L’oracolo di Washington n. 46 Mendrisio, 19 giugno 2014 Dopo Draghi tocca a Janet Yellen, Governatore della Federal Reserve, declinare urbi et orbi pensiero e azioni della Banca Centrale di riferimento globale. La Yellen nella conferenza stampa del diciotto giugno non ha smentito la sua fama di “colomba” e ha lanciato, tra gli scroscianti applausi dei mercati, tre messaggi. Crescita economica. Le stime di crescita del prodotto interno lordo americano per l’anno in corso sono state riviste al ribasso, dal 2,9% di marzo al 2,2% attuale. Brutte notizie? Per niente. Considerando che il PIL nel primo trimestre sembrerebbe essere calato dell’1,5% a causa di un inverno eccezionalmente rigido, chiudere l’anno al 2,2% di crescita implica una velocità di crociera nei tre trimestri successivi pari a circa il 3,5%. Il condizionale è d’obbligo visto che i dati storici sono soggetti a larghe modifiche e siamo ancora in attesa dell’ultima revisione per i primi tre mesi dell’anno. D’altra parte la maggioranza degli indicatori disponibili conferma una discreta ripresa economica e il progressivo calo del tasso di disoccupazione. Insomma sul fronte della crescita, scontato il normale tasso d’incertezza delle previsioni, va tutto bene. Inflazione e tassi. Il dato dei prezzi al consumo di maggio, diffuso in settimana, pari al 2,1% annuo, è stato derubricato nel limbo delle, fin troppo frequenti, anomalie statistiche. L’indice seguito dalla Federal Reserve, il PCE, un indicatore della dinamica dei prezzi delle spese per consumi delle famiglie, rimane anche in prospettiva ben indirizzato nell’ambito del virtuoso sentiero di lenta crescita verso gli obiettivi della Banca Centrale. Discorso analogo per il percorso atteso dei tassi d’interesse previsto dai membri del FOMC (il comitato della Fed che assume le decisioni), che risulta perfino leggermente più alto di quello scontato dai mercati. Il momento tanto temuto del primo rialzo dei tassi d’interesse rimane quindi allocato nel remoto futuro della seconda parte del 2015. Tempi siderali per gli operatori della finanza. Nella figura che segue sono rappresentate le previsioni puntuali dei sedici membri del FOMC, con la loro distribuzione nel corso degli anni. In definitiva, dopo Draghi, che ha schiacciato il pedale dell’acceleratore, anche la Yellen, malgrado prosegua ai ritmi previsti la riduzione degli acquisti di titoli sul mercato, va ancora a velocità sostenuta. D’altra parte Cristine Lagarde, Direttore del Fondo Monetario Internazionale, ha invitato entrambi i Governatori ad essere ancora più aggressivi. Gli economisti del fondo suggeriscono alla BCE di avviare al più presto un vero “quantitative easing”, con acquisto di titoli governativi su larga scala, per ridurre il rischio deflazionistico. Per la Yellen c’è invece un perentorio invito a mantenere i tassi a zero il più a lungo possibile. Considerato il track record dell’istituto in fatto di previsioni economiche sballate c’è da fare gli scongiuri. Anche perché, ovviamente, non tutti la pensano nello stesso modo. Il maggior gestore di fondi a livello globale, Blackrock, ha realizzato un modello proprietario di previsione della politica della Fed, denominato “Yellen Index”. Ebbene secondo tale modello, che si basa su indicatori convenzionali utilizzati dalle banche centrali prima della grande crisi, la Federal Reserve avrebbe già dovuto iniziare ad alzare i tassi d’interesse che, ai livelli attuali d’inflazione e disoccupazione, sarebbero in equilibrio su livelli compresi tra il 2 e il 3%. Stabilità finanziaria. Infine la Yellen, sollecitata da un paio di domande in conferenza stampa, ha con estrema prudenza espresso qualche valutazione sull’attuale stato dei mercati. No, non si percepiscono i classici segnali di eccesso speculativo che precedono di norma i grandi eventi di crisi finanziaria. La valutazione fondamentale dei mercati azionari non sembra particolarmente anomala; il livello d’indebitamento speculativo e di trasformazione delle scadenze non pare essere eccessivo. Certo, qualche preoccupazione rimane e alcuni segmenti, un po’ surriscaldati, nel settore del credito societario vengono monitorati con attenzione. In definitiva la “corsa alla ricerca del rendimento”, di cui si prende atto, viene considerata fenomeno fisiologico dati i correnti livelli dei tassi d’interesse. Curiosamente c’è da osservare che mentre la Yellen spargeva previsioni al miele, in qualche oscuro ufficio della Federal Reserve si studiava l’ipotesi, francamente raccapricciante, di proporre alla SEC (l’autorità di vigilanza dei mercati Usa) l’imposizione di commissioni d’uscita obbligatorie sui fondi obbligazionari (Fed looks at exit fees on bond funds FT). Motivo? Il rischio che un inatteso rialzo dei tassi provochi una fuga disordinata degli investitori da fondi ed ETF pieni zeppi di obbligazioni societarie, gonfiati negli ultimi anni da oltre 1,2 triliardi di nuove sottoscrizioni, in un mercato che vale complessivamente oltre 10 triliardi di dollari. Disinvestimenti che non troverebbero adeguate controparti pronte ad assorbirli perché le banche hanno abbandonato negli ultimi tempi l’attività di intermediazione sui mercati secondari delle obbligazioni corporate. Perché? Grazie alle nuove regole sull’assorbimento di capitale e sulla separazione dell’attività commerciale (erogazione dei prestiti) da quella di trading, imposta dall’adozione negli Stati Uniti della cosiddetta “Volker Rule” 1 . Insomma mentre sull’onda dei tassi a zero il mercato primario (quello delle nuove emissioni) è inondato di “carta”, sul “secondario”, il luogo dove si scambiano 1 La Volcker-rule, dal nome del suo ideatore l’economista statunitense Paul Adolph Volcker, ex presidente della Federal Reserve, è un insieme di norme articolate nella più ampia riforma denominata "Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act", approvata dal Congresso americano nel 2012 ed entrata in vigore nel luglio 2012. La nuova legge negli Usa sarà totalmente operativa non prima del luglio 2015, anche se la Fed si riserva la possibilità di farla slittare alla fine del 2017. La norma limita l’attività speculativa delle banche, che non possono investire i propri capitali in Borsa, come strumenti derivati e partecipazioni in hedge funds al di sopra del 3%. La Volcker rule separa le attività di "commercial" da quelle di "investment" banking e ha lo scopo di tutelare i risparmiatori da attività troppo speculative ed evitare nuovi crack finanziari, rendendo più stabile il sistema creditizio. Lo stesso sistema è presente anche nel Regno Unito e prende il nome di Vickers reform. i titoli già emessi, non c’è più nessuno o quasi che fa mercato. Nel grafico che segue si evidenzia il boom dei fondi obbligazionari che investono sui crediti societari e il parallelo calo del “magazzino” dei dealer , gli istituti finanziari che dovrebbero fare incontrare domanda e offerta. Siamo di fronte a una conseguenza non “voluta” delle nuove regolamentazioni prudenziali adottate per ridurre i rischi di un’altra implosione del sistema. Un classico. Un evento al quale si stanno già preparando alcuni previdenti gestori di fondi speculativi, raccogliendo capitali da utilizzare alla bisogna, quando i risparmiatori, costretti a correre la cavallina della ricerca del rendimento a tutti i costi, si precipiteranno verso le uscite. (Patient capital ready for debt sell off. FT). Infine un’ultima nota di colore (Central banks shift into shares as low rates hit revenues - FT.com): le enormi riserve in valuta estera delle banche centrali, dall’inizio del secolo esplose da 700 miliardi a otto trilioni di dollari, hanno rendimenti ormai risibili e i profitti languono; ne consegue che sempre di più i banchieri centrali, a partire da quelli cinesi, le investono anche sui mercati azionari. Ce lo dice l’ “Official Monetary and Financial Institutions forum studio”, ennesimo pensatoio delle Autorità monetarie di cui non si sentiva francamente la mancanza. Altra conseguenza non voluta delle politiche in atto. In definitiva, malgrado qualche “minutia”, rimane accesa la luce verde per i mercati. Dopo Kuroda per la Banca del Giappone, Draghi per la BCE, Carney per la Bank of England, ha parlato anche l’oracolo di Washington. Dei quattro solo il terzo ha ipotizzato un possibile rialzo dei tassi prima del previsto. Ma l’economia inglese e la sterlina da tempo non sono più l’ombelico del mondo. I signori della moneta rimangono, volenti o nolenti, in sella ai mercati. Solo l’imprevisto, li può disarcionare.