CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale
Incontro di studio sul tema:
"IL CODICE DELLE ASSICURAZIONI PRIVATE"
Roma, 12-14 marzo 2007
“IL RISARCIMENTO DEL DANNO ALLA PERSONA NEL
CODICE DELLE ASSICURAZIONI:
pluralità delle voci di danno e loro liquidazione
la surroga dell’assicuratore sociale
e il c.d. danno differenziale”
Trattare del risarcimento del danno alla persona spesso significa dover scegliere
tra opzioni contrapposte:
risarcire o non risarcire, liquidare poco o niente oppure tantissimo…
relatore:
dott. Damiano Spera
giudice del Tribunale di Milano
1. Qual è l’ambito oggettivo di applicazione degli artt. 138 e 139?
L’oggetto di questa relazione è la disamina delle questioni correlate al danno alla persona nelle
ipotesi in cui trovino applicazione gli artt. 138, 139 e 142 del D. Lgs. n. 209/2005, che ha approvato
“Il codice delle assicurazioni private” (d’ora in poi chiamato “Codice”).
L’art. 139 del Codice dispone che “Il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità,
derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, è effettuato
secondo i criteri” previsti in detta norma.
Nessuna disposizione analoga è contenuta nell’art. 138 del Codice, che disciplina il “Danno
biologico per lesioni di non lieve entità”, che si limita a prevedere un decreto del Presidente della
Repubblica che provveda alla “predisposizione di una specifica tabella unica su tutto il territorio
della Repubblica: delle menomazioni.. e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo
punto”.
Ed allora può sostenersi che l’art. 138 si applichi a tutte le lesioni di non lieve entità, a prescindere,
cioè, dalla loro genesi causale?
Credo che al quesito si debba dare risposta negativa.
Si tratta di una (ennesima) disattenzione del legislatore, che deve essere colmata dall’interprete (così
Maurizio Hazan, “La nuova assicurazione della RCA nell’era del risarcimento diretto”, Giuffré,
2006, p. 167).
L’intento del legislatore, sia nei precedenti testi normativi (v. in particolare l’art. 5 L. n. 57/2001),
sia nei lavori preparatori del Codice, è sempre stato quello di dare una risposta settoriale al
problema della liquidazione del danno biologico, cominciando dai sinistri rientranti
nell’assicurazione obbligatoria.
Conferma ne è che entrambe le norme in esame sono inserite nel “Codice delle Assicurazioni
private” ed, in particolare, nel “Titolo X: Assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i
natanti”.
Inoltre, se il legislatore avesse davvero voluto una normativa generale del danno biologico da
applicare alle lesioni derivanti da qualsiasi tipo di inadempimento contrattuale o da fatto illecito,
avrebbe dovuto introdurre la normativa nel codice civile.
Sembrerebbe dunque coerente, a mio avviso, dare alle due citate norme uno stesso ambito
applicativo, limitato alle fattispecie rientranti nel menzionato Titolo X.
Pertanto, gli artt. 138 e 139 del Codice non saranno mai applicabili per il risarcimento del danno
biologico, permanente e temporaneo, conseguente a fatti illeciti che non rientrano nell’ambito della
“Assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti” (titolo X citato: artt. 122-160).
Altrimenti, si dovrebbe ritenere applicabile l’art. 138 ai soli danni di non lieve entità conseguenti ai
sinistri disciplinati da detto Titolo X e l’art. 139 a tutti i danni di lieve entità comunque conseguenza
di sinistri relativi alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, anche se non rientranti
nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria (v. in tal senso Giuseppe Cassano: “L’azione di
risarcimento nel nuovo codice delle assicurazioni”, in “Danno e responsabilità”, n. 4/2006, p. 364
e ss.).
Si può replicare, tuttavia, che anche l’art. 5 comma 2 della L. n. 57/2001 disciplinava i danni di lieve
entità “derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti” e la
giurisprudenza mai ha ritenuto che la norma fosse cogente anche fuori dall’ambito dei sinistri
disciplinati dall’assicurazione obbligatoria.
Ultima radicale soluzione interpretativa sarebbe ritenere applicabile l’art. 139 nel senso appena
detto e l’art. 138 per tutti i danni alla persona conseguenti a qualsivoglia illecito civile, contrattuale
ed extracontrattuale. In tal caso si dovrebbe enfatizzare la circostanza che nel presente
provvedimento non ricorrono più le precedenti riserve legislative: nell’art. 13 del D.Lgs. n. 38/2000
“In attesa della definizione di carattere generale del danno biologico e dei criteri per la
determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini
della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
2
professionali il danno biologico”; e il citato comma 2 dell’art. 5 della L. n. 57/2001, che dispone
“in attesa di una disciplina organica sul danno biologico”.
Sarebbe davvero velleitario sostenere che con questi due articoli, inseriti nel Codice delle
assicurazioni, e non nel codice civile, il legislatore si sia “sbarazzato” del complesso problema del
danno alla persona, di cui il danno biologico è solo una componente; ma in tali articoli non è stato
neppure affrontato il problema del danno biologico subito dalle “vittime secondarie”; infine giammai
potrebbe essere questa “una disciplina organica sul danno biologico”, atteso che claris verbis il
legislatore ha comunque limitato il danno biologico per lesioni di lieve entità, ex art. 139 del Codice,
ai danni “derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti”.
2. Qual è l’ambito temporale di applicazione degli artt. 138 e 139 del Codice?
L’intero Codice è entrato in vigore, ai sensi dell’art. 355, il 1 gennaio 2006.
Tuttavia, poiché non sono tate ancora approvate le tabelle previste dall’art. 138 del Codice: “a)
delle menomazioni all’integrità psicofisica compresa tra dieci e cento punti; b) del valore
pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di
variazione corrispondenti all’età del soggetto leso”, è evidente che l’intera disciplina del danno
biologico per “macrolesioni” non può essere affatto applicata.
Con l’approvazione delle tabelle l’art. 138 sarà applicabile per la liquidazione dei danni conseguenti
a sinistri verificatisi a decorrere dal 1 gennaio 2006? Poiché trattasi di criterio di liquidazione, a mio
avviso la risposta dovrebbe essere affermativa.
Trova invece immediata applicazione l’art. 139 del Codice per la liquidazione del danno biologico
per lesioni di lieve entità.
Infatti, sebbene il Codice (art. 354) abbia espressamente abrogato gli artt. 1,2,3,4,5,6 della legge n.
57/2001 e l’art. 23 della legge n. 273/2002, l’art. 139 in esame ha esattamente confermato i criteri di
liquidazione adottati dalle norme abrogate, con l’avvertenza che detti importi sono aggiornati
annualmente con decreto ministeriale in base agli indici ISTAT costo vita. Ed infatti, con decreto già
emanato in data 31.5.2006 dal Ministero della Sviluppo economico (pubblicato in “Guida al diritto”
n. 25/2006), sono stati adeguati gli importi risarcitori indicati nell’art. 139.
Inoltre, ai sensi dell’art. 354 del Codice, rimane in vigore il decreto del Ministro della salute - che
ha approvato la “Tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di
invalidità” - pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 211 dell’11 settembre 2003 (art. 354), sebbene
l’art. 139 in esame rinvii ad un ulteriore emanando decreto del Presidente della Repubblica su tale
questione.
In definitiva, per effetto del coacervo di disposizioni normative, non v’è soluzione di continuità
nell’applicazione dei criteri di liquidazione approvati per effetto della legge n. 57/2001: i criteri
liquidativi sono cogenti, per il giudice, ai fini della liquidazione del danno biologico, permanente e
temporaneo, conseguente a sinistri stradali verificatisi successivamente al 4.4.2001 (e, cioè, alla data
di entrata in vigore della ormai abrogata legge n. 57/2001 citata).
3. E’ conforme a Costituzione un intervento legislativo settoriale nella disciplina
del danno biologico?
In definitiva l’intervento legislativo è stato finora grossolano ed incompleto.
Eppure “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività” (art. 32 Cost.). Ed allora, che senso ha disciplinare solo il criterio risarcitorio del
danno biologico conseguente ad incidente stradale? Inoltre, l’art. 13 D.Lgs. n. 38/2000 prevede, “ai
fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali”, una speciale “tabella indennizzo danno biologico” ed una specifica “tabella delle
menomazioni”. Ma può la Medicina legale dirci (una volta per tutte!) quanti punti di invalidità
devono essere attribuiti ad una specifica menomazione all’integrità psicofisica? Ed ancora, può mai
3
sostenersi che il bene salute leso sia diverso se una persona perde l’uso dell’arto: mentre guida un
autoveicolo o lavora in azienda o cade per le scale ovvero mentre è ricoverata in ospedale? La
disciplina delle singole fattispecie di responsabilità civile può essere diversa, ma, se sono lesi diritti
inviolabili dell’uomo, il danno non patrimoniale-conseguenza non può essere disciplinato con
modalità diverse. Con la legge n. 57/2001 (prima) e il Codice delle Assicurazioni (dopo), il
legislatore ha scelto di disciplinare casi specifici di liquidazione del danno biologico, rimettendo
alla valutazione equitativa del giudice la liquidazione degli altri danni alla persona (art. 1226 c.c.).
Questa scelta, di per sé, non è in contrasto con la Costituzione, atteso che il legislatore non è
obbligato a disciplinare tutto, ma ad approvare leggi che siano conformi alla Costituzione. Pertanto il
giudice dovrebbe sottoporre la legge al vaglio della Corte Costituzionale, non nelle ipotesi (non
disciplinate) in cui esso giudice può liquidare qualsivoglia somma ritenuta equa, ma solo se
dubitasse della congruità dei valori monetari - in relazione alla tutela costituzionale del menzionato
diritto alla salute - nelle ipotesi in cui è obbligato ad applicare il criterio normativo.
4. E’ ammissibile un’applicazione “estensiva” degli artt. 138 e 139 del Codice?
Tuttavia in tal modo il legislatore, nelle ipotesi non disciplinate di liquidazione del danno biologico,
ha rimesso al giudice questa difficile opzione discrezionale: applicare i medesimi criteri normativi
ovvero i criteri giurisprudenziali di liquidazione del danno biologico, riconducibili (in sostanza) alle
tabelle adottate dai vari tribunali d’Italia.
Ancora una volta (come già verificatosi alla data di entrata in vigore della legge n. 57/2001) il
giudice dovrà valutare se la normativa in esame possa essere espressione di un criterio liquidativo
idoneo ad essere applicato, in via equitativa, anche al di fuori dei casi espressamente previsti dalla
legge. E’ indubbio che, a questi fini, sarà determinante – per la fascia 10-100% - la curva della
tabella dei valori pecuniari che sarà approvata per la liquidazione del danno biologico:
a) se detta tabella sarà ritenuta congrua dalla maggioranza dei giudici, sarà facilmente applicata
“estensivamente” al di là delle ipotesi espressamente previste dalla legge e, quindi, anche per la
liquidazione dei danni biologici cagionati da sinistri verificatisi anteriormente al 1.1.2006
ovvero aventi genesi causale diversa dai sinistri previsti dal menzionato titolo X;
b) altrimenti, inevitabilmente, i giudici ne faranno una - certamente consentita - applicazione
“restrittiva”.
Può essere opportuno aggiungere che l’assoluta maggioranza dei giudici milanesi (togati ed onorari)
non ha applicato i valori risarcitori prescritti dalla legge n. 57/2001 (ed ora dall’art. 139 citato) oltre
ai casi nella stessa espressamente indicati. Questi valori sono stati ritenuti troppo bassi rispetto a
quelli previsti dalla tabella milanese, sia in relazione al danno biologico permanente che a quello
temporaneo. Basti pensare che quest’ultimo è liquidato, per ogni giorno di inabilità assoluta, con €
40,16 ai sensi dell’art. 139 citato, contro gli € 67,36 riconosciuti dalla tabella milanese (aggiornata
al 1.1.2007).
E’ agevole dunque prevedere che i giudici milanesi tanto più facilmente ravviseranno la congruità
della emananda tabella dei valori monetari (per il danno biologico conseguente a lesioni di non lieve
entità) e quindi applicheranno in via “estensiva” la tabella oltre i casi previsti dalla legge, quanto
più vicini saranno i valori pecuniari della emananda tabella a quelli già indicati nella tabella
milanese. Per concludere su questo punto, giova ricordare che la tabella milanese del danno
biologico è adottata dalla gran parte degli uffici giudiziari d’Italia e, quindi, gode ormai di una sua
“effettività”, di cui è opportuno tenere conto, impregiudicato il diritto del legislatore ad operare
senza vincoli, che non siano riconducibili al dettato costituzionale, e nella specie, all’art. 32 Cost..
E’ opportuno ricordare che la Corte di Cassazione (con sentenza n. 5012/2002) ha statuito che “le
cosiddette “tabelle” elaborate da alcuni uffici giudiziari per la liquidazione del danno biologico non
rientrano nelle nozioni di fatto di comune esperienza di cui all’art. 115, comma secondo c.p.c., né
sono canonizzate in norme di diritto, appartenenti necessariamente alla conoscenza del giudice; ne
consegue che il giudice che intenda utilizzarle deve, per non incorrere nell’errore di omessa
4
motivazione, prima dare conto dei criteri indicati nelle tabelle (in termini generali e in forma
concisa) e poi descriverne l’applicazione alla fattispecie concreta”. In altra ipotesi la Suprema Corte
(sentenza n. 14440/2000) ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva proceduto alla
liquidazione del danno biologico conseguente ad un infortunio sul lavoro in base alle cosiddette
“tabelle milanesi”, limitandosi a definirle “ben note”, senza fornire altre spiegazioni.
5. Qual è la nozione di danno biologico accolta dagli artt. 138 e 139 del Codice?
Ai sensi degli artt. 138 e 139 del Codice, “per danno biologico si intende la lesione temporanea o
permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che
esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della
vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre
reddito”.
Nella definizione di danno biologico, espressa dall’abrogato articolo 5 della legge n. 57/2001, si
affermava che “per danno biologico si intende la lesione all’integrità psicofisica della persona,
suscettibile di accertamento medico-legale. Il danno biologico è risarcibile indipendentemente
dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato".
Tuttavia, non si ritiene che vi sia un sostanziale quid novi, atteso che è ormai pacifico che il danno
biologico, liquidato sia dalle tabelle giurisprudenziali che da quella normativa, ha sempre per
oggetto i pregiudizi della vittima inerenti alla vita quotidiana ed agli aspetti dinamico-relazionali.
Presupposto indefettibile per l’applicazione della tabella normativa (ma anche di quella milanese) è
“l’accertamento medico-legale” della “lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica”(così gli artt. in esame, ma anche, sostanzialmente l’art. 13 del decreto legislativo n. 38/2000).
Anche per la Corte Costituzionale (nella sentenza n. 233/03), il danno biologico deve essere “inteso
come lesione dell’interesse costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della
persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.)”. Va quindi esclusa, in radice,
ogni ipotesi di liquidazione di danno biologico presunto e di danno alla salute senza lesione
biologica medicalmente accertata (da morte del prossimo congiunto, da immissioni rumorose, da
molestie sessuali, etc.).
La nozione di danno biologico accolta dai giudici milanesi - nei “Criteri orientativi per la
liquidazione del nuovo danno non patrimoniale”, approvati dall’Osservatorio sulla Giustizia civile
del Tribunale di Milano nel dicembre 2004 (v. in appendice il documento, con gli importi aggiornati
al 1.1.2007) – è invece quella proposta dalla Corte Cost., nella sentenza n. 356/1991: “La
considerazione della salute come bene e valore personale in quanto tale garantito dalla
Costituzione come diritto fondamentale dell’individuo nella sua globalità e non solo quale
produttore di reddito impone di prendere in considerazione il danno biologico ai fini del
risarcimento, in relazione all’integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le
attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita non
soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera
spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva, e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto
svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana”.
6. Con quali modalità è stata prevista la costruzione della curva delle tabelle dei
valori pecuniari?
Il legislatore ha sostanzialmente fatto propri i criteri posti a fondamento della curva dei valori
monetari della tabella milanese:
5
-
-
-
per le lesioni di non lieve entità (art. 138) “il valore economico del punto è funzione
crescente della percentuale di invalidità e l’incidenza della menomazione sugli aspetti
dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale
rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi”;
“il valore economico del punto è funzione decrescente dell’età del soggetto, sulla base
delle tavole di mortalità elaborate dall’ISTAT al tasso di rivalutazione pari all’interesse
legale”;
per le lesioni di lieve entità (art. 139) è liquidato “un importo crescente in misura più che
proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità; tale importo è
calcolato in base all’applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo
coefficiente secondo la correlazione esposta nel comma 6. L’importo così determinato si
riduce con il crescere dell’età del soggetto in ragione dello zero virgola cinque per cento
per ogni anno di età a partire dall’undicesimo anno di età”.
La crescita del “valore-punto” (in valore assoluto), in relazione ad ogni punto percentuale di
invalidità, si fonda sul presupposto che, aumentando quest’ultima, aumentano altresì le
“compromissioni biologiche” del soggetto. Tale crescita deve essere in misura più che
proporzionale, come ha spiegato la medicina legale: per il valore-punto deve essere liquidato “un
importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di
invalidità”; cioè l’incremento marginale del valore risarcitorio tra un punto ed il successivo
dovrebbe essere maggiore di quello esistente tra quello stesso punto ed il precedente, sul
presupposto che l’incremento della invalidità determina una sempre maggiore menomazione
dell’integrità psico-fisica del soggetto. Ciò nonostante, i giudici di Milano hanno confermato la
precedente curva dei risarcimenti: perché questa è ormai adottata dalla gran parte dei Tribunali
d’Italia, ed è quindi ritenuta comunque idonea ad indennizzare equamente il danneggiato; perché
applicare rigorosamente il principio dell’incremento “più che proporzionale” porta a valori
risarcitori davvero “eccessivi” per le macro-invalidità; perché lo stesso legislatore, dopo aver
affermato il principio predetto, lo ha “spudoratamente” disatteso con incrementi risarcitori costanti
(v. art. 139 ult. comma).
Il “valore-punto” viene dunque moltiplicato per la percentuale accertata di invalidità e "L'importo
così determinato si riduce con il crescere dell'età del soggetto in ragione dello zero virgola
cinque per cento per ogni anno di età”. Il danno biologico permanente è un danno futuro; pertanto
appare equo liquidare un minore importo a chi, in base alle tabelle di vita media, subirà il
pregiudizio conseguente alle menomazioni, presumibilmente, per un minor numero di anni.
Ciò spiega altresì le modalità risarcitorie adottate allorché non vi sia danno futuro, per effetto della
morte del soggetto - anche cagionata da eventi diversi dalla originaria lesione - prima della
liquidazione definitiva del danno (anche nel corso del giudizio di appello). Pertanto il danno
biologico jure ereditario è inesistente nell’ipotesi di morte istantanea; è liquidato equitativamente dal
giudice (come danno biologico temporaneo e danno biologico “terminale”) se sussiste “un
apprezzabile lasso di tempo” tra la lesione e la morte (v. sentenza della Corte Costituzionale n.
372/1994); se l’evento morte si verifica dopo mesi o anni dal fatto illecito, è liquidato in base al
danno biologico temporaneo e permanente correlato al tempo tra l’originaria lesione ed il decesso, in
proporzione (equitativa) dell’importo che il giudice avrebbe liquidato in base alla tabella.
7. Cosa si intende per “danno biologico non personalizzato”?
I predetti valori tabellari liquidano il danno biologico non personalizzato da particolari situazioni
soggettive e, quindi, le conseguenze della lesione all’integrità psico-fisica “sulle attività quotidiane
e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”.
6
Con il decreto 3.7.2003 il Ministero della salute aveva già approvato (come si è accennato) la
“Tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità”, in
esecuzione di quanto disposto dall’art. 5, comma 5, della legge n. 57/2001 (tabella tuttora in vigore,
ex art. 354 del Codice).
Tale tabella è illustrata dai “criteri applicativi”, approvati col medesimo decreto.
Nei “criteri applicativi”, si afferma che il danno biologico, quale menomazione dell’integrità psicofisica, incide negativamente sulle attività quotidiane e “sugli aspetti personali dinamico-relazionali
della vita del danneggiato.
Giova ribadire che il danno biologico non può non incidere sulle condizioni di vita del soggetto leso
e, quindi, su tutti gli aspetti dinamico-relazionali.
Tuttavia bisogna evitare confusioni di ruoli tra le parti, il C.T.U. ed il giudice.
Il danno biologico non personalizzato è quello conseguente alla diminuzione della integrità
psicofisica in sé e per sé considerata, che postula un criterio liquidativo egualitario ed uniforme (v.
Corte Cost., sentenza n. 184/1986).
La parte che ha chiesto in giudizio (genericamente) il risarcimento del danno alla persona non ha
alcuno specifico onere di allegazione e di prova, in relazione al risarcimento del danno biologico in
esame.
Il C.T.U., quindi, indicherà in termini di percentuale la menomazione all’integrità psico-fisica,
comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti.
La prova della menomazione psico-fisica, accertata dal medico legale, è di per sé prova del danno,
che presumibilmente sopporterà il soggetto leso se rimarrà in vita (v. sentenza Corte Costituzionale n.
372/94).
Il danno biologico non personalizzato va valutato dal medico-legale, sotto il profilo anatomofunzionale, in relazione alle possibili sfere di vita del danneggiato (produttiva, sportiva, interrelazionale, ecc.); ma queste ultime sono considerate in astratto, perché il danno è, in concreto,
tipizzato solo per il grado della menomazione psicofisica, per l’età ed il sesso del soggetto.
Trattasi, dunque, della compromissione della possibilità di espletare gli atti ordinari del vivere
quotidiano.
Alcune generiche attività ed estrinsecazioni della personalità, come lavarsi, vestirsi, camminare,
leggere, andare a cinema, ecc., sono proprie di ogni essere umano di una certa età e sesso e possono,
quindi, ritenersi lese in presenza della menomazione psicofisica, senza la necessità di uno specifico
onere di allegazione e di prova, attraverso il ricorso alle "nozioni di fatto che rientrano nella
comune esperienza" (art. 115 c.p.c.).
Il C.T.U. medico-legale deve accertare l’entità del danno biologico in base alla tabella delle
menomazioni predetta, ma lo stesso vale per qualsivoglia barème adottato.
Infatti nei menzionati “Criteri orientativi” approvati a Milano si afferma che:
“La valutazione medico-legale standard ha dunque ad oggetto il danno biologico:
Ø sia nel suo aspetto statico, quale danno fisiologico,
Ø sia nei suoi aspetti dinamico-relazionali medi, quale insieme di conseguenze negative prodotte,
mediamente, dalla lesione nella vita quotidiana della vittime.
In altri termini, la valutazione medico-legale considera il danno biologico sotto il profilo anatomofunzionale, ovvero tiene conto della compromissione della possibilità di espletare gli atti ordinari
del vivere quotidiano nelle sue varie sfere - attività interrelazionali/produttive/sportive/sociali in
genere - considerate in astratto: il ctu indica in termini di percentuale la menomazione all’integrità
psico-fisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti.
Le tabelle già in uso presso il Tribunale di Milano, basate sulla valutazione medico-legale, tengono
conto, in aggiunta agli aspetti dinamico-relazionali medi predetti, dell’età del danneggiato (il valorepunto cresce in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità e si riduce con il crescere dell’età
del soggetto).
7
Pertanto la liquidazione del danno biologico effettuata sulla base di tali tabelle considera il danno
biologico subito dalla persona nei suoi aspetti statico e dinamico relazionali medi”.
8. Cosa si intende per “danno biologico personalizzato”?
Il danno alla salute deve essere altresì liquidato dal giudice con criteri di elasticità e flessibilità, per
adeguare la liquidazione del caso di specie all'effettiva incidenza dell'accertata menomazione sulle
attività della vita quotidiana. Sarebbe certamente incostituzionale (arg. dalla citata sentenza della
Corte Costituzionale n. 184/86) una legge che impedisse al giudice la personalizzazione del danno
biologico. Il danno biologico personalizzato attiene, dunque, al danno biologico dinamicorelazionale in concreto.
Per il danno biologico conseguente a lesioni di lieve entità (1-9%), l’art. 139, 3° comma del Codice
conferma (anche nel tenore letterale) il criterio adottato dall’art. 23 della legge n. 273/2002, secondo
cui l’ammontare del danno biologico, permanente e temporaneo, “può essere aumentato dal giudice
in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni
soggettive del danneggiato”.
Per il danno biologico conseguente a lesioni di non leve entità (10-100%), l’art. 138, 3° comma del
Codice dispone: ”Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici
aspetti dinamico relazionali personali, l’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella
unica nazionale può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento, con equo e motivato
apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”.
Non è dato comprendere le ragioni della disparità di presupposti e criteri di liquidazione del cd.
“danno biologico personalizzato”, nelle ipotesi di lesioni di lieve (incremento consentito fino al
20%) o non lieve entità (incremento fino al 30%). Non appare condivisibile che, in quest’ultimo caso
- con ripercussioni certamente più gravi nelle concrete condizioni di vita del soggetto danneggiato il giudice possa procedere all’aumento (in ipotesi anche di pochi punti percentuali) della
liquidazione solo se “la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti
dinamico-relazionali personali”.
Nei citati “criteri applicativi” di cui al decreto 3.7.2003 del Ministero della salute, che ha approvato
la tabella delle menomazioni tra 1-9%, si afferma:
“Ove la menomazione accertata incida in maniera apprezzabile su particolari aspetti dinamicorelazionali personali, lo specialista medico-legale dovrà fornire motivate indicazioni aggiuntive
che definiscano l’eventuale maggior danno tenuto conto delle condizioni soggettive del
danneggiato, richiamate dal comma 4 dell’art. 5 della legge n. 57/2001, come modificato dalla
legge n. 273/2002”.
Si afferma ancora nei menzionati “Criteri orientativi” milanesi:
“Nella prospettiva di rispondere alla “esigenza di garantire l’integrale riparazione del danno
ingiustamente subito nei valori propri della persona anche in riferimento all’art. 2 Cost.” (così
Cass n.8827/2003), va rilevato che ulteriori condizioni soggettive del danneggiato, diverse da quelle
“medie”, non sono considerate nella valutazione medico legale standard e quindi neppure dalle cd.
Tabelle milanesi, che non tengono quindi conto degli aspetti dinamico-relazionali personali del
danno: tali profili, dunque, possono e debbono essere oggetto di ulteriore specifica valutazione (c.d.
personalizzazione del danno biologico) da parte del giudice, ove allegati e provati (cfr. Cass.
n.8827/2003, “il danno biologico, a seguito di una valutazione che deve essere nel più alto grado
possibile personalizzata, è liquidato in precipua considerazione di ciò che il soggetto non potrà
più fare”).
Il danno biologico, infatti, è costituito dalla compromissione del bene salute nelle manifestazioni o
espressioni quotidiane che riguardano sia l'attività lavorativa sia anche tutte le attività extra
8
lavorative, che pongono il soggetto in condizioni non solo di produrre utilità, ma anche di riceverne e
che postula, quindi, una valutazione necessariamente differenziata caso per caso. Il danno biologico
personalizzato attiene dunque alla lesione del bene giuridico salute, e cioè della complessiva e
personalizzata perdita della pregressa integrità psico-fisica.
Oltre all’esempio (indicato nei “Criteri orientativi”) dell’amputazione del dito di una persona che
pratichi l’hobby di suonare uno strumento musicale, si pensi ad una menomazione permanente che
provochi una maggiore usura lavorativa: es. una menomazione alla caviglia per una barista che è
costretta, per lavoro, a stare in piedi per molte ore al giorno (e ciò a prescindere dall’eventuale
prova della diminuzione della capacità di produrre reddito: danno patrimoniale che esula dalle
tabelle milanesi).
Mentre la tabella normativa consente al giudice di aumentare fino al 20% (art. 139) ed al 30% (art.
138) l’importo risultante dalla liquidazione del danno biologico permanente e temporaneo, “con
equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”, i “Criteri
orientativi” milanesi prevedono, in via di massima, che il giudice, in presenza di accertate
“condizioni soggettive” possa aumentare, con congrua motivazione, fino al 30% l’importo risultante
dall’applicazione della tabella milanese. Si è ritenuto che l’aumento fino al 20% non consenta di
valutare compiutamente le peculiarità del caso concreto.
Si tratta, ovviamente, di criteri direttivi per evitare (col diverso criterio dell’equità pura) forti
disomogeneità nelle liquidazioni dei vari danni biologici personalizzati, anche al fine di rendere
comunque prevedibile la decisione del giudice, sia pure nell’ambito di ineludibili margini di
discrezionalità; è altresì evidente che, in assenza di vincoli legislativi, il giudice è libero di liquidare
comunque la somma ritenuta più congrua nella fattispecie concreta.
Nelle ipotesi, invece, di cogente applicazione delle norme del Codice, ove il giudice, in relazione
alle specificità del caso concreto, ritenga inidoneo l’importo massimo liquidabile per il risarcimento
del danno alla salute con le predette percentuali, dovrebbe rimettere gli atti alla Corte Costituzionale,
per (non manifestamente infondata) violazione dell’art. 32 della Costituzione.
Domenico Chindemi (“Danno biologico nel nuovo codice delle assicurazioni”, in “La pratica
forense”) evidenzia in proposito diversi profili di possibile incostituzionalità della normativa in
esame, con particolare riguardo ai limiti relativi all’aumento della liquidazione del danno.
Per Patrizia Ziviz (“Il danno alla persona nel nuovo codice delle assicurazioni”) gli artt. 138 e
139 del Codice determinano una quantificazione dei pregiudizi conseguenti alla lesione psico-fisica
la quale risulta comprensiva delle compromissioni standard della sfera esistenziale della vittima.
Rimane così preclusa la possibilità di ricondurre le compromissioni peculiari della vittima sotto
diverse etichette: in particolare attraverso la corresponsione di un pregiudizio definito nei termini di
danno esistenziale. Tute le ripercussioni negative patite dalla vittima in questa sfera trovano riscontro
attraverso il ristoro del danno biologico, per cui l’attribuzione di un’ulteriore voce di danno
qualificata come danno esistenziale rappresenterebbe una duplicazione risarcitoria. La particolare
attenzione del legislatore agli aspetti dinamico-relazionali del danno impedisce alla vittima il
recupero di quanto non viene risarcito come biologico, atteso che più elevati sono i criteri risarcitori
delle tabelle giurisprudenziali. Da tali strettoie, per la Ziviz si può uscire solo sollevando la
questione di illegittimità costituzionale della disciplina in esame.
Pertanto la parte danneggiata, che intenda chiedere il risarcimento del danno alla salute
personalizzato, ha l’onere di allegare nel processo “specifici aspetti dinamico-relazionali” o
particolari “condizioni soggettive del danneggiato”, entro il termine di cui all'art. 183, 6° comma, n.
2 c.p.c. (fino al quale può ancora modificarsi il thema decidendum): tutti i fatti e le circostanze
significative che consentano una completa personalizzazione del danno, sia in relazione al periodo di
durata della malattia (danno biologico temporaneo) sia in relazione ai postumi permanenti (danno
biologico permanente).
9
Sulla controparte graverà l'onere di prendere posizione ed eventualmente contestare tali allegazioni,
nel termine predetto.
La parte danneggiata avrà altresì l'onere di provare le allegazioni contestate e, conseguentemente, nel
temine perentorio di cui all'art. 183, 6° comma, n. 3 c.p.c. (entro cui viene fissato il c.d. thema
probandum), dovrà produrre i documenti e chiedere l'ammissione dei mezzi di prova.
Una volta comprovata la condizione soggettiva rilevante, il giudice potrà eventualmente richiedere al
C.T.U. la valutazione medico-legale, al fine di acclarare se quella specifica attività esistenziale sia
in tutto o in parte preclusa per effetto della menomazione psicofisica; con l’avvertenza che il C.T.U.
dovrà limitarsi ad esprimere una valutazione tecnica e fornire al giudice tutti gli elementi necessari
per chiarire la situazione di fatto, ma non dovrà aumentare l’entità percentuale del danno biologico
(eventualmente già accertato). Spetta, infatti, solo al giudice, “con equo e motivato apprezzamento”,
aumentare l’entità del risarcimento nei limiti predetti.
Concludendo su questo punto vorrei osservare che, sebbene le tabelle milanesi abbiano sempre
consentito la personalizzazione del danno alla salute, raramente gli avvocati hanno allegato
particolari condizioni soggettive e, quindi, altrettanto raramente, i giudici hanno finora proceduto ad
aumenti degli importi tabellari.
9. Qual è il criterio di liquidazione del danno biologico temporaneo?
Per il danno biologico temporaneo conseguente a lesioni di non lieve entità, il Codice non indica
alcun valore monetario, ma rinvia alla emananda tabella, con l’indicazione del seguente principio
direttivo: “e)il danno biologico temporaneo inferiore al cento per cento è determinato in misura
corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno” (art. 138).
Per il danno biologico temporaneo conseguente a lesioni di lieve entità si afferma lo stesso criterio,
ma si conferma il valore monetario di € 39,37, per ogni giorno di inabilità assoluta (art. 139); con il
Decreto del Ministero dello sviluppo economico 31.5.2006, tale valore, a decorrere dal 1.4.2006, è
stato aumentato ad € 40,16.
La tabella milanese ha invece fissato, per l’anno 2007, in € 67,36 l’importo liquidabile per il danno
biologico temporaneo, conseguente ad ogni tipo di lesione, per ogni giorno di inabilità assoluta.
Si spera che, nell’emananda tabella, il legislatore colga l’occasione per aumentare congruamente, per
tutte le ipotesi di inabilità temporanea assoluta, l’importo liquidabile, richiamando tuttavia
l’attenzione dei medici legali ad attenersi a criteri più rigorosi nell’individuazione del danno in
esame (talora si riconoscono 60-90 giorni di inabilità assoluta, in conseguenza di un banale colpo di
frusta!).
10. Gli artt. 138 e 139 del Codice consentono la liquidazione del danno morale?
Non può sostenersi che gli artt. 138 e 139 del Codice liquidino l’intero danno alla persona.
Calogero Lo Giudice (“La svolta nel codice delle assicurazioni private in tema di danno non
patrimoniale”, in www.Altalex. Com)ha invece ritenuto che il profilo soggettivo del danno morale è
recuperato, sempre all’interno del’unica figura del danno biologico, dalla considerazione della
“condizioni soggettive del danneggiato”, così escludendo facili ed ingiustificati automatismi, ai fini
del risarcimento dela componente “sofferenza”, come è finora avvenuto.
Anche Sara Landini (“Il risarcimento del danno biologico nel codice delle assicurazioni”) ha
sostenuto che con il risarcimento del danno biologico il legislatore abbia voluto delimitare l’ambito
della risarcibilità dei danni alla persona nel suo complesso. Ammettere la liquidazione di altri danni
non patrimoniale significherebbe lasciare irrisolti tutti i problemi di gestione tecnica del rischio
nell’assicurazione della responsabilità civile.
10
E’, invece, certamente ammessa, anzi doverosa la liquidazione del danno morale. La fine della
liquidazione del danno morale, sempre ammessa dal diritto vivente, avrebbe richiesto un’esplicita
volontà legislativa.
Per Patrizia Ziviz (op. cit.) bisogna respingere qualsiasi opzione interpretativa volta a sostenere che
il risarcimento della vittima di un incidente stradale possa esaurirsi attraverso la corresponsione
delle voci di danno biologico espressamente menzionate dal Codice. Spetta dunque alla vittima anche
il ristoro del danno morale, ed in relazione a quest’ultimo il giudice è libero d stabilire la relativa
quantificazione.
Vorrei evidenziare, altresì, che, nel nuovo assetto giurisprudenziale, in presenza di lesione biologica,
il danno morale soggettivo deve essere sempre liquidato anche nelle fattispecie di colpa presunta;
quindi il giudice, liquidando il danno morale soggettivo, potrà più agevolmente adeguare il
risarcimento complessivo all’entità delle sofferenze ed a “tutte le rinunce collegate alle sofferenze
provocate dal fatto lesivo”, costituente (anche solo in astratto) reato (v. sentenza CASS. n. 8827/03).
Il danno morale soggettivo è stato inteso dalla giurisprudenza della Suprema Corte e della Corte
Costituzionale come sofferenza contingente, “transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima”
(così la Corte Costituzionale nella sentenza n. 233/2003), determinati dal fatto illecito. Come è stato
recentemente osservato, il pretium doloris si identifica con la reazione emotiva immediata che
cagiona l’illecito: un misto di spavento, di dolore, di angoscia e di fastidio.
Il danno morale soggettivo va sempre riconosciuto in tutte le ipotesi in cui venga applicato l’art.
2059 c.c..
Pertanto laddove l’illecito comporti la lesione di un interesse costituzionalmente protetto, “il
pregiudizio consequenziale integrante il danno morale soggettivo (patema d’animo) è risarcibile
anche se il fatto non sia configurabile come reato” (così la Cassazione, sentenza n. 8827/2003).
La Suprema Corte inoltre ravvisa (sempre in quest’ultima sentenza) “l’interesse all’integrità morale,
la cui tutela, agevolmente ricollegabile all’art. 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza
contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo”. Devesi tuttavia
precisare che il danno morale soggettivo trova un suo supporto nella Costituzione solo nell’ipotesi in
cui tale danno sia conseguenza della lesione di un diritto fondamentale; altrimenti, si ritorna ad una
valutazione di incostituzionalità dell’art. 2059 c.c., e ad una confusione dei contenuti del danno non
patrimoniale, come invece ribaditi non solo dal nuovo corso giurisprudenziale, ma anche dalla Corte
Costituzionale con le sentenze n. 37/1994, 372/1994 e l’ordinanza 293/1996.
Dalla giurisprudenza milanese, invece, il danno morale è stato sempre considerato come sofferenza
non solo contingente (c.d. pretium doloris), ma anche correlata alle rinunce successive, conseguenti
alle menomazioni psico-fisiche permanenti; pertanto appare congruo, per la vittima primaria,
confermare l’adottato criterio di liquidazione da ¼ ad ½ della somma dell’importo liquidato a titolo
di danno biologico temporaneo e permanente.
Anche in questo caso, per evitare deprecabili automatismi, è onere della parte allegare e provare,
anche mediante presunzioni, particolari situazioni di sofferenza; è compito del giudice sottoporre al
C.T.U. specifici quesiti, per evidenziare patologie temporanee e permanenti particolarmente
dolorose.
Anche nella citata sentenza n. 23918/2006, la Cassazione ha ribadito che, nella liquidazione del
danno morale soggettivo, “il giudice di merito deve tener conto delle sofferenze patite dall’offeso,
della gravità dell’illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in
modo da rendere la somma liquidata adeguata al particolare caso concreto (CASS 6 ottobre 1994,
n. 8177). Il giudice può anche tenere conto di criteri predeterminati, come base di partenza per
procedere a questa liquidazione, ma deve dare atto di aver, in ogni caso, provveduto alla
personalizzazione di tale liquidazione, con riferimento alle specifiche circostanze del caso
concreto e di non aver applicato i valori tabellari con mero automatismo. Nella fattispecie il
giudice di appello ha ritenuto.. che il tribunale (di Roma), adottando la frazione più alta di
liquidazione del danno morale (nella misura della metà del danno biologico) ha apprezzato
11
appieno, in relazione alla giovane età ed al sesso (ragazza di anni 25) della danneggiata, le
sofferenze conseguenti al danno fisico subito”. La Cass. ha quindi rigettato il ricorso.
Lo stesso principio è stato da ultimo riaffermato dalla Cass. nella sentenza n. 394/2007 (in “Guida al
diritto”, n. 6/2007, p. 22 e ss., con nota critica di Giovanni Comandé).
11. Cosa si intende per “il nuovo danno non patrimoniale”?
Con la liquidazione con le esposte modalità del danno biologico, permanente e temporaneo, e del
danno morale, si possono e/o devono liquidare altre voci di danno alla persona?
In particolare, si deve liquidare il cd. danno esistenziale?
La risposta non può essere data da un’arbitraria ed immotivata scelta di campo, ma deve essere il
risultato di un ragionamento (il più possibile) rigoroso.
Ed allora non può non farsi una sia pure breve disamina delle sentenze della Corte di Cassazione del
maggio 2003 e della Corte Costituzionale n. 233 del luglio successivo.
Con queste sentenze il danno alla persona è stato radicalmente modificato sia nei contenuti che nei
riferimenti normativi:
- “Alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p. (nella restrittiva
accezione di danno morale soggettivo e prescindendo dalla circostanza che sia o meno
conseguenza di danno biologico) non osta il mancato positivo accertamento della colpa
dell’autore del danno se essa, come nei casi di cui agli artt. 2051 e 2054 c.c., debba ritenersi
sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe
qualificabile come reato” (così CASS. n. 7281/03, 7282/03, 7283/03; tale interpretazione è
stata avallata dalla sentenza n. 233/2003 della Corte Costituzionale);
- Le novità legislative ed il nuovo indirizzo giurisprudenziale hanno fatto assumere all’art.
2059 c.c. “una funzione non più sanzionatoria, ma soltanto tipizzante dei singoli casi di
risarcibilità del danno non patrimoniale” (così la Corte Costituzionale nella sentenza n.
233/2003);
- “Nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione
- che all’art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo -, il danno non
patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia
leso un valore inerente alla persona.. e non solo come danno morale soggettivo”. Circa la
riserva di legge contenuta nell’art. 2059 c.c., la Suprema Corte ha ritenuto che “una lettura
della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite se la
lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti”, costituendo la
riparazione mediante indennizzo la forma minima di tutela che non è assoggettabile a specifici
limiti. D’altra parte “il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla
persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela,
ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione
del danno non patrimoniale”. Questa lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.
riconduce la tutela risarcitoria della persona al “sistema bipolare del danno patrimoniale e di
quello non patrimoniale: quest’ultimo comprensivo del danno biologico in senso stretto, del
danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso e dei pregiudizi diversi ed ulteriori,
purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto” (v.
CASS. sentenze n. 8827/03 e 8828/03). Su quest’ultimo punto ancora più chiaramente la
Corte Costituzionale (nella citata sentenza n. 233/2003) ha concluso: deve essere ricompreso,
nell’astratta previsione dell’art. 2059 c.c., “ogni danno di natura non patrimoniale derivante
da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso
come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso
stretto, inteso come lesione dell’interesse costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e
fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il
12
danno (spesso definito in dottrina e giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione
di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.
11.1. La sentenza della Cassazione Sez. U. n. 6752 del 24.3.2006 ha consacrato in
via definitiva il danno esistenziale?
Questa sentenza ha per oggetto un’ipotesi di demansionamento e dequalificazione del lavoratore che
aveva chiesto al datore di lavoro il risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale.
La Cassazione ravvisa la violazione dell’art. 2087 c.c. che tutela l’integrità fisica e la personalità
morale del lavoratore, norma che inserisce i diritti costituzionali nell’ambito del rapporto di lavoro.
L’inadempimento contrattuale è regolato dagli artt. 1218 e 1223 c.c., e l’art. 2087 c.c. assicura anche
l’accesso alla tutela di tutti i danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., senza necessità, per superare i
limiti di applicazione di questa norma, di ravvisare l’interesse costituzionale protetto, perché la
protezione è già accordata dalla disposizione del codice civile.
Dall’inadempimento, tuttavia, non deriva automaticamente il danno, ma occorre la prova che sia
derivato un pregiudizio, una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita
dalla diminuzione di un valore personale (sentenza Corte Costituzionale n. 372/1994).
Il lavoratore ha dunque innanzitutto l’onere di allegare le circostanze che pone a fondamento della
domanda risarcitoria. Mentre per il danno biologico non può prescindersi dall’accertamento medicolegale della lesione dell’integrità psicofisica, il danno non patrimoniale all’identità professionale sul
luogo di lavoro, all’immagine o alla vita di relazione o comunque alla lesione del diritto
fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro tutelato
ex artt. 1 e 2 Cost. integra un danno c.d. esistenziale: “per danno esistenziale si intende ogni
pregiudizio che l’illecito datoriale provoca sul fare areddituale del soggetto, alterando le sue
abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e
privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo
esterno. Peraltro il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed interiore
(propria del danno morale), ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la prova di
scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l’evento
dannoso”. Dunque il danno esistenziale non consiste in “meri dolori e sofferenze ”, e deve essere
“verificato mediante la prova testimoniale, documentale o presuntiva”, che dimostri nel processo i
“concreti” cambiamenti, che l’illecito ha apportato, in senso peggiorativo, nella qualità di vita
del danneggiato”. Queste circostanze devono essere allegate e provate con tutti mezzi offerti
dall’ordinamento processuale e quindi anche mediante presunzioni (art. 2727 c.c.), cui il giudice può
fare ricorso anche in via esclusiva; il giudice potrà altresì avvalersi delle nozioni generali derivanti
dall’esperienza (art. 115 c.p.c.). Con l’avvertenza che, in mancanza di specifiche allegazioni, non è
neppure consentita la liquidazione in forma equitativa.
11.2. La sentenza n. 13546 del 12.6.2006 (rel. Scarano) ha confermato il nuovo
indirizzo delle Sez. Unite?
La sentenza ha per oggetto il risarcimento del danno non patrimoniale subito iure proprio dal
prossimo congiunto di una vittima, poi deceduta, di un incidente stradale.
La sentenza in esame parte dalla premessa che con le sentenze del maggio 2003 la Cassazione ha
rimarcato “il carattere interiore e privo di obiettivizzazione all’esterno del danno morale,
espressamente qualificato come soggettivo”, ma hanno precisato che esso non esaurisce il danno
non patrimoniale.
Seguendo il nuovo indirizzo delle Sezioni Unite, afferma che il danno esistenziale è “una figura di
danno alla salute in senso lato che, pur dovendo diversamente dal danno morale soggettivo (v.
Cass. 10.8.2004, n. 15418) obiettivarsi, a differenza del danno biologico rimane integrato a
prescindere dalla relativa accertabilità in sede medico-legale”.
13
La perdita del rapporto parentale determina uno “sconvolgimento delle abitudini di vita” del
prossimo congiunto, che “deve trovare comunque obiettivizzazione nell’alterazione del modo di
relazionarsi del soggetto sia all’interno del nucleo familiare che all’esterno di esso nell’ambito
dei comuni rapporti della vita della relazione (v. Cass., 31.5.2003, n. 8827; Cass., 31.5.2003, n.
8828). Esso si sostanzia invero in una modificazione (peggiorativa) della personalità
dell’individuo, che si obiettiviza socialmente nella negativa incidenza sul suo modo di rapportarsi
con gli altri…Così come quello patrimoniale anche il danno non patrimoniale ha natura di
danno-conseguenza, quale danno che scaturisce dal fatto-evento... Si è infatti escluso che tale tipo
di danno sia configurabile in re ipsa, precisandosi che deve essere allegato e provato da chi vi
abbia interesse, senza rimanere tuttavia precluso il ricorso a valutazioni prognostiche ed a
presunzioni (sulla base di elementi obiettivi forniti dall’interessato)…Quando il danneggiato
chiede il risarcimento del danno non patrimoniale la domanda va cioè intesa come estesa a tutti
gli aspetti di cui tale ampia categoria si compone, nella quale vanno d’altro canto riassorbite le
plurime voci di danno nel corso degli anni dalla giurisprudenza elaborate proprio per sfuggire
agli angusti limiti della suindicata restrittiva interpretazione dell’art. 2059 c.c.”.
11.3.1. Ma con quali conseguenze sul danno biologico nella sentenza n. 23918 del
9.11.2006 (rel. Segreto)?
La fattispecie esaminata in questa sentenza è il risarcimento da liquidare a giovane donna danneggiata
da inadeguato intervento chirurgico per enucleazione di adenoma mammario.
La ricorrente aveva impugnato la sentenza perché aveva liquidato il danno biologico ed il danno
morale, ma non il danno esistenziale, conseguente alla menomazione subita nel contesto sociale
(famiglia, lavoro, ecc.).
La sentenza riafferma i principi delle sentenze del maggio 2003 e la tipicità del danno non
patrimoniale, che, oltre ai casi di cui all’art. 185 c.p. e a quegli altri minori previsti dalla legge,
attiene solo “alle ipotesi specifiche di valori costituzionalmente garantiti (la salute, la famiglia, la
reputazione, la libertà di pensiero, ecc.), ma in questo caso non v’è un generico danno non
patrimoniale “esistenziale”, ma un danno da lesione di quello specifico valore di cui ad un
individuato referente costituzionale” (così anche Cass. 19.5.2006, n. 11761)”.
Si ribadisce che occorre che la “lesione attenga a valori della persona umana che la Costituzione
dichiari inviolabili, e, come tali, oggetto almeno della tutela minima, che è quella risarcitoria. Né
quanto sopra si pone in contrasto con quanto hanno statuito le S.U. con la sentenza 24.3.2006, n.
6572”. Quest’ultima “nulla ha innovato rispetto all’indirizzo di questa Corte, inaugurato nel 2003,
e quindi che tale tutela non è accordata ad una categoria generale di danno, ma alla lesione di
specifici interessi protetti a livello costituzionale.” La sentenza delle Sez. U. ha per oggetto un
ambito contrattuale, ed un danno non patrimoniale previsto dalla legge (art. 2087 c.c.), che punisce i
comportamenti datoriali che ledano la “personalità morale” del lavoratore.
Ma la clausola contrattuale ex lege, di cui all’art. 2087 c.c. (che ha consentito alla Corte di dirimere
il contrasto in merito agli oneri processuali), non è esportabile fuori dall’ambito suo proprio
contrattuale e “conseguenzialmente non può sostenersi che il suddetto arresto delle S.U. abbia inciso
sulla struttura del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. e cioè nell’ambito
diverso della responsabilità aquiliana, affermando che essa investa anche la lesione del cd. “danno
esistenziale”
Nella fattispecie concreta, esaminata nella sentenza n. 23918/2006, la generica richiesta di
risarcimento del danno non patrimoniale esistenziale, ex art. 2059 c.c., fuori dai casi espressamente
previsti dalla legge, deve essere rigettata.
Non v’è dubbio che l’integrità psicofisica della persona sia un valore costituzionale ex art. 32 Cost.
che tutela il diritto alla salute.
Tuttavia “Il danno alla salute (o “danno biologico”) comprende ogni pregiudizio diverso da
quello consistente nella diminuzione o nella perdita della capacità di produrre reddito che la
14
lesione del bene salute abbia provocato alla vittima, e non è concettualmente diverso dal danno
estetico o dal danno alla vita di relazione, che rispettivamente rappresentano, l’uno una delle
possibili lesioni dell’integrità fisica e l’altra la impossibilità o difficoltà di reintegrarsi nei
rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale.. ma la perdita subita sotto questi profili
integra il danno biologico nelle sua varie componenti. Tale danno (come quello morale
soggettivo) è stato liquidato nelle sue varie componenti dal giudice di merito e non è possibile una
duplicazione liquidatoria della stessa voce dei danno, sotto la categoria generica del “danno
esistenziale”. La Cass. ha quindi rigettato il ricorso.
11.3.2. E nella sentenza n. 2311 del 2.2.2007 (rel. Petti)?
Tuttavia con la recentissima sentenza 2.2.2007, n. 2311 (rel Petti), la Cassazione sembra rifare un
passo indietro perché ad una vittima di un incidente stradale, cui era stato liquidato sia il danno
biologico che quello morale, viene riconosciuto, altresì, il danno esistenziale, per la perduta capacità
di avere rapporti sessuali per la conseguita impotenza coeundi, con conseguente sindrome ansiosa
depressiva. Argomenta la Corte di Cassazione: che erroneamente la sentenza impugnata aveva
ritenuto che il danno esistenziale era stato ritenuto assorbito e liquidato nel danno biologico,
riconosciuto nella misura del 20%; che il diritto alla sessualità è dalla Corte Costituzionale (sentenza
n. 561/87) inquadrato tra i diritti inviolabili alla persona (art. 2 Cost.); che i diritti inviolabili della
persona non si confondono con i danni esistenziali né restano assorbiti nella globalità e complessità
del danno biologico, ove abbiano una lesione propria, giuridicamente configurata come lesione del
diritto. Il danno del ricorrente, pur costituendo anche un danno biologico, integra altresì “un danno
esistenziale, la cui rilevanza deve essere autonomamente apprezzata e valutata equitativamente in
termini non patrimoniali e con una congrua stima dell’equivalente economico del debito di
valore”.
11.4.1. Quali conclusioni trarre sul danno non patrimoniale e sul recente indirizzo
delle Sez. Unite?
Alla fine di questo complesso iter giurisprudenziale, si possono dunque prospettare le seguenti
conclusioni.
Ai fini di una corretta liquidazione del danno alla persona, è necessario:
- individuare esattamente il nomen iuris dell’interesse di rango costituzionale della
persona: ad es. danni da lesione del bene salute (cd. danno biologico), da lesione del diritto
parentale, da lesione della dignità della persona, etc.;
- conservare la tabellazione specifica del danno biologico, se non altro perché, come si è
detto, anche il legislatore ha seguito questa direzione. Resistere, quindi, alla tentazione che,
“nell’ottica della concezione unitaria della persona.. la valutazione equitativa di tutti i
danni non patrimoniali possa anche essere unica, senza una distinzione” tra quanto
riconosciuto a titolo di danno biologico, “di danno morale soggettivo e quanto a titolo di
ristoro dei pregiudizi ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica” (così la sentenza
della Cassazione n. 8827/2003);
- non duplicare la liquidazione del medesimo pregiudizio;
- tener presente che il danno non patrimoniale non è danno-evento, danno in re ipsa che
coincide con la lesione dell’interesse, ma è danno-conseguenza;
- allegare e provare (per il danneggiato) anche mediante presunzioni le circostanze di
fatto da cui risulti il proprio danno non patrimoniale;
- raccogliere e valutare (per il giudice) i precedenti giurisprudenziali specifici, che hanno
per oggetto l’accertamento e la liquidazione del danno non patrimoniale specificamente in
esame, in modo da valutare con maggiore ponderazione il principio equitativo applicato nella
fattispecie concreta.
15
11.4.2. In particolare, dopo la liquidazione alla vittima primaria del danno
biologico e di quello morale, è possibile liquidare altri pregiudizi non patrimoniali
a titolo di “danno esistenziale”?
Di regola, il risarcimento del danno biologico - inteso nella predetta ampia accezione, sia negli
aspetti non personalizzati che in quelli personalizzati - e del danno morale soggettivo esauriscono il
danno non patrimoniale complessivamente risarcibile alla vittima primaria, a meno che non sia
provato nel processo la lesione di altri interessi di rango costituzionale della persona (in adesione
all’indirizzo espresso con la sentenza n. 23918/2006).
Quindi, v’è certezza di duplicazione risarcitoria del medesimo danno se - sventolando la bandiera
del danno esistenziale - si procede alla ulteriore liquidazione di altre (asserite) voci di danno:
- il danno alla capacità lavorativa generica;
- il danno alla vita di relazione;
- la perdita (totale o parziale) della possibilità di praticare particolari hobbies o altre
specifiche attività non reddituali;
- il danno alla qualità della vita;
- il danno estetico;
- il danno alla sfera sessuale;
- il danno alla salute inteso come diverso dalla citata (ampia) nozione di danno biologico. E’
appena il caso di osservare che la contrapposizione tra questi termini si giustificherebbe solo
se per danno alla salute si intendesse la lesione del bene giuridico salute e per danno
biologico la naturalistica condizione d’integrità psico-fisica del soggetto (come del resto già
rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 184/1986); ma anche la recente sentenza
della Corte Costituzionale n. 233/2003 ha definito il danno biologico “come lesione
dell’interesse costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona,
conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.)”.
Ha avvertito la Suprema Corte che “la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. va
tendenzialmente riguardata non già come occasione di incremento generalizzato delle poste di danno
(e mai come strumento di duplicazione di risarcimento degli stessi pregiudizi)”; in ogni caso non
appare “proficuo ritagliare all’interno” della generale categoria del danno non patrimoniale
“specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo: ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a
risarcimento, in riferimento all’art. 2059, è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona,
dal quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica” (così la citata sentenza n.
8827/2003).
11.4.3. Si può liquidare il danno biologico senza distinguerlo dagli altri danni non
patrimoniali della persona?
Allorché si liquida il danno biologico va sempre liquidato altresì il danno morale soggettivo, inteso
come transeunte (ma, nella prassi giudiziaria, talora ineluttabilmente permanente) turbamento dello
stato d’animo della vittima; se si comprova anche la lesione di altri interessi di rango costituzionale
inerenti alla persona, devono essere risarciti anche i conseguenti “pregiudizi diversi ed ulteriori”
(nelle sentenze della Cass. n. 8827/03 e 8828/03 la lesione dell’interesse tutelato dall’art. 29 della
Cost., è ravvisata, rispettivamente, nella riduzione o nella perdita - delle positività - del rapporto
parentale).
La Cassazione (in quelle sentenze) ha avvertito che - allorché il danno morale soggettivo venga
liquidato congiuntamente al risarcimento dei pregiudizi diversi ed ulteriori (quali conseguenza di
lesione di un interesse costituzionalmente protetto) - il giudice di merito deve considerare nel
liquidare il danno morale soggettivo “la più limitata funzione di ristoro della sofferenza
contingente che gli va riconosciuta, poiché, diversamente, sarebbe concreto il rischio di
duplicazione del risarcimento. In altri termini, dovrà il giudice assicurare che sia raggiunto un
giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento”.
16
Inoltre, per la Cassazione (sentenza n. 8827/03) “la concezione unitaria della persona” non
impedisce che “la valutazione equitativa di tutti i danni non patrimoniali possa anche essere
unica, senza una distinzione - bensì opportuna, ma non sempre indispensabile - tra quanto va
riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo e quanto a titolo di ristoro dei pregiudizi
ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica, ovvero quanto deve essere liquidato a titolo di
risarcimento del danno biologico in senso stretto.. e quanto per il ristoro dei pregiudizi in parola;
ovvero, ancora, che la liquidazione del danno biologico, di quello morale soggettivo e degli
ulteriori pregiudizi risarcibili sia espressa da un’unica somma di denaro, per la cui
determinazione si sia tuttavia tenuto conto di tutte le proiezioni dannose del fatto lesivo”.
Per i giudici milanesi appare di gran lunga preferibile la tesi di liquidare il danno biologico
(temporaneo e permanente) distintamente dal danno morale soggettivo. Aggiungo che, di regola, non
residuerà spazio per altre voci di danno risarcibile, attesa la lata nozione accolta di danno biologico
e la propensione dei giudici di merito a considerare il danno morale soggettivo quale patema
d’animo permanente e non transeunte.
Se, in concreto, nel processo venga provata altresì la lesione di un (ulteriore) interesse
costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, da cui siano scaturiti e provati “pregiudizi
diversi ed ulteriori” rispetto a quelli derivanti dalla lesione biologica e dal patema d’animo, per i
giudici milanesi appare preferibile la tesi di liquidare, a parte, il danno biologico ed invece,
congiuntamente con un’unica somma di denaro, il danno morale soggettivo e gli altri danni non
patrimoniali. A tal fine, per evitare duplicazioni risarcitorie del medesimo danno, bisogna verificare
attentamente tutti i pregiudizi non patrimoniali ed il complessivo peggioramento della qualità della
vita del soggetto. Ha avvertito infatti la Suprema Corte che, effettuate le liquidazioni del danno
biologico e del danno morale soggettivo, vi possano essere se non residuali “spazi ulteriori per
indennizzare i consequenziali pregiudizi non patrimoniali da lesione di interessi costituzionalmente
protetti.. pregiudizi che, pur ontologicamente diversi tra loro, concernono ambiti che tendono talora a
sovrapporsi” (CASS. sentenza n. 8827/03; contra Cass. 2311/2007).
Si noti, infine, che la lesione dell’interesse costituzionalmente protetto comporta il risarcimento del
danno morale soggettivo (patema d’animo transeunte) “anche se il fatto non sia configurabile come
reato” (Cass. sentenza n. 8827/03); per cui i “pregiudizi diversi ed ulteriori” devono essere risarciti
tenendone debitamente conto.
12. La surroga dell’assicuratore sociale ed il c.d. danno
differenziale. Premessa
Il sistema risarcitorio fa capo all'art. 2043 c.c. ed obbliga colui che ha commesso il danno a
risarcirlo integralmente, previa prova della colpa o del dolo, salve le ipotesi di colpa presunta.
Il sistema indennitario delle assicurazioni sociali, come l'assicurazione obbligatoria degli infortuni
sul lavoro e delle malattie professionali, detto anche previdenziale, fa riferimento alle sole modalità
dell'evento pregiudizievole e delle circostanze nelle quali si è verificato, attribuendo al danneggiato
un indennizzo forfettario.
Il sistema delineato dal T.U. n. 1124/1965 ha funzionato bene per gli infortuni che avvengono per
caso fortuito o comunque senza responsabilità di terzi. Ma il problema si è posto nelle ipotesi di
responsabilità penale del datore di lavoro oppure di responsabilità civile di terzi. In questi casi
l'Istituto funzionava come anticipatore di cassa, con facoltà di proporre azione di regresso nei
confronti del datore di lavoro ex artt. 10 e 11, oppure di surrogarsi nei diritti del lavoratore, ex art.
1916 c.c., in caso di responsabilità del terzo; il lavoratore, oltre al ristoro del danno operato
dall'INAIL. aveva il diritto a percepire il danno differenziale dai soggetti responsabili.
17
13.1. Lo stato della giurisprudenza prima della riforma introdotta con l’art. 13
del D.Lgs. N. 38/2000: le sentenze della Corte Costituzionale
• La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 319/1989, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art 28, commi 2- 3- 4, della legge n. 990/1969, nelle parti in cui non esclude che gli enti
gestori delle assicurazioni sociali possano esercitare l’azione surrogatoria con pregiudizio del
diritto dell’assistito al risarcimento del danno alla persona che non sia stato altrimenti risarcito.
• La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 87/1991, dichiarava inammissibile la questione di
legittimità Costituzionale degli artt. 2-3-74, D.P.R. 30-6-65 n. 1124, nella parte in cui non
prevedono il risarcimento del danno biologico patito dal lavoratore in relazione agli artt. 3-3235-38 Cost.. Rilevava la Corte che le norme impugnate considerano oggetto della copertura
assicurativa soltanto le ipotesi in cui il lavoratore, a seguito di infortunio o malattia professionale,
abbia subito una riduzione di capacità lavorativa, escludendo i casi in cui la menomazione
dell’integrità psicofisica non abbia alcuna incidenza sull’attitudine al lavoro. Le regole della
responsabilità civile spettano al legislatore che la Corte invitava a provvedere sul punto.
• La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 356/1991, ha rigettato la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 10, commi 1 e 2 del D.P.R. n. 1124/1965, concernente l'esonero da
responsabilità civile del datore di lavoro, in relazione al danno alla salute sofferto, a cagione del
suo comportamento colpevole, ma non rilevante penalmente, dal lavoratore.
• Con la sentenza n 485/1991, la Corte Costituzionale, richiamando la citata sentenza 356/91, ha
ritenuto la equivalenza delle norme (art 11 D.P.R. 1124/1965 e art 1916 c.c. - sebbene trattasi di
regresso e surroga -) ed ha rilevato: non spetta alla Corte decidere se la perdita o riduzione della
capacità lavorativa (generica o specifica) rappresenti un danno risarcibile anche quando non
determini in concreto alcuna perdita di reddito. Va ribadito che l’integrale e non limitabile
risarcibilità del danno biologico implica che l’I.N.A.I.L. non può avvalersi, ai fini dell’azione di
regresso, delle somme che il responsabile deve all’infortunato a titolo di risarcimento del danno
biologico non collegato alla riduzione o perdita della capacità lavorativa generica. Le norme
impugnate vanno dichiarate costituzionalmente illegittime, per violazione dell’art. 32 Cost., nella
parte in cui non salvaguardano il diritto del lavoratore all’integrale risarcimento del danno
biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica.
13.2. Le sentenze della Corte di Cassazione
• A seguito delle sentenze della Corte Cost. nn. 87, 356 e 485 del 1991, l’esonero del datore di
lavoro dalla responsabilità civile per i danni subiti dal lavoratore infortunato e la limitazione
dell’azione risarcitoria di quest’ultimo al cosiddetto danno differenziale nel caso di esclusione di
detto esonero per la presenza di responsabilità di rilevo penale, a norma dell'art. 10 del D.P.R. n.
1124/1965, non riguardano quelle componenti del danno che non formano oggetto di copertura
assicurativa (cioè il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa
generica), quali il danno alla salute ed il danno morale di cui all’art. 2059 c.c., l’integrale
risarcimento dei quali può sempre essere richiesto autonomamente, e non a titolo di danno
differenziale, indipendentemente dall’entità dell’indennizzo assicurativo, a nulla rilevando che
quest’ultimo, in conseguenza di peculiari criteri di determinazione sulla base di coefficienti
predeterminati, superi il risarcimento astrattamente ottenibile secondo i criteri civilistici di
liquidazione del danno patrimoniale, e restando esclusa, per la diversità del titolo e dei soggetti
debitori, qualunque compensazione fra le somme dovute per l’uno e per l’altro dei titoli suddetti
(CASS. 15.9.95, n. 9761; CASS. 4.4.95, n. 3944; CASS. 24.4.1998, n. 4218; CASS. 16.6.2001, n.
8182).
• L'I.N.A.I.L. non ha azione diretta di regresso e non può surrogarsi nei diritti dell'assicurato al
risarcimento del danno alla persona - e cioè senza possibilità di scindere, all'interno, di questo, la
18
varie componenti - né a norma dell'art. 1916 c.c. né ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n.
1124/1965, atteso che la copertura assicurativa prevista dall'attuale sistema di assicurazione
sociale contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, pur non avendo per oggetto il
danno patrimoniale in senso stretto - posto che la prestazione dell'I.N.A.I.L. spetta a prescindere
dalla sussistenza o meno di un'effettiva perdita o riduzione dei guadagni dell'assicurato -, non ha
per oggetto né il danno morale né il danno biologico, poiché le indennità previste dal citato D.P.R.
sono collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi pregiudizievoli che la menomazione
psicofisica ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato, mentre nessun rilievo assumono gli
svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento agli altri
ambiti ed agli altri modi in cui il soggetto svolge la sua personalità nella vita di relazione, tra cui
la stessa capacità di lavoro generica (CASS. 15.12.2000, n. 15859; CASS. 27.7.2001, n. 10289).
• Normalmente le micropermanenti non incidono sulla capacità di guadagno del soggetto, ciò non
esclude tuttavia che talora vi possono essere pregiudizi patrimoniali. Anche recentemente la
Suprema Corte ha statuito che i postumi permanenti di modesta entità non si traducono di regola in
una proporzionale riduzione della capacità lavorativa specifica, ma resta tuttavia ferma la
possibilità per il danneggiato di provare che il danno, sia pure lieve, abbia avuto una concreta
incidenza sulle sue possibilità di guadagno futuro (CASS. 26.9.2000, n. 12757). L'esame di questi
aspetti rende opportuna l'analisi e le correlazioni del danno biologico come disciplinato dalla
novella n. 57/2001 (che ignora del tutto il danno patrimoniale) ed il danno biologico e
patrimoniale disciplinati invece dal D. Lgs. n. 38/2000.
14.1. Il danno biologico nell'art. 13 del d. lgs. n. 38/2000: norma generale o
speciale?
Dopo un iter faticoso e dibattiti protrattisi per tutti gli anni 90, con Legge n. 114 del 17.5.1999, art.
55, comma 1, lett. s), il Governo, accogliendo anche le menzionate sollecitazioni della Corte
Costituzionale (v. la citata sentenza n. 87/1991), è stato delegato ad emanare, entro nove mesi
dall'entrata in vigore della legge, un decreto legislativo nel rispetto (tra gli altri) del seguente
principio e criterio direttivo:
"Previsione, nell'oggetto dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali e nell'ambito del relativo sistema di indennizzo e di sostegno sociale, di un'idonea
copertura e valutazione indennitaria del danno biologico, con conseguente adeguamento della
tariffa dei premi".
Con il D. Lgs. n. 38/2000 è stato quindi introdotto l'art. 13: "In attesa della definizione di carattere
generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il
presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il danno biologico".
Tutti gli incisi dell'art. 13 primo comma portano a ritenere che la volontà del legislatore sia
stata espressamente quella di non estendere la disciplina in esame fuori dall'ambito degli
infortuni I.N.A.I.L. e malattie professionali.
Altrimenti che valore avrebbero gli stessi richiamati incisi nella legge in esame? Inoltre anche la
delega aveva ad oggetto "l'ambito del relativo sistema di indennizzo e di sostegno sociale, di
un'idonea copertura e valutazione indennitaria del danno biologico" e pertanto si colloca
nell'alveo del sistema previdenziale e non risarcitorio.
L'interpretazione letterale è confortata dalla stessa Circolare 4 agosto 2000 n. 57 sul D. Lgs. n.
38/2000: la nuova normativa indennitaria del danno biologico di origine lavorativa ha "carattere
sperimentale... pure essendo comune l'oggetto e cioè il danno biologico e pur in presenza di
alcune analogie tra il sistema indennitario dell'art. 13 ed il sistema risarcitorio civilistico,
tuttavia notevoli differenze derivano dalla diversa finalità dei due sistemi e dalla conseguente
diversa strutturazione del meccanismo di ristoro del danno. L'indennizzo I.N.A.I.L. infatti assolve
ad una funzione sociale ed è finalizzato a garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del
19
lavoratore, secondo quanto previsto dall'art. 38 Cost., mentre il sistema civilistico è finalizzato a
risarcire il danno nella esatta misura in cui si è verificato".
14.2. Ulteriori differenze tra normativa I.N.A.I.L. e quella della responsabilità
civile
Ulteriori differenze tra la normativa I.N.A.I.L. e quella della R.C. sono le seguenti:
- il danno biologico non è indennizzato per menomazioni da 1 al 5%: franchigia totale
- non si applica al danno biologico temporaneo;
- dal 6 al 15% l'indennizzo è erogato in capitale, dal 16% in poi in una rendita, in base alla tabella
indennizzo danno biologico;
- il danno patrimoniale è presunto dal 16% in poi con una tabella dei coefficienti, che dà un
indennizzo in forma di rendita vitalizia, che, pur essendo corrisposta in forma unitaria, è composta di
due quote in relazione all'indennizzo del danno biologico ed a quello per le conseguenze patrimoniali
delle menomazioni. La retribuzione non viene considerata per intero (salvi casi eccezionali), ma
viene assunta in misura percentualmente ridotta, in funzione della gravità della menomazione della
sua incidenza sulla capacità del lavoratore di produrre reddito attraverso il lavoro, attraverso
parametri fissati per legge, non "essendo possibile la prova caso per caso, né essendo il sistema
finalizzato a risarcire il danno nella esatta misura in cui si è verificato".
- non si forma il giudicato, essendo possibile la revisione ai sensi dei commi 4-5-6-7 dell'art. 13;
- la tabella dei coefficienti contiene una determinazione della percentuale di retribuzione, da
prendere a base dell'indennizzo, in relazione a fasce di gradi di menomazione; ciò sulla base della
presunzione che, con il crescere della gravità della menomazione, aumenti l'incidenza della
menomazione stessa sulla capacità dell'infortunato di produrre reddito. Tale presunzione può essere
superata con adeguata motivazione medico-legale; è consentito attribuire coefficienti indicati in una
fascia superiore ma non inferiore;
- la tabella delle menomazioni contempla elettiva attenzione a quelli di origine lavorativa;
- la tabella è adatta alla valutazione medico-legale del danno biologico dell'assicurato INAIL;
certamente non è contemplata la menomazione dello studente o del bambino.
15. La “tabella delle menomazioni” e la “tabella indennizzo danno biologico”
Come si è innanzi accennato, dal tenore del secondo comma lett. a) dell'art. 13, si evince che la
"tabella delle menomazioni comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali", la tabella comprenda
anche gli aspetti dinamico-relazionali del danno biologico.
Per Poletti, la tabella non comporta il rischio di una supplenza giudiziaria del medico legale, atteso
che la discrezionalità della tabella avrebbe riguardo solamente alla sfera interna all'accertamento
della patologia (v. D. Poletti, in "Danno e Responsabilità", n. 11/2000, p. 1150 e ss.).
La “tabella indennizzo danno biologico” risponde ai seguenti tre principi:
- è areddituale, prescinde dalla retribuzione del danneggiato;
- l'indennizzo è crescente in funzione della gravità della menomazione, in misura più che
proporzionale;
- l'indennizzo è variabile in funzione dell'età, (decresce al crescere dell'età) e del sesso (tiene conto
della maggiore longevità femminile = £. 150.000).
Come si è già esposto, sono i criteri del “punto variabile” adottati nelle tabelle dei Tribunali.
La tabella si applica per la liquidazione degli indennizzi conseguenti ad infortuni sul lavoro o
malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto
ministeriale 12 luglio 2000 e quindi dal 25 luglio 2000.
Anche laddove alla fattispecie non sia applicabile “ratione temporis” l'art. 13 in esame, la
liquidazione del danno conseguente ad infortunio sul lavoro va operata sostituendo al tradizionale
20
criterio fondato sulla capacità lavorativa il criterio basato unicamente sulla menomazione della
salute e dell'integrità psicofisica dell'infortunato (CASS. 12.5.2001, n. 6613).
16. La disciplina della surroga nell’art. 142 del Codice
Così dispone l’art. 142 del Codice:
“1. Qualora il danneggiato sia assistito da assicurazione sociale, l’ente gestore
dell’assicurazione sociale ha diritto di ottenere direttamente dall’impresa di assicurazione il
rimborso delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato ai sensi delle leggi e dei
regolamenti che disciplinano detta assicurazione, sempreché non sia già stato pagato il
risarcimento al danneggiato, con l’osservanza degli adempimenti prescritti nei commi 2 e 3.
2. Prima di provvedere alla liquidazione del danno, l’impresa di assicurazione è tenuta a
richiedere al danneggiato una dichiarazione attestante che lo stesso non ha diritto ad alcuna
prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie. Ove il
danneggiato dichiari di avere diritto a tali prestazioni, l’impresa di assicurazione è tenuta a
darne comunicazione al competente ente di assicurazione sociale e potrà procedere alla
liquidazione del danno solo previo accantonamento di una somma idonea a coprire il credito
dell’ente per le prestazioni erogate o da erogare.
3. Trascorsi quarantacinque giorni dalla comunicazione di cui al comma 2 senza che l’ente di
assicurazione sociale abbia dichiarato di volersi surrogare nei diritti del danneggiato, l’impresa
di assicurazione potrà disporre la liquidazione definitiva in favore del danneggiato. L’ente di
assicurazione sociale ha diritto di ripetere dal danneggiato le somme corrispondenti agli oneri
sostenuti se il comportamento del danneggiato abbia pregiudicato l’azione di surrogazione.
4. In ogni caso l’ente gestore dell’assicurazione sociale non può esercitare l’azione surrogatoria
con pregiudizio del diritto dell’assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti
risarciti”.
17.1. Il c.d. danno differenziale ed i limiti alla surroga da parte dell’INAIL
Per il Bargagna si tratta di una procedura indennitaria "a misura dell'INAIL" e si è persa l'occasione
di in collegamento fra i due ambiti, quello della responsabilità civile e quello assicurativo-sociale
I.N.A.I.L. (v. "Guida al Diritto" n. 32/2000).
Se è vero che la soglia dell'indennizzo si abbassa dal 11 al 6%, è anche vero che tale soglia,
ricomprendendo il danno biologico, costringerà il lavoratore ad ottenere dal soggetto responsabile
l'intero risarcimento del danno.
Il danno differenziale è quello che il lavoratore può esercitare ai sensi dell'art. 10, commi 6 e 7 del
D.P.R. n. 1124/1965, contro il datore di lavoro e le persone civilmente responsabili per il reato da
cui l'infortunio è derivato, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito quando e nella misura
in cui questo superi l'ammontare delle indennità corrisposte dall'ente previdenziale.
Il nuovo D. Lgs. lascia invariata la formulazione dell'art. 10 citato, a suo tempo dichiarato
parzialmente incostituzionale dalla decisione n. 485/1991, proprio nel punto in cui non consentiva la
salvaguardia del diritto del lavoratore all'integrale risarcimento del danno biologico: una volta
superata la sancita illegittimità della norma per effetto dell'inserimento del danno biologico nella
copertura indennitaria, l'azione di risarcimento del c.d. danno differenziale (che consente certamente
di recuperare il profilo dinamico del danno) sembra riassestarsi sui binari originari, che ne
consentivano la proposizione, in caso di fatto illecito costituente reato, nei limiti delle somme
eccedenti la corresponsione delle sovvenzioni previdenziali.
Dunque, a mio avviso, il danneggiato potrà richiedere le seguenti voci di danno al datore di
lavoro, responsabile ex art. 2087 c.c., ovvero al terzo responsabile ex art. 2043 c.c.:
- il danno biologico temporaneo;
21
- il danno biologico permanente fino al 5%;
- il danno patrimoniale fino al 15%;
- il danno morale collegato al danno biologico;
- il danno alle cose;
- il rimborso per spese mediche non prestate dall'Istituto previdenziale;
- il danno differenziale biologico asseritamente diverso per barème e liquidazione subito dal
lavoratore;
- il danno differenziale patrimoniale disancorato dai coefficienti stabiliti dal D. Lgs. in esame.
Per le azioni di surroga e di regresso è ormai assodata l'impossibilità che dette azioni possano
risolversi in un detrimento per il lavoratore, ai fini del suo risarcimento del danno alla persona.
Per il danno patrimoniale, invece, possiamo avere ristoro indennitario senza che sussista
effettivamente un danno patrimoniale.
Le polizze sulla responsabilità civile del datore di lavoro dovranno coprire il danno differenziale e
quegli altri non coperti, oltre all'ipotesi di regresso da parte dell'INAIL, se vi è reato.
L'INAIL che esercita l'azione di surroga nei confronti del terzo responsabile, puo farlo nei limiti del
danno indennizzato, ma il terzo potrà ancora essere escusso dal danneggiato per il danno
differenziale. Se l'INAIL fa valere quanto erogato per danno patrimoniale presunto, potrà vedersi
eccepire che in effetti il danno è inesistente.
Abbiamo due regimi di danno patrimoniale e biologico e quello del danno morale ed esistenziale che
rimangono del tutto fuori dalla tutela INAIL. Quali effetti perversi per il contenzioso?
Una riforma frettolosa, dunque, che non ha risolto i problemi, né ha riordinato il sistema, come si
proponeva lo stesso legislatore.
Si determina una "schizofrenia" processuale:
- se è parte l'INAIL, il quesito al C.T.U. sarà secondo il regime INAIL e secondo la R.C.; in sentenza
anche il danno biologico e quello patrimoniale saranno valutati secondo il regime INAIL e secondo
la R.C.
Allorché trattasi di micropermanenti (ma lo stesso accadrà allorché sarà emanata la “tabella delle
menomazioni” ex art. 138 del Codice), il C.T.U., per valutare nello stesso processo l'entità
dell'indennizzo I.N.A.I.L. ed il danno biologico differenziale, potrebbe essere chiamato ad applicare,
rispettivamente la tabella delle menomazioni ex D. Lgs. n. 38/2000 e quella ex art. 138 o 139 del
Codice.
17.2. Una concreta applicazione: Tribunale di Monza, sentenza n. 1828/2005
Appare condivisibile la soluzione prospettata dal Tribunale di Monza (sentenza n. 1828/2005, in
www.Altalex.com), che, in un’ipotesi di incidente stradale subito da un pedone-lavoratore in itinere,
dà una corretta interpretazione della normativa di cui all’art.13 del D.Lgs. 23.2.2000 n.38 e che
appare del tutto compatibile con il nuovo art. 142 del Codice.
“All’interprete si è immediatamente posto il problema se le somme erogate dall'INAIL, in
applicazione dei criteri di calcolo di cui al citato art. 13, siano da considerarsi esaustive del
diritto al risarcimento del danno biologico sofferto dal danneggiato/assicurato, oppure se residui
in capo al datore di lavoro (ovvero al terzo danneggiante) l'obbligo di risarcire l'eventuale danno
"differenziale", inteso quale maggior pregiudizio sofferto in concreto.
Orbene, reputa questo Tribunale di non poter ritenere che, nel caso di specie,l'erogazione operata
dall'INAIL quale indennizzo del danno biologico copra integralmente il pregiudizio a tale titolo
subito dall’attrice.
In proposito si osserva che, se pur è vero che la liquidazione alla stregua dei parametri di cui al
citato art. 13 avviene in misura indipendente dalla capacità di produrre reddito del danneggiato,
nondimeno tale norma prevede la definizione del danno biologico solo "in via sperimentale" ed ai
soli "fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali".
22
Per di piu’, la norma previdenziale in esame si pone espressamente quale anticipazione “della
definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del
relativo risarcimento" ancora oggi attesa e correlata a nuove produzioni legislative.
Questi dati letterali dimostrano che la prospettiva applicativa, esplicitata dallo stesso art. 13
D.Lgs 38/2000, non è quella di definire in via generale e omnicomprensiva tutti gli aspetti
risarcitori del danno biologico, ma solo quella di determinarli agli specifici e limitati fini
dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali.
Ciò appare ancor piu’ vero se si tiene conto che le erogazioni di somme effettuate dall'INAIL sono
qualificabili alla stregua di un mero indennizzo, cioè di un istituto che, a differenza del
risarcimento, non appare necessariamente riconducibile ad un fatto illecito (contrattuale o
aquiliano) e che può, pertanto, prescindere dall'elemento soggettivo di chi ha realizzato la
condotta dannosa e persino dalla individuazione di un responsabile diverso dallo stesso
danneggiato.
Anche ex parte creditoris il diritto all'indennizzo erogato dall’INAIL si struttura in modo diverso
dal risarcimento del danno: mentre, infatti, il diritto alla rendita erogata dall’Istituto si estingue
con la morte dello stesso beneficiario, il diritto al risarcimento entra a far parte del patrimonio
ereditario del danneggiato.
Sussistono, inoltre, sostanziali divergenze di riferimento a norme primarie tra l'indennizzo
erogato ex art.13 D.Lgs 38/2000 ed il risarcimento del danno biologico: mentre quest'ultimo ha
trovato ab origine il proprio riconoscimento nell’articolo 32 della Costituzione ed è tuttora
finalizzato a risarcire il danno nella esatta misura in cui si è verificato, l'indennizzo INAIL ha
dato applicazione all’art 38 della Costituzione e risponde alla funzione sociale di garantire mezzi
adeguati al lavoratore infortunato.
L’evidente diversità strutturale e funzionale, sussistente tra l'erogazione effettuata ex art. 13
D.Lgs. 38/2000 ed il risarcimento del danno biologico, consente di escludere, quindi, che le
somme versate dall’INAIL a tale titolo possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto
al risarcimento del danno biologico in capo all'infortunato, laddove l'applicazione delle usuali
tabelle di liquidazione portino a ritenere sussistente un danno "differenziale" ulteriore rispetto
all'ammontare liquidato dall' Istituto.
La palese e marcata differenza sussistente tra l’indennizzo INAIL ed il risarcimento del danno,
sotto il profilo della struttura e degli effetti, esclude inoltre l’utilizzabilità dei parametri di cui
all’art. 13 quali riferimenti vincolanti ai fini della liquidazione del risarcimento del danno
biologico secondo criteri equitativi.”
Il tribunale di Monza, sulla base di queste condivisibili premesse, ha così proceduto:
- ha scomputato le somme già erogate al danneggiato dall’INAIL in: importo a titolo di danno
biologico permanente e importo a titolo di danno patrimoniale;
- ha ritenuto esaustivo quanto erogato dall’INAIL per il danno patrimoniale, perché addirittura
superiore a quanto chiesto, nel giudizio, per tale titolo, dal danneggiato;
- ha calcolato il danno biologico permanente (nella misura del 25%) sulla base delle tabelle
del Tribunale di Milano ed ha detratto da questa somma quanto erogato dall’INAIL
(esclusivamente) a titolo di danno biologico permanente;
- ha condannato i responsabili civili dell’incidente stradale al risarcimento del danno
differenziale: il residuale danno biologico permanente (non indennizzato dall’INAIL), il
danno biologico temporaneo e il danno morale e le spese sostenute (tutti titoli per nulla
indennizzati dall’INAIL);
- ha condannato la compagnia assicuratrice del veicolo danneggiante al pagamento delle
somme versate dall’INAIL, a titolo di surroga ex art. 1916 c.c..
18. La tesi della non scindibilità delle voci di danno nell’azione di surroga
18.1 La c.d. “questione I.N.A.I.L.”
23
Calogero Lo Giudice (“La surroga dell’INAIL dopo il codice delle assicurazioni private”, in
www.Altalex.com) ha sostenuto che con l’art. 142 in esame non si debba riaffermare la divisibilità
delle voci di danno, in modo da continuare a ripartire, secondo la medesima logica, il quantum
risarcitorio tra INAIL e lavoratore danneggiato, non si debba cioè riproporre la “questione Inail”,
circa l’impossibilità di surroga del danno biologico, del danno morale, ed, attualmente, dei “nuovi
danni” alla persona.
Se il concetto di danno biologico è unico, tanto in ambito previdenziale che civilistico (essendo
differente solamente il tipo di tutela), dalla rivalsa dell’Istituto non possono tenersi fuori
“componenti” (“sottovoci storiche”) proprie del danno non patrimoniale biologico civilistico.
Quanto appena detto intorno all’unitario danno non patrimoniale biologico, potrebbe trovare una
secca smentita, con riferimento alla rivalsa dell’INAIL, nell’ultimo comma dell’art. 142 del D. Lgs.
n.209/2005, ove è stabilito che “In ogni caso l’ente gestore dell’assicurazione sociale non può
esercitare l’azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell’assistito al risarcimento dei danni
alla persona non altrimenti risarciti”.
In altre parole, tale disposizione potrebbe far propendere per la scindibilità di talune voci del danno
non patrimoniale, (in particolare, danno biologico temporaneo, danno morale soggettivo, danno c.d.
esistenziale o “personalizzazione” del danno biologico), in modo da sottrarle alla rivalsa dell’INAIL
e riconoscerle, prioritariamente, a favore del danneggiato.
In tal modo, il codice delle assicurazioni private, piuttosto che risolvere, lascerebbe aperta la
“questione INAIL”, anzi la rimarcherebbe.
Tale conclusione, non solo è inaccettabile, ma contrasta con l’evoluzione del sistema tanto
risarcitorio che indennitario.
Per intendere ed applicare correttamente la specifica limitazione all’azione surrogatoria dell’INAIL,
bisogna muovere dalle affermazioni contenute nella sentenza n.319 del 6/6/1989 della Corte
costituzionale, da cui la disposizione dell’art.142 u.c. è tratta.
Va subito evidenziato, tuttavia, che all’epoca della pronuncia della Corte costituzionale valeva la
tripartizione del danno risarcibile, in danno patrimoniale, danno biologico, danno morale, costituente
ognuno un genus diverso dall’altro.
L’Inail, dal canto suo, indennizzava, non il danno alla persona in sé considerata (danno biologico,
corrispondente al danno non patrimoniale biologico civilistico), ma il danno alla “attitudine al
lavoro”, costituente un danno di natura sostanzialmente patrimoniale (Corte cost. n.356/1991).
Era ovvio allora che la “prelazione o prededuzione” in favore dell’ente gestore dell’assicurazione
sociale, su quanto dovuto dall’assicuratore della responsabilità civile, si risolveva, in caso di
insufficienza del massimale, in un “esproprio” del diritto del lavoratore danneggiato all’integrale
risarcimento del danno alla persona, costituzionalmente rilevante.
Il ragionamento svolto dalla Corte costituzionale era il seguente: le ragioni della surroga non possono
prevalere e pregiudicare valori costituzionalmente garantiti della persona, per cui, in caso di
incapienza del massimale, occorre, anzitutto, che il lavoratore veda integralmente e prioritariamente
ristorati i danni alla “integrità personale”, configurata come “fondamentale diritto dell’individuo”.
Se, in caso di insufficienza del massimale, avesse prevalso l’interesse al recupero di quanto erogato
da parte dell’ente gestore di assicurazione sociale, il lavoratore danneggiato avrebbe visto
pregiudicato il suo diritto al pieno ristoro dei danni alla persona subiti.
Di qui la pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art.28 L. n.990/1969.
La disciplina dettata dall’art. 142 (in particolare il 2° comma) ripropone le cautele per garantire il
rimborso delle prestazioni a favore degli enti gestori di assicurazione sociale.
Rimane, quindi, la “regola” dell’accantonamento, da parte della impresa di assicurazione, “di una
somma idonea a coprire il credito dell’ente per le prestazioni erogate o da erogare”, così
anteponendosi la pretesa al rimborso dell’Istituto per le assicurazioni sociali al diritto al
risarcimento del danneggiato-assistito.
Di norma, pertanto, non si potrà procedere alla liquidazione del danno, se non avendo prima
provveduto al detto “accantonamento”, secondo il meccanismo dettato dall’art.142, a salvaguardia
24
delle ragioni della rivalsa, già individuate (Cass. 11/8/1988 n.4928; Corte cost. n.356/1991) “sia
nell’esigenza di evitare che un sinistro divenga occasione di lucro per chi lo subisce, pur quando il
ristoro spetti a duplice e diverso titolo e da parte di soggetti diversi, sia nell’esigenza di diminuire i
costi della garanzia assicurativa, attraverso la reintegrazione del patrimonio dell’assicuratore
sociale”.
Secondo la giurisprudenza (Cass. Sez. III, 17/1/2003 n.604) l’obbligo dell’accantonamento sussiste
sia in caso di liquidazione stragiudiziale del danno, sia in caso di controversia giudiziaria sul punto.
Pertanto, anche di fronte alla condanna al pagamento in favore del danneggiato, l’assicurazione non
potrà sottrarsi agli adempimenti previsti dalle legge, e non potrà opporre all’Inail di avere eseguito il
pagamento al danneggiato, in forza di sentenza provvisoriamente esecutiva, dopo la comunicazione
da parte dell’Ente di volersi avvalere del diritto di surroga per il credito da prestazioni erogate o
erogande.
Precisa la S.C. (Cass. 15/4/1998 n.3806; 13/5/1982 n.3017; 3/7/1978 n.3291) che la surroga - come
del resto si ricava dalla lettera dell’art. 142, c. 3, D. Lgs. n.209/2005 che riproduce l’art.28 c. 4, L.
n.990/1969 - è operante non solo dopo l’effettiva corresponsione della prestazione, ma dal momento
in cui l’Inail dichiara alla impresa di assicurazione di avere ammesso l’infortunato all’indennizzo,
con ciò preavvertendolo di voler esercitare la rivalsa.
Per effetto di questa manifestazione di volontà di surroga, sorge per l’assicuratore della r.c.a.
l’obbligo di accantonamento delle somme in favore dell’INAIL e il danneggiato perde il diritto di
vedersi liquidato, in via definitiva, la corrispondente somma (Cass. III, n.604/2003).
Nell’ipotesi in cui il massimale sia sufficiente, continuano a prevalere le ragioni creditorie
dell’INAIL, il quale agirà direttamente nei confronti dell’assicuratore del responsabile, entro il
limite dell’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato.
Questi avrà diritto, non a pre-deduzione di voci di danno, attesa l’omogeneità tra la tutela garantita
dall’INAIL ai sensi del D. Lgs. n.38/2000 e quella risarcitoria prevista dal Codice, bensì al
“differenziale”, inteso in senso quantitativo, una volta cioè raffrontato l’ammontare civilistico del
danno e l’importo delle prestazioni previdenziali.
In tal modo, si eviterà che l’assistito possa ottenere una maggiorazione del risarcimento del danno
effettivo, in relazione a quanto dall’ente stesso già erogato.
Nel caso, per contro, di insufficienza del massimale, diviene attuale il conflitto tra l’interesse del
danneggiato all’integrale risarcimento e l’interesse dell’INAIL all’integrale recupero di quanto
erogato.
Avendo la Corte costituzionale affermato la preminenza dell’interesse del danneggiato inteso alla
tutela della “persona”, nella ipotesi di insufficienza del massimale, non si opererà più alcuno
scorporo all’interno dell’unitario danno non patrimoniale biologico civilistico al fine del prioritario
ed esclusivo riconoscimento di voci di danno a favore del soggetto leso, ma prevarrà, comunque, nei
confronti della impresa di assicurazione, il diritto del danneggiato all’integrale risarcimento dei
danni alla persona, rispetto alle ragioni dell’INAIL.
In poche parole, il danneggiato percepirà la differenza rispetto all’importo delle prestazioni INAIL,
fino a conseguire il risarcimento integrale.
L’INAIL, per parte sua, non vedrà rimborsato, per intero, dalla impresa di assicurazione il costo
dell’infortunio, attesa l’insufficienza del massimale (che non può ripercuotersi a svantaggio del
danneggiato) e sopporterà il rischio dell’insolvenza del danneggiante.
In definitiva, la limitazione al diritto di surroga dell’INAIL è posta dall’art. 142 a garanzia
dell’integrale risarcimento del danno alla persona subito dal danneggiato, secondo la logica della
sentenza n. 319/1989 della Corte costituzionale, e non già per scindere componenti del medesimo
titolo di danno (“danno non patrimoniale biologico”), come accadeva all’epoca in cui nacque la
“questione INAIL”.
All’interno dell’ampia ed unitaria categoria del danno non patrimoniale esistono, infatti, non generi o
titoli di danno diversi, bensì “voci”, componenti omogenee dello stesso inscindibile danno (Cass. I,
4/10/2005 n.19354).
25
Nel caso, poi, - previsto dall’art. 140 del Codice - in cui vi siano più soggetti danneggiati e venga
superato il massimale, nella quota “indifferenziata” di spettanza del proprio assistito, l’INAIL potrà
esercitare la surroga, solo dopo che sia stata soddisfatta la “proporzionale” pretesa risarcitoria del
danneggiato, sempre considerando quanto già percepito dall’Ente previdenziale.
Ciò in ossequio al principio secondo cui al danneggiato deve garantirsi il risarcimento - in tal caso
ridotto per effetto della ripartizione in proporzione - ma non più.
E’ chiaro che, in questa ipotesi di “pluralità di danneggiati e supero del massimale”, non può
l’impresa di assicurazione, al fine di dedurre l’incapienza del massimale, opporre ai danneggiati
l’avvenuto previo integrale accantonamento a favore dell’INAIL, ai sensi dell’art. 142, secondo
comma.
18.2. Il limite alla surroga dell’INAIL ex art.1916 c.c.
Il ragionamento valido, ove sussista il limite del massimale, non può essere svolto, evidentemente,
per l’altra ipotesi di surroga, ossia quella contemplata dall’art.1916 c.c.
Mentre nel caso dell’art. 142 del Codice, l’INAIL può esperire l’azione surrogatoria direttamente nei
confronti della impresa di assicurazione per il rimborso delle prestazioni, entro il doppio limite
dell’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato e del massimale assicurato, nel caso dell’art.
1916 c.c. vale solo il limite dell’ammontare civilistico del danno.
L’art. 1916 c.c. regola l’azione nei confronti del danneggiante (e non nei confronti dell’assicuratore)
e non stabilisce limitazioni di responsabilità, in pregiudizio del danneggiato, permettendo la
condanna del soggetto responsabile per l’intero ammontare dei danni subiti dal danneggiato e dagli
enti di assicurazione sociale.
La Corte costituzionale era intervenuta, più volte, (18/7/1991 n.356; 27/12/1991 n.485; 17/2/1994
n.37) per impedire l’esproprio a favore dell’INAIL e a danno del lavoratore, del risarcimento dei
pregiudizi non coperti dall’assicurazione sociale, sostenendo che questa riguardava (allora)
unicamente i riflessi che la menomazione psicofisica aveva sull’attitudine al lavoro.
Erano esclusi, dunque, dall’ambito della surroga quelle poste di danno spettanti al danneggiato, nei
confronti del terzo e che erano estranee alla copertura assicurativa (danno biologico, danno morale).
Una volta introdotta nell’assicurazione INAIL la tutela della persona in sé considerata, mediante il
riconoscimento dell’indennizzo per il danno biologico, torna ad essere operante il principio secondo
cui, quando l’INAIL agisce in surroga ai sensi dell’art.1916 c.c. (o in regresso ai sensi dell’art.11
D.P.R. n.1124/1965) per il recupero di quanto corrisposto all’assistito, l’unico limite quantitativo va
individuato nell’ammontare complessivo del risarcimento dovuto dal terzo (o dal datore di lavoro)
responsabile, senza che sia possibile distinguere tra le varie componenti del danno subito
dall’assicurato.
Se ciò che la Corte Costituzionale intendeva, allora, evitare era che, a causa delle modalità di
esercizio dell’azione recuperatoria da parte dell’INAIL, l’infortunato non vedesse ristorati
integralmente i danni alla persona subiti, adesso, che il lavoratore danneggiato ottiene dall’INAIL,
sia pure attraverso una tutela di tipo indennitario, la copertura del rischio della menomazione
dell’integrità psico-fisica della persona, prodottasi nello svolgimento e a causa delle sue mansioni, il
pericolo da evitare è un altro , e cioè che si verifichi una indebita locupletazione.
Dal momento che il danno alla persona è, da un lato, indennizzato dall’INAIL (mentre prima non lo
era) e, dall’altro, risarcito, come (unitario ed onnicomprensivo) danno non patrimoniale biologico,
dalla nuova normativa dettata dal D. Lgs. n.209/2005, e dal momento che vi è omogeneità tra titoli
indennitari e risarcitori (secondo l’ormai legislativamente accolta configurazione bipolare che
esclude “generi” di danno diversi dal patrimoniale e dal non patrimoniale), ciò che va garantito è
l’integrale ristoro del danno, e non la maggiorazione del risarcimento, essendo funzione, ma anche
limite del risarcimento - giova ribadire - la riparazione del pregiudizio effettivamente subito e non
più.
26
Già secondo Corte cost. n.134 del 22/6/1971, il lavoratore ha diritto all’integrale risarcimento ed a
questo soltanto: il favor verso il lavoratore ha consentito di addossare in ogni caso all’INAIL le
prestazioni previdenziali, ma queste assumono semplicemente carattere di “anticipazione rispetto
all’obbligo risarcitorio del responsabile”, perché il risarcimento deve essere corrispondente al
danno effettivamente subito, senza mai poter divenire fonte di lucro per il danneggiato, secondo
quanto risulta anche dall’art.1910 c.c.
Per la Corte, se è vero che nella specie risultano due pretese, nei confronti dell’INAIL e del
responsabile, ciò è disposto a favore del lavoratore infortunato, al quale si vuole garantire in ogni
caso (anche quando il risarcimento ritardi o non possa ottenersi per esclusiva colpa del lavoratore) il
diritto alle prestazioni previdenziali.
Se si cumulassero queste con il risarcimento, in conseguenza del medesimo evento lesivo, si
determinerebbe un indebito arricchimento del lavoratore infortunato.
Il principio in parola, d’altra parte, è enunciato dall’art. 10, c.6 e 7 del D.P.R. n.1124/1965, secondo
cui non si fa luogo a risarcimento per gli infortuni sul lavoro, quando il giudice riconosca che esso
non ascende a somma maggiore dell’indennità liquidata dall’INAIL e che, ove si faccia luogo a
risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede l’importo delle indennità erogate
dall’INAIL.
18.3. Il raffronto tra il complessivo ammontare del risarcimento e l’importo
totale delle prestazioni INAIL
Come detto, a parte l’ipotesi della surroga nei confronti della impresa di assicurazione, soggetta
anche al limite del massimale assicurato, il diritto di rivalsa dell’INAIL, in generale, incontra (oltre,
naturalmente, al limite dell’importo delle prestazioni erogate) quello dell’ammontare del
risarcimento dovuto al danneggiato, nell’ambito della ordinaria responsabilità civile.
Ciò significa che una volta quantificato il danno civilisticamente risarcibile, l’INAIL ha diritto di
rivalsa nei limiti del costo dell’infortunio.
Il diritto di surroga dell’INAIL, una volta esercitato, delimita, altresì, la pretesa risarcitoria che il
danneggiato può azionare nei confronti del danneggiante, facendogli perdere addirittura la
legittimazione ad agire in via risarcitoria fino alla concorrenza dell’indennità corrisposta
dall’assicuratore sociale (Cass. Sez. III, 17/1/2003 n.604).
Al lavoratore infortunato, dunque, spetta il risarcimento solo nella misura differenziale derivante dal
raffronto tra l’ammontare complessivo del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall’INAIL
in dipendenza dell’infortunio, al fine di evitare una ingiustificata locupletazione (risarcimento +
indennità).
Tale danno differenziale, quindi, deve essere determinato sottraendo dall’importo del danno
complessivo (liquidato dal Giudice secondo i principi ed i criteri civilistici) quello delle prestazioni
erogate dall’INAIL, tenendo conto dei rispettivi valori come attualizzati alla data della decisione
(Cass. Sez. III, 25/5/2004 n.10035; 12/12/1996 n.11073).
Inoltre, per costante giurisprudenza, in sede di rivalsa, l’INAIL può pretendere il rimborso tanto dei
ratei già versati che il valore capitalizzato delle prestazioni future : ciò in applicazione degli artt. 10
e 11 DPR n. 1124/1965, costituenti affermazione di un principio di carattere generale (Cass.
n.6013/1985; 24/6/1993 n.6996; 25/11/2002 n.16563).
Nell’ipotesi, poi, di concorso di colpa dell’infortunato, il diritto dell’INAIL che ha corrisposto le
prestazioni, non è limitato alla quota di indennità proporzionale al grado di colpa del terzo
responsabile, ma si estende all’intero ammontare delle indennità corrisposte, sempre e soltanto entro
i limiti delle somme effettivamente dovute dall’autore del danno. In altre parole, il concorso di colpa
comporta la riduzione del risarcimento globale, ma non della somma pretesa in via di surroga (Cass.
11/2/1988 n.1488; 17/1/1992 n.524).
27
La regola del raffronto tra il complessivo ammontare del risarcimento e l’importo totale delle
prestazioni INAIL vale anche nel caso in cui il risarcimento sia limitato al danno non patrimoniale
(per difetto, nella concreta fattispecie, di un pregiudizio di natura patrimoniale), mentre l’INAIL, dal
canto suo, abbia erogato l’indennizzo in rendita (per menomazioni di grado pari o superiore al 16%),
come tale comprensivo sia del danno non patrimoniale biologico che delle “conseguenze
patrimoniali”.
Si tratta di un ragionamento “matematico”, seguendo il quale, da un canto, viene riconosciuto, per
intero, il “diritto” di surroga dell’assicuratore sociale, dall’altro, viene pure integralmente ristorato
il danno del lavoratore, evitando nel contempo una ingiustificata locupletazione, per il maggior
“differenziale” che il soggetto leso verrebbe, in concreto, a percepire.
Ogni contraria opinione porterebbe a disattendere il “principio indennitario”.
La “prova del nove” è data, comunque, dall’esame del seguente caso pratico.
L’INAIL, avendo accertato, nella concreta fattispecie, un grado di menomazione del 29% (di danno
alla integrità psicofisica) ha riconosciuto a favore dell’infortunato Rossi, oltre alla temporanea , una
rendita di € 37.125,94 di cui € 19.805,58 per danno biologico ed € 17.320,36 per le “conseguenze
patrimoniali”.
Nell’ambito della ordinaria responsabilità civile, il danno biologico del sig. Rossi è stato valutato
nel 25%.
Considerando, per quanto concerne il calcolo civilistico del danno, il solo pregiudizio di natura
biologica (in quanto sufficiente a coprire per intero il costo INAIL dell’infortunio pari ad €
41.916,35 ), è risultato, in applicazione delle tabelle del locale Tribunale, una liquidazione di €
52.925,00 (tenuto conto, ovviamente, dell’età del danneggiato).
Orbene, scindendo il danno biologico INAIL (€ 19.805,58) dalla quota per le “conseguenze
patrimoniali” (€ 17.320,36) e non applicando la regola del raffronto tra il complessivo ammontare
del risarcimento e l’importo totale delle prestazioni INAIL, l’Istituto recupererebbe, non l’intero
costo dell’infortunio (rientrante nell’ammontare civilistico del danno), bensì solamente € 19.805,58
oltre, naturalmente, temporanea e spese.
Il sig. Rossi, dal canto suo, percepirebbe le prestazioni, per intero, dall’INAIL (tra cui € 37.125,94
per la rendita ex art.13, c.2 del D. Leg.vo 38/2000), oltre al risarcimento del biologico
“differenziale” di € 33.119,42 (€ 52.925,00 - € 19.805,58).
In definitiva, il sig. Rossi, per l’invalidità permanente, derivante dallo stesso evento, percepirebbe €
37.125,94 (dall’INAIL) + € 33.119,42 (dal responsabile civile): in totale € 70.245,36 a fronte di un
danno civilistico per invalidità permanente di € 52.925,00 lucrando così € 17.320,36.
Per contro se, come si ritiene più corretto, il diritto di rivalsa dell’INAIL deve estendersi “fino alla
concorrenza dell’ammontare delle prestazioni”, l’Istituto recupererà l’intero importo della rendita
erogata al sig. Rossi (€ 37.125,94), oltre naturalmente temporanea e spese, ed il sig. Rossi, dal canto
suo, percepirà € 37.125,94 dall’INAIL, più € 15.799,06 dal responsabile civile (che ripartisce il
risarcimento della invalidità permanente, pari ad € 52.925,00 corrispondendo € 37.125,94 all’INAIL
per la rivalsa, ed € 15.799,06 al sig. Rossi).
In tal modo, l’INAIL recupererà l’intero costo dell’infortunio e il lavoratore danneggiato otterrà
l’integrale risarcimento (€ 37.125,94 + € 15.799,06 = € 52.925,00).
19. Conclusioni
Sono dunque davvero tante le difficoltà intepretative delle frastagliate norme in tema di danno
biologico e le difficoltà di liquidare il giusto risarcimento alle vittime (primarie e secondarie).
Per scolpire quanto esposto, basti pensare alla gimkana processuale che dovranno affrontare gli
avvocati ed il giudice nell’ipotesi di danno biologico subito in incidente stradale dal lavoratore “in
itinere”:
- tra due tabelle normative “delle menomazioni”;
- una “tabella indennizzo danno biologico”;
28
-
una “tabella del valore pecuniario” (con conseguenti problemi di “danno differenziale”);
la “tabella giurisprudenziale” per gli altri danni non patrimoniali regolati dal singolo ufficio
giudiziario;
- ed, infine, l’equità pura per la lesione di altri interessi di rango costituzionale della persona.
Ed allora, può la Cultura giuridica promuovere nelle sedi opportune un proficuo dibattito che induca
il legislatore:
- a riprendere la strada già nel passato imboccata (v. il Disegno di legge presentato al
Consiglio dei Ministri in data 4.6.1999, in “Guida al diritto”, n. 24/1999, p. 100 e ss.) e
riportare la disciplina del danno biologico nel suo alveo naturale e cioè nell’ambito del
codice civile?
- ad elaborare criteri idonei per la liquidazione dei danni non patrimoniali conseguenti alla
lesione di altri diritti inviolabili dell’uomo?
dr. Damiano Spera
giudice del Tribunale di Milano
“CRITERI ORIENTATIVI PER LA LIQUIDAZIONE DEL NUOVO DANNO
NON PATRIMONIALE”
APPROVATI DALL’OSSERVATORIO SULLA GIUSTIZIA CIVILE DEL
TRIBUNALE DI MILANO - IMPORTI RIVALUTATI AL 1.1.2007
Alla fine dell’anno 2004 l’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Milano
approvò i “Criteri orientativi per la liquidazione del nuovo danno non
patrimoniale”.
Nella riunione del 7.2.2007, l’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di
Milano ha ritenuto che le nuove norme, di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle
assicurazioni, non comportano alcuna modifica dei “Criteri orientativi” di
liquidazione predetti.
Gli importi monetari indicati in detta tabella sono stati rivalutati al 1.1.2007, con
l’indice di rivalutazione del 1,6627%, rispetto al 1.1.2006.
Per comodità di lettura e di applicazione, si ritiene opportuno riportare l’intero testo di
detti “Criteri orientativi”, con i valori aggiornati alla data del 1.1.2007.
A seguito delle sentenze della Cassazione del 2003 che hanno ridisegnato la nozione di dannonon-patrimoniale e a seguito di quanto emerso nel Convegno sul danno alla persona del 14/15
novembre 2003, si sono tenute varie riunioni dell’Osservatorio (17.2.04, 11.3.04, 4.5.04, 26.5.04),
dedicate alla discussione sulla:
Ø opportunità di ripensare quale sia il concetto di danno biologico che può ritenersi
“coperto” dalle c.d. Tabelle già in uso presso questo Tribunale;
Ø opportunità di ripensare quale sia l’effettivo contenuto del danno morale-soggettivo
oggetto di criteri liquidatori nelle stesse Tabelle;
Ø opportunità di rivedere i criteri già adottati per la liquidazione del danno non
patrimoniale (diverso dal biologico) nei casi più ricorrenti.
29
Lo schema delle proposte dell’Osservatorio è stato poi trasmesso al Presidente della Corte
d’appello e al Presidente del Tribunale di Milano e distribuito a tutti i magistrati del distretto di
Milano, con invito a partecipare ad un incontro comune, tenutosi il 28 ottobre 2004: all’esito
della discussione svoltasi in tale incontro (al quale hanno partecipato magistrati di vari tribunali
del distretto e della corte d’appello) risulta condiviso lo schema per la liquidazione del danno
alla persona che segue, rielaborato nella riunione dell’osservatorio del 9.11.2004 e destinato
(ovviamente senza alcun carattere di vincolatività) a promuovere criteri di liquidazione
tendenzialmente uniformi in casi ricorrenti.
DANNO NON PATRIMONIALE
La Corte Costituzionale con sentenza n.233/2003 ha ritenuto che “…può dirsi ormai superata la
tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall’art. 2059
c.c. si identificherebbe con il c.d. danno morale soggettivo. In due recentissime pronunce (Cass.
31.5.2003 nn. 8827 e 8828) che hanno l’indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il
tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, viene, infatti, prospettata con
ricchezza di argomentazioni – nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di
quello non patrimoniale – un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., tesa
a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale
derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo,
inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in
senso stretto inteso come lesione dell’interesse costituzionalmente garantito all’integrità psichica
e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico ( art. 32 Cost.); sia infine il danno
(spesso definito in dottrina e in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesioni di (altri)
interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.
Quindi “si deve ritenere ormai acquisito all’ordinamento positivo il riconoscimento della lata
estensione di ‘danno non patrimoniale’ inteso come danno da lesione di valori inerenti alla
persona e non più solo come ‘danno morale soggettivo’ (così Cass. 31.5.2003 nn. 8827 e 8828).
Benché la Suprema Corte nelle pronunce citate non auspichi la individuazione a livello sistematico,
all’interno della categoria generale del danno alla persona, di specifiche figure variamente
etichettate, l’Osservatorio propone la seguente schematizzazione, allo scopo di agevolare una
liquidazione del danno predetto che, pur tendendo alla completezza e alla personalizzazione del
risarcimento, eviti tendenzialmente duplicazione di voci nei casi più comunemente ricorrenti.
A) DANNO BIOLOGICO O ALLA SALUTE
1. Danno biologico permanente
Figura di danno non patrimoniale con cui si designa l’ipotesi della lesione dell’interesse
costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.) alla integrità psichica e fisica della persona: va
considerato “in relazione all’integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività,
le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita: non soltanto,
quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale,
culturale, affettiva, sociale, sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua
personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana” (cfr. Corte Cost. n.
356/1991, Corte Cost. n. 184/1986).
La valutazione medico-legale standard ha dunque ad oggetto il danno biologico:
Ø sia nel suo aspetto statico, quale danno fisiologico,
Ø sia nei suoi aspetti dinamico-relazionali medi, quale insieme di conseguenze negative prodotte, mediamente, dalla
lesione nella vita quotidiana della vittime.
In altri termini, la valutazione medico-legale considera il danno biologico sotto il profilo anatomo-funzionale, ovvero
tiene conto della compromissione della possibilità di espletare gli atti ordinari del vivere quotidiano nelle sue varie
sfere - attività interrelazionali/produttive/sportive/sociali in genere - considerate in astratto: il ctu indica in termini di
percentuale la menomazione all’integrità psico-fisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a
tutti.
30
1.1 Le tabelle del Tribunale di Milano
Le tabelle già in uso presso il Tribunale di Milano, basate sulla valutazione medico-legale, tengono
conto, in aggiunta agli aspetti dinamico-relazionali medi predetti, dell’età del danneggiato (il valorepunto cresce in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità e si riduce con il crescere dell’età
del soggetto).
Pertanto la liquidazione del danno biologico effettuata sulla base di tali tabelle considera il danno
biologico subito dalla persona nei suoi aspetti statico e dinamico relazionali medi.
Nella prospettiva di rispondere alla “esigenza di garantire l’integrale riparazione del danno
ingiustamente subito nei valori propri della persona anche in riferimento all’art. 2 Cost.” (così
Cass n.8827/2003), va rilevato che ulteriori condizioni soggettive del danneggiato, diverse da quelle
“medie”, non sono considerate nella valutazione medico legale standard e quindi neppure dalle cd.
Tabelle milanesi, che non tengono quindi conto degli aspetti dinamico-relazionali personali del
danno: tali profili, dunque, possono e debbono essere oggetto di ulteriore specifica valutazione (c.d.
personalizzazione del danno biologico) da parte del giudice, ove allegati e provati (cfr. Cass.
n.8827/2003, “il danno biologico, a seguito di una valutazione che deve essere nel più alto grado
possibile personalizzata, è liquidato in precipua considerazione di ciò che il soggetto non potrà
più fare”).
Al fine della valutazione personalizzata del danno biologico, in presenza di idonee allegazioni e
prove (si pensi ad esempio al caso di amputazione del dito per una persona che pratichi l’hobby di
suonare uno strumento musicale; al caso di riduzione della funzionalità dell’arto inferiore per una
persona che coltivi sistematicamente uno sport; ovvero all’incidenza specifica di una data lesione
sulla c.d. capacità lavorativa generica in ipotesi di lavori particolarmente usuranti o caratterizzati da
mansioni più difficoltose rispetto alla media), l’Osservatorio propone dunque (anche alla luce delle
soluzioni normative in materia di cd micropermanenti di cui alle leggi n.57/2001 e n.273/2002) che
la liquidazione del danno biologico possa essere aumentata fino al 30% rispetto alla misura del
risarcimento che risulterebbe dalla semplice applicazione della tabella.
2. Danno biologico temporaneo
L’Osservatorio propone di aumentare (anche tenendo conto della rivalutazione ISTAT del valore di
lire 100.000= fissato nel 1996) fino ad euro 67,36 l’importo liquidabile pro die, a titolo di danno
biologico da inabilità temporanea assoluta (100%).
B) DANNO NON PATRIMONIALE, DIVERSO DAL BIOLOGICO
È comprensivo del “danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso (sofferenza contingente,
turbamento dell’animo transeunte determinati da fatto illecito riconducibile ad un’ipotesi astratta di
reato, ndr) e dei pregiudizi diversi ed ulteriori, purchè costituenti conseguenza della lesione di un
interesse costituzionalmente protetto…; tutte le volte che si verifichi lesione di un tale tipo
d’interesse il pregiudizio consequenziale integrante danno morale soggettivo (patema d’animo) è
risarcibile anche se il fatto non sia configurabile come reato ” (così Cass. 8827/2003).
L’esigenza di dare risalto al danno non patrimoniale (diverso dal biologico) in tutte le sue
componenti, evitando peraltro duplicazioni, induce a ritenere opportuna una stima globale di tale
voce di danno, che sia frutto di un giudizio equitativo, articolato e motivato in relazione agli elementi
allegati e provati.
1. Vittima primaria
L’Osservatorio propone per il caso di vittima primaria che abbia subito danno biologico:
Ø di mantenere fermo il precedente criterio di liquidazione del danno “morale soggettivo”
tradizionalmente inteso, parametrato in via equitativa sull’entità del danno biologico: il danno
31
morale soggettivo (patema d’animo contingente) è dunque quantificabile in linea di massima nella
misura da 1/4 a 1/2 della liquidazione del danno biologico;
Ø di portare fino a 2/3 della somma liquidata a titolo di danno biologico l’entità massima del
risarcimento attribuibile per il danno non patrimoniale (diverso dal biologico) unitariamente
inteso (patema d’animo contingente + pregiudizi diversi derivanti dalla lesione di un interesse
costituzionalmente protetto) ove, oltre al danno morale soggettivo, risulti una ulteriore
significativa compromissione di interessi costituzionalmente protetti, diversi dal diritto alla
salute.
2. Vittime secondarie
2.1 Morte di familiare
Si è rilevato che la misura del risarcimento prevista dalle Tabelle già in uso presso il Tribunale di
Milano, pur facendo riferimento al danno ”morale”, dunque apparentemente al mero aspetto del
“danno da sofferenza contingente”, tiene già conto della lesione del rapporto parentale, quale
interesse costituzionalmente protetto risarcibile nell’ambito dell’unitario danno non patrimoniale,
diverso dal biologico.
L’Osservatorio propone di disancorare comunque, nel caso di morte di un congiunto, la
commisurazione del danno non patrimoniale risarcibile (da intendersi come somma del danno morale
soggettivo tradizionalmente inteso e del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale) da
ogni astratto riferimento a un ipotetico danno biologico del 100% subito dalla vittima primaria,
privilegiando invece essenzialmente nella liquidazione il legame familiare tra la vittima primaria e le
vittime secondarie e tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto (tipizzabili in particolare
nella sopravvivenza o meno di altri congiunti, nella convivenza o meno di questi ultimi, nella qualità
ed intensità della relazione affettiva familiare residua, nella qualità ed intensità della relazione
affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta).
A tal fine l’Osservatorio propone come indicazione di massima un’ampia forbice, che sembra
idonea, da un lato, a consentire al giudice una maggiore elasticità, dall’altro a non comprimere in non
auspicabili automatismi il dovere della motivazione.
La proposta liquidatoria è la seguente:
1. danno non patrimoniale a favore di ciascun genitore per morte di un figlio:
da euro 103.632,00= a euro 207.264,00;
2. danno non patrimoniale a favore del figlio per morte di un genitore:
da euro 103.632,00= a euro 207.264,00;
3. danno non patrimoniale a favore del coniuge(non-separato) o del convivente sopravvissuto:
da euro 103.632,00= a euro 207.264,00;
4. danno non patrimoniale a favore del fratello per morte di un fratello:
da euro 20.726,00= a euro 124.358,00.
2.2 Grave lesione di familiare
Anche in questo caso l’Osservatorio propone di disancorare la misura del danno non patrimoniale
risarcibile alla vittima secondaria dal danno biologico subito dalla vittima primaria.
Infatti, pur essendo la gravità di quest’ultimo rilevante per la stessa configurabilità del danno al
familiare, pare opportuno tener conto nella liquidazione del danno al familiare essenzialmente della
natura e intensità del legame tra vittime secondarie e vittima primaria, nonché della quantità e qualità
dell’alterazione della vita familiare (da provarsi anche per presunzioni).
La difficoltà di tipizzazione delle possibili variabili nei casi concreti suggerisce l’individuazione
solo di un possibile tetto massimo della liquidazione, pari al tetto massimo per ciascuna ipotesi di
cui al paragrafo che precede, da applicare nell’ipotesi di massimo sconvolgimento della vita
familiare.
32
33