POLITICA Un’altra maggioranza è possibile LEADER Chi ha salvato l’Europa 2 GIUGNO A Bologna per la Costituzione N. 21 | 1 GIUGNO 2013 LEFT+L’UNITÀ 2 € (0,80+1,20) Da vendersi obbligatoriamente insieme al numero del 1 giugno de l’Unità. Nei giorni successivi euro 0,80 + il prezzo del quotidiano SETTIMANALE LEFT AVVENIMENTI POSTE ITALIANE SPA - SPED. ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB ROMA ANN0 XXV - ISSN 1594-123X AV V E N I M E N T I DI CHE SI TRATTA Tutto iniziò con l’omicidio del giudice Scopelliti. A vent’anni dalle stragi, la procura di Reggio scopre la mano della ’ndrangheta nella trattativa tra Stato e mafia. Che fa tremare la politica di Alessia Candito, Maurizio Torrealta e Rocco Vazzana left.it left DIRETTORE RESPONSABILE Maurizio Torrealta [email protected] VICEDIRETTORE Manuele Bonaccorsi [email protected] DIRETTORE EDITORIALE Donatella Coccoli [email protected] CAPOREDATTORE Cecilia Tosi [email protected] CAPOREDATTORE CULTURA E SCIENZA Simona Maggiorelli [email protected] REDAZIONE Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma Sofia Basso sofi[email protected], Paola Mirenda [email protected], Rocco Vazzana [email protected] Tiziana Barillà (segreteria di redazione) [email protected] PROGETTO GRAFICO Newton21 Roma Lorenzo Tamaro [email protected] GRAFICA Andrea Canfora leftgrafi[email protected] PHOTOEDITOR Arianna Catania leftfotografi[email protected] INFORMATION DESIGNER Martina Fiore leftgrafi[email protected] EDITRICE DELL’ALTRITALIA soc. coop. Presidente CdA: Ilaria Bonaccorsi Gardini Consiglieri: Manuele Bonaccorsi, Donatella Coccoli Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma Tel. 06 57289406 - Fax 06 44267008 www.left.it [email protected] PUBBLICITÀ [email protected] STAMPA PuntoWeb srl Via Var. di Cancelliera snc 00040 - Ariccia (RM) DISTRIBUZIONE SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18, 20092 - Cinisello Balsamo (MI) Registrazione al Tribunale di Roma n. 357/88 del 13/6/88 LA TESTATA FRUISCE DEI CONTRIBUTI DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250 2 LA NOTA DI Maurizio Torrealta La legge del ring e il rischio della platea vuota È la legge del ring: non vince chi picchia più duro ma chi ne incassa di più e rimane sulle sue gambe più a lungo. Chi si agita e pensa con un colpo di stendere l’avversario, si stanca provandoci in continuazione, poi cede. Chi sa incassare con eleganza, addirittura anticipando con il corpo il movimento della forza che gli si scatena addosso, ammortizza i colpi e fiacca l’avversario. Vorrei tenere presente questa metafora per analizzare i risultati delle elezioni amministrative appena tenute: non credo che sia cambiato molto sul ring politico. Se pensiamo all’elettorato come a un pubblico, il pubblico è diminuito e questo dovrebbe scontentare tutti i contendenti. In altre parole, la sfiducia è aumentata nei confronti di tutti i partiti. Chi vive nella società del “capitalismo cognitivo” sa che l’attenzione è un bene prezioso, sia quella che utilizziamo per risolvere i nostri problemi sia quella che strappiamo all’indifferenza di chi ci circonda. Perdere attenzione è una sconfitta collettiva. Qualcuno canta vittoria pensando che con la diminuzione dei voti raccolti dal M5s sia finita la stagione del malcontento: il M5s, dunque, come vittima sacrificale da immolare sull’altare delle sconfitte subite. Il M5s sembra avere tutte le caratteristiche della vittima ideale: giovane, provocatore, inesperto. Come se i problemi che attanagliano il governo provenissero da fuori della coalizione e non dall’interno dell’esecutivo delle larghe intese. Se qualche forza politica pensasse di aver già messo ko il M5s, mi permetto di dubitarne: sono ragazzi giovani e pieni di energie, abbastanza motivati da imparare dai loro errori, dalla loro arroganza, dalla loro presunzione e dalla loro inesperienza. I migliori di loro avevano già capito che si stavano avvitando su loro stessi, ma la disciplina di un movimento non differisce troppo da quella di un partito e obbliga i dissidenti a conformarsi alla maggioranza. Rimarranno in piedi sul ring, non ne dubito, anche se probabilmente non tutti arriveranno alle stesse decisioni con la stessa velocità. Ma sono quelli che pensano di aver vinto che mi preoccupano di più. È il governo delle larghe intese quello che ha la responsabilità maggiore del Paese e che non può perdere la sua corsa contro il tempo: deve accelerare e, nello stesso momento, è costretto a frenare per non perdere i pezzi per strada. Questo frenare e accelerare rischia di surriscaldare la temperatura fino alla rottura, e questa rottura potrebbe essere l’obiettivo segreto di chi vuole far saltare il banco, per andare a elezioni anticipate prima che si strutturi un sistema penalizzante per la sua forza politica. È un rischio da non sottovalutare. L’aspetto che più impressiona in questi giorni è la distanza tra le richieste della base dei partiti politici e le offerte dei vertici. Da una parte c’è la domanda di partecipazione e di innovazione nella politica, l’aspettativa di un’applicazione piena degli ideali della Costituzione chiesta dai mille circoli e dai mille dibattiti che in questa primavera si sono moltiplicati. Dai vertici c’è la risposta di un fumoso progetto dalla dubbia legittimità costituzionale e gli espliciti tentativi di modifica in senso presidenzialista del nostro sistema politico. In mezzo, tra questa richiesta appassionata che viene dal basso e questa inaccettabile forzatura presidenziale, non c’è più nulla, neanche la passione per un incontro sul ring. Il pubblico sta già uscendo dalla sala e c’è il rischio che nessuno scommetta più nulla sui contendenti, sia che rimangano in piedi o vengano messi ko. Questa sarebbe la vera crisi del Paese. Non quella economica ma quella politica. 1 giugno 2013 left left.it sommario IANNO XXV, NUOVA SERIE N. 21 / 1 GIUGNO 2013 COPERTINA INTERNET DI CHE SI TRATTA HAPPY BIRTHDAY SECOND LIFE LE RANE DEL NOBEL MO YAN La procura di Reggio Calabria ha aperto un fascicolo sulla trattativa Stato-mafia. Secondo il pm Giuseppe Lombardo, il dialogo non inizia con la strage di Capaci, ma un anno prima, quando uomini della ’ndrangheta uccidono il giudice Antonino Scopelliti per conto di Cosa nostra. Compie dieci anni Second life, il più famoso dei mondi virtuali. Non ha più i milioni di avatar degli inizi, ma la piattaforma della Linden lab non è affatto morta. Passata la moda è tornata al progetto originario: essere un luogo di sperimentazione e comunicazione in 3d. Con le proprie regole. 14 LA SETTIMANA 02 LA NOTA 04 FOTONOTIZIA COPERTINA 14 La Reggina delle trattative di Alessia Candito e Rocco Vazzana 20 Le stragi e la macchina del tempo di Maurizio Torrealta SOCIETÀ 24 Carta straccia di Donatella Coccoli 27 Onida: Guai a chi la tocca di don.coc. 28 Sentinelle della democrazia di Sandra Bonsanti 30 Puppato: Sì a maggioranze trasversali di Sofia Basso 31 Zaccagnini: Pronti al dialogo con i “buoni” del Pd di s.b. MONDO 34 L’Europa siamo noi di Cecilia Tosi e Manuele Bonaccorsi 40 Happy birthday Second life di Paola Mirenda left 1 giugno 2013 40 IDEE 10 ALTRA POLITICA di Andrea Ranieri 10 SAPERI DIFFUSI di Guido Viale 11 IN PUNTA DI PENNA di Alberto Cisterna 12 KEYNES BLOG di Daniela Palma e Guido Iodice 12 IN FONDO A SINISTRA di Fabio Magnasciutti 13 L’OSSERVATORIO di Francesco Sylos Labini 54 TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli 62 TI RICONOSCO di Francesca Merloni CULTURA E SCIENZA 46 Cina, l’impero del rimorso di Rosa Lombardi 49 Raccontare l’invisibile di Federica Casalin 51 Hauser, idiota alla Dostoevskij di Camilla Bernacchioni 52 La vita è intelligente di Tiziana Barillà 56 Angelina e il professore di Antonella De Ninno LETTERATURA Il nuovo romanzo del premio Nobel cinese Mo Yan, Le rane, ripensa criticamente le politiche del figlio unico e degli aborti forzati imposti dal regime maoista. E mette al centro della narrazione i rimorsi di un popolo consapevole di aver obbedito per lunghi anni a diktat imposti dall’alto. 46 RUBRICHE 06 COSE DELL’ALTRITALIA a cura della redazione Interni 07 DIARIO DELLA CAROVANA a cura di Arci 08 COSE DELL’ALTRO MONDO a cura della redazione Esteri 33 CALCIO MANCINO di Emnuele Santi 58 PUNTOCRITICO CINEMA di Morando Morandini ARTE di Simona Maggiorelli LIBRI di Filippo La Porta 60 BAZAR MUSICA, TENDENZE, REVIVAL 60 APPUNTAMENTI 61 IN FONDO di Bebo Storti Chiuso in tipografia il 29 maggio 2013 Foto di copertina: Letizia Battaglia (Palermo, 1992. Rosaria Costa, vedova dell’agente della scorta di Giovanni Falcone, Vito Schifani) 3 fotonotizia Brasiliani ai vostri posti Il Brasile si prepara a ospitare una lunga serie di eventi internazionali facendo esercitare i suoi militari. Nella foto, un soldato si addestra al recupero di ostaggi, ma l’allarme sicurezza è scattato ad aprile, quando una turista americana è stata stuprata su un mezzo pubblico a Rio de Janeiro. Il governo brasiliano sta facendo di tutto per rassicurare gli stranieri in vista della Confederation Cup (15-30 giugno) e della Giornata mondiale della gioventù (23-28 luglio). (Calvano/Ap/Lapresse) cose dell’altromondo © PISARENKO/AP/LAPRESSE left.it FESTA ARGENTINA Buenos Aires ha festeggiato il 25 maggio dieci anni di governo Kirchner. Celebrazioni mastodontiche hanno riunito a Buenos Aires migliaia di sostenitori di Christina e di suo marito Nestor, che nel 2003 prese il potere per passarlo alla sua morte (nel 2010) alla moglie e attuale presidente. Christina Kirchner ha ringraziato la folla descrivendo gli anni in cui ha governato la sua famiglia come «un decennio vittorioso» grazie allo statalismo economico che ha trascinato l’Argentina fuori dalla crisi e ha alzato gli standard di vita per tutta la popolazione. SENEGAL È l’ammontare degli aiuti offerti dal segretario di Stato americano John Kerry all’Autorità nazionale palestinese per rilanciare il piano di pace. Scettico il portavoce del presidente dell’Anp Mahmoud Abbas: «Non offriremo concessioni politiche in cambio di facilitazioni economiche» La pena di morte è indispensabile in un Paese musulmano. Lo sostiene Youssoupha Sar, presidente della Ligue des imams del Senegal, proprio mentre al Parlamento si discute della ratifica della legge che, nel 2004, l’ha abrogata. «Dobbiamo fermare la violenza a Dakar», ha spiegato Sar, «e questo è un ottimo strumento per farlo. I giovani devono temere la legge». Contro la pena capitale si sono schierate ong,come Amnesty international. Ma molti deputati della maggioranza, soprattutto della coalizione Benno Book Yaakaar, non hanno nessuna intenzione di desistere: sedia elettrica o impiccagione, l’esempio va dato. ©AP/LAPRESSE 4 mld Esempio capitale CRISI DELLA SETTIMANA L’ondata anti islamica travolge anche la Gran Bretagna e fa salire la tensione nei piccoli e grandi centri. Un soldato è stato ucciso nei sobborghi di Londra e le autorità hanno dichiarato che dovrebbe trattarsi di un atto terroristico. Nelle 48 ore successive, le denunce di aggressioni anti islamiche si sono moltiplicate: 162 musulmani hanno dichiarato di essere stati assaliti o colpiti dal lancio di oggetti. Qualcuno è arrivato ad appiccare il fuoco alla moschea di Grimsby, sulla costa orientale. E l’organizzazione anti islamica English defence league ha marciato a Grimsby, Newcastle e Londra. 6 1 giugno 2013 left left.it José Ignacio Wert, ministro spagnolo dell’Educazione, che ha reintrodotto la religione tra le materie prese in considerazione nella valutazione della media scolastica © SENG SIN/AP/LAPRESSE «Ma io non mi sono mica piegato alla Conferenza episcopale. Ho solo applicato lo spirito del Concordato» NAZI BIRMANI Il Myanmar fa un passo avanti e due indietro. Mentre la sua Giunta cerca il dialogo con l’esterno, dentro il Paese viene riconosciuto il Rakhine national development party, un partito buddista dalla dichiarata ispirazione neonazista. «Vogliamo uno stato completamente buddista», dicono. «Non diteci che vogliamo la pulizia etnica perché vogliamo solo liberarci dai musulmani Rohynga, che non sono un’etnia». EUROPA, I GIOVANI E LE URNE INCHIESTA SUL VOTO TRA GLI UNDER 30 PERICOLO ROSA I palloncini in Afghanistan sono pericolosi. Specie se sono rosa. Lo hanno dichiarato i Talebani sul loro sito ufficiale dopo che ne sono stati distribuiti 10mila per le strade di Kabul. L’ideatore dell’evento, l’artista 31enne Yazmany Arboleda, desiderava «sottolineare la creatività dei giovani afgani». Ma i Talebani non hanno apprezzato. «Era uno spettacolo di palloncini o di minigonne?», scrivono. «Molte ragazze non portavano il velo. Volevano scagliarsi contro la cultura dell’hijab». Paesi dove la partecipazione è alta fonte: Eurobarometro Paesi dove vince l’astensionismo GIAPPONE La fabbrica dal volto umano Non chiede ferie né aumenti salariali, non fa pausa pranzo né riposo settimanale, non si lamenta dei turni di notte. È preciso, sempre in forma e ha un aspetto simpatico e gradevole. L’umanoide NextAge ha festeggiato a maggio sei mesi di lavoro alla Glory, importante fabbrica giapponese. Per la prima volta un robot dalle © JAMSHID/AP/LAPRESSE sembianze umane è stato messo alla catena di montaggio, e l’azienda si di- left 1 giugno 2013 chiara entusiasta: «Ogni robot costa 60mila euro, l’equivalente del salario lordo annuo di un operaio», spiega un responsabile. «Ammortizziamo il costo in due anni, e spendiamo solo 13 euro al mese di elettricità. È decisamente conveniente». Più cauti i dipendenti della Glory: finora nessuno di loro è stato licenziato per far posto a una macchina, ma con l’aria che tira non si sa mai. 7 cose dell’altritalia left.it FERITE PREVENTIVE © LAPRESSE Gli hacker di Anonymous violano il sito del sindacato della polizia (Sap). E rivelano: pochi giorni prima dei cortei in Val di Susa del 27 giugno e 3 luglio 2011 il Sap aveva diffuso tra i reparti inviati nelle Valli alcuni modelli prestampati con denunce già pronte. Per ferimenti subiti dai poliziotti durante le manifestazioni, che però non erano ancora avvenute. Con tanto di vademecum: superati quei giorni, gli agenti avrebbero dovuto consegnare a un legale di Torino le denunce ai No Tav. PARADOSSI ELETTORALI NON HAI VOLUTO LA CRISI? PEDALA LO STESSO 1.748 mila 1.750 mila 1.400 mila SULMONA Ottimo risultato del candidato di sinistra Fulvio Di Benedetto, che col 21% accede al ballottaggio. Peccato sia deceduto durante la campagna elettorale. Nella sfida finale lo sostituirà il candidato del Pdl. VIGNANELLO Nel viterbese Vincenzo Grasselli, centrosinistra, non ha dovuto penare per ore in attesa dello spoglio. Con il 65% dei voti ce l’ha fatta senza problemi. Anche perché era l’unico candidato. 2011 1.650 mila 2012 Nel 2012 dopo 48 anni l’acquisto delle bici ha superato quello delle auto. Lo rende noto il sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti, Erasmo D’Angelis. FERRARA Fantini, datevi una “mossa” CAGLIARI Punito il medico efficiente Smarcarsi dalle regole senesi e puntare su un Palio che sia davvero di Ferrara. Lo ha proposto il sindaco estense Tiziano Tagliani spazientito dalla lunga attesa della “mossa”, la partenza della corsa dei cavalli, che domenica scorsa ha ritardato di ben un’ora e 45 minuti l’avvio del secondo palio più importante d’Italia. «Tempi così lunghi non sono ammissibili», denuncia il sindaco. «La soluzione può essere quella di formare una leva di fantini locale o addirittura regionale». E l’attuale presidente dell’Ente Palio, Giambaldo Perugini, ammette: «Per la corsa dei cavalli siamo oggettivamente legati a Siena, dove c’è una scuola di fantini professionisti che girano i palii d’Italia. Quando proposi il “sogno” di una scuola ferrarese si obiettò: vogliamo correre o passeggiare? Qui non si tratta di ingaggiare fantini ferraresi, ma di creare una scuola». Un medico accorpa gli esami e così azzera le liste d’attesa. Nel giro di un mese e senza alcun onere aggiuntivo. Ma l’amministrazione sanitaria anziché premiarlo lo sanziona con una sospensione dal servizio. È la storia di Giorgio Fanni del reparto Ginecologia dell’ospedale di Cagliari. Adesso il medico ha ottenuto dal tribunale di Cagliari l’annullamento della sanzione ed è tornato in ospedale. «Intendo solo fare il mio lavoro», dice. «Continuare a supportare le donne e i pazienti, perseguendo l’obiettivo di accorpare nel pubblico i diversi esami, come avviene nel privato. Lo faccio per permettere a chi non ha risorse economiche adeguate di potersi curare dignitosamente ed efficacemente». 8 1 giugno 2013 left left.it diario della carovana LO SCIOPERO A ROVESCIO DEI DISOCCUPATI BRINDISI Due capitali della cultura La città di Brindisi decide di ritirare la propria candidatura al titolo di Capitale europea della cultura 2019 e appoggiare quella di Lecce, il cui iter sarebbe già in uno stadio più avanzato. E la decisione, come già quella di candidarsi, spacca in due opinione pubblica e politica locale. L’iter era stato avviato nel 2009 dall’amministrazione di centrodestra di Mennitti. Oggi a chiuderlo è quella di centrosinistra guidata Consales. Il cambio di rotta non equivale a una resa: Brindisi ora dovrebbe essere inserita nel progetto leccese - da presentare entro il 30 settembre prossimo, insieme all’ufficializzazione della candidatura a Capitale Europea della Cultura 2019 - con una serie di eventi e manifestazioni. Lo stesso progetto dovrebbe poi, anche nelle sue parti grafiche, sintetizzare l’unione dei due territori. left 1 giugno 2013 Mafie in agguato sulla ricostruzione I © SCROBOGNA /LAPRESSE Lo sciopero, un diritto dei lavoratori. Anche di chi il lavoro l’ha perso. In occasione della mobilitazione nazionale delle costruzioni proclamata venerdì 31 maggio, i sindacati emiliano romagnoli dell’edilizia (Fillea, Filca, Feneal) hanno lanciato l’idea di uno “sciopero a rovescio”. Ad animarlo, infatti, non sono i lavoratori che abbandonano i cantieri e gli attrezzi del mestiere. Ma disoccupati e cassintegrati, che quei cantieri li hanno dovuti lasciare per forza. Costretti da una crisi che ha fatto sparire, dal 2008 a oggi, ben 30mila dipendenti, solo nel settore delle costruzioni. Un lungo elenco, a cui presto potrebbero aggiungersi i migliaia di lavoratori attualmente interessanti dagli ammortizzatori sociali. Anche in Emilia Romagna, dove l’ondata della ricostruzione post sismica aveva fatto credere in un balzo in avanti. «Il paradosso - dicono i sindacati che hanno organizzato cortei e assemblee in tutta la Penisola - è che il lavoro ci sarebbe, ma non è cantierabile, a causa del Patto di stabilità che blocca gli Enti locali». Felicia Buonomo Ogni settimana left ospita il diario di bordo dell’iniziativa promossa da Arci, Libera e Avviso pubblico, che terminerà il 6 giugno. www.carovanaantimafie.eu l 25 maggio si è tenuta l’ultima tappa toscana, a Sesto Fiorentino. Da lì ci siamo diretti alla volta dell’Emilia Romagna. Nel tardo pomeriggio arriviamo al circolo Arci Quartiere Ovest di Finale Emilia (Mo), dove ci aspettavano per un dibattito su legalità e ricostruzione. Già, la ricostruzione. E le mafie sono sempre in agguato dove c’è da ricostruire. Un rappresentante della Cgil ha sottolineato: «Molti dicono che il terremoto è democratico, che il terremoto colpisce tutti. Ma non è assolutamente vero, ci sono delle aziende, specie le più grandi, che vengono maggiormente aiutate nella ricostruzione. E in realtà, chi rimane sotto le macerie, non sono i grandi imprenditori, ma gli operai». Tutto ciò avviene nella terra della Resistenza, oltre la Linea Gotica. Sciascia nel 1961 scriveva che la Linea della Palma, del caffè forte, degli scandali sale sempre più su, verso Nord. Oggi le mafie hanno nuovi volti, non più facilmente riconoscibili. Ma ci sono anche i volti di chi oggi aspettava il nostro arrivo. Ed è da qui che dobbiamo ripartire. Da Castelguelfo, a circa un’ora da Bologna, un piccolo Comune dove si vive bene e con una buona dose di anticorpi contro l’infiltrazione mafiosa. Ma, come dice il vicesindaco, l’Amministrazione non deve comunque abbassare la guardia. Nel pomeriggio siamo tornati a Bologna dove, alla festa della Cgil, si è svolto un dibattito con don Luigi Ciotti, Paolo Beni, Susanna Camusso e Andrea Campinoti. Dal dibattito sono state formulate precise richieste al mondo politico: nel nostro Paese la responsabilità individuale dovrebbe affiancarsi a quella collettiva, per costruire un unico anticorpo contro le mafie. Per arrivare a questo è necessario riappropriarci della nostra storia, dare il giusto valore alla parola verità e applicare finalmente per intero la nostra Costituzione. Anche questo pezzo di percorso della Carovana è finito. Prossime tappe, dal primo al 3 giugno, in Veneto e subito dopo in Trentino. a cura dell’Arci 9 idee left.it altrapolitica di Andrea Ranieri Don Gallo, resistenza e speranza A Trasformava gli assistiti in assistenti. Senza dare una gerarchia ai problemi d accompagnare Don Gallo verso la chiesa del Carmine di Genova c’era proprio tutto il suo mondo. Un mondo grande, come grande era la sua capacità di accompagnare e accogliere. Gli operai della Fiom e quelli della Compagnia portuale, signore e signori che credono e altri che non han mai messo piede in chiesa, le prostitute dei vicoli e gay di ogni razza e colore, quelli che sono usciti dalla dipendenza di qualche sostanza e quelli che ancora la combattono, quelli del NoTav e NoPonte, e i ragazzi dei centri sociali. Tutti insieme, e tutti fieri di averlo conosciuto, amato, di avergli parlato. Ognuno con qualcosa contro cui resistere e con qualcosa in cui sperare (che resistenza e speranza sono state il messaggio più grande di Don Gallo). Tutti convinti che il problema dell’altro è anche un proprio problema. Senza gerarchie tra i problemi. Le gerarchie che piacciono tanto a chi vede la crisi da fuori, e che allora “quando è in gioco il lavoro, tutto il resto vien dopo”. Quelli che fissano le priorità a partire magari da quegli stessi parametri che stanno portando il mondo alla rovina. Operai, portuali, gay, travestiti, tutti intorno a Don Gallo, erano l’uno per l’altro una priorità. Di chi sa che il riconoscimento della dignità delle persone, dentro e fuori il lavoro, nella loro eguaglianza e nella loro diversità, è il punto di partenza per affrontare la crisi del mondo che abbiamo conosciuto e per provare a pensarne un altro. Non risolverà tutti i problemi, ma dirsi che riconoscere il diritto a scegliere la mia strada per essere felice, che la sicurezza sul posto di lavoro e il diritto a un lavoro decente è più importante delle cifre che mi proiettano addosso, per farmi sentire debitore anche se vivo del sempre meno che ci si può permettere, è il primo passo per non rassegnarsi, per trovare altri io con cui cercare risposte. Don Gallo da vivo aveva avuto la capacità di far diventare quei diversi io un noi, grande e importante. Un noi che a quel funerale ha dimostrato di voler andare avanti. Di continuare a tessere quel filo rosso che lega tra loro diritti diversi. Accanto a Don Gallo, molte persone della sua comunità avevano trovato dignità e rispetto di sé. Anche se avevano alle spalle storie dure e terribili. Da assistiti si erano trasformati in assistenti dei dolori e delle miserie degli altri. I tagli alla spesa pubblica destinata al sociale rischiano di trasformare a Genova e in tante parti d’Italia gli assistenti in assistiti. Provare a impedirlo è il modo più serio per onorare Don Gallo. saperi diffusi Il frutto marcio delle privatizzazioni L e vicende dell’Ilva costringono a capire anche chi non ha voluto farlo per vent’anni di che cosa parliamo quando diciamo privatizzazioni. Riva ha comprato l’Italsider di Taranto una ventina di anni fa per una manciata di miliardi (di lire, cioè di milioni di euro): ha instaurato in fabbrica un regime dispotico, che gli è valso due condanne per discrimi- 10 nazione ed è costato agli operai centinaia di morti sul lavoro. Ha appestato la città con ogni sorta di emissioni, reflui e rifiuti solidi nocivi che hanno provocato migliaia di malattie e centinaia di morti. Ha imboscato molti miliardi (di euro) di profitti in paradisi fiscali, rimpatriandone una parte esentasse grazie allo scudo fiscale di Tremonti. Ha sfruttato gli impianti senza investire se non lo stretto necessario per tenerli in funzione, mettendo in conto di abbandonarli, insieme a operai e città inquinata, quando non sarebbero più stati redditizi. Riva non è un’eccezione: il resto della siderurgia italiana ceduta ai privati e ora prossima al fallimento non è stata da meno. Ma le grandi privatizzazioni degli anni 90 hanno riguardato anche le principali banche, Telecom e metà di Finmeccanica, cioè i motori di gran parte della meccanica e della microelettronica del Paese, da allora svendute a multinaziona- 1 giugno 2013 left idee left.it in punta di penna di Alberto Cisterna Quello scontro tra poteri sull’Ilva L a vicenda Ilva di Taranto, con le recenti dimissioni dell’intero Cda, rischia di diventare il barometro dei rapporti tra politica e magistratura nei tempi a venire. Il recente sequestro di oltre 8 miliardi di beni a carico degli imputati della famiglia Riva è solo l’ultimo episodio di una contesa giudiziaria che ha assunto toni obiettivamente aspri. In cui è evidente il tentativo della politica di tenersi fuori da un agone che rischia di denunciarne i limiti e le ingiustificate omissioni. Il provvedimento legislativo (per così dire, ad impresam) adottato dal governo Monti pochi mesi or sono non è bastato a risolvere le questioni sul tappeto e ad avviare a soluzione un caso giudiziario che sarà probabilmente ricordato come una delle tappe fondamentali dell’inevitabile riallineamento dei rapporti tra il potere giudiziario e quello politico. Già da tempo si delinea uno schieramento che parla di invasione di campo, di scelleratezza repressiva. Ed è facile immaginare che l’Ilva possa operare da pretesto per futuri regolamenti dei conti. La complessità della vicenda, la enorme rilevanza degli interessi economici, ambientali, sociali in discussione, il rischio paventato di far saltare una delle principali industrie siderurgiche al mondo e di far perdere all’Italia il rating di seconda infrastruttura manifatturiera d’Europa non sono questioni da poco. La magistratura, sia chiaro, è entrata in campo a tempo abbondantemente scaduto, quando tutta la squadra e l’allenatore si erano già rifugiati negli spogliatoi ignorando la dirompente incidenza che le perizie sui tassi di inquinamento nella città di Taranto avrebbero avuto nelle aule di giustizia e innanzi alla pubblica opinione. Le corruzioni, i tentativi di addomesticare l’informazione, l’invocazione d’aiuto alla politica, la girandola di ricorsi: l’affaire Ilva è un concentrato di tutto ciò che tende a trasformare l’azione della magistratura in un maglio dagli effetti devastanti e irreversibili. Il codice penale non prevede che possano avere una qualche considerazione le ragioni dell’economia, le emergenze del lavoro o le latitanze della politica. Certo c’è il buon senso, ma quando lo scontro diviene corrosivo allora il processo è uno strumento micidiale e senza alternative. La lezione è chiara: i governanti non lascino alla magistratura il compito di risolvere questioni di questa complessità e affrontino le emergenze con il piglio di chi intende risolverle. La ragionevolezza della legge non sopporta latitanze. La querelle sulla fabbrica è un pretesto per il regolamento di conti tra politica e magistrati di Guido Viale li e poi chiuse o trasferite all’estero. Adesso è la volta dei servizi pubblici locali, le ex municipalizzate. Per costringerli a cederle la Cassa depositi e prestiti (Cdp) - nata oltre cento anni fa per finanziare a tassi agevolati gli investimenti degli Enti locali e oggi privatizzata - non fa più credito ai Comuni; che, strangolati dalle banche (privatizzate) a tassi di usura, cercano un compratore dei loro immobili e delle loro società per pareggiare i bilanci. E chi trovano sulla loro strada? La Cdp, con un pacco di miliardi (di euro) raccolti negli uffici postali dai piccoli risparmiatori, e pronta a “por- left 1 giugno 2013 tarle in borsa”, dove la concentrazione di queste Spa garantirà, attraverso l’aumento selvaggio delle tariffe, il giusto “ritorno” agli anonimi investitori internazionali dell’alta finanza. Che fare allora? Tornare al passato? Rinazionalizzare? Non basta e non serve: la gestione pubblica dell’Italsider prima di Riva non è da rimpiangere e oggi lo Stato non ha nemmeno più quella scuola e quel serbatoio di manager che era l’Iri. Senza una partecipazione e un controllo da parte dei lavoratori, dei cittadini attivi del territorio, di amministrazioni locali restituite alle loro funzioni di rappre- sentanti e tutori degli interessi dei loro amministrati, senza l’apporto quotidiano della ricerca, ma soprattutto dei saperi diffusi della cittadinanza, tutte cose necessarie al varo di un programma di riconversione ecologica a produzioni e lavorazioni più sostenibili, per il tessuto produttivo italiano non c’è futuro. L’ultimo boccone da cedere ai privati: i servizi pubblici locali 11 idee left.it di Daniela Palma e Guido Iodice keynes blog Industria, manca la materia grigia N L’Italia maglia nera in Europa per addetti ai settori avanzati ei giorni scorsi si è levato ancora una volta il grido d’allarme di Confindustria, che ci presenta un quadro dalle tinte più che mai fosche: il sistema industriale appare sull’orlo del baratro, con un aumento dei fallimenti e una incapacità totale di creare nuova occupazione, a cui si aggiunge un aumento della disoccupazione (+32,3 per cento) dei giovani laureati superiore a quello della disoccupazione media (+30,1 per cento). La crisi in corso ha fatto da detonatore, ma la divergenza rispetto alle performance europee è iniziata negli anni 90 e dovrebbe di per sé sollecitare una seria riflessione sulla direzione che dovrebbero prendere le politiche di intervento. Ma le proposte di Confindustria - come anche le raccomandazioni della Commissione Ue - non arretrano di un millimetro da un terreno già ampiamente battuto, condensandosi nell’ormai logora richiesta di maggiore flessibilità del mercato del lavoro: con la riforma Fornero sono stati fatti alcuni passi per quella in uscita, ma vista la situazione - chiedono gli industriali - occorrerebbero correttivi anche per quella in entrata, come già il governo Letta ha annunciato. Peccato che continuare a parlare di riforma del mercato del lavoro equivalga a pestare l’acqua nel mortaio, nascondendo la dura verità: l’industria italiana ha incontrato sempre meno la domanda di nuovi prodotti tecnologicamente avanzati. In più il vincolo dell’euro, che nelle intenzioni delle classi dirigenti del centrosinistra doveva costringere le imprese a innovare, al contrario ha indotto la compressione della domanda interna e svantaggiato il Paese su quella estera. «L’Italia non ha materie prime e ha infrastrutture scassate. L’unica cosa che abbiamo è la materia grigia, di assoluta qualità», ci ricorda il presidente di Confindustria Squinzi. Già, allora perché il nostro Paese ha una così bassa percentuale di occupati in settori tecnologicamente avanzati (30,5 per cento, contro il 37,3 della Francia, il 38,2 della Germania e il 35,2 del Regno Unito)? E perché presenta scarti ancora maggiori se si contano solo i laureati (13,4 per cento, circa 10 punti in meno rispetto a Francia, Germania e Regno Unito e addirittura meno di Grecia e Spagna, che superano di poco il 20)? Siamo di fronte a un declino strutturale del nostro sistema produttivo e ora, più che mai, è necessario intraprendere politiche di investimento che lo riportino sulla strada dell’innovazione. Ma per farlo occorrerebbe avere il coraggio di rompere con l’austerità made in Ue. in fondo a sinistra 12 1 giugno 2013 left idee left.it l’osservatorio di Francesco Sylos Labini Economisti, fate un test della verità C on il perdurare e l’aggravarsi della crisi economica, la famosa domanda della regina d’Inghilterra del 2008 - «perché la gran parte degli economisti non è stata capace di prevedere la più devastante crisi dell’ultimo secolo» - è sempre più attuale. Le politiche d’austerità oggi applicate sono proposte dagli stessi economisti che fino a qualche anno fa spiegavano come la macroeconomia avesse ormai raggiunto il suo scopo: prevenire le depressioni economiche. Un noto professore della scuola di Chicago, per giustificarsi di non essersi accorto della crisi incombente, ha scritto che «la crisi economica non poteva essere predetta perché la teoria predice che questi eventi non possono essere predetti». Questa dichiarazione è paradossale se la confrontiamo con le scienze dure, in cui le previsioni sono sempre confrontate con gli esperimenti. La scienza si differenzia dall’ideologia proprio perché è sottoposta a verifica sperimentale. Di là dalla capacità di prevedere un singolo evento catastrofico, come il fallimento della Lehman brothers nel 2008, il problema è identificare le cause e le condizioni dell’instabilità del sistema. Facendo un’analogia con la scienza che studia i terremoti, il problema prima di tutto è identificare quale sia una zona si- smica. A questo riguardo bisogna porre l’attenzione sulle basi delle teorie economiche e chiedersi se gli assiomi fondamentali usati sono davvero sottoposti a test empirici. Ad esempio: i mercati, quando sono lasciati liberi, tendono a un equilibrio che massimizza l’efficienza? Chi assume che i mercati liberi siano efficienti e si auto-regolino verso l’equilibrio, sarà portato ad “affamare la bestia”, lo Stato, considerato corrotto e clientelare. Se invece si trovasse nell’evidenza empirica che i mercati, lasciati liberi, sono dominati da fluttuazioni selvagge che generano pericolosi squilibri, allora si proporrà un maggiore intervento pubblico. Le fluttuazioni dei mercati finanziari sono molto più grandi di quello che sperano gli adepti dell’equilibrio. I quali, dunque, preferiscono non confrontarsi con i dati per rifugiarsi in inutili disquisizioni teoriche. Eppure alcuni economisti, mascherando dottrine ideologiche dietro oscure formule matematiche e facendo un uso dei dati piuttosto disinvolto, cercano di far passare scelte politiche per neutri risultati scientifici. Tuttavia non si può pretendere di avere il prestigio di una scienza dura senza pagare il dazio del test delle previsioni: per questo presentare l’economia come una neutra disciplina tecnica è una truffa. Presentare le teorie sui mercati come scienza neutra è una truffa di Fabio Magnasciutti left 1 giugno 2013 13 copertina left.it LA REGGINA DE 14 1 giugno 2013 left copertina left.it LLE TRATTATIVE di Alessia Candito e Rocco Vazzana La procura calabrese apre un fascicolo sulla stagione delle stragi. E scopre che Riina chiedeva aiuto alle’ndrine L a strategia stragista che all’inizio degli anni 90 insanguinò il Paese con l’obiettivo di aprire una trattativa segreta con le istituzioni non fu orchestrata solo da Cosa nostra. A offrire ai siciliani un sostegno operativo e contatti con apparati deviati dello Stato fu la ’ndrangheta reggina. L’unica organizzazione criminale ad avere relazioni privilegiate con servizi segreti, eversione nera, massoneria. Ne è convinto Giuseppe Lombardo, sostituto procuratore di Reggio Calabria che ha appena aperto un fascicolo sulla trattativa. Secondo la tesi del pm reggino, le ’ndrine calabresi nei primissimi anni 90 diventano protagoniste assolute nella ricerca di nuovi referenti politici. © SPADA/LAPRESSE Il dialogo tra mafia e Stato non inizia con la bomba di Capaci, ma con l’omicidio Scopelliti left 1 giugno 2013 Mentre la Prima Repubblica comincia a scricchiolare, la mafia siciliana e quella calabrese uniscono le forze per non rimanere travolte dal ciclone: servono nuovi interlocutori e nuove coperture. Soprattutto in vista dell’arrivo in Cassazione del maxi processo istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che vede alla sbarra il gotha della criminalità organizzata isolana. Per sedersi a un tavolo e trattare, prima bisogna destabilizzare. È questa la strategia perseguita dalle mafie in quegli anni. Un progetto che non inizia con le stragi di Capaci e via D’Amelio. Né, volendo fare un passo indietro di pochi mesi, con l’omicidio di Salvo Lima, eurodeputato democristiano e capo della corrente andreottiana in Sicilia, assassinato a Palermo il 12 marzo 1992. Secondo Giuseppe Lombardo, la strategia stragista inizia almeno un anno prima: il 9 agosto 1991, data dell’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, assassinato Brescia, 11 maggio 2013, proteste durante la manifestazione del Pdl contro la sentenza che condanna Silvio Berlusconi a 4 anni di reclusione per frode fiscale 15 copertina © MERLINI/LAPRESSE left.it I boss volevano spezzare l’Italia in più Stati, secondo il piano di Licio Gelli mentre era in vacanza in Calabria, sua terra natìa. Scopelliti avrebbe dovuto rappresentare in Cassazione l’accusa nel maxi processo a Cosa nostra. Lo ammazzano mentre rientra a casa, senza scorta, a bordo della sua automobile. Un omicidio eccellente rimasto impunito fino a oggi e dietro il quale si nasconderebbe la chiave dell’alleanza tra calabresi e siciliani. Per questo, lo scorso anno, Giuseppe Lombardo ha deciso di riaprire il caso. Soprattutto dopo le dichiarazioni rilasciate in aula dal pentito Nino Fiume, ex ’ndranghetista ed ex cognato del boss Giuseppe De Stefano. Secondo Fiume, ad assassinare il magistrato fu un commando composto da calabresi che spararono per fare un favore ai Corleonesi. Milano, 3 marzo 2002, Silvio Berlusconi e Umberto Bossi durante il IV congresso della Lega nord 16 UNA NAZIONE PER LA MAFIA Sono tanti i collaboratori di giustizia che riferiscono dei rapporti tra ’ndrangheta e Cosa nostra. Ma a breve, oltre alle testimonianze, potrebbero saltare fuori nuovi documenti. Notizie riservate, rimaste a prendere polvere in alcune Questure per più di 20 anni che presto potrebbero entrare in possesso della magistratura. Documenti investigativi incentrati sull’iper attivismo di Totò Riina che nel 1991 sarebbe sbarcato più volte in Calabria per pianificare insieme ai boss, soprattutto reggini, la strategia della tensione. Attentati e sostegno ai movimenti separatisti locali che in quegli anni nascono in tutte le regioni grazie al certosino lavoro di un nome noto delle trame italiane: Licio Gelli. È questo il disegno criminale che prevede lo spezzettamento dello Stato in più realtà territoriali per dare alla mafia una nazione. Sono anni in cui i capi bastone «progettano di “farsi Stato”, ritirando la delega per la tutela dei propri interessi a settori del mondo politico rivelatisi inaffidabili, con l’intenzione di gestirli direttamente, tramite proprie creature politiche», scrivono i magistrati di Palermo nell’inchiesta denominata “Sistemi criminali”, archiviata anche per problemi di competenza territoriale. Perché gli inquirenti mai avrebbero potuto immaginare che il progetto eversivo di Cosa nostra avesse le radici in Calabria. Solo la magistratura reggina potrà continuare a indagare. Ma Sistemi criminali scatta una fotografia inedita delle alleanze tra ’ndrine e mafiosi siciliani. Illuminanti sono le dichiarazioni rese ai magistrati da Tullio Cannella, intimo collaboratore di Leoluca Bagarella: Vito Ciancimino mi disse «che a questo progetto aveva collaborato fortemente la ’ndrangheta calabrese. Specificò al riguardo: “Devi sapere che la vera massoneria è in Calabria e che in Calabria hanno appoggi a livello di servizi segreti”. Queste dichiarazioni di Ciancimino mi fecero comprendere meglio 1 giugno 2013 left copertina left.it perché si era tenuta a Lamezia Terme la riunione di cui ho riferito in precedenti interrogatori, e alla quale partecipai personalmente tra esponenti di “Sicilia Libera” e di altri movimenti leghisti o separatisti meridionali, riunione alla quale erano presenti anche diversi esponenti della Lega nord». LA FALANGE ARMATA PER LA PACE Leghe e stragi, attentati dinamitardi e omicidi. «Si fa la guerra per poi fare la pace», avrebbe detto Totò Riina in una riunione tenutasi a Enna per pianificare la strategia. E la guerra passa attraverso azioni di terrorismo puro. Attentati da rivendicare a nome della Falange armata, una sigla utile a confondere lo stragismo mafioso con quello politico, dietro cui si nascondono i servizi segreti. Come conferma ai magistrati di Palermo un altro pentito, Maurizio Avola: «Ho anche appreso che Cosa nostra fin dal ’90 aveva intenzione di eseguire attentati anche fuori della Sicilia celandosi dietro false rivendicazioni con la sigla “Falange Armata”». Ma le parole di Avola accendono uno spiraglio di luce su un altro episodio, apparentemente slegato e che anticiperebbe di un anno la strategia concordata da Cosa nostra e ’ndrangheta. Nel 1990, infatti, i calabresi fanno uccidere un uomo a Milano, attribuendo il gesto proprio alla Falange armata. L’11 aprile del 1990 viene assassinato Umberto Mormile, educatore penitenziario in servizio al carcere di Opera, a Milano. Un omicidio anomalo, disposto dal boss calabrese Domenico Papalia, convinto che il dipendente carcerario potesse essere d’ostacolo alla sua condizione detentiva privilegiata. Almeno secondo la ricostruzione che fa dell’accaduto Nino Cuzzola, uno degli esecutori materiali dell’agguato a Mormile. Il killer racconta che l’educatore penitenziario viene ucciso perché ha diffuso alcuni particolari sulla detenzione di Domenico Papalia: incontri con uomini dei servizi segreti e continui permessi di lavoro fuori dalla struttura detentiva. Benefici non comuni per un ergastolano. Secondo il killer Cuzzola, inoltre, Papalia organizza l’omicidio - in seguito rivendicato dalla Falange Armata - con l’ausilio di Franco Coco Trovato, uomo della cosca De Stefano in Lombardia e rappresentante dell’area più favorevole alla partecipazione dei clan di ’ndrangheta alla strategia della tensione. left 1 giugno 2013 NEOFASCISTI E SUPERLOGGE A questa strategia la ’ndrangheta in principio dice no, costruendo su quel no le basi del suo futuro dominio che si sarebbe concretizzato negli anni a venire prima nel narcotraffico, poi nella colonizzazione economica, politica e sociale del Nord e non solo. Ma nonostante il gran rifiuto, gli uomini delle ’ndrine reggine non lasciano soli i “cugini” siciliani. La ’ndrangheta assicura ai mafiosi mezzi, appoggio logistico e uomini. Come Antonio Cortese, l’armiere del clan Lo Giudice, che sarebbe stato “prestato” come esperto ai clan di Cosa Nostra negli anni delle stragi. Tutti gli elementi dimostrano non solo come la ’ndrangheta già nel 1990 sia perfettamente a co- Vito Ciancimino: «La vera massoneria è in Calabria. Hanno appoggi nei servizi» noscenza del disegno criminale concepito da Totò Riina, ma anche le modalità di partecipazione a quel progetto, cresciuto negli anni delle stragi di Stato. Le mafie diventano “agenzie di servizi” agli ordini di occulti centri di potere, e aderiscono al progetto federalista delle super-logge di Licio Gelli . Dati di fatto che permettono oggi al gip Piergiorgio Morosini di mettere nero su bianco nel rinvio a giudizio per i tredici imputati per la trattativa Stato Mafia che «nel perseguimento di questo progetto Cosa nostra sarebbe alleata con consorterie di “diversa estrazione”, non solo di matrice mafiosa (in particolare sul versante catanese, calabrese e messinese). E nelle intese per dare forma a tale progetto sarebbero coinvolti “uomini cerniera” tra crimine organizzato, eversione nera, ambienti deviati dei servizi di sicurezza e della massoneria, quali ad esempio Ciancimino Vito». Il grumo di potere che sembra essere alla base dei rapporti fra ’ndrine e Cosa nostra inizia ben prima che la tentazione stragista investisse i Corleonesi. A spiegarlo ai magistrati reggini nei primi anni Novanta è il pentito di ’ndrangheta, Filippo Barreca, secondo cui l’anello di congiunzione tra Cosa nostra siciliana e la ’ndrangheta reggina era l’avvocato Paolo Romeo, appartenente alla cosca De Stefano. Scrivono i magistrati palermitani: «È personalmente dall’avv. Romeo, indicato altresì dal Barreca come massone, appartenente alla struttura Gladio e collegato con i ser- 17 copertina © PUBLIFOTO/LAPRESSE left.it DALLE LEGHE ALLA LEGA E quel progetto abbozzato negli anni Settanta si è evoluto, arrivando a bussare prepotentemente alla porta della politica della Seconda Repubblica negli anni Duemila. E non solo perché l’esplosione delle leghe regionali - si afferma nel prov- ©LAPRESSE IN BASSO LA CRONOLOGIA DELLE STRAGI DI MAFIA organizza un incontro «tra il golpista Junio Valerio Borghese ed il gruppo mafioso dei De Stefano, facendo in tale contesto da tramite per le richieste di appoggio ai progetti eversivi, avanzate dalla destra extraparlamentare e proprio da Junio Valerio Borghese alle organizzazioni mafiose», scrivono i pm palermitani. ©LAPRESSE Palermo, 3 marzo 1996, Totò Riina depone al processo per l’uccisione del giudice Scopelliti vizi segreti, che il collaborante ha riferito di avere appreso che nel 1990-91 egli «era interessato aun progetto politico che puntava alla separazione delle regioni meridionali dal resto del Paese». Il Barreca ha inoltre affermato che la regia di tale disegno era da ricercarsi a Milano dove era avvenuto un incontro tra i clan calabresi facenti capo ai Papalia ed esponenti di Cosa nostra». Esponente della destra eversiva fin dagli anni 70, vicino ai servizi, massone, Paolo Romeo viene arrestato nel 1980 per aver coperto e favorito la latitanza di Franco Freda. Romeo procurava nascondigli al neofascista, tra cui l’abitazione del pentito Filippo Barreca. È Romeo che nel 1970 Assassinato il giudice Scopelliti mentre era in vacanza in Calabria. Doveva rappresentare, in Cassazione, l’accusa nel maxi processo 18 Alla vigilia delle elezioni, viene ucciso a Palermo Salvo Lima, eurodeputato Dc e capo della corrente andreottiana in Sicilia Nella strage di Capaci muoiono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta La strage di via D’Amelio uccide il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta 1 giugno 2013 left copertina left.it Per i pm la Lega deve le proprie fortune finanziarie alla cosca De Stefano © SHOBHA Viene assassinato Ignazio Salvo, imprenditore e tradizionale interfaccia di Cosa nostra con la politica, in particolare con Salvo Lima left 1 giugno 2013 © POLO MUSEALE FIORENTINO mafiosa e il sedicente avvocato Bruno Mafrici, nato a Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), ma residente a Milano, ex consulente del ministero alla Semplificazione, faccendiere e socio della Mgim dell’ex tesoriere dei Nar, Lino Guaglianone, uno dei più importanti studi di Milano. Guaglianone è un altro calabrese di San Sosti, in provincia di Cosenza che dopo la parentesi eversiva che gli è costata una condanna per partecipazione a banda armata a cinque anni di detenzione, ridotta di qualche mese in appello, a Milano ha fatto fortuna andando ad occupare posti strategici nel Cda di aziende pubbliche e semi pubbliche. Sono questi i protagonisti dell’inchiesta che ha mandato definitivamente in soffitta l’era della Lega di Bossi, aprendo il campo al Carroccio 2.0 dell’ex Ministro dell’Interno, Roberto Maroni. E forse non a caso. Perché - stando agli ultimi esiti investigativi - forse l’uragano che, insieme a Belsito, ha travolto il Senatur, potrebbe essere stato quanto meno orientato. In un tesissimo interrogatorio nella sede della Dia di Milano, è lo stesso Belsito a raccontarlo : «L’unico obiettivo politico… che ho potuto immaginare è distruggere la Lega nord e Umberto Bossi attraverso me». Un progetto che, secondo l’ex tesoriere, avrebbe Roberto Maroni come esecutore, ma i veri registi saldamente piantati in Calabria. © ARCHIVIO UNITÀ vedimento di archiviazione di Sistemi Criminali - venne arginata dalla concomitante nascita di un nuovo soggetto politico, Forza Italia, candidato a cooptare quel bacino di consensi che i movimenti federalisti avevano costruito. La medesima struttura di potere, che a vario titolo vede intervenire ’ndrangheta, destra eversiva, pezzi di Stato e di grande borghesia italiana, sembra essere ancora attiva e al lavoro. È quella struttura la vera protagonista dell’inchiesta che ha messo a soqquadro il Carroccio, mandando in pensione forzata lo storico segretario Umberto Bossi e portando all’avviso di garanzia prima e all’arresto dell’ex tesoriere Francesco Belsito con l’accusa di truffa ai danni dello Stato, finanziamento illecito ai partiti e riciclaggio. Un’indagine che non solo ha toccato molto da vicino la famiglia del Senatur, pizzicata a finanziare le spese personali con i soldi del partito, ma soprattutto ha svelato che le casse della Lega per prosperare avrebbero avuto bisogno degli uomini della ’ndrangheta. Quasi un paradosso per il Carroccio. Il partito che, solo qualche mese fa, rispondeva inviperito a chi denunciasse la presenza delle ’ndrine al Nord Italia, per i magistrati ha legato le proprie fortune e le proprie finanze alla potentissima cosca De Stefano di Reggio Calabria. A fare da trait d’union fra queste realtà in apparenza inconciliabili, Romolo Girardelli, destinatario mesi fa di un avviso di garanzia per una serie di reati che vanno dalla truffa al riciclaggio, aggravati dalla contestazione dell’associazione A Roma, in via Fauro (ai Parioli), esplode un’autobomba destinata a colpire il conduttore televisivo Maurizio Costanzo A Firenze, un furgoncino imbottito di esplosivo salta in aria in via dei Georgofili: 5 morti, 29 feriti e danni alla Galleria degli Uffizi A Milano, in via Palestro, una bomba miete 5 vittime. A Roma due esplosioni colpiscono piazza San Giovanni e San Giorgio al Velabro 19 copertina © LAPRESSE left.it © ENDLICHER/AP/LAPRESSE LE STRAGI E LA MA 20 1 giugno 2013 left copertina © AP/LAPRESSE left.it CCHINA DEL TEMPO di Maurizio Torrealta Così in Europa, nel corso della storia, le bombe hanno influenzato l’opinione pubblica. Dall’attentato di Bologna alla banda del Brabante Vallone A vete visto nelle pagine precedenti come si è venuta a comporre la strategia delle stragi fin dall’omicidio Scopelliti avvenuto il 9 Agosto del 1991. Ma per capire bene il significato dei fatti senza annoiarvi con date e nomi, dovreste salire con me su una immaginaria macchina del tempo ed andare indietro fino alla fine degli anni 70. Sbirciando dentro l’aula del Palazzo di giustizia vedreste Antonino Scopelliti in toga che rappresenta l’accusa al processo di piazza Fontana. Se lo seguite non solo nello spazio ma anche nel tempo, lo ritrovate negli anni 80 ancora con la toga nel primo processo per l’uccisione di Aldo Moro, e con un altro giro della manovella della macchina del tempo lo ritrovate nel processo per la strage del rapido 904, il treno che esplose poco prima del Natale 1984 nella galleria tra Firenze e Bologna, uccidendo 17 persone. Guardate con attenzione sul banco degli imputati e trovate un camorrista, Giuseppe Misso detto Bebbe O Nasone, e un mafioso, Pippo Ca- left 1 giugno 2013 lò, accusati di strage e terrorismo. Sono convinto che vi domandiate perchè mai un cammorista e un mafioso abbiano deciso di diventare terroristi e far saltare in aria i treni interrompendo il loro precedente lavoro di onesti criminali. Ora permettetemi un ultimo salto indietro nel tempo ancora di un anno e ci troviamo il 21 giugno del 1989 davanti alla villa dell’Addaura di Giovanni Falcone, il magistrato si trova poco distante da 58 candelotti di esplosivo che sono sugli scogli davanti a casa sua. Se fate silenzio potete ascoltare le sue parole mentre parla con un giovane che assomiglia al giornalista Saverio Lodato, ora in pensione: «Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi». A questo punto, possiamo pensa- In alto a sinistra: 19 luglio 1992, la strage di via d’Amelio. In basso a sinistra: 26 settembre 1980, attentato all’Oktober Fest. In questa pagina: la strage di Bologna del 2 agosto 1980 21 copertina left.it re che le ragioni per uccidere il magistrato Antonino Scopelliti e lo stesso Giovanni Falcone fossero più di una. Non si trattava solo di magistrati non avvicinabili, ma anche dei magistrati più informati sul terrorismo stragista e sui soggetti che lo utilizzavano, insomma i magistrati più vicini all’individuazione dei mandanti. Adesso torniamo nel futuro e poniamoci delle domande semplici e dirette su quello che sta succedendo nel nostro Paese. Dopo un viaggio nel tempo come quello che abbiamo appena fatto e le cose che abbiamo visto, ci sentiamo in grado di fare congetture. Prima della sentenza definitiva della Cassazione del 30 gennaio del 1992 ci sono stati tanti segnali che il maxi processo avrebbe mandato in carcere un buon numero di imputati per associazione mafiosa. Perché dunque il governo Andreotti non utilizzò i servizi di intelligence per informarsi e contattare Cosa nostra per trovare una soluzione? Un accordo si sarebbe trovato, un po’ di soldi da far arrivare a Cosa nostra sarebbero sicuramente usciti tra i tanti appalti nell’isola, problemi con la giustizia non ci sa- I killer della Uno bianca erano 5 poliziotti e hanno ucciso 24 persone rebbero stati. I servizi servono proprio a compiere azioni non proprio legali, ma necessarie per il bene dello Stato. Perché non si sono mossi? Cosa facevano i nostri servizi in quegli anni? Per quali motivi è stato necessario ricorrere ai Ros per trattare con Cosa nostra? Non è un questione di lana caprina: se il raggruppamento operativo speciale dei carabinieri doveva catturare i latitanti di Cosa nostra durante il giorno, come poteva andarci a cena insieme la sera? Lo sapete come funzionano queste cose prima o poi qualcuno ne parla. Per capire il ruolo dei servizi basta ricordare dove lavorava Bruno Contrada prima di essere arrestato: qualcosa non stava funzionando nell’ Alto commissariato per la lotta alla mafia se il capo gabinetto Bruno Contrada, che è stato anche numero tre del Sisde, viene arrestato nel 1992 per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma se viene arrestato il capo gabinetto, i suoi superiori presumibilmente non stavano facendo attività troppo diverse da quelle svolte da Bruno Contrada. Diamo una occhiata ai dirigenti del Sisde in quegli anni e la prima sorpresa che 22 troviamo è che il numero uno della polizia dall’ 87 al 93 è Vincenzo Parisi, già capo del Sisde dall’ 84 all’87 proprio gli anni in cui con il Sisde collaborava anche Arnaldo la Barbera sospettato oggi di aver costretto degli innocenti a confessare di aver organizzato la strage di via d’Amelio. Troviamo anche Riccardo Malpica che fu a lungo indagato per i fondi neri del Sisde assieme ad Angelo Finocchiaro. E infine, Mario Mori lo stesso ufficiale dei carabinieri coinvolto nella trattativa - attualmente sotto processo - che dal 2001 al 2006 ha comandato il Sisde negli anni del cosiddetto “protocollo farfalla” l’accordo che dirottava le notizie di reato dentro le carceri ai servizi segreti e ne escludeva la magistratura. Cosa combinava il Sisde in quegli anni? All’epoca delle stragi il Sisde era seriamente impegnato nella ricerca di soldi, tanti soldi. Tanti che il capo del Cesis, l’organismo di coordinamento del servizio interno e quello estero, l’ambasciatore Paolo Fulci, fece partire un’inchiesta sui conti correnti di cinque 007 che invece di vergognarsi dei miliardi che avevano messo da parte, se la presero con il Presidente Scalfaro, accusandolo di avere usufruito di quei soldi quando era stato ministro dell’Interno. In quegli anni le notizie su membri del governo pagati dai fondi neri del Sisde aumentarono di giorno in giorno, mostrando un esecutivo che nei suoi uffici più importanti era letteralmente a busta paga dei servizi. Paolo Fulci, che si dice fosse un uomo dello Stato di simpatie andreottiane, non si fermò ai fondi del Sisde, fece anche i nomi di sedici funzionari del Sismi della settima divisione, la stessa alla quale faceva capo la struttura Gladio. Secondo Paolo Fulci, quelle persone potrebbero avere avuto un ruolo nell’attività della cosiddetta Falange armata, l’organizzazione che rivendicò buona parte delle stragi del 1993. Il nostro antenato, il settimanale Avvenimenti del 14 dicembre del 1994, fu l’unico organo di stampa a pubblicare la lista questi nomi. La risposta alla domanda sul perché non intervennero nel 1992 i servizi a trattare con Cosa Nostra è stata lunga ma penso abbiate capito come sono andate le cose. Rileggendo questi fatti si ha l’impressione che i servizi in realtà aiutassero Cosa nostra o depistando le indagini sugli attentati che compiuti in quegli anni o partecipando direttamente alla loro organizzazione come sembra emergere dalle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia. 1 giugno 2013 left copertina left.it Dobbiamo ora porci un’altra domanda: perché mai i nostri servizi hanno difeso Cosa nostra? Ovviamente non possiamo che fare ipotesi, ma percependo il disagio degli organi più alti dello Stato a trattare argomenti come la trattativa o a discutere seriamente di fatti acclarati come i diversi depistaggi sulle indagini sulle stragi (ultimo quello sulla strage di via d’Amelio che ha portato in carcere 11 innocenti per una decina di anni), mi viene da pensare che il ruolo di Cosa nostra sia stato più importante di quanto lo si voglia considerare. Sicuramente Cosa nostra è stata una riserva elettorale che ha permesso nei momenti cardine della storia del nostro Paese di conquistare i voti necessari a battere i socialisti e comunisti, considerati in quegli anni alleati del Blocco sovietico. Ma non si tratta solo di questo, erano i tempi della guerra fredda e la guerra non dichiarata contro il blocco comunista aveva bisogno di soldi di molti soldi, e l’attività della mafia siciliana con gli enormi proventi del traffico di eroina fu in grado di riempire le banche di Sindona e di Calvi e di molti altri banchieri che con le loro spregiudicate operazioni finanziarie permisero di investire geopoliticamente nelle aree più prossime alla separazione dal blocco comunista. Ma anche questa spiegazione non riesce a giustificare l’arroganza politica e la soggezione istituzionale che le stragi del 92-93 hanno provocato nel nostro Paese. Viene da pensare che a favore di Cosa nostra siano intervenuti accordi segreti di livello transnazionale, accordi atlantici del tipo di quelli denunciati dal libro di Daniele Ganser Gli eserciti segreti della Nato, non certo limitati solo ai confini del nostro Paese ma attivi in tutti gli Stati europei. Questi accordi coinvolgevano strutture più o meno identificabili con quelle di “Stay Behind” dove destra eversiva, criminalità mafiosa, e servizi segreti deviati hanno operato all’interno di una strategia del terrore apparentemente obsoleta ed insensata. In realtà per quanto logora potesse sembrare questa strategia, ha prodotto l’effetto voluto sull’opinione pubblica: davanti ad atti terroristici il corpo sociale si è contratto e si è collocato su posizioni conservative e di difesa. Se affrontiamo con serenità la problematica del terrorismo nella sua dimensione europea, scopriamo come nello stesso periodo storico sono avvenuti episodi analoghi in Italia ed in altri Paesi d’Europa. Vediamone alcuni: una bomba esplode alla stazione di Bologna il 2-08-1980 e provoca left 1 giugno 2013 81 morti, in Germania sei settimane dopo, il 26 ottobre 1980 all’Oktober Fest a Monaco un giovane neonazista fa esplodere una bomba e muore assieme a 12 visitatori. Ancora forme di terrorismo diffuso e criminale che si manifestano in modo simile in Emilia Romagna dove la banda della Uno bianca composta da 5 poliziotti dal 1987 al 1994 ha colpito 103 volte uccidendo 24 persone, e nel Belgio, dove episodi del tutto simili sono avvenuti dal 1982 al 1985 nella zona del Brabante Vallone provocando 28 morti. L’estremista di destra Paul Latinus sospettato di essere coinvolto con la banda dopo aver ammesso di aver lavorato per una organizzazione segreta straniera, viene trovato impiccato al cordone del telefono il 24 Aprile del 1985. Sempre in Belgio, l’assalto alla caserma dei gendarmi nella città di Vielsam compiuta dal gruppo di Stay Behind all’interno della esercitazione chiamata Oesling per approvvigionarsi di armi in modo autonomo, ha causato un morto tra gli ignari gendarmi che si trovavano nella caserma come è stato accertato dalla commissione parlamentare belga che ha ricostruito l’episodio. Ha confessato e lo hanno trovato impiccato al filo del telefono In Sicilia un caso simile: la caserma di Alcamo viene assalita il 27 gennaio del 1976 e due carabinieri vengono uccisi. Per l’episodio viene arrestato e costretto a confessare sotto tortura un innocente, Giuseppe Gullotta, rimasto in prigione per 22 anni prima che un carabiniere, Renato Olino, raccontasse le torture, scagionandolo. Il pentito Vincenzo Calcara ha parlato nel corso del processo di un ruolo della mafia negli omicidi collegandoli alla organizzazione di Gladio, la struttura militare segreta che nel trapanese già dagli anni 70 aveva proprie basi. Da quanto è emerso, quei militari potrebbero essere stati uccisi per avere fermato un furgone carico di armi destinate proprio a Gladio. Solo a livello europeo, con un lavoro coordinato su tutti i Paesi coinvolti dalla folli operazioni di guerra psicologica messe in atto dalla struttura segreta Stay Behind, sarà possibile mettere fine a questa anacronistica ingerenza nella politica europea. La cui esistenza segreta è l’indicibile strascico di una guerra fredda finita ormai da più di venti anni che cementa ancora alleanze politiche altrettanto anacronistiche. 23 società left.it CARTA STRACCIA di Donatella Coccoli 24 1 giugno 2013 left società left.it S © OLIVERIO/ IMAGOECONOMICA trattonata da tutte le parti, a destra e anche a sinistra, la Costituzione è diventata il capro espiatorio per tutto quello che non va in Italia. E mentre gli elettori voltano le spalle ai partiti, questi sperano di recuperare il consenso perduto per la via delle riforme costituzionali. Dopo il tentativo di Berlusconi bocciato con il referendum del 2006, ci si è messo anche il governo Letta, che fresco di nomina ha scodellato la Convenzione bipartisan per metter mano alla Carta. Su cui aleggia lo spettro del presidenzialismo: piace al pidiellino Gaetano Quagliariello, ministro delle Riforme istituzionali, come ai renziani che sognano il “sindaco d’Italia”. In questo scenario cresce la mobilitazione in difesa dei princìpi della Carta. Che diventa il vessillo di un fronte politico “alternativo” a tutti gli effetti. Il professor Settis con le “quindici tesi per l’Italia” pubblicate sullo scorso numero di left ha lanciato un “manifesto” a partire dalla Costituzione. E a Bologna il 2 giugno la manifestazione promossa da Libertà e Giustizia “Non è cosa vostra - Cittadini per la Costituzione”, raccoglierà personaggi che si sono spesi in tutti questi anni in difesa dei valori costituzionali: Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Maurizio Landini, Sandra Bonsanti, Roberto Saviano e molti altri. Il presidenzialismo. La cancellazione dei contratti collettivi di lavoro. Gli esodati. I diritti dei gay. La situazione delle carceri. La mancanza del reato di tortura. Ecco dove la Costituzione è stata tradita left 1 giugno 2013 Ma la Costituzione non è solo il terreno di uno scontro politico. È anche la cartina di tornasole che evidenzia una delle crisi più gravi dal dopoguerra. È stridente infatti la contraddizione tra quei principi scritti 65 anni fa e la realtà attuale. È vero che quelli erano obiettivi difficili da realizzare e che lo stesso Piero Calamandrei già nel 1956 parlava di “Costituzione inattuata”, ma ormai il vuoto di diritti in cui ci troviamo è diventato un baratro. I tagli su istruzione, ricerca, sanità, cultura, giustizia hanno bloccato il Paese. Cresce la dispersione scolastica, così come il numero di giovani che non lavorano. Aumentano la povertà e la disuguaglianza sociale. L’elenco dei “tradimenti” è lunghissimo, ne abbiamo scelti alcuni, significativi. Il primo è il lavoro. Insieme ai tre milioni di disoccupati ciò che colpisce è l’attacco alla dignità del lavoro. Un pericolo per la democrazia stessa, mette in guardia Gustavo Zagrebelsky. «La questione democratica è questio- Milano, manifestazione per la festa della Repubblica 25 società © DE LUCA/LAPRESSE left.it Il 2 giugno, a Bologna, un fronte aperto per difendere la Costituzione. E applicarla Roma, 22 dicembre 2010, protesta degli studenti contro la riforma Gelmini 26 ne del lavoro, e del lavoro libero e dignitoso», scrive nell’appassionato saggio Fondata sul lavoro (Einaudi, 2013). I Costituenti avevano lo sguardo lungo. «Nella Carta il lavoro è considerato un momento cardine delle organizzazioni sociali», afferma il giuslavorista Piergiovanni Alleva, professore di Diritto del lavoro ad Ancona. «L’articolo 4 non è un’affermazione retorica ma costituiva una sorta di programma politico, così come l’articolo 3, che fissava il diritto di uguaglianza», continua Alleva. E l’articolo 41 sull’iniziativa economica privata indica che questa non deve essere in contrasto con l’utilità sociale. Mentre l’articolo 36 sancisce che la retribuzione deve permettere «un’esistenza libera e dignitosa». Ma dentro la Costituzione si parla anche della tutela del lavoro, prevedendo la libertà sindacale nella contrattazione (art. 38) e il diritto di sciopero (art. 40). Chiaro che il “metodo” Fiat che espelle la Fiom dalla fabbrica non è proprio in linea col dettato della Carta. «La Costituzione voleva esattamente il contrario», spiega il giuslavorista. «La legittimazione del contratto collettivo è basata sulla rappresentatività del sindacato. Oggi invece i contratti collettivi si possono fare anche con una minoranza sindacale. Lo sceglie il padrone il sindacato con cui fare il contratto». Proprio sul caso Fiat-Fiom, il 2 luglio si dovrà pronunciare la Corte costituzionale, mentre rimane in sospeso un altro capitolo delicato. Quello degli esodati, altro caso di diritti negati. «Mai nessuno prima aveva colpito il disoccupato che sta aspettando di andare in pensione o che fa i salti mortali per pagare i contributi volontari». Secondo Alleva, l’opera di Monti e Fornero è andata contro l’articolo 38 della Costituzione, in cui si prevede invece che i lavoratori abbiano diritto «ai mezzi adeguati alle loro esigenze di vita» in caso di vecchiaia, infortunio, malattia, disoccupazione. Un articolo prezioso, il 38, perché conclude Alleva, «contiene in nuce il dovere e la possibilità di fare una legge per un salario pubblico garantito». Così come sarebbe possibile, seguendo la Costituzione, un’altra legge: il matrimonio tra omosessuali. «L’articolo 29 sancisce un principio rivoluzionario, quello della parità fra i coniugi», dice Marilisa D’Amico docente di Diritto costituzionale all’università di Milano e autrice di Laicità è donna (L’Asino d’Oro, 2013). «Questo servirebbe a riconoscere le coppie omosessuali». Un primo passo l’aveva compiuto la Consulta nel 2010. Poi però sul matrimonio non si è andati avanti. Invece il legislatore 1 giugno 2013 left società left.it potrebbe farlo perché la Costituzione lo permetterebbe: «L’articolo 2 riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, l’articolo 29 vede la famiglia come luogo di parità e di uguaglianza». Ma c’è un luogo dove i diritti “inviolabili dell’uomo” non vengono quasi mai rispettati. E lo attestano le condanne inflitte al nostro Paese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’ultima a gennaio, mentre pochi giorni fa è arrivata la bocciatura del ricorso del governo. È il carcere, il buco nero dove ogni anno finiscono migliaia di persone. «In gioco ci sono l’articolo 13 sulla libertà personale e l’articolo 27 che riguarda la pena, che dovrebbe rieducare. Ma non vengono attuati», afferma Silvia Buzzelli, docente di Diritto penitenziario all’università Bicocca di Milano. Circa 70mila detenuti, un terzo dei quali senza un posto letto. Da anni si attende una riforma e misure alternati- ve alla detenzione. Invece si mantiene «il carcere spazzatura con il migrante, il tossico, la persona con qualche turba mentale. È il luogo dei disperati, dove i suicidi aumentano del 20 per cento rispetto all’esterno». I princìpi di libertà in Italia non valgono nemmeno per i migranti. E nel codice penale manca il reato di tortura. Silvia Buzzelli insieme ai suoi colleghi qualche giorno fa ha lanciato la “dichiarazione dell’università Milano-Bicocca per la prevenzione della tortura”. Ma in Italia, nonostante la firma del protocollo dell’Onu che ci impone l’introduzione del reato, la legge ancora non c’è. Perché questo ritardo? «Il reato di tortura è un crimine contro l’umanità, non ammette prescrizione», conclude Silvia Buzzelli. «Si pensi a Genova e a tutti i casi di violenza nelle carceri e il quadro è chiaro. Noi purtroppo abbiamo ancora la cultura dell’impunità». Guai a chi la tocca P rofessor Onida ci stiamo allontanando dai princìpi della Costituzione? Ci sono segnali negativi. Per esempio il fatto che aumentino di molto le disuguaglianze economiche e sociali, e siano ancora diffuse situazioni di vera e propria povertà, tutto ciò va nella direzione opposta rispetto a quella indicata nella Costituzione. Quel che però è ancora più pericoloso è che a volte sembra che venga meno la fiducia ideale nei traguardi da raggiungere. Se non ci si crede più, se si dif- left 1 giugno 2013 © MERLINI /LAPRESSE La Carta è inapplicata. I suoi valori vengono attaccati. Eppure viene accusata di tutti i mali del Paese. Parla il giurista Valerio Onida fonde un’ideologia di tipo rigidamente individualistico, per cui - ad esempio - lo Stato non deve curare la giustizia sociale ma semplicemente assicurare l’ordine, questo ci porterebbe a invertire la rotta segnata dalla Costituzione. Quindi il rischio è prima di tutto quello ideale, ovvero che si perda la percezione dei valori costituzionali condivisi. Poi c’è il tema della democrazia, nell’epoca del boom dell’astensionismo. Esatto. Oggi purtroppo sembrano mancare o Il professor Valerio Onida, ex giudice costituzionale, oggi docente dell’università di Milano 27 società indebolirsi gli strumenti tradizionali di mediazione tra la società e le istituzioni. Per esempio, si invoca da certe parti l’elezione diretta del capo dell’esecutivo come unica vera forma di democrazia, e si considerano i partiti in quanto tali come diaframmi dannosi fra società e istituzioni. La democrazia consisterebbe allora nel fatto che una volta ogni cinque anni la popolazione sia chiamata a eleggere un capo, mentre tutte le mediazioni, gli strumenti di partecipazione (e anche il Parlamento) vengono visti come intralci o impedimenti. Questo è pericoloso. Nel quadro di riferimento della Costituzione, l’obiettivo è una democrazia ricca e articolata, non semplicemente una delega periodica a un capo. Come si spiega tutti gli attacchi degli ultimi tempi contro la Costituzione? Purtroppo la Carta è stata spesso usata come diversivo. Di fronte ai mali, alle criticità, alla situazione difficile del Paese, invece di pensare alle misure legislative, organizzative, amministrative opportune si dà la colpa alla Costituzione. È un errore fondamentale. Non si può ridurre la partecipazione alla scelta di un capo, ogni cinque anni Roma, 12 marzo 2011, manifestazione in difesa della Costituzione 28 Ma la Carta secondo lei ha bisogno di qualche cambiamento? Che ci siano dei miglioramenti opportuni, e anche abbastanza condivisi, sull’organizzazione dei poteri, è indubbio. Come per esempio a proposito del bicameralismo: si potrebbe una sola Camera “politica”, che dà la fiducia al governo, e una seconda Camera delle autonomie. Questo potrebbe migliorare il nostro sistema. Invece l’elezione diretta del capo dell’esecutivo o l’esautoramento del Parlamento sarebbero negativi. Bisogna evitare ogni forma di ipersemplificazione o di alterazione degli equilibri costituzionali. In ogni caso non sono le “grandi” riforme costituzionali il punto chiave per combattere i mali del Paese sul terreno delle istituzioni. Sono altri i terreni di battaglia: come quello degli apparati amministrativi, o dell’efficienza della giustizia. Questi sono i nodi su cui intervenire. Non don.coc. certo la Costituzione. © MONALDO /LAPRESSE left.it «P ur non guardando al passato, e senza stabilire alcun confronto col tempo di prima, e pur guardando in avanti verso il mattino, la sentinella è ben consapevole che la notte è notte...»: stavo rileggendo un libriccino scritto da Giuseppe Dossetti per commemorare il costituente Giuseppe Lazzati e ho rivisto quel personaggio strano della nostra vita politica, culturale, religiosa. Il monaco era seduto su una seggiolina della canonica di don Giuliano Zattarin a Sariano, anno ’95. Per una sua curiosità aveva chiesto di conoscermi e s’era messo improvvisamente a farmi domande su quello in cui ero più ferrata: le deviazioni della politica, il potere occulto, la strategia della tensione. I suoi occhi erano quelli della sentinella, capivano oltre le parole della giornalista laica, vedevano oltre lo sguardo breve nella piccola stanza di una parrocchia veneta. Erano occhi che non consentivano di svicolare, non ti davano vie di fuga. Ho ritrovato proprio in quelle pagine su Lazzatti alcune delle ragioni che ci portano ancora oggi, a difendere quelle «soglie che devono essere rispettate in modo assoluto», come diceva Dossetti. A cercare di bloccare certi «oltrepassamenti» che portassero a intaccare «il principio della divisione dei poteri fondamentali, legislativo, esecutivo e giudiziario» con soluzioni che potrebbero essere «irreversibili». «Ancorché - diceva Dossetti - fosse realizzato con forme di referendum che potrebbero trasformarsi in forme di plebiscito». Già, vedeva lontano, eccome, la sentinella Dossetti. Vedeva che persino un referendum può nascondere l’insidia, se la domanda a cui si chiede risposta non è «semplice e comprensibile a tutti. Se sono presentati più quesiti insieme, e di natura tecnico 1 giugno 2013 left società left.it Sentinelle della democrazia di Sandra Bonsanti «Coloro che si autodefiniscono “innovatori” sono in realtà soltanto i sostenitori di un riformismo gattopardesco, difensori di un potere oligarchico». Il j’accuse della presidente di Libertà e Giustizia giuridica complessa, le risposte possono diventare non attendibili. Per giunta, quando sono circondate da una forte emotività imperniata su una figura di grande seduttore, possono trasformarsi da legittimo mezzo di democrazia diretta in un consenso artefatto e irrazionale». Serve, ripensare alle cose che sono già state pensate prima di te e in modo assai più profondo. Serve a farci capire quanto sia difficile la situazione attuale, quella che Gustavo Zagrebelsky descrive nel manifesto Non è cosa vostra, quella a cui fanno riferimento continuo e preoccupato le riflessioni di Stefano Rodotà, di Salvatore Settis e di molti altri studiosi di cose che riguardano la Costituzione del ’47. Ci troviamo a Bologna il 2 giugno proprio per mettere insieme queste preoccupazioni, e farne il motivo di un impegno diffuso, con cittadini e associazioni. Convinti che le manovre attuali attorno alla Carta siano l’ultimo rantolo di una politica decadente, che concentra la sua energia finale nella difesa delle oligarchie. Coloro che si autodefiniscono “innovatori” sono in realtà soltanto i sostenitori di un riformismo gattopardesco, vogliono «cambiare le istituzioni per bloccare la vita politica e salvaguardare un sistema di potere in affanno». Certo è molto difficile chiedere a un tratto alla gente comune, ai politici, agli italiani di cominciare a ragionare con la loro testa. Difficile pretendere che cerchino di capire cosa si nasconde dietro al mosaico di luoghi comuni che una serie di costituzionalisti da strapazzo stanno costruendo, inseguendo la controriforma che salvi il loro potere. Difficile perché le preoccupazioni di Zagrebelsky sono proprio quelle di chi conosce la forza degli slogan che tutto left 1 giugno 2013 semplificano, delle banalità proclamate in tv, delle “scorciatoie” promesse come salvifiche: non abbiamo potuto governare, in questi anni, per colpa della Costituzione, della “architettura istituzionale”. Lo diceva Berlusconi, una volta, echeggiando le tenebrose grandi riforme di stampo craxiano. Oggi lo dicono Pdl e Pd, i politici delle larghe intese, governo e Parlamento. Un coro pietoso e falso. Non è la Costituzione la grande responsabile del disastro e della disaffezione. È la loro incapacità politica sposata all’arte del compromesso e della corruzione. Dobbiamo riuscire a spiegare agli italiani che sono proprio coloro che inseguono il presidenzialismo a impedire che si possano fare le piccole riforme di buon senso: meno parlamentari e meno sovrapposizione fra le Camere. La causa della crisi italiana non è la Carta. Ma l’incapacità politica, l’arte del compromesso Dobbiamo dire che per mettere mano alla Costituzione sarebbe più dignitoso che i parlamentari non fossero stati nominati con una legge incostituzionale; sarebbe più dignitoso che non ci fossero 101 parlamentari “mascherati”, veri e propri traditori della parola data. Insomma, il 2 giugno a Bologna, festa della Repubblica e della Costituzione, nasce e si rafforza qualcosa di importante per il futuro della politica, attorno a Zagrebelsky, Rodotà e Settis e ad altre persone che vogliono dare una mano. Nasce e si rafforza un movimento che, diversamente da altri, può rivendicare la forza delle sue radici, l’onestà degli obiettivi. Come ha detto Zagrebelsky: «Non chiediamo niente per noi e tutto per tutti». 29 società left.it Maggioranze trasversali di Sofia Basso L arghe intese ma maggioranze trasversali. Laura Puppato, senatrice Pd ed ex sfidante di Bersani e Renzi alle primarie, apre ai colleghi di Sel e 5 Stelle. Il Pd vince in molte città, ma perde voti assoluti. Certo, con quello che è successo con il presidente della Repubblica... È stato un trauma per molti di noi e per gli elettori. È stata una scelta dolorosa. Credo che non si debba nascondere nulla: gli aspetti umani e politici di una situazione vanno evidenziati per impedire fare gli stessi errori e per cogliere da questi errori e conseguente crisi le opportunità. Quali opportunità? Letta sta cercando di dare un’immagine pulita e di cambiamento. È chiaro che è una situazione di obiettiva difficoltà. In alcuni settori riusciremo a fare riforme a prescindere da chi abbiamo in casa, in altri ci troveremo di fronte a dei punti neri che vedo già in campo, perché abbiamo appaltato in larga parte alcuni temi. Dobbiamo capire se il Parlamento riuscirà ad avere il ruolo determinante che molti auspicano. Quando lo dicevo io sembrava un’eversione, ora invece... Ci sono battaglie importanti, dagli F35 all’anticorruzione, dai Chi ha bocciato Prodi rappresenta quel 20% del partito che vuole potere e status quo 30 © DE ROSE/IMAGOECONOMICA «Dagli F35 all’anticorruzione, in Parlamento si possono trovare nuove convergenze». Laura Puppato (Pd) apre all’opposizione trasporti allo sviluppo economico. Si tratta di idee politiche e scelte di vita che hanno a che vedere anche con la fiscalità: se recuperiamo i 60 miliardi della corruzione o i 120 dell’evasione fiscale, questo Paese sarà un po’ meno stressato, avrà più capacità di dare risposte su temi fondamentali come il reddito di cittadinanza, le famiglie che stanno morendo, i giovani che non hanno prospettive. Vedremo se, a prescindere dal governo, in questo Parlamento c’è una maggioranza. Quindi anche con i 5 Stelle? Credo che ci saranno maggioranze trasversali. È logico che vi sia una capacità di mettersi in relazione con gli altri gruppi politici. L’elemento monocratico non c’è neanche nei 5 Stelle, che pure hanno tentato di dare una rappresentazione così monocorde. Ma è stato solo il frutto malato di un tiranneggiamento esterno. Sono persone in molti casi intelligenti e libere, che ragionano sufficientemente con la propria testa. Non è un caso che i padri costituenti abbiano voluto l’articolo 67, perché è importante che ci sia la convinzione personale in quello che si fa: può essere in parte ceduta a una logica di sintesi politica, ma non può essere svenduta. Io lo dico dal primo giorno: nessuno sa quando questo governo finirà né per quale ragione. Quello di cui ho certezza, però, è che a staccare la spina sarà Berlusconi, perché lui questo governo non lo ha voluto per il bene del Paese ma, per l’ennesima vol- 1 giugno 2013 left società ta, per tentare di salvare i suoi interessi e le sue aziende. C’è anche il tema della massa di procedimenti penali che il Cavaliere ha in corso, e per cui è stato anche condannato. Prima che stacchi la spina, però, si possono fare moltissime cose. All’assemblea nazionale del Pd lei ha chiamato “governo D’Alema” l’esecutivo Letta e ha spiegato il suo lapsus con la vicenda dei 101 franchi tiratori. Sa chi sono? Bisognerebbe entrare nella testa della gente. Penso che tra i 101 ci siano anche alcuni ex popolari o mariniani, ma che la maggior parte abbia agito in modo strategico per far saltare l’operazione Prodi e per arrivare al governo di larghe intese. È evidente che stiamo parlando di quella parte del Pd che ha uno specifico interesse a mantenere lo status quo. E che purtroppo rappresenta il 20 per cento degli eletti. C’è molto desiderio di potere in tutto questo, c’è una lontananza dai bisogni e dall’idea di un cambiamento autentico che sia discontinuità totale, anche nello stile, nelle modalità, nei ragionamenti. C’è anche, annusato, un pericolo da parte di taluni potentati economici, che in parte trovano in Confindustria ancora oggi ascolto alle proprie ragioni. Intanto c’è già chi vuole rimandare il congresso del Pd... Il congresso si deve fare in tempi relativamente rapidi, direi a ottobre. Dobbiamo aprire le porte e le finestre, rimettendo in moto la scommessa che stava all’origine del Partito democratico e togliendo di mezzo gli interessi ipocriti di chi ha voluto far appiattire il progetto politico comune su qualcosa di assolutamente conservativo. Il congresso non è in relazione con il governo, che è stata invece una scelta obbligata. In verità c’è chi pensa che se il Pd si fosse mosso in maniera diversa non avremmo le larghe intese. Certo, io avrei preferito il governo di scopo con chi ci stava. Se Prodi fosse stato eletto Presidente della Repubblica sicuramente non avremmo avuto questo esecutivo. Però anche il Movimento 5 stelle ci ha messo del suo: ci ha tiranneggiati, offesi e maltrattati per 60 giorni. Rendendo molto facile il gioco di chi non era più disponibile a farsi sparare addosso. I 5 Stelle hanno le loro responsabilità. Non è un caso che le piazze piene ora sono semivuote. La gente ha capito. Purtroppo hanno sbagliato. Come e più di noi. left 1 giugno 2013 © ARIANNA CATANIA left.it Pronti al dialogo coi “buoni” del Pd di Sofia Basso «Siamo maturati. Se saltassero le larghe intese, noi parlamentari 5 stelle valuteremmo nuove strategie politiche». Parla Adriano Zaccagnini, deputato M5s D isponibile a votare proposte della maggioranza. E anche a un eventuale cambio di governo, per recuperare l’occasione persa a marzo. Adriano Zaccagnini, 31 anni, agricoltore con laurea in Scienze politiche, è uno dei deputati M5s più critici verso i troppi no del suo leader. Su left Laura Puppato auspica maggioranze trasversali in Parlamento su temi come gli F35 e l’anticorruzione. Voi siete disponibili? Noi lavoriamo su tutte le proposte di legge in maniera trasversale. La nostra posizione è molto costruttiva: abbiamo sempre dichiarato che vogliamo convergere su proposte sensate e condivise insieme alle altre forze in Parlamento. Io sono in commissione Agricoltura e sul Adriano Zaccagnini, deputato del Movimento 5 stelle. Nella pagina accanto, Laura Puppato, senatrice Pd 31 società © MONALDO/LAPRESSE left.it C’era l’occasione storica di mandar via Berlusconi e inchiodare il Pd su proposte utili Camera dei Deputati, seduta inaugurale della XVII legislatura 32 cibo possiamo avere convergenze con la Lega anche se su altri temi abbiamo posizioni molto lontane. In generale, abbiamo più affinità con Sel e Pd che con il Pdl, che ha una situazione abbastanza bloccata dal proprietario, Berlusconi. Tra voi e il centrosinistra c’è stato un accordo mancato: secondo lei ci sono stati errori anche da parte del Movimento 5 stelle? Si possono riscontrare responsabilità maggiori da parte del Pd. Il nostro errore è stato quello di non aver fatto nomi per il governo. Non significava dare la fiducia al Pd, ma tentare un esecutivo di personalità esterne. Purtroppo su questo mi sono trovato in minoranza e così abbiamo detto l’ennesimo no. Il secondo errore è stato non aver avuto il tempo per dialogare col Pd e conoscere quella parte che poi ha sostenuto Rodotà. Dallo staff del Movimento sono arrivate sempre indicazioni di chiusura totale, fino a quando Grillo non ha parlato di grandi praterie che si sarebbero aperte se fosse stato eletto Rodotà. Ma era un po’ tardi, a due giorni dal voto. Capisco la coerenza di non fare alleanze, ma c’è anche la coerenza di chi dice “salviamo il Paese” e poi lo deve fare. Non possiamo lasciarlo in mano a Berlusconi. Infatti molti di quelli che vi avevano votato non si sono riaffidati a voi. Sì, non abbiamo riconfermato il risultato delle Regionali perché non siamo riusciti a incidere su questo governo. Ci ritroviamo all’opposizione con un 25 per cento, che è tantissimo. C’era l’opportunità storica di mandare a casa Berlusconi e di inchiodare il Pd su alcune proposte utili per il Paese sul lavoro e sulla disoccupazione. Invece ci ritroviamo con Berlusconi che è tornato a dare le carte e minaccia il Pd di far saltare tutto. Se saltasse il governo delle larghe intese, voi sareste disponibili a un governo col Pd? Questa questione si gioca soprattutto al Senato, più che alla Camera. Il tempo, comunque, sta facendo sì che i nostri 163 parlamentari stiano maturando esperienza e consapevolezza. Sono sicuro che valuterebbero una nuova strategia politica. Non vuol dire automaticamente che ci sarebbe un governo, perché bisogna vedere cosa farà il Pd, che ora governa con il Pdl. Bisogna capire se la componente che vuole mandare a casa Berlusconi riesce a portarsi dietro tutto il gruppo. Perché sappiamo bene che dentro il Pd ci sono anche correnti legate a un sistema partitico di vecchio stampo che preferiscono governare col Pdl che con noi. Per questo non hanno votato Rodotà. Quindi i tempi sarebbero maturi per un eventuale cambio di maggioranza? Sì, ma solo con una proposta valida che venga da persone che hanno capito come dialogare con noi e su quali temi, come Puppato e Civati. Se il Pd vuole virare su un consenso più popolare e meno istituzionale, facendo leggi per la gente che è difficoltà, allora sì. Cosa deve fare il M5s per recuperare consensi? Bisogna essere onesti, comunicando quello che si fa, non reprimendo i dissensi interni perché deve uscire un’unica voce come se ci fosse una verità assoluta, sempre in linea con una posizione che si dipinge perfetta. C’è stata poca autocritica nella comunicazione esterna, se non addirittura arroganza. Se riprendiamo un po’ di umiltà sugli errori fatti e se cambia l’atteggiamento comunicativo del blog, allora forse potremmo recuperare. A quali proposte state lavorando? Sarebbe importante se passasse il reddito di cittadinanza. La nostra proposta è allo studio. Decisive sono anche la rimodulazione degli ammortizzatori sociali e la spinta all’occupazione giovanile. Poi ci sono le questioni del conflitto di interessi e dell’anticorruzione, anche se non credo che si potranno affrontare con l’attuale governo. Il Pd non se lo può permettere. 1 giugno 2013 left calcio mancino società left.it La doppia finale di coppa Intercontinentale del ’76 tra Bayern Monaco e Cruzeiro Il tedesco con una mano sola di Emanuele Santi N el 1976, in Europa, comandava il Bayern Monaco, vincitore della terza coppa Campioni consecutiva. Era la squadra del Kaiser Franz Beckenbauer, del bomber Gerd Muller e del portierone Sepp Maier. In Sudamerica invece comandavano i militari: da pochi mesi in Argentina e da qualche anno in Brasile dove il presidente era proprio un generale di origini tedesche, Ernesto Geisel. La Copa Libertadores, massimo trofeo continentale, era rimasto nella bacheca dell’Independiente (periferia di Buenos Aires) dal ’72 al ’75 finché nel maggio del ’76, subito dopo il golpe di Videla, i rossoblu di Avellaneda dovettero arrendersi in semifinale ai cugini del River Plate bastonati per 4-1 nella finale d’andata dai brasiliani del Cruzeiro vincitori anche dello spareggio decisivo di Santiago del Cile imposto da regole antidemocratiche che ignoravano la differenza reti. Vennero concordate due partite: una a Monaco e una a Belo Horizonte per tornare ad assegnare, dopo tre edizioni bugiarde, la vera coppa Intercontinentale. Decisivo fu l’impegno dei due governi: quello brasiliano, bramoso di distrazioni calcistiche e quello tedesco di Helmut Schmidt, entrato in campo al posto di Willy Brandt costretto a uscire per colpa di un segretario che giocava per la Stasi. L’andata è in Baviera, a novembre, con il prato dell’Olympia Stadion spolverato di neve come zucchero a velo e con i cronisti di Globo Tv coperti da sciarpe e cappelli di left 1 giugno 2013 Sepp Maier Il portiere Sepp Maier manda in angolo una bomba di Nelinho nella gara di ritorno in Brasile lana per poter garantire agli ascoltatori d’Oltreoceano l’abituale musica del racconto cantato. La ragnatela a centrocampo sembra funzionare e il Bayern non passa. La differenza però, a dieci minuti dal termine, la fa il solito Gerd Muller, abile a mandare a vuoto il difensore con la stessa finta utile a ritrovarsi la palla sul destro per infilare l’angolo rasoterra alla sua maniera. Due minuti più tardi, Kapellmann raddoppia con un siluro dal limite. Il ritorno si gioca al Mineirao il 21 dicembre: serata cal- da e umida, 120mila paganti, erba alta e maniche corte. I padroni di casa in maglia blu assediano a ritmo blando; i tedeschi aspettano il contropiede e si affidano a un Sepp Maier ispiratissimo. Il primo pericolo arriva da Vanderlei che gira di testa all’incrocio, il portiere vola in controtempo e sventa in angolo. Alla mezz’ora, ci prova Nelinho da trenta metri col suo potentissimo destro su calcio piazzato: Maier scatta come una molla e blocca in tuffo. Nel secondo tempo, Vanderlei spara da destra in diagonale, Maier si allunga rasoterra per l’ennesimo corner. Poi tocca a Palhinha da fuori area ma il portiere bavarese è insuperabile e manda oltre la traversa con un balzo animalesco. Ancora una bomba di Nelinho su punizione diretta con la barriera tedesca schierata compatta e impenetrabile. La botta è impressionante e la palla viaggia veloce sotto la traversa. Maier non si scompone, alza la mano e mette in angolo lasciando i piedi per terra. L’arbitro inglese non ci crede, Nelinho stesso non ci crede. Beckenbauer è lì a due passi e non ci crede nemmeno lui. Così come Jairzinho che ha perso le parole. Non si può parare una bomba del genere con una mano sola. Eppure Sepp Maier e lì, in piedi, che batte i guanti per invitare i compagni a non distrarsi e a fare attenzione al prossimo cross. Finisce 0-0: il Bayern di Monaco è sul tetto del mondo. Sepp Maier alza l’ennesima coppa della sua carriera, sempre con una mano sola. [email protected] 33 mondo L’EUROPA SIAMO NOI a cura di Cecilia Tosi Dal mondo del business un premio ai leader che hanno difeso la moneta unica e la Ue. Ma l’Unione che vogliono salvare è quella del passato L a crisi non è finita ma l’euro è salvo. A Bruxelles ci si consola così, dopo la stagione più tempestosa che l’Unione abbia mai attraversato. Se il tasso di disoccupazione continua a salire e la crescita tarda ad arrivare non è colpa della Ue, ma di chi l’ha tradita. Da cinque anni il Nord punta il dito sui mediterranei arraffoni, il Sud lo punta sulla Germania prepotente ed egoista. Oggi, forse, un’altra strada è stata imboccata. I 27 Paesi Ue hanno capito che l’austerity di Angela Merkel non porta frutti e i governi a rischio default sono ormai troppi per subire diktat altrui. Con l’Italia che esce dalla procedura di infrazione e la Francia che costringe Bruxelles a concentrarsi sull’Unione politica, i meridionali riacquistano una voce credibile. Se siamo arrivati fino a qui, all’alba della salvezza, è anche perché qualcuno lassù ha tenuto duro. E per lassù si intende Bruxelles. Secondo The State of the European Union, un coordinamento europeo di associazioni di impresa, scuole di business e società di consulenza, c’è qualcuno che si merita il titolo di leader europeo 2013, che verrà assegnato il 6 giugno. I candidati sono Mario Draghi (presidente Bce), Jean Claude Juncker (ex presidente dell’Eurozona), Doris Pack (europarlamentare Ppe), Vivianne Reding (commissaria alla Giustizia), Donald Tusk (premier polacco) e la coppia Guy Verhofstadt Mario Draghi, direttore della Bce e Daniel Cohn Bendit (europarlamentari e autori del volume Per l’Europa!). «I princìpi che abbiamo seguito per questa selezione», ci spiega Andrea Gerosa di ThinkYoung, che fa parte della giuria, «sono tre: che il candidato abbia lavorato per fare dell’Europa un posto migliore; che abbia combattuto per la pace sociale senza colori di partito; che abbia realizzato qualcosa di innovativo». Persone che hanno frenato i rigurgiti anti europeisti. Uomini e donne che hanno contribuito a salvare la Ue di oggi, ma forse non a cambiarla. La crisi che ha travolto prima la finanza e poi la società adesso sta affondando la politica. L’idea dell’Unione come antidoto alle faide continentali non è più forte come una volta. Leader che si sono limitati a conservare l’edificio pericolante invece di ricotruirlo. Per ora, ci dovremo accontentare. © PROBST/AP/LAPRESSE IL BANCHIERE È bastata una sua frase per salvare l’euro, quando la crisi dello spread stava mettendo ko Spagna e Italia: «La Bce è pronta a fare qualunque cosa per preservare la moneta unica e, credetemi, questo basterà». E una sua lettera per affondare l’Italia nella spirale dell’austerity, quella dell’agosto del 2011: la minacciosa missiva della Bce che imponeva di tagliare spesa e salari e anticipare il pareggio di bilancio al 2013. Mario Draghi, presidente della Bce, è uomo di poche parole. Ma ogni sua sillaba pesa, forse più di quelle di un Capo di Stato. È l’uomo che ha salvato l’euro da morte certa. Ma non l’ha curato. Perché la moneta unica è ancora malata. Di crescita, di consenso politico, di disoccupazione. Nella difficile vicenda dell’euro Draghi ha giocato come un equilibrista tra il rigore teutonico e le grida di aiuto provenienti dal Mediterraneo. Ha tirato la corda il più possibile contro i banchieri tedeschi, sfidando a porte chiuse quel Jörg Asmussen che per conto della Bundesbank lo marca stretto nei consiglio della Bce. Ha criticato il salvataggio di Cipro proposto da Berlino. Ha rischiato la sua impopolarità parlando al Bundestag. Ha ricordato come di troppa disoccupazione l’Europa può morire. Ma senza mettere in soffitta la regole aurea che vuole la Bce impegnata sulla stabilità dei prezzi e non sulla vita reale dei cittadini. Ha ridotto al minimo il costo del denaro, facendo infuriare la Merkel. Ha riempito di liquidità a basso costo le banche, ma non i governi. Ha sostenuto i debiti degli Stati con gli acquisti dei loro titoli, ma senza mai dire la parola magica odiata a Berlino: eurobond, debito in comune. Oggi continua a ripetere: per crescere servono riforme. Quali? Meno tasse, tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni, meno regole sul lavoro, e nessuna leggerezza sul debito pubblico. Di privatizzazioni, in particolare, Draghi se ne intende: ha gestito quelle italiane, dal 1993 al 2001. Non si può dire, col senno di poi, che siano state un successo. Draghi è il più tedesco tra gli italiani, ma è troppo anglosassone per essere un vero tedesco. Di lui non si sa se è l’ultimo vero leader della vecchia Europa o il primo della nuova. Manuele Bonaccorsi 35 mondo © HARTMANN/AP/LAPRESSE left.it Jean Claude Juncker, premier lussemburghese ed ex leader dell’Eurogruppo L’ALFIERE DELLA MONETA In Lussemburgo è premier dal 1995, oggi anche ministro del Tesoro e responsabile delle relazioni con le comunità religiose. In Europa è stato a capo dell’Eurozona per otto anni, dal 2005 al 2013. Jean-Claude Juncker rappresenta la continuità indolente degli euroburocrati che vengono sostituiti solo quando è proprio inevitabile. Negli ultimi 8 anni Juncker non ha saputo evitare il tracollo finanziario dell’Europa ma ha contribuito - in modo fondamentale, dice lui - alla salvezza della moneta unica. Dicono che abbia uno schietto sense of humour e che cerchi di tirar su il morale ai colleghi con la voce cavernosa di un fumatore professionista. Ora che non è più presidente dell’Eurozona difende gli interessi del Lussemburgo, resistendo all’introduzione di sanzioni più dure per l’evasione fiscale. Viene accusato di difendere i grandi fondi di investimento. L’importante è che gli interessi si paghino ancora in euro. LADY BALKANS Doris Pack, europarlamentare tedesca del Ppe 36 È un’eurodeputata del Ppe, viene dai cristianodemocratici tedeschi e presiede il Comitato cultura ed educazione del Parlamento europeo. È conosciuta soprattutto per la sua attività nei Balcani, dove segue da anni il processo di integrazione nella Ue. «La Pack è anche conosciuta come Lady Balkans», dice Gerosa. «Ha sempre combattuto per l’indipendenza del Kosovo e per i diritti dei suoi cittadini. Ma io l’apprezzo soprattutto per li lavoro fatto nel campo dell’istruzione: si interessa con umiltà a ogni battaglia per l’innalzamento del livello educativo e con un interesse che io definirei trasversale». Super partes fino a un certo punto, la Pack è stata accusata di difendere l’interesse tedesco sia appoggiando il Kosovo che collaborando con l’Hdz, il partito conservatore croato che remava contro l’integrazione nella Unione. Oggi la Pack chiede addirittura di espellere la Bosnia dal Consiglio europeo, anticamera del club Ue. 1 giugno 2013 left mondo © KEPLICZ/AP/LAPRESSE left.it Donald Tusk, premier polacco L’UOMO CHE SCOPRÌ LA POLONIA Il suo è il Paese che ha retto meglio alla crisi. Il premier Donald Tusk ha segnato la svolta europeista della Polonia, un Paese che a Bruxelles dovrebbe inviare solo ringraziamenti. Dal 2008 a oggi Varsavia ha registrato tassi di crescita tra il 3 e il 6 per cento grazie al commercio con la zona euro. Oggi, però, l’economia sembra essersi fermata e left 1 giugno 2013 il primo trimestre del 2013 non è salita più dello 0,4 per cento. Di conseguenza Tusk ha visto calare i suoi consensi dal 40 per cento con cui è stato rieletto nel 2011 a uno smilzo 23. Il suo rivale è Jarosław Kaczyński, l’euroscettico leader del Pis, che vanta il 26 per cento delle intenzioni di voto. La sua popolarità sta subendo qualche colpo anche a causa della sua solida alleanza con la Cancelliera Merkel e con l’ex presidente francese Sarkozy. Ma a Bruxelles la sua fama regge e piace il suo anelito a costruire un’Europa che conti sullo scacchiere internazionale. Dato tra i candidati a presiedere la prossima Commissione europea, Tusk ha riconosciuto di aver ricevuto un invito, ma di non aver ancora deciso se correre per il posto di Barroso. 37 mondo left.it © HITIJ/AP/LAPRESSE I FEDERALISTI Insieme hanno scritto Per l’Europa! Manifesto per una rivoluzione unitaria. Daniel Cohn Bendit è una figura storica della sinistra francese, anche se oggi rappresenta i Verdi sia per Parigi che per Berlino. Guy Verhofstad, belga fiammingo, presiede invece l’Alde, il gruppo degli europarlamentari liberali, quello dove siedono i LibDem britannici (e per l’Italia Radicali e Idv). I due europarlamentari condividono l’idea che un’Europa più forte potrebbe schiacciare qualsiasi crisi. L’hanno scritto nel loro libro, tradotto in sette lingue e distribuito gratuitamente in Grecia: «È importante che il popolo ellenico smetta di pagare per l’Europa», sostengono i due. Per l’Europa! non scardina l’approccio rigorista di Bruxelles, ma invita ad andarci piano e a puntare sulla solidarietà. Secondo Cohn-Bendit e Verhofstadt «non è possibile conservare l’euro senza cambiare gli Stati-nazione. O nasce uno stato federale europeo oppure la moneta unica scompare». Il problema è la liquidità: «Anche chi può vantare un buon rapporto debito/Pil conta poco sul mercato se non ha liquidità». Gli autori vorrebbero che il loro libro fungesse da antidoto contro i crescenti movimenti anti europeisti. E per convincere gli scettici propongono un nuovo federalismo europeo: il prossimo Europarlamento dovrebbe avere un ruolo costituente e stendere, come dice Cohn Bendit, «una Legge Fondamentale, un documento semplice che non comprenda possibilità di opt-out». E cioè che impedisca agli euroscettici d’antan come la Gran Bretagna di chiamarsi fuori ogni volta che una regola Ue non le aggrada. Per Verhofstadt, già candidato alla Commissione europea dopo Prodi e clamorosamente sconfitto da Barroso, questo libro è «un attacco alla classe politica continentale, scritto con rabbia». Per Cohn Bendit, ex leader del ’68 francese, passato dal marxismo movimentista all’ambientalismo transnazionalista, è un appello al rafforzamento dell’Europa. Per salvarla. Guy Verhofstadt, leader dell’Alde (Alleanza europea dei liberaldemocratici). Daniel Cohn Bendit, europarlamentare di Europa ecologia © MORI/AP/LAPRESSE 38 1 giugno 2013 left mondo © CHARLIER/AP/LAPRESSE left.it Viviane Reding commissaria europea per la Giustizia, Diritti fondamentali e Cittadinanza LA PALADINA DELLA GIUSTIZIA Stessi diritti per tutti. Che si tratti di nazionalità o di genere sessuale, nessun cittadino europeo dev’essere discriminato. È questo l’obiettivo della Commissaria alla giustizia della Commissione europea Viviane Reding. «Ha fatto una proposta concreta: riservare il 50 per cento dei posti in Cda alla componente femminile», ricorda left 1 giugno 2013 Gerosa. Crede nelle pari opportunità, Viviane Reding, ma soprattutto nel rispetto delle regole democratiche della Ue. Tanto che ha proposto di punire l’Ungheria, rea di calpestare la libertà di stampa e l’autonomia del potere giudiziario, privandola del diritto di voto all’interno del Consiglio europeo. Si è opposta anche alle lobby delle maggiori società Usa della Rete, affermando che tutti hanno il diritto all’oblio. Ma le sue opinioni sulla “emigrazione della povertà” di cittadini bulgari e romeni hanno suscitato qualche polemica: da una parte la commissaria ha combattuto le paure di immigrazioni di massa e di dumping sociale, dall’altra ha dichiarato che la libertà di movimento «non può essere illimitata». 39 mondo 40 left.it 1 giugno 2013 left left.it mondo Happy birthday, Second life di Paola Mirenda Compie dieci anni il più famoso dei mondi virtuali. E torna al progetto originario: essere un luogo di sperimentazione e comunicazione in 3d. Con le proprie regole left 1 giugno 2013 41 mondo left.it A In questa pagina: in alto, una coppia davanti alla loro casa virtuale in una delle land di Second life. Sotto, una riunione in una sede cinese dell’Ibm. Il colosso informatico è stata la prima società a organizzare, nel 2006, un Consiglio di amministrazione su Second life 42 ilin Graef è una di quelle che ce l’ha fatta. Inventarsi una doppia vita non l’ha messa nei guai, come succede spesso a mariti poligami e studenti fuori corso. Lei invece, con la sua seconda identità, ha avuto davvero una chance: è diventata milionaria - in dollari veri, non virtuali - e ha finito per costituire un piccolo impero nel settore della tecnologia digitale. Ma il grosso dei suoi aiutanti non li trova né in America né in Corea, dove è nata: sono tutti sulla rete, anzi su Sl - Second life, il luogo virtuale dove è nata la sua avventura finanziaria. Lanciato nel 2003, il mondo in 3d della Linden lab compirà 10 anni il prossimo 16 giugno. I preparativi per le due settimane di festeggiamenti sono iniziati a metà aprile, ma indipendentemente dalla “mobilitazione” ufficiale molti dei suoi abitanti già programmano feste ed eventi, a dimostrazione del fatto che, anche se non ha più i milioni di avatar (l’alter ego virtuale) dei tempi felici, Second life non è affatto morta. Certo, molti dei suoi utilizzatori sono migrati su social network più semplici, ma lo zoccolo duro degli abitanti continua a esistere. In un certo senso Second life si è comodamente riadattata a quello che doveva essere il suo spirito originario: un luogo di sperimentazione e comunicazione tridimensionale, dove all’occorrenza fare anche amicizia e costruire relazioni. Però non tutti hanno avuto la fortuna di Ailin Graef: lei ci ha creato una carriera, altri ci hanno distrutto un matrimonio. Nel mondo di belli e giovani che popola Second life - pochissimi si costruiscono un alter ego brutto e brufoloso - c’è chi ha trovato il lavoro, chi l’amore, chi «la più grande depressio- 1 giugno 2013 left mondo left.it ne della vita». Su Second life ci si sposa spesso, non fosse altro che per indossare i creativi abiti in vendita per centinaia o migliaia di linden dollar, la moneta ufficiale della piattaforma. Si va alle feste, si organizzano concerti, si passeggia anche mano nella mano sulla riva del mare. Poi c’è chi usa il mondo virtuale per attività considerate più serie, così qualcuno ci ha fatto carriera professionale vendendo abbigliamento o mobili virtuali, ma soprattutto competenze tecnologiche. Dei suoi 22 milioni di “residenti” registrati, oggi solo 600mila sono davvero attivi. Inutile però cercare i grandi marchi di abbigliamento o i politici in cerca di voti che l’hanno portata alla ribalta. Second life ospita ancora brand famosi, ma il grosso delle attività è pensato per un mondo che ragiona in virtuale, non che ci si adatta. left 1 giugno 2013 Spogliata dagli orpelli dell’ondata di moda che l’aveva travolta all’inizio, Second life è diventata il luogo ideale per gli artisti, con mostre che ottengono successo e riconoscimenti che vanno oltre il virtuale. L’elenco degli eventi settimanali è lungo quanto quello di una città di media grandezza. Spopolano i musicisti, e ci sono più vernissage e concerti che a Milano o Berlino nello stesso arco di tempo. Ma di una cosa Second life non è riuscita a liberarsi: la politica. I candidati alla presidenza Usa ci hanno fatto comizi e raccolte fondi, i pacifisti manifestazioni di protesta contro la guerra e i gay hanno promosso qui la loro causa. Altro che facebook: niente di meglio che un corteo virtuale su Second life per esprimere il proprio dissenso. Mandando un altro al proprio posto, nel caso arrivasse la polizia. Momenti di incontro sulla piattaforma virtuale, utilizzata per pubblicizzare brand famosi e artisti sconosciuti. Nel mondo creato dalla Linden lab si può ascoltare un concerto, andare al cinema, vedere una mostra. O, come nell’immagine centrale, provare a camminare sulle acque 43 cultura 46 Mo Yan e la Cina del rimorso 52 Salerno, festival delle arti 56 Jolie e la lotta contro il cancro Photissima Art Fair. Ritorna la fiera italiana interamente dedicata ai collezionisti e agli amanti dell’arte fotografica. Il 2 giugno, a Venezia, per la prima volta durante la Biennale internazionale d’arte, Photissim Art Fair punta i riflettori in modo ampio e approfondito sul mondo della fotografia. Con il vantaggio di una doppia matrice: fieristica e culturale che si esprime in un festival. In foto Piero Mollica, Shibo, 2011 cultura © HAN GUAN/AP/LAPRESSE left.it 46 1 giugno 2013 left cultura left.it L’impero del rimorso di Rosa Lombardi Nel suo nuovo romanzo, Le Rane, il premio Nobel Mo Yan riflette criticamente sulle politiche del figlio unico in Cina. E sul senso di colpa per aver seguito ciecamente, come atto di fede, politiche imposte dall’alto A ffronta uno dei temi più delicati della recente storia cinese, quello delle politiche di controllo demografico varate dal governo a partire dalla metà degli anni 60 il nuovo libro di Mo Yan, Le Rane (Einaudi 2013, traduzione di Patrizia Liberati), pubblicato in Cina nel 2009 dopo una gestazione durata dieci anni, è l’ultima opera narrativa di Mo Yan, premio Nobel per la Letteratura 2012. Il titolo del libro (Wa, in cinese “rana” animale tradizionalmente associato alla fertilità, ma anche omofono di “bambino, neonato”), introduce immediatamente il tema centrale del libro, cui se ne affiancano altri, non meno importanti, nella complessa molteplicità di prospettive e significati che è una delle cifre caratteristiche della narrativa di Mo Yan. La stampa cinese ha accolto il romanzo con favore, evidenziando e dibattendo alcune delle problematiche presenti nel libro. Prima fra tutte la critica esplicita avanzata da Mo Yan alle politiche di controllo delle nascite, inaugurate nel 1965 attraverso massicce campagne di sterilizzazione nelle zone rurali e, dopo il 1979, imponendo a ogni nucleo familiare di avere un solo figlio, non risparmiando l’aborto anche a donne in avanzato stato di gravidanza che aspettavano un secondo figlio “illegale”. La critica cinese ha ovviamente tralasciato di evidenziare un aspetto scontato per il pubblico nazionale, ossia l’impatto culturale che tali politiche demografiche ebbero in un Paese come la Cina, dove la famiglia ha sempre occupato un ruolo centrale all’interno della società, e dove il dovere di assicurare una discenden- left 1 giugno 2013 2 maggio 2011, Pechino. Una cerimonia ufficiale per i 90 anni del Partito comunista cinese 47 cultura left.it © AP/LAPRESSE Tra le righe lo scrittore addita il liberismo sfrenato di oggi Il premio Nobel per la Letteratura Mo Yan. E la copertina del suo ultimo libro 48 za agli antenati ha assunto per millenni un carattere quasi sacro. Ciò che è stato maggiormente dibattuto è la questione del potere esercitato dal governo - quando questo diventa così onnipervasivo da invadere ogni aspetto della vita dei singoli individui, giungendo a controllarne anche la facoltà e il diritto di riproduzione - allo scopo di perseguire specifiche strategie politiche ed economiche. Nel suo libro Mo Yan sembra giustificare queste politiche, considerandole come un atto necessario, anche se brutale e violento, in un Paese ad altissima densità demografica come la Cina: l’unico mezzo per costruire uno Stato forte e prospero e assicurare il benessere futuro. («La pianificazione delle nascite è una priorità nazionale. Se non controlliamo la popolazione, non ci saranno cibo e abiti per tutti, …sarà arduo migliorare la qualità dei cittadini e rendere ricco e forte il Paese. La causa val bene il sacrificio», pagine 127-8.) Procedendo nella lettura tuttavia si osserva che il ricordo delle morti causate, degli aborti forzati, come nel caso Wang Dan e Wang Renmei, ritorna in modo sempre più ossessivo nel libro, come riflessione tragica sulla giustezza e sulle implicazioni etiche di tali politiche. Il romanzo è dedicato dalla voce narrante (un aspirante scrittore) alla zia ostetrica, un personaggio complesso e ambivalente, figura di eroina e di aguzzina a un tempo, che dapprima aiuta molte donne a parto- rire sostituendosi alle mammane grazie alle sue conoscenze mediche, ma che poi diventa spietata sostenitrice del piano di controllo demografico, costringendo all’aborto anche donne in avanzato stato di gravidanza, («le mani della zia sono imbrattate di due tipi di sangue, uno profumato, l’altro puzzolente». Pagina 364).E qui giungiamo a uno dei nodi centrali del romanzo: il senso di colpa della protagonista e del nipote per aver seguito ciecamente, come atto di fede, politiche imposte dall’alto, mettendo a tacere la propria coscienza individuale. Questo rimorso diventerà intollerabile per la zia anziana, fino a minarne l’equilibrio mentale, mentre il nipote tenterà, con la scrittura, di affrancarsi dalla “colpa” di aver costretto la prima moglie ad abortire, causandone la morte. Anche dal punto di vista formale il romanzo presenta delle novità, accostando insieme generi diversi: la forma epistolare, narrativa e teatrale. Alla narrazione segue un’opera teatrale in nove atti. Ogni sezione è preceduta da una lettera del narratore Girino a uno scrittore giapponese, Yoshihito Sugitani (in cui è stato riconosciuto lo scrittore Kenzaburo Oe, premio Nobel 1994, amico di Mo Yan). Nella lettera iniziale il narratore esprime il desiderio di scrivere un’opera teatrale sulla vita della zia ginecologa, ispirandosi a Le mani sporche (1948) e a Le mosche (1964) di Sartre. Alle lettere seguono il racconto di episodi della storia di quegli anni e della vita della zia ginecologa a Gaomi, terra natale di Mo Yan, nella Cina nordorientale, dove sono ambientati tutti i suoi grandi romanzi a partire da Sorgo Rosso. Il testo teatrale è scritto in forma burlesca e vagamente surreale, con ritmo serrato, e in esso realtà, sogno e finzione si confondono. Lo sguardo di Mo Yan si volge alla Cina di oggi, Paese del benessere e del liberismo più sfrenato, della corruzione e della sofisticazione alimentare, dove il denaro può comprare ogni cosa, anche la “maternità proibita”, con “uteri in affitto”. Il libro presenta una scrittura totalmente rinnovata, in cui si riconosce a fatica il tocco e la magia del grande narratore presente negli altri romanzi. 1 giugno 2013 left cultura left.it © AP/LAPRESSE Raccontare l’invisibile di Federica Casalin La cecità de I maestri di Tuina è una metafora potente di una società che non vuole vedere. Bi Feiyu ha presentato a Roma il suo ultimo romanzo C osa significa essere scrittori in Cina oggi? A questa domanda ha cercato di dare risposta lo scrittore Bi Feiyu tenendo una conferenza al dipartimento di Studi Orientali dell’università La Sapienza di Roma in un’Aula Magna gremita di studenti rimasti due ore in silenzio ad ascoltare quell’uomo affascinante e discreto nel suo sorriso sincero. Bi Feiyu, classe 1964, è uno scrittore di successo, sia in patria che all’estero. Già due volte vincitore del premio Lu Xun, nel 2011 ha ottenuto l’ambito premio letterario Mao Dun per il suo ultimo romanzo, I maestri di Tuina, tradotto in italiano da Maria Gottardo e Monica Morzenti e left 1 giugno 2013 pubblicato da Sellerio nel 2012. «Per rispondere a una domanda così complessa, mi sono dovuto preparare per bene», ha esordito lo scrittore. E non si è smentito: “Colui che sorvola l’universo” - questo il significato del suo nome - ha ripercorso la storia della letteratura cinese degli ultimi cento anni, partendo dalla rivoluzione letteraria iniziata nel 1917 con il suo impegno per la costruzione di un Paese moderno, toccando poi la “letteratura dei 17 anni” che intercorsero fra la fondazione della Repubblica popolare nel 1949 e l’inizio della Rivoluzione culturale nel 1966, senza trascurare la produzione della Rivoluzione culturale stessa. Dopo la morte di Mao 18 gennaio 2013, città cinese di Chongqing, lavori in un cantiere sorto attorno a una statua di Mao Zedong 49 cultura © THOMAS LANGDON left.it «I ciechi sono esseri umani come noi. Solo i “normali” non se ne accorgono» Un ritratto dello scrittore Bi Feiyu e la copertina del suo nuovo libro pubblicato in Italia da Sellerio 50 nel 1976, spiega, gli autori cinesi dapprima cominciarono a “leccarsi le ferite”, lamentandosi come un bimbo che piange di fronte alle incomprensibili assenze dei genitori; poi iniziarono a cercare le proprie radici, nel tentativo di capire se gli eventi politici degli ultimi decenni fossero da imputare a un solo uomo o a qualche fattore intrinseco alla società e alla cultura cinesi. E adesso? Ora, se vogliamo parlare di una letteratura nuova, forse l’aggettivo più adatto ad accomunare scrittori fra loro eterogenei è xiao, piccolo. Quella che Bi Feiyu scrive e in cui si riconosce è infatti una letteratura del piccolo, minima o minimale, consapevole dell’impossibilità di descrivere in modo esaustivo il variegato universo della Cina del XXI secolo, una letteratura che ha abbandonato la pretesa di occuparsi delle “cose grandi”, come il popolo, la nazione, la cultura, per dedicarsi a quelle “piccole”, quasi invisibili, ma non meno importanti. È questo il caso dei maestri di Tuina che animano l’ultimo romanzo di Bi, ambientato in un centro massaggi a Nanchino. Come da tradizione, vi lavorano quasi esclusivamente persone non vedenti. Strizzando l’occhio alla struttura narrativa tipica del romanzo cinese classico, l’opera si sviluppa in una serie di capitoli dedicati ciascuno a un personaggio, tra i quali è difficile individuare un vero protagonista. Si susseguono e si intrecciano così storie affascinanti di vite difficili, storie di donne e di uomini che, ciechi dalla nascita o divenuti tali in seguito a un incidente, aspira- no a riscattarsi attraverso il lavoro e i rapporti umani, di amicizia e di amore. È questo il caso di Zhang Yiguang che, dopo aver perso la vista per un’esplosione in miniera, inizia una nuova vita, più autonoma e consapevole, seppur al buio: «Era rimasto a casa sei mesi, poi aveva deciso di andarsene. Non è libertà quella che si vive in famiglia, non è totale, non è spensierata. In fondo aveva solo 35... Era nato di nuovo, pronto a venir su forte e sano in un mondo senza luce». Sono storie avvincenti, così credibili che viene da chiedersi come abbia fatto l’autore a scriverle. «I ciechi non sono diversi, sono esseri umani come chiunque altro. Se non conosciamo chi ci sta di fronte è solo perché non proviamo a farlo!», risponde Bi Feiyu alla domanda di uno studente. Nel caso dei personaggi che animano il romanzo, la conoscenza si acquisisce attraverso l’udito, l’olfatto, il gusto e soprattutto il tatto, che regna sovrano, perché i ciechi «nelle rare occasioni in cui ridono e si divertono in compagnia, uomini e donne usano mani e piedi, si toccano, insomma, senza nessun tabù. Parlando e scherzando, si danno pacche e manate, pizzicotti e grattatine, questi sono i tipici modi in cui manifestano l’amicizia. Rifuggire il contatto fisico è grave per loro come per i vedenti evitare lo sguardo, significa che non c’è fiducia, non c’è rispetto». Così, a tentoni e con qualche incertezza, si sviluppano le storie dei personaggi e la storia del centro massaggi. I suoi dipendenti vivono fianco a fianco, condividono tutto, ma sanno ben poco l’uno dell’altro, impegnati come sono in un caparbio tentativo individuale di riscatto sociale. Per poi scoprire che forse «il maggior handicap dei non vedenti non è la vista, ma la mancanza di fegato, una fragilità intrinseca che nasce da un orgoglio esagerato. Fu come un’illuminazione, per Sha Fuming: perché i ciechi devono sopportare il peso di una dignità ancora più grande di quella di chi ci vede? Non è che un’autoimposizione, come molte altre cose nella loro vita. In realtà nel mondo esiste solo una dignità, quella dell’essere umano, non esiste la dignità del non vedente».E forse in fondo anche la cecità dei maestri di Tuina non è che la metafora di un “non vedere” molto più diffuso, che colpisce non gli occhi ma gli affetti di persone tanto vicine quanto chiuse in se stesse ed estranee le une alle altre. 1 giugno 2013 left cultura left.it Kaspar Hauser idiota alla Dostoevskij di Camilla Bernacchioni Il regista Davide Manuli ripropone la storia filmata da Herzog. In poetico bianco e nero «I Alcuni fotogrammi del film La leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli left 1 giugno 2013 l mio film è un manifesto degli anni in cui viviamo, sul non senso». Esordisce il regista milanese Davide Manuli, parlando del suo terzo lungometraggio La leggenda di Kaspar Hauser già pluripremiato e distribuito all’estero. E la parola “non senso” ci fa subito pensare a come viene maltrattato in Italia il cinema indipendente, che non di rado rappresenta la nostra eccellenza. (Gli spettatori italiani, come è noto, sono ormai ostaggi di un non-circuito di distribuzione che decidecensura). Un bell’esempio di cinema d’autore indipendente è il coraggioso Kaspar Hauser di Manuli che uscirà il 13 giugno distribuito da Mediaplex con il supporto di Cineama. Visionaria, surreale e futuristica, la riscrittura in chiave poetica della storia del fanciullo d’Europa nato in Germania probabilmente nel 1812 e morto nel 1833 che tanto ha affascinato artisti, scrittori e studiosi. E che nel film di Manuli si fa metafora dei nostri tempi. «E in realtà si tratta di un film molto più facile e godibile di quanto si possa immaginare - si schermisce il regista - la struttura è semplice, al pubblico consiglierei di vederlo senza tentare di interrogarsi a ogni scena». Le sollecitazioni visive e sonore del resto non mancano a partire dal protagonista, il leggendario Kaspar Hauser, interpretato dalla nota performer Silvia Calderoni, che dopo essere stato fatto sparire dai nemici in tenera età per evitare che potesse salire al trono, appare improvvisamente su una spiaggia in un lembo di terra di nessuno (i paesaggi lunari del Sinis in Sardegna) dove vivono la Granduchessa (Claudia Gerini), il pusher e lo sceriffo, entrambi con il volto di Vincent Gallo, che prende in custodia Kaspar. Con loro il Prete (Fabrizio Gifuni) e la Veggente (Elisa Sednaoui). Un cast stellare utilizzato proprio in quanto tale, archetipo esso stesso: «Sono tutte “icone” di oggi - sottolinea Manuli - con loro ho fatto un lavoro di addizione più che di sottrazione». A proposito della storia, che nel film procede per capitoli con titoli da film muto e la colonna sonora firmata dal compositore francese Vitalic: «Chi conosce quella vera di Kaspar Hauser apprezzerà, spero, il mio lavoro di “asciugatura”», continua. «Il mio Kaspar non ha passato, né futuro, si cerca di capire se sia un santo, un idiota, o un impostore». Nulla a che vedere con il Kaspar Hauser di Herzog, dunque, ma perfettamente in linea invece con il precedente film di Manuli, Beket: «Ci sono elementi di continuità come il bianco e nero, la scelta dei paesaggi incontaminati della Sardegna, è un dittico sulla solitudine e l’assurdità dell’esistenza nel primo caso vista con la lente di Beckett e in questo ultimo film con il passaggio dall’assurdo al non senso». Da qui la metafora della contemporaneità: «Con Kaspar la società ha pensato di comportarsi bene, ha cercato di educarlo, tutti avevano qualcosa da insegnare, in fondo lo hanno ammazzato prima ancora che morisse, è la società che non ha senso mentre Kaspar rimane sempre se stesso - conclude - in fondo noi come ci comportiamo con gli stranieri? Con chi arriva in questo Paese? Non ascoltiamo, non comunichiamo, aggrediamo e basta. Proprio da questa angoscia del presente sono nati Kaspar e Beket due film nel deserto, la mia personale fuga». 51 cultura left.it La vita è intelligente di Tiziana Barillà A Salerno, dal 5 all’8 giugno, arriva Linea d’ombra, il Festival delle culture giovani. Segni, visioni, suoni e azioni per riflettere sul nostro futuro «A bbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza», esclamava il filosofo tedesco Immanuel Kant nel 1784. Da allora abbiamo inventato il telefono - oggi smartphone - le automobili - adesso smart car - e chiamiamo smart city le nostre città. L’obiettivo? Migliorare la qualità della nostra vita. Per renderla, è ovvio, una smart life. Certo, il progresso tecnologico ha reso le nostre vite più facili e interessanti, almeno apparentemente. Perché i dati globali su economia, prospettiva di vita, alfabetizzazione, continuano a essere poco felici. Un esempio? Degli oltre 7 miliardi di persone che abitano il pianeta solo il due per cento possiede oltre la metà della ricchezza mondiale. È davvero intelligente la vita che abbiamo costruito? Intorno a questo interrogativo l’associazione SalernoInFestival organizza, 52 dal 5 all’8 giugno, la 18esima edizione di Linea d’Ombra - Festival delle culture giovani. Quattro giorni all’Ottocentesco Teatro Verdi in cui le arti non stanno a guardare. E si affidano alla creatività contemporanea declinata in Visioni, Suoni, Azioni e Segni, con incontri, arti performative, musica e un concorso di cortometraggi. Alla sezione Segni è affidato il compito di confrontarsi e mettersi in connessione, prima di tutto attraverso la scrittura. Perciò nel corso del festival si terranno due incontri. Nel primo, Massimo Amato, docente di Storia Economica alla Bocconi, Andrea Ranieri, consigliere di amministrazione Isfol, e l’economista Guido Viale discuteranno di “Capitalismo intelligente”, dello sviluppo legato a nuove tecnologie, cultura, ambiente. Mentre Gian Arturo Ferrari, presidente del Centro per il libro, e Carlo Freccero, diretto- 1 giugno 2013 left cultura © PIRRONE/ LAPRESSE left.it re Rai4, insieme allo scrittore Diego De Silva si confronteranno sul tema “I media intelligenti”. Dalle parole alle Visioni. Ricordate i Monty Python? I cinque baronetti della comicità surreale made in England, che dal ’69 all’83 hanno inondato della loro commedia acuta e colta tutta Europa. Compresa l’Italia, che li ha conosciuti con Brian di Nazareth (del 1979), satira irriverente sbarcata nel nostro Paese solo nel 1991. E con Il senso della vita, premiato a Cannes nell’83. Oggi, a quarant’anni da allora, Linea d’Ombra decide di ricordarli con una maratona cinematografica notturna delle loro opere. A introdurla, per raccontare “Quel che ho capito dei Monty Python”, sarà una performance di Giobbe Covatta. Non solo ricordi, però. Ci sarà anche un concorso tra 21 dei più interessanti cortometraggi europei prodotti nell’ultimo anno e una selezione delle migliori web-series italiane realizzate nel 2012. Non mancheranno le arti performative, e in particolare la nuova drammaturgia italiana contemporanea. A rappresentare la sezione Azioni saranno due performance: “Pitecus” di Antonio Rezza e Flavia Mastrella e “Il difficile mestiere di vedova”, tratto da un racconto di Silvana Grasso, diretto e interpretato da Licia Maglietta. Per finire, i Suoni. Sul palco del Teatro Verdi di Salerno sarà il turno della contaminazione artistica con il live di Trinità, trio composto dal batterista (e conduttore di Gazebo) Diego “Zoro” Bianchi, dal cantautore e chitarrista Roberto Angelini e dal trombettista Giovanni Di Cosimo. Infine, in left 1 giugno 2013 Dai paradossi dei Monty Python e Giobbe Covatta alla batteria di Zoro, passando per le nuove web series e il teatro di Antonio Rezza esclusiva per il Festival, si incontreranno in una “one night only” il tocco raffinato del batterista Sergio Carnevale (Bluvertigo), l’inconfondibile groove del bassista degli Afterhours Roberto Dell’Era, il rock di Federico Poggipollini, storico chitarrista di Litfiba e Ligabue, e le tastiere del poliedrico Megahertz dei Versus. I quattro musicisti, dopo una fugace esperienza su Deejay tv, scelgono Salerno per ripetere l’esperimento al quale stavolta prenderanno parte anche Cristiano Godano dei Marlene Kuntz e Andy, già membro dei Bluvertigo. Quattro giornate intense in cui, come nel romanzo di Joseph Conrad dal quale il festival prende il nome, si cercherà di varcare la “linea d’ombra”. Ovvero quel momento di passaggio in cui, per lo scrittore polacco, si prende atto del proprio essere soli di fronte al e nel mondo. «Ma la linea d’ombra cui facciamo riferimento noi è la condizione tipica della nostra modernità, in continuo transito da un mondo all’altro, da un’epoca all’altra, senza il tempo di nostalgie», spiega il direttore artistico del festival Peppe D’Antonio. Ma senza fuggire: «Oggi servirebbe un po’ di arte dell’impegno. I compiti sono tanti e noi dobbiamo dimostrare di essere davvero intelligenti». In apertura alcune immagini tratte dai cortometraggi in concorso al festival di Salerno. In alto Giobbe Covatta e Antonio Rezza 53 trasformazione Massimo Fagioli, psichiatra Il rapporto uomo-donna ha il fascino dell’immagine ignota del diverso da se stessi BIANCHE e grandi erano le sfere A vevo visto lontano, quasi all’orizzonte, due macchie biancheggianti. Mi sollevai dalla sabbia calda dove avevo disteso la pelle che accoglieva i raggi del sole ed andai dentro l’acqua che sembrava azzurra. Nuotavo e, accanto a me, la figlia adolescente tagliava, tracciando una linea retta, la superficie del mare. Era l’estate del 1977 dopo che avevo detto che, a settembre, avrei aperto un altro “seminario” ovvero sarei andato per altre due ore a fare psicoterapia di gruppo. Vengono pensieri ed immagini che sembrano ricordi, ma io so che sono memorie che parlano con quella voce che non si ode. Talora sono immagini indefinite, talora è soltanto il suono che non muove la membrana del timpano. Come se dalla pelle che riceve la luce del sole andassero, alla sostanza cerebrale, onde che fanno un linguaggio di immagini silenziose, che non è quello ascoltato. Ed il leggero stridere della penna sul foglio bianco mi dice che il linguaggio articolato, senza la fantasia creata dal proprio organismo, è come il graffio che le unghie dei carnivori fanno sulla corteccia degli alberi. Pensando che è difficile realizzare le parole che dicono dell’immagine nascosta nei ricordi, sento le voci che, ogni giorno, mi accolgono dicendo: è difficile. Sento il lamento che è come una preghiera, sembra indifferente, ma sono felice che tanti miei simili si siano svegliati dal coma che la coscienza razionale determina nella mente, dopo che il bambino ha lasciato il rapporto carnale con la madre che lo ha scaldato e nutrito. Scrivo pensando che la creazione dell’immagine, oltre il ricordo, guida la mano a scrivere le parole che non sono più quelle udite e viste. Era iniziato quel fatto strano che assunse il nome di Analisi collettiva. Se Istinto di morte e conoscenza denunciò il mito della scoperta dell’inconscio dimostrandone la falsità, i secondi due volumi tolsero la maschera dal volto di una cultura razionale che era diventata di pietra di fronte all’irrazionale. E venne il “quarto libro”. Il salone del libro di Torino. Ho visto persone in piedi appoggiate con le spalle alla parete e tante persone sedute. Tre esseri umani dietro un tavolo proponevano di guardare, vedendo la loro identità: due uomini, ed una donna. Presentavano la nuova edizione di un libro scritto nel 1979 e parlavano del suo autore e della sua vita di ricerca sulla realtà umana. Telefonai facendo complimenti, dicendo grazie ed osservando che avevano parlato poco delle due premesse scritte nel 1979 e nel 1996. Ricordai che nel 1979 ero in possesso dell’attuale studio, fatto che significava che le sedute di psicoterapia del grande gruppo si potevano continuare senza interruzioni. Nel 1996 c’era l’intenzione di lasciare l’appartamento di via del Pellegrino per una nuova casa. Il fatto avvenne nel novembre 1998. Non c’era il tempo per cercare di vedere e parlare del senso dei fatti e rendere linguaggio articolato il suono delle parole che descrivono il ricordo cosciente di tali fatti. Poi mi dissero della bellezza di una psichiatra dai capelli neri. E penso che, tempo fa, dissi che andarsene dall’Istituto di psichiatria era, per l’Analisi collettiva, la realizzazione della sua nascita. È un pensiero verbale che parla di realtà umane invisibili mai pensate e propone l’impossibile, ovvero di pensare una realtà senza definizione dell’immagine detta Analisi collettiva. Pensare e dire “nascita di un gruppo” sempre variabile di individui nuovi che venivano, vecchi che ritornavano, fa pensare alla parola psichiatria, resa parola terribile accusata di essere percezione delirante. Ma il calendario antico con quei numeri scritti nel silenzio, grida: 1996, ed io sento il titolo della seconda premessa del libro risorto “Se avessi disegnato una donna”. Dietro al suono che non si ode ci sono dieci, cento parole che, come se fossero cloni appaiono tutte uguali ma, a pensare l’invisibile per la realtà materiale inesistente, vedo che l’uguaglianza del termine separazione è non vera perché la parola talora è brevissima ed appare come un punto, talora è talmente lunga da non poter scorgere la fine. Si crea con la separazione dalla “madre” che scalda e nutre 54 1 giugno 2013 left left.it Penso che la distanza aumentata da una bella donna corrispose alla sparizione di una realtà interiore. E la coscienza non riesce a formare un linguaggio verbale che dica se fu un’identificazione o memoria dell’esperienza vissuta. E torna il titolo “se avessi disegnato una donna” e porta con sé i termini verbali assurdi, che dissi più di una volta. Era l’immagine del gruppo che veniva all’Istituto di psichiatria perché gli individui stavano male. Ma non pensavano di rinnovare se stessi. Venivano per “stare meglio”, per trovare conforto al loro “star male” che non volevano pensare fosse malattia. Non pensavano alla cura per la guarigione e non erano in grado di comprendere il superamento, con la parola ed il fatto della trasformazione, della scissione tra coscienza ed inconscio. Ed io non ero riuscito a disegnare l’immagine di quella realtà assolutamente nuova detta Analisi collettiva. Avevo scritto da solo, rapidamente, la sceneggiatura de Il sogno della farfalla in cui il protagonista rifiuta il linguaggio articolato imparato, per pronunciare soltanto le parole che erano arte e poesia. E nella seconda premessa si pensa al risveglio, quando la coscienza non si distingue dall’inconscio, e l’individuo non riesce a riconoscere se stesso nella coscienza, nel comportamento e nel linguaggio articolato perché la mente, nel sonno, non ha fatto immagine. E la voce della giovane psichiatra che parlava del libro fu un suono che chiamò la memoria degli scritti di Kafka recitati da una ragazza che stava diventando donna: “Als Gregor Samsa...”. E tornano le voci che raccontano i sogni e la mia voce che li interpreta. Come se si mescolassero facevano, insieme all’oscurità della notte l’atmosfera del bosco dalle mille voci intorno al castello dove i miei diciotto anni si confrontarono con la bellezza e l’intelligenza di una donna che...voleva farmi credere nel male della realtà non materiale fuori dell’uomo come gli spiriti della foresta. Talora sussurrando, talora urlando mi dicevano di stare attento alla cattiveria naturale dell’essere umano. Mi dicevano che la donna è il male perché aveva disobbedito allo spirito assoluto che proibiva la conoscenza della differenza tra bene e male. Ma io avevo la memoria antica degli scritti di Pirandello “se lei, contessa..” che fermavano l’immagine della donna pazza come fosse un’icona antica. E compresi che la bella donna alta dai capelli neri non era identificazione, non era ricordo cosciente che annulla la fantasia. Era creazione di un’immagine nuova in cui la bellezza del corpo di una donna è resa schiava da una mente che non crede al male originario dell’essere umano. La nascita si crea, con la separazione fisica dalla donna, ed è capacità di immaginare. Allo svezzamento camminare e parlare è autonomia mentale e autosufficienza, quando il pensiero si fonda sulla memoria-fantasia Il quarto libro, che avrei dovuto titolare Metamorfosi ha due premesse. Penso, tra sonno e veglia, forse senza coscienza, che il grande gruppo che voleva l’interpretazione del sogno, fosse per me la memoria della donna alta, mora, affascinante. Ma il suo parlare rivelava la mente malata che descriveva figure che non erano immagini. Ebbi il ricordo de L’indifferente di Proust e ne dissi il titolo. Ma non era il nome della realtà non materiale nascosta. Venne dopo trentadue anni il mostro che non era animale e rivelò il suo nome: anaffettività. Sapevo che la nascita umana ha l’atto della pulsione che è fantasia di sparizione perché la carne ha la potenzialità della capacità di reagire che diventa vitalità. E si difende dal mostro cui ho dato il nome: pulsione di annullamento che distrugge la mente che ha un’intelligenza nuova. Il caso fece comparire una vecchia fotografia di quando, a quattordici anni, ero vicino ad una ragazza. Poi, quando se ne andò, non rimase freddo ricordo ma memoria-fantasia dell’esperienza vissuta. E la “seconda nascita” fece un narcisismo che aveva in sé la capacità di immaginare che sapeva che l’essere umano diverso non era pazzo. E la bellezza del corpo di donna non distrusse la mente che aveva l’identità senza ragione. ...la poesia è ricreazione del primo momento della vita senza immagine... left 1 giugno 2013 55 scienza © METZEL/AP/LAPRESSE left.it Angelina e il Professore di Antonella De Ninno La scelta della Jolie di asportare il seno ricorda la dottrina Halsted di cento anni fa, quando tagliare di più significava curare di più. Oggi, invece, anche Veronesi si è ricreduto sulla mastectomia preventiva M olte donne sono terrorizzate dalla possibilità di ammalarsi di tumore al seno. C’è il rischio per la vita ma anche la minaccia all’archetipo stesso della femminilità. Anche se ormai la possibilità di remissione della malattia è molto alta (il 98 per cento dei tumori si risolve positivamente in caso di diagnosi precoce), la sua insorgenza porta spesso a un intervento di mastectomia che ha un enorme impatto psicologico sulle donne. Fortunatamente, però, le tecniche chirurgiche si sono affinate negli anni, proprio per ridurre l’invasività di una asportazione totale della ghiandola mammaria. Basti pensare che nei primi decenni del 1900 era in voga tra i chirurghi la dottrina Halsted, secondo cui con interventi sempre più grandi e deturpanti si poteva eliminare il cancro. L’ipotesi era che tagliare di più significasse curare di 56 più. Negli anni 70, invece, si affermò la tecnica della quadrantectomia, l’asportazione di un solo quadrante della mammella. Ideata dal professor Bernard Fisher dell’università di Pittsburg, fu importata in Italia dall’allora non ancora professore Umberto Veronesi. Grazie alla sperimentazione di Veronesi si poté provare che la speranza di vita delle pazienti quadriectomizzate non era inferiore a quella delle pazienti mastectomizzate - e cioè private dell’intero seno - pur garantendo alle prime una migliore qualità di vita. Dopo circa tre decadi, Veronesi e i suoi colleghi estesero il concetto di preservazione dalla mastectomia alla lampectomia, ossia la rimozione del tumore e di una piccola area di tessuto sano nelle immediate vicinanze. Anche le radioterapie post operatorie sono passate negli anni da un irraggiamento complessivo del busto della 1 giugno 2013 left scienza left.it paziente (la famigerata “mantellina” al cobalto) a un irraggiamento mirato del tessuto canceroso e dei tessuti immediatamente circostanti. Attualmente si lavora alla realizzazione di una terapia “sistemica” del complesso endocrino e biologico, anche se oggi gli investimenti si concentrano di più sulla cura del cancro nella sua forma avanzata che nella prevenzione. I nuovi medicinali, infatti, sono molto più redditizi per le case farmaceutiche dei nuovi test e, soprattutto, dell’educazione alla prevenzione. Oggi, trattare un paziente oncologico avanzato per un anno e garantirgli una buona qualità di vita costa tra i 150mila e i 230mila euro. Tuttavia le abbondanti promesse dell’approccio genetico alla cura dei tumori hanno nuovamente sparigliato le carte. Negli anni 90 Marie-Claire King, della Scuola di medicina dell’università di Washington, ha identificato il primo gene mutante del BRCA-1. Un gene presente nel dna di molte donne appartenenti a famiglie in cui la malattia si è manifestata su più membri. Successivamente è stato messo a punto il test diagnostico (gratuito in Italia) nei casi in cui c’è il sospetto di un rischio ereditario del tumore alla mammella. Una donna con una mutazione nel gene del BRCA-1 ha una probabilità dal 50 all’80 per cento di sviluppare un tumore alla mammella e il rischio è anche più alto per il tumore delle ovaie. Gli studi hanno rivelato fino a oggi circa 140 geni che, quando sono alterati da mutazioni intrageniche, possono promuovere o “guidare” la genesi di un tumore. Tuttavia stiamo ancora parlando di un aumento più o meno significativo della probabilità di contrarre un tumore, non della sua certezza. Gli studi classici di epidemiologia hanno suggerito che esistono da cinque a otto indizi che indicano la presenza di tumori solidi e sono associati ad altrettante alterazioni genetiche. Tuttavia, nel caso dei tumori pediatrici, il numero di mutazioni geniche è molto basso, da zero a due, e in molti tumori degli adulti ci sono soltanto uno o due mutazioni. Come questo sia compatibile con la nozione generalmente accettata che lo sviluppo e la progressione dei tumori sia dovuta ad una alterazione multipla e sequenziale dei geni, ancora non lo sappiamo Nel corso della vita, infatti, possono insorgere ulteriori mutazioni nel codice genetico ereditato alla nascita indotte dall’ambiente, mutazioni ancora left 1 giugno 2013 difficili da identificare, tanto che i ricercatori le chiamano “dark matter” - materia oscura. La sfida della medicina genetica è nella produzione di farmaci che abbiano come bersaglio i prodotti dei geni alterati. Il criterio guida della medicina convenzionale è sempre quello di distruggere le cellule “difettose” visto che ancora non siamo in grado di recuperarle. Altri approcci non (ancora) convenzionali suggeriscono invece che il cancro è una malattia dell’intero organismo che si manifesta diversamente a seconda delle particolarità degli individui e la cui cura richiede un approccio di tipo olistico. I ricercatori concordano che la mortalità dovuta al cancro potrebbe diminuire di più del 75 per cento se gli sforzi della medicina si concentrassero più sulla prevenzione che sulla cura dei casi L’industria farmaceutica non investe sulla prevenzione perché la terapia conviene di più avanzati. Ma rientra nella prevenzione anche la “dottrina Hasted” - tagliare di più per curare di più? Nel maggio del 2001, quando era ministro della Sanità, Veronesi affermava che se i test genetici segnalano una fortissima predisposizione al tumore al seno, la mastectomia preventiva è la sola via aggiungendo addirittura che la tecnica potrebbe risultare più sicura se: «effettuata in giovani di età pre pubere a rischio di sviluppare cancro al seno da adulte». La decisione di Angelina Jolie di sottoporsi a un intervento di doppia mastectomia ha riaperto il dibattito, ma questa volta il parere del professor Veronesi sembra diverso: «La mastectomia radicale non annulla completamente il rischio di tumore, che rimane intorno al 5 per cento anche dopo l’intervento», inoltre, «ci sono più vantaggi a fare controlli ogni 6 mesi, e scoprire l’eventuale tumore in epoca precocissima, quando le possibilità di guarigione sono del 98 per cento». Non sappiamo cosa abbia fatto cambiare così radicalmente parere al professor Veronesi o se le sue reali intenzioni sono state male interpretate in una delle due occasioni, ma è lecito chiedersi cosa pensino oggi le donne che sono state indotte a prendere una decisione così dolorosa sulla base di un parere esposto con tanta autorevolezza dodici anni fa. In apertura, l’attrice Angelina Jolie 57 puntocritico cultura left.it ARTE di Simona Maggiorelli Ligabue e la follia Due immagini del film Solo dio perdona CINEMA di Morando Morandini L’assenza di dio M embro di una potente famiglia criminale, Julian (Ryan Gosling, 1980) gestisce a Bangkok (Thailandia - 12 milioni di abitanti) un club di pugilato thai che fa da copertura a un redditizio traffico di droghe. Quando il fratello maggiore Billy (Tom Burke) uccide sadicamente una prostituta 16enne, le autorità ricorrrono a Chang (Vithaya Pansringarm), poliziotto in pensione che fa uccidere Billy dal padre della ragazza. Intanto a Bangkok arriva Crystal (Kristin Scott Thomas), madre di Julian e Billy, capo di un’altra società criminale. Ha uno scopo preciso: vendicare la morte di Billy. Chang è il primo della lista dei responsabili. Inglese e bruna, l’attrice sa recitare così bene anche il francese che fa la spola tra Londra e Parigi, e non soltanto per ragioni di lavoro. Gli inglesi le affidano di solito personaggi di commedia come Quattro matrimoni e un funerale (1994), grande successo di pubblico e critica, mentre i francesi le offrono quelli drammatici (L’amante inglese, 2010). Poiché detesta le costose produzioni hollywoodiane che le propongono («Le riprese non finiscono mai»), perfettamente bilingue, preferisce far parte del piccolo club cui appartengono le due Charlotte, Rampling e Gainsbourg e Juliette Binoche. Sotto una parrucca bionda platino (come in Miss Marple, 2007) si fa dirigere dal danese Nicolas Winding Refn (1970) in Solo dio perdona (2012). È un film eccezionale e discusso specialmente per alcune scene di violenza estrema, ma originali e mai viste. Ho visto io stesso giovani spettatori abituati a ben altro nascondersi dietro la fila delle poltrone davanti a sé per sottrarsi alle ripetute scene dei punteruoli, ribattuti, come un martello, con cui si torturano a scopo punitivo altri delinquenti di secondo ordine in un film dove, nonostante il titolo, è proprio l’assenza di Dio, un qualsiasi dio a farsi sentire. SORRENTINO E IL GRANDE GATSBY le e di un esplicito omaggio a Roma di Federico Fellini. Generoso perché… non si stanca di cercare gli sprazzi di bellezza residua. Le feste di Jep Gambardella non sono le danze macabre del Divo e dell’Ora di religione ma hanno l’allegria autodistruttiva delle feste del Grande Gatsby, due generazioni perdute a confronto, e quella di Sorrentino è molto più disperata ed efficace di quella di Baz Luhrman». I stinto, genialità, follia è il sottotitolo della retrospettiva che il LuCCA dedica, fino al 9 giugno, alla pittura di Antonio Ligabue (1899 1965). Unendo tre parole che insieme, con tutta evidenza, non possono stare. Qui (a Lucca) come al Mar Di Ravenna dove prosegue fino al 16 giugno la mostra Borderline, artisti fra normalità e follia, da Bosch a Basquiat, vediamo all’opera uno dei luoghi comuni antiscientifici più duri a morire nel mondo dell’arte. Quello che la malattia mentale possa essere fonte di creatività. Un “equivoco” di matrice esistenzialista e foucaultiana che nel mondo della cultura italiana, in particolare, è stato diffuso da Basaglia e dal basaglismo che ancora celebra Marco cavallo. E che ha sempre negato l’esistenza della malattia mentale, considerandola un modo di essere “diverso”, originale, ribelle, ignorando il “dolore psichico” dei pazienti e rinunciando ad ogni proposito di cura. Ma forse si può dire di più. Dietro alle fantasmagorie surrealiste e alla fatua euforia di Breton, dietro all’esaltazione della dell’Art brut, come delle ossessive incisioni che un pazzo fece sulle mura del manicomio di Volterra fa capolino un medeAntonio Ligabue, Testa di tigre (1955-’56) Su Il Sole24ore di domenica 26 maggio Emanuela Martini fa una relazione sul festival di Cannes in cui definisce La grande bellezza di Paolo Sorrentino «un film feroce, coraggioso e generoso: feroce perché, nei monologhi taglienti di Toni Servillo e nei suoi dialoghi con una Sabrina Ferilli da premio, non risparmia nulla a nessuno. Coraggioso perché accetta i rischi di una narrazione torrenzia- 58 1 giugno 2013 left cultura left.it simo pensiero che ha origine negli assunti ottocenteschi e razzisti di Cesare Lombroso, autore di Genio e follia. Senza dimenticare che un ruolo primario nella costruzione di questo falso binomio lo ebbe Karl Jaspers che in Psicologia delle visioni del mondo nel 1919 descriveva la pazzia come una forma di esistenza particolare, non come patologia. Un pensiero che nel 1921 portò lo psichiatra Morgenthaler a scambiare per opere d’arte le allucinazioni di uno schizofrenico e pedofilo come Wölfli. Esattamente un anno dopo, Jaspers, pensatore esistenzialista e a lungo sodale di Heidegger, in un celebre saggio su Van Gogh scrisse che la schizofrenia nell’artista olandese aveva scatenato in lui forze prima inibite determinando «un plus di creatività». Negando così totalmente la fantasia di questo straordinario artista che ha saputo realizzare capolavori universali nonostante la distruttività delle sue crisi. Con alcuni distinguo, anche il curatore Maurizio Vanni, con il neuropsichiatra Giuseppe Amadei, ripropone queste vecchie idee (sconfessate dalla moderna psichiatria) proponendo al LuCCA ottanta opere di Ligabue in un percorso «che vuole indagare l’uomo-artista insieme al rapporto tra arte e pazzia». In primo piano si legge nei testi che accompagnano la mostra - «l’aspetto espressionistico del segno e del colore di Ligabue, quello onirico e quello primitivo nella conformazione delle strutture, l’emozione legata all’uso incondizionato del suo emisfero destro, inerente all’istinto, all’eros e all’irrazionalità». Un guazzabuglio di parole, in cui le neuroscienze si sposano alla fantasticheria di un irrazionale animale. A quanto pare nel mondo dell’arte c’è ancora molto da discutere e approfondire su questi temi. Benvengano dunque iniziative come quella del Festival Per Appiam 13 che l’8 giugno, a Roma, invita psichiatri e artisti a confrontarsi su arte e creatività. In modo nuovo. left 1 giugno 2013 LIBRI di Filippo La Porta Il rischio dell’inautenticità C on Piangi pure (Bompiani) Lidia Ravera ci offre, indirettamente una risposta al film L’amour di Hanneke. O meglio: ne integra la meditazione sulla vecchiaia e sui sentimenti proponendoci un punto di vista diverso. Trintignant e Riva conservano fino alla fine il loro antico legame amoroso, ma poi la malattia di lei travolge tutto. Mentre i protagonisti di Piangi pure, quasi ottantenni, nel crepuscolo di esistenze piene di delusioni, riacquistano la forza di innamorarsi, conquistando entrambi un tempo nuovo. Non che la Ravera intenda darci immagini edulcorate della terza età. Anche per lei «Diventare vecchi è insopportabile e umiliante» (Roth in Everyman). Eppure la storia d’amore tra Iris, 79enne sola (divorziata) e C., psicanalista di 76 anni, possiede una fragranza e intensità insolite nella nostra narrativa. Attraverso di lei l’autrice può esprimere i suoi umori più taglienti. Ravera ha scritto il suo libro più bello, accanto a La festa è finita(2002): la “cattiveria” analitica dello sguardo si schiude a una percezione della terribile bellezza della vita. A un certo punto Iris, autrice di un unico romanzo, dice che i romanzi sono come «ammobiliare un buco nero». Dunque la letteratura sarebbe solo un inganno? Eppure l’innamoramento di Iris le insegna che non bisognerebbe mai scambiare la parte (il nulla) con il tutto (che comprende la vita e la morte). Proprio perché non abitiamo necessariamente un’epoca di epigoni credo sia legittimo un confronto con i grandi romanzi della Morante e della Ortese. Iris ci coinvolge ma non ci conquista, come invece i personaggi di quei romanzi. Forse la differenza riguarda una sensazione che insegue Iris e che caratterizza il nostro tempo: anche nell’estremo della gioia o della disperazione lei sospetta di essere un po’ “falsa”. Probabilmente questo senso di inautenticità appartiene a una generazione che da sempre teme di annegare nella retorica ed è incerta della realtà dei propri sentimenti. E che può fare grande letteratura, ma quanto più racconta quel rischio di inautenticità. scaffale PERCHÉ I TEDESCHI? PERCHÉ GLI EBREI? di Götz Aly, Einaudi, 284 pagine, 32 euro Da anni Götz Aly si interroga sulle radici del nazismo. In questo importante libro ricostruisce l’ascesa sociale degli ebrei tedeschi tra il 1800 e il 1933 e l’invidia che suscitarono nei cristiani, «meno vitali.e propositivi». La presunzione nazionalista dei cristiani si alimentò di debolezza, invidia e paura della libertà. DOVE VA IL MEDITERRANEO? di Franco Rizzi, Castelvecchi, 122 pagine, 16 euro L’uccisione in Tunisia di Chokri Belaid, il ritorno all’ordine imposto da Morsi in Egitto, la fatwa lanciata contro la “femen” Amina. Segnali di un panorama problematico nel post Primavere arabe. Docente di storia del Mediterraneo e dell’Europa, Rizzi tratteggia gli scenari in cui l’Italia potrebbe giocare un ruolo importante. SANTA EVITA di Tomas Eloy Martinez, edizioni Sur, 433 pagine, 16 euro Ecco l’incredibile storia del dottor Pedro Ara, l’anatomista galiziano che passò una notte intera con il corpo di Evita morta a soli 33 anni. Fra storia e invenzione un impareggiabile apologo di tutti quei regimi che ricorrono alle cure di un imbalsamatore. Anche ai giorni nostri. Un capolavoro di narrazione visionaria e grottesca. 59 bazar cultura left.it TENDENZE di Sara Fanelli Super chic come Uma MUSICA di Michele Manzotti Buscemi filma i Vampire T ll’inizio del 2013 left li aveva già annunciati come due album molto attesi. Oggi sono realtà discografiche per degli appassionati del rock degli anni Dieci. Sono i prodotti di due gruppi che vengono entrambi dagli Usa, ma non potevano essere più diversi: da una parte i National, dall’Ohio, dall’altra i Vampire Weekend di New York. I primi già al sesto album dopo lo straordinario High Violet del 2010, gli altri in cerca di conferma dopo il sorprendente Contra. La storia impone di partire dai primi, o meglio da Trouble Will Find Me (4Ad) che ha il non facile compito di bissare il successo delle 600mila copie del precedente. Il suono dei National , molto legato all’Indie rock americano di ottima qualità, si è indubbiamente evoluto. C’è una scrittura che è influenzata dalla classica e dal cantautorato di Oltreoceano che trova sbocco naturale nella voce calda e dai toni baritonali di Matt Berninger. Una miscela ben dosata che riesce a mantenere attento l’ascolto traccia dopo traccia e che sembra voler ribadire la formula vincente di High Violet senza osare di avventurarsi in nuove strade musicali. Con brani che trattano temi dark, come l’angoscia del tempo presente e il sentirsi inadeguati con gli altri, i suoni sono non necessariamente tali. C’è ad esempio il beat in minore di “Don’t Swallow the Cap” Don’t la forza ritmisca di “Sea of Love”, la ballata “Heavenfaced” illuminata dalle chitarre, lo stile new wave in “Graceless”. Sa- 60 ranno due le date italiane per verificare la forma dei National dal vivo, il 30 giugno a Roma e il 1 luglio a Milano (con apertura dell’ex Smiths Johnny Marr). Modern Vampires of the City (etichetta XL) è invece il titolo del lavoro dei Vampire Weekend, terzo della carriera. Il disco è una sorta di omaggio alla loro città sotto forma di un epistolario d’amore, grazie alle liriche del cantante e frontman Ezra Koenig. Una poetica musicale che ha conquistato un fan di lusso come Steve Buscemi che dirigerà le riprese di un loro concerto dal vivo. Il rock delle origini si mescola con altri generi americani come gospel (la divertente “Ya Hey”) folk (“Hanna Hunt”) e country (“Obvious Bicycle”), trattati con classe e maturità da veterani. © PIRRONE/LAPRESSE A ra strascichi e abiti piumati si è concluso il festival di Cannes. Nicole Kidman con Armani, ha brillato della sua massima bellezza con un elegante abito bianco, acconciatura 10 e lode. Anche Uma Thurman promossa, come una sirena ha indossato un lungo abito perlato Versace con strascico. Asia Argento prende 6 con un abito di seta grigio perla stile sottoveste. Promossa anche la madrina del Festival Audrey Tatou in abito rosso, con una cintura rosa a “x” sulla vita. Milla Jovovich in Chanel haute couture sa osare con successo. Infine concludiamo con un insulto allo stile: l’abito girasole indossato sul red carpet da un’ospite il cui nome non è dato sapere. [email protected] ROMA Il festival del barocco Rivivono le fastose musiche in prestigiose chiese della Roma barocca,dal 4 al 23 giugno,con un ciclo di 8 concerti realizzati nell’ambito del Roma festival barocco, promosso dall’associazione musicale Festina Lente e ideati dal direttore artistico della manifestazione il maestro Michele Gasbarro. In primo piano lo sconfinato patrimonio musicale romano compreso fra ’500 e ’700 e in parte ancora sconosciuto. AREZZO Icastica. L’arte è donna Marina Abramovic, Skin, Yoko Ono sono tra le 40 artiste di Icastica, la manifestazione di cultura internazionale che si terrà dal 7 giugno al primo settembre. Un percorso di quattro chilometri e venti siti dedicati all’arte in ogni sua forma, dall’arte figurativa, alla danza alla musica. In foto un’opera di Feuerman. 1 giugno 2013 left cultura left.it REVIVAL di Federico Sisti di Bebo Storti Per Kurt. Vent’anni dopo «D estino. Il mio amico Ken disse che lei gli aveva cambiato la vita. La trovai su youtube, mentre si metteva in contatto con te, con i suoi occhi neri penetranti che non appartenevano al mio mondo. Non al tuo, spero. “Sveglia umanità ci sono i vampiri!”». Inizia così una delle immaginarie lettere, viscerali, visionarie, toccanti, che Eric Erlandson ha idealmente indirizzato al suo amico Kurt Kobain, geniale leader dei Nirvana che fu trovato morto nel 1994 nella sua casa di Seattle a soli 27 anni. Non aveva e non ha occhi scuri ma color ghiaccio, Courtny Love, che Erlandson evoca con licenza letteraria in questo suo brano pubblicato in Lettere a Kurt (Arcana). Ma si capisce subito che si parla di lei, la leader degli Hole (di cui Erlandson era il chitarrista), la ragazza che regalò al cantante dei Nirvana «una scatola a forma di cuore» . E che - si dice - sia stata molto lucida, nonostante gli eccessi alcolici , nel vampirizzare il talento di Kurt, che certamente era la personalità di maggiore spicco della scena grunge americana anni 90. Insieme a Eddie Vedder dei Pearl Jam e pochi altri si era letteralmente inventato un nuovo stile, ruvido e poetico allo stesso tempo , fatto di furibonde schitarrate e di melodie struggenti, che arrivavano dritte al cuore. Ed è un libro denso di nostalgia per un talento e una stagione vitale che si sono spenti troppo presto questo insolito romanzo epistolare di Erlandoson che precede in tono intimo e discreto, gli eventi celebrativi annunciati per il ventennale della scomparsa di Kubain nel 2014: un fitto programma di omaggi in cui non poteva non figurare anche l’ennesima operazione speculativa dell’ex moglie di Cobain, Courtney Love che per l’occasione si è messa in cabina di produzione di un film. Nel suo libro Erlandson non censura nulla, né pare animato da spirito di vendetta verso quella Courtney che era stata anche la sua ragazza. In questo originale tributo “semplicemente” si fa cantore di una stagione straordinaria dal punto di vista musicale. E sono 50 lettere come fossero canzoni incise nella carne viva. ROMA MILANO CAORLE Feuerbach in scena Flussi di poesia Al festival Per Appiam sul palco della Ex Cartiera Latina, debutta il primo giugno lo spettacolo teatrale di Fulvio Iannaco, L’eroe che delude: Johanna e Ludwig. Annachiara Mantovani (nella foto) è Johanna Kapp, l’amante di Feuerbach interpretato da Alessandro Pizzuti. Dal 7 al 9 giugno torna Flussidiversi, il festival di poesia di Caorle (Ve) Ospite d’onore Vivian Lamarque. Readings nelle calli e la sesta Crociera della Poesia.«La Poesia non cerca seguaci... cerca amanti». La frase di Federico Garcia Lorca dà il La alla rassegna. left 1 giugno 2013 Il mito di Herrera Quelli che... Milan-Inter ’63 La leggenda del Mago e del Paròn, in Palazzo Reale, dedicata a due leggende dello sport: Helenio Herrera e Nereo Rocco. Fino all’8 settembre. Splendide foto in una mostra prodotta da Skira. In fondo. Il vero interrogatorio di Ruby Si lui nu ci tirava niende, lui ci aveva sto lumaca sembre morta, tutte nude a ballari. Chi su palo, chi con palo, chi a ginocchio a fare sirvizietto, lui niente no si alzi niente! Quindi voi,dopo le cene eleganti, andavate sotto a fare... Beh certi! Ma io era una di anche più calma c’era certi scatenate! Anche gente chi poi adesso, beati lori, fa politica, ma brende soldi, tanti, beati lori e no fa più quelli così! Ah dimenticavo! Lei era minorenne? Non sa come funzioni di voi, ma si tu abboggi da dietro a ragazzina di noi è galera! Si ha 18 o 17 chi importi! Sì era 17. No perché sa che hanno mandato due sconosciuti all’anagrafe del suo Paese per avere documenti e farli sparire. Sabuti sabuti! Ma troia funzionaria detti no! Alla fine quanto le ha corrisposto B. per le sue prestazioni? No prestata data sembre poi prima di andare via ripresa... fatta battuta giudici! ...capisco. Ma alla fine quanto? Tutto compreso? E anche si sta zitta? 4,5 milione di euro. ...certo... ma mi dica Ruby chi c’era con lei,a parte “quelli chi va Parlamento”? in quelle serate? C’eri tutti olgettine! Eravamo tanti! E avvicinandosi il processo, questa è la domanda cruciale... Eh?! Gula!! Fatta anch’io battuta! Avvicinandosi il processo, B. e i suoi avvocati cosa le hanno suggerito di dire? Di fari matta di diri che tutti finto che lui buono amico chi vuole bene! Quindi di mentire? Chi può diri si è verità o si non è verità! Dice sembre anche mio zio Chi? Mubbarak! Certo….certo. ma, mi scusi, perché parla così con questo accento. Mi ha detti avvocati….fai marugghina... come in film... funziona sembri! 61 ti riconosco di Francesca Merloni Siamo noi i veri paesi A scoltare il mondo è cosa difficile. Ammalarsi di ascolto del mondo, non interromperlo mai. Restituire umanità ad una umanità senza sponda e farlo senza giudizio. Immergersi nei dettagli ed alcuni raccontarli per sempre, bere fino in fondo un calice non tuo che in quel momento lo diviene. Le vite non sono poi così normali. Le cose non sembrano nuove al primo sguardo, ma poi. Forse è solo questo essere poeti. Siamo noi i veri paesi. «Moriamo ricchi di amanti e di tribù/ di gusti che abbiamo inghiottito/ di corpi che abbiamo penetrato risalendoli come fiumi/ di paure in cui ci siamo nascosti come in questa caverna stregata, senza memoria/ qualunquismo, indifferenza, mediazioni e ripensamenti./ Voglio che tutto ciò resti inciso sul mio corpo/ siamo noi i veri paesi/ non le frontiere tracciate sulle mappe con i nomi di uomini potenti/... una terra senza mappe/ non ho mai voluto altro». E io non riesco a seguire le cristallizzazioni, non gioisco affatto per le “mappe della poesia oggi”, i “luoghi dei poeti” and so on. Anzi. Mi sembra tutto così esteriore, definitivo, televisivo. Così clamoroso. La poesia è clandestina, notturna, rubata. La poesia, come l’amore, è altra cosa. E, come l’amore, se si esibisce si perde. È talmente lieve che se la guardi va via. Ma quando arriva ne percepisci l’aura. Ne senti tutto il dolore, bruci a quell’ardore fino a consumarti e cambiare per sempre. Un verso può cambiare una vita. È memoria senza materia, eppure ti inchioda. Entra la regina e resti immobile. Ascolti, vedi, raggiungi altri luoghi. Trattieni il respiro per non perdere neppure una di quelle gocce di vuoto interiore, di disponibilità perfetta. Ed è ovunque. Davvero. Si tratta di essere disponibili a vederla. Mostrarla. Cosa ben diversa dal rappresentarla oppure dallo sceneggiarla. Mostrarla è farsi abitare. È oltrepassare ma di poco la linea di confine tra visione e narrazione. Acconsentire che l’io spoglio, cioè ridotto (o amplificato...) ad un paio d’occhi dell’anima possa com-prehendere. E restituire ai paesaggi esterni o interiori quel frammento di bellezza che si è lasciato scorgere, che si è mostrato ai nostri strumenti ancora imperfetti. Si, siamo noi i veri paesi. Siamo i luoghi senza mappe di una geografia stupenda e terribile. È solo lasciandoci attraversare che attraversiamo, è solo lasciandoci scrivere addosso che riusciamo a decifrare altri segni, i significati di un altro suono. La trasparenza, la com-passione. Forse è solo questo. Ho vissuto ogni parola che ho scritto, dice Stefano il poeta, ed è così. Ma senza merito, senza vanto, senza giudizio. È servizio. Servire a qualcosa e servire qualcosa, come la più alta delle benedizioni. [email protected] Amore non ce la faccio più dopo l’omicidio di Carlo Giuliani e l’11 settembre e questa guerra del petrolio. Per quanto ateo non ce la faccio più a mettere in versi qualcosa della mia vita o della tua come se niente fosse stato appena complicato raccontando il piccolo fatto privato o il buffo semitragico del nostro quotidiano (tutto, anche il peggiore, anche scoprirsi un cancro) scusa ma io non lo faccio più neanche nelle secche nottambule di implorare le anime dei cari 62 né di farle un’altra volta sgranare negli incubi in agguato –le silhouettes le luci giallognole la spuma sulle labbra che si perde del lambrusco e dell’attimo. Lascio il mondo così senza uno sguardo perché io, mio, te, ti sono solo varianti di Dio e oggi non è il caso. Alberto Bertoni da Le cose dopo, Nino Aragno editore, 2003 I versi nel testo sono tratti dal film Il paziente inglese 1 giugno 2013 left