Conversione adulta come trasformazione autorealizzativa

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NUOVA SECONDARIA RICERCA
Conversione adulta
come trasformazione
autorealizzativa
Don Rosino Gabbiadini
il saggio ipotizza che i fenomeni di conversione religiosa in età adulta
possano essere analizzati nel quadro delle trasformazioni in età
adulta, già studiate da alcuni autori che si sono occupati del ciclo di
vita, sia in chiave psicanalitica (come erikson e Maslow) sia in termini di antropologia filosofica (come Guardini) sia infine con diretto
riferimento ad ipotetici stadi della fede (come definiti da Fowler).
L’autore giudica che la conversione possa essere letta come una particolare categoria di trasformazioni evolutive, definite da Maslow
“auto-realizzative”, legate ad una capacità espansiva dell’io, divenuto
capace di nuovi “conferimenti di senso” alla realtà e di una nuova capacità generativa (come erikson definisce la virtù della “cura”) nei
confronti delle persone e delle cose. Lo studio si colloca in un percorso di ricerca, teorica ed empirica, sulla natura della religiosità
umana e sui suoi dinamismi, con particolare attenzione ai processi
educativi e formativi che vengono implicati nel suo sviluppo.
The essay suggests that the phenomena of religious conversion in
adulthood can be analyzed in the context of changes in adulthood,
that have already been studied by some authors, who have analyzed
the life cycle, both in psychoanalytic key (as Erikson and Maslow)
and in philosophical anthropology perspective (as Guardini) and
finally with direct reference to hypothetical stages of faith (as defined by Fowler). The author believes that the conversion can be
read as a particular class of evolutionary transformations, defined by Maslow’s “self- realization”, linked to a capacity expansion of the Ego, become capable of new “sense of duty” to reality
and a new generating capacity (such as Erikson defines the virtue
of “care”) in relation to persons and things. The study is part of a
course of research, both theoretical and empirical, on the nature of
human religiosity and its dynamics, with a focus on educational and
training processes that are involved in its development.
La conversione nell’esperienza adulta
Questo contributo si inserisce in un più ampio percorso di
ricerca dedicato alla religiosità e alla sua formazione, avviato a partire dal 2010, a Bologna, per iniziativa di alcuni
pedagogisti accademici, in un gruppo di ricerca in cui anche l’autore si è progressivamente coinvolto e inserito.
L’ipotesi di lavoro di questo gruppo prevedeva una sinergia fra l’università e le istituzioni accademiche legate
alla Facoltà teologica dell’emilia romagna, e contemporaneamente un’apertura multi-disciplinare e potenzialmente multiculturale della ricerca. alcuni risultati sono
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stati già pubblicati mentre i dati di una ricerca empirica
esplorativa sono in via di elaborazione1.
in questo quadro abbiamo già affrontato, in particolare, il
tema dell’età adulta rispetto alle trasformazioni della religiosità2. nel presente testo utilizziamo come termine-guida
la nozione di “conversione”, che a nostro parere costituisce
un raccordo importante nella comprensione della religiosità
per un verso e della trasformazione adulta per l’altro.
con il termine “conversione” ci si riferisce normalmente
ad una trasformazione importante ed esistenzialmente
decisiva della persona, conseguentemente ad una esperienza religiosa intensa che viene normalmente descritta,
da chi la vive, come esperienza di dio o dell’assoluto. il
termine conversione, come qui inteso, implica quindi
normalmente che ci si riferisca alla religione della persona3, e la conversione sembrerebbe collocarsi nelle due
stagioni adulte più centrali (la giovinezza e la media adultità). il termine tende a non applicarsi alla tarda adultità
e alla vecchiaia in senso proprio, stagioni per le quali si
parla piuttosto di riavvicinamento / ritorno ad una più
stretta comunione ecclesiale da parte di credenti che erano
stati “tiepidi” o “non praticanti” nella giovinezza e nell’età
adulta. in realtà si potrebbe ipotizzare che anche i ritorni
in chiesa degli anziani siano espressione di una importante
fase di trasformazione adulta e il fenomeno del ritorno dei
vecchi alla chiesa, e ad una espressione della fede più motivata, non deve essere ignoto all’esperienza umana, se già
il siracide poteva ammonire di «non aspettare la vecchiaia
per convertirsi al signore»4.
di fatto la nozione di “conversione” implica il forte senso
del “voltarsi verso” il dio riconosciuto come tale, un “se
vertere” che è sempre “stravolgente”, inquietante, ma ha
anche il senso di un improvviso e stupefatto “placarsi”
dell’animo, in cui l’inquietudine, e tutti i sentimenti che
prima laceravano e logoravano la persona, si trasformano
in meraviglia, in quiete, in una commossa gratitudine, in
una parola in “contemplazione”:
tutta la mia disperazione si sciolse in un immenso stupore5.
1. M.t. Moscato - r. Gatti - M. caputo (eds.), Crescere fra vecchi e nuovi dei.
L’esperienza religiosa in prospettiva multidisciplinare, armando, roma 2012;
F. arici - r. Gabbiadini - M.t. Moscato (eds.), La risorsa religione e i suoi dinamismi. Studi multidisciplinari in dialogo, Franco angeli, Milano 2014.
2. r. Gabbiadini, Religiosità e trasformazioni adulte, in F. arici - r. Gabbiadini
- M.t. Moscato, La risorsa religione, cit., pp. 249-271.
3. a meno che il termine non sia assunto scherzosamente, applicandolo ad altre
e più lievi scelte esistenziali (come diventare vegetariani o smettere di fumare,
o accostarsi ad alimenti e bevande di altra provenienza culturale.
4. Sir 5,7; 18.22.
5. in questo passo in realtà la Moscato cita un colloquio che racconta di una “conversione” adolescenziale, evidentemente connessa ad una drammatica uscita dalla
religiosità infantile (un maldestro tentativo di suicidio). il testo citato si occupa
di immagini archetipiche del divino e quindi tocca il nostro tema solo di striscio
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Fuori dalle pagine letterarie e dalle espressioni poetiche
e figurative, la fenomenologia della conversione è poco
studiata, e certamente non nell’ambito della pedagogia
scientifica, presumibilmente perché guardata con sospetto
(come del resto l’esperienza religiosa nel suo complesso).
in anni recenti si parla di più di conversioni adulte, ma soprattutto con riferimento alle conversioni da una ad un’altra confessione religiosa, e soprattutto dal cristianesimo
al buddismo6 o all’islam, conversioni, queste ultime, cresciute in forza dei matrimoni misti, a loro volta in espansione in rapporto ai fenomeni migratori.
La figura della “conversione” resta tuttavia presente all’interno dell’esperienza religiosa, nella sua concretezza
esistenziale. riferendoci a materiale ricavato da colloqui
e gruppi di formazione, ed in genere all’esperienza pastorale dell’autore, avanziamo qui un tentativo di ipotesi
provvisoria di classificazione.
sono attestate fra gli adulti un certo numero di “conversioni adulte”, descritte soprattutto come stravolgenti e decisive, legate spesso a momenti di grande dolorosità e impegno esistenziale (lutti, malattie e simili), ma anche
scaturenti da un travaglio intimo di cui lo stesso soggetto
non era pienamente consapevole. in questi casi il momento ricordato come “conversione” segna un nuovo inizio esistenziale, con un netto cambiamento di abitudini,
apre un cammino per il quale l’esperienza stravolgente diventa stabile, e il soggetto si riconosce come “diventato
un altro”. Per quanto ci è dato percepire, questo tipo di
conversione sembra riconducibile a quelle che Maslow, in
uno studio ormai classico7, definiva come “trasformazioni auto-realizzative”, distinguendole da altre trasformazioni adulte (adattive e maturative) che risultano più
comprensibili secondo modelli e categorie di sviluppo elaborati dalla letteratura psicanalitica e psico-pedagogica.
Questa tipologia di trasformazione, da Maslow definita
auto-realizzativa8, «sembra caratterizzata da una crescita
della forza dell’io, da una integrazione più profonda fra
le varie parti del sé, da cui scaturisce una maggiore libertà
e autonomia della persona rispetto ai ruoli, alle convenzioni sociali, alle aspettative degli altri»9.
espressa in termini pedagogici, questa trasformazione si
può definire, secondo la Moscato, come «una modifica
reale e apprezzabile della psiche – in qualche misura osservabile a livello dell’apparato dell’io – come esito di
nuove sintesi intrapsichiche, di alcune riorganizzazioni, di
revisioni cognitive, che ha l’effetto di modificare orientamenti, comportamenti e condotte del soggetto adulto»10.
La trasformazione sembra intervenire per la spinta di bisogni interni razionali-spirituali, quali il bisogno di dare
un senso alla vita o di comprendere e conoscere la verità
(bisogni, come si vede, che non indicano una carenza, ma
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una possibilità ulteriore dell’io personale), e che, talvolta
nel confronto con situazioni cruciali e di limite (morte,
perdita del lavoro, cataclismi naturali…), approdano alla
certezza dell’esistenza di dio e della sua rivelazione. riteniamo che la logica della conversione sia analoga, sia
che ci si converta all’interno della stessa tradizione religiosa in cui ci si è formati, sia che ci si converta ad altra
religione. c’è sempre un’esigenza di autenticità religiosa,
ma anche una intima certezza di avere “trovato salvezza”,
di avere in qualche modo “incontrato una divinità che si
rivela”. L’adesione ad una particolare comunità religiosa
dipende da queste acquisite certezze del neo-convertito,
che accetta di condividerne l’insieme di miti, credenze, riti
e morale che le sono propri, in funzione di una manifestazione del divino che egli ritiene di avere “incontrato”
appunto nella sua esperienza di conversione.
raramente tuttavia la conversione adulta si presenta in
soggetti del tutto privi di qualsiasi formazione religiosa:
più spesso il convertito si muove dentro la stessa tradizione
religiosa d’appartenenza, che gli rivela d’improvviso un
“senso” convincente, a partire ad una intuizione anche
emotivamente sconvolgente del volto rivelato dell’altro
per eccellenza. Questa osservazione potrebbe essere rilevante nello sviluppare il tema – che qui non affrontiamo
– dei “nuclei germinativi”, ipotizzati dalla Moscato11.
(M.t. Moscato, Il sentiero nel labirinto, La scuola, Brescia 1998, pp. 99-100).
che l’adolescenza sia una fase di crisi religiosa è ampiamente noto in letteratura
e nell’esperienza pastorale, ed è meno analizzato invece come essa possa costituire anche un positivo momento di conversione. studi recenti su materiale empirico forniscono nuove possibili ipotesi, ma qui non possiamo occuparcene. si
veda r. Gatti, Raccontare l’esperienza religiosa: una ricerca esplorativa, in M.t.
Moscato - r. Gatti - M. caputo (eds.), Crescere fra vecchi e nuovi dei, cit. pp.
204-257. M. caputo, L’esperienza religiosa nella narrazione di sé. Scritture di
studenti universitari, in M.t. Moscato - r. Gatti - M. caputo (eds.), cit., pp. 4569. M. caputo - G. Pinelli, La religiosità come risorsa transculturale: narrazioni
di giovani migranti, in F. arici - r. Gabbiadini - M.t. Moscato (eds.), cit., pp.
191-222.
6. L. cavana, Senso religioso e spiritualità orientale, in M.t. Moscato - r. Gatti
- M. caputo (eds.), cit., pp. 118-129; L. cavana, Buddismo e conversioni adulte,
in F. arici - r. Gabbiadini - M.t. Moscato (eds.), La risorsa religione, cit. pp.
296-309.
7. a.h. Maslow, Verso una psicologia dell’essere, 1968 [tr. it. astrolabio-ubaldini, roma 1971].
8. Questo termine ha in Maslow un significato specifico che non corrisponde al
più comune senso di “auto-realizzativo” utilizzato da altri autori.
9. M.t. Moscato, La trasformazione adulta: modelli teorici e figure mitiche, in
a.M. Mariani - M. santerini, Educazione adulta. Manuale per la formazione permanente, ed. unicopli, Milano 2002, pp. 54-103; M. t. Moscato, Le teorie psicanalitiche e la loro antropologia implicita: una rilettura pedagogica, “orientamenti Pedagogici”, vol. 55, n. 3 (327), maggio-giugno 2008, pp. 413-434.
10. M.t. Moscato, La trasformazione adulta, cit., p. 74.
11. La Moscato ipotizza, nel dinamismo dell’esperienza religiosa, l’emergere e
lo sviluppo successivo di alcuni “nuclei germinativi” sia di origine psichicamente
arcaica (li chiama “staminali”) sia di origine culturale ed educativa, ma comunque instauratisi in età precoci della vita, che si evolverebbero solo in momenti
successivi per ragioni non facilmente definibili. M.t. Moscato, L’educabilità
umana e la religiosità: genesi, intrecci, sviluppi, in M.t. Moscato - r. Gatti - M.
caputo (eds.), cit., pp. 193 e ss.
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NUOVA SECONDARIA RICERCA
c’è però una seconda accezione del termine “conversione”, che si può incontrare in soggetti religiosi adulti, e
cioè di “conversione come processo prolungato” e, per definizione, “sempre incompiuto”. in questa seconda accezione la “conversione del quotidiano” sembra coincidere
con il dinamismo stesso della religiosità personale, e rispondere a bisogni evolutivi propri delle trasformazioni
adulte, almeno secondo alcuni modelli evolutivi che qui
esaminiamo. La percezione di una conversione/trasformazione continua non esclude tuttavia che il soggetto ricordi dei momenti culmine di esperienza religiosa, in genere almeno due o tre nell’arco della vita, che abbiano
segnato una tappa importante, un elemento di “non ritorno”. Momenti di questo genere possono contrassegnare tutte le fasi del ciclo di vita, e non solo la media età
adulta, e quindi si possono ritrovare nella tarda adolescenza/ prima giovinezza, come nella vecchiaia. in questo
senso si può affermare che tutta la vita religiosa personale
si possa leggere come “un cammino di conversione”.
sembrano meno esplorati e studiati, però, i momenti di
“conversione” di segno opposto, quelli cioè in cui l’adulto
abbandona la pratica religiosa, dichiarando una crisi di
fede, uno scandalo che non riesce a superare, o semplicemente un’urgenza esistenziale che lo induce ad assecondare spinte interne, dell’intelligenza e del cuore, divenute incompatibili con la pratica religiosa e l’adesione
confessionale che egli seguiva. spesso la persona non è
in grado di comprendere appieno le ragioni della propria
crisi religiosa, e neppure di comunicarle ad altri. si tratta
di scelte che approdano a diverse appartenenze confessionali e/ o militanze ideologiche, spesso a mutate condizioni di status, più spesso ad una “laicizzazione”: e tuttavia non è detto che si tratti di una perdita effettiva della
religiosità in quanto tale. talvolta assistiamo ad una trasformazione della forma religiosa fino a quel momento
praticata e vissuta, ad una evoluzione dell’intelletto e
della sensibilità. talvolta la forma religiosa mutata è più
simile all’eresia, piuttosto che all’apostasia; talvolta si osservano trasformazioni in senso gnostico, spiritualista, in
cui concezioni filosofiche, psicanalitiche, o semplicemente salutistiche, prendono il posto di una religiosità ortodossia (di cui magari si conservano alcune componenti,
alcuni presupposti o alcune sensibilità).
Queste tipologie di trasformazione all’inverso non devono
essere confuse con l’abbandono della pratica religiosa per
abitudine, stanchezza, stagnazione psicologica e simili,
che sono tutte forme di involuzione psichica. La “conversione”, quale che ne sia il segno, è sempre un momento
evolutivo, una nuova espansione della forza dell’io, un
nuovo ri-orientamento nella realtà in base a una accresciuta comprensione di se stessi.
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così concepite, anche le trasformazioni/ conversioni “laiche”, non solo non dovrebbero essere confuse con molte
possibili “opzioni per la stasi”, frequenti nella vita dell’adulto, ma piuttosto dovrebbero/ potrebbero aiutarci a
meglio comprendere l’esperienza religiosa e i suoi dinamismi, e ciò avrebbe importanti conseguenze pedagogiche e pastorali. Purtroppo il senso comune tende a identificare la religiosità con una identità confessionale ed una
ortodossia definita, e ciò costituisce un limite anche nell’approccio pastorale ai lontani, per una sorta di incapacità di sostenere la persona adulta durante l’attraversamento di una fase critica.
il punto è che al bisogno religioso sono possibili una
gamma di risposte, che vanno da una risposta di negazione
(ateismo) ad una di apertura al dio riconosciuto come significato e significante ultimo, carattere tipico di una risposta autenticamente religiosa12. circa le modalità, come
abbiamo già detto, alla conversione improvvisa (come per
san Paolo sulla via di damasco, per intenderci), si affianca
più comunemente una “conversione nel quotidiano”, che
è dei più, e che consiste in quella lunga, lenta e non sempre lineare riscoperta e riappropriazione del Mistero nella
propria vita.
ciascuna di questa modalità di conversione costituisce
una “esperienza” unica, trasformante per la persona. Benché diversi siano gli esiti, simili sono le dinamiche che vi
presiedono e contengono fondamentalmente gli stessi
elementi processuali. ciò che andremo dicendo ora fa riferimento immediatamente alla religione cattolica, che per
lo scrivente rimane il punto di osservazione privilegiato
della realtà, e rispetto alla quale non si può presumere
(nell’autore) una neutralità di fatto impossibile. Ma i passaggi temporali e sostanziali, l’itinerario del cambiamento/conversione è “umanamente tipico”, e, quindi si
può ritenere trasversale (se non universale) a confessioni
religiose diverse, e così ad alcuni percorsi di “laicizzazione” della religiosità.
Conversione e trasformazione adulta
alcune annotazioni prima di addentrarci nel nostro tema.
occorre evidenziare come nell’adulto la molteplicità dei
cambiamenti dipenda, sia dagli stadi di maturazione
psico-fisica (stadi ipotizzati da erikson dal punto di vista
psicologico e psicoanalitico e da Guardini da quello più
pedagogico-esperienziale); sia – per quanto riguarda la religiosità – dalla qualità dell’incontro con una religione,
maturato o no nel corso dell’esistenza. La teoria di Fo12. G. sovernigo, Religione e persona. Psicologia dell’esperienza religiosa,
edB, Bologna 1988 pp. 67-72.
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wler13 ci verrà in aiuto per la comparazione tra la crescita
psicosociale (stadi evolutivi) e quella della esperienza
religiosa. Quest’ultima, poi, è scandita da una serie di elementi processuali che vanno dal riconoscere e riconoscersi
in Qualcuno, alla ri-significazione dell’esistenza, alla
riorganizzazione del proprio universo conoscitivo.
una seconda annotazione riguarda la funzione dell’esperienza nell’apprendimento dell’adulto.
«Le esperienze costituiscono il punto di partenza sul
quale si possono anche articolare risorse disciplinari, ma
solo funzionalmente alla soluzione di problemi o all’aggiustamento di situazioni». La Mariani sottolinea la specifica tendenza dell’adulto (oggi ampiamente riconosciuta in letteratura) a fondare nuove conoscenze sulla
propria esperienza e ad utilizzare prevalentemente strategie cognitive del tipo “problem solving”. L’apprendimento adulto «si fonda sulla esperienza e sui problemi
(competency e performance)»14.
Questo modello pedagogico appare imperfetto (e comunque semplicistico), se ci si riferisce alle trasformazioni della religiosità, ed appare semplicistico anche il
concetto di “esperienza”, se riferito alla complessità dell’esistenza e alle situazioni della vita. in questo caso,
nuovi livelli di conoscenza includono e coinvolgono giudizi di tipo etico-valoriale e conferimenti complessivi di
senso, generando un dinamismo molto più complesso, per
questo anche molto più difficile da osservare e definire.
resta però vera la notazione della Mariani, circa il rapporto che nell’adulto si instaura fra la sua personale esperienza e il processo di apprendimento, intendendo per apprendimento soprattutto una rielaborazione cognitiva
incessante, e un continuo “conferimento di senso” alla realtà interna ed esterna.
in altri termini, nelle trasformazioni adulte, la complessità
della vita umana, le esperienze limite che essa ci fa incontrare (come la morte, il dolore specie innocente, le calamità naturali ecc.), interrogano l’esistenza stessa e
creano quel conflitto di attribuzione di senso che – alla
fine – si risolve in una adesione nuova o rinnovata al trascendente che “significa”, oppure in un disconoscimento
della sua esistenza, o in un rifiuto delle attribuzioni di
bontà e onnipotenza che, dicono, gli appartengono, oppure
ancora in una “migrazione” ad altra fede religiosa le cui
risposte appaiono più convincenti15. in sintesi, l’esperienza religiosa (non la catechesi o l’insegnamento) genera e sviluppa la religiosità adulta e ne definisce le
forme, e in una sorta di “circolo virtuoso” accresce la qualità dell’esperienza religiosa stessa.
un’ultima annotazione riguarda il modo attraverso cui, ordinariamente, l’adulto esperisce la propria conversione.
Maslow ci aiuterà a comprendere come questa possa es© Nuova Secondaria - n. 10, giugno 2015 - Anno XXXII
NUOVA SECONDARIA RICERCA
sere letta in termini di trasformazione e accrescimento, e
ne individuerà nelle peak experiences il momento insieme generativo e culminante. La lettura di Maslow, che
esporremo per ultima, può benissimo rappresentare una
sorta di sintesi di quanto gli autori di seguito presentati
sono andati elaborando sulle trasformazioni della persona nel suo crescere e maturare.
Il modello di trasformazione adulta
di E. Erikson
all’età adulta si giunge attraverso tappe di crescita, ciascuna delle quali ha delle sue specifiche caratteristiche ed
esige l’assolvimento di particolari compiti evolutivi, che
sono poi la base per la tappa successiva: è la visione stadiale dello sviluppo proposta da erik erikson (1900-1994),
secondo un modello oggi considerato “classico”, molto
noto e studiato e già assoggettato a critiche e revisioni.
come è noto questa visione dello sviluppo umano prevede
otto stadi, dei quali cinque sarebbero strettamente evolutivi, e tre attinenti la vita adulta16. il passaggio da uno stadio all’altro – passaggio che ricalca il principio embriologico dell’epigenesi – è caratterizzato da specifiche crisi,
il cui superamento è collegato al superamento delle fasi
precedenti, e va a condizionare la fase successiva17. ogni
stadio, poi, ha dei compiti particolari che vanno affrontati
e assolti per potere svolgere quelli propri dello stadio successivo. il compito previsto in ogni fase dello sviluppo,
se assolto, genera una “virtù” specifica, che va ad accrescere le forze dell’io. in caso contrario, può generarsi un
nucleo patologico che indebolisce l’identità dell’io e
rende faticoso il conseguimento delle mete proprie degli
stadi successivi. ogni fase, inoltre, è caratterizzata da
una polarità interna che esige la conquista di un equilibrio
rinnovato.
Per quanto concerne l’età adulta18, che qui ci interessa,
erikson ipotizzò tre stadi evolutivi (tre “ere” adulte di du-
13. J. Fowler, Stages of Faith. The psychology of human development and the
quest for meaning, harper collins Publishers, new York 1981.
14. a.M. Mariani, L’educazione in età adulta, in a.M. Mariani - M. santerini,
Educazione adulta, cit., p. 131.
15. M. santerini, L’adulto a più dimensioni, in M. Mariani - M. santerini, cit.,
pp. 151-155.
16. e.h. erikson, I cicli della vita: continuità e mutamento, 1982, tr. it. armando,
roma 1984.
17. id,, Gioventù e crisi di identità, 1968, tr. it. armando, roma 1974, p. 110.
18. della vita adulta sana erikson offre una definizione presa in prestito dalla psicologa Marie Jahoda (1907-2001): «una personalità sana domina attivamente il
suo ambiente, manifesta una certa unità di personalità ed è capace di percepire
correttamente il mondo e se stessa […] Possiamo dire in realtà che l’infanzia è
caratterizzata dall’assenza iniziale di tali criteri e dal loro graduale sviluppo in
complessi gradi di crescente differenziazione» (e.h. erikson, Gioventù e crisi
d’identità, cit, p. 108).
19. Per d. Levinson, uno stadio di transizione conterrebbe elementi, fra loro non
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rata all’incirca ventennale), con compiti e polarità specifiche. nello schema sottostante sono riportati i tre periodi,
con una oscillazione nella loro estensione di cinque anni
(che, secondo l’ipotesi di Levinson, potrebbero segnare un
periodo di transizione fra uno stadio e l’altro)19.
Fase vitale
adulta
Compiti di sviluppo
(Virtù/Difetto)
ii stadio adulto
(maturità)
40/45 - 60/65
cura
negazione
i stadio adulto
(giovinezza)
20 - 40/45 anni
iii stadio adulto
(vecchiaia)
60/65 in poi
amore
esclusività
saggezza
disprezzo
Polarità
intimità
Vs
isolamento
Generatività
Vs
stagnazione
integrità
Vs
disperazione
il primo stadio, che corrisponde all’inizio dell’età adulta,
è caratterizzato dalla capacità del giovane di entrare in intimità con gli altri costruendo importanti relazioni sia
con il sesso opposto sia con gli amici. Questa capacità di
intimità gli permette di entrare in contatto anche con i propri sentimenti e pensieri intimi, e di sentirsi solidale con
un “noi”, difeso davanti alle minacce di un “loro” che appare pericoloso. si tratta della stagione di realizzazione
personale in termini di relazioni amorose, di amicizia, ma
anche dell’azione sulla realtà esterna attraverso il lavoro.
amore e lavoro “mettono alla prova” l’io del giovane
adulto, che ha bisogno di successo e di socialità adeguata. il fallimento di questa fase si traduce in forme di
“chiusura” (alla relazione o nella relazione) o in altri ripiegamenti verso la stasi, che qui non possiamo analizzare. Personalmente ritengo che, sul piano religioso, il fallimento di questi compiti maturativi si traduca spesso in
forme di ideologizzazione intellettualistiche anche della
fede. in altri casi l’intellettualizzazione diventa semplicemente negazione e rifiuto, e il giovane abbandona la
pratica religiosa. in parallelo, le relazioni sociali assumono caratteri stereotipati e tendono alla freddezza.
il secondo stadio adulto è caratterizzato dalla generatività
intesa da erikson non solo come procreazione e continuazione della specie umana, ma anche nel senso più
ampio di capacità creativa e produttiva nel settore lavorativo o d’impegno sociale, e che, dunque, può riferirsi a
tutte le opere dell’uomo, e non solo ai figli. essa richiede
fede nel futuro, speranza per la specie umana e capacità
di prendersi cura degli altri. Per i fini del nostro studio è
importante sottolineare come la cura per erikson costituisca «la virtù più essenziale degli stadi adulti […] già
presente in nuce nell’infanzia e adolescenza, sopravvive
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fino all’ultimo stadio, dentro la saggezza della vecchiaia
avanzata»20. La sconfitta della generatività si traduce in
“stagnazione” (o “auto-assorbimento”), una forma di stasi
molto sottile, che diventa “noia del vivere”, accompagnata
dalla sottile percezione di non avere più interessi vitali, di
non provare gioia nel vivere e nelle relazioni sociali. in
questi casi anche la tensione religiosa si fa inerte, stanca
e abitudinaria, e l’abbandono avviene per esaurimento, distrazione, pigrizia (salvo che intervenga in questa fase una
forma di “conversione”, che in quanto tale segna un rinnovarsi della spinta vitale, e un superamento della stasi).
il terzo e ultimo stadio adulto di erikson, la vecchiaia,
vede la persona vivere con quanto ha costruito durante
tutta l’esistenza. È lo stadio del raggiungimento della
“integrità/ integrazione”21, cioè della accettazione dei
propri limiti e di quelli che la vita ha imposto, della conquista della saggezza e della capacità di armonizzare tutta
la propria vicenda umana. all’opposto vi è la disperazione, il rimpianto per quello che non si è fatto, la paura
della morte e il disgusto di se stessi e del mondo.
L’allungarsi della vita media ha evidenziato progressivamente la necessità di una revisione delle fasi descritte da
erikson, nel senso dell’estensione della tarda adolescenza
fin dentro il primo stadio adulto (presumibilmente fino ai
25 anni) e della differenziazione di un terzo stadio adulto
(la “tarda adultità”), con lo spostamento in avanti dei
confini della vecchiaia in senso proprio22. ciò comporterebbe, evidentemente, anche un ripensamento dei compiti
di sviluppo attribuiti a ciascuna fase della vita. La Moscato propone di distinguere, soprattutto nell’ottica pedagogica, tra una prima vecchiaia (o “tarda adultità”,
cioè un terzo stadio adulto) tra i 65 e i 75/80 anni, e una
vecchiaia avanzata (oltre i 75, o forse solo oltre gli 80
integrati, di entrambi gli stadi (che precedono e seguono la transizione stessa).
così, ad esempio, fra un’adolescenza conclusa circa a 18 anni, e una giovinezza
non pienamente emersa prima dei 23, si inserirebbe una fase di transizione che
presenta insieme (e spesso in alternanza e conflitto intrapsichico) caratteri adulti
e caratteri tardo-adolescenziali, vissuti dalla persona con una percezione di contraddittorietà e talvolta di sofferenza. Per le tesi di Levinson (1980) dipendo da
M.t. Moscato, Tarda adultità e vecchiaia come traguardi esistenziali: compiti
per la ricerca pedagogica, «Formazione, lavoro, persona» cQia rivista, (Luglio 2014), n. Xi, pp. 11-27.
20. M.t. Moscato, Senescenza e compiti maturativi: modelli psicanalitici e figure archetipe, in Formazione psichiatrica e scienze umane, nn. 2-3 (2011), pp.
45-66, p. 53.
21. “integrità” deve intendersi come una cattiva traduzione italiana, qualunque
fosse il termine inglese utilizzato, dal momento che erikson parla in realtà di una
integrazione interna fra l’io e il sé, o comunque della integrazione di componenti intrapsichiche della vita personale. il senso della parola italiana integrità
ha invece una valenza etica estranea al contesto della riflessione psicanalitica di
cui ci stiamo occupando.
22. M.t. Moscato introduce questa correzione argomentandola nei suoi testi del 2011
e del 2014 (Senescenza e compiti maturativi, cit.; Tarda adultità e vecchiaia, cit.).
23. non è possibile ipotizzare un confine netto per la “grande vecchiaia”, per-
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la vita: da un lato la vita intesa come una totalità, e dall’altro il criterio della mesòtes, cioè dell’equilibrio25.
Per Guardini la vita è qualcosa di sempre presente «all’inizio, alla fine e in ogni momento. essa fonda ciascuna fase, fa sì che quest’ultima possa essere ciò che è»26.
La vita come totalità sancisce il rapporto tra le diverse età
che la compongono, che è di continuità, ma senza confusione di una parte nell’altra perché «nessun tempo può ergersi come il tempo migliore: il meglio sta solo nell’equilibrio che la vita ha consegnato nel punto in cui è
giunta a se stessa»27. È l’equilibrio, la mesòtes, punto di
mediazione e di sintesi tra le contrapposte polarità presenti
anche in ciascuna fase della vita. esiste una tensione all’interno della vita e delle varie età che richiede ricerca
continua di equilibrio perché l’essere continui ad esserci.
se si raggiungesse un equilibrio stabile, immutabile, sarebbe la morte, cioè la distruzione della dinamica vitale.
a Guardini non interessa una compartimentazione per età
Fase vitale
Virtù specifica/
Polarità
delle fasi della vita, ma piuttosto di enucleare per ciascuna
adulta
nucleo patologico
la “figura di valore”, evidenziarne le crisi di passaggio,
i stadio
amore
intimità
mostrandone le “opposizioni”. Prendiamo in considera(giovinezza)
esclusività
Vs
zione solo quanto dice dell’età adulta e della vecchiaia
20/25-40/45 anni
isolamento
perché interessano il nostro tema.
ii stadio
cura
Generatività
il passaggio tra l’età giovanile e quella adulta è connesso
(media età adulta)
negazione
Vs
alla crisi dell’esperienza: il giovane28 è “idealista”, non
40/45-60/65 anni
stagnazione
vede la realtà di sé nel mondo in modo corretto. È capace
iii stadio
cura anticipante
integrazione del sé
di vedere le cose, i fatti e gli avvenimenti, ma non sa fare
(tarda età adulta)
del futuro
attuale nostalgia
dei “distinguo”, non sa venire a “compromessi” tra i prin65-75/80 anni
negazione/immobilità
del sé perduto
chiusura
distacco/ritiro
cipi assoluti e la quotidianità. da qui la crisi e la sensavecchiaia avanzata
saggezza
speranza
zione del fallimento che può sfociare nel giovanilismo
(oltre gli 80 anni)
disprezzo
Vs
(eterno contestatore che non realizzerà nulla perché non
disperazione
ha il senso della realtà); oppure nell’opportunismo (fare
secondo le aspettative altri, in balia dell’opinione altrui).
abbiamo assunto questo schema modificato perché ci sem- il principio base del passaggio è anche qui, la mesòtes,
29
bra più coerente, ai fini della comprensione dei compiti di l’equilibrio tra l’ideale e la realtà dei fatti .
sviluppo di tutti gli stadi adulti, anche rispetto all’esperienza
pastorale effettuata. i tardo-adulti (60-75) spesso incontrati,
in genere attivi in parrocchia e in buone condizioni di sa- ché è troppo ampio il margine di variabilità soggettiva: per alcuni essa è apparsa
lute, sembrano dare conferma dell’ipotesi della Moscato. solo dopo gli ottantacinque anni, per molti si manifesta già al volgere dei setritengo però che i testi analizzati non sottolineino a suffi- tantacinque.
24. romano Guardini (1953, 1957, iv ed.), Le età della vita. Loro significato
cienza che non ci sono dei confini così nettamente osser- educativo e morale, tr. it. vita e Pensiero, Milano 1992.
vabili: ogni fase sembra “scivolare lentamente” e confluire 25. si osservi che l’equilibrio sottolineato da Guardini come compito evolutivo
non è incompatibile con l’idea di integrazione intrapsichica degli autori di manella successiva, e i nuovi compiti di sviluppo emergono trice psicanalitica, come erikson e Maslow. si tratta di termini interpretanti, che
precocemente, prima in maniera parziale e isolata, poi con potrebbero anche descrivere la stessa fenomenologia.
Ibi, p. 82.
sempre maggior forza, e infine i ritmi di continuità e/o di- 26.
27. Ibi, p. 11.
scontinuità sono soggettivamente molto differenziati.
28. nelle Lettere sull’autoformazione (1956, p. 15), Guardini, parlando dello spianni)23. a quest’ultima fase competerebbero le caratteristiche che erikson attribuiva alla vecchiaia, come anche
i caratteri che il sentire comune attribuisce alla tarda età.
ho trovato interessante osservare come la Moscato spieghi le caratteristiche psicologiche, anche ambivalenti, dei
due ultimi stadi adulti (tarda adultità e vecchiaia), ricorrendo a figure narrative e immagini archetipiche attinte
dalla Bibbia (abramo, simeone, eli, il testo del Qoelet).
Gli archetipi biblici diventano, nella sua lettura, figure di
“eroi fondatori” della condizione umana protesa a trascendersi. Questa lettura (che non è solo superficialmente
metaforica) potrebbe aiutarci nella comprensione non
solo del dinamismo dello sviluppo psicosociale, ma soprattutto delle trasformazioni dell’esperienza religiosa
nel corso degli stadi adulti, e in particolare nella vecchiaia.
Lo schema eriksoniano, per conseguenza, risulterebbe
così modificato:
Le “età della vita” di Romano Guardini
Per gli scopi di questo studio appare significativa per altri aspetti anche un’opera di romano Guardini (18851968)24. due i principi che secondo l’autore sostengono
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rito di verità che dovrebbe caratterizzare un giovane, descrive così i suoi tratti
caratteristici: «egli deve tendere a liberarsi da ogni realtà menzognera; deve diventare schietto nel suo sentire; non contraffarsi; deve lottare per un giudizio
chiaro su ciò che è puro e naturale; deve voler diventare semplice nella sua indole, sincero verso dio, gli uomini e se stesso».
29. r. Guardini, Le età della vita, cit. pp. 63-64.
30. Ibi, p. 65.
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L’uscita da quella crisi fa approdare, “se il passaggio riesce”, all’età adulta che è tale non tanto per il raggiungimento di una età anagrafica, ma per il fatto che l’adulto
è diventato una persona ben radicata nel suo carattere, pienamente inserita nel mondo in cui vive e sa cosa vuol dire
“stare in piedi da solo”. ha raggiunto la stabilità interiore
di sé che «consiste nella connessione delle facoltà attive
del pensiero, del sentimento e della volontà con il proprio
centro spirituale»30 e vive valori importanti, quali la responsabilità nell’adempiere gli impegni assunti, la lealtà
alla parola data, la fedeltà nei confronti degli altri, il
senso del giusto e dell’ingiusto, del vero e del falso (Guardini chiama tutto questo “onore”).
due sono le crisi che l’adulto vive. La prima crisi è lo
scontro con il “limite”: viene meno la propria energia, e
fa quindi l’esperienza della stanchezza di fronte alle proprie responsabilità. La crisi si risolve nel “disincanto e la
disillusione” di chi si lascia andare e fa le cose perché in
qualche modo costretto; oppure nella riaffermazione della
vita. in questo secondo caso l’esito della crisi sarà positivo e porterà l’uomo adulto ad essere lucidamente consapevole della realtà e la guarderà con il realismo della
mesòtes: le cose sono come sono, ma si può sempre ricominciare da capo facendo meglio.
L’altra crisi che l’adulto vive e che segna il passaggio all’età della “vecchiaia” è quella del distacco e coincide con
la percezione della morte. due le possibili uscite. La
prima è subire il “diventare vecchio”: si tirano i remi in
barca e ci si abbandona ai rimasugli di vita e ci si attacca
alle cose (è il materialismo senile: attaccamento ai soldi,
agli oggetti, ecc.). La seconda e positiva via di uscita sta
nell’accettare il fatto che si diventa vecchi, ma senza soccombervi. solo così si forma la figura dell’uomo vecchio,
o meglio (per dirla con Guardini) dell’uomo saggio. Questi sa che la fine arriva e l’accetta. così come sa che la vita
è vita sempre, fino alla fine, e che va gustata fino all’ultimo con la serenità di chi accetta di vivere ogni giorno.
due sono, dunque, i valori che danno senso alla vecchiaia (e notiamo che entrambi sono legati alla presenza
di un senso di trascendenza nella concretezza della psiche):
● La saggezza, cioè la capacità di comprendere la vita. La
vita propria, certo, ma anche la capacità di aiutare gli altri, specie i giovani, a comprendere la loro vita, in una
sorta di “solidarietà” con la vita umana in quanto tale,
oltre i confini della vita personale31.
● La consapevolezza di avvicinarsi non alla fine, ma all’eterno. La persona anziana, dice Guardini, ha la coscienza di ciò che non passa, di ciò che è eterno. ha
consapevolezza che anche in lui vi è qualcosa di immortale, e quanto «in lui vi è di immortale risponde al-
90
l’eterno di dio»32. Ma cosa è eterno? «chi parla seriamente di eterno, non intende parlare con questo di ciò
che ha continuità, in senso biologico, culturale o cosmico. ciò che ha continuità rappresenta la falsa eternità, anzi, l’incremento della caducità fino all’intollerabile. L’eternità non è un Più quantitativo, per quanto
sia incommensurabile, bensì qualcosa di qualitativamente Altro, libero, incondizionato. L’eterno non è in
rapporto con la vita biologica, bensì con la persona.
esso non conserva quest’ultima perpetuandola, bensì la
realizza in senso assoluto»33.
notiamo che, in questa prospettiva, la conquista della
dimensione di eternità appare il reale compito di sviluppo della vecchiaia, interpretando positivamente (come
“presa di distanza”) la tendenza del vecchio al “distacco/
ritiro”, già individuata da erikson. anche la formazione
religiosa continuerebbe così, almeno potenzialmente, fino
alla fine della vita. “rispondere all’eterno di dio” comporta una dilatazione della coscienza religiosa, che è di per
sé un compito di sviluppo della religiosità personale.
Sviluppo personale e fede cristiana: Fowler
in un libro molto citato apparso nel 1981 (Stages of Faith.
The psychology of human development and the quest for
meaning) James Fowler presenta una lettura degli stadi di
sviluppo della fede34. si tratta di un modello che a nostro
parere può essere integrato e comunque comparato con
quelli di erikson e di Guardini appena presentati. segnaliamo che Fowler mostra di conoscere non solo le teorie
di J. Piaget sullo sviluppo cognitivo, e di L. Kohlberg sugli stadi dello sviluppo morale, ma che nella sua opera
successiva del 1984 fa anche espresso riferimento ad
erikson e a Levinson. il confronto ci permette di far dialogare le teorie dello sviluppo psicosociale con l’espe31. Ibi, pp. 103-104.
32. Ibi, p. 104.
33. Ibi, pp. 78-79.
34. James Fowler (1940), docente di teologia alla emory university (atlanta, Georgia, usa), Ministro nella chiesa unitariana Metodista, è molto noto a livello
internazionale per il suo volume Stages of Faith. The psychology of human development and the quest for meaning (harper & row, san Francisco 1981) in
cui prova a tratteggiare lo sviluppo della religiosità umana utilizzando gli studi
sullo sviluppo di erikson, di Piaget e di L. Kohlberg. L’a. ha pubblicato una seconda opera nel 1984 (J. Fowler, Becoming Adult, Becoming Christian: Adult Development and Christian Faith (rev. ed. 1999), new York, Jossey Bass/ Wiley).
non ancora tradotto in italiano, questo autore viene però utilizzato da diversi studiosi italiani, e su internet si reperiscono ampie citazioni e recensioni del suo lavoro. occorre rilevare come il suo tentativo di lettura di fasi di sviluppo dell’esperienza religiosa implichi una “antropologia della fede”, ed anche degli
impliciti suggerimenti formativi per il credente. non deve sorprendere neppure
che, pur dentro un comune orizzonte cristiano, ci siano delle sensibilità differenti
rispetto ad un comune sentire religioso cattolico.
35. Fowler, Stages of Faith, cit., p. 14-15.
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rienza religiosa, riconsiderata nella sua specificità (dentro l’appartenenza a una chiesa cristiana). L’ipotesi di
Fowler è comunque che l’esperienza religiosa si evolva
normalmente con l’evolversi del soggetto: l’accrescimento delle facoltà psichiche permette non solo di espletare i compiti evolutivi tipici dell’età, ma anche di accedere a stadi superiori dell’esperienza stessa della fede.
Partiamo dalla definizione che Fowler dà della fede al termine del primo capitolo del libro citato. essa è una categoria universale della ricerca umana per relazionarsi con
il trascendente che comporta un consenso della volontà ed
un abbandono del cuore in una visione comune del valore
e del potere trascendente nell’interesse assoluto di
ognuno, ed è un orientamento della persona intera, che offre un senso e una finalità alle speranze, agli sforzi, ai pensieri e alle azioni di ognuno e permette di comprendere la
nostra relazionalità con ciò che è universale35.
come si nota subito, qui la fede non è assimilata ad una
particolare espressione religiosa storica, ma è più vicina
al concetto di “senso religioso” in quanto forma di apertura al trascendente inscritta nella persona36.
Fowler, dunque, ipotizza sei stadi di sviluppo della fede,
di cui i primi tre si collocano nell’età evolutiva, e quindi
riguardano il periodo dell’educazione in senso stretto (infanzia e adolescenza, fino ai 20 anni circa, secondo Fowler).
L’analisi dei primi tre stadi contiene significative suggestioni per la riflessione pedagogica e l’azione educativa e
catechistica. essi sono definiti da parole chiave come:
fede intuitivo-proiettiva (3-7 anni); fede mitico-letterale
(età scolare di base); fede sintetico convenzionale (preadolescenza /adolescenza). Gli ultimi tre stadi invece sono
propri della vita adulta (dai 20 anni in poi) e li vedremo
fra breve. una precisazione importante riguarda la non
inevitabilità cronologica di questi stadi: secondo Fowler
molti adulti possono restare lungamente (o per sempre) in
uno dei primi tre stadi, definiti tendenzialmente come “infantili”. La religiosità, in altri termini, non si svilupperebbe necessariamente (e in ogni caso non in termini lineari e costanti) in diretta dipendenza dalla fase di
sviluppo psicosociale attraversato.
abbiamo in altra sede analizzato tutti e sei gli stadi di Fowler37. Qui ci limitiamo agli stadi riguardanti l’età adulta:
dal quarto al sesto.
il quarto stadio secondo Fowler è quello della fede individuale-riflessiva. avviato nell’adolescenza matura da
una serie di intime tensioni, lo stadio è tipico del giovane
adulto, che inizia qui ad assumersi responsabilmente i suoi
compiti davanti a se stesso e alla vita. È il tempo del consolidamento della propria identità personale, come anche
il tempo di affrontare conflitti inevitabili. così vi è con© Nuova Secondaria - n. 10, giugno 2015 - Anno XXXII
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flitto tra l’identità e l’identificazione in un gruppo; tra il
potere delle emozioni percepite e il loro controllo; tra l’autorealizzazione e la disponibilità verso il servizio a gli altri e per gli altri; tra la ricerca dell’assoluto e il rifiuto di
esso. Questo è lo stadio delle de-mitologizzazioni38 che
trasforma i simboli in significati concettuali, e in cui nasce la consapevolezza della propria identità, e delle componenti inconsce come di quelle ideologiche di essa. La
capacità di riflettere in modo critico sulla propria identità
e sulla propria visione della vita è quindi la forza di questa età, ma anche la sua debolezza. si può avere infatti
troppa fiducia nella propria ragione, o viceversa si può dubitare del proprio pensiero critico.
il quinto stadio (approssimativamente dai 40 anni in
avanti) è chiamato da Fowler della fede unificante o della
reintegrazione. esso porta a compimento lo stadio precedente per mezzo di una integrazione fra la consapevolezza dell’io e il Sé profondo, integrando cognizioni e affetti ad un diverso livello di profondità. La persona scopre
di avere un inconscio che gioca spesso un ruolo importante nelle sue decisioni. essa fa esperienza del senso della
sconfitta, ma anche della irrevocabilità di alcune azioni;
ricompone il conflitto tra la mente e l’esperienza. È uno
stadio maturo per più profonde esperienze spirituali e religiose, impegnato per la giustizia oltre i confini di classe
ed etnia, a favore di tutti e non solo per i “nostri”. Questo adulto è ora disposto a spendersi e ad essere speso per
la causa della “conservazione dei significati e delle identità”. con il linguaggio di erikson parleremmo di una
forma di generatività e di una forma di cura, tipiche della
media età adulta, perché si tratta di “coltivare” la possibilità di generare e ri-generare identità e significato per altri (e non più per la persona stessa). si tratta in effetti di
una fede eminentemente “generativa”, ma Fowler le attribuisce già i caratteri della integrazione io/sé che erikson collocava come compito maturativo nella vecchiaia.
Fowler sottolinea specificamente, come forza particolare
di questo stadio, la capacità di vedere “potenti significati”
(potremmo dire “pezzi di verità”) in diversi gruppi, ed insieme riconoscere che tutti i significati sono comprensioni
relative, parziali e inevitabilmente distorte, della realtà trascendente39.
36. r. Gabbiadini, Il senso religioso. Alcuni autori di riferimento, “Parola e
tempo”, annale issr Marvelli, rimini, n. 10, a. X, 2011, pp. 171-195. i saggi
contenuti in M.t. Moscato - r. Gatti - M. caputo (eds.), cit. (castellucci, Moscato, Pinelli).
37. id., Religiosità e trasformazioni adulte, in arici, Gabbiadini, Moscato, La risorsa religione e i suoi dinamismi, cit., pp. 249-271.
38. Fowler, Stages of Faith, cit., p. 182.
39. Ibi, p. 198.
40. a. Maslow, Verso una psicologia dell’essere, cit., p. 8.
91
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alla crescita che abitano la persona umana: le carenziali
e le autorealizzative. Le ultime si definiscono come «continua attuazione di potenzialità, di capacità, di talenti,
come compimento di una missione, o vocazione, o destino
e così via»41, e rimandano alla consapevolezza della persona di essere abitata da una «tendenza incessante all’unità, all’integrazione». Passaggio questo da sottolineare, in quanto l’autorealizzazione non è tanto una scelta
della persona umana di diventare ciò che vuole, ma piuttosto una spinta a diventare ciò che è, e quindi essa rivela
che il soggetto è “abitato” da forze accrescitive positive
che lo spingono oltre e al profondo di se stesso. il nostro
autore non dà una definizione generalizzata di autorealizzazione preferendo, invece, descriverne le caratteristiche “clinicamente osservabili”: che sarebbero 13 e in
qualche modo definiscono le persone auto-realizzate42.
L’insieme dei processi che motivano la persona alla sua
crescita è chiamato da Maslow “accrescimento”, dinamismo che accompagna tutto l’arco della vita, e che conduce la persona umana alla piena autorealizzazione, al di
là della mera soddisfazione dei suoi bisogni fondamentali
e che si esprime in termini di capacità, talenti, potenzialità proprie della persona stessa. Questa, allora, esiste
“nella forma di specifiche motivazioni di crescita”43, che
mantengono nel tempo la tensione verso l’umanità totale
della persona: è una persona “meta-motivata”, dice il nostro autore, o motivata dalla crescita autorealizzante.
La domanda, però, che guida la nostra lettura dell’opera
di Maslow è se in essa si ritrovino delle categorie, degli
aspetti che ci aiutino a comprendere il fenomeno della
conversione in età adulta, magari iscrivendolo proprio
dentro la dinamica autorealizzante da lui individuata.
La prima categoria, già sopra richiamata, la troviamo in
una delle differenze che Maslow evidenzia tra la persona
che vive legata a bisogni carenziali e quella che è, invece,
motivata dalla crescita autorealizzante44: è la differenza tra
l’amore esigente, o amore di tipo B (amore per l’essere:
Being) e quello non esigente, o amore di tipo d (amore carenziale: Deficiency). Maslow, che aveva già scritto sulla
dinamica contraddittoria dei due tipi di amore in Motivation and Personality del 1954, indica qui soltanto le loro
Maslow: l’autorealizzazione come processo
differenze,
stilando una forma di decalogo, in cui deverso l’“umanità totale”
scrive come e cosa senta una persona guidata dall’amore
nella prefazione alla prima edizione della sua opera Verso
di tipo B45. in tale decalogo si mette a confronto quello che
una psicologia dell’essere, Maslow chiarisce il senso del
termine auto-realizzazione: «esso sottolinea l’umanità
totale, lo sviluppo della natura, biologicamente fondata,
dell’uomo»40 ed è valida - quindi - per l’essere umano in
41. Ibi, p. 35.
quanto tale, al di là del variare dei tempi e dei luoghi. sul 42. Ibidem.
significato di dare a quel termine Maslow ritorna in modo 43. Ibi, p. 36
Ibi, pp. 50-52.
particolare nel primo capitolo del libro citato. anzitutto 44.
45. Ibi, p. 51.
questa unità si evidenzia da due fondamentali motivazioni 46. Ibi, p. 53.
È presente in questa fase una disponibilità radicale per una
relazione con dio percepito come trascendente e immanente allo stesso tempo. La forza di questa fase sta nella
capacità di impegnarsi, come singolo e come gruppo, in
un progetto ampio, accettando nello stesso tempo che i
propri valori siano determinati da un trascendente e che
vengano percepiti come relativi e parziali da soggetti con
altre esperienze religiose. È il paradosso di questa fase:
mettere insieme le tante dimensioni della verità. il pericolo di questa età è una passività paralizzante (dato il carattere paradossale della verità), da cui il ripiegamento su
di sé e l’autocompiacimento equivale alla stagnazione/
auto-assorbimento teorizzata da erikson come polarità a
rischio della media adultità.
il quinto stadio apprezza i simboli, i miti e i rituali (propri e altrui), perché ha intuito in qualche misura la profondità della realtà cui essi si riferiscono. riconosce anche la possibilità (o la necessità) di un’unica famiglia
umana inclusiva. Ma questo stadio rimane “diviso” al suo
interno, vivendo e agendo fra un mondo non trasformato
e una visione trasformante. solo in pochi casi questa intima contraddizione approda alla radicale universalità
dello stadio sesto.
sono quindi pochissimi coloro che, superando i paradossi della quinta fase, accedono alla fase seguente, l’ultima ipotizzata da Fowler: la fede universalizzante. chi arriva a questo punto avverte che il centro della sua
esistenza è dio, o la realtà ultima verso cui orienta tutto
se stesso. avviene un capovolgimento del tipo “figurasfondo”, dove la figura è l’assoluto e la persona lo
sfondo. a questo stadio le persone hanno maturato una
coerenza interna e diventano –nello stesso tempo - più libere, talvolta persino “sovversive” nella loro libertà. Fowler ricorda qui figure come Martin Luther King, thomas
Merton, Madre teresa di calcutta o dietrich Bonhoeffer.
ci sembra quindi che questa fede universale e libera assuma i caratteri dell’esperienza mistica, ma Fowler sembra ancora pensare, piuttosto, ad una “coerenza della ragione religiosa”.
92
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è l’amore egoistico e quello allocentrico. Quest’ultimo lo
si può, a mio parere, descrivere come amore di agape,
dando a questo termine tutto lo spessore che esso assume all’interno della esperienza religiosa ebraico-cristiana: qui, l’amore di agape rivela anzitutto la qualità dell’amore di dio e, di riflesso, la qualità dello stesso amore
umano che a quello divino si avvicina per vocazione e
connaturalità. L’amore di tipo B è un’esperienza forte e intensa, assimilabile ad una esperienza mistica o estetica,
cioè ad una peak experience. È un amore dato e ricevuto
senza altre finalità se non quelle della gratuità, ed è impossibile che vi sia uno sviluppo dell’essere umano senza
questa esperienza. È un amore trasformante, che rende la
persona più indipendente e autonoma, più disinteressata,
ma anche più preoccupata della autorealizzazione dell’altro. i racconti delle conversioni contengono gli elementi qui descritti e che Maslow fa risalire alla piena realizzazione di sé. come esemplificazione letteraria è
interessante la rilettura della conversione dell’innominato di manzoniana memoria. nel cap. XXiii dei Promessi sposi, Manzoni racconta dell’incontro dell’innominato con il cardinal Federico Borromeo, e mette in
scena un dialogo tra i due che rispecchia l’evento della
conversione. Questa farà sì che l’innominato veda con
spietata verità la sua vita precedente, e gli ispirerà un desiderio di emendazione e perfezionamento di sé. L’innominato cambia il suo modo di percepirsi e di giudicare le
sue azioni, stravolge il suo stile di vita, in seguito alla sua
richiesta di perdono a dio, e alla certezza di averlo ottenuto. Questo, dirà il cardinale manzoniano all’innominato, farà si «che possiate diventare strumento di salvezza a chi volevate esser di rovina».
un altro elemento che ci permette di leggere la conversione adulta lo rintracciamo nelle già citate categorie
dell’accrescimento e dell’autorealizzazione. Mete queste
che sono poste all’interno della persona stessa46 e la
spingono alla realizzazione piena di se stessa. Quelle
forze di crescita non sono, però, le uniche presenti nell’essere umano. in lui, infatti, vi sono forze frenanti, nutrite dalla paura dell’indipendenza e della responsabilità,
come anche dal timore di rischiare – in termini di sicurezza – ciò che la persona possiede in quel momento. La
forza che ci spinge in avanti, «il nostro lato migliore»47,
è periodicamente paralizzato proprio dal timore dell’accrescimento personale: ogni talento comporta una responsabilità, e questo può intimorire, generando così
una “resistenza” alla nostra autorealizzazione. i miti antichi, vuoi che siano quelli di adamo ed eva, come
quello di Prometeo o edipo, raccontano quanto l’essere
umano è affascinato, e nello stesso tempo atterrito, dalla
parte che in noi “è simile a dio”: aspetto, questo della no© Nuova Secondaria - n. 10, giugno 2015 - Anno XXXII
NUOVA SECONDARIA RICERCA
stra natura umana che ci fa essere “nello steso tempo
vermi e dei”.
il processo di accrescimento è definito da Maslow come
una infinita serie di scelte libere tra due opposti: la sicurezza Vs l’accrescimento, la dipendenza Vs l’indipendenza48. ogni volta che si sceglie di crescere ed essere indipendenti si prova piacere: una persona cresce perché gli
piace ciò che diventa49, e questo la spinge a crescere “di
più”. tale osservazione non è secondaria nel processo di
autorealizzazione e di crescita verso l’umanità totale,
perché evidenzia come le scelte vengano fatte in base al
piacere che provocano, e che la persona ricerca dopo
aver assaporato il piacere di scelte passate e che ora sono
diventate usuali e talora noiose. La nuova scelta “convalida se stessa. È auto-giustificante, autovalidante”.
espressa in termini di conversione, l’osservazione di Maslow si traduce in una scelta religiosa motivata non tanto
da ragionamenti di tipo filosofico, o da scelte basate sulla
dimostrazione razionale della scelta stessa, ma sul piacere
dell’essere che la persona esperimenta nel momento in
cui, convertendosi, si affida all’altro, sia esso inteso
come una Persona, ma anche come una filosofia di vita totalizzante. un altro che ricompone la nostra percezione
di noi stessi e di tutti i rapporti che viviamo; un altro che
ci fa provare piacere nel pensare e immaginare il nuovo
che è promesso e che siamo convinti si possa subito realizzare (quest’ultima convinzione tutta interiore colora
fortemente il momento stesso della conversione, creando
quasi uno stato nascente in cui tutto è possibile, e immediatamente possibile). sarà il depositarsi, in qualche modo
il decantarsi, di quell’esperienza che porterà poi chi si è
convertito a trasformare quella forza nascente in un atteggiamento del quotidiano, accettando le sfide, i ritardi,
le piccole conquiste che quella intuizione iniziale ha portato con sé.
La crescita di cui qui si parla, è accompagnata da una
maggiore cognizione di sé, degli altri e del mondo, ed ha
come luogo qualificante del suo accadere e come luogo
di passaggio verso un “di più” le “peak experiences”, intese come «momenti di felicità e compimento supremo»50.
non sarebbe difficile rapportare tali caratteristiche all’esperienza religiosa matura, così come, ad esempio, la
religione ebraico-cristiana la descrive, e neppure con le
note qualificanti di una religiosità adulta. Gli stessi valori
47. Ibi, p. 70.
48. Ibi, p. 56.
49. «È soggettivamente più piacevole, più gioioso, più intrinsecamente soddisfacente», a. Maslow, Verso una psicologia dell’essere, cit., p. 54.
50. Ibi, p. 81
51. Ibi, pp. 90-91.
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NUOVA SECONDARIA RICERCA
di tipo B sono per Maslow51 altrettante sfaccettature dell’essere della persona umana, ma possono esserlo anche
di quell’essere personale che nella fede di chi scrive è il
dio della rivelazione cristiana52. non approfondisco qui
la provocazione che tale prospettiva rappresenta. Mi soffermo, invece, su una affermazione che ritengo importante
per il nostro riflettere sulla conversione. e cioè, che le persone che vivono le peak experiences, e nel momento in
cui le vivono, hanno di se stesse una percezione che «può
relativamente trascendere l’io, dimenticare il sé, essere
priva di io»53. cioè, in quei momenti l’essere umano non
è concentrato su se stesso e sulla cognizione di sé (come
invece, secondo Maslow, afferma la psicologia classica),
bensì sull’oggetto percepito come centro di attenzione e
tensione. un esempio richiamato dal nostro autore riguarda l’esperienza amorosa dove la persona “si tuffa”
(per usare una colorita espressione di Maslow) nell’oggetto amato, la persona dell’altro, fino al punto che il sé
dell’amante scompare54. nell’esperienza di conversione
di un uomo religioso come san Paolo, questa esperienza
è tradotta in una sua famosissima affermazione: “non
sono più io che vivo, ma cristo vive in me” (Gal 2, 20).
affermazione che insinua anche come una peak experience possa essere “dinamicamente permanente”, cioè
non viene meno, ma spinge continuamente ad andare
“più in là”.
Le conseguenze delle peak experiences55 vanno particolarmente sottolineate perché immediatamente applicabili
ad una esperienza trasformante come è la conversione in
età adulta. infatti, gli effetti delle peak experiences disegnano una persona sostanzialmente sana e sanata, libera
da sintomi nevrotici, e che ha una concezione di se stessa,
degli altri e della realtà, diversa da quella che aveva
prima delle peak experiences, più “di profondità” si potrebbe dire. È, poi, maggiormente creativa, spontanea e
consapevole della sua unicità; ricorda come evento desiderabile perché altamente gratificante56 la sua peak experience, e sente la propria vita degna di essere vissuta. insomma, nelle peak experiences le persone raggiungono «il
massimo grado della loro identità, sono vicinissime al loro
sé reale»57. tale è anche l’esperienza della conversione:
per il credente, per chi vive quella esperienza all’interno
di una fede, essa permette di raggiungere il proprio sé
reale, di vedersi e accettarsi con gli occhi di chi – creandolo – lo ha reso come ora desidera davvero di essere.
Maslow è consapevole che la meta dell’identità (o dell’autorealizzazione) non è una acquisizione fatta una volta
per tutte. al contrario, quella meta sembra costituire per
la persona contemporaneamente una meta finale e una
meta transitoria verso un di più di se stessa58. Questo
aspetto può illuminare quanto nell’esperienza religiosa
94
viene chiamata conversione continua, quella che progressivamente (e talora inavvertitamente nel momento che
accade, ma che si fa chiara sulla distanza, in una visione
retrospettiva del vissuto) modifica, sia il proprio conoscersi nel profondo, sia il proprio rapportarsi con gli altri, con il totalmente altro, con il mondo, sia la consapevolezza del significato di sé-nel-mondo.
sembrerebbe che in Maslow tutto avvenga in modo spontaneo, dato che la spinta verso l’identità e l’autonomia non
è dettata da bisogni carenziali. infatti, la persona che vive
le peak experiences diviene “immotivata”, cioè priva di
impulso: «tutto accade in armonia, tutto sboccia, senza volontà, senza sforzo, senza scopo»59. credo, però, che questa affermazione vada in qualche modo accostata a quello
che Maslow dice a proposito della creatività nelle persone
autorealizzate. Per Maslow, infatti, il momento creativo è
una delle espressione delle peak experiences60, e richiede
sia il momento spontaneo, il colpo di genio, sia quello critico, riflessivo sull’opera compiuta. una tale posizione ci
viene ancora in aiuto per comprendere ulteriormente quei
processi di conversione che chiamiamo “immediata”,
dove, all’esperienza trasformante fa seguito la riflessione
su ciò che è accaduto, riflessione non poche volte abitata
da un interrogativo che si esprime in domande come: «È
successo davvero? Perché a me?»61.
Elementi comuni per una lettura
del fenomeno delle conversioni adulte
dalla lettura degli autori accostati possiamo trarre, ora,
alcune indicazioni per una comprensione delle conversioni adulte.
1. anzitutto gli autori concordano nel ritenere che la
persona cambia e si trasforma lungo tutto l’arco della
52. sarebbe estremamente interessante, a mio parere, studiare il “grado” di affinità tra questi valori di tipo B con la reale fede di una religione storica quale
il cristianesimo, ma anche con le altre due religioni cosiddette del Libro: la fede
ebraica e la fede mussulmana. tra l’altro questo ci permetterebbe, leggendo il
tutto dal punto di vista di Maslow, di gettare un’ulteriore luce sul tema dell’esperienza religiosa stessa e sugli stadi comuni delle diverse esperienze religiose.
53. Maslow, Verso una psicologia dell’essere, cit., p. 86.
54. «La persona pienamente disinteressata, priva di desiderio, obiettiva e olistica
di un altro essere umano è possibile solo quando nulla ci occorre da lui, solo quando
non abbiamo bisogno di lui. […] Questa è ammirata per qualità obiettivamente ammirevoli, e non perché aduli o lodi. È amata perché degna di amore e non perché
offre amore», a. Maslow, Verso una psicologia dell’essere, cit., p. 45.
55. Ibi, p. 107.
56. Ibi, p. 40; pp. 110-111.
57. Ibi, p. 109.
58. Ibi, p. 119.
59. Ibi, p.116.
60. Ibi, p. 81.
61. Ibi, pp. 144-147.
62. Ibi, p. 52.
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sua vita. sembrerebbe possibile leggere in tutti questi
stesso. Possiamo leggere in questa prospettiva ciò che
Maslow considera una conseguenza delle peak expeautori che una conversione in senso pieno avvenga in
riences, e cioè il trascendere l’io, il dimenticare il sé,
età adulta, quando cioè la persona umana ha più piena
fino quasi a essere privi dell’io. i movimenti interiori,
padronanza delle proprie potenzialità costitutive. ciò
i passaggi ipotizzati dai nostri autori, si possono metalmeno se manteniamo al termine conversione il senso
tere in rapporto a quella esperienza chiamata “auto-tradi una trasformazione profonda e permanente dell’io,
scendenza”, intesa qui, sia come l’andare oltre l’io
accompagnata da una nuova e più acuta percezione di
maturato fino a quel momento, sia come l’andare in cose stessi, degli altri e della realtà, e da una chiara conlui che è altro-da-sé, che è l’oltre-sé, senza per questo
sapevolezza di aver incontrato la Persona del totalcessare di essere-con-sé.
mente altro, qualunque sia il nome con cui lo denotano
le varie religioni storiche. abbiamo appreso da Guar- 5. L’amore di tipo B di Maslow, e il quarto stadio di Fodini che quel processo si può rappresentare con il terwler, ci introducono in modo diretto nell’esperienza remine auto-formazione, termine con il quale si fa eviligiosa in quanto – ciascuno a modo suo – affermano la
dente la responsabilità del singolo di dare una direzione
“possibilità” di conoscere un assoluto Personale, un
dio Persona. ciò significa che vi è nell’umano, così
al dinamismo della propria trasformazione globale e/o
come esperito nella storia, la possibilità del trascenreligiosa, e si sottolinea che tale responsabilità è spedente, come il vivere una dimensione (l’amore di tipo
cificatamente di tipo morale.
B) che avvicina (apre?) all’auto-comunicazione di dio,
2. secondo la concezione stadiale di erikson, come anche
condividendone
già alcuni tratti del volto. Basti pennella visione di Guardini, ogni stadio o fase della vita
sare,
per
fare
un
esempio,
a ciò che produce l’amore per
ha “senso” in sé, in ordine allo sviluppo dell’io e alle
l’essere (B): «crea il partner. Gli dà un’immagine di sé,
trasformazioni della persona. La coscienza del “senso”
gli dà l’accettazione di sé, dà il senso di essere degno
di ciò che avviene nella propria persona è però compito
d’amore, il che gli consente di crescere»62. nella vidella persona stessa. Questa non solo scopre il signifisione ebraico-cristiana tutto questo è detto primariacato del suo crescere, ma può dare significato ad ogni
mente di dio, e poi dell’uomo in quanto creato a imcrisi di passaggio in senso religioso. chi si converte, inmagine e somiglianza di Lui.
fatti, è capace di rileggere la propria crescita in termini
di perfezionamento, nel senso auto-realizzativo di Ma- 6. un ultimo elemento comune è la “gioia”, almeno nel
senso di una percezione soddisfacente, gratificante di
slow, e impara come quella perfezione – prima di essé, una emozione positiva, che non viene sufficientesere una qualità morale – è lo sviluppo e il compimento
mente
espressa dalla parola italiana “piacere”. variapieno di se stessi.
mente declinato nei nostri autori, il termine è mag3. Le trasformazioni adulte sono direttamente collegate
giormente evidente in Maslow, che lo intende come la
dai nostri autori allo sviluppo della propria identità. Per
soddisfazione dell’essere, dell’io che diventa se stesso.
Maslow – lo ricordiamo – essa è raggiunta nel suo masÈ vero, gli altri autori qui considerati non sono tanto
simo grado nelle peak experiences; erikson indica
espliciti. tuttavia possiamo ritenere che quella soddicome meta dell’ultimo stadio della vita la già detta insfazione, quel piacere, rappresenti una spinta (oltre
tegrità/integrazione, intesa come una capacità di arche una conquista) per passare da uno stadio all’altro
monizzazione dell’io, che accoglie in un solo sguardo
della vita: soddisfatti i compiti evolutivi di una fase
tutta la propria vita; Fowler, dal canto suo, affida al
(soddisfatto l’io in quella fase) siamo spinti alla fase
quarto stadio dello sviluppo della fede il consolidasuccessiva. espresso in termini religiosi è più ademento della propria identità come frutto dei conflitti inguato il termine e l’esperienza della “gioia”, che si
teriori tipici di quel momento della vita.
sperimenta nelle trasformazioni autorealizzanti del sé.
4. Gli autori presi in esame concepiscono lo sviluppo
Gioia che si distribuisce sull’intero arco della vita del
della persona attraverso passaggi da una fase all’altra.
dopo conversione, come memoria e motivazione alla
ognuna di queste fasi riassume e presuppone le prececrescita/trasformazione continua.
denti “sorpassandole”. cioè ogni fase fa sì che la persona “trascenda il sé” fino ad allora maturato, fino a
giungere a sperimentare e riconoscere che il centro
della propria esistenza, e il significato del proprio esserci e del proprio io personale, è dio, o quella realtà
ultima verso la quale l’uomo orienta e significa se 63. P.h. Miller, Teorie dello sviluppo psicologico, 2002, tr. it. il Mulino, Bolo© Nuova Secondaria - n. 10, giugno 2015 - Anno XXXII
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Considerazioni conclusive
Le riflessioni svolte in queste pagine ci portano, in ultima
analisi, ancora al problema del senso religioso, ma soprattutto di quella forza interiore che è tipica dell’uomo
e lo spinge a cercare risposte soddisfacenti, che possono
essere trovate in una religione piuttosto che in un’altra, o
in nessuna di esse. a ben guardare, infatti, è il desiderio
che dà inizio a quella che abbiamo chiamato esperienza
religiosa, ed è sempre il desiderio che la sorregge, così
come è sempre il desiderio che la indirizza verso qualcosa,
o Qualcuno, che quel desiderio appaghi. Quella forza, che
è spinta a crescere, l’abbiamo vista anche dentro lo sviluppo dell’uomo, dove “dentro” il principio epigenetico
si manifesta qualcosa che è più profondo e al quale si
danno nomi diversi a seconda delle teorie dello sviluppo
di riferimento63.
e così ci pare di trovare dentro l’uomo una strada che conduce al pieno sviluppo di sé, e una strada che lo guida a
trovare il senso di sé, del mondo, e di sé dentro il mondo.
Ma solo all’apparenza sono due vie che procedono parallelamente. in realtà è una sola via, come “una” è la vita,
all’interno della quale l’esperienza religiosa di trasformazione e l’esperienza di crescita psicosociale vanno di
pari passo, attingendo dalla stessa forza interiore.
Don Rosino Gabbiadini
ISSR “S. Apollinare”, Forlì
ISSR “A. Marvelli”, Rimini
gna 2008, pp. 23-31.
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Il richiamo all’interiorità
nella formazione religiosa
dei giovani
Marisa Musaio
Ponendo in relazione formazione interiore e formazione religiosa,
il contributo prende in esame le scelte compiute dai giovani in relazione alla propria vita spirituale, al fine di rintracciare possibili
interazioni con percorsi di conoscenza e compimento interiore di
sé. Per non ridurre la tematica ad astratte considerazioni, vengono
esaminate alcune coordinate del contesto contemporaneo, i suoi caratteri differenziali e inclini all’individualismo, ponendo tali fattori
in relazione alle scelte spirituali proprie dei giovani. Le ricerche sviluppate nel contesto italiano evidenziano un’identità giovanile
complessa e frammentata, tanto da rendere difficile l’identificazione
di un unico identikit religioso. a questo proposito il contributo sviluppa alcune sintetiche articolazioni: la necessità di saper interpretare le scelte compiute dai giovani, al fine di delineare l’identità religiosa dei soggetti che abitano l’attuale contesto; l’analisi
degli atteggiamenti giovanili in relazione ai molti volti della religiosità; il recupero di coordinate teoriche proprie della tradizione
spirituale cristiana al fine di elaborare percorsi personali e interiori
di formazione. i richiami alla tradizione spirituale cristiana consentono di comprendere come le domande della persona religiosa
coinvolgano due fronti essenziali di interrogazione: la capacità di
sviluppare interrogativi più ampi intorno al senso della propria esistenza; la conoscenza di sé in relazione alla conoscenza interpersonale dell’altro come attivazione del proprio rapporto con il divino.
The paper connects inner education and religious education of the
young people to consider how the choices relating to their own spiritual life can contribute to the process of knowledge and fulfilment
inner self. In order not to reduce the problem to an abstract consideration, the paper examines the coordinates of the contemporary
context, its differential and individualistic characters, in relation to
the spiritual choices of young people. In the Italian context the research show that the young people have a complex and fragmented
identity which prevents to outline an unique religious identikit. The
contribution develops the following steps: interpretation of the religious choices of young people to understand their religious identity; analysis of youth attitudes in relation to the many facets of religiosity; recovery of some theoretical coordinates of the Christian
spiritual tradition to draw personal paths and inner spirituality. The
Christian spiritual tradition helps to understand the question of the
religious person on two essential fronts: the ability to develop
questions around the meaning of his own existence; the self-knowledge in relation to the interpersonal knowledge of the other as base
to the relationship with the divine.
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