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Carnevale era dunque trascorsa fra questo successo e il nuovo incarico a Vivaldi. Il Marchese degli Albizzi, il famoso impresario della
Pergola, non si era naturalmente dimenticato delle conseguenze
spettacolari per le sue finanze del precedente passaggio del compositore e prevedeva senza alcun dubbio di rinnovare l’operazione con
L’Atenaide. Questo interesse combaciava con quello di Vivaldi il
quale, di nuovo in urto con i teatri di Venezia, non poteva che trovare un vantaggioso tornaconto in questa nuova commissione. Ma
la storia, capricciosa, non doveva ripetersi.
Vivaldi aveva lasciato nel 1727 una Pergola la cui programmazione cominciava lentamente a piegarsi sotto la spinta della moda
napoletana. Due anni più tardi, egli ritrovò infatti una platea totalmente conquistata dal “gusto nuovo”. La programmazione dell’Albizzi nel corso delle stagioni di Carnevale e dell’estate 1728 aveva
in effetti aperto definitivamente il principale palcoscenico toscano
ai compositori e agli interpreti del Sud, con le rappresentazioni successive dell’Ermelinda di Leonardo Vinci e dell’Arianna e Teseo di
Niccolò Porpora. L’opera di Vinci, composta sull’inossidabile
libretto La fede tradita e vendicata di Silvani, era stata importata
da Napoli dove la sua prima rappresentazione nell’autunno 1726
aveva visto brillare i celebri castrati Berenstadt e Scalzi. Albizzi,
desideroso di ripetere il successo allora incontrato dall’opera, aveva
a sua volta scritturato Berenstadt nello stesso ruolo accanto al non
meno famoso Castore Antonio detto “Castori”. La scelta di Arianna
e Teseo di Porpora per la stagione dell’estate seguente confermava
il nuovo orientamento dell’Albizzi, dato che per attribuire maggiore
fasto a questa ripresa della versione originale veneziana, l’impresario aveva riunito una notevole compagnia di canto dominata da
Farinelli e dall’illustre “Cavaliere” Nicolò Grimaldi.
Invitando così Vivaldi subito dopo due dei suoi principali
rivali, Albizzi sembra avere voluto riprodurre a Firenze il fenomeno di emulazione creatrice che aveva caratterizzato a Venezia le
stagioni 1726-1727, quando le vivaldiane Dorilla in Tempe,
Orlando e Farnace avevano fieramente tenuto testa alle opere
napoletane del San Giovanni Grisostomo. Difatti, accanto ai veneziani, Albizzi programmò ancora una volta Vinci proponendo il
suo Catone in Utica come “opera seconda” del Carnevale, mentre
Vivaldi era stato incaricato di comporre l’“opera prima”. L’abile
gestione dell’Albizzi doveva portare i suoi frutti. Sotto il suo
impulso il pubblico infatti affluiva alla Pergola e le sere di spettacolo la folla nei dintorni del teatro era così numerosa che in quello stesso anno 1729 bisognò progettare la realizzazione di un