Acustica musicale - Sito Personale di Ettore Limoli

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Lezioni di Fisica
Acustica musicale
Prof. Ettore Limoli
SOMMARIO
Generalità sulle onde meccaniche................................................................................................................ 1
Energia trasmessa dall’onda ......................................................................................................................... 3
Il suono ......................................................................................................................................................... 4
Caratteri dei suoni ........................................................................................................................................ 5
Inviluppo ...................................................................................................................................................... 6
Sovrapposizione di onde - Onde stazionarie. ............................................................................................... 9
Equazione di un’onda stazionaria ............................................................................................................... 12
La percezione sonora.................................................................................................................................. 13
La Percezione della Frequenza ................................................................................................................... 16
Le scale musicali ......................................................................................................................................... 18
Generalità sulle onde meccaniche
Molti fenomeni fisici sono collegati alla trasmissione di un moto vibratorio per mezzo di onde
meccaniche. Se gettiamo un sasso in uno stagno osserviamo che si formano onde circolari
concentriche che vanno via via allargandosi e allontanandosi dal punto dove la caduta del sasso le
ha generate.
Figura 1
Ad un osservatore superficiale potrebbe sembrare che le particelle di liquido si muovano,
allontanandosi radialmente dal punto in cui è caduto il sasso (Figura 1). Ciò non è vero. Ce ne
possiamo convincere posando sull’acqua una goccia d’olio. Si può constatare che la goccia si
muove verticalmente in su e in giù intorno alla posizione di equilibrio ma non si sposta
orizzontalmente.
1
È solo il moto ondoso che si propaga da particella a particella del liquido spostandosi
radialmente dal punto in cui è stato generato. Quando il treno d’onde provocato dalla caduta del
sasso si è definitivamente allontanato, la goccia d’olio (e con essa tutte le particelle d’acqua)
riprende la sua posizione iniziale di equilibrio.
Da quanto detto possiamo trarre la conclusione che in un moto ondoso le particelle materiali
interessate non si spostano definitivamente dalla loro posizione iniziale ma semplicemente vibrano
intorno ad essa.
Si distinguono due tipi di onde:
1. Onde trasversali (Figura 2): sono quelle in cui le particelle interessate vibrano in
direzione perpendicolare al raggio d’onda. Sono di questo tipo le onde nello stagno.
2. Onde longitudinali ( Figura 3): sono quelle in cui le particelle oscillano nella stessa
direzione del raggio. Sono di questo tipo le onde sonore, come vedremo in seguito.
Figura 3
Figura 2
Torniamo ora a considerare l’oscillazione fatta dalla gocciolina d’olio quando viene raggiunta
dall’onda. Se riportiamo su di un grafico come varia, al trascorrere del tempo t, la distanza y della
gocciolina dalla sua posizione di equilibrio (elongazione), otteniamo una curva sinusoidale come
quella riportata in Figura 4.
Figura 4
Si chiama periodo T il tempo impiegato dalla goccia d’olio a compiere un’oscillazione
completa attorno alla sua posizione d’equilibrio. Il periodo si misura in secondi (s).
Si chiama frequenza f il numero di oscillazioni fatte dalla gocciolina in un secondo. La
frequenza si misura in hertz (Hz).
La frequenza ed il periodo sono legati dalla relazione: 𝑓 =
1
𝑇
.
2
Se idealmente effettuiamo una sezione dello stagno con un piano perpendicolare alla sua
superficie e scattiamo una foto, l’immagine verrebbe simile a quella di Figura 4 dove l’asse
orizzontale non rappresenterebbe più l’asse del tempi ma la distanza x dal punto iniziale d’impatto
del sasso sulla superficie dell’acqua (Figura 5).
Figura 5
La distanza fra due fronti d’onda si indica con la lettera dell’alfabeto greco  (lambda) e si
chiama lunghezza d’onda.
La frequenza è determinata dalla sorgente dell’onda (ad esempio: una punta che percuote
ritmicamente la superficie dell’acqua). La velocità v di propagazione dell’onda dipende dal mezzo
materiale in cui essa si propaga (ad esempio: il suono viaggia più velocemente in un solido, meno
velocemente in un liquido e meno velocemente ancora nell’aria). La frequenza di un’onda f è
legata alla lunghezza d’onda  dalla relazione: v =  οƒ— f .
La lunghezza d’onda quindi è inversamente proporzionale alla frequenza f, ossia al crescere
dell’una l’altra diminuisce in modo da mantenere fisso il loro prodotto (la velocità di propagazione
dell’onda).
Si chiama ampiezza A dell’onda la massima elongazione raggiunta determinata a partire dalla
posizione di equilibrio (Figura 5).
Se l’onda è generata da un oscillatore armonico l’equazione dell’onda è
π‘₯
𝑦 = 𝐴 𝑠𝑒𝑛 πœ” (𝑑 − )
𝑣
Dove A è l’ampiezza, πœ” = 2πœ‹ βˆ™ 𝑓 è la pulsazione e 𝑑 ′ =
π‘₯
𝑣
rappresenta il ritardo con cui il punto
di ascissa x entra in oscillazione.
Energia trasmessa dall’onda
L’energia meccanica totale è somma dell’energia potenziale (U) e dell’energia cinetica (T). Nel
caso dell’oscillazione armonica, E = T + U = cost.
T e U variano istante per istante ma E rimane costante. Allora in un qualsiasi istante E = Tmax,
ossia al valore in cui U = 0 mentre T è massima.
Poiché
3
𝑇=
1
1
𝑑𝑦 2
1
π‘₯ 2 1
π‘₯
π‘š 𝑣 2 = π‘š ( ) = π‘š [𝐴 πœ” π‘π‘œπ‘  πœ” (𝑑 − )] = π‘š 𝐴2 πœ”2 π‘π‘œπ‘  2 [πœ” (𝑑 − )]
2
2
𝑑𝑑
2
𝑣
2
𝑣
Si ha:
𝐸 = π‘‡π‘šπ‘Žπ‘₯ =
1
1
π‘š 𝐴2 πœ”2 = π‘š βˆ™ 4πœ‹ 2 βˆ™ 𝐴2 𝑓 2
2
2
Possiamo concludere affermando che un’onda non trasporta materia tuttavia trasmette
un’energia che è direttamente proporzionale al quadrato dell’ampiezza (A2) e direttamente
proporzionale al quadrato della frequenza (f 2).
Il suono
Il diapason è uno strumento formato da una lamina metallica piegata a U; i due rami si
chiamano rebbi (Figura 6). Se percuotiamo il diapason con un martelletto udiamo un suono e
sfiorando un rebbio con un dito ci accorgiamo che è in vibrazione. Anche se sfioriamo una corda di
chitarra o la membrana di un altoparlante o qualunque altro corpo, mentre li sentiamo emettere un
suono, riscontriamo che sono in vibrazione. Ogni suono da noi percepito è prodotto da un corpo
che vibra; tali vibrazioni vengono trasmesse al nostro orecchio mediante onde meccaniche.
Figura 6
Per la precisione, dovremmo chiamare suono solo la sensazione che ci dà il nostro cervello in
seguito allo stimolo che determinate onde meccaniche producono nell’orecchio e che il nervo
acustico conduce. Il nostro orecchio è sensibile solo a frequenze comprese tra 16 e 20.000 Hz. Al
di sotto dei 16 Hz (sottosuoni) o al di sopra dei 20.000 Hz (ultrasuoni) il nostro orecchio non
percepisce nulla.
Abbiamo detto dunque che, generato da una vibrazione, il suono giunge al nostro orecchio
mediante onde meccaniche. Senza un mezzo elastico (generalmente l’aria) interposto tra il
generatore e il nostro orecchio, non ci è possibile udire i suoni. Una semplice esperienza ce ne può
convincere. Mettiamo un campanello sotto una campana pneumatica; finché c’è aria sotto la
campana il suo suono giunge fino a noi, se togliamo l’aria non riusciamo più ad udirlo:
l’interruzione del mezzo elastico non permette il propagarsi dell’onda meccanica fino al nostro
4
orecchio. I suoni dunque sono prodotti da particolari vibrazioni la cui energia giunge a noi
attraverso un mezzo elastico, mediante onde meccaniche.
Analizziamo come avviene la propagazione delle onde sonore nell’aria. La vibrazione della
membrana di un altoparlante comprime e decomprime l’aria che le sta attorno a seconda che essa
avanza o indietreggia. Quindi la membrana si sposta nuovamente in avanti e si ripetono le
situazioni precedenti. Si formano così degli strati alternativamente compressi e rarefatti: le
particelle d’aria non si spostano definitivamente dalla loro posizione iniziale ma vibrano intorno ad
essa, ora avvicinandosi tra loro, ora distanziandosi, mentre l’onda di compressione si comunica agli
stati successivi e si allontana dalla sorgente. Poiché le particelle del mezzo vibrano nella stessa
direzione del raggio d’onda, si tratta di onde longitudinali.
La velocità di propagazione dell’onda sonora nell’aria varia secondo lo stato di questa
(umidità, temperatura ecc.); in condizioni medie la velocità è circa 340 m/s.
Le onde sonore longitudinali si propagano anche nei liquidi e nei solidi elastici; naturalmente
la velocità di propagazione varia secondo la natura del mezzo; nell’acqua è circa 1400 m/s,
nell’acciaio circa 5000 m/s.
Caratteri dei suoni
L’oscilloscopio è uno strumento che serve per ottenere su uno schermo fluorescente la
rappresentazione grafica di una vibrazione in funzione del tempo. Questo strumento consente di
analizzare i suoni emessi da strumenti diversi e individuare così le principali caratteristiche di una
vibrazione sonora.
Se si osservano le immagini che si ottengono con i suoni di vari diapason che emettono note
diverse si può notare che esse sono tutte sinusoidi di frequenza diversa per ciascun diapason. Ad
una nota grave corrisponde una frequenza bassa, ad un suono acuto una frequenza più elevata.
Possiamo anche riscontrare che le vibrazioni udibili dall’orecchio umano sono quelle di frequenza
compresa tra i 16 Hz e i 20.000 Hz circa.
Una seconda prova consiste nel confrontare le sinusoidi provocate dallo stesso diapason
percosso prima leggermente poi con maggiore forza. Il nostro orecchio percepisce la stessa nota:
la prima volta il suono è debole, la seconda è più forte.
Infine una terza prova ci consente di confrontare suoni emessi da strumenti diversi. Se ad
esempio, emettiamo la stessa nota con un violino e un sassofono, il nostro orecchio avverte una
differenza tra i due suoni pur sentendo che si tratta della stessa nota. Ciò che noi distinguiamo è la
differenza dei timbri. Come c’era da aspettarsi la frequenza è la stessa perché relativa alla stessa
nota, la forma però non è più sinusoidale ed è diversa per i due strumenti.
Esaminiamo qual è la causa di tali deformazioni e quindi dei due diversi timbri. In qualsiasi
strumento, ad eccezione del diapason, per ogni nota si produce, insieme alla vibrazione
5
fondamentale, anche una serie di variazioni secondarie. Queste hanno frequenze multiple di quella
fondamentale e si chiamano armoniche superiori. La presenza di serie diverse di armoniche
superiori determina, come si può vedere, differenze nella forma del diagramma e cioè differenze di
timbro.
Inviluppo
Ogni suono ha una sua evoluzione dinamica. Ci sono suoni con attacco istantaneo come le
percussioni o il pianoforte, mentre altri hanno un attacco più dolce e graduale come il flauto.
Alcuni suoni possono essere tenuti finché l'esecutore desidera (o ha fiato), mentre altri
scompaiono in un tempo più o meno lungo senza che l'esecutore possa influire sul loro
comportamento. La Figura 7 raffronta una stessa nota emessa da vari strumenti (il profilo della
variazione dinamica è evidenziato in rosso).
Figura 7
Il piano e il tamburo hanno un attacco immediato e poi il suono può solo diminuire
gradualmente di intensità. La tromba ha un attacco rapido, caratterizzato da un lieve sforzato, ma
poi il suono può essere tenuto per un certo tempo. Il contrabbasso ha un attacco più lento a causa
della lunghezza e dello spessore delle corde.
Già guardando questa immagine possiamo intuire che, per quanto riguarda l'evoluzione
dinamica, esistono due classi di strumenti che esibiscono un comportamento molto diverso.
1. Strumenti a evoluzione libera - Sono quelli in cui l'esecutore si limita a fornire una energia
iniziale, ma poi non può fare altro per influire sull'evoluzione dinamica del suono che
6
diminuisce gradualmente fino all'estinzione. Esempi: corde pizzicate (arpa, chitarra, liuto,
clavicembalo) o percosse (pianoforte), strumenti a percussione.
2. Strumenti a evoluzione controllata - Sono quelli in cui l'esecutore deve continuare a
fornire energia per mantenere il suono. Nel momento in cui l'esecutore cessa di dare energia, il
suono scompare più o meno rapidamente. Esempi: strumenti ad arco e a fiato, voce, organo
(in quest'ultimo caso l'energia e fornita dal motore).
I due casi sono molto diversi. Nel secondo, l'esecutore può controllare completamente
l'evoluzione dinamica del suono nel tempo fino a ottenere sforzato o crescendo anche all'interno
del suono singolo.
Con uno strumento a fiato, per es., una singola nota può attaccare rapidamente, abbassarsi
molto di volume e poi tornare a crescere nel finale. Tutto questo è impossibile con gli strumenti a
evoluzione libera.
I suoni, quindi, differiscono notevolmente per quanto riguarda la loro evoluzione dinamica. La
variazione dinamica di un suono nel tempo è detta inviluppo.
In matematica, con riferimento a una famiglia di curve, si chiama inviluppo la curva tangente
a tutte le curve della famiglia (curva in rosso nella Figura 7).
L’inviluppo può avere fino a quattro fasi in sequenza:
1. Attacco (attack) - Corrisponde all'inizio del suono e dura fino al momento in cui il suono
ha raggiunto la massima energia. Può essere immediato (l'attacco del piano o di uno
strumento a percussione dura circa 1/100 di secondo) o graduale (negli strumenti ad arco e
a fiato l'esecutore può creare un attacco in crescendo della durata di vari secondi). Tutti i
suoni hanno un attacco.
2. Decadimento (decay), detto anche decadimento iniziale o primo decadimento - In alcuni
strumenti (es. ottoni), all'attacco segue una breve e rapida diminuzione di ampiezza, prima
che il suono si stabilizzi. Di solito è dovuto al fatto che il suono scatta solo quando si supera
una certa soglia di energia (es. una certa pressione del soffio), non prima. La conseguenza
di questo scatto è un attacco abbastanza rapido seguito da un breve decadimento.
3. Tenuta (sustain) - È la fase in cui il suono rimane stabile mentre l'esecutore continua a
fornire energia. Ovviamente non esiste negli strumenti a evoluzione libera.
4. Rilascio (release), detto anche decadimento finale - È la fase che inizia nel momento in cui
l'esecutore smette di dare energia e il suono decade più o meno rapidamente. Questa fase
può essere anche molto lunga negli strumenti a evoluzione libera (note basse del piano),
mentre è di solito breve in quelli a evoluzione controllata. Tutti i suoni hanno un rilascio.
In Figura 8 è riportato lo schema generico dell'inviluppo e gli inviluppi reali di alcuni strumenti.
Si può notare che non tutti i suoni hanno tutte le quattro fasi, alcuni ne hanno meno. Gli strumenti
7
a evoluzione libera non hanno né decadimento né tenuta. Anche se alcuni vedono come
decadimento il rapido calo di ampiezza che segue la percussione o il pizzicato, si può dire che
questi strumenti abbiano solo due fasi: attacco e rilascio (l'esecutore fornisce l'energia all'inizio e
poi non può fare niente).
Al
contrario, negli strumenti a esecuzione
controllata, l'esecutore
può influenzare
notevolmente l'inviluppo. Gli archi, per es., normalmente non hanno un decadimento perché
l'ampiezza del suono cresce rapidamente con il movimento dell'arco e raggiunge uno stato di
tenuta senza scatti (tre fasi: attacco, tenuta, rilascio), ma l'esecutore può creare un decadimento
suonando sf (sforzato).
Negli ottoni, invece, il decadimento di solito esiste per le ragioni già esposte, ma l'esecutore
può evitarlo eseguendo un attacco dolce. Al limite, sia negli archi che nei fiati, è possibile creare un
inviluppo formato solo da un attacco molto lungo e da un rilascio come nel caso di una minima
suonata in crescendo pp < ff.
Il suono dell'organo può avere una coda dovuta alla riverberazione del luogo in cui di solito
viene piazzato.
Si consideri, ovviamente, che le 4 fasi dell'inviluppo sono schematiche: si tratta di una
semplificazione utile per studiare l'evoluzione dinamica dei suoni. Anche nella fase di tenuta, il
suono non è mai perfettamente fermo (non sarebbe umano) anche a causa di pratiche esecutive
come il vibrato o di particolarità costruttive come le doppie o triple corde del piano.
Figura 8
In alcune situazioni, infine, si verificano variazioni di ampiezza molto rapide dette transienti,
soprattutto nel corso dell'attacco quando il mezzo inizia a vibrare, ma non ha ancora raggiunto la
stabilità.
8
In Figura 9 sono riportati i primi due decimi di secondo di una nota bassa di pianoforte
studiati all’oscilloscopio; si noti quante micro-variazioni di ampiezza si possono chiaramente
vedere.
Sono dovute al fatto che una corda lunga e spessa come quella di una nota bassa del piano,
percossa dal martelletto in un punto vicino a una estremità, impiega un certo tempo a entrare in
vibrazione nella sua interezza. Di conseguenza, all'inizio, ha un comportamento irregolare in cui al
suono si mescola anche il rumore del martelletto che viene ad essere parte integrante dell'attacco
del piano.
Figura 9
Sovrapposizione di onde - Onde stazionarie
Quando in un gruppo parlano varie persone un ascoltatore sente contemporaneamente i
discorsi dell’una e dell’altra, anche se le onde suscitate dai diversi oratori si incrociano e si
sovrappongono.
Questa esperienza quotidiana ci prova che, quando due onde transitano contemporaneamente
nello stesso punto di un mezzo, proseguono inalterate ciascuna nella propria direzione,
indipendentemente dalla presenza dell’altra.
Figura 10
Figura 11
Figura 12
I fisici hanno studiato questo fenomeno, ad esempio, esaminando gli impulsi che si propagano
lungo un tubo di gomma leggermente teso. Due operatori fanno partire due impulsi dai capi
9
opposti del tubo. La Figura 10, Figura 11 e la Figura 12 illustrano ciò che accade quando i due
impulsi si incrociano: le particelle del tratto in cui avviene l’incontro subiscono una elongazione di
ampiezza uguale alla somma delle elongazioni che sarebbero provocate da ciascun impulso se
agisse da solo; poi le deformazioni proseguono inalterate il loro cammino.
Se le perturbazioni sono provocate da bande opposte rispetto al tubetto e sono di ampiezza
sensibilmente uguale, nel tratto in cui si incontrano e si sovrappongono, si elidono a vicenda.
Infatti la somma algebrica delle elongazioni è nulla e le particelle interessate contemporaneamente
dai due impulsi opposti non si muovono, pur essendo il tramite della trasmissione delle energie dei
due impulsi. I due impulsi che, dopo l’incontro, proseguono inalterati il cammino.
Esaminiamo un caso particolare del fenomeno ora esposto. Consideriamo un tubetto con un
estremo fissato a parete. Se dall’altro estremo facciamo partire un impulso, quando questo impulso
giunge all’estremo fisso inverte il cammino e torna indietro ribaltato. Nella riflessione si è avuto
uno sfasamento di 180°.
Se, dopo aver fatto partire un primo impulso, se ne fa partire un secondo, quando il primo
torna indietro ribaltato, ci si trova nella situazione descritta precedentemente, cioè nel punto in cui
i due impulsi si incrociano sembra che le particelle del tubetto non siano interessate ad alcun
moto, poi gli impulsi proseguono il loro cammino da bande opposte.
Proseguendo in questo tipo di prove, si inviino lungo il tubo un treno di onde sinusoidali
mediante un vibratore K munito di un’asta A che si muove di moto armonico (Figura 13). Quando
la prima onda arriva al capo opposto si riflette sfasata di 180° e torna indietro sovrapponendosi via
via alle onde in arrivo. Altrettanto succede con tutte le altre di ritorno: si forma un treno d’onde
che dal muro viaggia verso il generatore K e si sovrappone alle onde in arrivo. Questa
sovrapposizione può dar luogo in vari punti a situazioni analoghe a tutte quelle precedentemente
illustrate.
I punti in cui si verificano i vari comportamenti illustrati non sono generalmente fissi per cui
non è facile vedere a priori la configurazione risultante in un certo istante. Esiste però un caso
notevole, quello in cui la lunghezza L della corda è uguale a un intero n di mezze lunghezze
d’onda:
𝐿=𝑛
πœ†
2
Allora si può vedere che vi sono dei punti fissi in cui l’onda primaria e l’onda riflessa si
incontrano sempre in opposizione di fase cioè punti in cui le elongazioni delle due onde che
passano sono sempre uguali e opposte in verso. Questi punti (B, C, D, E nella Figura 13) si
chiamano nodi.
10
Poiché gli estremi del tubetto devono sempre essere dei nodi (si ricordi che qui si ha lo
sfasamento di 180°), gli altri nodi si stabiliranno lungo il tubo distanziati di mezza lunghezza
d’onda.
I punti a mezza via tra due nodi sono detti ventri (F, G, H in Figura 13). Qui le due onde che
si incrociano giungono sempre in fase; essendo le due elongazioni uguali e dello stesso verso, le
particelle del tubo sono soggette ad una oscillazione che ha ampiezza doppia di quella dell’onda
originaria.
Figura 13
Quando gli attriti sono trascurabili l’onda riflessa che da E ritorna verso B , qui arrivata, si
riflette nuovamente sempre ribaltandosi di 180° e il moto si mantiene da sé per lungo tempo senza
l’intervento del vibratore. In queste condizioni si dice che nel dispositivo si sono stabilite delle
onde stazionarie. Sono onde stazionarie quelle che si stabiliscono, ad esempio, nella corda di
una chitarra pizzicata dal suonatore.
È possibile calcolare con quali frequenze vibra una corda di lunghezza L. Sappiamo che le
onde stazionarie che si stabiliscono nella corda devono rispettare la condizione: L = n οƒ— /2 , con n
numero intero.
Figura 14
Nella Figura 14 è rappresentata una corda di lunghezza L, fissata ai due estremi e messa in
vibrazione. In essa si stabiliscono onde stazionarie la cui lunghezza d’onda è data da  = 2 οƒ— L /n.
Per n = 1 , si ha  = 2 L (Figura 14 in basso); a questa lunghezza d’onda corrisponderà una
frequenza 𝑓1 =
𝑣
πœ†
=
𝑣
,
2𝐿
dove v è la velocità di scorrimento dell’onda nella corda. Questa è la
11
frequenza fondamentale e determina la nota musicale da noi percepita. Oltre a questa
frequenza, nella corda si possono stabilire contemporaneamente altre frequenze:
𝑓2 =
2𝑣
2𝐿
, 𝑓3 =
3𝑣
3𝐿
, … , 𝑓𝑛 =
𝑛𝑣
𝑛𝐿
(al variare di n).
In pratica non si hanno tutte le infinite frequenze possibili ma, a seconda del materiale di cui è
fatta la corda, del modo di pizzicarla e di altri particolari tecnici, oltre alla fondamentale si stabilirà
un numero limitato di armoniche. Abbiamo già visto che sono proprio tali frequenze multiple della
fondamentale quelle che determinano il particolare timbro di uno strumento.
Equazione di un’onda stazionaria
Ci proponiamo di determinare l’equazione di un’onda stazionaria sommando l’equazione
dell’onda di andata e di quella riflessa.
Figura 15
π‘₯
𝑣
L’onda che parte dal punto A ha equazione 𝑦1 = 𝐴 𝑠𝑒𝑛 πœ” (𝑑 − ), quella riflessa nel punto B,
ha equazione 𝑦2 = −𝐴 𝑠𝑒𝑛 πœ” (𝑑 −
β„“+β„“−π‘₯
𝑣
), poiché l’onda riflettendosi subisce uno sfasamento di
πœ†
2
180°. Imponendo la condizione per avere un’onda stazionaria β„“ = 𝑛 , otteniamo:
π‘₯
𝑣
𝑦2 = −𝐴 𝑠𝑒𝑛 πœ” (𝑑 + −
π‘₯
𝑣
−𝐴 𝑠𝑒𝑛 πœ” (𝑑 + −
π‘›πœ†
𝑣
π‘›πœ†
𝑣
π‘₯
𝑣
π‘₯
𝑣
) = −𝐴 𝑠𝑒𝑛 πœ” (𝑑 + − 𝑛 𝑇 ) = −𝐴 𝑠𝑒𝑛 πœ” (𝑑 + − 𝑛
π‘₯
𝑣
2πœ‹
)
πœ”
=
π‘₯
𝑣
) = −𝐴 𝑠𝑒𝑛 [πœ” (𝑑 + ) − 𝑛 2πœ‹] = −𝐴 π‘ π‘’π‘›πœ” (𝑑 + ) .
Sommando, per le formule di prostaferesi, si ha:
πœ”
𝑦 = 𝑦1 + 𝑦2 = [−2𝐴𝑠𝑒𝑛 ( π‘₯)] π‘π‘œπ‘ πœ”π‘‘
𝑣
πœ”
𝑣
Che è l’equazione di un moto armonico di ampiezza [−2𝐴𝑠𝑒𝑛 ( π‘₯)] dipendente dalla distanza
x del punto P dal punto A.
πœ”
𝑣
I ventri si avranno quando |𝑠𝑒𝑛 ( π‘₯)| = 1;
ossia per:
πœ”
πœ‹
π‘₯ = + π‘˜ πœ‹ (π‘π‘œπ‘› π‘˜ = 0; 1: 2 … )
𝑣
2
Pertanto
π‘₯=
πœ†
(2π‘˜ + 1)
4
Che rappresentano multipli dispari di quarti di lunghezza d’onda.
12
πœ”
𝑣
I nodi si avranno quando |𝑠𝑒𝑛 ( π‘₯)| = 0;
ossia per:
πœ”
π‘₯ = π‘˜ πœ‹ (π‘π‘œπ‘› π‘˜ = 0; 1: 2 … )
𝑣
Pertanto
π‘₯=
πœ†
βˆ™ 2π‘˜
4
Che rappresentano multipli pari di quarti di lunghezza d’onda.
La percezione sonora
Ascoltando i suoni prodotti da un timpano e da un organo, ad esempio, ci si accorge subito
che non è possibile attribuire al timpano una nota precisa, cosa che è possibile per l’organo. Il
suono dell’organo viene percepito quasi come un accordo, mentre il timpano suggerisce solo
vagamente una sensazione di altezza.
Ci si può chiedere se esiste un collegamento fra la periodicità dell'onda e la sensazione di
altezza, per il momento possiamo rispondere che, in linea di massima, è così. Secondo i vecchi
manuali di acustica, la periodicità dell'onda era una condizione indispensabile perché un suono
avesse una altezza precisa, tanto che questi suoni erano chiamati suoni musicali, opposti ai
cosiddetti rumori (suoni non musicali, non periodici, privi di altezza).
Oggi sappiamo che questa distinzione non ha valore perché non è così netta, ma è un
continuo: si può passare gradualmente dalla sensazione di altezza precisa a una sensazione di
altezza sempre più vaga fino a perderla. Pensate, per es., al soffio in uno strumento a fiato (flauto,
clarinetto, sassofono): se si soffia senza produrre una nota e si aprono, via via, le chiavi, il soffio
cambia, suggerendo una altezza. Oppure pensate alle campane che spesso sono "quasi note", cioè
danno una sensazione di altezza, ma con dentro qualcosa di leggermente stonato.
In definitiva, sia pur con qualche eccezione, possiamo dire che:
ο‚·
Se un onda è strettamente periodica produce quasi certamente una sensazione di
altezza.
ο‚·
Se la periodicità dell'onda diventa via via meno stretta, anche la sensazione di altezza
è meno precisa.
Abbiamo già detto che gli esseri umani sentono i suoni che hanno frequenze che sono
comprese tra circa 16 Hz a circa 20.000 Hz.
La soglia superiore si abbassa rapidamente con l'età e l'usura (chi ascolta spesso suoni molto
forti perde frequenze alte più rapidamente del normale).
Ma quanta di questa estensione noi utilizziamo effettivamente in musica? In termini di note,
solo una parte (circa 1/4), ma in realtà quasi tutta, perché sopra a ogni suono ci sono gli armonici.
13
Do
Do #/Re b
Re
Re #/Mi b
Mi
Fa
Fa #/Sol b
Sol
Sol #/La b
La
La #/Si b
Si
-1
1
2
3
4
5
6
7
8
9
16.35
17.32
18.35
19.45
20.60
21.83
23.12
24.50
25.96
27.50
29.14
30.87
32.70
34.65
36.71
38.89
41.20
43.65
46.25
49.00
51.91
55.00
58.27
61.74
65.41
69.30
73.42
77.78
82.41
87.31
92.50
98.00
103.83
110.00
116.54
123.47
130.81
138.59
146.83
155.56
164.81
174.61
185.00
196.00
207.65
220.00
233.08
246.94
261.63
277.18
293.66
311.13
329.63
349.23
369.99
392.00
415.30
440.00
466.16
493.88
523.25
554.37
587.33
622.25
659.26
698.46
739.99
783.99
830.61
880.00
932.33
987.77
1046.50
1108.73
1174.66
1244.51
1318.51
1396.91
1479.98
1567.98
1661.22
1760.00
1864.66
1975.53
2093.00
2217.46
2349.32
2489.02
2637.02
2793.83
2959.96
3135.96
3322.44
3520.00
3729.31
3951.07
4186.01
4434.92
4698.64
4978.03
5274.04
5587.65
5919.91
6271.93
6644.88
7040.00
7458.62
7902.13
8372.02
8869.84
9397.27
9956.06
10548.08
11175.30
11839.82
12543.85
13289.75
14080.00
14917.24
15804.27
A titolo di esempio, nella tabella sopra, sono riportate le frequenze corrispondenti alle note del
sistema temperato (è evidenziata l'estensione del pianoforte).
Da questa tabella si possono dedurre delle cose interessanti. Se, per esempio, si osserva la
riga del LA si può noterete che lo scarto di frequenza tra le varie ottave non è costante (più piccolo
nelle ottave basse, più grande in quelle alte). Tuttavia noi sentiamo una differenza costante,
sempre una ottava.
Figura 16
Si può altresì notate che, se non è costante la differenza, è invece costante il rapporto, difatti
la frequenza dell'ottava superiore è sempre il doppio di quella inferiore.
La cosa è ben visibile in Figura 16 che rappresenta onde della famiglia degli ottoni: dall'alto al
basso, corno, tromba, trombone, tuba.
14
Si vede bene che corno e tromba stanno eseguendo la stessa nota, infatti la durata del ciclo è
identica (i picchi corrispondono). Il trombone è una ottava sotto la tromba, infatti ogni suo ciclo
corrisponde a due della tromba. Il tuba è una ottava sotto il trombone e due sotto la tromba,
infatti ogni suo ciclo corrisponde a due del trombone e a 4 della tromba.
L'ottava, quindi, corrisponde a un rapporto di frequenza 2:1. La cosa ha una precisa
corrispondenza fisica: dividendo una corda a metà, si ottiene l'ottava superiore (corde più corte
producono frequenze più alte in base al loro rapporto; la barretta del dodicesimo tasto della
chitarra si trova a metà corda).
Nello stesso modo funzionano le colonne d'aria. Se si prende un tubo e lo si suona in stile
flauto di pan, si ottiene una nota. Se si taglia a metà il tubo, si ottiene l'ottava superiore.
Anche per gli altri intervalli ci sono rapporti fissi. Nella scala pitagorica, direttamente derivata
dagli armonici, alla 5a corrisponde il rapporto di 3:2 = 1,5. Ne consegue che, dato un LA 440 Hz, il
MI alla 5a sopra avrà una frequenza di 440 x 1,5 = 660.
Se guardiamo il MI sopra il La 440 nel sistema temperato, vediamo che non è 660, ma
659.26. Il fatto è che, com’è noto, la scala costruita sugli armonici conduce direttamente ai
semitoni non coincidenti, al DO# diverso dal REb, cosa che il temperamento equabile ha eliminato,
con il prezzo di approssimare gli intervalli. La tabella seguente mostra l'approssimazione per alcuni
intervalli maggiori.
Intervallo Temperata equabile Scala Pitagorica
2a
1.1224
1.1250
3a
1.26
1.25
a
4
1.3348
1.333
a
5
1.4983
1.5
6a
1.6818
1.6667
Rapporto Pitagorico
9/8
5/4
4/3
3/2
5/3
Allora, qual è il rapporto che equivale a un semitono nel sistema temperato? Bene, si tratta di
dividere il rapporto 2:1 (l'ottava) in 12 parti uguali, ognuna corrispondente a un semitono. Il
risultato è:
12
√2 = 1,0594631 (valore approssimato).
Al di là dei numeri, ciò che se ne può dedurre è che per la percezione sono importanti i
rapporti di frequenza.
Ovvero, noi percepiamo sempre lo stesso intervallo quando il rapporto fra le frequenze è
costante. Partendo da un LA 110 Hz, per percepire un intervallo di ottava dobbiamo raddoppiarlo
andando a 220 Hz, poi a 440 Hz, a 880 Hz e così via. Per ottenere la 5 a superiore dobbiamo
moltiplicarlo per 1.5 = 165 Hz, eccetera. Ciò che resta costante è il rapporto, non la differenza.
15
A questo punto abbiamo anche bisogna di una unità di misura degli intervalli, cioè una unità
basata sui rapporti. Ovviamente è il più piccolo intervallo che usiamo, cioè il semitono, infatti le
scale e gli intervalli sono definiti in termini di semitoni.
Volendo misurare una differenza minore di un semitono possiamo utilizzare il cent che
equivale a 1/100 di semitono (1 semitono = 100 cent, 1/4 di tono = 50 cent).
La Percezione della Frequenza
Una scala cromatica, per noi, equivale a una scala con gradini tutti uguali, praticamente una
linea retta, come la linea in rosso nella Figura 17. Se però, guardiamo questa scala in termini di
frequenze, segnando sul grafico la frequenza in Hz che corrisponde a ogni semitono, otterremo la
linea blu che invece è una particolare curva detta esponenziale.
La differenza fra le due linee è netta ed è anche strutturale: si ha una retta quando ogni
punto è ottenuto aggiungendo qualcosa al precedente (somma) mentre si ottiene un esponenziale
quando ogni punto è ottenuto moltiplicando il precedente per qualcosa (prodotto).
Figura 17
In pratica, noi sentiamo una retta quando in realtà abbiamo una curva. Questo
comportamento non è limitato solo all'acustica, ma si trova spesso quando abbiamo a che fare con
il sistema percettivo.
In questo caso, è dovuto al modo in cui le frequenze vengono mappate dall'organo del Corti
all'interno della chiocciola nell’orecchio umano. È stato osservato, infatti, che le onde generate
dalle basse frequenze si spingono più avanti nella chiocciola, mentre le alte frequenze si
esauriscono prima. In tal modo, le cellule poste all'inizio della chiocciola sono interessate solo dalle
alte frequenze. Le onde generate dalle frequenze più basse, invece, riescono a penetrare di più e
vanno a toccare anche cellule che stanno più all'interno della chiocciola.
16
In pratica, l'organo del Corti è un raffinato analizzatore che scompone il suono nelle sue
componenti basse, medie e alte inviando al cervello informazioni differenziate per ogni registro.
Se si va a vedere quali cellule rispondono alle diverse ottave, si nota che la loro distanza è
all'incirca uguale.
La figura sotto mostra la distanza percorsa all'interno della chiocciola dalle onde generate da
diverse frequenze. Le onde di frequenza pari al LA7 (3520 Hz) penetrano per circa 12 mm, quelle
del LA6 per circa 17 mm, quelle del LA5 per circa 22 mm e così via. Si nota che un salto di ottava
corrisponde a circa 4 mm all'interno della chiocciola. Di conseguenza un salto di frequenza
variabile in termini di Hertz, come quello dell'ottava, quando arriva all'organo del Corti viene
mappato su uno spazio all'incirca sempre uguale, come nella Figura 18. Si ritiene che questa sia la
ragione per cui noi percepiamo come identici gli intervalli, cioè i rapporti e non le differenze di
frequenza.
Figura 18
Si può notare anche che l'estensione di frequenze che va approssimativamente da 20 Hz fino
a 4000 Hz copre circa i due terzi dell'estensione della membrana basilare (dai 12 ai 35 mm dalla
base) su cui risiede l'organo del Corti. La rimanente porzione della scala di frequenze (4000 Hz 16000 Hz) è compressa nel rimanente terzo. Ne consegue che, in quest'ultima parte, composta da
suoni che noi giudichiamo acutissimi, la percezione è più difficoltosa, meno sicura, in ogni caso
meno precisa.
L’intervallo di frequenze fra 20 Hz e 4000 Hz corrisponde alle prime sette ottave musicali,
riconosciute come le più importanti in musica. Non a caso corrisponde esattamente all'estensione
del pianoforte. Quindi, la nostra musica si è conformata alle capacità del nostro sistema percettivo!
17
Le scale musicali
Il primo che si è interessato di studi musicali da un punto di vista scientifico è stato Pitagora,
matematico e filosofo nato nel 570 a.c. Lui parte da uno strumento antico, chiamato monocordo,
perché fatto da una sola corda tesa su una cassa munita di un ponticello mobile con il quale era
possibile accorciare a piacimento la parte della corda che suonava. Un po’ quello che accade oggi
con la chitarra, quando premi la corda con un tasto, suona solo la parte tra il tuo dito ed il
ponticello fisso sotto il foro. Ed è per questo che puoi suonare tante note con la chitarra. Perché,
più la corda è corta, a parità di spessore, più il suono è acuto. E lo stesso accadeva sul
monocordo.
Pitagora si accorse che se si suonavano due monocordi contemporaneamente il massimo della
godibilità si aveva quando la corda del secondo veniva fermata a certe lunghezze fisse che erano
esattamente 1/2, 3/2, 4/3 la lunghezza della corda del primo. La sensazione era simile a quella di
un coro di voci maschili e femminili (o bianche, si tenga conto che la musica greca antica era solo
melodica, non esisteva polifonia).
Ma possiamo dividere la corda ad altre lunghezze, e Pitagora si mise proprio a fare questo,
provò e riprovò, misurando le lunghezze delle corde per vedere a che rapporti otteneva dei suoni
gradevoli rispetto ad un altro monocordo che suonava con la corda intera.
Si accorse che il suono più gradevole si otteneva dividendo la corda a 2/3.
Sulla base di questa seconda consonanza, utilizzando più e più volte il rapporto 3/2 (perché
dividendo la corda a 2/3 il suono che si ottiene è 3/2 volte più acuto di quello del monocordo a
vuoto), con ripetute moltiplicazioni e divisioni ottenne la divisione dell’intervallo di ottava in 5 parti
ottenendo così la prima scala pentatonica. A queste note se ne aggiunsero poi altre fino ad
arrivare ad un totale di sette note, che prendono il loro nome dalle iniziali dei versetti di un inno a
S. Giovanni.
Non è qui il luogo di ripetere l’intero percorso, ma sappiamo che alla fine i musicisti si
trovarono con la loro ottava divisa in sette parti, ma non uguali. La scala che si forma con il
sistema di Pitagora mantiene l’eguaglianza nella proporzionalità tra le frequenze di una nota con
quella della successiva, ovvero se dividiamo la frequenza di una nota con quella della precedente
otteniamo sempre lo stesso numero, anzi due tipi di numeri perché nella scala definita da Pitagora
ci sono due tipi di rapporti, uno grande chiamato tono ed uno piccolo chiamato semitono.
Si guardi il seguente specchietto che inizia dalla frequenza del DO4.
Nota
frequenza
rapporto
DO4
262
9/8
RE4
295
9/8
MI4
332
256/243
FA4
350
9/8
SOL4
393
9/8
LA4
443
9/8
SI4
498
256/243
DO5
524
18
Queste sono le frequenze delle sette note calcolate con il sistema di Pitagora, e come si vede
esistono due tipi di rapporti tra la frequenze (per comodità di scrittura i numeri sono approssimati
all’unità), uno grande che vale 9/8 (detto Tono) ed uno piccolo di 256/243 (detto semitono perché
vale poco più della metà dell’altro se espresso in termini decimali).
Su questa scala si basa la musica occidentale, ma essa ha un grosso problema, anzi due! Il
primo era noto ai greci ai quali però non interessava; la loro musica era per lo più melodica, ed
utilizzavano come accordo solo gli intervalli di ottava. Se suoniamo il do così ottenuto con l’altro do
o con il fa otteniamo risultati gradevoli, ma se proviamo a suonare insieme al do il mi o il la
l’effetto è assai poco musicale. Il problema comincia a nascere quando nella musica occidentale,
finito il medioevo, si incominciano ad evolvere polifonia e contrappunto. Polifonia vuol dire più voci
che suonano assieme, ma note diverse, non più unisono. E la scala pitagorica limita parecchio la
possibilità di avere unisoni. Il do suona bene solo con il fa e con il sol, oltre che con gli altri do.
Ma poi c’è un problema più sottile, in realtà la chiusura aritmetica dell’ottava pitagorica non è
esatta, e alla fine otteniamo la divisione della ottava in 200 parti proporzionali. I musicisti non
utilizzavano tutte queste note, ma con l’evoluzione degli strumenti musicali si iniziò a sentire
l’esigenza di utilizzare le note alterate, per poter trascrivere i brani da una tonalità all’altra
mantenendo i rapporti musicali tra i suoni. Nel sistema di solmisazione di Guido D’Arezzo (quello
che usa l’inno di San Giovanni per dare il nome alle note musicali) i nomi delle note non erano
fissi, Ut era sempre e comunque il primo grado della scala, e La l’ultimo.
Ma questo è un discorso assai complesso. Diciamo che per trasporre devo utilizzare le note
alterate, ma con la scala pitagorica il sistema delle note alterate diventa complicatissimo.
Ecco che i musicisti affrontano praticamente il problema utilizzando una scala che è
leggermente diversa da quella di Pitagora, la cosiddetta scala di Zarlino, che in realtà era già stata
formulata da Tolomeo, insigne astronomo e matematico (85-165 d.c.).
La scala musicale zarliniana si basa non solo sul rapporto 3/2 tipico della quinta (tra do e sol
ci sono cinque note compresi do e sol, per questo si parla di intervallo di quinta, che abbiamo
anche tra fa e do, e tra la e mi, per esempio), ma anche sul rapporto 4/3 tipico della quarta
(rispetto al do la quarta è il fa). Questo si ricava usando il do come se fosse una quinta, cioè come
una nota che vibra con frequenza che è i 3/2 della frequenza dell’altra nota, che quindi vibra con
frequenza che è i 2/3 rispetto alla frequenza del do. Se raddoppiamo questo valore otteniamo il
valore 4/3 (4/3=2 οƒ—2/3). Su questa triade si costruisce una scala simile a quella pitagorica, ma non
uguale, nella quale abbiamo consonanza, non solo tra la tonica (la tonica è la nota fondamentale
di una scala) la quarta e la quinta, ma anche con la terza e con la sesta. Gli unici suoni che
rimangono dissonanti sono il secondo grado e il settimo.
19
Ed è una cosa importantissima, perché d’ora in poi si potranno suonare più di due note
diverse all’unisono e cominceranno faticosamente a prendere forma gli accordi e l’armonia che da
essi dipende.
Per la scala zarliniana diamo il seguente specchietto:
nota
frequenza
Rapporto
con la
fondamentale
rapporto
con la nota
precedente
DO4
262
9/8
RE4
295
5/4
MI4
328
4/3
FA4
349
3/2
SOL4
393
5/3
LA4
436
15/8
SI4
491
2/1
9/8
10/9
16/15
9/8
10/9
9/8
16/15
DO5
524
Ma anche la scala di Zarlino pone qualche problema. Come si vede nella scala zarliniana ci
sono tre tipi di intervallo, non due, il tono maggiore (9/8), il tono minore (10/9) e il semitono
(16/15). E se questo non pone problemi agli strumentisti che suonano strumenti ad accordatura
variabile, pone problemi ai cantori, diventa difficile intonare correttamente con tre intervalli diversi.
Inoltre, pur essendo una suddivisione chiusa, la scala zarliniana porta alla fine a dividere l’ottava in
21 parti diseguali, o meglio proporzionali secondo i tre toni. Nella scala zarliniana otteniamo diesis
e bemolli, bequadri e doppi diesis e doppi bemolli ma non coincidono.
Il diesis di una nota precedente non corrisponde al bemolle di quella successiva. Il si diesis è
diverso dal do, come il do bemolle è diverso dal si. Ci ritroviamo tra le mani alla fine 21 tonalità
diverse. Come se non bastasse tutte le note della scala zarliniana hanno una doppia intonazione.
Inoltre se chi suona strumenti ad accordatura variabile, per passare da una tonalità all’altra
non deve fare altro che riaccordare lo strumento (non che sia facilissimo, ci vuole molto orecchio)
con gli strumenti ad accordatura fissa (organo, clavicembalo, ecc.) cosa facciamo?
Perché con questa scala succede una cosa curiosa, supponiamo di avere un brano in tonalità
di do, e dobbiamo farlo cantare ad un coro che proprio al do non ci arriva! Arriva al re, e quindi noi
dobbiamo trascrivere il brano in una altra tonalità. E nella tonalità di re ci sono due note diverse
che in quella di do, il do ed il fa non sono uguali, sono ben più acuti. Si tratta di quelli che noi
chiamiamo do e fa diesis.
Se, invece, si hanno problemi con i tenori e si deve abbassare la tonalità del brano, da do a
fa, per esempio, il si nella tonalità di fa è più basso che non il si in quella di do (è quello che
chiamiamo si bemolle).
Che facciamo? Con la voce nessun problema (qualche ora di esercizio in più al massimo). Con
gli strumenti accordabili, va bene, riaccordiamo lo strumento. E con l’organo? Aggiungiamo tasti?
20
La strada percorsa inizialmente è stata quella di aggiungere tasti… Anche perché le note
alterate sono comparse una alla volta, man mano che le necessità tecniche e compositive
ampliavano il “parco” delle ottave disponibili. Si sono visti organi che avevano solo il si bemolle
come nota alterata, magari messa in un angolo, quasi fosse una nota “sospetta” con un non pieno
diritto di cittadinanza con le altre note. Si sono viste, però, anche tastiere con un numero
mostruoso di tasti per ogni ottava, tasti inseriti in due o anche tre ordini rispetto a quelli della scala
fondamentale.
Anche in questo caso, invece di produrre una musica basata su 21 semitoni con tastiere a 22
tasti per ottava, è prevalso il buon senso pratico dei musicisti. Infatti, questi notarono che, tutto
sommato, tra il Si diesis ed il Do non c’era questa grande differenza, si poteva suonare uno al
posto dell’altro con un minimo di fastidio (tanto se ne accorgevano solo i musicisti con l’orecchio
allenato, e lo facevano anche loro!). Lo stesso dicasi per le coppie Mi diesis – Fa, Fa bemolle – Mi ,
Do bemolle – Si. In questo modo abbiamo eliminato quattro alterazioni.
Poi non è che tra il diesis della nota precedente e il bemolle della successiva ci sia questa gran
differenza! Non le possiamo sostituire le une alle altre, ma possiamo fare una media, e trovare una
nota di frequenza media tra queste due che le possa sostituire entrambe, cosi le coppie do diesis –
re bemolle , re diesis – mi bemolle, fa diesis – sol bemolle, sol diesis – la bemolle, la diesis – si
bemolle, potevano essere sostituite con una unica nota intermedia. Ed ecco che invece di una
scomoda tastiera a 22 tasti per ottava otteniamo una comoda tastiera (si fa per dire) a dodici tasti.
C’è ancora un problema però, con i suoi tre intervalli, visto che siamo partiti dalla scala di
Zarlino, le dodici parti in cui abbiamo diviso l’ottava non sono proporzionali, e, quando trasponiamo
un brano da una tonalità all’altra questo si fa sentire. La trasposizione è ancora difficoltosa, il
brano eseguito in re maggiore suona un po’ diversamente da come suonerebbe in mi bemolle
maggiore.
Il compromesso finale, quello ancora in uso, è stato proposto dal tedesco Andreas
Werckmeister (nel 1691) e successivamente perfezionato da Johann Georg Neidhart (nel 1706). Si
chiama temperamento equabile.
Il trucco è semplice, visto che approssimativamente la scala è formata da intervalli grandi
(toni) e da intervalli piccoli (semitoni) che valgono più o meno la metà di un tono, e visto che è
comodo usare la scala divisa in dodici parti, dividiamo l’ottava in dodici parti uguali (sarebbe
meglio dire proporzionali) tra loro.
Siccome quello che ci interessa non è la divisione della frequenza in parti uguali, ma fare si
che tra una nota e la successiva ci sia lo stesso intervallo, calcoliamo i valori della nuova scala
utilizzando
un
sistema
matematico,
cioè
moltiplicando
la
frequenza
del
suono
base,
successivamente per un valore fisso che è uguale a radice dodicesima di 2!
21
La differenza tra le frequenze delle due scale è minima nelle note della scala diatonica
naturali, e rappresenta un compromesso in quelle alterate.
Ma con questa scala non ci sono più difficoltà a trascrivere un brano da una tonalità all’altra.
Anche nell’esecuzione poi si hanno dei vantaggi. Ma il vantaggio principale per un musicista è che
non è più legato alla tonalità. Può utilizzare tutti gli accordi di tutte le tonalità e costruire accordi
nuovi mai pensati in precedenza .
Mentre nell’ambito delle scale diatoniche posso costruire un numero limitato di accordi, come
visto in precedenza, nell’ambito della scala equabile temperata posso costruire tutti gli accordi che
voglio, e potrò divertirmi ad entrare ed uscire da una tonalità all’altra usando dei semplici passaggi
di modulazione. Con la scala temperata si passa dalla musica polifonica antica alla musica
Armonica moderna, e ora stiamo assistendo all’esplosione dell’armonia nel comprendere accordi
non solo di tre note, ma di 4, 5, 6, 7 e anche più. Non solo, con una scala temperata possiamo
creare a volontà accordi diminuiti ed aumentati, cosa che non si può fare nell’ambito della diatonia.
Naturalmente tutto questo ha un costo, abbiamo sacrificato le consonanze naturali della scala
zarliniana ad altre un po’ meno gradevoli. E, per esempio, la tonalità di Do diesis è indistinguibile
da quella di Re bemolle (pur essendo in teoria due cose diverse, in pratica si suonano nella stessa
maniera e con le stesse note!). Ma ormai, come dicevo prima, ci siamo abituati a questo
compromesso e solo gli orecchi più fini ed allenati riescono a cogliere le sottili dissonanze create
dall’accostamento di strumenti ad accordatura variabile con strumenti ad accordatura fissa.
Nella scala temperata tutti i semitoni sono uguali, nel senso che hanno lo stesso rapporto,
sono proporzionali tra loro tutti nella stessa maniera. Così che se dividiamo la frequenza di due
semitoni successivi tra loro otteniamo lo stesso risultato (1,059563) qualsiasi coppia di note
prendiamo (fa e mi, sol e sol#, la e sib, non ha importanza).
Prof. Ettore Limoli
22
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