LUIGI RUSSOLO - il futurismo e la conquista dell`enarmonismo

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LUIGI RUSSOLO - il futurismo e la conquista dell'enarmonismo
L’Europa di fine Ottocento era strettamente legata al trascendente, gli artisti si sentivano diversi e al di sopra
dell’uomo comune, Wilhelm Richard Wagner (1813-1883) era il musicista romantico per eccellenza, fatte
eccezioni per alcune tendenze provenienti dalla Russia, che proponevano una liberazione dall’influsso romantico
tedesco rifiutando immagini fantastiche e suggestive. Wagner aveva concentrato i propri lavori nel teatro, immaginando
l’Opera come una fusione tra la poesia, la musica, la pittura e l’architettura, e diventò la massima
espressione del romanticismo musicale. Nel periodo immediatamente successivo alla sua morte, le rappresentazioni
delle sue opere diventarono molto frequenti. Ma questo periodo di massimo splendore aveva in sé i semi di un declino.
Il Novecento portò alcuni compositori ad evidenziare una rottura con le composizioni musicali classico-romantiche, gli
schemi, le strutture e le sonorità della musica vennero rivalutate sulla base dell’estremo ampliamento
dell’armonia tonale, fino alla totalità cromatica e all’uso della dissonanza, del ritmo spinto fino
all’irregolarità più complessa, sviluppando sul piano dell’ascolto, un effetto di erraticità sonora che
sospendeva il suono con una prospettiva onirica, mitologica, una imprevedibilità musicale.
Le ricerche di Ferruccio Busoni (1866-1924) portarono nel 1909 al Saggio di una estetica musicale, dove il nuovo non
doveva rinnegare il passato, una volontà precisa di non rinunciare alla tonalità senza avere esplorato prima tutte le sue
possibilità armoniche. Le attenzioni di Ferruccio Busoni furono concentrate sugli intervalli microtonali, resi possibili
dall’organo elettrodinamico Telharmonium, l’antenato dell’organo hammond e del sintetizzatore.
Fra il 1912 e il 1913 ebbero la loro prima esecuzione il Pierrot lunaire di Arnold Schönberg (1874-1951) e il Sacre du
Printemps di Igor' Fëdorovi Stravinskij (1882-1971), nei quali fu evidente il metodo seriale o dodecafonico, lavori
liberamente atonali in cui il rumore bianco della grande orchestra del Sacre e l’intonazione parlata nel Pierrot
andavano direzionalmente incontro con le idee di Ferruccio Busoni.
In una conferenza del 1941 Arnold Schönberg, che aveva ideato il genere dodecafonico (usando la serie dei dodici suoni
cromatici senza ripeterne nessuno prima che la serie stessa fosse esaurita) descrisse la situazione musicale intorno ai
primi del secolo: “Le armonie (di Claude Debussy), prive di significato costruttivo, spesso servivano a scopi
coloristici o di espressione di atmosfere e di immagini […] perciò divenivano elementi costruttivi, fusi con i formanti
musicali, generando una sorta di comprensibilità emotiva. In questo modo (come nell’armonia post wagneriana) la
tonalità veniva già distrutta nella pratica, se non nella teoria. Questo fatto solo non avrebbe forse potuto provocare un
completo cambiamento nella tecnica compositiva. Però questo cambiamento si rese necessario allorché si avviò
contemporaneamente un processo che scaturì nella […] emancipazione della dissonanza […] Non ci si
aspettava più che Strauss risolvesse le sue dissonanze; non si era più turbati dalle armonie non funzionali di Debussy, o
dagli altri aspri contrappunti dei compositori successivi […] Uno stile basato su queste premesse
(l’emancipazione delle dissonanze più marcate da parte di Wagner, Strauss, Musorgskij, Debussy, Mahler,
Puccini e Reger) tratta le dissonanze come consonanze e fa a meno di un centro tonale. Anche la modulazione viene
abolita, in quanto si evita di stabilire una tonalità precisa […]”.
Claude Achille Debussy (1862-1918) non accettava quei schemi in cui la ragione non lasciava più spazio alla semplice
percezione. Nelle sue composizioni orchestrali o pianistiche c’erano componenti impressioniste, o per meglio dire
pointillistes in netta somiglianza ai pittori neoimpressionisti, con procedimenti modali, pentatonici, esatonici e con accordi
efficacemente noti a formare mutevoli raffigurazioni, componenti non tonali al limite del diatonicismo, aveva introdotto
l’armonia non direzionale, l’instabilità ritmica e il valore dei silenzi.
I futuristi avevano pensato e formulato teorie, fatto ricerche, ma soprattutto avevano dimostrato le loro convinzioni
partendo ovviamente dalla musica, passando per la pittura e finendo nei più svariati campi dell’arte e della
letteratura.
Francesco Balilla Pratella (1880-1955) aveva riassunto nel suo primo manifesto della musica del 1910 la situazione
europea e quella più precaria italiana: “Essendo entrato così, […] nell’ambiente musicale italiano,
[…], ho potuto giudicare […] il mediocrismo intellettuale, la bassezza mercantile e il misoneismo che riducono
la musica italiana ad una forma unica e quasi invariabile di melodramma volgare, da cui risulta l’assoluta inferiorità
nostra di fronte all’evoluzione futurista della musica negli altri paesi. In Germania, dopo […] il genio sublime
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di Wagner, Riccardo Strauss eleva il barocchismo della strumentazione fin quasi a forma vitale d’arte […]
con maniere armoniche ed acustiche abili, complicate ed appariscenti, l’aridità, il mercantilismo e la banalità
dell’anima sua, nondimeno si sforza di combattere e di superare il passato con ingegno novatore. In Francia,
Claudio Debussy, […] nuota in un lago diafano e tranquillo di armonie tenui, delicate, azzurre e costantemente
trasparenti. […] Nondimeno, più di ogni altro egli combatte gagliardamente il passato e in molti punti lo supera.
[…] In Inghilterra, Edoardo Edgar, coll’animo di ampliare le forme sinfoniche classiche, tentando maniere di
svolgimento tematico più ricche e multiformi variazioni di uno stesso soggetto, e cercando, non nella varietà esuberante
degli strumenti, ma nella varietà delle loro combinazioni, effetti equilibrati e consoni alla nostra complessa sensibilità,
coopera alla distruzione del passato. In Russia, Modesto Mussorgski, […] coll’innestare l’elemento
nazionale primitivo nelle formule ereditarie da altri e col cercare verità drammatica e libertà armonica, abbandona e fa
dimenticare la tradizione. In Finlandia e nella Svezia, […] si alimentano te tendenze novatrici, e le opere di Sibelius
ne danno conferma.
E in Italia? […] In questi vivai della impotenza, maestri e professori, illustri deficienze, perpetuano il tradizionalismo
e combattono ogni sforzo per allargare il campo musicale. I giovani ingegni musicali che stagnano nei conservatori
hanno fissi gli occhi sull’affascinante miraggio dell’opera teatrale sotto la tutela dei grandi editori. La
maggior parte la conduce a termine male e peggio, per mancanza di basi ideali e tecniche. […] Essi d’altra
parte confermano la tradizionale accusa di non essere gl’italiani nati per la sinfonia, dimostrandosi inetti anche in
questo mobilissimo e vitale genere di composizione. Gli editori pagano poeti perché sciupino tempo ed intelligenza a
fabbricare e ad ammannire […] quella fetida torta a cui si dà il nome di libretto d’opera…” e dopo
aver postulato i suoi dettami “ed ora la reazione dei passatisti mi si riversi pure addosso con tutte le sue furie. Io
serenamente rido e me ne infischio: sono acceso oltre il passato, e chiamo ad alta voce i giovani musicisti intorno alla
bandiera del futurismo, che, lanciato dal poeta Marinetti nel Figaro di Parigi, ha conquistato, in breve volgere di tempo, i
massimi centri intellettuali del mondo”.
L’intera serie degli Intonarumori di Luigi Russolo (1885-1947) era in grado di produrre e modulare, in altezza e
intensità, un rumore.
Ventitre anni fa, nel pieno boom degli strumenti elettronici, il giornalista Carlo Massarini (1952) scrisse: “[…]
Ne l’arte dei rumori, il manifesto futurista firmato da Luigi Russolo e datato 1916, c’è l’intuizione
che i rumori intorno a noi sono già di per sé, materia di possibile costruzione sonora. Voluttà acustica, strumenti per colpire
i sensi e far vibrare il cervello. […] però è il segno che un lungo percorso è stato fatto, e che anche il rumore –
quasi settant’anni!- comincia ad avere una tradizione alle spalle”, concetto che possiamo riproporre o
ribadire anche in un prossimo futuro.
Luigi Russolo è stato un futurista, o per meglio dire il futurista. La sua attività artistica è determinata da interessi che
vanno dalla musica alla pittura, di nuovo alla musica, dalla musica alla filosofia e all’esoterismo...
(Luigi Russolo - il futurismo e la conquista dell'enarmonismo, Tesi Accademia di belle arti di Venezia, premessa, pagg. 46, Alessandro Bombardini)
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