8. SUL CAPITALE FITTIZIO (versione abbreviata) Nel III vol. del

8. SUL CAPITALE FITTIZIO
(versione abbreviata)
Nel III vol. del Capitale di Marx, pochi concetti sono tanto pertinenti al
mondo attuale quanto quello di “capitale fittizio”.
Un bilione e mezzo di dollari si scambiano quotidianamente sui mercati
borsistici, di cui solo una piccolissima parte riguarda l’investimento diretto o
commerciale. È sempre meno possibile muoversi nel labirinto delle nuove
formule finanziarie (società d’investimento, prodotti derivati) senza l’aiuto
delle matematiche superiori; la parte d’interesse lordo globale e di rendita
fondiaria (il celebre settore FIRE: finanza, assicurazione e immobiliare) si appropria ogni anno di una parte sempre più importante del profitto totale,
eclissando i profitti realizzati nell’industria manifatturiera.
Si potrebbe evitare molta confusione nell’attuale ricomparsa della critica
marxiana dell’economia politica, se i marxisti prestassero più attenzione al
fatto che i voll. I e II del Capitale sono un “sistema chiuso” dove compaiono
solo capitalisti e proletari, e che il “capitale” si presenta ai capitalisti sotto
forma di titoli cartacei che permettono di accumulare ricchezze (azioni, obbligazioni, titoli di proprietà fondiaria) e questi ultimi compaiono solo nel III vol.
La confusione s’aggrava maggiormente quando si tratta di stabilire correttamente i legami tra questo “sistema chiuso” e gli strati non capitalisti (es.i piccoli produttori del Terzo Mondo) e gli introiti liberi del mondo naturale. Infine, la maggior parte dei lettori non prende in considerazione il fatto che Marx
non ha mai risolto il problema principale dell’accumulazione (i sistemi di riproduzione allargata alla fine del II vol.), una problematica che hanno ripreso
soprattutto la Luxemburg e quelli che l’hanno seguita nel suo tentativo di trovare una soluzione, qualunque ne siano i difetti sistematici, in particolare perché teneva a fare del permanere dell’accumulazione primitiva una componente del capitalismo.
Questa breve dissertazione tenterà di definire il capitale fittizio in modo
più puntuale. Il capitale deve passare attraverso il processo di valorizzazione
descritto nei voll. (incompleti) del Capitale; esso non dipende semplicemente dal pluslavoro erogato al momento del “processo produttivo immediato”;
esso sostiene anche i titoli cartacei di accesso alla ricchezza sotto forma di
profitto, di interesse e di rendita fondiaria con gli introiti non rimunerati dell’accumulazione primitiva, vale a dire saccheggiando, tanto all’interno che
all’esterno del “sistema chiuso”. Il capitale spreme i piccoli produttori del
Terzo Mondo incorporandoli nel proletariato, nella “periferia” ed al “centro”,
in quanto forza lavoro la cui riproduzione anteriore non è pagata dal capitale. Il capitale saccheggia la natura non rinnovandone le risorse, e non rigenerando gli ambienti naturali esauriti dalla produzione, cosa che il capitale
non considera come costi. Il capitale sfrutta la forza lavoro salariata all’interno del “sistema chiuso” abbassando il salario globale di questa forza lavoro
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al di sotto dei costi di riproduzione. Talvolta anche il capitale sfrutta le proprie infrastrutture e gli impianti utilizzandoli finché non restano totalmente
usurati, anche molto tempo oltre il termine del normale ammortamento, o
attraverso altri metodi (Enron, World.com, Tyco). Tutte queste forme di
sfruttamento aumentano la massa di valore eccedente disponibile per consolidare i titoli cartacei di accesso alla ricchezza dei capitalisti al di sopra e al
di là del valore eccedente prodotto nel sistema chiuso dallo scambio di equivalenti (ipotesi dei voll. I e II del Capitale). I titoli di profitto, di interessi o di
rendita fondiaria possono perseguire il loro processo di valorizzazione (D-MD’) anche molto tempo dopo che si produce abbastanza valore eccedente
all’interno del sistema chiuso, ed all’esterno, per sostenerli. Il capitale nel suo
insieme può svilupparsi per un certo tempo mentre la riproduzione sociale si
contrae, allo stesso modo come un organismo vivente può continuare a
vivere per un certo tempo mentre un cancro lo rode. Quando la somma globale di valore eccedente disponibile su scala mondiale non può alimentare
più a sufficienza il profitto globale, l’interesse e la rendita fondiaria fanno valere i loro diritti e si genera un cedimento deflazionistico, identico a quello al
quale forse stiamo assistendo oggi (estate 2003).
Certi critici dei miei precedenti scritti sul capitale fittizio dicono che “salto a
piè pari sopra” la prima parte del III vol. del Capitale dedicato alla fissazione
del saggio di profitto. In certo senso hanno ragione perché non credo che il
saggio di profitto derivato dal “processo produttivo immediato”, preso isolatamente, sia il problema centrale. Il problema del capitalismo non è la caduta del saggio di profitto in sé, ma la valorizzazione dei titoli di profitto, interesse e rendita fondiaria in tutto il valore eccedente disponibile all’interno
come all’esterno del sistema puro.
A mia volta, posso dire che tali critiche ‘saltano a piè pari sopra’ la questione del tasso di riproduzione sociale, perché non prendono in considerazione nessuno dei fattori su enumerati e pensano che la riproduzione sociale
vada da sé. Come i capitalisti, essi chiamano profitto ciò che potrebbe essere di fatto solo il risultato di salari non riproduttivi, dell’erosione non riproduttiva delle fabbriche e delle infrastrutture, del saccheggio della natura e
dello sfruttamento della forza lavoro reclutata tra i piccoli produttori. Essi accetterebbero come ‘profitto’ quello derivante dall’estrazione a cielo aperto
altamente meccanizzata (e davvero redditizia localmente), senza mettere in
conto i costi ‘collaterali’ provocati dalle inondazioni endemiche, l’inquinamento generato dalla combustione del carbone e il riscaldamento planetario; non prendono neanche in considerazione i costi sociali dovuti agli ostacoli imposti dagli industriali del carbone alle fonti di energia potenzialmente
migliori (per prevenire la svalorizzazione del loro capitale costante, costi che
sarebbero ‘dedotti’ da questo genere di profitto in quanto livello del capitale
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sociale globale, e nessuno di questi elementi appare nelle statistiche capitaliste sotto forma di costi dell’estrazione a cielo aperto, sorgente di profitto.
Il capitale fittizio è lo scarto tra il prezzo globale ed i valori globali su scala
mondiale. Alla luce di ciò che fin qui s’è detto, studiamo questo concetto più
da vicino. L’economia borghese – non ce n’è un’altra – riprende un po’ questa
idea nell’indice “Q” di Tobin, che è il rapporto tra le stime globali di tutti gli
attivi ed il costo del loro rimpiazzamento in termini attuali. Si può comprendere l’accumulazione capitalista solo nella sua totalità, come per esempio la
totalità di un ciclo di affari. È al punto più basso di un crollo deflazionistico
come quello di 1929, o forse quello al quale assistiamo attualmente, che il
prezzo ed il valore quasi coincidono, una volta che tutto o la maggior parte
del capitale fittizio è eliminata. Il “valore globale” in termini di tempo di lavoro socialmente necessario, è il costo della riproduzione della forza lavoro
esistente e del capitale costante su scala mondiale, all’interno del “sistema
chiuso” comprendente solamente i capitalisti e i lavoratori. Oggi, il valore
globale è l’agente attivo nel movimento di pressione all’abbassamento sui
prezzi in un eventuale crollo deflazionistico. Tutto ciò che supera questo valore è fittizio. Un buon numero di marxisti contemporanei ammetterà pure che
il capitale fittizio è importante ma negherà che abbia qualcosa a che vedere
col capitale fisso sopravvalutato nel “sistema chiuso” dei volumi l e II. Alla
luce di numerose teorie rivali sul capitale fittizio nella teoria borghese (per
esempio Hyman Minski, Doug Noland, Q di “Tobin”, Doug Henwood), penso che è imperativo collegare il capitale fittizio all’“auto-svalorizzazione” generale del capitale all’interno del “sistema chiuso” e che non bisogna considerarlo solamente come un fenomeno del sistema creditizio. Celata sotto
“tutto il resto”, la contraddizione fondamentale del capitale è il suo bisogno di
combinarsi col lavoro vivo per svilupparsi come capitale, e la sua tendenza
simultanea a espellere la forza lavoro viva dal processo produttivo. Il capitale
ha bisogno del costo di riproduzione della forza lavoro in quanto mezzo universale di scambio e, allo stesso tempo, distrugge periodicamente questo
mezzo a causa del progresso tecnologico al quale lo spingono le innovazioni
necessarie. Ad un certo punto l’ostacolo all’espansione del capitale diventa il
capitale stesso. Col tempo, il costo di riproduzione di V rispetto a C si assottiglia troppo per servire da mezzo universale di scambio, il “numerario” ed il
valore diventano un ostacolo a una maggiore riproduzione sociale. Il capitale
fittizio entra in scena quando si esce da questo, assai reale, sistema chiuso
che contiene solamente capitalisti e lavoratori per esaminare l’interazione tra
il sistema chiuso e la sua valorizzazione del capitale globale nei titoli di ricchezza capitalisti. Perché, a dispetto della logica della relazione tra V e C nel
sistema puro, il vero capitale che esiste sotto forma di titoli cartacei di ricchezza non è semplicemente, come il movimento D-M-D’ del capitale nel modello
puro, una relazione sociale di produzione; questi titoli cartacei rivendicano
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una ricchezza futura, da ovunque essa provenga. Di più, contrariamente al
capitale descritto nel modello puro dei volumi I e II, questi titoli cartacei molto reali possono esistere solamente in un mercato regolato da un stato e dalla
sua banca centrale (e anche questo compare solo nel III volume), vale a dire
col sostegno del potere armato dello stato e del potere dello stato di decretare
l’imposta. Azioni, obbligazioni e titoli della rendita fondiaria sono molto anteriori al completo dominio del capitalismo in sé. Durante la transizione protocapitalista in Europa tra il XV ed il XIX secolo, la prima fase di accumulazione primitiva del capitale uscito dalla feudalità, questi titoli cartacei erano per
natura delle autorizzazioni di prelievo sostenute dallo stato, come si constata
nelle carte emesse dai governi mercantili affinché gli esattori raccogliessero la
tassa dalla classe contadina francese, per i trafficanti di schiavi africani, per i
predoni spagnoli del Nuovo Mondo o per i lupi di mare inglesi che depredavano i predoni spagnoli. I marxisti contemporanei dimenticano talvolta che le
azioni, le obbligazioni, le ipoteche, l’assicurazione, gli strumenti del debito
pubblico ed anche la banca centrale sono storicamente anteriori al dominio
delle relazioni di valore nel processo di produzione immediato. Ciò che differenzia il capitalismo dal proto-capitalismo mercantile è precisamente la preponderanza del processo di produzione immediato nella produzione di ricchezza (in quanto valore eccedente) per valorizzare i titoli cartacei, ma a causa della realtà attuale dell’accumulazione primitiva nel capitalismo mondiale,
questi titoli cartacei non hanno perso mai – da allora in poi – il loro carattere
originario di autorizzazioni statali a prelevare la ricchezza all’interno o
all’esterno del sistema puro. Oggi vediamo questo flusso di valore nei bilioni
di debiti che schiacciano le economie del Terzo Mondo; lo vediamo nelle
distruzioni massicce dell’ambiente. Lo vediamo nel riscaldamento globale
causato dalle emissioni di combustibile fossile, emissioni tecnologiche e combustibili che una società sana da molto tempo avrebbe rigettati e sostituiti. Lo
vediamo nel flusso di emigranti che fuggono via dalle regioni del mondo
rovinate da decenni di pagamento degli interessi sul debito. Lo vediamo nella proliferazione dei sistemi di sussidi di disoccupazione all’americana e nella
moltiplicazione dei lavoratori poveri. In tutti questi casi di non riproduzione, è
il capitale fittizio che è all’opera.
Esaminiamo ora la storia di queste autorizzazioni a estorcere ricchezza sostenute dal potere armato dello stato così come si sono sviluppate per raggiungere la loro forma attuale. La ‘guerra dei trent’anni’ 1914-45 fu essenzialmente una guerra destinata a spostare il centro della finanza mondiale
dalla Gran Bretagna verso gli USA. Ciò fu fatto in seguito agli accordi del
1944-7 che crearono il FMI e la Banca Mondiale, seguiti dal Piano Marshall.
Grazie al sistema di Bretton Woods (1944-73), gli USA hanno acquisito una
capacità senza precedenti di pompare ricchezza mondiale per mezzo di un $
sopravvalutato, in seguito alle svalutazioni forzose in Gran Bretagna, in Fran212
cia e in Germania dopo 1945. Le merci provenienti dall’Europa e dal Giappone, per non citare il Terzo Mondo, che arrivavano negli USA, contenevano
una componente di ‘saccheggio’, del genere che abbiamo descritto. Tutte le
acquisizioni americane di capitale costante, di proprietà fondiaria, ecc, soprattutto in Europa, provennero da questo genere di saccheggio. Questa ricchezza passò nei bilanci, privati e pubblici, del capitalismo americano, del
tutto indipendentemente dai profitti prodotti all’epoca del processo di produzio-ne immediato negli USA stessi, come si potrebbe dedurre dai meccanismi
descritti nel III vol. del Capitale. Mentre gli USA incarnavano con ogni evidenza l’economia capitalista più avanzata dopo 1945, vi si poteva distinguere di fatto una corrente sotterranea statica che ha grande importanza per la
nostra storia. Furono colpiti da recessioni nel 1948-9, 1953-4 e soprattutto
nel 1957-8. Solo provando a mettere in chiaro questo sistema vediamo il legame tra capitale fisso sopravvalutato e sistema di credito internazionale nel
suo insieme. Gli USA conobbero deficit della bilancia dei pagamenti a partire
dal 1950, mentre la bilancia commerciale restò favorevole fino nel 1971,
anno del crollo del sistema di Bretton Woods. Questi $ che s’accumulavano
all’estero servirono dapprima alla ricostruzione in Europa ed in Asia. Ma,
dopo la recessione del 1957-8, cominciarono a diventare eccessivi, e la crisi
del $ sopravvalutato diventò più evidente. Quando il ‘$ malato’ diventò un
problema nel 1958, il totale di ‘$ nomadi’ detenuti all’estero saliva a 30 miliardi. Oggi, il totale dei $ americani detenuti all’estero è di 10 bilioni. È così
che è cominciato il processo, che speriamo raggiunga oggi la sua fase culminante, per il quale i detentori stranieri di ‘$ nomadi’ li reinvestivano sui mercati americani, permettendo agli USA di incrementare i loro deficit all’estero
e di guadagnare attivi esteri con $ sopravvalutati. Ciò equivaleva in effetti ad
acquisire attivi stranieri coi propri stessi debiti. Questo finanziamento
dell’economia americana coi propri deficit della bilancia dei pagamenti
s’intrecciava con l’elemento fittizio del capitale fisso americano in tale modo.
Mentre il resto del mondo in ricostruzione dopo la guerra con l’aiuto di una
tecnologia avanzata raggiungeva e poi superava settori sempre più numerosi
dell’industria americana in stagnazione, il capitale fisso americano era, in
termini riproduttivi – vale a dire secondo i costi di sostituzione del momento
–, già prossimo ad essere svalorizzato. Ma, contrariamente ai marxisti che
seguono il modello puro del Capitale dove ci sono solamente capitalisti e
lavoratori, i capitalisti resistono energicamente alla svalorizzazione immediata
dei loro capitali attivi ogni volta e dovunque ciò è possibile. (basta guardare il
Giappone degli ultimi 10 anni, dove la banca centrale, grazie al sistema bancario, conserva enormi attivi fondiari ed industriali a valori cartacei gonfiati).
La profonda recessione americana di 1957-8 era, ripetiamo, l’inizio della crisi
di Bretton Woods e da lì dell’‘imperialismo del $’ dominato dagli USA. Essa
segnò l’inizio della deindustrializzazione degli USA, poiché l’investimento
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redditizio nella produzione americana rallentava fortemente e si spostava
all’estero. Questo è un esempio impressionante del modo in cui il capitale
fisso sopravvalutato di imprese indebitate non è immediatamente passato ai
profitti e perdite ma passa nella circolazione generale grazie al sistema creditizio. Circola come una bolla di promesse nell’aria, di non liquidità potenziale
– non convertibilità in liquidi, come nella liquidazione di una crisi – finché la
combinazione del valore eccedente e del saccheggio, definito sopra, sostiene
i titoli cartacei che inventa. Nel 1971, gli USA dissociarono il $ dall’oro e nel
1973 ci si separò definitivamente dal tasso fisso. Il mondo affondò nella peggiore recessione (1973-5) dai tempi della guerra. Secondo la formula concisa
di Michael Hudson, il mondo passò da uno standard di ‘carta oro’ ad uno
standard di ‘carta carta’ e da allora è di fatto su uno standard $. I $ americani non smettono di accumularsi all’estero: al momento il loro indebitamento
netto si stima a 2 bilioni (8 bilioni in partecipazioni all’estero contro 10 bilioni
detenuti da stranieri). Gli USA, come la Gran Bretagna prima di essi, sono
diventati un’enorme economia rentière, e ogni tentativo di considerare isolatamente i profitti delle compagnie americane nel modello puro del capitale e
dei lavoratori è condannato ad essere solo un esercizio empirico male ispirato. Il nostro scenario di base adesso è sotto gli occhi di tutti, anche se gli USA
sono riusciti a ritardare il giorno del giudizio finale per trent’anni. Gli USA
hanno rilanciato la loro economia dopo il rallentamento del 1973-5.
L’avvento al potere della Thatcher in Gran Bretagna nel 1979 e di Reagan
negli USA nel 1980 mirava precisamente ad utilizzare l’azione della banca
centrale per impedire una deflazione generale degli attivi interrompendo al
tempo stesso la riproduzione della forza lavoro e del capitale costante a favore dei saggi di profitto. Nel 1984, gli USA passarono dalla posizione di più
grande creditore mondiale a quella di più grande debitore mondiale e non
hanno guardato mai indietro. Dalle crisi messicana e brasiliana del 1982 fino
alla ‘crisi tequila’ in Messico nel 1994, la gestione delle crisi è consistita
nell’autorizzare la bolla di non liquidità in espansione a circolare ad una scala
mondiale sul movimento D-M-D’, quali che ne siano le conseguenze per la
riproduzione materiale. Nel 1997-8 è sopraggiunta la crisi asiatica. Nel 1998
c’è stata il l’implosione della Russia ed il recupero della società di investimento Long Term Capital Management (con la disponibilità potenziale per
quest’ultima di 1 bilione di crediti nominali). L’anno 2000 vive la fine della
bolla ‘high tech’ e l’inizio di tre anni, che proseguono, di mercati mondiali
depressi e di una possibile deflazione mondiale. Nel 2001 l’Argentina è fallita. Nel momento in cui scriviamo, la Federal Reserve sta tentando di rigonfiare massicciamente il sistema creditizio americano, parlando ormai apertamente di un possibile capitombolo deflazionistico. Non abbiamo sentito ancora la fine di questa storia, la fase, che ci auguriamo finale, dello sviluppo
capitalista.
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