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F. BRENCIO, La negatività in Heidegger e Hegel, Aracne Editrice, Roma 2010.
Introduzione del libro (pp. 23-29):
«Non si insiste mai abbastanza sulla centralità di Hegel nel pensiero filosofico
contemporaneo; e non si insite mai con altrettanta incisività su quelle posizioni che
sottolineano il crollo del sistema. Il sistema hegeliano, più che sorpassato o crollato, è
rimasto nella tradizione del pensiero sino all’epoca odierna come il termine privilegiato di
un confronto in cui tutta la filosofia è stata chiamata in causa. Laddove si pensa che il suo
pensiero sia sorpassato o non più attuale, proprio là è presente il lascito che l’inquietudine
hegeliana ha consegnato alla storia del pensiero; è presente, forse in modo adombrato dalle
esigenze che altre riflessioni pongono in essere, quella inquietudine della ragione che
chiama la filosofia a sbarazzarsi di soluzioni eudemonistiche per orientare lo sguardo verso
il progressivo andamento e sviluppo della filosofia.
Hegel ha lasciato alla filosofia venuta dopo di lui un’eredità pesante, che impone un
approfondimento e un ripensamento della sua meditazione in ogni direzione la si consideri,
interessando il procedere della filosofia, poiché anche là «dove Hegel è espressamente
rifiutato […] è il caso di dire che quel che oggi autenticamente manca è la volontà di
prenderlo sul serio» (TH. W. Adorno, Tre studi su Hegel (1963), trad. it. a cura di F. Serra,
Il Mulino, Bologna 1971, p. 122.). Dopo Hegel, ogni movimento di pensiero, ogni corrente
filosofica, ogni autore, ha necessariamente dovuto accogliere su di sé l’istanza che tale
eredità impone. Ha dovuto reggere il peso del confronto con il filosofo di Stoccarda; ha
dovuto imparare a pensare dopo Hegel, sia contro sia in favore, ma pur sempre dopo.
Questo dopo ha costituito la vera scommessa della filosofia succeduta a Hegel: «Non è stato
notoriamente Heidegger il primo ad affermare che Hegel rappresenta il compimento della
metafisica occidentale. Il linguaggio stesso dei fatti testimonia fin troppo chiaramente che,
con il sistema hegeliano e il suo crollo a metà del XIX secolo, è giunta alla fine una
tradizione bimillenaria, che ha dato alla filosofia occidentale l’impronta della metafisica.
Non da ultimo ciò si esprime nel fatto che da allora la filosofia è diventata una faccenda
puramente accademica» (H. G. Gadamer, La dialettica di Hegel (1971), trad. it. a cura di R.
Dottori, Marietti, Genova 1973, p. 127.).
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Il pensiero contemporaneo «che vuole rendersi conto del diverso, capirlo, penetrarlo,
sfuggendo alla preoccupazione unificante, ansiosa di riunire al più presto i differenti in
superiore armonia piuttosto che di valutare le diversità in sé, ha in Hegel un alleato o un
avversario?» (P. Piovani, Incidenza di Hegel, in Incidenza di Hegel. Studi raccolti nel
secondo centenario della nascita del filosofo, a cura di F. Tessitore, Morano, Napoli 1970,
p. 8.). Come sottolinea Nicolai Hartmann, «ciò che Hegel deve significare per noi non è un
paradiso perduto della ragione autonoma in cui dovremmo rientrare, bensì una ricchezza di
problemi intuiti e formulati che sono ancora in ugual misura nostri, e perciò una eredità di
lavoro speculativo compiuto che è ben lungi dall’essere esaurito, tanto storicamente come
sistematicamente» (N. Hartmann, La filosofia dell’idealismo tedesco (1960), trad. it. a cura
di B. Bianco, Mursia, Milano 1972, p. 239. Introduzione 25).
All’interno di questo confronto in cui tutto il filosofare è stato chiamato in causa,
anche la riflessione di Martin Heidegger ha trovato la propria collocazione. Il suo pensiero,
tutto edificato attorno alla problematica della ricerca del senso dell’essere, ruota
insistentemente intorno a Hegel, chiamato in causa a più riprese e in contesti differenti, ma
pur sempre presente con la caparbietà del domandare tipico di Heidegger. Questa costanza
nel suo interrogare Hegel è una necessità filosofica interna al Denkweg heideggeriano. Il
dialogo che Heidegger ha costruito con Hegel nel corso del proprio cammino speculativo è
stato indagato dalla critica filosofica sotto più riguardi e per ragioni diverse. Esso si è
collocato all’interno della storiografia filosofica come un motivo di studio privilegiato
rispetto alla questione della problematica heideggeriana del superamento della metafisica e
della conseguente messa in discussione dei fondamenti metafisici che hanno caratterizzato
la domanda sul senso dell’essere.
Al pari di Hegel, il quale ha dominato il pensiero filosofico fino alla soglia del ‘900,
la riflessione di Heidegger ha non solo dominato gran parte della scena filosofica del
Novecento, ma ha anche segnato gli sviluppi della filosofia contemporanea influenzando
autori diversi, provenienti dai più disparati ambiti del sapere filosofico e della letteratura.
Entrambi questi autori si collocano in una posizione centrale nel corso dello sviluppo del
pensiero occidentale: l’uno, “artefice” della realizzazione dello spirito assoluto, l’altro
“custode” dell’essere; l’uno ultimo e massimo esponente di quella filosofia definita “forte”,
la quale poteva essere scienza solo in quanto “fatica del concetto”, poiché solo nel concetto
poteva apparire la figura della verità, l’altro testimone vivente della crisi della filosofia
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occidentale, ripiegatasi su se stessa in molteplici frantumazioni, in molteplici filosofie del
genitivo, in speculazioni che hanno trovato nella finitezza del soggetto il “punto di
Archimede” con cui assegnare alla filosofia ancora un’ultima possibilità di pensiero e di
parola. In tal senso, cariche di verità non solo per Hegel ma per Heidegger stesso e per la
sua epoca sono le parole scritte dal filosofo di Stoccarda nella Prefazione alla
Fenomenologia dello Spirito: «Non è difficile scorgere come il nostro tempo sia un tempo
di gestazione e di transizione verso una nuova epoca. Lo Spirito ha rotto i ponti con il
precedente mondo della sua esistenza e delle sue rappresentazioni, ed è in procinto di
sprofondarlo nel passato: vive il travaglio della propria trasformazione» (G. W. F. Hegel,
Fenomenologia dello spirito, trad. it. a cura di V. Cicero, Rusconi, Milano 1995, p. 59.).
Entrambi gli autori si possono collocare in un momento di trapasso, storicamente e
filosoficamente chiamato a rendere ragione dei mutamenti dello spirito, un momento
caratterizzato dall’assenza di un «cielo […] ornato con smisurati tesori di pensieri ed
immagini»( Ivi, p. 57.).
Essi rispondono a questo compito in modi distinti, diversi ma nel contempo vicini,
poiché entrambi ripropongono le domande classiche della filosofia: che cos’è l’essere? Che
cos’è l’ente? Tuttavia, proprio il diversificarsi delle risposte a queste domande ed il loro
progressivo sviluppo all’interno delle singole riflessioni, è il limite che pone Hegel ed
Heidegger su sentieri distinti, ma non per questo incomunicabili o incommensurabili.
Il proposito di questo studio è quello di indagare un tema di confronto tra i due
autori: la negatività, più esattamente, l’interpretazione che Heidegger ha fornito del concetto
di negatività di Hegel, partendo dalla considerazione dell’invito della riflessione di Theodor
W. Adorno, per il quale ancora oggi è essenziale interrogarsi sul senso che il presente abbia
di fronte a Hegel (Cfr. TH. W. Adorno, Tre studi su Hegel, cit., p. 9.).
La presente ricerca si articola in tre parti, ognuna delle quali ha uno specifico interesse nella
ricostruzione del cammino heideggeriano verso la negatività di Hegel. Nella prima parte (I
capitolo) si è ripercorso il procedere heideggeriano verso Hegel, si è cioè ricostruita la storia
della Auseinandersetzung che Heidegger ha intessuto con il filosofo di Stoccarda. Partendo
dagli scritti giovanili, si è cercato di mettere in evidenza come Hegel appartenga
strettamente al pensiero di Heidegger in modo da costituire un riferimento costante e mai
esautorato, in particolare riguardo all’interpretazione che egli ha fornito della negatività
hegeliana. La ricostruzione di questo confronto vuole altresì sottolineare la prossimità della
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speculazione heideggeriana nei confronti di quella hegeliana: prossimità che tuttavia
mantiene i tratti caratteristici della distinzione. Inoltre, si è cercato di sottolineare anche la
riduttività dell’interpretazione fornita da Heidegger di alcuni temi che egli elegge a motivi
privilegiati di confronto con Hegel: la dialettica, il tempo, l’immaginazione produttiva
kantiana, il concetto di esperienza quale emerge dalla Fenomenologia dello Spirito.
La seconda parte (capitolo II), invece, ha come oggetto propriamente l’indagine sul
negativo e sulla negatività quale emerge nella riflessione di Hegel. È sembrato doveroso
esaminare questi due motivi — ancorché non coincidenti — per fornire uno sguardo critico
sul pensiero hegeliano. Si è ritenuto pertanto fondamentale comprendere l’emergere del
negativo nella riflessione di Hegel seguendone da vicino la formazione, partendo dagli
scritti giovanili per arrivare al ruolo che il negativo occupa all’interno della compiutezza del
sistema. Solo dopo aver compreso cosa il negativo e la negatività significhino nella
prospettiva filosofica hegeliana si poteva quindi giungere all’interpretazione heideggeriana
dei due concetti. Nel corso di questo cammino è emersa una lettura del negativo e della
negatività che affonda le sue radici in un terreno più profondo rispetto a quello che le
esigenze per l’edificazione del sistema imponevano a Hegel, cioè in un terreno esistenziale
prima che logico.
La terza parte (capitolo III) si è concentrata sull’interpretazione che Heidegger ha
dato della negatività hegeliana. Si è accordato ampio spazio all’interpretazione
heideggeriana della negatività stricto sensu, lavorando sugli appunti stesi da Heidegger nel
1938/39 e sulle parti inerenti a questo tema contenute nei Beiträge zur Philosophie, punto di
svolta dell’itineraraio di pensiero di Heidegger. Proprio partendo dal piccolo scritto sulla
Negatività, si è visto come Heidegger giunga alla sua interpretazione del problema del
negativo e del “non”, inscrivendoli all’interno della problematica del nulla e del suo
rapporto originario con l’Esserci. Successivamente si è tentato di mettere in evidenza come
il problema del nulla penetri con forza all’interno delle riflessioni dei due autori,
accennando a convergenze e divergenze che caratterizzano la specificità della filosofia di
Hegel e di Heidegger. Alla luce di ciò, si è potuta indagare anche la specificità che
l’approccio ermeneutica di Heidegger riserva al negativo così come Hegel lo aveva pensato,
specificità che tuttavia non è immune da fraintendimenti e da valutazioni di carattere
riduttivo.
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Il pensiero contemporaneo ha subito in modo evidente la seduzione del negativo,
sulla scia anche della riflessione hegeliana che, come riconosce Nietzsche, è stata la prima a
portare la contraddizione nel cuore stesso della filosofia e della storia, fecendone il nerbo
logico e dialettico, riconoscendone l’essenzialità per il manifestarsi del reale. Tale
seduzione, per certi aspetti, ha assunto le sembianze di una valorizzazione del negativo. Uno
degli indubitabili meriti della speculazione hegeliana è stato proprio quello di aver portato la
filosofia verso un confronto radicale e necessario con il negativo, senza prospettare alcuna
possibilità di fuga davanti a esso. Infatti, egli ha visto distintamente come la realtà tutta, in
senso sia storico sia ontologico, è intrisa di negatività. Tutto il pensiero contemporaneo,
come afferma Gadamer (Cfr. H. G. Gadamer/ J. Habermas, L’eredita di Hegel (1979), trad.
it. a cura di R. Racinaro, Liguori, Napoli 1988, p. 60 s.), non potrebbe essere metafisica nel
senso più alto della parola se l’eredità di Hegel non si fosse consegnata alla
contemporaneità, e «senza questa eredità della metafisica non sarebbe a noi stessi possibile
neanche soltanto comprendere che cos’è quella scienza che determina così profondamente la
nostra epoca» (Ivi, p. 62).
L’interpretazione heideggeriana del negativo hegeliano si inscrive, in tal senso,
all’interno dell’accettazione di questa eredità, tentando di ripensarla alla luce della
Seinsfrage e del limite a essa costitutivo.»
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