Crisi dell`Euro e deflazione

annuncio pubblicitario
Crisi dell’euro e deflazione
Condizioni necessarie per completare il progetto di unificazione europea, o fine del “sogno”?
Novembre 2014
Indice
Perché l’euro, da solo, non può funzionare
Il concetto di area valutaria ottimale
La zona euro è un’area valutaria ottimale?
L’eurozona al bivio
Le riforme strutturali
L’ “austerità”
L’unione fiscale
Cosa può fare la politica monetaria
Il dissolvimento dell’euro
Bibliografia
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 2/19
Perché l’euro, da solo, non può funzionare
Il concetto di area valutaria ottimale
Nel tempo, la letteratura economica ha individuato alcuni requisiti giudicati necessari affinché differenti Paesi, dotati ciascuno di una
propria moneta, possano rinunciarvi, decidendo di condividere un’unica moneta senza che ciò provochi squilibri tra di loro.
Quando tali requisiti, che elenchiamo nel seguito, sono tutti soddisfatti, si parla di area valutaria ottimale (AVO).
La mobilità dei fattori di produzione
I fattori produttivi (capitale e lavoro) devono potersi rapidamente spostare all’interno di una AVO. Un ruolo
chiave è assegnato al fattore lavoro, poiché i lavoratori dei Paesi in crisi devono poter trovare occupazione in
quelli in espansione.
La flessibilità dei salari
In assenza di un tasso di cambio che, indebolendosi, consenta ai Paesi in crisi di recuperare competitività,
è necessario che i salari assolvano a tale compito. I salari all’interno dei Paesi in crisi dovranno dunque
ridursi rapidamente rispetto a quelli dei paesi in espansione.
La diversificazione produttiva
I Paesi dell’AVO devono disporre di un sistema produttivo diversificato; a maggiore diversificazione,
infatti, corrispondono minori probabilità che si realizzino al suo interno forti crisi che, per essere risolte,
richiedano l’elasticità del tasso di cambio.
L’apertura al commercio estero
Un Paese molto aperto al commercio estero può condividere la moneta con altri, poiché trae relativamente pochi
vantaggi dalle svalutazioni che, aumentando i prezzi dei beni importati, indurrebbero simili aumenti anche nei
prezzi dei beni prodotti all’interno, vanificando rapidamente i benefici derivanti dalla svalutazione.
La convergenza dei tassi di inflazione
All’interno di una AVO si deve osservare un unico tasso di inflazione: se ciò non accade i Paesi ad inflazione
inferiore divengono più competitivi degli altri e ne derivano squilibri commerciali e finanziari all’interno
dell’unione monetaria non sanabili attraverso le oscillazioni dei tassi di cambio.
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 3/19
Perché l’euro, da solo, non può funzionare
La zona euro è una AVO?
La mobilità dei fattori di produzione
Il capitale
Nell’eurozona i movimenti di capitale sono completamente liberalizzati, ma tale libertà è effettivamente osservabile
per i capitali finanziari, mentre gli investimenti produttivi incontrano ancora alcune difficoltà, legate alle differenze
legislative ed alla burocrazia.
Il lavoro
Anche i movimenti delle persone sono liberi, ma questa precondizione alla mobilità dei lavoratori non è di per sé
sufficiente a garantire lo spostamento della forza lavoro dai paesi in crisi verso quelli più forti.
Esistono infatti barriere culturali, linguistiche e legislative non indifferenti.
Per questo motivo gli unici flussi di manodopera di un certo rilievo sono quelli di giovani ad elevata professionalità, che
si muovono dalle zone periferiche verso quelle “core” dell’eurozona.
Ma non è questa emigrazione elitaria che può risolvere una crisi che, nei paesi periferici, ha prodotto tassi di
disoccupazione elevatissimi soprattutto fra i lavoratori meno qualificati.
Ciò che potrebbe riequilibrare le disparità fra i Paesi sarebbero movimenti migratori di massa, simili a quelli che, in
Italia, si sono realizzati nel dopoguerra, ma, come detto, tali movimenti non sembrano realizzabili a livello
europeo.
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 4/19
Perché l’euro, da solo, non può funzionare
La zona euro è una AVO?
La flessibilità dei salari
«La critica più seria all’Unione monetaria è che abolendo gli aggiustamenti
del tasso di cambio trasferisce al mercato del lavoro il compito di adeguare la
competitività e i prezzi relativi [...] diventeranno preponderanti recessione,
disoccupazione (e pressioni sulla Bce affinché inflazioni l’economia).»
Rudiger Dornbusch, 1996
Tasso di cambio e salari: Italia e Germania a confronto
Si osservi la figura sottostante, in cui si confrontano
il tasso di cambio lira/marco (che ovviamente
diventa fisso con l’avvento dell’euro) con il rapporto
fra il salario medio italiano e quello tedesco che,
scendendo/salendo, indica una
migliorata/peggiorata competitività dell’Italia rispetto
alla Germania. Si può facilmente osservare che alla
crisi dei primi anni ’90 l’Italia rispose svalutando la
lira (il cui deprezzamento spiega la riduzione dei
salari italiani rispetto a quelli tedeschi) e
recuperando competitività.
La “Grande Recessione”, innescata nel 2007 dal
fallimento di Lehman Brother’s e dalla crisi dei
mutui sub-prime, è stata la prima crisi a cui l’Italia
ha dovuto far fronte dalla nascita dell’euro. Alla
svalutazione della moneta, quindi, si è dovuta
sostituire l’assai più dolorosa svalutazione interna,
ossia la riduzione dei salari.
Si noti che nel triennio 2011/2013 il recupero di
competitività è stato circa la metà di quello ottenuto
nel quadriennio 1992/1995 utilizzando la leva del
cambio.
Fonte: elaborazioni Cellino e Associati SIM su dati OCSE
Crisi dell’euro e deflazione
Se ne può concludere che nell’eurozona la
flessibilità dei salari non è stata per ora tale da
sostituirsi a quella garantita in precedenza dai
tassi di cambio.
Torino, novembre 2014 5/19
Perché l’euro, da solo, non può funzionare
La zona euro è una AVO?
L’eurozona e l’UE
La diversificazione produttiva
La diversificazione produttiva è ovviamente proporzionale alle
dimensioni del Paese. E’ evidente che i Paesi minori dell’eurozona
non possono raggiungere un grado di diversificazione
paragonabile a quello dei Paesi di grandi dimensioni.
L’apertura al commercio estero
L’eurozona è parte di una più ampia unione commerciale
(l’Unione Europea): i Paesi che vi partecipano, dunque,
presentano un buon grado di apertura al commercio estero, sia
all’interno dell’area, sia al suo esterno.
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 6/19
Perché l’euro, da solo, non può funzionare
La zona euro è una AVO?
La convergenza dei tassi di inflazione
Sebbene condividano da oltre 10 anni la medesima moneta, non sembra che i paesi dell’eurozona siano riusciti a sperimentare
tassi di inflazione simili.
Al pari del livello dei salari, infatti, un livello generale dei prezzi più elevato in un Paese rispetto ad un altro ne limita la
competitività. Tale disallineamento, in un regime di cambi flessibili veniva sanato dal deprezzamento del cambio, mentre in un
regime di cambi fissi genera tensioni difficilmente superabili.
Indice dei prezzi al consumo in alcuni paesi dell’eurozona
Fonte: elaborazioni Cellino e Associati SIM su dati FactSet
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 7/19
Perché l’euro, da solo, non può funzionare
La zona euro è una AVO?
La convergenza dei tassi di inflazione
La figura mostra l’inseguimento fra il differenziale di inflazione fra Italia e Germania ed il tasso di cambio fra le rispettive valute. Al
termine dei periodi in cui l’inflazione era stata più alta in Italia che in Germania, sono sempre seguite svalutazioni della lira e viceversa.
L’ultimo episodio risale alla crisi del 1992 e si risolse con una svalutazione superiore al 20% che riportò il tasso di cambio nominale in
linea con il livello dei prezzi dei due Paesi. Come si può notare, la rivalutazione della lira che si realizzò fra il 1995 e il 1996 sanò uno
squilibrio di segno opposto e condusse Italia e Germania ad entrare nell’euro ad un tasso di cambio equilibrato. Questa osservazione
concorre a confutare l’affermazione che attribuisce la crisi ad un cambio della lira sopravvalutato al momento della nascita dell’euro.
Nonostante l’avvio sia avvenuto su basi
equilibrate, l’adozione di una moneta unica non
Tasso di cambio e differenziale di inflazione:
ha condotto all’allineamento dei tassi di inflazione
Italia e Germania nel lungo periodo
e perciò da una situazione inizialmente
equilibrata si è rapidamente arrivati ad un nuovo
squilibrio.
Oggi l’Italia si trova in una condizione simile
a quella del 1992, ma ora, non potendo agire sul
tasso di cambio, il riequilibrio dovrà avvenire
attraverso un lungo periodo di tassi di inflazione
inferiori a quelli tedeschi.
L’impresa, già ardua se in Germania l’inflazione
si attestasse al 2%, è pressoché impossibile con
l’inflazione tedesca allo 0,8%.
Fonte: elaborazioni Cellino e Associati SIM su dati FactSet
Crisi dell’euro e deflazione
Si comprende dunque la preoccupazione di
Mario Draghi nel cercare in ogni modo di far
risalire l’inflazione nell’eurozona su livelli che
agevolino il recupero di efficienza dei Paesi
periferici.
Torino, novembre 2014 8/19
Perché l’euro, da solo, non può funzionare
La zona euro è una AVO?
Conclusioni
La mobilità dei fattori di produzione
E’ perfettamente valida solo per i capitali finanziari,
mentre il fattore lavoro ed i capitali produttivi sono
solo parzialmente mobili.
La flessibilità dei salari
E’ inadeguata a sostituirsi al tasso di cambio per
risolvere rapidamente gli squilibri di competitività.
La diversificazione produttiva
Non tutti i paesi dell’eurozona hanno una diversificazione
produttiva adeguata.
Non si può considerare l’eurozona
una AVO
L’apertura al commercio estero
E’ probabilmente l’unico requisito di una AVO presente
nell’eurozona: si noti però che, secondo i più, è anche
quello meno rilevante.
La convergenza dei tassi di inflazione
Non si è realizzata, nonostante la presenza di una
moneta unica.
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 9/19
L’eurozona al bivio
Le riforme strutturali
La politica europea insiste sulla necessità di procedere sulla strada delle cosiddette riforme strutturali e dell’austerità, quale
unica via per rendere l’euro sostenibile.
Alla luce di quanto sin qui detto, lo scopo delle riforme strutturali è piuttosto evidente: trasformare l’eurozona in una AVO.
Pensando in modo particolare all’Italia (ma l’esercizio potrebbe essere esteso a tutti i paesi periferici) è facile rintracciare il
nesso fra le riforme considerate più urgenti ed alcune delle principali caratteristiche di una AVO.
Riforme
Impatto sulla AVO
Riforma del mercato del lavoro
Flessibilità dei salari
Liberalizzazioni
Lotta alla corruzione
Riforma della Giustizia
Riforma del mercato del lavoro
Snellimento della burocrazia
Capacità di attrarre investimenti produttivi dall’estero
Liberalizzazioni
Riforma del mercato del lavoro
Contenimento e allineamento della dinamica inflattiva
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 10/19
L’eurozona al bivio
L’ “austerità”
Con il termine austerità si intende una politica di bilancio restrittiva, volta a ridurre la spesa pubblica e quindi il debito. Tale politica è
giustificata dall’assunto, non condivisibile, che il debito pubblico sia la causa della crisi e che quindi vada abbattuto.
Come noto, l’alfiere di questa visione della crisi, e quindi la principale sostenitrice delle politiche di austerità, è la Germania, guidata
dalla cancelliera Angela Merkel.
Rapporto Debito/PIL dei PIIGS e della Germania
La figura mostra in modo
piuttosto evidente che il
rapporto Debito/PIL dei
cosiddetti PIIGS (Portogallo,
Irlanda, Italia, Grecia e
Spagna) risultava in costante
miglioramento fino alla vigilia
della crisi dei mutui sub-prime
negli USA, al contrario di
quanto invece stava
accadendo in Germania.
L’esplosione del debito è un
fenomeno successivo alla
diffusione in Europa nel 2008
della recessione proveniente
dagli USA.
Dunque, lungi dall’esserne
una causa, la crescita del
debito è chiaramente un
effetto della crisi.
Fonte: elaborazioni Cellino e Associati SIM su dati FactSet
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 11/19
L’eurozona al bivio
L’ “austerità”
Appare quindi priva di fondamento la visione moralistica della crisi, quella che Paul
Krugman ha definito «la grande illusione», fondata sull’idea che la crisi dell’eurozona
sia stata generata dall’irresponsabilità di alcuni paesi “cicala”, cui si contrappone la
morigeratezza di altri (le “formiche”).
La crisi dell’eurozona non è dovuta all’eccesso di debito pubblico, ma al venir
meno della possibilità di compensare gli squilibri attraverso il
deprezzamento/apprezzamento delle diverse valute nazionali.
La “Grande Recessione” ha investito l’eurozona mettendo a nudo la rigidità
imposta dall’avere adottato una moneta unica senza essere una AVO, ossia
senza disporre dei meccanismi di riallineamento alternativi alla flessibilità dei
tassi di cambio.
Il grafico della pagina precedente mostra anche che la cura dell’austerità, anziché ridurre il fardello del debito, lo aumenta perché
politiche recessive portano fatalmente alla riduzione del PIL e delle entrate fiscali, generando quindi un aumento del debito, sia in
valore assoluto, sia in relazione al PIL.
Un altro problema è che la Germania, oltre ad imporla ai Paesi periferici, impone l’austerità anche a sé stessa, rendendo ancora più
difficile il processo di riequilibrio fra i diversi Paesi.
Si pensi infatti alla necessità dei Paesi periferici di recuperare competitività attraverso la riduzione dei salari interni, rispetto a quelli
dei paesi “core”: se al contenimento attuato dai primi si contrapponesse un contestuale innalzamento dei salari in Germania, il
recupero di efficienza sarebbe certamente più rapido e, soprattutto, molto meno doloroso. Se alle politiche deflattive della periferia se
ne contrapponessero di inflattive da parte del centro, poi, anche il riallineamento fra i livelli dei prezzi dei diversi Paesi potrebbe
realizzarsi molto più facilmente.
Tutto ciò non accade per il rifiuto della Germania di adottare politiche espansive che renderebbero più leggero il fardello
delle politiche deflazionistiche imposte ai paesi periferici.
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 12/19
L’eurozona al bivio
L’unione fiscale
Le riforme strutturali, a nostro giudizio, non saranno sufficienti a garantire la stabilità della zona euro, perché è comunque
impensabile (oltre che probabilmente non desiderabile) realizzare un perfetto allineamento dei diversi Paesi.
Del resto è rarissimo, in generale, che una moneta abbia corso legale in una perfetta AVO: questo valeva anche per la gran
parte delle monete nazionali che sono confluite nell’euro.
A riprova di ciò bastino due esempi:
Le tre Italie
Le due Germanie
L’Italia non è mai stata una AVO: le differenze fra
il Nord, il Centro e il Sud, per quanto attenuate
dalla già nominata mobilità della forza lavoro, non
sono mai state superate.
La stessa Germania non è una AVO: in
questo caso il divario più significativo è
quello ancora oggi riscontrabile fra l’Ovest
e l’Est ex-comunista.
Che cosa consente, in ultima istanza, ad un’area disomogenea di poter utilizzare una moneta unica?
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 13/19
L’eurozona al bivio
L’unione fiscale
«Sono sicuro che l’euro ci obbligherà ad introdurre un nuovo set di
strumenti di politica economica. E’ politicamente impossibile introdurli
ora. Ma un giorno ci sarà una crisi e nuovi strumenti saranno creati.»
Romano Prodi, 5 dicembre 2001
Questa frase sibillina è oggi oggetto di un acceso dibattito: l’euro appare come un gigantesco esperimento di ingegneria
politico/finanziaria, realizzato, come si suol dire, “ponendo il carro davanti ai buoi” e confidando di poter costruire dopo ciò che
la logica (ma non l’opportunità politica) avrebbe voluto fosse realizzato prima.
Riteniamo che ciò a cui Romano Prodi faceva riferimento senza nemmeno osare nominarla fosse, con ogni probabilità, l’unione
fiscale fra i paesi dell’eurozona.
Del resto è solo grazie all’unione fiscale che l’Italia (come tanti altri Paesi) ha potuto vivere – e prosperare – per circa 140 anni,
pur avendo un’unica moneta per il Nord, il Centro e il Sud.
I trasferimenti fiscali dal Nord al Sud consentirono a quest’ultimo di non
venire schiacciato dalla concorrenza delle regioni italiane più efficienti,
conservando un minimo di attività produttive in loco e affidando
all’emigrazione di massa il compito di sanare gli squilibri residui.
Analogamente dovrà accadere in seno all’eurozona. L’auspicio di tutti,
ovviamente, è che i trasferimenti possano avvenire in modo più efficiente e
meno clientelare di quanto accaduto nel nostro Paese, ma è nostro
convincimento che senza una politica redistributiva a livello europeo le
tensioni generate dall’aver adottato una moneta unica non possano
essere contenute.
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 14/19
L’eurozona al bivio
Cosa può fare la politica monetaria
«Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to
preserve the euro. And believe me, it will be enough.»
Mario Draghi, 26 luglio 2012
Lo spread italiano e spagnolo negli ultimi tre anni
Negli ultimi tempi è stata enfatizzata la figura
del Presidente della BCE quale “salvatore”
dell’euro: la frase che riportiamo, anche
grazie alla misurata retorica che la
caratterizza, può essere considerata uno degli
elementi fondanti di tale mito.
Certamente il contributo di Draghi alla
sopravvivenza dell’euro è stato fondamentale,
grazie all’impegno, fortemente osteggiato
dall’ala “core” del board della BCE, di
acquistare quantità illimitate di titoli del debito
pubblico dei Paesi in difficoltà.
Attraverso tale impegno, Draghi ha respinto
l’attacco della speculazione che, nell’estate
del 2012, stava affondando l’euro.
Fonte: elaborazioni Cellino e Associati SIM su dati FactSet
L’impatto delle sue parole è ben
rappresentato dal grafico che qui riportiamo.
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 15/19
L’eurozona al bivio
Cosa può fare la politica monetaria
Altrettanto fondamentale si rivelerà nei prossimi mesi il già citato impegno a riportare l’inflazione nell’eurozona «vicino, ma al di sotto del
2%», in modo da creare un contesto maggiormente favorevole all’assorbimento degli squilibri fra periferia e centro dell’eurozona, ma
anche ad alleggerire il fardello del debito pubblico di quei Paesi, come l’Italia, il cui indebitamento, in assenza di inflazione, rischia di
divenire insostenibile.
Al momento, tale impegno si è concretizzato in acquisti di Covered bonds e ABS, ossia obbligazioni garantite da crediti bancari, ma
appare ogni giorno più necessario che il raggio di azione della BCE si allarghi, fino a comprendere obbligazioni corporate (opzione che
sembra già essere allo studio), e anche titoli di Stato, in modo da realizzare un vero e proprio Quantitative Easing.
Il bilancio della BCE negli ultimi dieci anni
(dati in miliardi di euro)
Poiché l’obiettivo dichiarato da Draghi è di
riportare il bilancio della BCE ai massimi del
2012, gli acquisti dovrebbero ammontare a
1.000 miliardi di euro, cifra che garantirà un
impatto considerevole sui mercati.
Ciò detto, è impensabile che la sola
azione della Banca Centrale possa
sostituirsi alle riforme che, a nostro
giudizio, sono necessarie per rendere
l’euro davvero irreversibile. Ci riferiamo
ovviamente alle riforme strutturali, ma
anche, e soprattutto, all’unione fiscale
fra i Paesi dell’eurozona.
Fonte: elaborazioni Cellino e Associati SIM su dati FactSet
Crisi dell’euro e deflazione
Gli interventi di Draghi, dunque,
possono avere l’obiettivo di favorire il
processo di convergenza e di
“acquistare tempo”, in attesa che la
politica europea si assuma finalmente le
proprie responsabilità.
Torino, novembre 2014 16/19
L’eurozona al bivio
Il dissolvimento dell’euro
Quanto sin qui detto spiega perché, a nostro giudizio, l’Europa si trovi di fronte ad un bivio che impone la scelta fra due strade:
Completare l’opera di costruzione dell’euro procedendo all’unione fiscale
oppure
Assistere al suo inevitabile dissolvimento
Per quanto remota, dunque, l’ipotesi di dissolvimento dell’euro non può essere esclusa poiché le infrastrutture politiche necessarie
alla sua sopravvivenza non sono state ancora completate.
Come detto, però, consideriamo tale ipotesi remota, sulla base della semplice considerazione che la disgregazione dell’eurozona è
un’opzione di cui non beneficerebbe alcuno: non i paesi “core”, che stanno traendo notevole beneficio dall’unione monetaria, ma
nemmeno i periferici, i cui sistemi finanziari collasserebbero, vanificando i vantaggi che ottenuti dalla ritrovata sovranità monetaria.
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 17/19
Bibliografia
La bibliografia sulla crisi dell’euro è sterminata: qui di seguito ci limitiamo a fornire alcuni suggerimenti di lettura che riteniamo utili per
approfondire il tema in coerenza con le idee esposte in precedenza nella presente analisi.
Per la parte relativa alle AVO si è fatto riferimento a:
Bagnai, A. “Il tramonto dell’euro”, Imprimatur editore, 2013
Il testo di Bagnai costituisce una critica radicale all’euro.
Meno radicale, ma altrettanto dubbioso sulla sostenibilità della moneta unica, il testo di un altro economista italiano:
Zingales, L . “Europa o no”, Rizzoli, 2013
Sul blog del premio Nobel per l’economia Paul Krugman si possono trovare numerose analisi critiche delle politiche di austerità
condotte all’interno dell’eurozona:
http://krugman.blogs.nytimes.com/
Un libro molto interessante di Krugman, che ha per oggetto sia la crisi USA sia quella europea, è:
Krugman, P. “Fuori da questa crisi, subito!”, Garzanti, 2012
Sempre di Krugman, interessante è il recente articolo:
Krugman, P. “Vi spiego perché la crisi dell’eurozona non è finita”, Il Sole24Ore, 19 ottobre 2014
E’ sintomatico che anche un “padre” dell’euro, quale Romano Prodi, esprima forti perplessità sulla condotta tedesca in seno
all’eurozona. Numerosi suoi articoli sull’argomento sono consultabili sul sito www.romanoprodi.it. In particolare, si segnala:
Prodi, R. “L’Europa è il maggior freno dell’economia: deve sollevarsi da sola cambiando politica”,
Il Messaggero, 12 ottobre 2014
Un articolo molto interessante sulla peculiarità della costruzione europea è:
Essex M. “Did the Euro’s Architects Expect It to Fail?”, The Wall Street Journal, 31 ottobre 2011
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 18/19
La presente pubblicazione è stata prodotta dall’Ufficio Studi della Cellino e Associati SIM S.p.A.
nell’ambito della propria attività di ricerca in materia di investimenti, è indirizzata ad un pubblico
indistinto e viene fornita a titolo meramente informativo. Essa non costituisce attività di
consulenza da parte della Cellino e Associati SIM S.p.A. né, tantomeno, offerta o sollecitazione
ad acquistare o vendere strumenti finanziari. I dati utilizzati per l’elaborazione delle informazioni
ivi riportate sono di pubblico dominio e sono considerati attendibili, tuttavia la Cellino e Associati
SIM S.p.A. non è in grado di assicurarne l’esattezza. Tutte le informazioni riportate sono date in
buona fede sulla base dei dati disponibili, ma sono suscettibili di variazioni anche senza
preavviso in qualsiasi momento dopo la pubblicazione. I dati per i quali non è indicata una fonte
sono frutto di valutazioni effettuate dalla Cellino e Associati SIM S.p.A. Si declina ogni
responsabilità per qualsivoglia informazione esposta in questa pubblicazione.
La Cellino e Associati SIM S.p.A. è un soggetto autorizzato dalla Consob alla prestazione dei
servizi di investimento di cui al Testo Unico della Finanza.
Cellino e Associati SIM S.p.A.  Via Cavour 21 - 10123 TORINO  Tel. +39 011 540327 (10 linee) Fax +39 011 530483  Reg. Imprese - C.F./P. IVA: 08473090010
Cap. Soc. euro 1.500.000 i.v.  Sito web: www.cellinoassociatisim.it  E-mail: [email protected]  PEC: [email protected]
REA n. 975594 della C.C.I.A.A. di Torino  Iscrizione albo SIM n. 211 Delibera Consob n. 13900 del 21.01.2003  Aderente al Fondo Nazionale di Garanzia
Crisi dell’euro e deflazione
Torino, novembre 2014 19/19
Scarica