l`eta` di giolitti

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L’ETA’ DI GIOLITTI
Giovanni Giolitti dominò la scena italiana fino allo scoppio della Prima guerra mondiale. Era
entrato per la prima volta nella vita politica come ministro delle finanze del governo
Zanardelli ma aveva già avuto l’incarico di formare il governo nel 1893 dopo la caduta del
governo Crispi. Il suo governo era durato un anno perché subito investito da uno scandalo
ma dal 1901 Giolitti mantenne il governo a lungo. Non vuol dire che i suoi governi erano
stabili ma che si intervallarono cadute e riprese.
D’altronde, la crisi dei governi era collegata alla situazione dell’Italia che aveva interpretato
liberamente lo Statuto Albertino e aveva fatto un uso eccessivo dell’istituto della fiducia
per cui i governi erano fragili, potevano cadere o per ragioni finanziarie o per ragioni di
politica estera. Era facile che un governo cadesse, tant’è che Sidney Sonnino premeva per
un’interpretazione più restrittiva dello Statuto Albertino rendendo indipendente il governo
dal Parlamento, evitando che questi dovesse sempre giudicare il governo fino a farlo
cadere.
LINEA POLITICA DI GIOLITTI
La linea politica di Giolitti era volta al controllo delle Camere allo scopo di ottenere
consensi e quindi stabilità per il suo governo. Questa sua linea venne da molti criticata al
punto che Giolitti fu spesso definito un camaleonte o un manovratore (come era accaduto
con Depretis e Crispi benché egli fosse un liberal-moderato). La sua politica usava come
strategia quella del “patteggiamento”, ovvero entrava in dialogo con le espressioni
politiche del Parlamento, borghesia, socialisti, sindacati, proletariato.
Quando Giolitti divenne primo ministro nel 1892 alla caduta del governo Crispi, Giolitti si
trovò di fronte alla manifestazione dei fasci siciliani e scelse di non intervenire. Non era
d’accordo con le manifestazioni ma non mandò l’esercito perché pensava di poter entrare
in dialogo con le varie componenti. Nel 1891 Crispi era uscito definitivamente dalla scena
politica e gli ultimi 4 anni furono caratterizzati da scontri sociali e da governi tutti instabili;
c’erano talmente tante manifestazioni che il governo Rudinì pose uno stato di assedio. Alle
elezioni del 1900 il governo conservatore perse consensi e avvenne l’uccisione del re
Umberto I. Andò quindi al governo una componente liberale progressista: Zanardelli.
PRIMO GIOLITTI
Durante il governo Zanardelli Giolitti divenne ministro dell’interno.
[Il ministero dell’interno controllava la polizia, l’ordine pubblico]
Pertanto le tensioni sociali e gli scioperi aumentarono ma Giolitti credeva di dover
intervenire solo in casi di violenza estrema (infatti il codice Zanardelli aveva legalizzato lo
sciopero, anche se solo per i privati). Giolitti avrebbe voluto varare delle riforme
progressiste come il limite al lavoro minorile, creare un’assicurazione di stato, un ministero
del lavoro, municipalizzare i servizi.
Nel 1906 nacque la CGL.
Nel 1901 nacque anche un movimento democratico cristiano guidato da Romolo Murri,
tollerato dalle istituzioni ecclesiastiche di Leone XIII. Esso agiva organizzando l’azione
sindacale: era critico nei confronti del capitalismo, delle condizioni degli operai e dei
lavoratori. Questo movimento fu costretto a chiudere quando nel 1905 il papa divenne
Pio X che non vedeva di buon occhio la democrazia cristiana di Murri preferendo l’Azione
Cattolica, nata in quegli stessi anni, perché andava di comune accordo con le gerarchie
ecclesiastiche.
Romolo Murri, quindi, si limitò a creare le leghe bianche (che a differenza di quelle create
dal partito socialista erano delle leghe molto più moderate). Negli anni in cui governò
Giolitti l’Italia ebbe un notevole impulso al progresso, l’industria decollò, si implementò la
linea ferroviaria, si aprì al commercio ma non dappertutto e non allo stesso modo. Intanto,
i governi, già con il protezionismo della Sinistra storica, avevano implementato l’agricoltura
e l’industria (soprattutto quello siderurgico). Intanto migliorarono le condizioni di vita e
diminuirono sia le malattie che la mortalità. Negli anni dell’età di Giolitti ci fu un aumento
dei salari pari al 35%, frutto del benessere comune.
Intanto l’Europa era già avanti, tant’è che l’Italia vide delle migrazioni consistenti ma Giolitti
non le ostacolò perché esse allentavano le tensioni sociali e perché i Governi pensavano
alle rimesse dei migranti (il denaro prodotto all’estero e riportato in Italia). Le migrazioni
provocarono un forte impoverimento del sud Italia. Tali migrazioni aumentarono
parallelamente alla maggiore disponibilità i trasporti internazionali e, per questo, ci furono
maggiori spostamenti.
C’era un forte divario tra nord-Italia e sud-Italia. Al nord c’era un ceto borghese attivo,
l’industria, l’agricoltura. Al sud, causa del latifondo, si era diffusa una politica clientelare
ovvero volta a varare riforme solo un cambio di voti. Quindi, il sud era in una vita
economica instabile perché i governi agivano solo sulla base dei voti. Non si faceva una
politica a lungo raggio e tali governi favorirono la malavita.
Nel 1903 Giolitti era un capo di governo di centro e fece una proposta a Turati, segretario
socialista, chiedendogli di far part del suo governo, pensando di poter ottenere il consenso
della Sinistra storica ma Turati si rifiutò. Nel 1904 varò leggi speciali per modernizzare
l’agricoltura del sud, dando la possibilità di sgravi fiscali a coloro che volevano costruire le
industrie. Tuttavia, nessuno apriva le aziende per la mancanza di strade e di strutture. Per
questo, Giolitti voleva creare le ferrovie statali. Tuttavia, tale progetto di riforme era
ostacolato sia dalla Destra che dalla Sinistra: la prima voleva lasciare l’impresa ai privati; la
seconda voleva mantenere invariata l’autonomia di scioperare degli operai (che non
avrebbero potuto farlo se le ferrovie fossero diventate di Stato).
Nel 1904 ci fu il primo sciopero nazionale: i borghesi premevano perché Giolitti
intervenisse e nel partito Socialista ci fu la spaccatura tra i radicali e i riformisti. I primi
volevano fare scioperi ad oltranza mentre i secondi cercavano il dialogo.
Questo sciopero creò una spaccatura all’interno del partito socialista perché all’interno di
esso nacque una dialettica tra riformisti e radicali (rivoluzionari). I riformisti volevano patti
con i governi, seguire una strategia moderata mediante riforme mentre i radicali
perseguivano una linea dura, volevano innescare una sorta di meccanismo rivoluzionario.
Quindi se nel 1895 era nato il PSI (Partito Socialista Italiano) già alla distanza di un
decennio si sfaldò all’interno. Se prima erano i riformisti a prevalere ora erano i radicali.
Tuttavia, l’esito più importante dello sciopero del 1904 furono le dimissioni di Giolitti.
Egli si dimise e salì al governo Fortis e poi Sonnino. Il primo dovette affrontare un
equilibrio interno molto precario, il secondo tentò di varare una serie di riforme che
incontrarono molta resistenza: avrebbe voluto dare incentivi all’agricoltura del sud per
valorizzarla; faceva pare della destra moderata, era un liberale moderato. Il suo governo,
però, durò solo 3 mesi e, infatti, nel 1906 tornò al governo Giovanni Giolitti.
LUNGO GOVERNO
Qui iniziò una stagione di governo chiamata “lungo governo” (1906-1909). Erano anni
importanti, la sinistra cercava di marginalizzare i gruppi più radicali (tra cui i sindacalisti
rivoluzionari come Sorel) e all’interno del PSI i riformisti ripresero la guida. I portavoce
della linea riformista del partito socialista erano Bonomi e Bissolati. Essi ritenevano che
l’azione del PSI doveva essere di guidare un processo di riforme sociali. Con questa
componente del PSI Giolitti tentò di dialogare.
Durante gli anni del lungo governo Giolitti tentò una riforma fiscale. La riforma fiscale si
chiamava “conversione delle rendite”: essa serviva a risanare il bilancio dello stato e voleva
dire cambiare il tasso di interesse dei titoli di Stato (azioni che lo Stato vendeva ai cittadini
in cambio di interessi). Con questa riforma Giolitti convertì le rendite al 5% al 3%; gli italiani
avevano comprato i titoli di stato con il patto che lo Stato avrebbe dato loro il 5% mentre
ora il tasso era sceso al 3%. Ovviamente, con la conversione delle rendite, Giolitti garantiva
a coloro che volevano la restituzione del prestito di poterlo fare (anche se quasi nessuno
chiese il rimborso).
Il 1907 fu un anno di crisi, di lotte sociali, l’industria frenava l’azione sociale del governo
che voleva fare una politica degli stipendi, dare più servizi, garantire meglio i lavoratori.
Infatti nel 1907 nacque l’unione degli industriali: Confindustria.
Poi in questi anni si diffusero nuove forme di anticlericalismo, soprattutto con l’elezione al
soglio pontificio di Pio X e infatti ci furono molte manifestazioni anticlericali.
Alle elezioni del 1909 i deputati socialisti raddoppiarono (le forze di Sinistra stavano
avendo la meglio) e si sviluppò di contro un’ala moderata, una clericale (incoraggiata dal
papa Pio X che temeva le forze di Sinistra). Nonostante i tentativi del governo Sonnino il
sottosviluppo del Sud Italia continuava ad essere arretrato; esso veniva inteso come una
riserva di voti: si facevano scambi di voti tra governo e borghesia meridionale e spesso
attraverso le forze di polizia il governo orientava la volontà degli elettori del sud. Molti
furono a denunciare il governo per le sue scelte protezionistiche e per la sua assenza nel
sud.
Giolitti nel 1909 avanzò una proposta sul tema delle convenzioni marittime: Giolitti doveva
stabilire con quali aziende dei trasporti marittimi lavorare, a chi dare la convenzione
marittime dei trasporti che riguardavano lo Stato. Giolitti fu accusato di favorire dei gruppi
genovesi e, quindi, nel 1909 il governo stava per cadere. Quando Giolitti capì che il
governo stava per cadere sfidò la Camera con una riforma: propose una riforma tributaria
(un’altra riforma fiscale) chiamata “riforma della progressività delle aliquote”, sul modello
inglese: portare avanti un sistema di tassazione in base al reddito. La proposta non passò e
cadde il governo.
L’ULTIMO GIOLITTI
Ci fu il secondo governo Sonnino. Anche Sonnino fu coinvolto nello scandalo delle
convenzioni marittime. Cadde anche Sonnino, a cui seguì il governo Luzzati.
Giolitti tornò nel 1911. In quest’anno egli aveva un programma di governo alquanto
avanzato, tutt’altro che moderato: voleva realizzare il suffragio universale maschile e creare
un sistema pensionistico e nel 1912 furono portate avanti queste due grandi riforme.
Giolitti, però, varò queste riforme in un clima non facile: a Sinistra chiedevano di più; a
Destra volevano tornare indietro. I gruppi nazionalisti chiesero al governo di portare avanti
una politica coloniale (soprattutto la Società Nazionale, che collaborava con la rivista Il
Regno di Corradini). Giolitti si lasciò convincere da questi gruppi e inaugurò una nuova
campagna colonizzazione della Libia. In Italia era vivo questo spirito nazionalista; il clima
generale era a favore della colonizzazione. In alcuni casi anche alcuni socialisti volevano la
colonizzazione allo scopo di dare una valvola di sfogo ai problemi sociali: creare nuovo
lavoro e migliorare le condizioni di malessere. Erano soprattutto i gruppi emergenti
imperialisti e nazionalisti legati alla Società Nazionale a portare avanti una campagna di
sensibilizzazione. Si scelse la Libi perché l’Impero turco era in disfacimento. La campagna di
Libia ebbe successo perché nel 1912 l’Italia a Losanna siglò un accordo con cui ottenne il
protettorato della Libia. Tuttavia, il successo non fu quello sperato. In tutto questo quelli
che ostacolavano la colonizzazione erano i socialisti radicali. Il dibattito sulla conquista
della Libia radicalizzò la spaccatura tra Destra e Sinistra e, nella Sinistra stessa, tra radicali e
riformisti. A Reggio Emilia si riunì il comitato direzionale del Partito Socialista Italiano e ci
fu la definitiva spaccatura tra riformisti e radicali. Per cui nacque il PSRI (Partito Socialista
Riformista Italiano), creato da Bonomi e Bissolati, che si aggiunse al PSI.
Tra i radicali c’era Benito Mussolini che era tra i più feroci oppositori della conquista libica.
Divenne molto importante al punto che il PSI gli affidò la guida del giornale socialista
L’Avanti.
Giolitti aveva allargato il suffragio ma era preoccupato del nuovo corpo elettorale. Egli era
consapevole del fatto che l’Italia era un paese ad ampia cultura cattolica e quindi sapeva
che le forze moderate clericali avevano un grande seguito. Per cui pensò di prendere
accordi con l’elettorato cattolico e per sfruttare i voti dei cattolici fece un accordo con il
presidente dell’elettorato cattolico: Gentiloni, invitandolo ad appoggiare le forze di
governo. Tuttavia, Gentiloni aveva bisogni di alcune garanzie da parte di Giolitti come la
tutela dell’insegnamento privato, nessuna legge sul divorzio e l’appoggio alla nascita di
leghe bianche (cattoliche).
Alle elezioni i liberali conservarono la maggioranza ma i socialisti avevano comunque
aumentato i loro consensi. Il governo, rimasto in piedi, era ora appoggiato dalle forze
nazionalisti e conservatrici di Destra. Quindi il nuovo governo Giolitti nacque in un clima di
grande polemica (sulla laicità dello Stato, sul confronto radicalizzato italiano). Quindi molti
furono gli scontri, le manifestazioni, le occupazioni. Giolitti, ovviamente, non intervenne e si
dimise nel 1914, lasciando Salandra. Egli era un uomo della destra liberale che portò avanti
un programma liberale, molto moderato e si trovò di fronte ad una radicalizzazione degli
scontri che si realizzò nella cosiddetta Settimana Rossa, nel giugno 1914 in Emilia Romana,
dove ci furono tanti scioperi e tante agitazioni e il governo non sapeva gestirle. I promotori
erano i socialisti, guidati da Benito Mussolini, gli anarchici, guidati da Enrico Malatesta, e i
repubblicani, guidati da Pietro Nenni. Di fronte a tutta questa ondata di scioperi le forze
conservatrici e la borghesia avevano realmente paura e tale paura fu fortemente avvertita
dal governo che si vide costretto a mandare la polizia.
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