I PRINCIPI DEL SERVIZIO SOCIALE Serena Mancini, Miriana Nanut Assistenti Sociali del C.A.S.A. (Centro Alcologico Semiresidenziale Ambulatoriale) Alcol-Roma CRARL Centro di Riferimento Alcologico Regione Lazio I valori alla base del servizio sociale possono essere sintetizzati nei valori di dignità e libertà della persona. Tali valori sono esplicitati in documenti internazionali come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (ONU 1948), la Carta dei Diritti del Fanciullo (ONU 1959), la Convenzione Internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (New York 1965), la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (Strasburgo 1979), ecc., nonché la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza 2000). Un primo traguardo importante per gli assistenti sociali è stato il riconoscimento ufficiale della professione mediante l’istituzione dell’ordine professionale degli assistenti sociali (L. 23 marzo 1994, n. 84). La successiva importante conquista dopo questa, è stata l’emanazione del Codice Deontologico professionale dell’assistente sociale nel 1998, che ha ufficializzato i principi guida e ha assunto la funzione di sostenere la categoria professionale: «Esso giustifica per molte ragioni, in quanto rende pubbliche e manifeste le norme interne di una professione, forma e stimola una coscienza deontologica, dirige l’azione in casi concreti, favorisce l’unità professionale e ne incrementa l’autonomia, protegge gli utenti e infine protegge la professionalità, in quanto offre le basi non solo per le sanzioni, ma anche per l’autodifesa». I principi possono essere racchiusi in: Il Principio di Accettazione, Il Principio di Personalizzazione e Individualizzazione degli interventi, Il Principio del Rispetto e della Promozione della Globalità della Persona, Il Principio di Autodeterminazione, Il Principio del Rispetto e della Promozione dell’Uguaglianza, Il Principio della Riservatezza e/o Privacy e del Segreto Professionale. Il Principio di Accettazione Il rispetto verso la persona umana in quanto tale è legato al principio di accettazione di ogni persona per quello che è. L’assistente sociale crea durante i colloqui un’atmosfera di disponibilità all’ascolto e alla comprensione. Il non giudicare dell’assistente sociale nella relazione di aiuto indica una visione del bisogno non come fatto morale ma come fatto scientifico, quindi da studiare e comprendere. Il Principio di Personalizzazione e Individualizzazione degli interventi L’unicità e la soggettività di ciascun utente deve essere riconosciuta dall’assistente sociale per poter effettuare un intervento adatto al soggetto. Il Principio del Rispetto e della Promozione della Globalità della Persona L’assistente sociale deve considerare e accogliere la persona come "unica e distinta da altre analoghe situazioni" e deve saperla collocare "entro il suo contesto di vita, di relazione e di ambiente". Il professionista deve tendere a riconoscere e valorizzare l’utente e presuppone una nuova visione dell’intervento che non si incentra sulla cura della patologia, ma sul potenziamento di funzioni individuali e sociali - di apprendimento sociale, sostenendolo nell’uso delle risorse proprie e della società. In tal caso l’assistente sociale si ritrova a dover svolgere una funzione di raccordo e connessione di risorse. Il Principio di Autodeterminazione L’autodeterminazione è "l’atto secondo cui l’uomo si determina secondo la propria legge: espressione della libertà positiva dell’uomo, e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione”. Il servizio sociale valorizza la libertà come risorsa fondamentale, che deriva dal rispetto che va garantito ed assicurato alla persona, tale principio dovrà essere presente in ogni momento del processo di aiuto e in ogni relazione instaurata dall’assistente sociale. L’utente infatti, non è attore passivo nella relazione e nel processo di aiuto, ma ne deve essere il principale attore che si impegna attivamente, una volta consapevole delle proprie risorse, nel portare avanti, fase per fase, il proprio progetto personale per liberarsi dal suo bisogno. In questo progetto l’assistente sociale deve aiutare l’utente a procedere verso il raggiungimento degli obiettivi, ma non si deve sostituire a lui, per permettergli di prendere le sue decisioni in libertà e con responsabilità. Questo è un processo lento che richiede enorme pazienza, in cui l’assistente sociale si deve adattare possibilmente ai tempi degli utenti senza forzarli o affrettarli, riconoscendo i ritmi di ciascuno. Il Principio del Rispetto e della Promozione dell’Uguaglianza Tale principio deriva dal valore che ogni uomo è uguale ad un altro in quanto a dignità e a godimento dei diritti fondamentali, che porta l’assistente sociale a svolgere la sua azione professionale senza alcuna discriminazione di alcun genere ("di età, di sesso, di stato civile, di razza, di nazionalità, di religione, di condizione sociale, di ideologia politica, di minorazione mentale o fisica, o di qualsiasi differenza o caratteristica personale"). Il Principio della Riservatezza e/o Privacy e del Segreto Professionale Il Capo III del Titolo III del Codice Deontologico è interamente dedicato alla riservatezza e al segreto professionale. Come prerogativa si sottolinea che la riservatezza e il segreto professionale sono diritto dell’utente e dovere dell’assistente sociale. METODI E TECNICHE DEL SERVIZIO SOCIALE Con il “processo d’aiuto” vengono attivati percorsi pianificati e complessi per cercare di trovare una risposta alla richiesta dell’utente. Il soggetto portatore del problema assume un ruolo assolutamente centrale e protagonista e la relazione professionale d’aiuto costituisce il tessuto connettivo del processo stesso nelle sue diverse fasi metodologiche, come enunciate precedentemente. I soggetti implicati sono: - l’utente l’assistente sociale il servizio l’ambiente di vita della persona nel suo complesso la comunità sociale Gli strumenti tipici del servizio sociale sono: - il colloquio la visita domiciliare il contratto le riunioni d’équipe il lavoro con il gruppo la documentazione professionale il lavoro di rete Il servizio sociale deve operare in base ad una metodologia scientifica e ad un sistema disciplinare teorico, cioè in base ad un modello, in grado di sostenere l'azione professionale e la sua multifunzionalità. Il modello è definibile come schema teorico di riferimento, come costruzione ipotetica, con funzione euristica ed orientativa della prassi. Va precisato che non vi è un solo modello teorico e che i modelli non sono dati a priori, ma sono strumenti scientifici che vanno costruiti sulla base della prassi operativa, della sperimentazione e della ricerca, alla luce di ipotesi teoriche dalla combinazione del saper fare e del sapere teorico, scaturisce, infatti, il "sapere professionale" che troverà applicazione nella prassi e della prassi trarrà gli elementi per la concettualizzazione di nuovo sapere professionale (prassi-teoria-prassi, teoria-prassi-teoria). I modelli utilizzati oggi, vedono la persona non è più come destinataria-consumatrice dell'aiuto, ma come protagonista consapevole dello stesso, con simmetrica responsabilità, seppur con ruoli differenti, rispetto agli altri soggetti dell'aiuto e del processo di sviluppo. I riferimenti dell'azione diventano contestualmente la persona ed il territorio. Di seguito tra i modelli teorici più seguiti: • Problem solving (H. Perlman), • Modello Psico-sociale (F. Hollis), • Modello di modificazione del comportamento (D. Jehu, B. Sheldon), • Modello centrato sul compito (W. Reid, L. Epstein), • Modello esistenziale (C. Germain), • Modello unitario (H. Goldstein), • Modello integrato (A. Pincus, A. Minahan), • Modelli di rete (diversi autori e modelli teorico operativi). Il modello di riferimento usato presso il centro diurno del CRARL è soprattutto quello Psico-Sociale, che aderisce appunto al modello Bio-Psico-sociale esposto precedentemente.