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INCONTRI CON I CONTEMPORANEI BILANCIO DI UN'ESPERIENZA LETTERARIA NOTA INTRODUTTIVA
In una intervista rilasciata diversi anni fa a «Nuova Umani­
tà», Mario Pomilio dichiarava: «Il momento che stiamo vivendo
si sta ripercuotendo su di me in modo tangibile, non solo come
uomo ma anche come scrittore. Come uomo vivo giorno per
giorno il disagio, il senso di questo tragico quotidiano, e come
scrittore devo dire che sto sperimentando questa fase di smarri­
mento, come se mi andassi domandando se esiste oggi un tema
fondamentale. Probabilmente - concludeva - la sollecitazione
sul tema del dolore potrebbe essermi utile, chi lo sa... potrebbe
fermentarmi, chi lo sa» l.
Ebbene, questa «sollecitazione» si sarebbe tradotta nel giro
di un paio d'anni in un capolavoro della narrativa italiana dal
secondo dopoguerra a oggi: Il Natale del 1833, uscito nel 1983
per i tipi di Rusconi. Un romanzo, questo, che ha ripetuto il
successo de Il quinto evangelio (1975, ancora da Rusconi),
collocando Pomilio fra i massimi scrittori del nostro tempo.
Ma la bibliografia pomiliana dopo 1'81, si è arricchita di
un altro memorabile titolo: Il quinto evangelista. Si tratta del
dramma o, meglio, del lungo capitolo in forma drammatica già
inserito a chiusura del Quinto evangelio e, nel 1986, proposto
dalle Edizioni Paoline nella versione messa in scena nel 1975
1 P. Lubrano, «Incontro con Mario Pomilio», «Nuova Umanità», III
(1981), n. 13, p. 96.
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Mario Pomilio: Bilancio di un'esperienza letteraria
dall'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato con la collabo­
razione del Teatro Stabile dell'Aquila 2.
IL NATALE DEL
1833
Nel 1813 Manzoni scrive Il Natale. Vent'anni dopo, il
giorno stesso in cui la Cristianità celebra l'Incarnazione di Dio,
la sua prima moglie, Enrichetta Blondel, demiurga della sua
conversione al cattolicesimo, muore lasciandolo in uno stato di
profondo abbattimento. Sotto il fuoco della terribile perdita, il
poeta «riscrive» quel lontano inno sacro, intitolandolo appunto
Il Natale del 1833; non porta però a termine il progetto, rimasto
abbozzato in due diverse stesure.
Non solo. Otto mesi dopo la scomparsa di Enrichetta, la
primogenita Giulietta segue la madre, inferendo un nuovo, duris­
simo colpo all'indicibile sofferenza paterna. Di questo doppio,
gravissimo lutto subito dallo scrittore, a noi resta, oltre a quella
(drammatica e travolgente) dell'incompiuto componimento, la
testimonianza (sobria e discreta) offerta da quattro lettere del
1834.
Basandosi, o meglio ispirandosi liberamente a questo tragico
momento della vita di Manzoni, Mario Pomilio ha costruito un
romanzo di acutissima penetrazione psicologica e di straordinaria
limpidezza formale, nel quale si rispecchiano gli universali inter­
rogativi dell'uomo sul dolore, sul male, sulla provvidenza divina.
Il dramma, umano e spirituale, si acuisce di fronte all'incommen­
2 Per la precedente bibliografia pomiliana, narrativa e critiCa, SI rmvla
all'intervista appena citata, pp. 81-85, che si sofferma particolarmente sugli
Scritti cristiani (Rusconi, Milano 1979). Qui ci sembra opportuno fornire
qualche titolo della bibliografia critica sullo scrittore: V. Riddei, Mario Pomilio,
Ciranna, Roma 1975; M. Bonanate, invito alla lettura di Pomilio, Mursia,
Milano 1977; V. Esposito, Interpretazioni critiche del «Quinto Evangelio» e
Mario Pomilio narratore e critico militante, Edizioni dell'Urbe, Roma 1978;
C. Di Biase, Lettura di Mario Pomilio. Antologia e storia della critica, Massimo,
Milano 1980; F. Castelli, «Mario Pomilio. Il Cristo dai cento volti», in Volti
di Gesu nella letteratura moderna, Paoline, Milano 1987, pp. 517-575 (con
scelta antologica da Il quinto evangelio e da Natale del 1833).
Mario Pomllio: Bilancio di un'esperienza letteraria
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surabile mistero della morte di un innocente, per di piti credente
fervidissimo. Che significato assume la sofferenza del giusto e
del buono nell'economia della salvezza? Manzoni sprofonda in
una complessa e angosciosa crisi di fede, vivendo la però tutta
all'interno della fede stessa. Il suo dialogo con Dio, col quale
è diventato particolarmente «esigente», si fa sempre piti lacerante,
traumatico, perfino disperante. Alessandro cerca una risposta,
che consoli il cuore senza ripugnare alla ragione, nelle zone piti
intime della sua coscienza, al di là delle formule tradizionali
della dottrina cristiana, nei penetrali piti sconosciuti e impervi
del dogma e della rivelazione; fino a lambire la soglia oltre la
quale regna la negazione della Provvidenza.
Il suo tormento religioso non trova sbocco fino a quando
egli non si rende finalmente consapevole della straordinaria verità
per la quale Dio, di cui egli cerca angosciosamente le impronte
fra le mille schegge impazzite della storia, non è nascosto fra
coloro che avrebbero il «dovere» di farlo trionfare visivamente
sulla terra o addirittura di dimostrarne filosoficamente l'esistenza
(questo lo ha sempre saputo, a livello intellettuale), ma fra quelli
che, innocenti e giusti, subendo il male partecipano misticamente
delle sofferenze di Cristo: le vittime della storia sono immagini
della Vittima, che proprio per loro e con loro continua a farsi
crocifiggere.
All'amico Claude Fauriel, il quale si era detto convinto che
la storia dell'uomo è «senza Dio», egli, portando a termine il
suo atroce travaglio interiore, risponde con la ferma convinzione
del credente ormai adulto, formato dal dolore piti acuto:
«Ma la storia delle vittime è di per sé la storia di Dio» ribatte
vivacemente Alessandro. (. ..) «Ma perché, osserverete voi, ho
detto che la storia delle vittime è la storia stessa di Dio? Ma
perché ogni qual volta un innocente è chiamato a soffrire, egli
recita la Passione. Che dico, recitare? Egli è la Passione: non
nel senso, beninteso, che il Signore voglia rinnovato in lui il
proprio sacrificio, come ho pure per errore pensato altre volte,
ma nel senso bensi che è Egli stesso a crocifiggersi con lui. Potrà
parervi disperante questo Dio disarmato. E invece che cosa c'è,
riflettendoci bene, di piti consolante che questa solidarietà non
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Mario Pomilio: Bilancio di un'esperienza letteraria
di forza e di giustizia, ma di compassione e d'amore? E in verità
è questo, semplicemente, amico mio: la croce di Dio ha voluto
essere il dolore di ciascuno; e il dolore di ciascuno è la croce di
Dio» 3.
IL QUINTO EVANGELISTA
L'assidua e spesso tormentosa ricerca di Cristo, dopo aver
toccato nel romanzo d'Alessandro Manzoni le vertigini della
theologia crucis, torna nel dramma de Il quinto evangelista.
Il passaggio dalla superficie della carta stampata, per la
quale era stato originariamente ed esclusivamente concepito, a
quella del palcoscenico, sotto 1'ottima direzione di un regista
come Orazio Costa, ha obbligato Pomilio a rivedere il testo di
quello che può essere considerato uno dei capitoli piti belli de
Il quinto evangelio. Non si trattava - come l'autore si rese
subito conto - di una semplice trasposizione scenica, che
avrebbe richiesto solo qualche inessenziale intervento di adatta­
mento, ma di una rivisitazione ed elaborazione profonda, solleci­
tata, anzi imposta dalle vive esigenze del teatro.
Ne è venuto fuori «un altro testo, debitore, beninteso,
sostanzialmente del primo, ma autonomo rispetto al primo non
soltanto in parecchi dei suoi aspetti estrinseci, ma in alcune
delle sue stesse valenze spirituali» 4.
È lo stesso Pomilio che ci ha illustrato il processo «ri­
creativo» de Il quinto evangelista nei suoi aspetti salienti. Innan­
zitutto, l'insopprimibile lievitazione etico-politica del dramma,
costruito attorno ad un dibattito su Cristo e i Vangeli, s'impone
come il nuovo centro di gravità: la fede si fa dissidenza, l'adesione
al progetto di vita evangelica si trasforma in obiezione di coscien­
za nei confronti del neopaganesimo statolatrico nazista. L'azione,
infatti, animata da una ventina di personaggi variamente «posizio­
nati» di fronte all'interrogativo religioso (e alla Passione di Cristo
M. Pomilio, Il Natale del 1833, cit., pp. 128-129.
M. Pomilio, «Breve storia d'una messinscena», in Il quinto evangelista,
cit., p. 99.
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Mario Pomilio: Bilancio di un'esperienza letteraria
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in particolare), si svolge «in una città della Germania intorno
al 1940»; l'ambiente è quello di una sala parrocchiale, dove
riunirsi e dibattere sui Vangeli significa riscoprire le radici cristia­
ne della Resistenza.
Da questa nuova impostazione di fondo Pomilio ha tratto
motivi per intervenire nella stesura originaria del testo con la
fine sensibilità plastica e concreta del vero uomo di teatro (sulla
spinta, naturalmente, delle indicazioni di Costa): arricchisce la
psicologia dei personaggi e ne introduce di nuovi, abolisce la
dimensione allegorica, utilizza la musica in funzione drammatur­
gica reinventando l'inizio e il finale, taglia e riduce all'essenziale.
Il nuovo testo, nato da questa intelligente e avveduta revisio­
ne, non ha nulla da invidiare a quello originario. Anzi, ne
riafferma, con maggiore efficacia ed evidenza plastica come pure
con piti avvincente penetrazione psicologica, i due grandi temi
conduttori: l'eterna giovinezza del Vangelo, che ogni generazione
cristiana riscrive inverandolo sulle strade della storia, e l'universa­
le chiamata all'imitazione di Cristo, grazie alla quale ogni uomo
che cerca il «quinto evangelio (cioè un rapporto autentico,
profondo, radicale con il Vangelo) ne diventa autore, fino a
«indossare» Cristo stesso 5.
IN DIALOGO CON POMILIO
Non è un caso, naturalmente, che Il quinto evangelista sia
ambientato durante la seconda guerra mondiale e che Il quinto
evangelio, suo romanzo-padre, prenda l'avvio proprio dallo stesso
periodo storico.
Il protagonista di quest'ultimo infatti, com'è noto, è Peter
Bergin, un ufficiale statunitense che, di stanza in Europa durante
gli ultimi mesi dello spaventoso conflitto, trova una provvisoria
sistemazione nella canonica di una chiesa quasi completamente
distrutta, a Colonia. È qui che gli capitano tra le mani libri e
documenti di ogni genere (tra cui l'abbozzo di un dramma sacro:
5
Cf. ibid., pp. 98-109.
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Mario Pomilio: Bilancio di un'esperienza letteraria
Il quinto evangelista, che egli rielaborerà e porterà a termine)
su un presunto «quinto evangelio» inedito, sulle tracce del quale
il prete che l'abitava aveva speso tutta la sua vita e riversato
tutta la sua inquietudine metafisica. Una ricerca e una inquietudi­
ne, queste, che avrebbero ben presto coinvolto lo stesso Bergin
su un piano prima meramente filologico e culturale, poi anche
esistenziale e religioso e che avrebbe trovato espressione compiuta
nel testo teatrale.
Sullo sfondo insanguinato della guerra, dunque, Bergin fa
suoi gli assilli e gli interrogativi del «suo prete», come lo avrebbe
chiamato, fra le cui carte, legge tra l'altro: «Al di là della brulicante
violenza della Storia cercare a ogni costo un segno del contrario.
Ci resta il Vangelo. È poco, probabilmente, ma non abbiamo
altro» 6.
È in questo contesto che si spiegano, nella vicenda umana
e letteraria di Pomilio, da un lato la fortissima impronta etico­
politica della sua pagina e dall'altro il suo fervido impegno
europeistico.
Pomilio, lei nell'84 è stato eletto parlamentare europeo. Da
allora dedica gran parte delle sue energie all'edificazione dell'Eu­
ropa di domani. Come vede, ma soprattutto come vive il rapporto
fra l'attività letteraria e l'impegno politico?
L'impegno politico è sempre stato al centro del mio lavoro
di scrittore. Per di pili, credo di aver già scritto il romanzo
italiano pili «politico» dell'ultimo quarantennio. Alludo a La
compromissione 7. Nel tessuto della mia personalità questo inte­
resse è profondamente radicato. Si tratta di una componente ­
vorrei sottolineare - in un certo senso inevitabile per chi, come
me, si è formato al fuoco della seconda guerra mondiale e
dell'immediato dopoguerra. Proprio perché, giovane, uscivo dal­
l'esperienza di un conflitto che aveva diviso e straziato il nostro
M. Pomilio, Il quinto evangelio, cit., p. 20.
Vallecchi, Firenze 1965; poi, Rusconi, Milano 1978. Vi si ritrae magistral­
mente l'angusta mediocrità degli ambienti politici di provincia, sul palcoscenico
generazionale dei difficili anni del secondo dopoguerra.
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Mario Pomilio: Bilancio di un'esperienza letteraria
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continente, ho portato sempre con me il sogno di un'Europa
diversa; un sogno che del resto ho avuto modo di esprimere nel
lungo racconto intitolato Il cimitero cinese 8, tutto proiettato
verso l'ideale di un'Europa finalmente integrata, libera, senza
frontiere né guerre, in una parola a misura d'uomo.
È grazie a queste esperienze esistenziali e letterarie che ho
accettato con entusiasmo la prospettiva di poter lavorare per la
realizzazione di questo sogno e di questo ideale. Certo, !'impegno
politico diretto, portato avanti sui banchi del Parlamento Euro­
peo, è molto diverso da quello che si esercita attraverso la pagina
letteraria. Mi è stato difficile trovare una conciliazione, per me
indispensabile, fra le due dimensioni (quella dell' «uomo politico»
e quella dell'«uomo di lettere»), soprattutto perché ho cercato
di mantenere intatte le mie riserve fantastiche di scrittore nei
confronti del lavoro politico quotidiano, pragmatico. Ricordo
ancora il periodo di smarrimento e di sbandamento seguìto alla
mia elezione a deputato europeo: la nuova responsabilità affidata­
mi dagli elettori mi caricava di impegni ai quali non ero abituato
e per i quali mi dovevo rieducare.
Lei, quindi, è molto geloso delle sue risorse artistiche. Ma
che cosa significa per lei scrivere?
È la domanda piu difficile e imbarazzante che si possa
rivolgere a uno scrittore. Una volta si parlava, classicamente, di
«ispirazione» oppure, religiosamente, di «vocazione». In sostan­
za, per me si tratta di una autentica necessità di vita. Lo
testimoniano fra l'altro le stesse date dei miei libri, fra i quali
spesso intercorrono molti anni. Per me scrivere non è un mestiere.
Quando dentro di me si forma lentamente un'idea che sento
diventare sempre piu carica di suggestioni, si mettono in moto
un'infinità di sentimenti, esperienze, impressioni, ricordi ... tutto
si scalda, tutto si movimenta attorno ad un nucleo originario e
B Rizzoli, Milano 1969; poi, Rusconi, Milano 1979. È un libro percorso
dalla vivissima aspirazione di vedere realizzata, dopo le lacerazioni della guerra,
l'unità fra i popoli.
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Mario Pomilio: Bilancio di un'esperienza letteraria
fantastico che trasforma il linguaggio in stile, le idee in poesia.
Se questo processo non si mette in moto - intimamente, dal
di dentro, con la forza oserei dire di una coazione interiore ­
preferisco tacere.
Quale ruolo riveste il fattore-fede nel corso di questo labo­
rioso e, aggiungerei, imperioso processo creativo? Lei, infatti, è
conosciuto come uno degli esponenti di punta della narrativa
italiana d'ispirazione cristiana ...
La mia profonda e totale adesione alla fede evangelica non
entra a far parte del mio mondo letterario come un fatto precosti­
tuito. Questo tengo innanzi tutto a precisare. Soprattutto se penso
a Il quinto evangelio e al Natale del 1833, mi rendo conto che
la «spinta genetica» non è venuta certo da una tesi extraletteraria
(e da una supposta necessità di «dimostrarla»), ma da un fattore
assolutamente fantastico. C'è sempre un'intuizione estetica all'ori­
gine dei miei romanzi: la ricerca suggestiva e avventurosa di un
libro ipotetico, sconosciuto, in continua «evoluzione» ne Il
quinto evangelio; un'ipotetica e assai poco conosciuta vicenda
di travaglio umano e religioso vissuta da Alessandro Manzoni
nel Natale del 1833.
Naturalmente, dietro le quinte agiscono fortemente tutte le
componenti essenziali della mia costituzione originaria di uomo
e di scrittore, fra le quali senza dubbio anche il fattore-fede,
come lei lo ha chiamato. Questa componente, però, non predeter­
mina, non definisce a priori il processo creativo, ma converge
verso di esso spontaneamente: con modalità piti o meno scoperte,
s'intende. La compromissione o Il cane sull'Etna 9, ad esempio,
ne sembrano addirittura privi del tutto; probabilmente perché
in questi due libri emerge in primo piano un altro fattore, affine
ma distinto da quello religioso, che è anch'esso parte integrante
della mia visione del mondo: una fortissima, incoercibile carica
etica che avvolge e coinvolge i personaggi, le vicende, la vita
9 Rusconi, Milano 1978. Si tratta di una raccolta di raccontl In cui si
rispecchia il volto sofferente di una umanità malata di solitudine, frustrata,
smarrita in un contesto socio-economico alienato e alienante.
Mario Pomilio: Bilancio di un'esperienza letteraria
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stessa trasfigurata letterariamente. Da questo punto di vista mi
ritengo, infatti, uno scrittore intensamente problematico, di idee,
per il quale il problema religioso costituisce un elemento origina­
rio e dominante, ma non esclusivo.
Ha ricordato «Il Natale del 1833», il suo romanzo ptU
famoso assieme al «Quinto evangelio». A tale proposito, la critica
ha parlato di «manzonismo pomiliano», implicito nei precedenti
libri, esplicito in questo. Lei stesso è stato definito uno «scrittore
manzoniano». Condivide queste valutazioni?
Non so francamente quale senso possano avere le espressioni
che lei ha appena citato. Non credo e non oso neanche credere
che la mia maniera di concepire il mio stile, il mio linguaggio,
abbiano davvero delle somiglianze con quella del Manzoni, che
pur annovero fra i miei grandi modelli e maestri. So soltanto
che la mia sensibilità, il mio stesso modo di scrivere sono, per
cosi dire, «novecenteschi».
L'accostamento fra me e il Manzoni può essere offerto invece
da un altro fattore, cui ho appena fatto riferimento: come per
lui, cosi per me l'indagine letteraria è di tipo morale, cioè si
esplica attraverso una mobilitazione fortemente etica intorno ai
personaggi e quindi attraverso una lettura di scavo delle anime,
senza preconcetti o moralismi. Solo in questo senso mi sembra
legittimo parlare di una vena manzoniana inerente alla mia
produzione narrativa. Il fatto che io abbia scritto un romanzo
su un episodio della vita del Manzoni significa piuttosto che ho
scelto un personaggio come lui e una trama come quella che si
snoda dalla terribile esperienza che lui ha vissuto, per pormi
delle domande universali, ma anche mie, personali, dell'uomo di
oggi; domande che diventano piu efficaci ed esemplari perché
rispecchiate sullo sfondo della ricchissima e complessa personalità
del Manzoni. Anzi, mi preme sottolineare che forse non sono
stati tutti del Manzoni gli interrogativi che io pongo in quel
romanzo.
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Mario Pomilio: Bilancio di un'esperienza letteraria
È «lI Natale del 1833», allora, che lei considera come
l'opera piu rappresentativa della sua intera produzione?
Non glielo saprei dire ... lo osservo piuttosto la mia vita
come una biografia letteraria, dove si possono individuare diversi
raggiungimenti, a vari livelli e in vari momenti.
Per esempio, se dovessi parlare della mia prima produzione,
considererei il mio libro piu significativo Il cimitero cinese. Se
poi dovessi guardare a quella fase della mia attività letteraria
nella quale sono state prevalenti le tematiche civili e politiche,
o se si preferisce etico-politiche, indicherei La compromissione,
che ne è, anche dal punto di vista stilistico, l'apice e la sintesi.
E finalmente, nell'ultimo arco della mia vicenda letteraria, posso
dire di riconoscermi pienamente sia ne Il quinto evangelio per
l'ampiezza dei temi e la complessità dei problemi (del resto, è
a questo romanzo che il mio nome è e resta piu particolarmente
legato) sia nel Natale del 1833, perché lo ritengo il libro dove
forse ho piu perfettamente realizzato l'insieme delle mie intenzio­
ni: è, voglio dire, uno di quei libri nel quale uno scrittore,
rileggendo si, non cambierebbe veramente neppure una virgola.
Quindi lei ritiene di aver concretizzato compiutamente nei
suoi ultimi libri le istanze del suo impegno stilisti co e linguistico?
I critici hanno osservato alcune diversità di stile e di
linguaggio fra i miei romanzi. A parte il fatto che questa «diversi­
tà» fa parte della maturazione di ogni scrittore, perché ne esprime
il cammino spirituale e letterario nelle sue diverse fasi, direi che
in genere il mio linguaggio ha corrisposto ad una particolare e
puntuale immedesimazione nelle tematiche. Ricollegandomi agli
esempi citati, riconosco che ne Il cimitero cinese vive un linguag­
gio arioso, poetico, solare. Nella Compromissione, invece, si
sperimenta un'intensità di scavo, di lettura d'anime ricca di
chiaroscuri, attraverso un linguaggio estremamente denso e forte­
mente controllato.
Ne Il quinto evangelio si affronta spesso il grande tema
della sacralità e della serietà della parola, anche di quella letteraria,
e dell'uso che se ne deve fare. Ed è proprio questo, credo, il
Mario Pomllio: Bilancio di un'esperienza letteraria
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motivo conduttore di ogm mia espressione e' ricerca stilistico·
linguistica.
Pomilio, un'ultima domanda. Come racchiuderebbe nel giro
di poche parole il senso di tutta la sua lunga e prestigiosa
esperienza letteraria?
Da qualunque parte si guardi l'insieme del mio lavoro, io
mi definirei un confessore d'anime. La parola «confessore» può
portare dentro di sé una tonalità cattolica. Ma forse il segno
specifico del mio cattolicesimo sta proprio in questa attitudine
a situarsi dentro i personaggi, che si confessano o che l'autore
confessa. Di qui la prevalenza dell'analisi psicologica, nella labo·
riosa costruzione della pagina, intesa però soprattutto alla lettura
dei risvolti morali.
Sotto questo punto di vista credo di essere, anzi «rivendico»
d'essere uno scrittore nel quale il campo dei problemi, delle idee
e degli ideali è dominante in sede di interessi. Non a caso tutti
i miei personaggi in qualche misura sono degli «intellettuali»
(e il piu emblematico di tutti è un intellettuale d'eccezione:
Alessandro Manzoni), che esercitano il loro confronto con la
vita scontrandosi appunto con i problemi, le idee, gli ideali.
Questa credo che sia la cifra piu riassuntiva del mio intero
lavoro.
GIANNI MARITATI
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