volta stellata, nella loro piccolezza si sentono sovrastati da qualcosa di immenso, di meraviglioso, che parla loro di un mistero che li avvolge e li abbraccia. Il firmamento allora è veramente la “firma” di colui che lo ha creato, un indizio della sua presenza. Nel secondo pannello di questo dittico il salmista passa a celebrare la «legge del Signore», la sua «testimonianza», i suoi «precetti» e il suo «comando», che rinfrancano l’anima, rendono saggio il semplice e fanno gioire il cuore, e che altro non sono se non la sua Parola, presente questa volta nella sacra Scrittura. I magi, dunque, si fanno guidare inizialmente da una stella, che li conduce a Gerusalemme, luogo dove ascoltano la Parola che offre loro le indicazioni del luogo dove possono trovare il Bambino. L’amara ironia che soggiace al testo sta nel fatto che, mentre questi personaggi appartenenti a una religione pagana sono venuti ad adorare il re dei giudei, Erode e gli abi23 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 24 messagio biblico tanti di Gerusalemme restano «turbati». Il re Erode, attaccato alla sua posizione di potere e di prestigio, si sente minacciato da questa notizia e convoca «tutti i capi dei sacerdoti e degli scribi del popolo» per informarsi circa il luogo dove doveva nascere il Messia atteso. Le guide spirituali del popolo a loro volta interrogano la sacra Scrittura, che dà le coordinate geografiche precise circa il luogo dove era nato il bambino e dicono: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele”» (Mi 5,1-3). Anche noi come i magi Questa profezia è una minaccia a chi detiene il potere civile e religioso in Israele, perché, accennando al “pastore” del popolo, implicitamente richiama un altro testo profetico, che è molto duro contro i falsi pastori che pascono se stessi invece che prendersi cura del gregge del Signore. Dice infatti una pungente profezia di Ezechiele: «Così dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? (...) Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così non pasceranno più se stessi (...) Io stesso cercherò le mie pecore...» (dal cap. 34). Questa profezia fa tremare il trono di Erode. Allora, «chiamati segretamente i magi», egli si fa dire loro «con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella» e li invia a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Dopo aver imboccato la direzione indicata loro dalla Scrittura, ecco che ai magi riappare la stella che avevano visto spuntare e che li precedeva, «finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino». È interessante il fatto che l’evangelista an24 ascolto e annuncio 9 dicembre 2012 - n° 2 noti: «Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima». Che messaggio possiamo trarre da questo dato per noi oggi? Mi sia consentito fare una lettura simbolica della stella a partire dall’etimo latino della parola desiderio. Si tratta infatti di un termine composto da de e sideris, che si potrebbe tradurre con l’espressione “dalle stelle”. Se la nostra terra è un pianeta derivante dal sole, che è la nostra stella, di ogni uomo si può dire che sia in un certo senso “polvere di stelle”. Nell’intimo di ogni uomo pulsa una stella, ovvero un desiderio originario di bene, di gioia, di pace e di vita eterna, un desiderio che lo muove nella sua ricerca di Dio e che è Dio stesso ad aver posto nel suo cuore. I magi guidati dalla stella possiamo essere tutti noi, quando ci lasciamo guidare dai desideri più nobili, più belli, più veri. Questo desiderio ci mette in moto, ci fa cominciare un viaggio alla scoperta della presenza del Signore nelle sacre Scritture, dove troviamo che – come dice sant’Agostino – noi ci siamo messi in cerca di colui che per primo ci ha cercati. Lasciamoci guidare da questa parola, attraversando magari anche valli oscure nella notte profonda. Arriverà il momento in cui rivedremo la nostra stella, ovvero scopriremo che la Parola ci ha condotto lì dove viene soddisfatto ogni nostro desiderio. Al vedere questa stella anche noi possiamo sperimentare una grandissima gioia, quella gioia evangelica che niente e nessuno al mondo ci potrà togliere (cf. Gv 16,22). Entriamo dunque oggi anche noi «nella casa» e vediamo il bambino «con Maria sua madre», la quale è il vero «trono regale», non come quello effimero di Erode, ma trono fatto di carne di donna, creatura totalmente recettiva che accoglie e dona al mondo il Dio della vita. Prostriamoci anche noi, adoriamo il Bambino e apriamo anche noi lo scrigno del nostro cuore per presentargli quel dono unico e irripetibile che ognuno può dare al suo Signore. Cristina Caracciolo SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 25 dal vangelo alla vita Verso la Luce Anche noi, oggi, adoriamo il Bambino, recando ciascuno la propria specifica diversità che è la ricchezza da deporre dinanzi alla Luce della capanna. «Era nato. Sua madre aveva avuto le contrazioni proprio lì, i suoi muscoli espulsori obbedirono ad un luogo predisposto e prescritto: a Betlemme di Giuda è tenuto a nascere il Messia, il più aspettato intruso del mondo.(…) Scrive Matteo che tre stranieri vennero da altro Oriente per registrare il prodigio già annunciato dai loro calcoli, portando offerte solenni degne di una nascita di re. Il re in carica, Erode, se ne risentì, ebbe timore di un’usurpazione» (Erri De Luca, Nocciolo d’oliva, ed. Messaggero, Padova, 2002). Meditando il brano del Vangelo di Matteo nel giorno della solennità dell’Epifania, sia io che Dario siamo colpiti dalla figura di Erode. Un uomo tenacemente attaccato al suo potere, spaventato al solo pensiero della nascita di un bambino che potrebbe, in futuro, offuscare la sua stella; un re pronto al raggiro, alla menzogna, alla violenza pur di raggiungere i suoi scopi e continuare a dominare indisturbato; incapace di mettersi in cammino per cercare di capire l’evento accaduto nel suo regno. Uccidere l’usurpatore, trovare l’atteso “intruso” non per conoscerlo ma per impedire ogni sua possibile influenza nella propria vita e nel proprio regno: solo questo lo interessa. Cosa può cambiare con la venuta al mondo del “re dei giudei”? dove porta la luce della sua stella? Erode non vuole perdere ciò che ha. Istintivamente rifiutiamo ogni identificazione con un simile uomo di potere che vorrebbe impedire alla Luce di risplendere; eppure, dobbiamo riconoscere che la tentazione di stare dalla parte di Erode si può insinuare. Gli interessi del mondo sono rivolti in altre direzioni e anche quelli personali, a volte, possono essere fortemente contrari e percepire nell’accoglienza del Figlio fatto uomo, una minaccia alle proprie sicurezze. Ci è richiesto di vigilare, di sentire la responsabilità di rendere testimonianza alla Luce, di fare in modo che chi ha fatto tanta strada per incontrare il Bambino lo possa riconoscere e adorare. Sono in tanti, ancora oggi, gli uomini che cercano, che hanno intravisto una luce e si sono messi in cammino. E noi con loro. Dario ricorda la sua esperienza di lavoro, tre anni or sono, in Bulgaria. Le domande di alcuni colleghi bulgari sulla sua fede. Sei cattolico? Praticante? E i racconti di Nicolay, della sua infanzia trascorsa senza mai sentire parlare di Dio; la gioia di Mila per il suo battesimo, a ventisei anni, dopo avere finalmente incontrato Gesù; e ancora il ricordo degli anni della scuola superiore di Pavlina: a Natale e a Pasqua una circolare del preside invitava gli studenti, pena l’espulsione, a non tralasciare le lezioni per partecipare alla messa celebrata per loro. E l’incontro con padre Ilya della chiesa ortodossa: la testimonianza della fede, della vita della chiesa in tempi difficili ed, ora, il cammino dei cristiani in un tempo secolarizzato. Vorremmo essere come i magi: saper leggere i segni della presenza di Dio nel tempo, nel creato, avere la saggezza di chi, da lontano, ha raccolto un messaggio incontrato lungo il proprio percorso (nello studio, nel lavoro, nelle relazioni…) e lo ha seguito per rispondere ad una necessità interiore, senza conoscerne, forse, tutti i significati e le implicazioni. I magi vanno incontro alla Verità che hanno imparato a conoscere, credono nella sua esistenza anche quando la stella che li guida scompare; nei loro scrigni i doni per il “pastore di Israele”: oro per la sua regalità, incenso per la sua divinità, mirra per la sua umanità; la ricchezza del loro sapere non diventa potere ma dono, riconoscimento, adorazione. Anche noi, insieme ai popoli della terra, oggi, adoriamo il Bambino, recando ciascuno la propria specifica diversità che è la ricchezza da deporre dinanzi alla Luce della capanna. Maria Cristina e Dario Golfi 25 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 26 BARBARA FIORENTINI Accesso alla rete in corso Dalla tradizione orale a internet 2000 anni di storia della comunicazione della Chiesa I mpegnata da 2000 anni ad annunciare la Buona Novella, la Chiesa non si sottrae ai continui cambiamenti nella comunicazione e accoglie la sfida tecnologica come necessaria e ineludibile via dell’evangelizzazione. L’autrice ripercorre la storia della comunicazione della Chiesa cattolica, focalizzandosi poi su mass media e nuove tecnologie, con le loro criticità. Per abitare da credenti ogni spazio, anche virtuale, in cui si incontra l’uomo di oggi. «OGGI E DOMANI» pp. 112 - € 10,50 Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 27 PATRIZIO RIGHERO A partire dai Testimoni Schede per catechesi ai giovani PRESENTAZIONE DI NICOLÒ ANSELMI 16 brevi ritratti di «testimoni» di vita cristiana del secolo scorso. Ogni presentazione comprende una biografia essenziale e una scheda di attività da svolgere con i ragazzi, contenente citazioni del protagonista, suggerimenti per l’attualizzazione e la riflessione in gruppo, ipotesi per un possibile gesto concreto da realizzare. Rivolto a quanti si dedicano ai giovanissimi e ai giovani, il sussidio offre spunti attuali e proposte pratiche ed è adatto a gruppi e situazioni diverse. «ITINERARI DI FEDE» pp. 88 - € 7,50 DELLO STESSO CURATORE A VOI LA PAROLA. Itinerario per giovani su solidarietà e impegno. PRESENTAZIONE DI DOMENICO SIGALINI EDB pp. 88 - € 6,30 # # & & SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 28 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA CONSULTA ECCLESIALE DEGLI ORGANISMI SOCIO-ASSISTENZIALI CARITAS ITALIANA - UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ Opere per il bene comune Rilevazione dei servizi socio-assistenziali e sanitari ecclesiali in Italia I l volume dà ragione della Rilevazione nazionale dei servizi collegati alla Chiesa. Il lavoro è volto ad avviare una riflessione approfondita sul ruolo che le istituzioni ecclesiali socio-assistenziali e sanitarie del nostro Paese possono ricoprire nel promuovere una rete di assistenza più prossima ai bisogni delle persone, e a porre le basi per un dialogo con il servizio pubblico e con le pubbliche autorità, nell’ottica della solidarietà e della sussidiarietà, in un settore di fondamentale importanza. «FEDE E ANNUNCIO» EDB pp. 192 - € 16,00 " " % % SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 29 nota introduttiva Battesimo del Signore epifania, messa in scena lungo Q uest’altra un fiume che, agli osservanti dell’antica legge, ricorda l’offerta di una nuova amicizia, Luca la racconta a fior di labbra, contando le parole come se fossero pagate, riducendo al massimo i dettagli di una cronaca che sembra in realtà un ragguaglio sintetico per ascoltatori cui basta solo un cenno: quasi ricordi comuni, perfettamente stipati nella sazia memoria di tutti, pronti ad essere rianimati con una sola parola, spargendo nuovamente ovunque l’emozione della prima volta. Sappiamo che, a definire il ritratto del Battista, concorre tutto il miglior materiale pittorico che l’antica parola ha potuto offrire. L’antica icona della voce che grida nel deserto – come ci è dato di sentire – è incastonata fra parole di irraggiungibile tenerezza. Prima, il sollievo di un Dio della misericordia determinato a sgravare la vicenda umana del fardello di una colpevolezza mortificante. Il Dio dell’alleanza non compromette la sua amicizia nemmeno per tanto. Poi, la metafora del pastore che appare con fulminante anticipo sui tempi a rappresentare l’animo autentico del Dio biblico, intriso di robustezza paterna, miscela perfetta di forza e di cura, di attenzione e di fiducia. Proprio dentro questa parentesi evangelica già palpitante nella lettera dell’antica alleanza si chiarisce il tono della voce incaricata di livellare le strade che il Figlio sta per imboccare. Nessuna inquietudine. Solo consolazione. Proprio come dice Isaia. Devono essere stati in molti – oltre che attendere il momento tanto propizio – a pensare di Anno C 13 gennaio 2013 Is 40,1-5.9-11 Sal 103 Tt 2,11-14; 3,4-7 Lc 3,15-16.21-22 poterlo interpretare. Giovanni appunto è preso per uno di quelli. L’emozione dell’attesa spinge gli occhi a scrutare in ogni direzione. Il racconto di Luca lascia che sia Giovanni in persona a confessare – con professione di indegnità e di asimmetria totali – la propria relatività di testimone in vista della comparsa del protagonista. Quello che arriva sopravanza le attese. Al di là di ogni immaginazione. Il gesto inaugurale difatti ha di che lasciare a bocca spalancata. Doveva essere quello che battezzava col fuoco – non era questa la professione di umiltà di Giovanni il Battezzatore di acqua? –, quello destinato a portare in dote il sigillo dello spirito, quello incaricato di sigillare nel fuoco l’avvenuta riconciliazione generale. Invece, il battesimo lui decide di riceverlo. Pazientemente in fila anche lui come tutti sulla linea d’acqua di un’amicizia da rendere nuova ancora una volta. La bellissima notizia della rivelazione cristiana di Dio sgorga anche da questa sorgente di fraternità nella quale il Figlio per primo decide di immergersi. L’amicizia non si ricostruisce girando il coltello nella ferita dei torti. Ma insistendo in quella umana comunione che precede ogni inimicizia. Quando arriva, il Figlio si mette lì. Con disarmante unilateralità. E il compiacimento di Dio – ancorché rappresentato nell’equivoca veste di un effetto soprannaturale – manifesta la sua totale identificazione in questo gesto di sovrana fedeltà alla creazione. Anche Dio – se gli capita – fa così. Giuliano Zanchi 29 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 30 messaggio biblico In fila con i peccatori Con questa domenica si conclude il ciclo liturgico natalizio. Domenica scorsa abbiamo celebrato l’Epifania del Signore, ovvero la sua “manifestazione”. Si tratta di una prima manifestazione, alla quale fanno seguito altre due, come ci fa cantare l’inno dei vespri nel tempo di Natale, dalla solennità dell’Epifania fino al battesimo del Signore, che evoca anche l’episodio del battesimo e del primo segno alle nozze di Cana: «Il Figlio dell’Altissimo/ s’immerge nel Giordano,/ l’Agnello senza macchia/ lava le nostre colpe./ Nuovo prodigio, a Cana:/ versan vino le anfore,/ si arrossano le acque,/ mutando la natura». Nella solennità dell’Epifania abbiamo letto l’episodio della manifestazione di Gesù ai magi, nella domenica odierna leggiamo quello del battesimo di Gesù presso il Giordano, dove egli si manifesta alla folla ivi convenuta per farsi battezzare. Abbiamo dunque due manifestazioni che già ci dicono implicitamente la portata rivoluzionaria del Vangelo di Gesù Cristo, che prima di tutto si manifesta ai pagani e ai peccatori. Il dono dello Spirito Al popolo che è in attesa, interrogandosi se è Giovanni il Messia atteso, egli stesso risponde che, mentre lui battezza con acqua, viene colui che è più forte di lui, al quale egli non è degno di slegare i lacci dei sandali. Egli battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Così, l’inizio del Vangelo, la prima parte dell’opera lucana, rimanda all’inizio della seconda parte: gli Atti degli apostoli e, precisamente, all’evento della Pentecoste. Degli apostoli non si dice che furono battezzati, ma che, nel giorno di Pentecoste, mentre erano riuniti in preghiera «nello stesso luogo» (...), apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posa30 ascolto e annuncio 9 dicembre 2012 - n° 2 vano su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,3-4). Questo è il loro battesimo. In forza dello Spirito Santo appena ricevuto, nello stesso giorno di Pentecoste, Pietro annuncia la Buona Notizia di fronte alla quale gli ascoltatori si sentono trafiggere il cuore e chiedono che cosa devono fare. Pietro risponde loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,38). In questo caso il dono dello Spirito Santo è il frutto del battesimo. Quando Pietro poi annuncia il Vangelo in casa del pagano Cornelio, Luca dice che, mentre egli stava ancora parlando, «lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo (...). Allora Pietro disse: “Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?”. E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo» (At 10,44-48). In quest’altra circostanza il dono dello Spirito Santo è suscitato dall’ascolto della Parola e precede il battesimo, che diventa il sigillo e la conferma del dono ricevuto dall’alto. Nella sua sovrana libertà Dio non si lascia legare le mani dai sacramenti: egli effonde il suo Santo Spirito anche su coloro che non appartengono ufficialmente alla Chiesa, per farli rinascere poi dal suo grembo battesimale. Anche nell’episodio evangelico di questa domenica c’è un legame inscindibile tra battesimo e Spirito Santo. Su Gesù, in preghiera dopo aver ricevuto il battesimo come «tutto il popolo», discende «lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba». Soffermiamoci innanzitutto su un partico- SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 31 messagio biblico lare che non si trova negli altri tre Vangeli e che è proprio della narrazione lucana: dopo essere stato battezzato Gesù «stava in preghiera». Il motivo della «preghiera» occupa un posto di rilievo nell’opera lucana. Ci limitiamo qui a menzionare soltanto alcuni passi evangelici in cui ricorre. Il Vangelo inizia con l’annuncio dell’angelo a Zaccaria che si trova nel tempio per fare l’offerta dell’incenso mentre «fuori, tutta l’assemblea stava pregando» (Lc 1,9-10). Prima di scegliere i Dodici, soltanto Luca narra che Gesù «se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio» (Lc 6,12). Anche nel racconto della trasfigurazione soltanto Luca dice che Gesù «salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante» (Lc 9,28-29). Nel Vangelo di Luca nei momenti più importanti Gesù si raccoglie in preghiera. Una nuova creazione C’è poi un altro elemento che si trova nel racconto del battesimo di Gesù soltanto nella versione lucana: la menzione della visibilità della presenza dello Spirito Santo in forma di colomba. Questa immagine rimanda implicitamente al versetto che apre l’intera sacra Scrittura: «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gen 1,1). All’alba della creazione lo spirito di Dio aleggia «sulle acque» dell’abisso tenebroso, prima che Dio pronunci la sua prima parola che, con la luce, dà avvio alle opere della creazione, quando il cosmos – che significa un insieme ben ordinato e armonioso – emerge dal caos, che è, al contrario, un ammasso informe dove regna la confusione. Così, all’inizio del Vangelo di Luca, prima che Gesù pronunzi le sue prime parole, dando avvio alla sua missione, avviene come una nuova creazione: lo Spirito Santo “aleggia” sulle acque del Giordano e dal cielo si ode una voce, così come la voce di Dio aveva dato avvio alla creazione. La teologia paolina sviluppa l’idea che con Gesù Cristo, nuovo Adamo, si inaugura la nuova creazione e, in forza del battesimo, anche noi nasciamo in lui come nuove creature e diveniamo figli nel Figlio (cf. Rm 5,12-6,23). Ciascuno di noi oggi può sentire rivolte a se stesso le parole che la voce proveniente dal cielo indirizza a Gesù: «Tu sei il figlio/a mio/a amato/a: in te ho posto il mio compiacimento». E se ci sentiamo stanchi, se ci rendiamo conto che ricadiamo sempre negli stessi errori, se ci sentiamo demotivati e inclini a cadere nello scoraggiamento, il Signore Gesù ci invita oggi a immergerci con lui nelle acque che ci lavano, ci rigenerano e ci rinnovano profondamente, dandoci l’energia per ricominciare ogni giorno daccapo, con la forza dello Spirito, che è dynamis, come dice san Paolo (cf. Rm 1,4), ovvero una sorta di dinamo che avvia di nuovo il motore della nostra vita, qualora si fosse arrestato per un guasto o per mancanza di benzina. Abbiamo appena celebrato il mistero dell’incarnazione e della nascita del Figlio di Dio il quale è «nato da donna (...) perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5). E che noi siamo figli «lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» (Gal 4,6). E, se è la preghiera la forza trainante e la linfa vitale di colui che è innestato in Cristo, anche qualora non sappiamo «come pregare in modo conveniente», sappiamo che «lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio» (Rm 8,26-27). Riposiamo dunque tra le braccia dello Spirito Santo, soffio di vita che abita in noi in forza del battesimo, e muoviamo ogni giorno i nostri passi in una vita che si rinnova incessantemente, una vita mossa dalla certezza di essere figli amati e prediletti nei quali il Padre si compiace. Cristina Caracciolo 31 SETTIMANINO 45-2012:Layout 1 3-12-2012 10:18 Pagina 32 dal vangelo alla vita Sentirsi amati «Tu sei il mio figlio prediletto, l’amato». Queste parole dovremmo ripeterle ogni girono perché possano toccare il nostro cuore e le nostre ferite. «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». Sono le parole che vengono pronunciate da “una voce” che viene dal cielo subito dopo il battesimo di Gesù, ma sono anche le parole che chiunque vorrebbe sentirsi dire. Essere amato, sentirsi accolto, è l’aspirazione fondamentale di ogni uomo in ogni epoca e in ogni momento della vita. In tutto ciò che facciamo, nel nostro modo di essere, a casa, al lavoro, nelle relazioni sociali, in tutto cerchiamo l’amore e, per ottenerlo, spesso finiamo per assumere atteggiamenti o fare delle scelte solo per assecondare gli altri e ricevere la loro approvazione e il loro amore. Alla base di tutto c’è la convinzione che l’amore va meritato; tante volte nella nostra vita, soprattutto da piccoli, ce lo siamo sentito ripetere: “se fai il bravo ti do un bacio, se fai il bravo Gesù ti vorrà bene e sarà contento di te”, e questo ci ha radicato nella convinzione che, per essere amati, bisogna essere perfetti e rispondere alle attese degli altri. L’amore, invece, è essere accolti per quello che siamo, non perché lo abbiamo meritato; l’amore incondizionato è dono, il dono più grande che possiamo ricevere ed abbiamo effettivamente ricevuto il giorno del nostro battesimo, quando anche per ognuno di noi è risuonata la voce del Padre: «Tu sei il mio figlio prediletto, l’amato». Queste parole dovremmo ripetercele quotidianamente perché possano toccare il nostro cuore, la nostra anima, le nostre ferite, i nostri rancori, le nostre insoddisfazioni. Questa verità dovrebbe riempirci talmente di gioia da non farci restare indifferenti: siamo figli e siamo amati! Dio ci ama perché siamo suoi figli, non perché facciamo o non facciamo delle cose. Allora potremo vivere la nostra vita in maniera più consapevole, anzi non potremo fare a meno di cambiare radicalmente la nostra vita e raccontare la “buona novella” a chiunque incontreremo sul nostro cammino. Siamo stati battezzati da piccoli, del tutto 32 ascolto e annuncio 9 dicembre 2012 - n° 2 inconsapevoli; siamo stati educati alle pratiche religiose, siamo stati preparati agli altri sacramenti, ma abbiamo riscoperto il nostro battesimo e le responsabilità che esso comporta solo quando un nostro cugino è partito come missionario alla volta del Brasile, lasciando tutto quello che aveva e che era. Condividere con lui la presa di coscienza dello stato di bisogno di quelle popolazioni, del divario profondo che vi era tra la nostra e quella realtà, della necessità di una vita cristiana vissuta più autenticamente, rinvigorendo la preghiera e la meditazione della Parola, dandoci da fare per dare aiuti concreti a quella missione, ci ha fatto ritrovare la forza di cambiare rotta nelle scelte della nostra vita, di andare anche contro corrente rispetto alle usanze e ai modelli di vita della nostre famiglie, nelle quali comunque ci era stata trasmessa la fede. Oggi possiamo dire che quell’incontro e quella esperienza ci hanno fatto scoprire il battesimo “in Spirito Santo”, una scoperta che ha cambiato la nostra vita e che ci ha spinto a rispondere alla chiamata e al progetto che Dio aveva per noi, consapevoli che, solo immergendoci nella storia dell’uomo e fidando nell’amore del Padre, siamo resi capaci di testimonianza e di annuncio. Nellina e Salvatore Oliveri AT TUALITÀ PASTORALE supplemento al n. 45 - 9/12/2012 settimanale - anno 47 (67) Tariffa R.O.C.: Poste Italiane s.p.a. Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna direz. e redazione: v. Nosadella 6 40123 Bologna - tel. 051/3392611 Stampa: Italiatipolitografia - Ferrara Reg. Trib. di Bologna - n. 3238 del 22-12-1966 Dir. resp.: Lorenzo Prezzi