UNIVERSITA` DEGLI STUDI DI PISA FACOLTA` DI MEDICINA E

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia
TESI DI LAUREA SPECIALISTICA
RAPPORTO TRA RIGIDITA’ ARTERIOSA
E DISFUNZIONE DIASTOLICA NELLO SCOMPENSO
CARDIACO NON ISCHEMICO
Relatore:
Chiar.mo Prof. Stefano TADDEI
Candidata:
Monica BALESTRI
Anno accademico 2006-2007
INDICE
RIASSUNTO…………………………………………………………………………....3
INTRODUZIONE……………………………………………………………3
1. LO SCOMPENSO CARDIACO……………………………………………………….5
1.1 Definizione, Epidemiologia, Fisiopatologia, Prognosi....................................5
1.2 Metodi di valutazione di funzione sistolica e diastolica……………………..11
1.3 Significato prognostico delle alterazioni degli indici di funzione diastolica..17
2. LA RIGIDITA’ ARTERIOSA…………………………………………………………18
2.1 Meccanismi fisiopatologici………………………………………………….18
2.2 Riflessione periferica dell’onda sfigmica e augmentation index…………....24
2.3 Significato clinico……………………………………………………………27
3. RUOLO DELLA RIGIDITA’ ARTERIOSA NELLO SCOMPENSO CARDIACO….32
3.1 Scompenso cardiaco e rigidità arteriosa: significato e interpretazione….....32
3.2 Rigidità arteriosa e disfunzione diastolica………....………………………..35
OBIETTIVO DELLA TESI……………………………………………........38
MATERIALI E METODI….……..…………………………………………39
5.1 Selezione dei pazienti……………………………………………………………….39
5.2 Valutazione dei parametri di rigidità arteriosa…………………………………40
5.3 Valutazione dei parametri ecocardiografici………………………………….....41
5.4 Misurazione della pressione arteriosa…………………………………………..42
5.5 Analisi statistiche…………………………………………………………....42
RISULTATI…………………………………………………………………43
1
DISCUSSIONE……………………………………………………………..50
CONCLUSIONI…………………………………………………………….53
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………54
2
Riassunto
Lo scompenso cardiaco è una patologia ad elevata morbilità e mortalità, causa
frequente
di
ospedalizzazione
in
condizioni
di
urgenza-emergenza.
L’ipertensione arteriosa è il fattore di rischio più comune per lo sviluppo di
insufficienza cardiaca nella popolazione generale, attraverso lo sviluppo di
cardiopatia ischemica, ipertrofia ventricolare sinistra e anche aumentata rigidità
arteriosa. Infatti, la ridotta compliance del ventricolo sinistro e delle grandi
arterie contribuisce allo sviluppo e alla progressione dello scompenso.
Inoltre, la rigidità vascolare, misurata come velocità di propagazione dell’onda
pressoria (PWV) a livello aortico, rappresenta un predittore indipendente di
morbilità e mortalità cardiovascolare.
Lo scopo della tesi è stato di valutare la relazione tra rigidità arteriosa e funzione
diastolica del ventricolo sinistro in pazienti con scompenso cardiaco non
ischemico.
Sono stati selezionati 50 pazienti di età media 63 anni, di cui 8 donne, con
diagnosi di scompenso cardiaco non ischemico. Tutti i pazienti sono stati
sottoposti ad uno studio ecocardiografico e Doppler non solo per la valutazione
della funzione sistolica e della frazione di eiezione, ma anche includendo la
misurazione del flusso transmitralico come parametro di funzione diastolica,
ossia la misurazione del rapporto E/A ed il tempo di decelerazione dell’onda E
(EDT).
3
Inoltre, utilizzando la tonometria arteriosa (software Sphygmocor) sono stati
valutati l’augmentation index (AIx) e la pressione di pulsazione centrale tramite
l’analisi dell’onda di polso (PWA) a livello radiale e la PVW aortica con
tonometria sequenziale a livello carotido-femorale.
La mediana dei valori della frazione di eiezione dei pazienti era del 30% in un
range che andava dal 17% al 49%. Il rapporto E/A era di 1.1 con range tra 0.4 e
4.0 e il tempo di decelerazione di 160 ms con range da 73 a 290 ms.
L’AIx è risultato correlato inversamente al rapporto E/A (r =–0.47; p<0.01) e
direttamente al tempo di decelerazione dell’onda E (r=0.52; p<0.01). La PWV
aortica si è rivelata associata in modo significativo solo con EDT (r=0.40;
p<0.05).
I pazienti che presentavano un pattern diastolico pseudo-normalizzato o
restrittivo sono risultati avere pressione di pulsazione centrale, AIx e PWV
aortica e frazione di eiezione ridotta rispetto agli altri pazienti.
La frazione di eiezione era significativamente correlata alla pressione di
pulsazione centrale (r=0.35; p<0.05) e tendeva ad essere correlata all’AIx
(r=0.27) e alla PWV aortica (r=0.25).
In conclusione questi dati suggeriscono che nei pazienti con scompenso cardiaco
non ischemico la disfunzione diastolica si associa ad una apparente ridotta
rigidità arteriosa e a una ridotta pressione centrale, un fenomeno che è
probabilmente correlato al grado di disfunzione sistolica presente in questi
pazienti.
4
Introduzione
1. LO SCOMPENSO CARDIACO
1.1 Definizione, epidemiologia, fisiopatologia, prognosi
L’insufficienza cardiaca è una sindrome clinica in cui un’anomalia della
struttura o della funzione cardiaca è responsabile dell’incapacità da parte del
cuore di pompare sangue o di riempirsi ad una velocità adeguata alle esigenze
metaboliche dei tessuti1.
Lo scompenso cardiaco rappresenta uno dei maggiori problemi di salute
pubblica nei Paesi industrializzati in quanto malattia cronica-progressiva
associata ad elevata morbilità, mortalità e costi sanitari2.
In Europa la prevalenza dello scompenso cardiaco si attesta intorno a valori tra
lo 0.4-2% nella popolazione adulta, con un aumento esponenziale all’avanzare
dell’età. Negli USA lo scompenso cardiaco rappresenta la più frequente causa di
ospedalizzazione per persone di età >65 anni e tra le malattie cardiovascolari è
la seconda causa di visite ambulatoriali dopo l’ipertensione arteriosa3, 4.
Il deterioramento della funzione miocardica che caratterizza alcuni tipi di
scompenso cardiaco può essere conseguenza di diverse patologie, quali:
• l’aterosclerosi coronarica, che causa infarto del miocardio e ischemia;
• le anomalie primitive del muscolo cardiaco, come si verifica nel caso
delle miocardiopatie o nelle miocarditi virali;
5
• il danneggiamento del miocardio da parte del sovraccarico emodinamico,
presente in corso di cardiopatie congenite, valvolari e nella cardiopatia
ipertensiva.
La cardiopatia ischemica è la principale causa di insufficienza cardiaca in
Europa e negli USA ed è responsabile di circa i ¾ deii casi; di seguito troviamo
le miocardiopatie, mentre sono cause meno comuni le cardiopatie congenite,
valvolari e la cardiopatia ipertensiva1.
Tuttavia, l’ipertensione arteriosa è il più comune fattore di rischio per lo
scompenso cardiaco nella popolazione generale5. Nei pazienti con ipertensione
arteriosa di entrambi i sessi, l’ipertrofia ventricolare sinistra rappresenta un
importante predittore del successivo sviluppo di insufficienza cardiaca6-8.
Infatti, quando il cuore subisce un sovraccarico cronico di pressione, come
nell’ipertensione arteriosa o nella stenosi valvolare aortica, si sviluppa una
ipertrofia ventricolare concentrica, in cui aumenta il rapporto tra spessore
parietale e dimensioni della cavità ventricolare. In accordo con la legge di
Laplace, il postcarico in un cuore intatto può essere espresso come la tensione
delle fibre miocardiche (T), che è funzione del prodotto tra pressione
ventricolare intracavitaria (P) e raggio del ventricolo (r) diviso per lo spessore
della parete (s):
T = P×
r
s
6
Pertanto il postcarico sostenuto da un ventricolo ipertrofico, a parità di pressione
aortica e volume ventricolare, è minore rispetto a quello sostenuto da un
ventricolo normale, mentre, a parità di pressione aortica, il postcarico che è
sopportato da un ventricolo dilatato è superiore rispetto a quello di un ventricolo
di normali dimensioni.
La tensione parietale viene quindi inizialmente mantenuta intorno a livelli
normali mediante l’aumento degli spessori parietali e la funzione cardiaca può
rimanere stabile per diversi anni. Successivamente, quando la contrattilità
miocardica diviene carente, si ha dilatazione ventricolare e riduzione del
rapporto tra spessore parietale e dimensioni della cavità ventricolare, cosicché il
postcarico sostenuto dal ventricolo aumenta e si riduce la portata cardiaca. Tutto
ciò induce un aumento dello stiramento sulle fibre miocardiche che va a creare
un circolo vizioso destinato a determinare nel ventricolo una sempre maggiore
dilatazione1.
Inoltre, la concomitante attivazione di sistemi neurormonali endogeni e delle
citochine determina il fenomeno del rimodellamento che fa assumere al
ventricolo una forma più sferica, con conseguente incremento dello stress
emodinamico sulla parete ed accentuazione del rigurgito mitralico.
I cambiamenti a livello ventricolare sinistro, come il rimodellamento e
l’ipertrofia ventricolare, sono di rilevante ruolo prognostico e segnano la
progressione della cardiomiopatia ipertensiva verso l’insufficienza cardiaca6, 7.
In presenza di queste alterazioni della geometria ventricolare sinistra si hanno, di
7
conseguenza, anche profonde modificazioni delle proprietà diastoliche dello
stesso ventricolo.
A livello ultrastrutturale un importante elemento che condiziona il processo di
rilasciamento del miocardio è la matrice extracellulare, in particolare il
collageno di tipo fibrillare9. Il rimodellamento ventricolare è accompagnato,
oltre che da cambiamenti a livello delle cellule miocardiche, anche da quelli
della matrice extracellulare per mezzo dell’attivazione del sistema reninaangiotensina-aldosterone, che promuove sia la proliferazione dei fibroblasti che
l’alterazione della struttura del collageno, aumentandone il contenuto sia a
livello interstiziale che perivascolare10.
Queste alterazioni sono globalmente identificate con il termine di “disfunzione
diastolica” ed includono alterazioni sia del rilasciamento che del riempimento
ventricolare. La disfunzione diastolica può precedere in ordine di comparsa il
presentarsi delle alterazioni della funzione sistolica e causare di per sé i segni e i
sintomi tipici dello scompenso cardiaco, poiché influisce sulla pressione atriale
sinistra e sulla pressione di incuneamento polmonare11.
L’insufficienza cardiaca può essere classificata secondo le sue diverse
caratteristiche in:
• sistolica o diastolica;
• ad alta o bassa portata;
• acuta o cronica;
• destra o sinistra;
8
• retrograda o anterograda.
In particolare l’insufficienza cardiaca sistolica è caratterizzata dalla depressione
dell’attività miocardica con indebolimento della contrazione sistolica, che
comporta una riduzione della gittata, un inadeguato svuotamento ventricolare, la
dilatazione ventricolare e, spesso, un aumento della pressione telediastolica.
Nell’insufficienza cardiaca diastolica, invece, l’anomalia principale riguarda il
rilasciamento del ventricolo, che porta ad un eccessivo innalzamento della
pressione di riempimento dello stesso indipendentemente dal valore del volume
diastolico.
Nella pratica clinica, molto spesso nei pazienti con scompenso cardiaco
sintomatico coesistono disfunzione sistolica e diastolica. In questi pazienti è
l’aumento della pressione di riempimento ventricolare che correla in modo più
stretto con il grado di limitazione all’esercizio, indipendentemente dalla gravità
della disfunzione sistolica12.
La diagnosi di scompenso cardiaco può essere effettuata attraverso l’esame
clinico del paziente; esistono vari criteri diagnostici, tra i quali riportiamo quelli
derivati dallo studio Framingham (Tabella 1).
La prognosi a lungo termine dell’insufficienza cardiaca dipende principalmente
dalla natura della cardiopatia di base, soprattutto nel caso di una patologia
suscettibile di trattamento efficace. In caso contrario si valuta la risposta alla
terapia: quando si riescono ad eliminare i fenomeni congestizi la sopravvivenza
9
a 2 anni può raggiungere l’80%, mentre nei pazienti refrattari alla terapia la
sopravvivenza è del 50%.
Tabella 1. Criteri di Framingham per la diagnosi di insufficienza cardiaca. Per confermare
la diagnosi clinica sono necessari almeno un criterio maggiore e due minori.
CRITERI MAGGIORI
Dispnea parossistica notturna
Distensione delle vene del collo
Rantoli
Cardiomegalia
Edema polmonare acuto
Ritmo di galoppo con presenza del 3° tono
Aumento della pressione venosa (>16 mmHg)
Reflusso epatogiugulare positivo
CRITERI MINORI
Edema delle estremità
Tosse notturna
Dispnea da sforzo
Epatomegalia
Versamento pleurico
Capacità vitale ridotta a un terzo della norma
Tachicardia ( ≥ 120 bpm)
CRITERI MAGGIORI O MINORI
Perdita di peso ≥ 4.5 Kg dopo 5 giorni di trattamento
10
Altri fattori che correlano con una prognosi sfavorevole sono:
• frazione di eiezione <15%;
• ridotta captazione massima di ossigeno (<10 ml/kg per minuto);
• incapacità di camminare su un piano inclinato e ad un ritmo normale per
oltre 3 minuti;
• ridotta concentrazione sierica di sodio (<133 mEq/l);
• ridotto potassio sierico (<3 mEq/l);
• BNP notevolmente aumentato (>500 pg/ml);
• presenza di frequenti extrasistoli ventricolari.
1.2 Metodi di valutazione della funzione sistolica e diastolica
L’esame obiettivo di un paziente con scompenso cardiaco non rivela la
differenza tra disfunzione diastolica e sistolica, per cui è necessario approfondire
lo studio delle due funzioni tramite appositi esami strumentali.
Tra gli indici di funzione sistolica, è possibile valutare ad esempio:
• frazione di eiezione, cioè il rapporto tra volume sistolico e volume
telediastolico
(v.n.=67±8%)
che
viene
calcolata
mediante
ecocardiografia, ventricolografia o angiocardioscintigrafia;
• volumi ventricolari telediastolici: se anormalmente elevati sono indice
di compromissione della funzione sistolica (v.n.=70± 20 ml/mq);
11
• relazione tra pressione sistolica e volume telesistolico del ventricolo
sinistro: a differenza dei primi due indici elencati quest’ultimo non
dipende né dal precarico né dal postcarico ventricolare;
• valutazione sotto sforzo della capacità funzionale del ventricolo
sinistro con misurazione della pressione telediastolica ventricolare
sinistra, dell’indice cardiaco e del lavoro sistolico.
La
funzione
diastolica
può
essere
studiata
invasivamente
tramite
cateterizzazione cardiaca e misurazione diretta delle pressioni e del grado di
rilasciamento ventricolare. Tale metodica non è però chiaramente utilizzabile
nelle applicazioni su larga scala né nel corso di follow up longitudinali, per i
quali invece le metodiche non invasive come l’ecocardiografia bidimensionale e
eco-Doppler si sono rivelate altrettanto affidabili.
Un altro più recente metodo di studio è la valutazione tramite Doppler Tissue
Imaging che misura la velocità sistolica e diastolica dell’anulus mitrale (picco
sistolico, picco diastolico precoce e tardivo). Questa metodica è inoltre capace di
stimare il grado di fibrosi miocardica, primum movens della disfunzione
diastolica13.
Il metodo più frequentemente usato per valutare la funzione diastolica è lo
studio delle velocità di flusso transmitralico, generalmente ricavate in modo non
invasivo tramite studio ecocardiografico bidimensionale e Doppler. Altri metodi
12
di misurazione sono la ventricolografia sinistra, l’angiografia con radionuclidi e
l’ecografia digitalizzata M-mode.
Dallo studio di queste curve si ottengono alcuni indici molto importanti per lo
studio della funzione diastolica:
1.
la velocità E
rappresenta la velocità nella fase di riempimento ventricolare precoce. Essa è
influenzata da diversi fattori, tra cui la pressione atriale sinistra al momento
dell’apertura della valvola mitrale, il gradiente pressorio tra atrio e ventricolo
sinistro, la pressione ventricolare sinistra minima che viene raggiunta, la
compliance dell’atrio sinistro e il tasso di rilasciamento ventricolare;
2.
il tempo di decelerazione dell’onda E
rappresenta l’intervallo di tempo in cui la velocità E dal suo picco massimo si
porta allo zero. Graficamente si identifica con il segmento sull’asse del tempo
che unisce la proiezione del picco della velocità E ed il punto di intersezione
della curva con l’asse stesso. Questo indice dipende dal tasso di aumento della
pressione ventricolare nella diastole precoce, dopo che ha raggiunto il suo nadir,
ed è una misura della effettiva compliance del ventricolo sinistro;
3.
la velocità A
è la velocità del flusso transmitralico al momento della contrazione atriale
sinistra. Poiché normalmente la contrazione atriale si ha quando il rilasciamento
ventricolare è completo, il picco della velocità dipende sia dalla compliance del
ventricolo sinistro che dal volume e dalla contrattilità dell’atrio sinistro.
13
Tabella 2. Pattern da ecocardiografia Doppler in relazione al grado di disfunzione diastolica.
EDT= tempo di decelerazione dell’onda E
Pattern
Normale
Anomalo rilasciamento Pseudonormalizzato
Restrittivo
(Grado I)
(Grado II)
(Grado III-IV)
E/A
>1
<1
1-2
>2
EDT (ms)
160-210
>220
150-200
<150
Le caratteristiche delle curve di velocità del flusso transmitralico variano
parallelamente alla progressione delle patologie che coinvolgono il miocardio.
In un soggetto normale di età media il valore del rapporto E/A è >1.0 e il tempo
di decelerazione è di circa 200 ms.
Negli stadi precoci di disfunzione, in cui si ha un pattern anomalo di
rilasciamento ventricolare, la curva mostra una bassa velocità E, un
prolungamento del tempo di decelerazione e un aumentato riempimento al
momento della contrazione atriale.
Con il progredire della patologia la pressione nell’atrio sinistro aumenta, quindi
avremo un gradiente pressorio maggiore tra atrio e ventricolo sinistro. Ciò
comporta un graduale aumento della velocità E ed una diminuzione del tempo di
decelerazione con comparsa un quadro di “pseudo-normalizzazione”. Tale
pattern può essere distinto da quello di normalità attraverso l’integrazione di
questi indici con ulteriori parametri derivati da altre indagini strumentali, come
lo studio delle curve di flusso nelle vene polmonari.
Sulla base di questi pattern di progressione di malattia è stato proposto un
sistema di classificazione della disfunzione diastolica (Figura 1).
14
Figura 1: il sistema di gradazione proposto per la disfunzione diastolica basato sulla
progressione del pattern della velocità di flusso transmitralico. Sotto le curve di
pressione dell’atrio sinistro e del ventricolo sinistro si trova una rappresentazione
schematica della curva di velocità del flusso mitrale. Più sotto ancora è mostrato il
valore medio della pressione atriale sinistra (LAP), la costante temporale di
rilasciamento (TAU) e la classe NYHA associata alle varie curve di velocità del flusso
transmitralico. La progressione naturale va dal pattern normale seguito da quello di
rilasciamento anormale, di “pseudo-normalizzazione”, di restrizione reversibile fino a
quello di restrizione irreversibile. Il grado di disfunzione diastolica viene indicato su
una scala che va da I a IV.
GRADO I
comprende pazienti con pattern di rilasciamento
ventricolare alterato e con sintomi di insufficienza
cardiaca a riposo minimi o assenti. La dispnea può
insorgere invece con lo svolgimento di un esercizio di
grado moderato-elevato o nel caso di perdita del
contributo atriale al riempimento ventricolare, come si
verifica in presenza di fibrillazione atriale;
GRADO II
si ha un pattern di “pseudo-normalizzazione” ed una
elevata pressione di riempimento a riposo, con sintomi
15
di scompenso cardiaco a livelli di esercizio che vanno da
leggero a moderato;
GRADO III
a questo livello la disfunzione diastolica presenta un
pattern di riempimento di tipo restrittivo caratterizzato
da un grave aumento della pressione di riempimento e
sintomi sia a riposo che nello svolgere un carico di
lavoro minimo;
GRADO IV
è un livello di disfunzione diastolica con un grave
pattern di tipo restrittivo, con prognosi sfavorevole in
quanto non responsivo a terapia anche aggressiva e
quindi, a differenza degli altri, irreversibile.
Gli indici Doppler del flusso transmitralico (rapporto E/A e EDT) correlano
bene con le pressioni di riempimento del ventricolo sinistro misurate con
metodo invasivo in sottogruppi di pazienti con disfunzione sistolica14, ma non in
quelli che hanno funzione sistolica normale15. Sebbene indubbiamente utili, la
loro interpretazione può presentare delle difficoltà. Infatti queste misure
riflettono il riempimento e non la funzione e sono dipendenti da caratteristiche
dei pazienti come la frequenza cardiaca, il sesso e l’età, così come da variabili
fisiologiche quali il precarico, il rilasciamento ventricolare sinistro, il ritorno
elastico, la pressione atriale sinistra e la compliance ventricolare sinistra16.
16
1.3 Significato prognostico delle alterazioni degli indici di funzione
diastolica
In pazienti con disfunzione sistolica ventricolare sinistra un pattern di
riempimento di tipo restrittivo è associato a una peggiore classe funzionale ed a
una diminuita tolleranza allo sforzo fisico12. Inoltre un EDT<140-150 ms è
associato ad un’aumentata mortalità nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa17
o infiltrativa18, indipendentemente dal grado di disfunzione sistolica.
Anche in una popolazione di pazienti ipertesi che non presentano insufficienza
cardiaca il pattern di anomalo rilasciamento ventricolare, definito come un
rapporto E/A inferiore a quello relativo alla classe d’età e alla frequenza
cardiaca, aumenta il rischio di eventi cardiovascolari di 1.57 volte19.
Secondo lo Strong Heart Study, studio di popolazione effettuato su nativi
americani di età adulta e anziana, un rapporto E/A <0.6, si associa ad un rischio
di mortalità doppio, mentre un valore di E/A >1.5 è associato ad un rischio di
mortalità cardiaca di tre volte superiore rispetto ai pazienti con E/A nel range
intermedio20.
Pertanto la disfunzione diastolica è un importante fattore prognostico non solo
per i pazienti con scompenso cardiaco ma anche per pazienti ipertesi e per la
popolazione generale.
17
2. LA RIGIDITA’ ARTERIOSA
2.1 Meccanismi fisiopatologici
Studi
epidemiologici
osservazionali
hanno
chiaramente
dimostrato
l’associazione tra valori di pressione arteriosa (PA) periferica, ossia misurata a
livello dell’arteria omerale, ed eventi cardiovascolari21. Tale relazione è
documentabile sia per la PA sistolica che per quella diastolica, sebbene la PA
sistolica sia riconosciuta come il fattore di rischio cardiovascolare più
importante nei pazienti con età superiore a 50 anni21, 22.
In presenza di una gittata cardiaca costante, la PA media e la PA diastolica sono
strettamente correlate con le resistenze periferiche a livello del microcircolo,
mentre la PA sistolica e la pressione di pulsazione (PP) sono dipendenti dalle
proprietà dinamiche e pulsatili delle grandi arterie.
Dal punto di vista emodinamico la PA sistolica e la PP aumentano con
l’invecchiamento. Questo fenomeno è legato ad un progressivo aumento della
rigidità arteriosa23.
La PA sistolica è funzione della gittata sistolica, della compliance arteriosa –
cioè la distensibilità della parete arteriosa – e delle resistenze arteriose. Quindi,
un incremento delle resistenze periferiche vascolari si accompagna ad un
aumento della PA sistolica e diastolica. La PA sistolica aumenta anche in
seguito a un incremento della gittata cardiaca e della rigidità arteriosa.
Quest’ultima è invece correlata inversamente con i valori di PA diastolica24.
18
Le caratteristiche strutturali dei vasi variano molto lungo l’albero arterioso, con
conseguenti differenze nelle proprietà visco-elastiche delle pareti; si hanno così
arterie prossimali più elastiche e distali più rigide. Questo fenomeno concorre
all’aumento di ampiezza dell’onda pressoria e della sua velocità di propagazione
dal cuore verso la periferia. Inoltre, la rigidità delle arterie di medio-calibro è
regolata dal tono vasomotore, a sua volta dipendente dalla funzione endoteliale,
dal sistema nervoso simpatico e dal sistema renina-angiotensina25.
Le arterie elastiche di conduttanza, e in particolare l’aorta, tendono a convertire
il flusso arterioso da intermittente a continuo.
Durante la sistole, il volume di sangue immesso dal ventricolo sinistro in aorta
determina sia una progressione verso la periferia della colonna sanguigna già
presente nell’albero arterioso, sia una notevole dilatazione dell’aorta e delle sue
prime diramazioni. Terminata la sistole, le pareti arteriose, grazie alle loro
proprietà elastiche, ritornano alla loro primitiva condizione: tale ritorno elastico
contribuisce a mantenere costante la perfusione periferica nel periodo diastolico.
Quando la rigidità arteriosa aumenta, come accade nell’invecchiamento, la
perdita di elasticità della parete arteriosa causa sia un aumento della pressione
sistolica, poiché il vaso ha minore capacità di dilatarsi, sia una diminuzione della
pressione diastolica, poiché si riduce il ritorno diastolico della parete (Figura 2).
19
Figura 2: L’invecchiamento determina un aumento della rigidità arteriosa, che riduce il
ritorno elastico delle pareti aortiche determinando un aumento della pressione arteriosa
sistolica e una riduzione della pressione arteriosa diastolica.
La rigidità arteriosa è determinata da componenti funzionali e strutturali
correlati alle caratteristiche intrinseche di elasticità delle arterie. Le componenti
strutturali sono rappresentate dall’ispessimento intimale, ma sopratutto
dall’interazione tra le fibre elastiche e le cellule muscolari lisce della tonaca
media.
Dal punto di vista funzionale, le modificazioni acute della PA distendono le
fibre elastiche della parete arteriosa, rendendo le arterie funzionalmente più
rigide. Quando i valori pressori sono più elevati (soprattutto la PA sistolica) il
carico si trasferisce progressivamente dalle fibre elastiche a quelle collagene,
rendendo l’arteria ancora più rigida24.
20
Le principali alterazioni istologiche della parete arteriosa che si osservano con
l’età si verificano nella tonaca intima, che va incontro ad iperplasia ed ipertrofia,
ma sopratutto nella tonaca media. Infatti, il lavoro sostenuto dalla tonaca media
determina la perdita della corretta disposizione delle fibre elastiche e laminari
che si osserva invece in giovane età, favorendo l’assottigliamento, la lacerazione
e la frammentazione della parete vascolare23. Si verificano da un lato una ridotta
sintesi e un’aumentata degradazione dell’elastina, dall’altro un’aumentata sintesi
e ridotta degradazione del collagene di tipo I e III23. Infine, si ha una riduzione
quantitativa delle cellule muscolari lisce ed una loro sdifferenziazione con
perdita delle proprietà contrattili e acquisizione di proprietà sintetiche, che
portano ad un’alterata interazione tra cellule muscolari lisce e molecole della
matrice extracellulare26.
Un altro meccanismo con cui la rigidità arteriosa si rende responsabile
dell’aumento della PP e della PA sistolica è la sua influenza sulla riflessione
dell’onda sfigmica in periferia. Come verrà spiegato in seguito, l’onda pressoria
anterograda trasmessa dall’aorta alle arterie viene in parte riflessa in periferia in
ogni punto dove si rileva una discontinuità di impedenza, come una
ramificazione arteriosa o una giunzione arteriolare. Risulta così che l’onda
pressoria registrata a livello dell’aorta ascendente può essere descritta come la
somma di un’onda anterograda generata dal cuore ed un’onda retrograda
corrispondente all’onda riflessa dal resto del corpo27.
21
Le caratteristiche dell’onda di riflessione dipendono non solo dalla rigidità delle
grandi arterie elastiche, ma anche dal sito di riflessione e quindi dalla lunghezza
dell’albero arterioso e dal tono vascolare del microcircolo. In base all’entità
dell’onda di riflessione e al timing di sommazione con l’onda anterograda si
hanno effetti diversi sulle pressioni centrali e periferiche, con particolare
riferimento all’effetto di amplificazione della pressione di pulsazione. Infatti nei
giovani sani la pressione centrale (aortica) è più bassa della pressione periferica
(omerale): la differenza può arrivare a 20 mmHg o più28.
Il meccanismo alla base di questo fenomeno è che l’onda di riflessione arriva
all’aorta ascendente in tarda sistole o nella diastole precoce e non può perciò
contribuire all’aumento della PP, mentre permette al contrario di mantenere una
buona perfusione coronaria e cerebrale in diastole.
Quando le arterie elastiche diventano più rigide, come con l’invecchiamento o
nell’ipertensione, si ha un aumento della velocità di propagazione dell’onda di
riflessione, che torna così all’aorta durante la fase sistolica. Si ha di conseguenza
la sommazione dell’onda riflessa con l’onda sfigmica incidente che fa aumentare
la PA sistolica, la PP centrale ed il post-carico cardiaco (Figura 3).
22
Figura 3: Differente morfologia dell’onda pressoria nei giovani adulti rispetto agli anziani.
Negli anziani si osserva un aumento della PAS conseguente all’aumento della rigidità
arteriosa.
Le alterazioni della parete arteriosa che si osservano con l’invecchiamento sono
anticipate ed accelerate dalla concomitante presenza dell’ipertensione arteriosa e
le alterazioni dell’onda di riflessione sono amplificate nei pazienti ipertesi24, 29.
Come già commentato, il ridotto ritorno elastico della parete aortica durante la
diastole, con perdita di tale componente alla spinta del sangue in periferia,
determina la riduzione della PA diastolica.
L’aumento della rigidità aortica di per sé determina un aumento della PP aortica,
contribuendo ad un ulteriore aumento della PA sistolica. L’incremento della
rigidità arteriosa è probabilmente legato a diversi fattori. Oltre alla riduzione e
frammentazione delle fibre elastiche ed all’aumento del collagene, possono
contribuire un aumentato contenuto di calcio nella parete arteriosa,
un’aumentata attività simpatica e fattori endoteliali, come la riduzione della
23
biodisponibilità di ossido nitrico e l’aumento del rilascio di endotelina, un
potente vasocostrittore26.
2.2 Riflessione periferica dell’onda sfigmica e augmentation index
Le caratteristiche dell’onda incidente anterograda, cioè l’onda prodotta
dall’eiezione ventricolare sinistra, dipendono dalla spinta ventricolare e
dall’elasticità aortica30. Le onde incidenti nel sistema arterioso vengono riflesse
in corrispondenza dei punti di ramificazione, dei restringimenti vascolari e delle
aree di turbolenza, dando origine ad onde sfigmiche di riflessione retrograde. Le
caratteristiche dell’onda di riflessione dipendono dall’elasticità di tutto l’albero
arterioso (arterie elastiche, muscolari ed arteriole), dal tempo impiegato
dall’onda per andare dal cuore alla periferia e tornare indietro (∆tp) e dalla
distanza dai principali punti di riflessione, rappresentati dalle ramificazioni
arteriose24, 31. Le arteriole ad elevata resistenza sono considerate i più importanti
siti di riflessione del circolo sistemico. La somma delle onde riflesse nei vari
punti di riflessione si comporta come una singola onda riflessa che appare
insorgere vicino alla terminazione dell’aorta toracica nell’addome.
Risulta così che l’onda pressoria registrata a livello dell’aorta ascendente può
essere descritta come la somma di un’onda anterograda generata dal cuore ed
un’onda retrograda generata dalla somma delle onde riflesse nel resto del
corpo27.
24
L’onda di riflessione può essere studiata clinicamente attraverso la misurazione
di due suoi parametri: la velocità di propagazione e la precocità di ritorno
dell’onda dalla periferia.
La velocità di propagazione dell’onda di polso (pulse wave velocity, PWV) è
direttamente proporzionale alla rigidità arteriosa e si misura come rapporto tra la
distanza di due punti dell’albero arterioso e il tempo impiegato dall’onda a
percorrere tale distanza.
Figura 4: La velocità di propagazione dell’onda sfigmica in un tubo elastico come il sistema
arterioso è direttamente proporzionale alla rigidità del sistema. Tale velocità può essere
misurata campionando l’onda sfigmica in due punti dell’albero arterioso, valutando il ritardo
(∆t) e la distanza (L).
∆t
L
La PWV può essere misurata a vari livelli, ma il distretto carotido-femorale
rappresenta il “gold standard” per le misurazioni di rigidità arteriosa. La PWV
carotido-femorale è la più clinicamente rilevante in quanto, rappresentando la
rigidità aortica, è quella che riflette effettivamente ciò che causa la maggioranza
25
degli effetti fisiopatologici sul ventricolo sinistro ed è stata dimostrata essere un
predittore indipendente di eventi cardiovascolari25.
La precocità di ritorno dell’onda di riflessione può essere identificata con
l’augmentation index (AIx), espresso come percentuale dal rapporto tra la
pressione di amplificazione (differenza tra il secondo picco sistolico, dovuto
all’onda di riflessione, e il primo picco sistolico o inflessione, che rappresenta
l’onda incidente, Ps-Pi) e la pressione di pulsazione centrale (PP) (Figura 5).
L'AIx rappresenta un indice integrato, poiché dipende sia dal sito di riflessione
dell'onda (stato del microcircolo), sia dalla sua ampiezza, sia dalla rigidità
arteriosa centrale e periferica.
Figura 5: Onda pressoria aortica. Augmentation index (AIx)=(Ps-Pi)/(Ps-Pd).
Ps: picco sistolico; Pi: punto di inflessione, inizio della branca ascendente dell’onda di
riflessione; Pd: pressione arteriosa diastolica; ∆tp tempo impiegato dall’ onda incidente per
andare dall’aorta ascendente al principale sito di riflessione e tornare indietro; ∆tr
rappresenta la durata sistolica dell’ onda di riflessione.
L’onda pressoria aortica può essere ottenuta da quella periferica (arteria radiale)
utilizzando una funzione di trasformazione validata30, 32.
26
La PP centrale e l’AIx non sono intercambiabili con la PWV come indici di
rigidità arteriosa, poiché i primi sono indici indiretti mentre la PWV è un indice
diretto della rigidità. La pressione centrale e l’AIx dipendono dalla velocità di
propagazione dell’onda, dall’ampiezza dell’onda riflessa, dalla durata e dal
pattern di eiezione ventricolare specialmente per quanto riguarda le variazioni
della frequenza cardiaca e della contrattilità. Inoltre alcune condizioni
fisiopatologiche e alcuni farmaci, come la nitroglicerina, possono influenzare
l’AIx ma non la PWV, il che suggerisce un effetto predominante su onda di
riflessione, frequenza cardiaca e eiezione ventricolare piuttosto che sulla rigidità
arteriosa33.
2.3 Significato clinico
Negli ultimi anni, è stata posta grande enfasi sul ruolo della rigidità arteriosa e
dell’onda sfigmica di riflessione nello sviluppo delle malattie cardiovascolari.
Come è già stato commentato, la rigidità arteriosa e la riflessione dell’onda
sfigmica sono due parametri ampiamente accettati come i principali
determinanti dell’aumento della PA sistolica e della PP in relazione all’età. Per
quanto riguarda la possibile relazione tra aumentata rigidità arteriosa e malattia
coronarica, l’aumento della rigidità arteriosa causa un ritorno prematuro
dell’onda riflessa durante la tele-sistole, che aumentando la PP centrale
determina un aumento della PA sistolica, che a sua volta determina un
incremento del carico ventricolare sinistro, con un conseguente aumento della
27
domanda miocardica di ossigeno32, 34. Infatti, è stato dimostrato che la rigidità
arteriosa è associata ad ipertrofia ventricolare sinistra, un noto fattore di rischio
per eventi coronarici, sia nei pazienti normotesi sia negli ipertesi30.
Inoltre, l’aumento della PP centrale e la riduzione della PA diastolica possono
causare direttamente ischemia sub-endocardica. Infatti, la misura della rigidità
aortica, può riflettere una parallela lesione dei vasi arteriosi coronarici.
I
meccanismi che determinano la rigidità arteriosa aortica (riduzione delle fibre
elastiche, accumulo di fibre collagene, fibrosi, infiammazione e calcificazione)26
sono fenomeni degenerativi che si verificano anche a livello del circolo
coronarico, dove potrebbero essere responsabili di un aumento della rigidità
arteriosa35. Tutti i citati meccanismi possono contribuire allo sviluppo di
scompenso cardiaco (figura 6).
Figura 6: Possibili meccanismi attraverso i quali la rigidità arteriosa può determinare lo
sviluppo di eventi cardiovascolari.
Invecchiamento, fattori di rischio CV
↑ Rigidità aortica
PP aortica
PAD
PP locale
PAS
Aterosclerosi carotidea
↓ perfusione
coronarica
Cardiopatia
ischemica,
scompenso
IVS
↓ riserva
coronarica
Ictus
cerebrale
28
Per quanto riguarda la probabile relazione fra aumentata rigidità e rischio di
eventi cerebrali, un’aumentata rigidità arteriosa può aumentare il rischio di ictus
attraverso diversi meccanismi, incluso l’aumento della PP centrale, che
influenzano il rimodellamento dei vasi arteriosi sia extra- che intra-cranici,
aumentando lo spessore parietale carotideo e lo sviluppo di placche
aterosclerotiche36, la probabilità di rottura della placca37 e la prevalenza e la
gravità delle lesioni cerebrali della materia bianca38. Inoltre, possono essere
presenti lesioni concomitanti a livello del circolo cerebrale, associate ad
aumentata rigidità arteriosa. Infine, la malattia coronarica e l’insufficienza
cardiaca, a loro volta favoriti dall’aumento della PP e della rigidità arteriosa,
sono ulteriori fattori di rischio per l’ictus.
La PWV e l’AIx sono due parametri ampiamente usati negli studi osservazionali
per l’analisi dei determinanti dei cambiamenti emodinamici osservati in varie
condizioni cliniche, fra le quali l’ipertensione arteriosa riveste un ruolo
preponderante, e per la comprensione della patogenesi delle loro complicanze
cardiovascolari25. Inoltre, numerosi studi epidemiologici longitudinali hanno
dimostrato il valore predittivo indipendente della PWV centrale e dell’AIx nello
sviluppo di eventi cardiovascolari25. Tuttavia, le maggiori evidenze cliniche
riguardano la rigidità aortica, misurata come PWV carotido-femorale. Infatti,
numerosi studi clinici hanno dimostrato che i principali fattori di rischio
cardiovascolare sono associati ad un aumento della PWV aortica (Tabella 3).
29
Tabella 3. Condizioni cliniche associate ad aumentata rigidità arteriosa (CV:
cardiovascolari; PCR: proteina C reattiva; LES: lupus eritematoso sistemico)
Età
Background genetico
Altre condizioni fisiologiche
Storia familiare di ipertensione arteriosa
Basso peso alla nascita
Storia familiare di diabete mellito
Stato menopausale
Storia familiare di infarto miocardico
Inattività fisica
Fattori di rischio CV
Malattie CV
Obesità
Malattia coronarica
Fumo
Scompenso cardiaco
Ipertensione arteriosa
Ictus fatale
Ipercolesterolemia
Malattie non-CV
Ridotta tolleranza al glucosio
Insufficienza renale
Sindrome metabolica
Artrite reumatoide
Diabete mellito
Vasculite sistemica
Elevati livelli di PCR
LES
Inoltre, sono disponibili studi clinici, che hanno valutato un numero complessivo
di più di 10.000 pazienti, che hanno dimostrato il ruolo predittivo indipendente
della PWV aortica sulla mortalità cardiovascolare e totale, per gli eventi
coronarici mortali e non mortali, e per l’ictus mortale in popolazioni di pazienti
con fattori di rischio cardiovascolari ma anche in popolazioni non selezionate
per la presenza di tali fattori25.
In particolare, il valore indipendente predittivo della PWV aortica per tutte le
cause di morte e per la mortalità cardiovascolare, per gli eventi coronarici fatali
30
e non fatali e per l’ictus fatale nei pazienti con ipertensione essenziale non
complicata39,40, 41, diabete mellito di tipo 242, insufficienza renale cronica43, nei
soggetti anziani44 e nella popolazione generale45.
Infine, il valore predittivo indipendente della PWV aortica è stato dimostrato
dopo la correzione per i fattori di rischio cardiovascolare classici, inclusa la PP
periferica. La PWV aortica mantiene il proprio valore predittivo per gli eventi
coronarici dopo l’aggiustamento per lo score di rischio di Framingham39,
suggerendo quindi che la rigidità arteriosa abbia un valore aggiunto rispetto alla
combinazione dei singoli fattori di rischio25.
Sulla base di queste evidenze la determinazione della PWV aortica è stata
inclusa tra le variabili cliniche che devono essere utilizzate per stratificare il
rischio cardiovascolare nelle Linee Guida Europee per il Management
dell’Ipertensione Arteriosa (ESH/ESC)46. In particolare, i valori di PWV
carotido-femorale >12 m/s indicati sono da considerarsi una stima di una
significativa alterazione della funzione aortica nei pazienti ipertesi, indicando la
presenza di danno d’organo subclinico che può influenzare la prognosi46.
31
3 Ruolo della rigidità arteriosa nello scompenso
cardiaco
3.1 Scompenso cardiaco e rigidità arteriosa: significato e
interpretazione
Come abbiamo già commentato l’aumentata rigidità arteriosa è associata ad
aumento del rischio di morbidità e mortalità cardiovascolare. Negli anziani e
negli ipertesi, un aumento di PP, indice grossolano ma attendibile di rigidità
arteriosa, è associato allo sviluppo di disfunzione del ventricolo sinistro e di
insufficienza cardiaca24, 25.
Tuttavia gli studi sul valore prognostico della rigidità arteriosa nello scompenso
sistolico hanno prodotto risultati contrastanti. Se nei pazienti con disfunzione
asintomatica o scompenso sistolico c’è una correlazione positiva fra PP elevata e
outcome avversi, nei pazienti con scompenso cardiaco refrattario o avanzato
l’associazione si inverte, e una bassa PP diventa predittore indipendente di
mortalità47. Tale comportamento è da imputarsi verosimilmente all’interazione
fra il ventricolo disfunzionante e i vasi rigidi.
Peraltro, nei pazienti affetti da cardiomiopatia dilatativa (CMD) con funzione
sistolica (FE<45%), a parità di pressione arteriosa misurata convenzionalmente a
livello dell’arteria omerale, la PP aortica (calcolata tramite trasformata dall’onda
di polso rilevata sulla radiale), così come la pressione sistolica aortica, risulta
minore rispetto ai controlli con frazione di eiezione >50%47. Questo risultato
potrebbe essere dovuto alla maggiore amplificazione periferica che si registra in
32
pazienti con scompenso cardiaco, data la presenza di uno stato di maggiore
vasocostrizione48.
Il valore dell’AIx come espressione della rigidità arteriosa risulta di difficile
interpretazione nei pazienti con scompenso cardiaco49. In questi, infatti, il picco
pressorio in sistole è precoce50 e il tempo di eiezione del ventricolo sinistro, sia
assoluto che indicizzato per la frequenza cardiaca (LVETI) è diminuito, tanto
più quanto più è compromessa la frazione di eiezione. Ciò comporta che l’onda
riflessa ritorna all’aorta prossimale più tardi rispetto al picco dell’onda
anterograda, nonostante il tempo di riflessione assoluto non vari, e quindi vi si
somma in misura minore. Nei pazienti con CMD, l’AIx è correlato sia al LVETI
che alla frazione di eiezione. Questo dà luogo anche ad una differente pressione
pulsatoria a livello dell’aorta ascendente. Anche standardizzato a frequenza di
75 bpm, l’AIx risulta ridotto nei pazienti con CMD e frazione di eiezione
ridotta47. Peraltro i pazienti con scompenso presentano una diminuzione relativa
della riflessione globale, rappresentata dal rapporto onda riflessa/incidente, che
si ottiene scomponendo l’onda sfigmica nelle sue componenti anterograda e
retrograda. Tale rapporto spiega il 77% della variazione dell’AIx, la maggior
parte della quale è attribuibile alla diversa sovrapposizione temporale delle
onde, esprimibile come percentuale del periodo di eiezione50.
Dividendo i pazienti con cardiomiopatia in due gruppi secondo l’AIx, si nota
come il gruppo ad AIx minore mostra maggiore disfunzione sistolica, ossia
33
minore frazione d’eiezione, maggiore volume ventricolare a fine sistole e,
nonostante la frequenza più alta, un minore cardiac index47.
Nei pazienti con scompenso cardiaco e ridotta funzione sistolica (FE<40%), la
PWV è correlata alla frazione d’eiezione, nonché alla frequenza e alla pressione
media, e pertanto il suo valore prognostico può essere alterato, mentre nei
pazienti con funzione sistolica conservata (FE>40%) non vi è associazione fra
PWV e livelli di frazione d’eiezione49.
Nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa, la PWV risulta correlata all’età (l’età
è il maggiore determinante in tutti i gruppi di soggetti) e alla classe NYHA, e ha
una correlazione negativa con la funzione sistolica ventricolare sinistra e la
pressione diastolica (quest’ultima sia a riposo che durante esercizio). Poiché non
vi è correlazione fra PWV e diametro dell’aorta, la variazione è verosimilmente
da imputarsi ad alterazioni intrinseche della parete. In questo gruppo di pazienti
la PWV è predittore della tolleranza allo sforzo misurata come consumo
massimo di ossigeno51.
La PWV periferica (carotido-radiale) non dà risultati univoci: in parte per
problemi di riproducibilità, in parte probabilmente per l’effetto delle varie
terapie vasodilatatorie49. La PWV periferica risulterebbe minore nello
scompenso cardiaco, cosa che suggerisce alterazioni differenti fra i vasi
periferici e quelli centrali, l’interazione delle quali porta a una differenza non
significativa nella compliance arteriosa totale (misurata come rapporto tra lo
stroke volume e la pressione di pulsazione) rispetto ai controlli50. Inoltre, i
34
pazienti con scompenso cardiaco hanno un rapporto maggiore fra parete e lume
nell’arteria omerale, compensato tuttavia da una riduzione della rigidità
intrinseca52.
3.2 Rigidità arteriosa e disfunzione diastolica
La disfunzione diastolica e il suo rapporto con la rigidità arteriosa nello
scompenso sono state studiate prevalentemente nei pazienti con frazione di
eiezione non ridotta (HFnlEF). L’aumento della rigidità vascolare e ventricolare
sistolica e diastolica possono contribuire alla patogenesi dell’HFnlEF53, 54. In
questi pazienti e negli ipertesi è stato dimostrato che l’elastanza arteriosa
effettiva (il rapporto la pressione di fine sistole e lo stroke volume), le resistenze
vascolari sistemiche e la PP sono aumentate e la compliance arteriosa è ridotta
rispetto a controlli sani, senza differenze significative fra i due gruppi. Inoltre
nei pazienti con HFnlEF l’E/A è minore rispetto ai controlli, ma maggiore
rispetto agli ipertesi; il tempo di decelerazione è minore rispetto a entrambi. La
dimensione atriale è aumentata, mentre i volumi ventricolari e la gittata sono
minori55.
E’ da notare come la prevalenza dell’HFnlEF aumenti nettamente con l’età e in
particolare nelle donne; parallelamente, nelle donne è più ripida anche la
relazione fra rigidità arteriosa ed età, oltre a risultare maggiore la rigidità stessa
e peggiore la funzione diastolica56.
35
Negli ipertesi la PWV correla inversamente con il rapporto E/A57; in una coorte
di pazienti anziani (>65 anni) con fattori di rischio cardiovascolari o malattia
clinica associata, la PP omerale e la PP aortica sono risultate correlate sia al
grado di disfunzione diastolica che al volume dell’atrio sinistro, una misura di
disfunzione diastolica cronica meno dipendente dal precarico rispetto al pattern
Doppler transmitralico58. La compliance arteriosa è un predittore indipendente di
disfunzione diastolica, anche in analisi multivariate, nei pazienti con
ipertensione e dispnea da sforzo; il grado di rigidità è correlato alla tolleranza
allo sforzo nei pazienti con scompenso diastolico.Il parallelismo delle alterazioni
ventricolari e arteriose potrebbe rispecchiare un’eziologia comune. Infatti, i
fattori di rischio per scompenso diastolico (ipertensione, età, aterosclerosi) sono
associati anche all’aumento di rigidità arteriosa. D’altra parte la rigidità arteriosa
può contribuire allo sviluppo della disfunzione diastolica attraverso l’aumento
della pressione pulsatoria e del postcarico ventricolare, che a loro volta
favoriscono l’ipertrofia ventricolare e l’ischemia subendocardica53: la rigidità
arteriosa, misurata valutando le variazioni di diametro della carotide in rapporto
alla pressione, correla sia inversamente con l’accorciamento longitudinale del
ventricolo sinistro – misura della contrattilità delle fibre longitudinali
subendocardiche – che direttamente con gli indici di disfunzione diastolica59.
L’aumento della rigidità arteriosa quindi può essere contemporaneamente un
fattore di rischio sia per le patologie aterosclerotiche cardiovascolari che per lo
scompenso cardiaco diastolico nei pazienti ipertesi57. Nei pazienti ipertesi con
36
dispnea da sforzo la progressiva alterazione della funzione diastolica è associata
ad una ridotta compliance arteriosa, che rappresenta in questi pazienti un
predittore indipendente di disfunzione diastolica53.
37
Obiettivo della tesi
L’obiettivo di questa tesi è stato quello di valutare la relazione tra funzione
arteriosa e funzione sistolica e diastolica del ventricolo sinistro in pazienti con
scompenso cardiaco di patogenesi non ischemica.
A questo scopo sono state valutate la relazione tra i parametri di rigidità
arteriosa (PWV aortica) di riflessione dell’onda sfigmica (augmentation index)
e PP centrale con:
- la frazione di eiezione (EF) come stima della funzione sistolica,
- il rapporto tra le onde E ed A (rapporto E/A) e il tempo di decelerazione
dell’onda E (EDT) quali parametri di funzione diastolica.
Inoltre è stato confrontato il comportamento dei suddetti parametri arteriosi
secondo un criterio clinico (classe NYHA) e suddividendo i pazienti in tre
gruppi in base al grado di compromissione della funzione diastolica,
rispettivamente quelli con pattern diastolica normale, di alterato rilasciamento e
pseudonormalizzato o restrittivo.
38
Materiali e metodi
5.1 Selezione dei pazienti
Sono stati reclutati 50 pazienti con scompenso cardiaco congestizio afferenti
all’ambulatorio della U.O. Medicina Cardiovascolare. I criteri di inclusione
erano rappresentati da:
•
età superiore ai 18 anni;
•
frazione di eiezione < 50%;
•
albero
coronarico
indenne
da
lesioni
emodinamicamente
significative ad un esame coronarografico eseguito nei 6 mesi precedenti;
•
consenso informato.
Criteri di esclusione erano rappresentati da:
•
pregresso infarto del miocardio o procedure di rivascolarizzazione
miocardica;
•
fibrillazione atriale, extrasistolia con bigeminismo o trigeminismo;
•
gravi malattie polmonari, epatiche, gastrointestinali, renali e del
sistema immunitario, endocrino; malattie sistemiche e neoplasie;
•
condizioni che limitano la partecipazione del paziente allo studio
(demenza, psicosi).
Sono stati esclusi i pazienti con cardiopatia ischemica poiché per tale patologia è
già nota l’associazione con l’aumentata rigidità arteriosa25.
Ciascun paziente ha eseguito una anamnesi, un esame obiettivo, un
elettrocardiogramma ed esami ematochimici di routine.
39
5.2 Valutazione dei parametri di rigidità arteriosa
Gli studi sono stati eseguiti in un ambiente a temperatura controllata (23°C)
dopo 15 minuti di mantenimento della posizione supina.
La misura della rigidità arteriosa mediante pulse wave analysis (PWA) e pulse
wave velocity (PWV) è una tecnica semplice e ben riproducibile, largamente
usata nei più recenti studi clinici e già validata nel nostro laboratorio60, 61.
Si ottiene mediante tonometria arteriosa, posizionando una piccola sonda (Atcor
Medical, Sydney) sull'arteria in esame e registrando 10-15 cicli successivi. Dai
profili delle onde sfigmiche periferiche viene istantaneamente derivata l’onda
sfigmica aortica mediante una funzione di trasformazione validata e calibrata
con i valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica ottenuti da misure
sfigmomanometriche convenzionali.
La PWA è ottenuta a livello radiale ed analizzata attraverso il software
Sphygmocor. Fornisce informazioni sul rapporto tra l'entità del primo picco
sistolico causato dalla riflessione dell'onda in periferia e la pressione di
pulsazione (il cosiddetto augmentation index, AIx). Poiché in questo studio l’
AIx è correlato con la frequenza cardiaca (FC), i valori sono stati normalizzati
per una FC di 75 bpm.
La PWV viene determinata mediante la registrazione sequenziale dell'onda
pressoria in due punti. Sono stati registrati i profili pressori in sede carotidea e
femorale. La PWV, espressa in metri al secondo, è il rapporto fra la distanza
40
misurata tra i due punti di registrazione ed il tempo di transito dell'onda
calcolato con riferimento al piede dell'onda (per piede dell’onda sfigmica si
intende il punto di pressione diastolica minima) e a un ECG registrato
contemporaneamente (software Sphygmocor).
Figura 7: Metodo per la misurazione della rigidità arteriosa nell’uomo. PAS: pressione
arteriosa sistolica; PAD: pressione arteriosa diastolica; PP: pressione di pulsazione; AIx:
augmentation index; PWV: velocità dell’onda sfigmica; ∆L: distanza percorsa dall’onda
sfigmica tra i due siti di registrazione; ∆t: tempo di propagazione determinato dal ritardo tra
l’inizio delle due onde sfigmiche.
5.3 Valutazione dei parametri ecocardiografici
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a studio doppler e ecocardiografico standard.
Questa procedura comprendeva il calcolo della frazione di eiezione
dall’ecografia bidimensionale, la misura delle dimensioni dell’atrio sinistro e del
ventricolo sinistro, nonché degli spessori diastolici per il calcolo della massa
41
ventricolare sinistra. Infine mediante segnale doppler sono state ottenute la
velocità massima delle onde transmitraliche E ed A, il loro rapporto (E/A) e il
tempo di decelerazione dell’onda E (EDT).
5.3 Misurazione della pressione arteriosa periferica
La pressione arteriosa clinica è stata misurata con apparecchio automatico
(OMRON – 950 CP) e calcolata come media dei valori ottenuti da tre
misurazioni eseguite ad intervalli di 3 minuti l’una dall’altra.
5.4 Analisi statistiche
I risultati – fra i quali prevalevano distribuzioni non normali – sono stati espressi
come media ± deviazione standard o mediana ed intervallo.
Le differenze tra le medie sono state paragonate con il test t di Student o con un
test non parametrico, come appropriato.
Per valutare le associazioni tra le variabili è stata utilizzata l’analisi di
regressione lineare.
Inoltre i pazienti sono stati suddivisi in tre gruppi a seconda del grado
progressivo di compromissione della funzione diastolica: pattern normale (E/A
>1; EDT >150 ms), alterato rilasciamento (E/A <1), pseudonormalizzato o
restrittivo (E/A >1; EDT <150 ms), nonché secondo la classe NYHA.
Le differenze sono state considerate statisticamente significative quando la
p<0.05. Per tutte le procedure statistiche è stato utilizzato il programma NCSS.
42
Risultati
Le caratteristiche cliniche dei pazienti reclutati sono illustrate nella Tabella 4. In
particolare i pazienti selezionati presentavano un ampio intervallo di età con
mediana di 62 anni. Per quanto riguarda le caratteristiche antropometriche erano
presenti pazienti con indice di massa corporea normale (BMI fra 18 e 25: 18/50,
36%), pazienti con obesità di I grado (BMI fra 25 e 30: 18/50, 36%) e pazienti
con obesità di II grado (BMI fra 30 e 40: 14/50, 28%).
Al momento dello studio 11 pazienti rientravano in classe NYHA I, 25 in classe
II e 14 in classe III. Nessuno dei pazienti era in classe NYHA IV.
Tutti i pazienti erano in terapia standard con ACE-inibitori o AT1-antagonisti,
beta-bloccanti e diuretici dell’ansa.
Tabella 4. Caratteristiche cliniche dei pazienti.
Parametro
mediana
Sesso (maschi/ femmine)
Età (anni)
Body Mass Index (Kg/mq)
Peso (Kg)
Classe NHYA
intervallo
42/8
62
26-84
27,3
16,5-46,0
80
45-132
% pazienti
I
22
II
50
III
28
43
I valori mediani di PA periferica (omerale) indicavano un sufficiente controllo
da parte della terapia senza presenza di ipotensione (Tabella 5). Come atteso i
valori di PA aortica erano significativamente minori.
Tabella 5. Parametri emodinamici periferici e centrali (PA: pressione arteriosa; PP:
Pressione di Pulsazione)
Parametro
mediana
intervallo
Frequenza cardiaca (bpm)
67
42-110
PA sistolica omerale (mm Hg)
130
102-190
PA diastolica omerale (mm Hg)
71
60-103
PP omerale (mm Hg)
54
20-105
PA sistolica aortica (mm Hg)
117
91-178
PA diastolica aortica (mm Hg)
72
60-105
PP aortica (mm Hg)
41
9-94
Le caratteristiche ecocardiografiche sono riassunte nella Tabella 6.
Tabella 6. Caratteristiche ecocardiografiche dei pazienti. (LVMI=massa ventricolare sinistra
indicizzata; EDT= tempo di decelerazione dell’onda E)
Parametro
mediana
range
Freazione di eiezione (%)
30
17-49
LVMI (g/mq)
158
94-264
Diametro atrio sx (mm)
49
37-62
Velocità E (m/s)
85
34-150
Velocità A (m/s)
72
20-120
E/A
1,1
0,4-4,0
EDT ( ms)
160
73-290
44
Come da criteri di inclusione, tutti i pazienti erano affetti da disfunzione
sistolica di vario grado con una mediana del 30% mentre per ciò che riguarda i
parametri di disfunzione diastolica si sono ottenuti valori del rapporto E/A con
mediana di 0.9 e di EDT con mediana di 160 ms. La maggior parte dei pazienti
presentava ipertrofia ventricolare sinistra di tipo eccentrico: 40 pazienti su 50,
pari all’80% del campione, avevano LVMI >110 g/mq per le donne o >125
g/mq per gli uomini, con RWT <0.43.
Nella valutazione della PWV e dell’AIx si è riscontrato un intervallo di valori da
normali a francamente alterati (per la PWV aortica > 12 m/s).
Tabella 7. Caratteristiche di rigidità arteriosa.
Parametro
mediana
range
PWV aortica (m/s)
9.2
4.8 ; 15.8
AIx (%)
25
-9 ; 47
AIx @ 75 bpm (%)
22
-1 ; 43
Nella popolazione di pazienti scompensati reclutati in questo studio, la
frazione di eiezione è correlata significativamente con gli indici di funzione
diastolica: la relazione è inversa con il rapporto E/A (r=-0.40; p<0.01) e diretta
con l’EDT (r=0.51; p<0.01) (Figura 8).
45
Figura 8. Relazione della frazione di eiezione(FE) con rapporto E/A (r=-0.40; p<0.01)
(sinistra) e l’EDT (r=0.51; p<0.01) (destra) nella popolazione di pazienti
scompensati.
7
300
275
6
250
225
EDT (ms)
E/A
5
4
3
200
175
150
125
2
100
1
75
0
50
15
20
25
30
35
40
45
50
55
60
15
20
25
30
35
40
45
50
55
60
FE (%)
FE (%)
La frazione di eiezione è correlata significativamente alla pressione di
pulsazione aortica (PPa)(r=0.35, p<0.05) e tende ad essere correlata ad AIx
(r=0.27; p=ns) e PWV (r=0.25; p=ns).
La PPa è risultata correlata inversamente a E/A (r=–0.47; p<0.01) e direttamente
a EDT (r=0.52; p<0.01) (Figura 9).
Figura 9. Relazione della PP aortica (PPa) con il rapporto E/A (r=–0.47; p<0.01) (sinistra)
e l’EDT(r=0.52; p<0.01) (destra) nella popolazione di pazienti scompensati.
300
7
275
6
250
225
EDT (ms)
E/A
5
4
3
200
175
150
125
2
100
1
75
50
0
0
10
20
30
40
50
60
PPa (mmHg)
70
80
90
100
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
PPa (mmHg)
Per quanto riguarda la correlazione lineare tra parametri funzionali arteriosi e
parametri ecocardiografici, l’AIx è risultato significativamente ed inversamente
46
correlato al rapporto E/A (r=–0.47; p<0.01) e direttamente a EDT (r=0.33;
p<0.05) (Figura 10).
Figura 10. Relazione di AIx con il rapporto E/A (r=–0.47; p<0.01) (sinistra) e l’ EDT
(r=0.33; p<0.05) (destra) nella popolazione di pazienti scompensati.
300
7
275
6
250
225
EDT (ms)
E/A
5
4
3
200
175
150
125
2
100
1
75
50
0
-20
-10
0
10
20
30
40
-20
50
-10
0
10
20
30
40
50
AIx (%)
AIx (%)
La PWV aortica è risultata correlata significativamente con l’EDT (r=0.40;
p<0.05) (Figura 11), ma non con il rapporto E/A.
Figura 11. Relazione tra EDT e PWV aortica nella popolazione di pazienti scompensati.
(r=0.40; p<0.05)
300
275
EDT (ms)
250
225
200
175
150
125
100
75
50
4
6
8
10
12
14
16
18
PWV (m/s)
Dopo la suddivisione in gruppi secondo il pattern diastolico, il gruppo con
maggior compromissione (pattern pseudonormalizzato/restrittivo) ha mostrato
una riduzione significativa della PPa (55±18 vs 35±13; p<0.01), ma anche
47
minore frazione di eiezione (35±9 vs 25±5; p<0.01) rispetto ai pazienti con
pattern diastolico normale o alterato (Figura 12).
Figura 12. PP aortica (PPa) e frazione di eiezione (FE) nei pazienti scompensati con
differente pattern diastolico (N: normale; A: alterato rilasciamento; PN o R:
pseudonormalizzato/restrittivo). * : p<0.05
60.
0
10
0
(
m
m
H
P
P
*
*
E
F 37.
( 5
5
0
0
N
A
PN o
R
Pattern diastolic
o
15.
0
N
A
PN o
R
Pattern diastolic
o
Infine, i pazienti con maggiore compromissione funzionale (classe NYHA III)
sono risultati avere minore frazione di eiezione, un rapporto E/A più elevato ed
un EDT più breve, rispetto ai pazienti delle classi NYHA I e II (Figura 13).
Figura 13. Frazione di eiezione (FE), rapporto E/A ed EDT nei pazienti scompensati con
differente compromissione funzionale (classe NYHA). * : p<0.05
48
Per quanto riguarda i parametri arteriosi, i pazienti in classe NYHA III hanno
valori di AIx più bassi rispetto ai pazienti di classe I e II (Figura 14), mentre la
PWV aortica non è differente.
Figura 14. Augmentation index (AIx) nei pazienti scompensati con differente compromissione
funzionale (classe NYHA). * : p<0.05
50
*
AIx (%)
35
20
5
-10
I
II
III
Classe NYHA
49
Discussione
In questa tesi è stato valutato il rapporto tra i parametri di funzione arteriosa e di
funzione sistolica e diastolica del ventricolo sinistro in pazienti con scompenso
cardiaco congestizio cronico. Tutti i pazienti erano stati sottoposti ad un esame
coronarografico che aveva escluso una patogenesi ischemica aterosclerotica
(albero coronarico indenne da lesioni significative).
L’intervallo di età, l’indice di massa corporea, la distribuzione nelle differenti
classi cliniche funzionali e la terapia, che era piuttosto omogenea e in accordo
con le attuali Linee Guida2, fa sì che il campione possa considerarsi
rappresentativo della realtà ambulatoriale dei pazienti con scompenso non
ischemico nel nostro territorio.
In accordo con i criteri di inclusione, tutti i pazienti erano affetti da disfunzione
sistolica di vario grado con una mediana del 30%. Nella popolazione di pazienti
scompensati in esame, la frazione di eiezione è correlata significativamente con
gli indici di funzione diastolica: inversamente con il rapporto E/A e direttamente
con l’EDT. Come atteso, i pazienti con maggiore compromissione funzionale
(classe NYHA III) hanno frazione di eiezione ridotta rispetto ai pazienti delle
classi NYHA I e II. Parallelamente è stato osservato che i pazienti in classe
NYHA III mostrano un rapporto E/A più elevato ed un EDT più breve.
Per quanto riguarda la relazione tra i parametri funzionali arteriosi ed il
parametro ecocardiografico di funzione sistolica, abbiamo osservato che la
frazione di eiezione tende ad essere correlata, anche se non significativamente,
50
con l’AIx e la PWV aortica, mentre correla significativamente con la sola PP
aortica. Tali dati appaiono in accordo con l’evidenza che nei pazienti con
scompenso cardiaco una bassa PP è predittore indipendente di mortalità47. Per
quanto riguarda l’indice di riflessione periferica dell’onda, l’AIx, la sua
interpretazione nei pazienti con disfunzione sistolica rimane comunque incerta49,
in quanto in questi pazienti il picco sistolico è precoce50 e il tempo di eiezione
del ventricolo sinistro è diminuito, tanto più quanto più è compromessa la
frazione di eiezione. Pertanto, come già discusso nell’introduzione, l’onda
riflessa ritorna all’aorta prossimale più tardi rispetto al picco dell’onda
anterograda, nonostante il tempo di riflessione assoluto non vari, e quindi vi si
somma in misura minore e l’AIx risulta ridotto nei pazienti con cardiomiopatia e
frazione di eiezione ridotta47.
Questa ipotesi è supportata dall’osservazione che nella nostra popolazione i
pazienti in classe NYHA III, con maggiore compromissione clinica, hanno
valori di AIx più bassi rispetto ai pazienti in classe I e II. Al contrario la PWV
aortica non è risultata differente tra i pazienti con diversa classe funzionale.
L’assenza di relazione significativa tra PWV aortica e frazione di eiezione o tra
PWV e la classe funzionale NYHA, può essere spiegata dal contemporaneo
reclutamento di pazienti con funzione sistolica maggiormente ridotta (<40%), in
cui la PWV è correlata alla frazione d’eiezione, nonché alla frequenza e alla
pressione media, e pazienti con funzione sistolica lievemente ridotta (frazione
d’eiezione tra 40% e 50%), in cui tale associazione non è presente 49.
51
Per quanto riguarda l’aspetto più originale del presente lavoro, i parametri
ecocardiografici di disfunzione diastolica erano correlati sia con la PP aortica
che con l’AIx, mentre la PWV aortica è risultata correlare significativamente
soltanto con l’EDT. Una possibile spiegazione deriva dal fatto che la PWV
aortica è indice diretto della rigidità arteriosa centrale, mente l’AIx ed in parte la
PP aortica, sono influenzati dall’ampiezza e dell’origine della riflessione
dell’onda in periferia e quindi dallo stato del circolo periferico24, 25.
In accordo con i risultati dell’analisi di regressione semplice, quando i pazienti
sono stati suddivisi in base al pattern ecocardiografico diastolico, quelli con
maggior compromissione diastolica (con pattern pseudo-normalizzato o
restrittivo) mostravano una PP aortica significativamente minore rispetto ai
pazienti con pattern normale o di alterato rilasciamento. Tuttavia, i pazienti con
maggiore disfunzione diastolica presentavano anche una minore funzione
sistolica, che può essere causa di per sé di una riduzione della onda sfigmica
anterograda e contribuire pertanto ad una minore PP aortica.
52
Conclusioni
Nei pazienti con scompenso cardiaco congestizio non ischemico la disfunzione
diastolica del ventricolo sinistro si associa ad una ridotta pressione arteriosa
centrale ed una apparente ridotta rigidità arteriosa. Questi fenomeni sembrano
essere dipendenti dall’entità della disfunzione sistolica.
Le successive analisi dei dati raccolti potrebbero evidenziare l’eventuale ruolo
dell’attivazione neuro-ormonale (ad esempio dei livelli di BNP) nella relazione
tra funzione arteriosa e disfunzione sistolica e diastolica del ventricolo sinistro.
Altre informazioni interessanti potrebbero derivare dalla misurazione della
rigidità arteriosa locale (ad esempio a livello carotideo con metodica ecografica)
che è meno influenzata dalla funzione di pompa.
Queste analisi potrebbero anche fornire il supporto fisiopatologico per
l’introduzione in termini prognostici di nuove procedure diagnostiche basate
sulla valutazione della rigidità arteriosa e soprattutto per proporre presidi sia
farmacologici che non farmacologici atti a migliorare la prognosi del paziente
con scompenso cardiaco.
53
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