Appunti di Meccanica Quantistica prima parte Paolo Cavallo 4 marzo 2004 Sommario Le idee principali della Meccanica Quantistica sono presentate in maniera elementare nel contesto dell’ultimo anno della Scuola Superiore. La prima parte del testo riassume il percorso storico dal 1900 (legge del corpo nero di Planck) al 1927 (equazione di Schrödinger e principio di indeterminazione). La seconda parte dovrà sviluppare schematicamente i principi della teoria, cosı̀ come essi sono formulati oggi . 1 1.1 Lo sviluppo storico 1900: Planck e il corpo nero Un corpo nero è un qualunque corpo che assorba tutta l’energia elettromagnetica che incide su esso, senza rifletterla. Un tale corpo emette energia elettromagnetica, ossia irraggia, soltanto in funzione della propria temperatura. L’intensità di irraggiamento I, definita come l’energia irradiata per unità di area nell’unità di tempo, è direttamente proporzionale alla quarta potenza della temperatura: I = σT 4 . (1) Questa legge, detta di Stefan-Boltzmann, è una conseguenza dei principi della termodinamica applicati al corpo nero. Allo stesso modo si dimostra la legge dello spostamento di Wien, che afferma che il prodotto fra la temperatura assoluta di un corpo nero e la lunghezza d’onda corrispondente alla massima potenza irradiata è costante: λmax T = 2,898 × 10−3 m · K. (2) L’elettromagnetismo classico dava risultati in aperta contraddizione con questi teoremi. Max Planck riuscı̀ nel 1900 a ottenere la corretta funzione di distribuzione della potenza irradiata facendo l’ipotesi che gli scambi energetici fra materia e campo elettromagnetico potessero avvenire soltanto in maniera discreta, per quanti di energia hf , con h = 6,62618 × 10−34 J · s. La formula di Planck è h 2πc2 R(λ,T ) = 5 (3) hc λ e λkT − 1 e fornisce la frazione di potenza irradiata in una banda di larghezza infinitesima dλ centrata sulla lunghezza d’onda λ. Se si vuole la distribuzione in frequenza la si può scrivere come: R(f,T ) = 1.2 2π hf 3 . hf c2 e kT −1 (4) 1905: Einstein e l’effetto fotoelettrico Nell’effetto fotoelettrico si osserva l’emissione di elettroni da parte di una piastra metallica se questa viene illuminata da una radiazione elettromagnetica di frequenza abbastanza alta. In 1 MECCANICA QUANTISTICA 2 contraddizione con quanto previsto dall’elettromagnetismo classico, una sorgente per quanto intensa non produce alcun effetto se la frequenza è inferiore al valore di soglia fmin . Albert Einstein mostrò nel 1905 che è possibile spiegare questo fenomeno ipotizzando che la radiazione elettromagnetica sia composta di corpuscoli di energia corrispondente ai quanti di Planck: E = hf = h 2πf = ~ω. 2π (5) Per uscire dal metallo, un elettrone deve assorbire un quanto di energia almeno uguale all’energia W di legame dell’elettrone nel reticolo cristallino, il che spiega l’esistenza di una frequenza di soglia. Una sorgente intensa, ma di frequenza inferiore a fmin , emette un grandissimo numero di fotoni, ciascuno dei quali però ha un’energia insufficiente a liberare l’elettrone. Poiché i quanti devono muoversi alla velocità della luce nel vuoto, c, dalle espressioni dell’energia e della quantità di moto nella relatività ristretta si deduce che essi devono avere massa nulla. L’espressione: 1 E = γm0 c2 = q m0 c2 (6) v2 1 − c2 può restare finita, al tendere di v a c, soltanto se allo stesso tempo m0 tende a 0. Per la quantità di moto si ottiene: p = γm0 v = γm0 c2 1.3 v v c E hf h =E 2 =E 2 = = = . c2 c c c c λ (7) 1913: Bohr e la quantizzazione dell’atomo Nel 1911 Ernst Rutherford e i suoi collaboratori avevano stabilito il modello nucleare dell’atomo. Tale modello incontrava gravi difficoltà nello spiegare la stabilità degli atomi stessi e le righe spettrali osservate in spettroscopia. Nel 1913 Niels Bohr propose di risolvere questi problemi, nel caso dell’atomo di idrogeno, introducendo un’ipotesi ad hoc: che l’elettrone potesse orbitare intorno al nucleo soltanto su alcune orbite, e che il passaggio da un’orbita all’altra si accompagnasse allo scambio di un quanto elettromagnetico di energia uguale alla differenza di energia fra le due orbite hf = ∆E. (8) La condizione di esistenza per le orbite stazionarie (circolari) di Bohr prende la forma di una condizione di quantizzazione della grandezza momento angolare dell’elettrone, che potrebbe assumere soltanto valori uguali a multipli interi della costante di Planck ridotta: L = p · r = mv · r = mωr · r = n h = n~. 2π (9) La forza centripeta agente sull’elettrone deve essere uguagliata alla forza di Coulomb fra l’elettrone e il nucleo: 1 e2 ma = mω 2 r = (10) 4π²0 r2 dove e è la carica dell’elettrone e del nucleo H + . Confrontando la (9) e la (10) si può scrivere: (n~)2 = (mωr2 )2 = m · mω 2 r · r3 = m me2 r 1 e2 3 r = 2 4π²0 r 4π²0 (11) da cui si ricava l’espressione di r: 4π~2 ²0 . (12) me2 L’n-esima orbita stazionaria ha raggio rn dato da questa espressione. Per un’orbita circolare l’energia totale dev’essere uguale a metà dell’energia potenziale: r = n2 E =U +K = 1 1 1 e2 U =− . 2 2 4π²0 r (13) MECCANICA QUANTISTICA 3 Sostituendo il valore di r dato dalla (12) si ottiene: E=− 1 1 2 me2 1 me4 e =− 2 . 2 2 2 4π²0 4π~ ²0 n n 32π 2 ~2 ²20 (14) L’n-esima orbita stazionaria ha energia En data da questa espressione. Ricavando nella (8), con l’aiuto della (14), la frequenza della radiazione scambiata nella transizione dall’orbita n all’orbita n0 , si ottiene l’espressione: µ ¶ ∆E me4 1 1 fn0 n = = 3 2 − 2 (15) h 8h ²0 n02 n in perfetto accordo con i dati sperimentali spettroscopici. 1.4 1923-27: de Broglie, Davisson e Germer e il dualismo ondaparticella In Francia, Louis de Broglie propose, in tre articoli del 1923 e nella sua tesi di dottorato del 1924, di associare alle particelle materiali come l’elettrone un’onda, in modo da estendere alla materia il dualismo onda-particella già introdotto da Einstein per la luce. De Broglie argomentò che, se si associava all’elettrone un’onda di lunghezza d’onda λ= h p (16) si potevano interpretare le orbite stazionarie dell’atomo di Bohr come quelle orbite di lunghezza tale da produrre un’interferenza costruttiva dell’onda elettronica con se stessa. Infatti, per un’orbita circolare di raggio r, il momento angolare prende la forma: L = pr = hr λ (17) e dalla (9) si ottiene: 2πr ~2πr = n~ ⇒ =n (18) λ λ che indica appunto che l’orbita contiene un numero intero di lunghezze d’onda. L’ipotesi di de Broglie ricevette una conferma diretta da una serie di esperimenti, culminanti nel 1927 con i risultati di Clinton J. Davisson e Lester H. Germer. Questi, facendo incidere un fascio di elettroni su un cristallo di nickel opportunamente tagliato, ottennero una figura di interferenza prodotta dagli elettroni deflessi dai vari piani cristallini. Gli elettroni, dunque, manifestano aspetti ondulatori. 1.5 1925-1927: Heisenberg, Schrödinger, Born e la nuova meccanica quantistica L’obiettivo più importante a questo punto era quello di determinare la “equazione del moto” dell’elettrone nella nuova fisica. Il primo a riuscirci fu nel 1925 Werner Heisenberg, che la ottenne in una forma in cui comparivano soltanto grandezze fisiche direttamente osservabili. Lo stesso anno Max Born e Pascual Jordan mostrarono che le equazioni di Heisenberg potevano essere interpretate come relazioni fra matrici. Si trattava di leggi espresse in una forma piuttosto difficile da maneggiare e non associate ad alcun modello dei fenomeni atomici: per questo motivo, la reazione di molti fisici fu di perplessità. L’anno seguente Erwin Schrödinger ottenne un’equazione che aveva una forma molto più familiare. Si trattava di una equazione d’onda simile a quella che descrive le onde su una corda di violino, e fra le sue soluzioni figuravano le onde di de Broglie. MECCANICA QUANTISTICA 4 L’equazione di Schrödinger è: ∂ψ ~2 2 ~2 i~ =− ∇ ψ+Vψ =− ∂t 2m 2m µ ∂2ψ ∂2ψ ∂2ψ + + ∂x2 ∂y 2 ∂z 2 ¶ + V ψ. (19) Anche se si tratta di un’equazione molto complessa, possiamo fare su di essa alcune considerazioni elementari: 1. si tratta di un’equazione differenziale (alle derivate parziali) la cui incognita è una funzione ψ = ψ(x, y, z, t), nota come funzione d’onda; 2. la funzione d’onda dipende dal potenziale elettrostatico V che compare nell’equazione; √ 3. poiché nell’equazione compare l’unità immaginaria i = −1, le funzioni d’onda saranno in generale funzioni complesse; 4. poiché l’equazione è lineare (ψ compare soltanto alla prima potenza), qualunque combinazione lineare di soluzioni dell’equazione è a sua volta una soluzione di essa (principio di sovrapposizione). Il principio di sovrapposizione suggerı̀ a Schrödinger una possibilità per superare il dualismo onda-particella inaugurato da Einstein e de Broglie. L’equazione di una particella libera (V = 0) che si propaga lungo l’asse x (ψ = ψ(x, t)) può essere scritta nella forma semplificata: − ~2 d2 ψ = Eψ 2m dx2 che ha per soluzione un’onda piana sinusoidale di ampiezza ψ0 : Ã√ ! ³p ´ 2mE ψ = ψ0 sin x = ψ0 sin x . ~ ~ (20) (21) (Si tratta di un’onda di de Broglie di lunghezza d’onda data dalla (16).) Sovrapponendo secondo il teorema di Fourier infinite onde piane di lunghezza d’onda diversa, si può ottenere un pacchetto di onde molto localizzato che si propaga con velocità v = p/m, proprio come la particella che descrive. Schrödinger propose di lasciar cadere del tutto il concetto di particella, sostituendolo con quello di pacchetto localizzato di onde. La proposta di Schrödinger incontrò due difficoltà fondamentali, che condussero alla formulazione definitiva della meccanica quantistica: 1. Anche se il centro di massa del pacchetto di onde si propaga con velocità v, le singole onde piane che lo compongono si propagano con velocità differenti. Di conseguenza il pacchetto si sparpaglia nel tempo e non può più essere identificato con una particella classica. Born mostrò nel 1926 che l’interpretazione corretta della funzione d’onda è quella di una ampiezza di probabilità. In particolare, il quadrato del modulo della funzione d’onda fornisce la probabilità che l’elettrone si trovi nella posizione x (con un’incertezza ∆x) all’istante t: P (x, t) = |ψ(x, t)|2 ∆x. 2. Nella costruzione del pacchetto di onde occorre usare funzioni d’onda con valori di λ e quindi di p differenti. Quanto minore dev’essere la larghezza ∆x del pacchetto, tanto maggiore dev’essere lo spettro ∆p di valori della quantità di moto che compaiono nella serie di Fourier. Heisenberg dimostrò nel 1927 che il prodotto fra le due ampiezze dev’essere sempre dell’ordine della costante di Planck. Più precisamente, deve valere il principio di indeterminazione: ∆x ∆p & ~. (22) In base a questo principio, l’elettrone (e cosı̀ ogni altra particella) non può avere un valore del tutto definito della posizione e della velocità: quando il valore di una grandezza è ristretto entro uno spettro di valori molto limitato, il valore della grandezza complementare dev’essere affetto da una indeterminazione molto elevata. MECCANICA QUANTISTICA 5 Il principio di sovrapposizione, il principio di indeterminazione e il concetto di ampiezza di probabilità costituiscono il cuore della meccanica quantistica. A tutt’oggi risultano validi entro un livello di precisione mai raggiunto da nessun altra teoria, e ogni tentativo di dimostrarne la falsità è fallito. Anche se sul significato di questi principi si discute ancora, ogni teoria valida dei processi fondamentali di cui disponiamo si basa su essi. Un esempio di applicazione del principio di indeterminazione Supponiamo che l’elettrone di un atomo di idrogeno sia in una condizione caratterizzata dalla minima indeterminazione possibile: ∆x ∆p = ~. (23) Poiché la posizione x sarà dell’ordine del raggio atomico, diciamo a, questo sarà anche l’ordine di grandezza di ∆x. Allo stesso modo, p sarà dell’ordine della minima ∆p ammessa, ~/a L’energia potenziale e l’energia cinetica avranno il valore: U =− 1 e2 4π²0 a K= p2 ~2 = 2m 2ma2 (24) e l’energia totale sarà data dall’espressione: E=− 1 e2 ~2 + . 4π²0 a 2ma2 (25) La “posizione di equilibrio” dell’elettrone è quello per cui l’energia assume il valore minimo. Uguagliando a zero la derivata di E rispetto ad a si ottiene dE 1 e2 ~2 =+ − =0 da 4π²0 a2 ma3 che ha come soluzione (26) 4π~2 ²0 (27) me2 che è appunto il valore (12) del raggio di Bohr dell’orbita fondamentale, con n = 1. In altri termini: il principio di indeterminazione costringe l’elettrone a trovarsi in media a una distanza dal nucleo non inferiore al raggio atomico sperimentalmente noto. Si potrebbe dire che il principio di indeterminazione è responsabile della stabilità dell’atomo. a=