Il Decreto Inter mirifica e le esitazioni ecclesiali sulla comunicazione

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TESTO PROVVISORIO
Pontificia Università della Santa Croce - CONCILIO VATICANO II - Roma, 3-4 maggio 2012
IL VALORE PERMANENTE DI UNA RIFORMA PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
Il Decreto Inter mirifica e le esitazioni ecclesiali sulla comunicazione sociale
MONS. NUNO BRÁS DA SILVA MARTINS
Facoltà di Teologia – UCP (Lisbona)
Introduzione
L’Inter mirifica è, in assoluto, il più mal amato di tutti i documenti conciliari. Sono rarissimi i casi
in cui il Decreto sugli Strumenti della Comunicazione Sociale non è oggetto di critiche più o meno
feroci. Inoltre, l’IM porta con se, sin dalla nascita, il peso di essere quel documento conciliare che
più non placet ha ottenuto nella sua votazione finale. In effetti, quando nel 4 dicembre del 1963,
l’allora Segretario generale del Concilio, Mons. Pericle Felici, ha reso conto dell’esito della
votazione definitiva del testo, ha annunciato: 1960 placet e 164 non placet – un risultato che
specchiava l’opposizione contro la quale lo stesso Decreto ha dovuto lottare per sopravvivere1.
Contro di lui, in effetti, si sono alzate non poche voci, arrivando al disperato appello finale del 25
novembre del 63 quando, nell’atrio della Basilica di San Pietro, fu distribuito ai Padri Conciliari un
ciclostilato:
Urgente! Venerabili Padri, riletto ancora una volta, prima della votazione definitiva, lo
schema “De mediis communicationis socialis” a molti Padri il testo di esso sembra indegno
di un decreto conciliare. Si pregano i Padri di riflettere e votare non placet. Infatti, lo schema
delude l’attesa dei cristiani, specialmente dei competenti in materia. Se venisse promulgato
come decreto, ne scapiterebbe l’onore del Concilio2.
1. Breve sorvolo sulla storia della redazione dell’IM
A questo punto, possiamo domandarci: c’era davvero bisogno che un Concilio Ecumenico si
pronunciasse sulla Comunicazione Sociale, in un documento assai solenne com’è un “Decreto
conciliare”?
La storia della redazione dell’IM fu documentata in un modo esaustivo da P. Enrico Baragli, nel
grosso volume L’Inter mirifica. Introduzione – storia – discussione – commento – documentazione,
pubblicato dallo Studio Romano della Comunicazione Sociale, nel 1969, e che seguiremo da vicino.
Dopo che il Beato Giovani XXIII ha annunciato la convocazione di un nuovo Concilio Ecumenico,
il 29 gennaio 1959, e iniziata nella Pentecoste dello stesso anno la fase antepreparatoria, fu creata, il
novembre dello stesso anno, una Commissione dedicata ai “Mezzi moderni di apostolato”, vale a
dire, “le nuove tecniche audiovisive”, alle quali fu aggiunta la stampa. Il fatto, anche se l’argomento
figurava in un elenco del 1948 (quando si pensò a una ripresa del Vaticano I da parte di Pio XII),
stupì non pochi, visto il ridoto numero di interpellati (solo 18 in 9.348) che si erano pronunciato
favorevolmente a una dichiarazione su l’argomento da parte del Concilio. La sua presenza sembra
dunque corrispondere piuttosto a una volontà dello stesso Beato Giovanni XXIII3, e alla prospettiva
pastorale con cui ha voluto segnare il Concilio. Tra i membri della suddetta Commissione stavano
1
Cf. E. BARAGLI, L’Inter mirifica. Introduzione – storia – discussione – commento – documentazione, Roma, Studio
Romano della Comunicazione Sociale, 1969, 159.
2
E. BARAGLI, L’Inter mirifica, 159.
3
Cf. E. BARAGLI, L’Inter mirifica, 92-95.
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nomi a noi assai conosciuti, tra cui: P. Enrico Baragli (redattore principale dell’IM), P. Antonio
Stefanizzi, Mons. Alvaro del Portillo, Mons. Andrea Deskur, Mons. Albino Galleto4.
Ciononostante, nell’elenco delle Commissioni Preparatorie del Concilio, annunciate da Papa
Giovani il 30 maggio 1960, non si parla più dell’argomento. Fu, dunque, a sorpresa che, giorni
dopo, il 5 giugno, nell’elenco ufficiale, oltre al già annunciato Segretariato per l’Unità dei Cristiani,
compare un altro, il cui compito fu cambiato da quello iniziale di “Sala Stampa”5 a incaricato
dell’elaborazione di un testo pastorale sulla Comunicazione Sociale6.
Sin dall’inizio, i lavori di questo Segretariato furono segnati da non pochi problemi. Ciononostante,
si arrivò a un primo schema di «Costituzione», integrando 6 fascicoli, con annessi canoni di
condanna, discusso nella Commissione Centrale Preparatoria del Concilio e, dopo alcuni
emendamenti, il 13 luglio del 62 incluso dal Santo Padre tra le materie a discutere in Aula, sotto il
titolo Schema Constitutionis de Instrumentis Communicationis Socialis. Il testo era costituito da 114
numeri, divisi in IV Parti, che occupavano 44 pagine. Lo Schema fu analizzato dai Padri il giorno
dopo la sospensione del dibattito sul testo De fontibus, vale a dire, dal 23 sino al 27 novembre,
giorno in cui ebbe luogo la prima votazione, su l’accettazione generale del progetto, e il cui esito fu
assai unanime: 2.138 placet e 15 non placet7.
Nonostante, il voto approvato in Aula incaricava la X.a Commissione conciliare (per l’apostolato
dei laici), ormai responsabile per la sua redazione definitiva, di ridurlo allo stretto essenziale, senza
mutarne la sostanza. Alla fine, però, questo ha significato il taglio di ben due terzi del testo
primitivo. Enrico Baragli spiega con qualche ammarezza:
Oggi, giudicando le cose a distanza, si può dire senz’altro che nell’eliminare due terzi del
testo primitivo si è ecceduto. Non va taciuta la circostanza che il primo impietoso
smembramento del testo era stato eseguito il 26 novembre 1962 dalla Commissione X.a in
seduta plenaria, nella quale, come s’è detto, i membri ed i consultori che avevano
amorevolmente elaborato lo schema erano in modestissima minoranza, rispetto alla più
grande maggioranza di competenti in apostolato dei laici […]. Ma il fatto più determinante
fu che si preferì sacrificare qualcosa più del necessario, piuttosto che correre il rischio di
vedersi tornare lo schema respinto dall’Aula, e forse definitivamente8.
C’era, quindi, la paura che il Concilio potesse respingere definitivamente il testo e l’argomento,
nonostante l’unanimità ottenuta inizialmente – paura confermata dalle critiche che, subito dopo la
prima votazione, sono piovute da quasi tutte le parti. La stessa riduzione, che comportò anche il
passaggio da Costituzione a Decreto, non riuscì a trattenerle. Anzi, nel dire di R. Laurentin, «il testo
ridotto aveva conservato gli stessi difetti del primo: banale, moralizzante, gretto, poco aperto ai
laici, ecc.»9. Ecco perché tanti, tra i Padri e gli esperti, soprattutto di lingua francese, tedesca e dai
Stati Uniti, provarono a trattenere l’ultima e definitiva votazione. Ciononostante, il 4 dicembre
1963, l’Inter mirifica fu definitivamente votato in aula e solennemente promulgato da Papa Paolo
VI10.
4
Cf. E. BARAGLI, L’Inter mirifica, 91, n. 2.
Assegnato dopo alla Segreteria Generale del Concilio.
6
E. BARAGLI, L’Inter mirifica, 99, n. 3, ritiene che il cambiamento nel pensiero del Santo Padre sia dovuto al Card. A.
Ottaviani e a mons. O’Connor, divenuto Presidente del Segretariato.
7
E. BARAGLI, L’Inter mirifica, 128.
8
E. BARAGLI, L’Inter mirifica, 139.
9
R. LAURENTIN, L’enjeu du Concile. Bilan de la deuxième session, Paris, Du Seuil, 1964, 165. Sulla vicenda cf. ib.,
165-168.
10
Commenta R. Laurentin: “Abbiamo assistito a una delle tentazioni che minacciano qualsiasi assemblea, e che
succedono anche nei concili ecumenici: un testo senza profondità, che elimina i punti principali di discussione e
5
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2. Il contenuto del Decreto
2.1 La sua continuità col magistero papale precedente
Il mondo della comunicazione sociale nacque fuori dei confini ecclesiali; anzi, in generale contro la
Chiesa, e come spazio del cosiddetto «libero pensiero» che, oltre a rifiutare il principio
dell’enunciazione dogmatica magisteriale, ha sempre anche cercato di infrangere lo status quo di
qualsiasi società.
Non meraviglia quindi che, sin dall’inizio, questo «nuovo mondo» – nato anche nello stesso tempo,
e adoperato in modo entusiastico dalla Riforma Protestante – fosse guardato da parte cattolica con
prudenza, mescolata con non poche paure e condanne. Mai questo sentimento (espresso in variegati
atteggiamenti) la Chiesa lo ha completamente abbandonato.
Dobbiamo, però, riconoscere che, da un certo momento in poi (soprattutto dagli anni 30 del 900), si
è soprattutto guardato alla comunicazione sociale partendo dalla prospettiva dei «strumenti», adatti
ad arrivare a una moltitudine, con facilità, velocità e fascino, creandosi anche il mito della «massa
informe» che, in un modo acritico, si comporterebbe quale semplice ricevitore di un contenuto, che
il mittente riusciva a dominare, tramite la padronanza tecnica dei canali comunicativi.
Questa prospettiva, che oggi dobbiamo riconoscere semplicistica, ha però permesso alla Chiesa di
fare un approccio partendo dalla neutralità degli strumenti di comunicazione, e quindi affermando
anche la sua possibilità di essere adoperati per il bene (per la diffusione del Vangelo, la pace e la
comunione tra gli uomini), così come la necessità di proclamare apposite regole etiche. Alla fine, gli
«strumenti di comunicazione sociale» facevano parte dei «meravigliosi progressi della scienza», che
segnavano l’ambiente culturale del Concilio, per cui era urgente ai cattolici esservi presenti, senza
paura. Fu questo l’atteggiamento che, nei suoi parecchi discorsi sull’argomento prese Pio XII11, alla
stregua dei suoi immediati predecessori, così come fecero anche i suoi successori, il Beato Giovanni
XXIII12 e Paolo VI13.
Fu appunto la voglia di pressare su questo ottimismo, di eliminare tutto ciò che potesse ricordare
una qualsiasi «scomunica», così come il riconoscimento positivo della «laicità» dei strumenti di
comunicazione, con la corrispondente fiducia nei professionisti cattolici, che hanno motivato la
stragrande maggioranza delle critiche al Decreto conciliare. Per i critici, infatti, l’IM sembrava
ancora poco ottimista, facendo dipendere la presenza ecclesiale nei media da norme etiche
enunciate dal magistero, senza rispecchiare e riconoscere l’abituale indipendenza dei media.
d’opposizione, rinunciando a prendere posizione sui problemi, che non fa nascere nessuna opposizione, passa senza
dolore, però senza profitto” (ib., 168).
11
Cf. E. BARAGLI, Comunicazione, comunione e Chiesa, Roma, Studio Romano della Comunicazione Sociale, 1973,
516-768.
12
Cf. E. BARAGLI, Comunicazione, comunione e Chiesa, 768-875.
13
Cf. PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 45: «Nel nostro secolo, contrassegnato dai mass media o strumenti di
comunicazione sociale, il primo annuncio, la catechesi o l'approfondimento ulteriore della fede, non possono fare a
meno di questi mezzi come abbiamo già sottolineato. Posti al servizio del Vangelo, essi sono capaci di estendere quasi
all'infinito il campo di ascolto della Parola di Dio, e fanno giungere la Buona Novella a milioni di persone. La Chiesa si
sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi, che l'intelligenza umana rende
ogni giorno più perfezionati; servendosi di essi la Chiesa «predica sui tetti» il messaggio di cui è depositaria; in loro
essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini. Tuttavia l'uso
degli strumenti di comunicazione sociale per l'evangelizzazione presenta una sfida: il messaggio evangelico dovrebbe,
per il loro tramite, giungere a folle di uomini, ma con la capacità di penetrare nella coscienza di ciascuno, di depositarsi
nel cuore di ciascuno come se questi fosse l'unico, con tutto ciò che egli ha di più singolare e personale, e di ottenere a
proprio favore un'adesione, un impegno del tutto personale».
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È vero che una «Costituzione» era troppo solenne per l’argomento, e che i primi disegni andavano
in una direzione troppo tecnica (e, quindi, anche da scuola) – per cui, con quello che oggi possiamo
riconoscere come «saggezza», il Concilio ha preferito l’approvazione di un piccolo testo
(coincidente in gran parte con la conclusione dei primi schemi, e senza un pronunciamento tecnico,
che non era, assolutamente suo compito), riprendendo quanto già detto nel magistero precedente,
ma che, ciononostante, costituiva un segno della sua cura pastorale per queste nuove realtà.
2.2 Gli “strumenti di comunicazione sociale” e il suo retto uso
Lo schema e il contenuto del Decreto sono assai semplici. Dopo l’introduzione, nella quale si
accetta la terminologia «innovatrice» trovata da Padre Baragli («strumenti di comunicazione
sociale») che ci fa situare teologicamente in una «teologia in genitivo» (la «teologia della creazione
e della tecnica»), si fa riferimento all’interesse pastorale che giustifica il pronunciamento conciliare.
Subito dopo, il Vaticano II dirige la sua attenzione ai principi morali del possesso e uso di questi
«strumenti» da parte della Chiesa14, nonché al dovere da parte dei pastori di «istruire e guidare i
fedeli perché […] perseguano la salvezza e perfezione propria e di tutta la famiglia umana» (IM 3).
Dobbiamo comunque rilevare che il Decreto, anche se non approfondisce gli argomenti, nemmeno
lascia da parte problemi ancor’oggi non completamente risolti, quali sono: il diritto
all’informazione «pubblica e tempestiva», di fronte alla costatazione che «non ogni conoscenza
giova» (IM 5); i diritti dell’arte, di fronte al primato del’ordine morale oggettivo (IM 6); la
rappresentazione del male morale e il vantaggio delle anime (IM 7); il rapporto tra opinione
pubblica e vita privata (IM 8).
Ancora nel I capitolo, il Concilio dirige la sua attenzione ai «doveri» di quanti ricevono la
comunicazione (in particolare dei giovani e genitori), di quanti adoperano i mezzi di comunicazione
(gli «autori»), e della pubblica autorità in vista alla tutela del bene comune.
2.3 L’azione pastorale della Chiesa
Dopo ribadire l’impegno con il quale tutti i cattolici, in «unità di intenti», devono adoperare gli
«strumenti di comunicazione sociale», nonché la necessità di formazione degli «autori» e degli
«utenti», il Concilio esorta tutti all’aiuto per il sostenimento (materiale e di competenze)
dell’attività ecclesiale in quest’area, e instituisce la Giornata Mondiale, «nella quale i fedeli siano
istruiti sui loro doveri in questo settore, invitati a speciali preghiere per questo scopo e a
contribuirvi con le loro offerte» (IM 18). Finalmente, l’IM si riferisce alla Commissione Pontificia
per le Comunicazioni Sociali, al dovere che spetta ai vescovi di vigilare sulla comunicazione
sociale, agli Uffici nazionali e alle organizzazioni internazionali di professionisti cattolici.
La «Conclusione» comanda la redazione di una «Istruzione Pastorale» – la Communio et progressio
(pubblicata nel 1971) – e invita «tutti gli uomini di buona volontà» a impiegare gli strumenti di
comunicazione sociale «unicamente per il bene dell’umanità» (24).
3. Posteriori sviluppi
La linea dell’Inter mirifica mai fu abbandonata nei documenti del magistero, sia pontificio sia
episcopale. Possiamo, comunque considerare tre grandi linee nel suo sviluppo.
14
IM 3: «compete pertanto alla Chiesa il diritto innato di usare e di possedere siffatti strumenti, nella misura in cui essi
siano necessari o utili alla formazione cristiana e a ogni altra azione pastorale».
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Per primo, la manutenzione del linguaggio essenzialmente etico-morale, che può essere individuato
nella stragrande maggioranza dei messaggi papali per la Giornata Mondiale per le Comunicazioni
Sociali.
Una seconda linea di sviluppo è quella presente nell’Istruzione Communio et progressio del 1971.
In effetti, anche se quest’Istruzione pastorale fu idealizzata dal Concilio per la pubblicazione dei
due terzi di testo, con linguaggio piuttosto tecnico, che furono cancellate dalle prime stesure
dell’IM, alcuni critici del Decreto e il cammino conciliare realizzato nella redazione degli altri
documenti conciliari hanno dato origine all’elaborazione di un tutto nuovo testo. Questo, anche se
non contraddice quanto fu affermato nell’IM e mantiene l’ottimistica nozione di progressio,
introduce le nozioni teologiche di «dialogo» (ispirata dall’Ecclesiam suam di Paolo VI) e di
«communio», così come la considerazione di quanto era la praxis e il pensiero di diversi
professionisti cattolici, soprattutto di area francese, tedesca e statunitense. Baragli, ciononostante,
riuscì a fare qualche cambiamento sull’ultima redazione, anche se si è sempre dimostrato come suo
critico. Significativa è, comunque, l’interrogazione finale della Communio et progressio (181): «A
questo punto si pone un problema molto difficile, se siamo cioè alla soglia di un'era totalmente
nuova della comunicazione sociale oppure no; se, in altre parole, nelle comunicazioni si sta
operando non soltanto un progresso di quantità ma anche di qualità».
Finalmente, una terza linea in ciò che spetta ai documenti papali sulla comunicazione sociale, fu
inaugurata dal Beato Giovanni Paolo II, nella Redemptoris missio, prendendo spunto precisamente
dall’interrogativo finale della Communio et progressio sopra menzionato, quando il Santo Padre si
riferisce ai nuovi areopaghi (ai centri, cioè) dell’odierna cultura (37 c):
Il primo areopago del tempo moderno è il mondo delle comunicazioni, che sta unificando
l'umanità rendendola - come si suol dire - «un villaggio globale». I mezzi di comunicazione
sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento
informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari,
sociali. Le nuove generazioni soprattutto crescono in modo condizionato da essi. Forse è
stato un po' trascurato questo areopago: si privilegiano generalmente altri strumenti per
l'annunzio evangelico e per la formazione, mentre i mass media sono lasciati all'iniziativa di
singoli o di piccoli gruppi ed entrano nella programmazione pastorale in linea secondaria.
L'impegno nei mass media, tuttavia, non ha solo lo scopo di moltiplicare l'annunzio: si tratta
di un fatto più profondo, perché l'evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in
gran parte dal loro influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e
il magistero della chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa «nuova cultura»
creata dalla comunicazione moderna. È un problema complesso, poiché questa cultura
nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di
comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici.
Conclusione
Concludendo. Il Concilio poteva forse passare senza l’Inter mirifica; l’opera conciliare forse non
sarebbe venuta meno se il Decreto fosse lasciato da parte. Il linguaggio conciliare sembra ogni tanto
segnato non solo dal momento in cui il Decreto fu elaborato – ciò che sarebbe normale – ma sembra
anche non tener conto della riflessione (soprattutto pastorale) già in quel tempo resa nota.
Teologicamente, il Decreto si chiude in una teologia della creazione, senza tener conto della
comunicazione quale essenziale evento umano e cristiano. Culturalmente, ignora i cambiamenti
epocali che già stavano all’opera. E si poteva continuare, individuando altre eventuali mancanze
dell’Inter mirifica…
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Bisogna, però, riconoscere che, alla fine, il Decreto costituisce un segno essenziale per quanto
riguarda il modo positivo come la Chiesa vuol essere presente nel mondo delle comunicazioni. Che,
nonostante le critiche, l’Inter mirifica fu un punto di partenza, non solo per il pensiero quanto anche
per la praxis ecclesiale. Che rimane il riferimento primo per quanto spetta ai pronunciamenti del
magistero in materia. Che, alla fine, vi sono dei punti che non hanno ancora trovato – soprattutto
pastoralmente – le loro sintesi.
Il Decreto segna quindi il Concilio e la sua apertura alle nuove realtà, nelle quali non possiamo non
annunziare il Vangelo. Forse le critiche potrebbero essere altre se l’Inter mirifica fosse stato
approvato alla fine dell’iter conciliare. Il fatto, nonostante, è che questo è il Decreto conciliare sulla
comunicazione sociale. Di lui non possiamo che rimanere grati al Signore, e a quanti vi hanno
lavorato.
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