le rivoluzioni nazionali e il risorgimento italiano

LE RIVOLUZIONI NAZIONALI E IL RISORGIMENTO ITALIANO
FRA LE SOCIETA’ SEGRETE PREEVALE LA CARBONERIA
Negli anni immediatamente successivi al Congresso di Vienna si diffusero in Italia e in Europa le società segrete. Una società
segretatiene nascosti i suoi scopi, i nomi dei suoi membri, la sua stessa esistenza. Nei paesi liberi, le società segrete non hanno
alcun motivo di esistere perché i cittadini possono associarsi e riunirsi liberamente per qualsiasi fine, escluso, ovviamente quello
di commentare dei crimini. Negli anni della restaurazione, invece, in gran parte dell’Europa la situazione era ben diversa. Non
era consentito, per esempio, dichiararsi pubblicamente contro la monarchia assoluta o la religione di stato, oppure chiedere
l’indipendenza della propria nazione. Quindi chi voleva svolgere attività politica o diffondere le proprie idee che fossero in
contrasto con quelle dell’autorità doveva farlo di nascosto.
Fra le società segrete, molto diffusa in Italia fu la Carboneria, presente in tutti gli Stati (in particolare nel regno di Napoli nello
Stato Pontificio, in Lombardia e in Piemonte),ma organizzata in gruppi diversi, spesso senza collegamenti fra una città e l’altra. La
Carboneria sosteneva l’indipendenza italiana, ma non aveva programmi politici precisi su come raggiungerla. Alcuni membri
chiedevano la concessione di una Costituzione liberale, altri la proclamazione della repubblica altri ancora chiedevano l’unione di
più Stati italiani in una federazione. Era composta da una maggioranza di borghesi liberali e nobili. Inoltre non essendo ostile alla
Chiesa cattolica avevano numerosi membri ecclesiastici. Vi aderirono molti ufficiali e soldati che avevano combattuto negli
eserciti di Napoleone; professionisti come medici, avvocati e professori; infine moltissimi studenti universitari.
Diploma di affiliazione alla Carboneria
COMINCIA IN SPAGNA LA LOTTA ALL’ASSOLUTISMO
Fu la Carboneria a organizzare le prime ribellioni contro le monarchie assolute. Esse iniziarono in Spagna, poiché il ritorno sul
trono di Ferdinando VII aveva provocato un’ondata reazionaria senza precedenti. Mentre il popolo spagnolo combatteva le
truppe napoleoniche, il re si era impegnato a istituire una monarchia costituzionale; ma dopo il Congresso di Vienna aveva
abolito le Cortes (l’antico parlamento ) e la costituzione del 1812, che il popolo spagnolo si era data; inoltre aveva ristabilito il
tribunale dell’Inquisizione. Nel tentativo di riconquistare alcune colonie americane ( Messico, Colombia e Venezuela) divenute
stati indipendenti, decise anche di inviare una spedizione militare in America Latina. Nel gennaio 1820, alcuni ufficiali in partenza
da Cadice per l’America insorsero, chiedendo il ripristino della costituzione e la riapertura delle Cortes. La rivolta dilagò ben
presto in molte altre province il re fu costretto a cedere: fu concessa la costituzione fu creato un governo provvisorio liberale.
Le grandi potenze decisero per il momento di non muoversi: intervenire con un esercito in Spagna comportava il rischio di una
sconfitta. Già Napoleone, infatti, non era riuscito a venire a capo della resistenza spagnola.
Ferdinando VII
PARTONO DAL MERIDIONE I MOTI D’ITALIA
La notizia degli avvenimenti spagnoli fu accolta con grande emozione a Napoli. Qui molti ufficiali dell’esercito erano legati
Carboneria e agli ideali liberali. Così, nel luglio 1820, due giovani ufficiali carbonari, Michele Morelli e Giuseppe Silvati, si misero
alla testa del loro reggimento di cavalleria, marciando su Avellino e poi su Napoli. L’esercito napoletano era comandato dal
generale Guglielmo Pepe, che aveva difeso la Repubblica Partenopea nel 1799, poi era stato ufficiale dell’esercito napoleonico e
godeva di grande prestigio sia nell’esercito che presso la corte.Egli si schierò con gli insorti e il re Ferdinando I fu costretto a
concedere una costituzione simile a quella spagnola.
Ferdinando I
Metternich
Poco dopo, nell’ottobre 1820, a Napoli si riunì un parlamento, regolarmente eletto. In realtà con queste concessioni il re
Ferdinando I cercava solo di prendere tempo, e il ministro Metternich decise che quanto era accaduto in Spagna non doveva
assolutamente ripetersi.
Appena giunsero le prime notizie sul moto di Napoli e della concessione di una Costituzione, anche a Palermo scoppiò una
rivolta che proclamò l’indipendenza della Sicilia. A Palermo tuttavia la situazione era ben diversa che a Napoli:
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il ceto borghese non era molto sviluppato;
la Carboneria era quasi assente;
la nobiltà locale aveva un potere molto grande.
La rivolta di Palermo non fu una ribellione di liberali e borghesi come quella napoletana, ma fu sostenuta dai nobili appoggiati
dai popolanie mirò soprattutto alla separazione da Napoli. Il movimento separatista non aveva però il consenso di tutti: le città
di Messina, Catania e Siracusa rifiutarono, infatti, di aderire. Il nuovo governo di Napoli pur dicendosi liberale, non lasciò ai
siciliani la libertà di decidere il proprio futuro, così inviò una spedizione militare per riprendere il controllo di Palermo. Qui i
popolani si difesero ma, dopo tre giorni (settembre 1820) di combattimenti per le strade, furono costrette a cedere. Poco dopo
(marzo 1821), su richiesta di Ferdinando I un forte esercito austriaco scese a Napoli per riprendere il controllo della città che fu
sconfitta facilmente, così il re abolì la Costituzione e il parlamento, imprigionò i capi liberali e fece fucilare Morelli e Silvati, che
avevano dato l’inizio della rivolta dell’esercito. Il generale Pepe andò in esilio.
I MOTI DEL 1821 AGITANO IL PIEMONTE
Negli anni successivi al Congresso di Vienna, il Piemonte era governato dal reazionario, ma abbastanza tollerante, Vittorio
Emanuele I. Sembrava invece simpatizzasse per i liberali l’erede al trono, il principe Carlo Alberto di Savoia-Carignano.
Le notizie provenienti da Napoli ebbero forte eco anche in Piemonte, dove il movimento liberale era costituito soprattutto da
moderati, che non mettevano in discussione i Savoia, ma chiedevano loro di diventare monarchi costituzionali e di mettersi a
capo del movimento nazionale, poiché, la monarchia dei Savoia era vista come l’unica concreta possibilità di opporsi agli
austriaci, grazie al suo esercito regolare.
Nel marzo 1821, alcuni reggimentisi ribellarono e marciarono verso Torino, chiedendo la costituzione e la guerra contro
l’Austria. Vittorio Emanuele I, amareggiato da quello che considerava un tradimento, si rifiutò di concedere la Costituzione;
tuttavia non volle usare la forza e abdicò a favore del fratello Carlo Felice. Costui era assente dal Piemonte; nell’attesa, assunse
la reggenza il nipote, Carlo Alberto, che concesse la Costituzione, ma a condizione che il nuovo re l’approvasse. Temendo un
intervento da austriaco, si unì alle truppe fedeli ai Savoia per reprimere la ribellione. Pochi giorni dopo, iniziò la repressione dei
partecipanti ai moti e uno dei capi, Santorre di Santarosa fuggì in Grecia, dove poi morì per difendere la libertà dei greci.
Vittorio Emanuele I
Carlo Alberto
I CARBONARI DI MILANO NELLE PRIGIONI AUSTRIACHE
A Milano aveva circolato per un anno (1818-1819)un giornale liberale: Il Conciliatore.
Trattava più di letteratura che di questioni politiche, ma l’indirizzo che seguiva era assai chiaro e le autorità austriache,
ritenendolo pericoloso, lo fecero chiudere. Alcuni collaboratori del Conciliatore continuarono la loro attività politica nella
Carboneria, tra questi Silvio Pellico e Federico Confalonieri che furono arrestati e incarcerati nella fortezza dello Spielberg.
Pellico, condannato insieme a Piero Maroncelli (musicista romagnolo), narrò la durissima esperienza del carcere in un libro, Le
mie prigioni.
Silvio Pellico
LA GRECIA PER PRIMA OTTIENE L’INDIPENDENZA
Anche in Grecia esisteva il movimento indipendentista simile alla Carboneria, legato a una società segreta, l’Eterìa. I nazionalisti
greci chiedevano l’indipendenza del paese dal dominio turco e la proclamazione di un governo costituzionale. La rivolta scoppiò
nel marzo 1821. La repressione turca fu spietata: sull’isola di Chiovennero uccisi 23.000 uomini e oltre 50.000 donne e bambini
furono venduti come schiavi. A Istanbul il patriarca greco venne impiccato.
Le stragi avvenute in Grecia provocarono commosse reazioni in tutta Europa e persino negli Stati Uniti d’America, il cui
presidente George Monroe chiese alle potenze europee di intervenire. Intellettuali e artisti romantici e liberali vennero a
combattere al fianco dei greci: nel 1825 morirono per la causa greca il poeta inglese George Byron e il patriota Santorre di
Santarosa. Finalmente Francia, Russia, Inghilterra intervennero mandando una flotta in Turchia e nel golfo di Navarrino la flotta
turca venne sconfitta (1827). Nel 1830 la Grecia fu dichiarata indipendente e venne affidata a un sovrano tedesco: Ottone di
Baviera.
Santorre di Santarosa
Lord Byron
LA DIFFUSIONE DEL SENTIMENTO NAZIONALE
L’indipendenza della Grecia fu favorita dall’appoggio delle potenze europee, che volevano indebolire l’impero turco. Negli altri
paesi, invece, la Santa Alleanza si oppose fermamente a ogni tentativo di ribellione. Sedate le insurrezioni in Italia, i
rappresentanti della Santa Alleanza intervennero in Spagna, dove l’esercito francese fece cadere il governo liberale e il
parlamento (le Cortes) fu sciolto (1823).
Il primo periodo dei moti insurrezionali si concluse senza successo: essi però non furono inutili, perché permisero la diffusione
del sentimento nazionale e la consapevolezza che per l’indipendenza valeva la pena di battersi anche a rischio della vita.
LA RIVOLTA FRANCESE DEL 1830
In Francia, dopo il Congresso di Vienna, era salito al trono Luigi XVIII, che, pur essendo reazionario, aveva lasciato in vigore il
codice napoleonico, concesso una costituzione, anche se con libertà ridotte, e permesso la nascita di movimenti liberali. Alla sua
morte (1824), gli successe il fratello Carlo X, che intervenne duramente contro i liberali: nel luglio 1830, infatti, emanò alcune
ordinanze con cui sospendeva la Camera dei Deputati, aboliva la libertà di stampa e riduceva il numero degli elettori.
Luigi XVIII
Carlo X
I parigini si ribellarono e in soli tre giorni, pur dovendo combattere contro l’esercito, riuscirono a impadronirsi della città,
chiedendo l’allontanamento del re e il rispetto della Costituzione. Fu proclamato nuovo re Luigi Filippo, scelto ed eletto dalla
borghesia. Per questo fu detto re borghese. La sua sarebbe stata una monarchia più liberale.
Luigi Filippo
Con questo re cambiò l’atteggiamento della Francia verso i movimenti indipendentisti e liberali. Infatti, nel 1830, quando il
Belgio insorse contro l’unione con l’Olanda e in Polonia e Spagna scoppiarono rivolte tra liberali e conservatori,Luigi Filippo
proclamò il principio di non intervento, dichiarando che la Francia si sarebbe opposta all’intervento diqualsiasi potenza
straniera negli affari interni degli Stati insorti. Naturalmente, la Santa Alleanza reagì a questa mossa e la Francia si alleò allora
con l’Inghilterra. L’accordo anglo-francese ruppe definitivamente il dominio della Santa Alleanza in Europa: il Belgio fu
riconosciuto indipendente e in Spagna ebbero il sopravvento i partiti costituzionalisti e liberali.
I MOTI DEL 1830-1831 IN ITALIA E POLONIA
In Italia e Polonia, invece, il dominio della Santa Alleanza era ben saldo. In Italia nel 1831 scoppiarono dei moti liberali a Modena
e Parma: qui l’esercito austriaco intervenne duramente e imprigionò i capi; Ciro Menotti, che aveva guidato la sommossa di
Modena, fu giustiziato. Finì repressa anche la rivolta polacca, scoppiata a Varsavianel 1830 contro lo zar Nicola I: gli insorti
speravano nell’aiuto francese, ma la Francia di Luigi Filippo era troppo lontana e nel settembre 1831 l’esercito russo occupò
facilmente tutto il paese.
Ciro Menotti
IL DIBATTITO POLITICO IN ITALIA DOPO IL FALLIMENTO DEI MOTI
In Italia, il fallimento dei moti del 1821 e 1831 spinse gli intellettuali a una seria riflessione sul perché dell’insuccesso. Era chiaro
che le società segrete non potevano raggiungere risultati importanti per l’indipendenza dell’Italia.Esse, infatti,:
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erano troppe e mal collegate;
erano composte da pochi affiliati;
operavano solo in città;
non avevano un chiaro programma politico.
Bisognava capire in che modo raggiungere l’unità nazionale e che tipo di Stato doveva nascere. A questo proposito c’erano
diversi gruppi di pensiero:
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i sostenitori della monarchia, che erano liberali e moderati; volevano uno Stato retto da un sovrano con poteri
limitati da una Costituzione e da un Parlamento, dove il diritto di voto, però, fosse solo di un gruppo ristretto di
cittadini (proprietari di beni e istruiti), che poteva allargarsi con il miglioramento delle condizioni della cittadinanza.
Esponente di spicco questo gruppo era Camillo Benso conte di Cavour, che, come molti liberali, sosteneva in
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campo economico il liberismo: lo Stato doveva riconoscere la proprietà privata, abbattere le barriere doganali e
migliorare l’economia realizzando reti ferroviarie. I liberali, perlopiù piemontesi, sostenevano che solo l’esercito del
Regno di Sardegna potesse affrontare gli austriaci e dovesse quindi muovere guerra contro l’Austria, aiutato da
gruppi di volontari da tutta l’Italia;
i neoguelfi, un movimento di moderati cattolici, guidato da Vincenzo Gioberti, che propose per l’Italia una
confederazione di Stati italiani sotto la guida del papa; questo movimento ebbe il merito di avvicinare molti cattoli
alla politica e all’idea dell’indipendenza italiana;
i sostenitori della repubblica erano invece democratici perché credevano nell’uguaglianza tra i cittadini e volevano
estendere a tutti il diritto di voto. Il loro più autorevole rappresentante fu Giuseppe Mazzini, le cui idee si diffusero
anche in Europa. Egli sostenne con forza che per realizzare l’unità d’Italia bisognava coinvolgere anche le masse
popolari. Per diffondere le sue idee, fondò la società segreta chiamata Giovane Italia (fondò poi anche una Giovane
Europa), che però conquistò soprattutto gli studenti e non i ceti popolari. Perché anche i più poveri potessero
partecipare attivamente alla vita politica, propose un programma di educazione popolare e di riforme sociali per
migliorare le condizioni di vita dei meno abbienti. Trovò però l’ostilità di liberali, borghesi, nobili e fu esiliato.
Altro rappresentante del gruppo repubblicano fu Carlo Cattaneo, il quale voleva che l’Italia diventasse una
repubblica federale (non uno stato unitario, come nelle intenzioni di Mazzini), prendendo a modello gli Stati Uniti
d’America. Secondo lui, infatti, le differenze tra le varie parti d’Italia erano troppo marcate per uno stato unitario.
La diffusione di queste idee non fu semplice: le varie proposte si rivolgevano soprattutto alla classe borghese e coinvolgere il
popolo, come avrebbe voluto Mazzini, era difficile perché i ceti popolari erano analfabeti e vivevano perlopiù nelle campagne,
dove era difficile raggiungerli. Le grandi masse contadine rimasero escluse dal Risorgimento.
Cavour
Mazzini
Gioberti
Cattaneo