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del suo ruolo doveva essere l’occasione di inserire nella partitura
due capolavori assoluti. Nel secondo atto “Misero è quel nocchier”,
presa in prestito dalla Dorilla in Tempe del 1726, è rimpiazzata
dalla mirabile “Bel piacer di fido core”, orchestrata per archi e due
flauti a becco. Un’aria dalla delicata costruzione orchestrale che
alterna vaporose sezioni “di bassetto” a sortite solistiche degli strumenti a fiato e a possenti unisoni drammatici. Quanto alla commovente “Cor mio che prigion sei”, essa permette a Marziano di cantare un’aria supplementare nel terzo atto. Con la sua dolorosa melodia, ondulante su un delicato accompagnamento degli archi pizzicati, quest’aria offre all’opera uno dei suoi nuovi vertici espressivi.
Nessuna testimonianza di una rappresentazione di questa nuova
versione de L’Atenaide ci è giunta. In mancanza del libretto, non
potrebbe d’altronde escludersi che l’opera così rivista da Vivaldi sia
stata concepita in prospettiva di una ripresa che non fu poi effettivamente realizzata. Il periodo durante il quale avvenne questa revisione permette nondimeno di formulare diverse ipotesi riguardo ai
progetti del compositore che potrebbero essere collegati all’occasione di uno dei suoi viaggi nell’Europa centrale nel 1729-30. L’idea
che Vivaldi abbia potuto esportare a Vienna la sua Atenaide in
occasione di una delle sue tre visite nella capitale imperiale, appare
particolarmente seducente. La sua presentazione all’Imperatore
Carlo VI, antico protettore di Zeno e primo dedicatario del libretto
dell’opera nel 1710 e nel 1714, potrebbe in effetti aver costituito
per Vivaldi un abile mezzo per sensibilizzare il monarca verso il
suo talento di compositore d’opera, nel momento in cui si contava
che egli potesse produrre le sue opere nella capitale austriaca.
Un’altra pista è offerta dai legami che univano all’epoca Vivaldi
alla Corte di Sassonia. L’interesse degli ambienti artistici di Dresda
per l’opera vivaldiana risaliva in effetti all’inizio degli anni 1730,
quando l’ascesa di Pisendel alla direzione dell’orchestra della Corte
dette un nuovo slancio alla moda vivaldiana in Sassonia.
Vivaldi, che moltiplicava allora la sua attività teatrale fuori di
Venezia, sembra peraltro che stesse a quell’epoca progettando di far
rappresentare una sua opera completa a Dresda. Una raccolta di
ventiquattro arie e un terzetto conservate nella Biblioteca di Stato
della città testimonia questo progetto, le cui modalità e tempi
rimangono tuttavia misteriosi. Queste pagine, forse vendute da
Vivaldi a un impresario locale in vista della preparazione di un
“pasticcio”, provengono dalle opere più recenti del compositore e in
particolare da L’Atenaide, della quale sei arie figurano nella raccolta, accanto a pagine provenienti da Farnace (Pavia 1731 e Mantova