L’AFFASCINANTE MONDO DELLE RITUALITÀ FAMILIARI La liturgia a partire dalla famiglia, la famiglia a partire dalla liturgia di Domenico Cravero da «La Vita in Cristo e nella Chiesa» – n. 9 Novembre 2010 La crisi della fede, in questo nostro tempo, è innanzi tutto crisi della partecipazione ai riti liturgici. La maggioranza degli italiani, infatti, continua a dirsi «cattolica» ma solo una minoranza partecipa alla comunità domenicale. La riforma liturgica, con il suo immenso lavoro di rinnovamento, non è riuscita a incidere su questo tratto. La crisi della partecipazione ai riti religiosi è quindi grave e profonda perché è condizionata pesantemente da ciò che avviene nella società. Per superare le difficoltà attuali occorre quindi affidarsi non solo ai criteri teologici della celebrazione dei sacramenti ma anche considerare attentamente l'evoluzione del linguaggio rituale. È in atto, nella nostra cultura, una profonda trasformazione delle ritualità. La vita comunitaria che un tempo era molto articolata e conosceva un fitto repertorio di usanze, costumi, feste e appuntamenti, oggi si è come frantumata e impoverita, a causa dell'individualismo della società e della conseguente crisi dei legami familiari e amicali. I riti sociali diventano spesso monotoni e ripetitivi, standardizzati. Lo scambio degli auguri o l'uso sociale dei regali e dei doni si sono commercializzati, perdendo molto del loro significato di gratuità, imprevedibilità e misura, finendo per essere vissuti come dovere ed obbligo. Pensiamo alla deritualizzazione dei pasti: si sono molto allentate le regole che imponevano il consumo dei pasti insieme e alla stessa ora. Si sono drasticamente ridotti di numero i pasti di tutta la famiglia unita. Il pasto rituale della famiglia unita o «allargata» ha perso terreno a tutto vantaggio del pasto «industriale», dove il valore del cibo e del gusto ha tutt'altri criteri e non trasformano più il cibo in intermediario dell'amore e della cura. I rituali e le cerimonie sociali nei grandi eventi della vita (nascita, morte, matrimoni) sono finiti nel controllo del mercato che li ha standardizzati e uniformati. Solo ai bambini è permessa la spontaneità; per il resto prevalgono le formalità, agisce il controllo sociale. La manifestazione delle grandi paure e delle grandi gioie, l'espressione delle passioni e degli amori sono sempre più relegate negli spazi privati e ridotte alla comunicazione interpersonale, quando non sono trattate da professionisti a pagamento (animatori e intrattenitori) oppure affidate alla comunicazione virtuale. Un esempio evidente sono i campi da gioco, un grande contenitore di ritualità collettive dove si creano, si scatenano e si compongono emozioni, sentimenti, simboli che mobilitano le masse. Entrato nel vortice della commercializzazione, lo sport si riduce a spettacolo individualistico, dove la competizione si scatena come aggressività, diventando, negli stadi, un pericolo costante, da controllare con il dispiegamento massiccio delle forze di polizia e l'inasprimento legislativo. Nel vivere sociale è possibile, infatti, osservare un paradosso: da una parte si abbandonano o si detestano i riti, dall'altra s'inventano continuamente nuove forme di ritualità. Il rito dà senso I riti continuano a esserci: ogni volta che si vuole esprimere un'intensificazione energica della vita o si liberano forti emozioni collettive si costruiscono, anche oggi, cerimoniali e ritualità. Dopo un periodo di svalutazione del rito, si assiste, oggi, alla certa riscoperta e al riconoscimento della ritualità. Come immaginare, infatti, una convivenza umana senza riti? Le ritualità hanno accesso alle regioni più oscure del mondo interiore. Il rito rende accessibile l'invisibile e l'indimostrabile, colma la distanza che separa gli individui, allontanandoli dalla loro interiorità emozionale e dai legami vitali. Nella ritualità si riesce a raggiungere con l'immaginazione, l'arte e la religione ciò che con la scienza continuamente fallisce: dare un senso alla vita, arricchire di significati la quotidianità, recuperare con l'estetica quello che si è perduto nel disorientamento dei costumi. L’affascinante mondo delle ritualità familiari Nel tempo dell'individualismo Le attuali ritualità sociali sono lo specchio di cosa diventano i riti al tempo dell'individualismo. Stadi, discoteche, palestre, supermercati ritualizzano il consumo, lo regolamentano e lo promuovono attraverso cerimoniali che ricordano spesso quelli religiosi. Gli sport sono vissuti da masse di persone come nuovi grandi riti sociali. L'identificazione con gli atleti o con i divi dello spettacolo esercita un fascino e un'attrazione capaci di stimolare, per moltitudini di persone, una passione che sostituisce l'interesse e la partecipazione alle grandi questioni della collettività e del suo futuro, al punto che la salvezza personale per alcuni consiste nell'assomigliare a loro. La moda, la danza, gli spettacoli di massa, che sono forme rituali, hanno un crescente successo, pari al valore che le società avanzate attribuiscono ai prodotti emozionali, alle espressioni ludiche, all'effervescenza della socialità. Cresce la domanda di ritualità Nonostante questo condizionamento invasivo la domanda di ritualità vera e sana è in costante aumento. Cresce, per esempio, l'importanza degli anniversari. Non c'è oggi amicizia che non si accompagni a un suo rituale. Si accolgono gli amici la sera secondo copioni semplici ma precisi: si arriva puntuali, con un regalo, vino, fiori, cioccolato, un aperitivo, un certo ordine attorno al tavolo. Le nostre case sono oggi piccoli templi per l'ordine, la pulizia, l'ornamento. Si ama la proprietà nel comportamento e nel vestire, per presentarci più accettabili e dignitosi. Riconosciamo che non serve mangiare abbondantemente ma sano. Si accettano diete e controlli, campagne contro il fumo, rinunce ai superalcolici e a quanto nuoce alla salute. Apprezziamo l'aria pulita e l'acqua pura, non sopportiamo la città sporca. Curiamo i fiori, i sapori, i colori. Non è questione solo di moda, meno ancora di lusso. È un modo più attento di metterci in relazione con le percezioni, entrare in empatia con i sentimenti, di vivere più consapevoli. Avviene una modifica lenta del modo di pensare se stessi, una domanda di qualità anche delle ritualità umane. Cosa c'è dentro la crisi dei riti? Com'è possibile uscirne? I riti umani sono come giochi dettati dall'amore. Ogni volta che si vuol dire «ti voglio bene» si compie un rito: il saluto, la buona notte, il pranzo della domenica, il chiedere scusa. Anche Gesù, nei mo menti più intensi della comunicazione, per dire l'amore, la misericordia, la solidarietà, compiva un rito. Continuamente le sue parole erano rese efficaci (performative) dalle azioni che erano segni, miracoli, atti realizzati con l'intensità del rito. La ritualità umana, infatti, è il volto nobile e luminoso dell'affettività matura. Il luogo naturale dell'iniziazione al rito, la strategia per il superamento della sua crisi sono, dunque, le esperienze affettive e le ritualità familiari. Le vicende familiari plasmano le persone fin dalla loro prima infanzia. Non deve stupire che la crisi della partecipazione religiosa sia vissuta come disaffezione nei confronti della ritualità, e che questa sia accompagnata da una parallela, grave, crisi della famiglia e della sua pratica educativa. Non è certo casuale l'osservazione, confermata dai dati statistici, secondo cui praticano regolarmente il culto domenicale prevalentemente coloro che l'hanno appreso dall'educazione della propria famiglia. Ancor più evidente è la considerazione che un medesimo simbolo religioso o la stessa pratica rituale suscitano nelle persone reazioni diverse, in base al proprio vissuto affettivo. Occorre riandare alle ritualità familiari per ritrovare i codici della partecipazione attiva alla celebrazione liturgica. C'è quindi una speranza per il rinnovamento della liturgia, una via d'uscita per dare impulso a una ritualità umana semplice e spontanea che resista alla pressione commerciale: riscoprire, curare e riproporre i piccoli riti quotidiani per diventare capaci a celebrare il grande rito domenicale. E viceversa: celebrare il rito domenicale, con una cura e un'intensità di fede tali da rigenerare anche i riti quotidiani dell'amore familiare. 2 L’affascinante mondo delle ritualità familiari La ritualità possiede una forza avvincente e convincente che rende la parola credibile, una forma espressiva che sveglia la disposizione affettiva (il saluto quando si esce o si entra, i riti della buona notte, la tavola che riunisce la famiglia, il cibo intermediario dell'amore...). Le microritualità della gratuità e della riconoscenza (il «per favore» e il «grazie» delle comunicazioni attente alle persone) sono quotidiane boccate d'ossigeno che radicano in profondità i legami e rendono le persone consapevoli di quanto ricevono in famiglia. Nelle ritualità si compiono gesti e azioni senza alcuno scopo diretto, che tuttavia sono vissuti come pieni di senso. Come conseguenza della prestazione è la piatta insignificanza del tempo e la preoccupazione di affrettarlo, così la gratuità del tempo delle ritualità crea un ampio spazio di vita esuberante, dove si sviluppa l'attenzione alla persona dell'altro. È facile raccoglierne una controprova: chi ha fretta non può compiere un rito (ad esempio, salutare «come si deve» una persona amata), chi è impaziente non fa attenzione alle persone, chi non è calmo non può gustare certi momenti della vita familiare. In famiglia, quando i genitori hanno bisogno di rendersi credibili, abbandonano l'eccesso del linguaggio e comunicano con il linguaggio muto del corpo: l'empatia, la tenerezza, il gesto autorevole. Nel vissuto emozionale che emerge nella ritualità, avviene un sovrappiù espressivo che produce un impulso, uno slancio, una sorprendente liberazione di energie insospettate (l'incanto del mondo affettivo): una mano stretta nel momento del dolore, più potente di un analgesico; un bacio che fa battere il cuore; uno sguardo che fa ritornare le forze. La ritualità è quindi il linguaggio umano adatto per rappresentare la Grazia che agisce nella celebrazione liturgica, così come nelle ritualità familiari non soltanto si comunica all'altro che la sua persona è importante per noi, ma le parole attraverso il rito «compiono» l'amore. Nella ritualità le parole «fanno cose», diventano parole performative, l'esatto opposto delle parole evanescenti e annoiate della chiacchiera. Essendo un gioco dettato dall'amore, i riti divertono e piacciono. Le ritualità quotidiane (o le celebrazioni dei sacramenti) che annoiano assomigliano al seme che cade in strada o tra le pietre e non possono produrre frutto. Peggio: i riti, infatti, sono anche pericolosi perché non rimangono mai senza effetto. Se degenerano in «ritualismo» (come le parole più belle sono accompagnate da un atteggiamento scostante e distaccato) gradualmente corrompono i legami. Se fingono, possono creare disastri (come nel tradimento). Avviene così anche per i sacramenti: nell'Eucaristia celebrata non nelle disposizioni giuste «si mangia e si beve la propria condanna». Le Messe celebrate male sono un incentivo in più all'individualismo. Vale la pena quindi entrare nel mondo affascinante delle ritualità familiari per imparare il linguaggio più adatto ad accogliere la Grazia che rigenera l'amore. DOMENICO CRAVERO, parroco e ricercatore, è anche coordinatore di comunità terapeutiche e progetti di promozione educativa rivolti agli adolescenti e alle loro famiglie. Ha pubblicato: Il piacere di vivere (ASG, Torino 1993), Regole di vita (ASG, Torino 1993), Se tuo figlio in discoteca (EDB, Bologna 1998), Fascino della notte, paura del giorno (EDB, Bologna 2001), Un io senza Dio? (EDB, Bologna 2001), Padri e madri insieme (EDB, Bologna 2002), Genitori che crescono (Effatà, Cantalupa 2004), Corpi allo specchio (EDB, Bologna 2006), Ragazzi che ce la fanno (Effatà, Cantalupa 2006), Una speranza per i genitori. Le ritualità che rigenerano l'amore e che costruiscono la comunità delle famiglie (Effatà, Cantalupa 2007), Ritornare in strada. Manuale per la formazione degli operatori di strada (Effatà, Cantalupa 2008). Ha inoltre curato il volume Una riforma in cammino (Effatà, Cantalupa 2007). 3