Comitato No Lombroso c/o Domenico Iannantuoni, Via Bernardino

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Milano 06/05/2013
Raccomandata a.r.
Ill.mo Ministro per i Beni e le Attività Culturali
con delega al Dipartimento per il Turismo
Preg.mo On.le Massimo Bray
Via del Collegio Romano, 27
00186 Roma
Oggetto: Sepoltura delle spoglie trattenute nel Museo di Antropologia Criminale
"Cesare Lombroso" di Torino.
Ill.mo Ministro On.le Massimo Bray,
Le scrive il Comitato Tecnico Scientifico "No Lombroso", per sottoporre alla Sua
attenzione una vicenda che riguarda da vicino il MIBAC, pur coinvolgendo aspetti di ordine storico,
scientifico, sociale e perfino giuridico che farebbero apparire come complementare il ruolo del suo
Ministero. Appare utile, innanzitutto, chiarire origini e motivazioni del nostro organismo.
Il Comitato Tecnico Scientifico "No Lombroso" è sorto a Milano, nel maggio del 2010, a
stretto seguito di quanto operato dall'Università degli Studi di Torino, in modo del tutto inatteso, nel
novembre 2009. In tale periodo è avventuta l'apertura al pubblico del Museo di Antropologia
Criminale "Cesare Lombroso", ossia la plateale riproposta, all'attenzione del Paese, di teorie
scientificamente inconsistenti e di chiara impronta razzista «elaborate» da Cesare Lombroso.
Oggi è acclarata l'opera nefasta svolta da questo famigerato medico, auto-proclamatosi
scienziato, fondatore di una dottrina erronea nei presupposti e nelle congetture in quanto poggiata
sulla tesi dell'uomo delinquente nato o atavico, riconoscibile dalla semplice misurazione
antropometrica del cranio. Ossia, un individuo che recherebbe in sé, nella propria struttura fisica, i
caratteri degenerativi che lo differenzierebbero dall'uomo normale e socialmente inserito.
Gli studi di fisiognomica e frenologia forense, infelici scientificamente ed eticamente, fecero
purtroppo presa sulla società del tempo tanto che ne rimasero gravemente condizionati anche le
indagini e i processi penali. Sotto l'influenza della cosiddetta teoria positivista, di cui Lombroso fu
uno dei massimi fautori, divenendo nell'immaginario collettivo l'altisonante padre del «criminale
per natura», i magistrati, per cogliere i tratti antisociali e il presunto carattere delinquenziale degli
imputati, presero a fare affidamento sui lineamenti dei loro volti. Si guardava, cioè, all'aspetto fisico
dei sospettati, perché Cesare Lombroso, nei suoi propagandati studi, aveva rinvenuto come fosse
questa connotazione a individuare infallibilmente il criminale.
I teoremi lombrosiani hanno rappresentato il fondamento di dottrine razziste, facendo sì che
nel corso dell'Ottocento, nella nostra nazione, prendesse vita la rovinosa teoria sulle «Due Italie».
Nel periodo post-unitario, Lombroso e i suoi seguaci operarono incisivamente nel pregiudicare la
matrice unitaria e la coesione nazionale, nuocendo ad un equilibrato sviluppo del Paese e
applicando malevolmente, all'interno della Penisola, le teorie sulle presunte inferiorità razziali. Il
Sud divenne vittima di una pesante discriminazione, fomentata dall'idea razzista elaborata da
Cesare Lombroso e dai suoi discepoli (Luigi Pigorini – Giuseppe Sergi – Alfredo Niceforo i cui
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Tel. 02-89517853 - Sito web: www.nolombroso.org mail ordinaria: [email protected] mail
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scritti di profonda impronta anti-meridionale e razzista in generale sono oggi all'indice della
comunità scientifica nazionale e internazionale anche con espresso divieto di pubblicazione di
alcune loro opere).
Nel quadro appena delineato, il Comitato Tecnico Scientifico "No Lombroso", con la sua
attività, intende ribadire il disvalore scientifico delle teorie criminologiche e di arbitraria devianza
sociale, come sostenute da Cesare Lombroso, fomento di derive discriminatorie per colpire
chiunque si discostasse dal dissennato paradigma di «normalità» elaborato dal cattivo maestro
veronese.
Il nostro Comitato si propone di dedicare il suo impegno a difesa dei più solidi valori umani,
sollecitando un disegno di legge che metta al bando la memoria di uomini colpevoli direttamente o
indirettamente di delitti connessi con crimini di guerra o di razzismo. Questo impegno, ad oggi,
risulta rafforzato dal sostegno di numerose personalità della cultura e delle istituzioni, le quali
hanno aderito all'iniziativa come prestigiosi testimonial: citiamo in proposito i giornalisti-scrittori
Lorenzo Del Boca, Pino Aprile, Lino Patruno, Gigi Di Fiore, Romano Pitaro, l'analista politicoeconomico Giuseppe Romeo, Mimmo Gangemi, poi gli attori-registi Ulderico Pesce, Roberto
D'Alessandro, Lino Angiuli, il già magistrato presso la Suprema Corte di Cassazione Dott.
Romano De Grazia, i docenti universitari Gandolfo Dominici, Marco Rocchi, Luca Pazzi, Franz
Foti, i cantautori-musicisti Mimmo Cavallo ed Eugenio Bennato.
Non solo, perché sono numerose le amministrazioni comunali e i sindaci dell'intera Penisola
che hanno assunto il medesimo ruolo: i Comuni di Bari, Lecco, Valmadrera, Garlate, Cassago
Brianza, Mandello del Lario, Bosisio Parini, Civate, Malgrate, Aprigliano, Sonnino,
Botricello, Sellia Marina, Rogeno, Torre Ruggiero, Abbadia Lariana, San Giovanni in Fiore,
Crucoli, Carlopoli, Castiglione di Sicilia, San Pietro Apostolo, Bucciano, Lamezia Terme,
Napoli , Acquaformosa ed il sindaco di Cosenza Prof. Arch. Mario Occhiuto, ancora le città di
Francavilla Angitola, Filadelfia ma anche la Regione Calabria e la Provincia di Catanzaro,
mentre si segnala pure la delibera del Consiglio Comunale di Torino volta alla sepoltura dei resti
umani esposti presso il museo “Lombroso” su richiesta del nostro Comitato e presentata dal
consigliere Domenico Mangone ed in ultimo il consenso dell’Arcivescovo di Torino Mons.
Cesare Nosiglia e quindi quello recente del Vescovo di Lamezia Terme Mons. Luigi Antonio
Cantafora.
E’ anche importante segnalare che il Consiglio comunale di Torino, con mozione
approvata il 14 gennaio 2013, ha impegnato il Sindaco, On.le Piero Fassino, a promuovere ogni
iniziativa affinché si giunga alla sepoltura dei resti trattenuti senza alcuno scopo scientifico nel
Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso”, anche attraverso la restituzione delle spoglie
ai discendenti o Amministrazioni Comunali di origine che ne abbiano fatto richiesta.
Orbene, Ill.mo Ministro Bray, nel corso della sua carriera di «profeta» del verbo
criminologico Cesare Lombroso procedette all'esame-sezionamento di migliaia di crani di esseri
umani, pervenuti nelle sue mani con modalità e percorsi del tutto abnormi e fuori da ogni
regolamentazione, con i quali allestì un grottesco e clandestino museo privato. Nel 1876, poi, il
preteso ricercatore pubblicò per l'editore Hoepli il "Trattato analogico sperimentale dell'Uomo
delinquente", più noto semplicemente come "L'Uomo delinquente". Il testo descrive l'autopsia di
circa 832 presunti malviventi, tra cui il sezionamento del cranio di Giuseppe Villella, menzionato
come «brigante» calabrese (tralasciamo in questa sede ogni riferimento a quanto oggi accertato
sulla vera origine e natura del fenomeno frettolosamente definito «brigantaggio»).
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Deciso a divenire il precursore della nuova antropologia, Cesare Lombroso aveva diretto i
suoi balzani studi verso i pazzi e, soprattutto, i criminali, alla ricerca delle stigmate della primitività
delinquenziale. Uno degli iniziali casi affrontati fu proprio quello di Giuseppe Villella, anziano
contadino di Motta Santa Lucia, arrestato nel catanzarese in applicazione della famigerata legge
Pica e trasferito successivamente nel carcere di Vigevano, in quanto sospettato di brigantaggio e
sempre dichiaratosi innocente (deceduto poi nell'ospedale di Pavia per le pessime condizioni di
salute seguite alla sofferta detenzione). Sul cranio di Villella il medico veronese riscontrò presunte
anomalie, ritenute idonee a svolgere una certa influenza sull'attività del cervelletto. La scarsa
metodologia e gli inesistenti protocolli scientifici seguiti, permisero a Cesare Lombroso di sostenere
che le apparenti anomalie descritte fossero imputabili ad un «arresto allo stato fetale dello sviluppo
del cervello», da cui l'immediato confronto con i primati e l'idea di un nesso tra l'evoluzione della
specie e i comportamenti nel contesto sociale. I caratteri atavici, secondo Lombroso, motivavano le
manifestazioni anomale della condotta degli individui, scaturenti non già da un atto di scelta
volontario e cosciente, bensì da marcate deviazioni nella struttura fisica.
In pratica, attraverso l'accurata «perlustrazione scientifica» dei tratti anatomici di Giuseppe
Villella – il cui cranio è tuttora esposto in bella mostra nel Museo "Cesare Lombroso" di Torino – il
fantomatico precursore dell'antropologia criminale ritenne di aver individuato i segni distintivi del
«delinquente per natura» (con successivo e facile discredito verso la popolazione calabrese e
meridionale in genere, affetta, per proprietà transitiva non certo sottaciuta nei demenziali scritti
lombrosiani, dallo stesso difetto atavico addossato al Villella).
Il cranio di Giuseppe Villella, negli anni successivi alla celebre «illuminazione» suscitata in
Cesare Lombroso, divenne una vera e propria icona di quel razzismo scientifico di cui Lombroso fu
artefice, soprattutto con l'accennata e deleteria deriva sulle «Due Italie».
Ebbene, Ill.mo Ministro Bray, l'Amministrazione Comunale di Motta Santa Lucia, comunità
di origine di Giuseppe Villella, ha avanzato una prima richiesta, ai responsabili del Museo “Cesare
Lombroso” (Università di Torino), per ottenere la restituzione delle spoglie del concittadino
Villella, al fine di procedere a dignitosa e cristiana sepoltura. Tale iniziativa avveniva sulla base
dell'art.4, comma 4°, del Codice Etico ICOM (International Council of Museums), rubricato “Ritiro
dall'esposizione al pubblico”, il quale così recita: “Il museo è tenuto a rispondere con prontezza,
rispetto e sensibilità a eventuali richieste avanzate dalle comunità di origine di ritirare
dall'esposizione al pubblico resti umani oppure oggetti sacri o di valore rituale. Analogamente,
dovrà rispondere prontamente a eventuali richieste di restituzione dei materiali. La politica
adottata dai musei deve stabilire con precisione le procedure da seguire nell'ottemperare a tali
richieste”.
Poiché la legittima ed etica richiesta non ha ottenuto riscontro dai curatori del Museo di
Torino, l'Amministrazione Comunale di Motta Santa Lucia si è vista costretta ad adire le vie legali
avverso l'Università del capoluogo, a cui il Museo “Lombroso” fa capo, promuovendo un ricorso
presso il Tribunale di Lamezia Terme (competente in quanto nella sua circoscrizione va eseguita
l'obbligazione di tumulare i resti di Giuseppe Villella). Il Comitato Tecnico Scientifico “No
Lombroso”, in linea con la sua origine e i suoi scopi, ha ritenuto di entrare nel giudizio con
intervento ad adiuvandum, per sostenere le ragioni del Comune calabrese. L'esito di questa azione
giudiziaria è stato favorevole per il ricorrente, in quanto il Tribunale, con ordinanza del 3 ottobre
2012, riconosceva fondata la domanda proposta, condannando l'Università degli Studi di Torino alla
restituzione del cranio di Giuseppe Villella al Comune di Motta Santa Lucia, nonché alle spese di
trasporto e tumulazione.
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Non accettando il verdetto del giudice di primo grado, l'Università di Torino ha impugnato
dinanzi alla Corte di Appello di Catanzaro l'ordinanza che la vede soccombente, ottenendo al
contempo la sospensione dell'esecutività e/o dell'esecuzione del provvedimento di condanna. La
stessa Corte di Appello, successivamente, ha rinviato il procedimento dinanzi a sé al dicembre 2014
per la sua decisione
Per chiarire i termini della questione, Ill.mo Ministro Bray, va detto che il giudice di
Lamezia Terme, nella sua ordinanza, riteneva la domanda del Comune fondata alla luce della
documentazione allegata dalle parti, ossia: la lettera di risposta che l'interveniente Comitato “No
Lombroso” ha ricevuto dal capo pro-tempore del D.A.P. - Dipartimento dell'Amministrazione
Penitenziaria - Ministero della Giustizia, Dott. Franco Ionta (allegata alla presente), insieme alla
Circolare del Ministero dell'Interno/Direzione Generale delle Carceri – Cadaveri dei condannati»,
emanata il 14 settembre 1883. Nella sua missiva, il Dott. Ionta comunicava che: «...in merito alla
questione dell'utilizzo dei cadaveri dei detenuti deceduti in carcere, a partire dalla seconda metà
del XIX secolo atti ufficiali permettono di ricostruire l'iter regolamentare che autorizzava le facoltà
di medicina a richiedere, per finalità “scientifiche”, i cadaveri dei detenuti per sottoporli ad
autopsia al fine di rilevare anomalie secondo il paradigma scientifico dell'Antropologia Criminale.
Nei suddetti atti non vi sono riscontri in merito alla conservazione di tali reperti presso sedi
museali». Il riferimento era proprio alla Circolare ministeriale del 1883, la quale stabiliva:
«...accettato dal Rettore il cadavere messo a sua disposizione, vadano a carico dell'Università, non
solo le spese di trasporto del cadavere stesso, ma anche della sepoltura che si eseguirà sempre con
le norme stabilite dall'art.439 del Regolamento dianzi citato...”. Il Regolamento in questione è il
Regolamento delle Case di Pena del 13 gennaio 1863, il quale recita testualmente: “La sepoltura
dei condannati resisi defunti in uno stabilimento di pena vuol essere sempre e senza eccezione
eseguita more pauperum e conformemente a quanto si pratica per gli altri defunti miserabili della
parrocchia. Il cappellano dello stabilimento ha l'obbligo di celebrare una messa in suffragio di
ciascun defunto».
Alla luce di quanto esposto, Ill.mo Ministro Bray, appare evidente come l'autopsia su
Giuseppe Villella, compiuta da Cesare Lombroso nel 1864, ma, soprattutto, l'appropriazione del suo
cranio (insieme a centinaia di reperti umani sottratti a istituti di pena della Penisola) sono avvenuti
al di fuori di qualsiasi autorizzazione istituzionale o ministeriale. L'assurdo accumulo di teschi e
reperti con cui fu allestito l'irregolare museo privato di Cesare Lombroso, trasferito, nel 1876, nel
Laboratorio di Medicina Legale dell'Università di Torino e oggi nelle sale del Museo di via Giura,
comprende proprio quel cumulo indistinto di resti osteologici che Lombroso si procurò in spregio di
qualsiasi idonea autorizzazione.
A ciò va aggiunto che quanto fin qui accertato costituisce palese violazione di quanto
dispone proprio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, attualmente nella Sua titolarità, Ill.mo
Ministro Bray. Infatti, nell' “Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di
funzionamento e sviluppo dei musei”, in ossequio al disposto dell'art.150, comma 6°, D. Lgs.
n.112/1998, l'Ambito VI, comma 2° dell'Atto di indirizzo citato, statuisce che: “...gli oggetti devono
essere acquisiti coerentemente con le linee stabilite dal museo e deve essere sempre documentata la
loro legittima provenienza”!
Ma non è finita, perché lo stesso Codice Etico ICOM, all'art.2, “Acquisizione delle
collezioni”, comma 2°, “Titolo valido di proprietà”, stabilisce, in sintomatico ossequio al diritto:
“Nessun oggetto o esemplare deve essere acquisito per acquisto, dono, prestito, lascito o scambio,
se il museo acquirente non ha la certezza dell'esistenza di un valido titolo di proprietà...”!
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Ebbene, Ill.mo Ministro Bray, i responsabili del Museo “Cesare Lombroso” continuano a
richiamarsi alla pretesa natura di «bene culturale», relativamente al cranio di Giuseppe Villella e
alle centinaia di crani accumulati da Cesare Lombroso e oggi esposti a Torino. Ebbene non si vede
come, nel contesto di discutibile legittimità appena delineato, si possa invocare una tutela
istituzionale assolutamente infondata. Di più, persino nella ipotetica presenza di una valutazione
amministrativa in merito (che in questo caso risulta assente), l'art.5, L. 20 marzo 1865, n.2248,
all.E, “Legge Abolitrice del Contenzioso”, consente al giudice ordinario di disapplicare l'atto
amministrativo ove ne riscontri la illegittimità, quando l'atto amministrativo costituisce semplice
oggetto di accertamento incidentale e si dibatte su un diritto soggettivo (come quello vantato dal
Comune di Motta Santa Lucia). Il giudice, cioè, in questo caso, ha il potere di decidere la questione
sottoposta alla sua cognizione come se l'atto stesso non esistesse.
Inoltre, risulta del tutto inapplicabile il D.Lgs. n.42/2004, “Codice dei Beni Culturali e del
Paesaggio”, poiché appare fuorviante definire «collezione o raccolta» inalienabile ossia bene
culturale demaniale l'accumulo indistinto di teschi (pur con i loro nomi e cognomi) esposto nel
Museo “Cesare Lombroso”: sono presenti diverse centinaia di crani (in origine oltre
duemilacinquecento) privi in sé di specificità alcuna e assommati al di fuori di ogni regola
(appropriandosene illegittimamente come confermato dal Ministero della Giustizia) da un visionario
e sconvolto medico ottocentesco (alleghiamo un'immagine fotografica che dà l'idea di quanto
riportato). Risulterebbe impossibile, perciò, ogni attività di registrazione, descrizione e
classificazione a quanto richiesto dall'attuale normativa, in modo da documentare i singoli beni e
archiviarne le informazioni secondo precisi criteri: come potrebbero catalogarsi, d'altra parte,
centinaia di teschi tutti uguali, forse in base al DNA?
Non si vede la ragione, onestamente, per cui nel Museo “Cesare Lombroso” continuino ad
essere esposti resti umani simulacro di una scienza falsa e più vicina alla stregoneria, come
sottolineato dagli stessi curatori nella guida-testo alla visita del Museo (nonché ribadito da una voce
narrante): “...Lombroso ritiene che nel criminale, e talvolta anche nel folle, riaffiorino caratteri
ancestrali scomparsi nell'uomo moderno...Ma siamo di fronte a un errore scientifico...Oggi
sappiamo che la fossetta del cranio di Villella non è un carattere primitivo, e tanto meno la prova
della sua biologica predisposizione a delinquere...”. E come può, dopo quanto appena evidenziato,
rimanere indecorosamente esposto il cranio di Giuseppe Villella e quelli, a centinaia, dei suoi
sventurati compagni di restrizione? Non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di resti umani,
appartenenti a persone che ci hanno preceduto e che meritano tutto il rispetto possibile!
Quanto appena illustrato è tanto vero che lo stesso Consiglio Comunale di Torino, nella
seduta del 14 gennaio scorso, ha approvato una mozione con cui: “...impegna il Sindaco e
l'Amministrazione Comunale a promuovere ogni iniziativa che rientri nelle proprie competenze,
affinché si giunga alla restituzione delle spoglie trattenute nel Museo di Antropologia Criminale
“Cesare Lombroso” di Torino ai discendenti o alle Amministrazioni Comunali di origine che ne
avessero fatto richiesta, ovvero, per i resti incogniti, che nessuno può reclamare, accogliere la
disponibilità manifestata da Don Antonio Loffredo, parroco del Rione Sanità di Napoli, affinché
tali resti vengano inumati nel Cimitero delle Fontanelle di Napoli, altresì luogo di asilo dei perduti
per eccellenza”.
Augurandoci di non aver abusato della Sua pazienza, Ill.mo Ministro Bray, nel nostro
intento di illustrare con chiarezza i termini sostanziali di una vicenda che tocca il MIBAC, ci
facciamo promotori di un umile sollecito nei Suoi confronti. Le saremmo grati se, preso atto di
come appaiano sempre più insostenibili le posizioni dei curatori del Museo “Lombroso” di Torino,
Comitato No Lombroso c/o Domenico Iannantuoni, Via Bernardino Verro, 12 20141 Milano
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in spregio della stessa comunità scientifica internazionale poiché da alcuni decenni i resti umani
sono stati ritirati dalle esposizioni in Paesi come gli Stati Uniti, Nuova Zelanda, Australia e molti
altri, Voglia intraprendere quanto rientri nella Sue competenze affinché siano avviate a legittima,
etica e cristiana sepoltura delle spoglie trattenute nel Museo “Cesare Lombroso” di Torino, nonché
rimessa in discussione anche l’improvvida intitolazione museale ad una persona che si è macchiata
di razzismo.
Sul suo sito Internet, Ill.mo Ministro Bray, c'è l'affermazione, coerente con una personalità
dalla profonda preparazione, sull'impegno motivato dal credere che «la cultura possa essere il
modo migliore di ricostruire il nostro Paese...», insieme alla convinzione che «grazie alla
cultura il Mezzogiorno possa mostrare la sua migliore identità... ».
Riteniamo che il Suo impegno a sostegno dei nostri intenti, Ministro Bray, rappresenti un
aspetto non secondario al fine di vedere realizzati entrambi i propositi appena formulati.
Restiamo a Sua completa disposizione per ogni eventuale necessità di chiarimento in merito
alla nostra attività ormai lunga, segnata anche da azioni parlamentari nonché giudiziarie che hanno
confermato le nostre ragioni ma che all’atto pratico ancora non hanno trovato esito concreto.
Con osservanza,
Dott. Ing. Domenico Iannantuoni
Comitato Tecnico Scientifico “No Lombroso”
Allegato: Risposta scritta del Ministero della Giustizia, Report Fotografico.
Occorrendo informazioni su quanto ad oggi fatto dal Comitato Tecnico Scientifico No Lombroso: WebSite
www.nolombroso.org
mail
[email protected]
Telefono 338-4146300
Seguono alcune fotografie scattate all’interno del museo in occasione della visita della delegazione parlamentare nel
Luglio del 2010
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