25-02-2008 14:44 Pagina 1 Anno XII - N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68cop1 Anno XII Bimestrale edito da La Libera Compagnia Padana 68 Novembre-Dicembre 2006 In questo numero: Ripartiamo dalla cultura pag. 3 I Celti nel Veneto occidentale Fitte comunità di agricoltori -guerrieri Cenomani nel veronese pag. 25 Carta europea dell’autonomia locale pag. 36 La Libera Compagnia Padana Quad68cop2 25-02-2008 14:45 Pagina 2 La Libera Compagnia Padana Quaderni Padani Casella Postale 55 - Largo Costituente, 4 - 28100 Novara Tel. 333-1511182 E-mail: [email protected] Sito Internet: www.laliberacompagnia.org Direttore Responsabile: Alberto E. Cantù Direttore Editoriale: Gilberto Oneto Redazione: Alfredo Croci Corrado Galimberti Silvia Garbelli Mariella Pintus Sergio Salvi Carlo Stagnaro Grafica: Laura Guardinceri Sui Quaderni sono stati pubblicati interventi di: Francesco Mario Agnoli, Ettore A. Albertoni, Giuseppe Aloè, Adriano Anghilante, Aureli Argemì, Camillo Arquati, Lorenzo Banfi, Augusto Barbera, Fabrizio Bartaletti, Alessandro Barzanti, Ettore Beggiato, Alina Benassi Mestriner, Claudio Beretta, Daniele Bertaggia, Dionisio Diego Bertilorenzi, Vera Bertolino, Fiorangela Bianchini Dossena, Diego Binelli, Roberto Biza, Giorgio Bogoni, Fabio Bonaiti, Luisa Bonesio, Massimo Bonini, Archimede Bontempi, Romano Bracalini, Nando Branca, Marco Brigliadori, Gustavo Buratti, Beppe Burzio, Luca Busatti, Lorenzo Busi, Ugo Busso, Massimo Cacciari, Giulia Caminada Lattuada, Alessandro Campi, Alberto E. Cantù, Antonio Cardellicchio, Mauro Carena, Massimiliano Carminati, Claudio Caroli, Marcello Caroti, Roberto Castelli, Giorgio Cavitelli, Sergio Cecotti, Massimo Centini, Enrico Cernuschi, Leone Chesini, Gualtiero Ciola, Bastianu Compostu, Carlo Corti, Michele Corti, Mario Costa Cardol, Fabrizio Costan Biedo, Giulio Crespi, Alfredo Croci, Pierluigi Crola, Mauro Dall’Amico Panozzo, Roberto De Anna, Alain De Benoist, Antonio De Felip, Lorenzo Del Boca, Massimo De Leonardis, Alexandre Del Valle, Corrado Della Torre, Rolando Di Bari, Alessandro D’Osualdo, Marco Dotti, Costantino Fabris, Giovanni Fabris, Leonardo Facco, Gigi Ferrario, Rosanna Ferrazza Marini, Alberto Filippi, Davide Fiorini, Giovanni Fontana, Marco Formentini, Roberto Formigoni, Alberto Fossati, Eugenio Fracassetti, Sergio Franceschi, Elio Franzin, Carlo Frison, Giorgio Fumagalli, Corrado Galimberti, Stefano Galli, Silvia Garbelli, Giorgio Garbolino Boot, Pascal Garnier, Mario Gatto, Ottone Gerboli, Michele Ghislieri, Marco Giabardo, Davide Gianetti, Renato Giarretta, Guido Giovannetti, Giacomo Giovannini, Roberto Gremmo, Flavio Grisolia, Michela Grosso, Paolo Gulisano, Joseph Henriet, Hans Hermann Hoppe, Matteo Incerti, Thierry Jigourel, Eva Klotz, Luca Lanzini,Sarah Lawrence, Donata Legnani Maggi, Alberto Lembo, Pierre Lieta, Roberto Locatelli, Gian Luigi Lombardi Cerri, Carlo Lottieri, Pierluigi Lovo, Silvio Lupo, Berardo Maggi, Aldo Marocco, Antonio Martino, Andrea Mascetti, Pierleone Massaioli, Cristian Merlo, Sirola Metella, Ettore Micol, Gianfranco Miglio, Leo Miglio, Giogio Milanta, Giancarlo Minella, Alberto Mingardi, Renzo Miotti, Piergiorgio Mirandi, Franco Miroglio, Aldo Moltifiori, Maurizio Montagna, Costantino Morello, Giuseppe Motta, Giorgio Mussa, Andrea Olivelli, Gilberto Oneto, Giancarlo Pagliarini, Ugo Palaoro, Paolo Pamini, Alessia Parma, Patrizia Patrucco, Mario Predabissi, Elena Percivaldi, Angelo M. Petroni, Mariella Pintus, Daniela Piolini, Guglielmo Piombini, Giulio Pizzati, Francesco Predieri, Quirino Principe, Ausilio Priuli, Leonardo Puelli, Alberto Quadrio Curzio, Laura Rangoni, Igino Rebeschini-Fikinnar, Romano Redini, Patrick Riondato, Andrea Rognoni, Rocco W. Ronza, Giuliano Ros, Maurizio G. Ruggiero, Sergio Salvi, Oscar Sanguinetti, Rossana Sapori, Lamberto Sarto, Gianni Sartori, Gianluca Savoini, Massimo Scaglione, Laura Scotti, Ermanno Serrajotto, Alessandro Severi, Leo Siegel, Marco Signori, Giovanni Simonis, Stefano Spagocci, Marcello Staglieno, Carlo Stagnaro, Alessandro Storti, Silvano Straneo, Giacomo Stucchi, Stefano Talamini, Candida Terracciano, Tito Tettamanti, Stefano Tomiato, Mauro Tosco, Fabio Trabucco Ratto, Claudio Tron, Nando Uggeri, Fredo Valla, Ferruccio Vercellino, Giorgio Veronesi, Antonio Verna, Alessio Vezzani, Alessandro Vitale, Eduardo Zarelli, Davide Zeminian, Antonio Zòffili, Marino Zorzi. Spedizione in abbonamento postale: Art. 2, comma 34, legge 549/95 Stampa: Ala, via V. Veneto 21, 28041 Arona (NO) Registrazione: Tribunale di Verbania: n. 277 I «Quaderni Padani» raccolgono interventi di aderenti a “La Libera Compagnia Padana” ma sono aperti anche a contributi di studiosi ed appassionati di cultura padanista. Le proposte vanno indirizzate a: La Libera Compagnia Padana. Il materiale non viene restituito. Periodico Bimestrale Anno XII - N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Bavaglio tricolore - Brenno 1 Ripartiamo dalla cultura - Silvia Garbelli 3 Le minoranze liguistiche allofone sul territorio tedesco. Loro dislocazione e salvaguardia - Fabio Trabucco Ratto 10 Il Trophée des Alpes: un antico segno di oppressione - Gilberto Oneto 19 I Celti nel Veneto occidentale. Fitte comunità di agricoltori-guerrieri Cenomani nel veronese - Leone Chesini 25 Chi è responsabile della comunicazione nella Lega Nord? - Alessandro Severi 31 Carta europea dell’autonomia locale - Consiglio d’Europa, 1985 36 La Rubrica Silenziosa 40 Biblioteca Padana 48 Norme per i collaboratori ai Quaderni Padani 60 Quad68imp 25-02-2008 14:46 Pagina 1 Bavaglio tricolore F ra le varie perle che ruotano attorno alla Finanziaria 2007 si trova anche un intervento collegato, dedicato a disposizioni urgenti di carattere finanziario. Si tratta del Decreto Legge 03.10.2006 n. 262 , pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dello stesso giorno. In mezzo a molte altre cose, è piuttosto dolorosamente interessante l’Articolo 32, titolato “Riproduzione di articoli di riviste o giornali”, il cui testo dice: “1. All’articolo 65 della legge 22 aprile 1941, n. 633, dopo il comma 1, è inserito il seguente: “1-bis. I soggetti che realizzano, con qualsiasi mezzo, la riproduzione totale o parziale di articoli di riviste o giornali, devono corrispondere un compenso agli editori per le opere da cui i suddetti articoli sono tratti. La misura di tale compenso e le modalità di riscossione sono determinate sulla base di accordi tra i soggetti di cui al periodo precedente e le associazioni delle categorie interessate. Sono escluse dalla corresponsione del compenso le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.” In pratica si vieta la riproduzione di testi senza l’autorizzazione del periodico da cui è tratta e senza il pagamento di un compenso la cui determinazione non è più neppure lasciata alla libera contrattazione fra le parti, ma sottoposta alle “associazioni di categoria interessate”. Quali sono? La SIAE, gli ordini, le associazioni di giornalisti o tipografi, i sindacati? Non è neppure definito cosa si intenda per “riproduzione parziale”: basta una frase o un periodo per fare scattare le disposizioni di legge? Di una legge che non tenta neppure di mitigare i suoi intenti liberticidi. Se così fosse, nella felice Repubblica italiana non si potranno più citare, riportare né – evidentemente – commentare testi e affermazioni senza l’esplicita autorizzazione di chi li ha redatti. Si tratta di un colossale bavaglio alla libertà di espressione e di Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 stampa. Il diktat riguarda la carta stampata ma anche – a maggior ragione – l’informazione in rete: più nessuno su Internet potrà riportare testi altrui. Fino a oggi bastava non abusare della lunghezza delle citazioni e citare la fonte, ora bisognerà esibire regolare autorizzazione e ricevuta di pagamento, con bolli, timbri e ceralacca? Così lo Stato italiano tenta di togliere un altro prezzo di libertà. È piuttosto strano che non molte voci si siano levate contro questo ennesimo sopruso, forse perchè le malefatte governative sono così estese e numerose che non si può stare dietro a tutte. Nella sostanza, poco infatti cambia anche che le Commissioni riunite Bilancio e Finanza della Camera abbiano approvato il 18 ottobre successivo un emendamento del deputato radicale della “Rosa nel Pugno” Maurizio Turco che chiede la soppressione dell’articolo incriminato del decreto fiscale collegato alla Finanziaria. La soppressione definitiva di tale articolo dovrà infatti essere rimessa al voto dell’aula. Se il governo porrà la fiducia sull’approvazione dei suoi provvedimenti, difficilmente il pronunciamento del Parlamento sarà recepito. In ogni caso (e quando questo numero dei Quaderni sarà stato distribuito i giochi saranno stati fatti) si tratta di una tremenda manifestazione di illiberalità: è il frutto di una mentalità oppressiva che odia ogni forma di libera espressione del pensiero. È una sommatoria di fascismo e di leninismo, è un concentrato di italianità. É importante che la norma non passi ma è comunque ignobile che una cosa del genere sia stata pensata e tentata a livello di governo. L’applicazione della norma riguarderebbe molto da vicino chi si occupa di diffusione culturale e in particolare le Associazioni come la nostra che affidano soprattutto alla carta stampata e a Internet i propri messaggi. Come questo genere di anQuaderni Padani - 1 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 2 Silvio Lupo è andato avanti. Classe 1915, era il decano degli autonomisti piemontesi e dei soci de La Compagnia, cui era iscritto dalla sua fondazione. É stato collaboratore dei Quaderni. Alpino della Julia, reduce dall’Albania, aveva redatto numerosi articoli sul significato delle truppe ad arruolamento territoriale: tema di cui era esperto assieme alla storia celtica. Dagli anni ’70 era attivo nelle associazioni e nei gruppi autonomisti, nel 1993 era stato eletto consigliere comunale a Novara nelle file di un Movimento di cui ha vissuto con dolore il progressivo sfaldamento, che nella sua città ha assunto connotati particolarmente devastanti. Anni fa, a Montecrestese, Silvio Lupo era stato maestro di cerimonia nel “battesimo” del menhir che era stato innalzato dalla nostra Associazione: La Libera Compagnia vuole ricordarlo così, nella sua veste di druido saggio e di tenace custode delle nostre radici identitarie. 2 - Quaderni Padani gherie tricolori potrà condizionare il nostro lavoro? I Quaderni non sono una pubblicazione in distribuzione attraverso i normali canali commerciali e sono di fatto un bollettino interno riservato ai soli Soci, cui nessuno – almeno finora – può proibire di mostrarli e farli leggere a chi pare loro. Per questo la disposizione non dovrebbe toccarci, neppure quando riproduciamo testi altrui di cui si è sempre e comunque scrupolosamente citata la paternità. Diverso potrebbe essere l’esito degli stessi testi e articoli quando vengono riprodotti – con il resto dei contenuti dei Quaderni – sul nostro sito. Attendiamo per questo gli sviluppi applicativi della nequizia legislativa e ci uniformeremo al comportamento di tutti gli altri soggetti interessati, tenendo ben presente che la cosa toccherebbe praticamente tutti i siti Internet che si occupano di informazione, divulgazione e cultura. Una cosa la possiamo però fin d’ora affermare con certezza: noi non pretenderemo autorizzazioni né pagamenti per la riproduzione di testi che noi abbiamo prodotto e pubblicato. Il nostro obiettivo è quello di fare circolare il più liberamente e ampiamente possibile le nostre idee e cercheremo di non farci imbavagliare da imposizioni della censura italiana. Pertanto d’ora in poi su tutte le nostre pubblicazioni e sul nostro sito comparirà in bella evidenza la seguente scritta: “La riproduzione totale o parziale dei nostri testi è libera, alla sola condizione che venga citata la fonte. Questa vale come esplicita dichiarazione di autorizzazione e solleva chiunque effettuerà la riproduzione anche da ogni obbligo di corresponsione di qualsiasi compenso”. Brenno Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 3 Ripartiamo dalla cultura di Silvia Garbelli S ono passati circa dieci anni da quel memorabile e significativo 15 Settembre 1996. Lungo le rive del fiume Po, dalle sorgenti alla laguna di Venezia, tanti Padani si erano raccolti con la consapevolezza di partecipare a un rito battesimale. Sembrava che la legittimazione della statualità padana potesse avvenire con grande facilità e soprattutto a breve termine. Paradossalmente, questa legittimazione tarda a concretizzarsi, proprio a fronte delle condizioni fallimentari dello Stato italiano, la cui sopravvivenza è vincolata allo sfruttamento socio-economico della Padania. Le cause sono ovviamente più di una, e questa non vuole essere la sede per un’analisi politica. Ci basti però ricordare come sia stata persa un’importante occasione per raggiungere un livello di autonomia proprio Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 attraverso la sconfitta al referendum di quella riforma costituzionale tenutasi gli scorsi 25 e 26 Giugno. La cosiddetta Devolution, propugnata principalmente dalla Lega Nord con la Casa della Libertà, non ha ottenuto i necessari consensi popolari per diventare legge. Stravolta nei contenuti e nella sostanza rispetto a quanto presente nel programma elettorale del 2001 (affrontata nei Quaderni Padani n. 57-58 e 60), non avrebbe certo soddisfatto le forti richieste di autonomia e indipendenza dei Popoli Padani. Il fallimento dell’intera coalizione della Casa della Libertà esigerebbe di ripensare al futuro. Ma si lascia ai politici e ai suoi famosi autori, i “Saggi di Lorenzago di Cadore”, la responsabilità di risponderne, non solo istituzionalmente, agli elettori. L’esito della consultazione popola- Quaderni Padani - 3 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 4 re è schiacciante: se, infatti, la maggioranza dei consensi favorevoli si riscontra in prevalenza nelle zone corrispondenti alle regioni Lombardia e Veneto, nel resto della Padania la situazione è “a macchia di leopardo”. In Italia si afferma, invece, il voto di segno opposto. Ritorna quindi d’interesse la Costituzione con la riforma del Titolo V attuata dalla coalizione di Centrosinistra. Datata 2001, resta a tutt’oggi in vigore e contempla l’articolo 132, che permette di attuare nuove aggregazioni territoriali. Così, dopo i primi giorni di rituali polemiche fra i due schieramenti politici, senza alcun Congresso per stabilire la linea futura, alcuni esponenti della Lega Nord, avanzano, a livello ufficiale, l’ipotesi di puntare tutto sulla realizzazione del Lombardo-Veneto. Si porrebbe, anche da parte loro, una profonda e seria riflessione, ma, come d’incanto, si levano e immediati, i pareri di varie personalità del panorama mediatico. Dalle colonne del più diffuso quotidiano italiano, Il Corriere della Sera, si avvicendano tante, troppe, voci sul tema del Lombardo-Veneto. Questi pareri, sorti improvvisamente come funghi nel sottobosco della politica italiana, sono 4 - Quaderni Padani di varia tipologia ma prevalentemente velenosi, e vanno analizzati con attenzione. Così, si è attuato un calibrato gioco di pro e di contro circa la proposta dell’ipotetica aggregazione territoriale. È una gara unitarista e patriottarda: in tutti gli articoli si individua, più o meno malcelata, la presenza della “dose minima” di interesse nazionale (italiano). In tutti si nega o si critica l’esistenza della Padania, ma nessun autore è in grado – ovviamente - di definire cosa sia l’italianità e l’identità italiana. Vediamo in sintesi questi frutti della più scaltra strategia dell’italica concezione, ideologicamente trasversale, del “divide et impera”. Il primo ad aprire quello che viene definito “dibattito”- ma non vi è alcun contraddittorio in ordine cronologico, domenica 2 luglio, è Ernesto Galli Della Loggia sul “Il paradosso del Lombardo-Veneto”. Da direttore della Collana L’identità italiana della casa editrice Il Mulino, egli non potrebbe mai negare la natura disomogenea delle attuali regioni, Stati preunitari prima dell’imposto processo risorgimentale. Si erge, con notevole difficoltà, a paladino di una unità statuale le cui storture sociali sono state Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 5 sempre mal sopportate da Lombardi e Veneti (e da tutti gli altri popoli padani). L’intero articolo, utile elenco delle diversità storiche caratterizzanti la formazione delle Regioni in oggetto, elenca con dovizia di particolari eventi, personaggi, elementi religiosi, sociali ed economici talmente peculiari da rendere impossibile l’eventuale fusione politico-amministrativa del Lombardo-Veneto. Si apprezza che Galli riconosca “una sorta di sinergia...in sostanza estranea al paradigma fondativo della comunità politica italiana, un’“espressione di una cultura anch’essa perlopiù lontana dalla koiné d’impronta statal-nazionale storicamente affermatasi nell’Italia postunitaria”. Ma in fine di articolo, Galli si pente di mostrarsi consapevole di tali diversità, abiurando: “Quello che ho tratteggiato è tuttavia un quadro esclusivamente storico: sul piano delle conseguenze pratiche esso ha un valore solo virtuale.” Il suggerimento di “sottrarsi all’egemonia ideologica nazional-italiana e della elaborazione culturale di grande portata identitaria e dopo semmai politica” è, invece, l’obiettivo che i padanisti si pongono da tempo. Il 3 Luglio si replica. Dario Fertilio, in un articolo (Lombardo-Veneto, un paese che forse non c’è) intervista Claudio Magris, testimonial, né lombardo né veneto, ma a favore della causa unitarista italiana e concorde con Galli Della Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quaderni Padani - 5 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 6 Loggia. Le motivazioni sono in salsa letteraria: si cita il mondo triestino di Svevo; ci si avventura in frasi altisonanti retorico-patriottiche buone per l’aggiornamento del deamicisiano libro Cuore: “l’appartenenza non formale a un corpo più grande di quello che percepiamo immediatamente, il sentirsi italiani – se è inteso correttamente non come nazionalismo giacobino livellatore e deformazione di se stesso - non nega affatto le peculiarità”. Dunque, sì alle differenze, ma che non siano troppo evidenti. Rilevando qualche forte “dubbio” sulle conoscenze storiche di Magris, spiace riconoscere che questo fu proprio quanto è accaduto nel cosiddetto risorgimento. E Fertilio, per italico interesse nazionale, deve ritornare sul terreno letterario, a lui più consono. Magris cita il romanziere Ippolito Nievo, Verri e Manzoni, Carlo Goldoni come fossero folkloriche bandierine di delimitazione; afferma: ”Istintivamente non sento affatto il federalismo di Cattaneo più lontano dell’unitarismo di Mazzini…” o “Mi dichiaro contro il centralismo, compreso quello regionale” e sembra preferisca proprio il giacobino centralismo italiano. Un po’ di chiarezza storica non guasterebbe. Il 4 Luglio: le statistiche. Le cifre delle tabelle dell’Osservatorio di Renato Mannheimer (Lombardo-Veneto, un progetto spinto dalle urne) 6 - Quaderni Padani confermano il divario elettorale tra Nord e Sud degli elettori del centrodestra all’ultimo referendum. Si individua la motivazione in “una comunanza in termini di valori valoriali e culturali”. Con grande scoperta e stupore - dell’autore - si cita un sondaggio recente in cui la parola innovazione nel Lombardo-Veneto significa “lavorare in modo più efficiente, di più” e “nel Centro-Sud, viceversa, fare qualcosa di creativo”. E a fronte di queste lapalissiane verità, Mannheimer suggerisce che la “questione Lombardo-Veneto va attentamente studiata, come fecero alcuni, anni fa, per la questione settentrionale”. Semplici dati economici sarebbero stati più esaurienti, ma favorevoli alla causa dell’indipendenza e l’autonomia padana. Il 5 Luglio si raddoppia. Il più corposo dei due articoli è Lombardo-Veneto, come si costruisce un mito, dello storico Guiseppe Galasso; decisamente di buon livello, ma contraddittorio. La tesi iniziale finisce per sconfessare l’analisi dettagliata. Il sottotitolo è “Dall’assolutismo alla favola del buon governo di Vienna”, ma l’elenco dei vantaggi avuti sotto l’Impero asburgico smentisce l’autore: oltre a “un sicuro sviluppo economico”, “i meriti austriaci sono evidenti: una buona legislazione civile, un buon ordinamento comunale, la migliore scuola e il minore analfabetismo d’Italia, il progresso nelle comuAnno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 7 nicazioni”. Ma perché Galasso parla di un inesistente “senso di soffocamento intellettuale quando in Lombardia vi era la massima libertà di stampa? O dei “Mille in maggioranza lombardi”, adducendo un’inesistente afflato popolare? E sotto lo Stato italiano le condizioni di vita sono davvero progressivamente migliorate? Il senso patriottico italico “è solo alle partite”, come dice una canzone di Giorgio Gaber? È un semplice esempio di incoerenza italonazionalista. L’altro articolo è invece di Giancarlo Galan, presidente della Regione Veneto, da cui ci aspetteremmo un intervento prettamente giuridico-amministrativo. No: ripete pedissequamente quanto detto da Galli Della Loggia più altri riferimenti letterari su Jacopo Ortis, che, “con Venezia e la sua più che millenaria storia repubblicana rappresentano.. mito e nostalgia di una civiltà scomparsi, che resero originale il contributo veneto all’Unità d’Italia..” Un vergognoso oltraggio alla Serenissima e alla verità storica del plebiscito-truffa di annessione al Regno d’Italia del 1866, riscoperta dall’indipendentista veneto Giuseppe Segato, recentemente scomparso. O che Galan si confonda forse con un altro tipo di tributi? Infatti, esprime ottimismo su una possibile macroregione, “assieme al Friuli-Venezia Giulia, Croazia, Slovenia e Carinzia. L’importante è non confondere il federalismo fiscale con il secessionismo o con il più triviale egoismo sociale”. Beata e profonda ignoranza, indegna per il popolo veneto, di forte identità culturale. L’8 Luglio si cambia prospettiva. L’identità culturale lombardo-veneta vista dal Sud; Il mito del Nord produttivo? Non è nato oggi. È il rancoroso, patetico e nazionalpopolare sfogo di tal Gianni Donno sulla eterna differenza di due nazioni, Padania e Italia etnica, ancora giocato su posizioni di (strumentale) razzismo, che rendono all’autore una pessima fama. Confonde l’azione politica della Lega Nord con le reali esigenze di autonomia e indipendenza dei popoli padani; fa poi riferimento a una situazione “alla fine degli Anni Settanta”; è la personificazione del livore di quell’unità imposta dai Savoia ma tuttora pagata dai Padani. Non merita altre parole. Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Il 9 Luglio, ecco il parere del giurista, ex-senatore della sinistra indipendente, economista, saggista e attuale commissario della Federcalcio italiana, Guido Rossi, intervistato dal solito Dario Fertilio. Ci si attenderebbe un taglio tenicogiuridico, ma nel suo Il nuovo Gattopardo si trova di tutto un po’. L’autore definisce subito il Lombardo-Veneto il Paese del piagnisteo” (“Servono gli Asburgo, e scalpitano per l’indipendenza. Riuniti all’Italia, e subito prendono le distanze dalle pretese della burocrazia romana” ). Da professore di filosofia del diritto dichiara che la consuetudine di Lombardi e Veneti è “la loro unità psicologica nella lamentela”. È l’unica forma d’identità, “capace di riunire milanesi e veneziani nel nome del no a Roma”, perché le differenze renderebbero impossibile una simile aggregazione. Sostiene che, “l’elogio delle diversità” teorizzato da Carlo Cattaneo cirQuaderni Padani - 7 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 8 ca “l’operosità del Nord contrapposta al resto neghittoso degli italiani”, sia stato “trasformato in un banale motivo polemico di insofferenza fiscale.” E con un riferimento alla cultura illuminista lombarda e al cattolicesimo di quella veneta, incita a restare buoni schiavi italiani: “Non c’è alcuna ragione che possa giustificare un Lombardo-Veneto separato dal resto dell’Italia. Senza il mercato italiano..sarebbe destinato a scomparire.” Per Rossi, conclude Fertilio, “…continua a sembrare, piuttosto, un incubo.” Con l’auspicio che Rossi si dedichi anima e corpo al risanamento del corrotto gioco del calcio italiano, collante della cosiddetta Unità. Il 10 luglio compare l’articolo di Roberto Chiarini, docente di Storia alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Milano. È un intervento analitico piuttosto concreto su La questione settentrionale nasce con la Re- 8 - Quaderni Padani pubblica. Con una certa onestà intellettuale, si individuano più cause che rendono incerta l’attuale situazione, fra cui l’azione leghista, caratterizzata da “mutevolezza della domanda politica, espressa (secessione, macroregioni, federalismo) con la contraddizione della stessa cultura politica adottata”, e la tardiva “messa a fuoco del problema”. Sottovalutato fin dal “momento di formazione dello Stato…un forte sentimento di un orgoglio del Nord “, operosa vittima di “sperequazioni economiche”, venne ignorato sia dal conflitto ideologico occorso durante il periodo fascista, sia dai “rapporti tra potere centrale e interessi locali” di matrice cattolico-democristiano nel secondo dopoguerra, sia più tardi, “nel 46-47, al momento della fondazione del nuovo Stato repubblicano.” Per Chiarini, sono però “lagnanze” che verranno sfruttate politicamente. Astutamente, si affretta a demonizzare il ruolo del revisionismo, riconoscendo la presenza di “un abbozzo di pensiero storico a sostegno della rivendicazione federalista. La causa starebbe nella “crisi dei partiti di governo, specificatamente della Democrazia Cristiana” a “riattivare gli antichi (e mai sopiti) pregiudizi dell’antipolitica, dell’anti-statalismo e dell’anti-centralismo”. Ma la soluzione sarebbe ancora “una cultura nazionale di governo”: troppo centralista. L’11 Luglio ecco una lezioncina tutta in sintonia con la più becera storiografia italopatriottarda: Il Lombardo-Veneto è il regno dell’antipolitica di Luciano Cafagna. Ancora sulla Questione settentrionale (non si parla affatto di Padania), “nata sulle ceneri della grande crisi fiscale”, come recita il sottotitolo. L’inizio è una vera e propria esaltazione della migliore/peggiore storiografia risorgimentale. Anzi, l’operosità di quelle popolazioni infastidisce Cafagna: “la stragrande maggioranza era restata a casa…a curare le rotazioni agrarie…o ad allevar bachi e trarne la seta nelle baAnno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 9 cinelle…”. Secondo l’autore, è perché in quelle regioni la politica è “o cosa secondaria o addirittura da guardarsi con sospetto”; si sorprende per “la scarsità della tematica politica in un così straordinario intellettuale, aperto in ogni direzione” come Carlo Cattaneo. Sostiene di individuare le premesse della questione settentrionale nello scontro fra questa cultura d’impresa e “il fallimento finanziario dell’Italia trivellatrice della politica”. Cafagna si lancia, dunque, in un’analisi economica, accozzaglia di sprechi generalizzati, sindacalisti e opere pubbliche, inflazione e indebitamento. Lavorate, schiavi di Roma! Qualche breve e umile riflessione conclusiva. L’elemento culturale è stato usato/abusato come una vera e propria arma dell’ideologia centralista italiana: storia, geopolitica ed economia sono da riscoprire attraverso la prospettiva revisionista, tanto temuta dagli adoratori del tricolore unificatore. I padanisti e i lettori dei Quaderni Padani sanno bene come difendersi da Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 questi “attacchi patriottardi”: spunti e riferimenti bibliografici non mancano. Come è loro noto, le differenze di Lombardia e Veneto sono le migliori ragioni per mantenere e consolidare la preziosa essenza dell’identità millenaria. La gloriosa esperienza socio-economica acquisita sotto l’Impero asburgico è un’eredità del passato, una dote creata da avi forti, onesti e laboriosi, ma non può certo condizionarne il futuro. Inoltre, è loro noto che le aggregazioni, secondo il principio del professor Gianfranco Miglio, devono contare su determinate caratteristiche, con forze numericamente maggiori se si è di fronte al subdolo oppressore italiano. Ripartiamo dunque dalla nostra cultura, ancora soffocata, demonizzata e poco diffusa, ma diversa da quella ufficiale propinata nella scuola e sui quotidiani italiani: per noi, contro quei “bravi intellettuali schiavi di Roma”, ma anche a sostegno di tutti quegli esponenti politici che abbiano davvero a cuore le istanze dei popoli padani e le loro identità. Quaderni Padani - 9 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 10 Le minoranze linguistiche allofone sul territorio tedesco Loro dislocazione e salvaguardia di Fabio Trabucco Ratto n Germania il problema della tutela delle minoranze autoctone con radici etnicoculturali proprie appare molto meno complesso che in altri Paesi, principalmente per il fatto che non sono presenti realtà marcatamente separatiste, nonché in quanto la politica tedesca nei confronti delle minoranze è sempre stata all’avanguardia e non ha costituito un ostacolo alla vita sociale e culturali delle etnie presenti sul territorio. Esistono, infatti, normative ad hoc per i singoli gruppi minoritari esistenti nel Paese, le quali sono però in numero estremamente ridotto essendo la loro consistenza non superiore alle quattrocentomila persone, cioè circa lo 0,5% della popolazione totale. Perciò la Germania costituisce uno dei paesi europei con il minor numero di minoranze etniche stanziate al suo interno, rispetto ad altri Stati dove la presenza di comunità allofone è di gran lunga maggiore. A ciò si aggiunga che le stesse risultano localizzate in alcune zone circoscritte del Paese e con un peso politico molto debole. I In questa sede non sono invece affrontate le etnie frutto della recente immigrazione in Germania che pure sono molto cospicue e ben più consistenti rispetto alle minoranze insediate da secoli raggiungendo un totale di circa 7 milioni. In particolare si ricorda che la comunità più numerosa è quella dei turchi (circa 2 milioni), seguita dagli ex-iugoslavi (circa 1 milione), dagli italiani (circa 600 mila)(1) e dai greci (circa 350 mila)(2). In particolare nella Germania riunificata possiamo individuare solamente quattro minoranze storiche(3) che sono: 1. Danesi dello Schleswig; 2. Frisoni, divisi in settentrionali e orientali, della Frisia tedesca; 3. Polacchi della Westfalia; 4. Sorabi della Lusazia. Nei paragrafi che seguono ci proponiamo un loro esame con particolare attenzione alla loro dislocazione e alle norme poste a loro tutela. In Germania sono comunque presenti anche co- (1) La comunità italiana si è sempre dimostrata molto attiva dal punto di vista culturale, tanto è vero che il primo giornale italiano in Germania risale ai primi anni Cinquanta. Infatti, il Corriere d’Italia venne fondato nel 1951 all’interno della Missione cattolica italiana di Monaco di Baviera e fin dall’inizio fu distribuito su tutto il territorio federale. I giornalisti italiani in Germania si sono riuniti nell’associazione Media Club, che si è ufficialmente costituita nel 2000 allo scopo di tutelare gli organi dell’informazione italiana in Germania. Cfr. P. FABBRI, Germania: Media Club, intervento al convegno di Friburgo del 18-19 marzo 2005 su “I media italici in Europa come veicolo di integrazione culturale”, in http://www.mediaecomunicatoriitalici.net/interna.asp?sez=7 02&info=112410. (2) Sul tema del multiculturalismo a seguito dell’immigrazione in Germania si veda V. GÖTZ, Multiculturalismo e valori costituzionali in Germania, in T. BONAZZI, M. DUNNE (a cura di), Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Bo- logna, 1994, 185-200. (3) Per notizie relative ai gruppi linguistici stanziati in Germania e sulla politica linguistica tedesca cfr.: G. BARBINA, La geografia delle lingue, Roma, 1993, 156, nota 3; S. MANCINI, Minoranze autoctone e Stato, Milano, 1996; E. PALICI DI SUNI P RAT , Intorno alle minoranze, Torino, 2002, 113-114; F. TOSO, Frammenti d’Europa, Milano, 1996, 219-225. Inoltre si veda L. BREGANTINI, I numeri e i luoghi delle minoranze etniche dall’Atlantico al Pacifico, Gorizia, 1997, 23, 25, 32, 37, 56-57, 108-109, cui si rimanda per ulteriori approfondimenti relativi ai dati delle consistenze numeriche i quali si rifanno soprattutto alle ricerche curate dal MINISTERO DELL’INTERNO, Ufficio centrale per i problemi delle zone di confine e delle minoranze etniche, L’Europa delle minoranze: primo rapporto, Roma, 1994, dal CONSEIL D’EUROPE, La situation des langues régionales ou minoritarie en Europe, Strasbourg, 1994 e dall’EUROPEAN BUREAU FOR LESSER USED LANGUAGES, Contact Bulletin, 8, 2-3, 1991. 10 - Quaderni Padani Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 11 Aree con presenza di minoranze linguistiche in Germania A – Danesi dello Schleswig, B1 – Frisoni orientali, B2 – Frisoni settentrionali, C – Polacchi della Westfalia, D – Sorabi della Lusazia munità di Rom (stimati in circa 80 mila)(4) e di Ebrei (circa 30 mila unità), ma non si dispongono informazioni sufficienti sulla loro distribuzione in aree specifiche. Da parte sua la Grundgesetz, cioè la Costituzione (rectius: Legge Fondamentale) tedesca del 23 maggio 1949(5) non fa cenno alcuno alla tutela delle minoranze linguistiche stanziate sul (4) Il numero degli Tzigani e dei Rom di cittadinanza tedesca può essere solamente stimato. Al riguardo ricordiamo che a partire dal 1982 il Consiglio centrale degli Tzigani e dei Rom tedeschi gode della protezione del Governo federale e si è attivato al fine di ottenere il risarcimento per i sopravvissuti all’Olocausto, nonché per i diritti della minoranza e la tutela della lingua Rom, lottando contro discriminazioni e pregiudizi. Con riferimento alle comunità nomadi della Germania cfr. J. PACKER, K. MYNTTI, The Protection of Ethnic and Linguistic Minorities in Europe, Åbo, 1993. (5) La Costituzione tedesca del 1949 fu elaborata da una delegazione dei Länder occupati dalle potenze occidentali e successivamente approvata da ciascuno di essi. Tuttavia, proprio perché non poté essere ratificata da tutto il popolo tedesco, diviso in due distinti Stati, non prese il nome formale di Costituzione, bensì quello di “Legge Fondamentale”. Con la riunificazione tedesca del 1990 non ha mutato la sua denominazione in quanto fu estesa ai cinque Länder orientali ma ancora senza una formale ratifica da parte dell’intero popolo tedesco. Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quaderni Padani - 11 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 12 territorio, tanto meno vi è alcuna disposizione relativa alla lingua tedesca quale idioma ufficiale della Repubblica federale. Tuttavia, nel corso del 1994 fu presentata un’apposita proposta di legge costituzionale volta a introdurre un nuovo articolo, secondo cui “Lo Stato tutela l’identità delle minoranze etniche, culturali e linguistiche”(6). Tale proposta venne però respinta a causa della scarsa consistenza delle minoranze linguistiche presenti in Germania. Si è infatti ritenuto che il problema delle minoranze linguistiche non sia una questione di rilievo federale poiché esse sono presenti soltanto in alcuni Länder e infatti norme specificamente dedicate alla tutela dei gruppi minoritari sono contenute nelle Costituzioni dei due Stati federati maggiormente interessati al problema(7)e cioè lo Schleswig-Holstein (in cui ne sono concentrate due: Danesi e Frisoni) ed il Brandeburgo (in cui sono stanziati i Sorabi). In particolare l’art. 5 della Costituzione dello Schleswig-Holstein(8), modificata nel 1990, prevede la libertà di riconoscere una minoranza nazionale, senza dispense dagli obblighi generali dei cittadini, per cui i gruppi danese e frisone hanno diritto alla piena tutela e alla promozione. Inoltre, viene precisato che l’identità culturale e la partecipazione politica di minoranze nazionali e di gruppi sono tutelate dal Land, dai Comuni e dalle associazioni comunali. A tale riguardo occorre ricordare che stante in Germania la competenza dei Länder in materia culturale (comprensiva dunque anche della salvaguardia delle minoranze linguistiche e nazionali) per i gruppi minoritari tedeschi risulta per molti aspetti più importante ottenere una rappresentanza nel Parlamento regionale piuttosto che in quello federale. Circa le azioni positive previste dal potere pubblico tedesco nei confronti della minoranza danese va ricordata la predisposizione di condizioni elettorali più favorevoli attraverso l’eliminazione della clausola di sbarramento (Sperrklausel) del 5% dei voti e del raggiungimento di almeno tre seggi nelle circoscrizioni uninominali, ai fini dell’accesso alla ripartizione dei seggi parlamentari dei rappresentanti delle tre minoranze linguistiche nazionali riconosciute (Danesi e Frisoni nello Schleswig, Sorabi nella Lusazia). ( 6 ) Sulla proposta costituzionale in argomento cfr.: D. FRANKE-R- HOFMANN, Nationale Minderheiten – ein Thema für das Grundgesetz? Verfassung – una völkerrechtliche Aspekte des Schutzes nationaler Minderheiten, in “EuGRZ”, 1992, 401 ss.; H. SCHULZE-FIELITZ, Verfassungsrecht und neue Minderheiten. Verfassungstheoretische Überlegungen zur “multiculturellen Gesellschaft”, in T. FLEINER-GERSTER, Die multikulturelle und multi-ethnische Gesellschaft, Fribourg, 1995, 163 ss.; P. HÄBERLE, Die europäische Verfassungsstaatlichkeit, in “Kritische Vierteljahresschrift für Ge- setzgebung und Rechtswissenschaft”, 1995, 304. (7) Cfr. P. HÄBERLE, Europäische Recthskultur, Baden-Baden, 1997, 315 ss. (8) Cfr. E. PALICI DI SUNI PRAT, op. cit., 114. (9) Nel referendum del 10 febbraio 1920 si pronunciarono a favore della Danimarca 75 mila votanti a fronte dei 25 mila che optarono per la Germania. A seguito di ciò, a far data dal 14 e 15 giugno successivi, lo Schleswig settentrionale, pari a 3.891 Kmq di territorio, fu riunito alla Danimarca. 12 - Quaderni Padani 1. I Danesi dello Schleswig La frontiera tra la Germania e la Danimarca fu sempre oggetto di controversie e di tensioni, culminate verso la metà del secolo scorso nelle cosiddette guerre dello Schleswig-Holstein. Il Land che porta tale nome, attualmente tedesco con capitale Kiel, coincide con la parte iniziale della penisola dello Jütland nella grande pianura settentrionale e venne acquisito per intero alla Danimarca in virtù di quanto stabilito dal Congresso di Vienna del 1815, ma la popolazione era in assoluta maggioranza di lingua tedesca. Al tentativo del re Federico VII di imporre la legislazione danese sul territorio, i Tedeschi dello Schleswig-Holstein insorsero nel 1848 provocando l’intervento della Prussia. Il conflitto si concluse due anni dopo con la mediazione delle grandi potenze europee che imposero nel 1853 una struttura federale alla monarchia formata dalla Danimarca e dai Ducati meridionali. Ma una seconda sollevazione tedesca si ebbe nuovamente nel 1863 alla morte di Federico VII e gli insorti, grazie all’appoggio della Prussia e dell’Austria, riuscirono ad avere la meglio sull’esercito di Copenaghen. A seguito di ciò, con il Trattato di Londra del 1864, l’Holstein fu assegnato all’Austria, mentre lo Schleswig (con il Ducato di Lauenburg) passò alla Prussia. Infine, con la Convenzione di Gastein del 14 agosto 1865, che poneva termine della guerra austro-prussiana del 1866, i due Ducati vennero uniti in un’unica provincia annessa alla Prussia. Al termine della prima guerra mondiale conclusasi con la sconfitta tedesca, il 10 febbraio 1920 la zona nord dello Schleswig, in cui la popolazione era mista, fu interessata da un referendum(9) che portò alla scissione dell’antico Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 13 Ducato in due territori: la parte settentrionale, a maggioranza danese, chiese e ottenne di tornare sotto l’amministrazione di Copenaghen, mentre la parte meridionale, a maggioranza tedesca, rimase compresa nella nuova Germania. Tale assetto fu poi mantenuto dopo il secondo conflitto mondiale per delimitare l’attuale Land dello Schleswig-Holstein. In territorio tedesco, lungo il nuovo confine e soprattutto nei centri rurali di Rendsburg/Eckernfoerde, Schleswig/Flensburg (nel distretto di Flensburgland) e di Nordfriesland (nell’omonimo distretto)(10), rimasero tuttavia nuclei consistenti di popolazione danese, che attualmente ammontano a circa 50 mila persone(11). Dopo la seconda guerra mondiale, i Danesi dello Schleswig meridionale tornarono a chiedere con insistenza la riannessione della loro regione alla Danimarca(12) e la questione fu inizialmente risolta con l’iniziativa del Land dello Schleswig-Holstein che il 26 settemSuddivisione dello Schleswig per il referendum del 1920 bre 1949 riconobbe ufficialmente la minoranza(13), cui rispose il Governo danese minoranza tedesca” del 27 ottobre 1949(14) che con una “Dichiarazione ai rappresentanti della sanciva la tutela per la comunità tedesca dello (10) Cfr. L. BREGANTINI, op. cit., 56. (11) Tuttavia, secondo dati degli anni 80 i parlanti quotidianamente danese nello Schleswig sarebbero circa 8 mila, cfr., ib., op. cit., 23, 108, nonché CONSEIL D’EUROPE, op. cit., 20 e MINISTERO DELL’INTERNO, op. cit., 75. Andando a ritroso nel tempo il censimento prussiano del 16 giugno 1925 indicava solamente 5.628 danesi, rispetto ai 4.188 della precedente rilevazione del 1° dicembre 1910, cfr. A. MEILLET, Les langues de l’Europe nouvelle, avec un appendice de L. Tesnière sur la statistique des langues en Europe, Paris, 1928, 322. Addirittura le statistiche tedesche del 1933, quando il nazismo già era salito al potere, indicavano solamente 2.826 danesi e 1.310 bilingui, cfr. A. DAUZAT, L’Europe linguistique, Paris, 1953, 192. Inoltre, dopo la seconda guerra mondiale, molte famiglie si dichiararono danesi anche se parlavano ormai solo il tedesco e alle prime elezioni della Dieta federale tedesca che si tennero il 14 agosto 1949, il partito minoritario danese, cioè l’Associazione dello Schleswig meridionale (Südschleswigscher Wählerverband), ottenne 75.388 suffragi cioè il 5,4% del corpo elettorale dell’intero Schleswig-Holstein, ma al rinnovo del 6 settembre 1953 non superò i 44.585 voti, pari al 3,5% degli elettori, perdendo così i due deputati in precedenza ottenuti e il 15 agosto 1957 scese ulteriormente a 32.262 voti, cfr. G. HÉRAUD, Les accords germano-danois de minorités, in AA.VV., Mélanges en l’honAnno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 neur de Gilbert Gidel, Paris, 1961, 314-315. Ancora, secondo un’inchiesta dell’UNESCO pubblicata sul quotidiano tedesco “Frankfurter Allgemeine Zeitung” del 31 luglio 1959, solamente il 60% della minoranza tedesca in Danimarca si serviva della lingua madre nelle sue relazioni quotidiane e la metà dei bambini frequentava la scuola tedesca. Parallelamente, solo il 5% del gruppo danese di Germania utilizzava giornalmente il suo idioma e gli stessi esponenti del partito rappresentativo della minoranza si esprimevano spesso in tedesco, cfr., G. HÉRAUD, Les accords, cit., 314, nota 6. (12) Nel 1949 un referendum non ufficiale volto a promuovere l’annessione alla Danimarca di una parte dello Schleswig meridionale indicava la cifra di 99 mila danesi, cioè la maggioranza della popolazione dei distretti interessati. (13) Si trattava della “Dichiarazione sulla situazione della minoranza danese”, pubblicata in Gesetzund Verordnungsblatt für Schleswig-Holstein, 1949, 183. A seguito del riconoscimento tedesco della comunità danese, il Ministro della Pubblica Istruzione del Land dello Schleswig-Holstein emanò le istruzioni sullo statuto scolastico della minoranza che entrarono in vigore il 1° aprile 1950. (14) Tale Dichiarazione è conosciuta sotto il nome di “Kopenhager Vermerk” e venne adottata dal Ministro di Stato danese Hans Hedtoft. Quaderni Padani - 13 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 14 Schleswig settentrionale. A seguito di brevi negoziati queste intese furono il prodromo all’accordo bilaterale tra i due Paesi – le cosiddette Dichiarazioni congiunte di Bonn del 29 marzo 1955(15) – il quale garantiva ampie forme di tutela per le rispettive minoranze(16). In particolare queste dichiarazioni, su base reciproca, soddisfecero molto la minoranza tedesca dello Schleswig, la sola a beneficiare nell’immediato dopoguerra di un riconoscimento internazionale, se si eccettua quella tedesca del Tirolo meridionale a seguito degli accordi italo-austriaci di Vienna del 1946. Occorre sottolineare però come i suddetti accordi non comportarono la concessione di un’autonomia territoriale alle zone abitate dalle rispettive minoranze bensì istituirono un sistema individuale di garanzie volto alla difesa delle specificità culturali attraverso organizzazioni private d’interesse pubblico. In particolare erano sanciti il principio della non discriminazione delle persone e quello della promozione delle lingue e delle culture, stabilendo il carattere essenzialmente volontario della qualifica minoritaria per cui “l’appartenenza all’etnia e alla cultura [danese o tedesca] è libera e non può essere contestata, né verificata dalle autorità”. Alle dichiarazioni bilaterali del 1955 fecero seguito le disposizioni già viste contemplate nella Costituzione dello Schleswig-Holstein relativamente alla tutela delle minoranze stanziate sul territorio del Land. Da parte loro i Danesi dello Schleswig diedero vita fin dal 1920 a una propria organizzazione politica, la Sydslesvigsk Forening - SSF (Unione dello Schleswig meridionale), al fine di tutelare i suoi interessi nei rapporti con la maggioranza tedesca, la quale ha accesso al Parlamento regionale grazie alla particolare disposizione della legge elettorale per le minoranze linguistiche più sopra richiamata(17). Tuttavia, nel quadro di una convivenza pacifica e di una forte collaborazione anche tra enti locali ai due lati del confine, non è ritenuta indispensabile una particolare formalizzazione di forme di tutela, giacché esiste la possibilità di far eventualmente valere singole rivendicazioni di carattere concreto qualora se ne presenti la necessità. Infatti il caso tedesco-danese deve ritenersi del tutto peculiare nel panorama della tutela delle minoranze linguistiche vista la forte integrazione delle due comunità alloglotte nei rispettivi Stati(18). (15) Sugli accordi tedesco-danesi del 1955 si vedano: G. HÉRAUD, Les accords, cit., 313-323, nonché S. MEERSTORFF, Die Rechtsstellung der ethnischen Minderheiten in der Bundesrepublik Deutschland, Frankfurt, 1987, 12 ss. Il testo di tale accordo bilaterale è reperibile su Internet all’indirizzo: http://www.geschichte.schleswig-holstein.de. Al riguardo ricordiamo che il 29 marzo 2005 a Copenaghen i Primi Ministri di Germania e Danimarca, Gerhard Schroeder e Anders Fogh Rasmussen, hanno celebrato il cinquantesimo anniversario della sottoscrizione delle “Dichiarazioni congiunte Bonn-Copenaghen” (Bonn-Kopenhagener Erklärungen) che furono controfirmate per la parte tedesca dall’allora Cancelliere Konrad Adenauer e sono considerate, a buon diritto, come uno dei migliori esempi giuridici, attualmente in vigore, di tutela delle minoranze linguistiche. In tema si veda: Germania e Danimarca celebrano i 50 anni di politica comune per la tutela delle minoranze linguistiche, in http://www. minoranzelinguistiche.provincia.tn.it. (16) Per la parte danese l’accordo riguarda i circa 20 mila tedeschi che vivono nella contea di Soenderjylland nello Schleswig settentrionale, cfr. L. BREGANTINI, op. cit., 100. Sull’evoluzione storica della minoranza tedesca in Danimarca si veda G. HÉRAUD, Les accords, cit., 315. (17) Sulla partecipazione al Parlamento del Land dello Schleswig-Holstein del SSF il quale mira a ottenere la parificazione del danese e del frisone al tedesco, nonché la garanzia di essere rappresentato nel Governo del Land, oltreché nel suo Parlamento, cfr. l’articolo: Minoranze finalmente riconosciute ufficialmente. Il SSW deve partecipare al governo dello stato federale, in http://www.gfbv.it/2c-stampa/2005/050225it.html. Come già si è visto, invece, sin dal 1953 il SSF ha perduto la sua rappresentanza a livello federale poiché nonostante l’eliminazione della Sperrklausel in favore dei partiti delle minoranze linguistiche, la dispersione geografica dell’elemento danese gli impedisce di conquistare seggi nelle circoscrizioni, a fronte di un sistema elettorale che organizza una doppia attribuzione dei seggi: una metà a scrutinio uninominale nell’ambito delle circoscrizioni e l’altra a scrutinio di lista proporzionale nell’ambito dei Länder. (18) Sulla particolarissima situazione di tutela nello Schleswig-Holstein, sia da parte tedesca che da quella danese, cfr. F. PALERMO, Minoranze e diritto elettorale, in: http://www.eurac.edu/Press/Academia/9/Artikel2.asp. 14 - Quaderni Padani 2. I Frisoni settentrionali e orientali La Frisia è una regione storica dell’Europa nordoccidentale compresa tra il corso dei fiumi Ijsselmeer e Weser, politicamente divisa tra la Frisia Orientale in territorio tedesco (tra l’Ems e il Weser), e la Frisia occidentale nei Paesi Bassi (tra l’Ijsselmeer e l’Ems). Il popolo frisone discende da una stirpe germanica della costa del Mare del Nord e oltre alla sua lingua ha conservato numerose tradizioni. Il frisone è una lingua germanica tuttora parlata e articolata in tre varianti e i dialetti frisoni attualmente parlati in Germania si suddividono in due gruppi ben differenziati anche dal punto Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 15 della collocazione geografica(19). Infatti, si parlano dialetti frisoni cosiddetti settentrionali lungo le coste del Land dello Schleswig-Holstein tra il fiume Eider e il centro di Wiedau nonché sulle isole Frisone orientali e settentrionali(20) che appartengono alla Germania, e in particolare in quelle di Amrum, Föhr, Hallingen, Helgoland e Sylt(21). Tutti questi territori furono riuniti da Bonn, sin dal 1970, nell’unico distretto di Nordfriesland. In tutta l’area nordfrisona l’elemento indigeno, stimato in circa 60 mila unità, fa ormai un uso molto limitato della lingua originaria, che è parlata e compresa da non più di 10 mila persone(22) concentrate soprattutto nelle località isolane di Amrum, Föhr e Sylt. Nel Land della Bassa Sassonia, invece, intorno alle città di Emden e Oldenburg (distretto di Ostfriesland), nei centri di Butjandingen, Jererland, Ramsloh, Saterland e Strücklingen (distretto di Niedersachsen) e nel villaggio di Scharrel nel distretto di Cloppenburg(23), si parlano i dialetti frisoni orientali che sono una variante linguistica, detta saterlandic, praticata ormai soltanto da circa due mila persone(24) e tenuta in vita soprattutto nell’ambito di alcune associazioni culturali. I due gruppi frisoni di Germania – che complessivamente ammontano quindi a circa 12 mila unità effettivamente parlanti la madrelingua( 25) – la cui storia segue essenzialmente quella delle regioni nelle quali si trovano stanziati, sono sempre stati culturalmente più deboli dei Frisoni occidentali, stanziati nella provincia olandese della Frisia (Friesland)(26) trovandosi dispersi presso popolazioni di dialetto tedesco alle quali si assimilavano facilmente. Tuttavia, i Frisoni settentrionali hanno saputo esprimere a partire dal XIX secolo un certo risveglio culturale e letterario, culminato con il sorgere di associazioni in difesa della lingua e delle tradizioni popolari che negli anni 70 dell’Ottocento hanno anche tentato di opporsi al processo di germanizzazione avviato dal Cancelliere Bismarck nei confronti delle minoranze linguistiche. Questo movimento, legato alla cosiddetta idea “panfrisone” che trovava allora un certo seguito anche nei Paesi Bassi, ha promosso alcune rivendicazioni di carattere culturale, soprattutto a partire dal 1923 e in collegamento con l’effervescenza della minoranza danese dello Schleswig, ma solo nel 1948 si è costituita una federazione delle associazioni nord-frisoni, la Forüning for Nationale Frashe (Associazione Nazionale Frisone) con l’intento di coordinare questi sforzi. Dal 1949 è poi attivo anche il Nord Friisk In- (19) Sulla lingua frisone cfr. G. KREMNITZ, Die ethnischen Minderheiten Frankreichs: Bilanz und Möglichkeiten für den Französischunterricht, Tübingen, 1977, nonché K. BOELENS, The Frisian Language, Leeuwarden, 1981. (20) Tuttavia, tre isole dell’arcipelago delle Frisone settentrionali – Fano, Mano e Romo – ricadono in territorio danese. (21) Cfr. L. BREGANTINI, op. cit., 57. (22) Cfr., ib., op. cit., 108, nonché CONSEIL D’EUROPE, op. cit., 21 e MINISTERO DELL’INTERNO, op. cit., 77. (23) Cfr. L. BREGANTINI, op. cit., 56. (24) Cfr. ib., op. cit., 108, nonché EUROPEAN BUREAU FOR LESSER USED LANGUAGES, op. cit., 2. (25) Cfr. ib., op. cit., 25. (26) I Frisoni occidentali stanziati nei Paesi Bassi ammontano a circa 400 mila persone e costituiscono circa il 65% dell’intera popolazione della provincia della Frisia (il 3% circa della popolazione totale del Paese) che ha come capoluogo Leeuwarden e comprende anche le isole Frisone occidentali (Ameland, Terschelling, Texel e Vlieland). Altri centri della provincia sono: Drachten, Harlingen e Sneek. Cfr. L. BREGANTINI, op. cit., 62, 133. Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Cartolina propagandistica per il referendum nello Schleswig del 1920 Quaderni Padani - 15 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 16 Richoldus Uffo, il primo re di Frisia. Stampa del XVIII secolo stituut (Istituto della Frisia del Nord) che svolge funzioni di codificazione e rivitalizzazione della lingua. Giova ricordare comunque che il frisone settentrionale viene insegnato nelle scuole della regione(27). 3. I Polacchi della Westfalia Nel Land della Renania Settentrionale-Westfalia, soprattutto attorno alle città di Essen, Bochum e Dortmund, vivono ancora alcune migliaia di persone di lingua polacca, discendenti di quelle colà trasferitesi a partire dalla metà dell’Ottocento, quando il governo tedesco, alla ricerca di manodopera a basso costo per le miniere e l’industria pesante, incentivò l’emigrazione di contadini polacchi dalla Slesia. In determinati momenti i minatori della regione di origine polacca raggiunsero il 30% della popolazione residente e la loro organizzazione sindacale, sopravvissuta fino all’avvento del nazismo, fu un elemento di coesione che consentì ai polacchi della Westfalia (Westfalcyks) di conservare un’identità specifica a dispetto degli sforzi di assimilazione compiuti a varie riprese dalle autorità tedesche. Già nel primo dopoguerra, comunque, la mag16 - Quaderni Padani gior parte dei Polacchi era ormai linguisticamente assimilata: su un totale di 300 mila persone, almeno 250 mila, nel 1939, avevano germanizzato il loro cognome e a essi vanno aggiunti coloro che decisero di rientrare in patria. Dopo il 1945 il numero delle persone in grado di parlare il polacco era sceso ulteriormente: nel 1946 i madrelingua polacchi erano circa 80 mila, ma attualmente è calcolato in meno di 5 mila il numero di coloro che fanno di tale idioma un uso prevalentemente familiare(28). Tuttavia non va dimenticato che negli anni 90 a seguito della caduta del blocco comunista, il numero dei polacchi stanziati in Germania è salito per effetto della forte immigrazione giungendo sino a toccare punte di 250-300 mila persone(29). Le associazioni culturali dei Polacchi di Westfalia, che furono dichiarate fuori legge dal nazismo e successivamente riammesse, hanno tentato di rivitalizzare la lingua polacca e le tradizioni peculiari di questo gruppo, facendo perno soprattutto sulla religione cattolica come fattore aggregante: essa continua a essere praticata dall’assoluta maggioranza dei cittadini tedeschi di origine polacca. Rispetto alle altre tre minoranze nazionali riconosciute i Polacchi risultano però di gran lunga svantaggiati in quanto non godono di un particolare riconoscimento giuridico da parte della Costituzione del Land della Westfalia in cui sono insediati e questo contribuisce sicuramente al detrimento di tale lingua minoritaria. 4. I Sorabi della Lusazia I Sorabi o Vendi, detti anche “Serbi di Lusazia” rappresentano un gruppo peculiare di lingua slava occidentale e religione cattolica stanziatosi nella regione della cosiddetta Lusazia, nell’ex Germania orientale e più precisamente a ovest del fiume Oder che a partire dal 1945 segna il confine con la Polonia(30) discendenti delle anti- (27) Sul bilinguismo frisone-tedesco si veda K. BOELENS, Frisian-Dutch bilingual primary-schools, The Hague, 1976. (28) Cfr. L. BREGANTINI, op. cit., 108-109 con dati degli anni 70 relativi a coloro che parlavano quotidianamente il polacco, anteriormente all’inizio dell’immigrazione massiccia degli anni Novanta. (29) Si vedano i dati degli anni Novanta relativi alla comunità polacca di Germania riportati in MINISTERO DELL’INTERNO, op. cit., 79. (30) Sulla comunità soraba di Germania si veda E. CLEVA, Reto-ladini, carno-vendi e friulani negli albori della storia, Trieste, 1971, nonché G. STONE, The Smallest Slavonic Nation: the Sorbs of Lusatia, London, 1972. Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 17 che tribù slave che i tedeschi del Medioevo chiamavano Wend. I Sorabi rimasero esclusi dal processo di germanizzazione di questa regione dopo l’espansione verso est degli Stati feudali tedeschi, alla fine del secolo X, in quanto il loro territorio mal si prestava alla colonizzazione tedesca. In particolare i Sorabi, che costituiscono la minoranza linguistica più consistente e significativa dell’intera Germania, sono stanziati tra l’alta valle della Sprea nel Land della Sassonia nei distretti di Bautzen, Hoyerswerda, Kamenz, Niesky e Weisswasser, nonché nella zona di Cottbus, nel Land del Brandeburgo nei sei distretti di Calau, 31): Cottbus, Forst, Guben, Luebben e Spremberg( ^ in particolare la città di Bautzen/Budysin costituisce la vera “capitale culturale” dei Sorabi. Si tratta di un’area non compatta geograficamente nella quale l’elemento sorabo convive sin dalla fine del VI secolo(32) con le popolazioni di lingua tedesca incontrate durante la marcia verso ovest dai gruppi slavofoni, rimanendo esclusi dal processo di germanizzazione di questa regione in quanto il loro territorio mal si prestava alla colonizzazione tedesca. I dialetti sorabi, o sorbi, costituiscono nel loro insieme una lingua ben differenziata nell’ambito degli idiomi di ceppo slavo, caratterizzata da tratti fonetici arcaici rispetto al polacco e al ceco moderni che sono le lingue geograficamente e culturalmente più vicine. La frammentazione dialettale e geografica consente di riconoscere all’interno dei serbski due principali sottogruppi, che hanno sviluppato standard letterari differenziati: il basso sorabo, diffuso nella valle della Sprea e nei distretti di Calau, Cottbus, Forst, Guben, Luebben, Rothenburg e Spremberg, nel Brandeburgo, e l’alto sorabo, parlato nelle zone di Bautzen, Kamenz, Hoyerswerda, Löbau, Niesky e Weisswasser in Sassonia(33). I Sorabi non diedero mai vita a un proprio Stato indipendente, restando di volta in volta sotto l’amministrazione polacca, boema o tedesca: nel 1815, con il Congresso di Vienna, il loro territorio Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Aree di diffusione del frisone (frysk) fu diviso fra Sassonia e Prussia ed entrò poi a far parte dell’Impero tedesco. Tuttavia, malgrado la loro tormentata storia sono però riusciti a mantenere tradizioni autonome. Con l’Ottocento, una parte della popolazione soraba, tradizionalmente dedita all’agricoltura, iniziò a trasferirsi nei centri industriali della regione, favorendo il sorgere di una borghesia colta e di un ceto intellettuale che, attratta dal panslavismo e influenzato dal romanticismo tedesco, diede vita alle prime associazioni culturali interessate alla rivitalizzazione della lingua soraba. Nel 1816 sorsero così la Serbske Predarske Towarstvo, fondata a Lipsia, e la Mać ica Serbska, a carattere più apertamente nazionalista. Durante il Cancellierato di Bismarck, a fronte della progressiva industrializzazione della loro regione, i Sorabi dovettero affrontare numerosi tentativi di assimilazione forzata condotti nell’ambito della Kulturkampf. In reazione a questi movimenti vessatori, il movimento culturale so(31) Ricordiamo che, nel 1952, l’ex Repubblica Democratica Tedesca soppresse e smembrò i Land in 14 Distretti amministrativi. Circa la distribuzione dei Sorabi sul territorio tedesco cfr. L. BREGANTINI, op. cit., 57. (32) Si trova traccia per la prima volta dell’esistenza dei Sorabi in documenti risalenti al 631 quando, nel corso della migrazione dei popoli, stirpi slave colonizzarono il territorio ad oriente dei fiumi Elba e Saale. Tuttavia solamente nel XVI secolo, sotto l’influenza della Riforma protestante, nacque una lingua soraba scritta. (33) Cfr. ib., op. cit., 57. Quaderni Padani - 17 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 18 rabo si diede allora una orientale nei confronti del struttura più compatta che gruppo sorabo poteva riteportò nel 1904 alla fondanersi del tutto inesistente. zione della Serbski Dom, L’intervenuta unificazione cioè la prima biblioteca sotedesca del 1990 non ha raba, destinata a diventare avuto conseguenze signifiil simbolo della lingua e cative per lo status della dell’identità della minoranlingua e della cultura soraza; nel 1912 avvenne la fuba, che continua a godere sione di tutte le principali formalmente dello stesso organizzazioni politico-culriconoscimento e tutela turali in un unico movipreviste ai tempi del regimento chiamato Domowime comunista. na (Patria). Tuttavia, a difesa della miAlla fine della prima noranza dei Sorabi è sucguerra mondiale, con l’apcessivamente intervenuto poggio dei Cechi, i Sorabi l’art. 25 della Costituzione rivendicarono invano dadel Brandeburgo, approvavanti alle grandi potenze il ta nel 1992, che garantisce riconoscimento internazioil diritto alla popolazione nale e l’indipendenza del L’eroe nazionale frisone, Re Redbad soraba alla tutela, il manteloro Paese. Dal canto suo il nimento e la cura della sua neonato governo della Repubblica di Weimar si li- identità nazionale e della sua collocazione territomitò a delle generiche concessioni in campo cul- riale tradizionale. Land, Comuni e associazioni di turale ed educativo. Comuni assicurano lo sviluppo di questo diritto, Con l’ascesa al potere del nazismo, il processo con particolare riferimento all’identità culturale e di germanizzazione fu accelerato e conobbe an- a un’effettiva partecipazione politica della popolache forme brutali di repressione delle istituzioni zione soraba. culturali lusaziane con l’arresto di molti intelletIl principale problema della minoranza è però tuali e attivisti, anche se non si giunse mai a una quello della crisi demografica al suo interno, e deportazione in massa della popolazione soraba. dell’attrazione che la cultura e la lingua tedesca Al termine della seconda guerra mondiale, la esercitano soprattutto sulle giovani generazioni. Lusazia venne occupata prima da truppe polacche Attualmente i Sorabi sono ridotti a circa 60 mie poi da quelle russe, e le amministrazioni milita- la persone,(34) pari allo 0,1% dell’intera popolazione di Germania – ma nel 1868 erano più del ri permisero la ricostituzione della Domowina ^ che ha tuttora la sua sede a Bautzen/Budysin, fa- doppio e al censimento del 1955 circa 80 mila, di vorendo anzi, in funzione antitedesca, i progetti cui 70 mila parlanti la lingua – insediati soprattutto nelle zone rurali di una regione storicamenpolitici favorevoli all’indipendenza. Tuttavia, nel 1949, con la creazione della Re- te a maggioranza tedesca(35) a cui si aggiunse il pubblica Democratica Tedesca che entrò nell’or- fatto che il governo dell’ex DDR aveva oltre a tutbita sovietica, le aspirazioni di indipendenza non to favorito lo stanziamento di migliaia di profuvennero accolte perdendo il sostegno di tutti i ghi tedeschi provenienti dai territori annessi alla paesi slavi. Tuttavia, il regime comunista garantì Polonia dopo la seconda guerra mondiale, ragion almeno apparentemente ai Sorabi forme signifi- per cui non appare così irreale il rischio che i Socative di riconoscimento della loro specificità lin- rabi, in un futuro più o meno prossimo, possano guistica e culturale: nel 1950 il sorabo fu ammes- essere destinati a scomparire come gruppo linso negli usi scolastici, vennero create cattedre di guistico autonomo. lingua e letteratura nei principali atenei della regione (Cottbus e Lipsia), e alla minoranza in questione fu garantita un’adeguata rappresentanza in (34) Cfr. ib., op. cit., 109, nonché CONSEIL D’EUROPE, op. cit., e MINISTERO DELL’INTERNO, op. cit., 80. seno agli organismi regionali e nazionali. Inoltre, 20 (35) Si ricorda comunque che circa 4 mila Sorabi o Vendi soa partire dal 1969, il sorabo fu dichiarato seconda no stanziati in Austria nel Land della Carinzia, cfr. ib., op. lingua ufficiale nella regione di Cottbus anche se, cit., 32, 49, 85, nonché C. MOSELEY, R.E. ASHELEY, Atlas of di fatto, la tutela posta in essere dall’ex Germania the world’s languages, London, 1991, 249 18 - Quaderni Padani Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 19 Il Trophée des Alpes: un antico segno di oppressione di Gilberto Oneto C hi viaggia sull’autostrada francese verso Nizza non può non notare, a La Turbie, una imponente struttura marmorea sulla collina proprio sopra Monaco, nota come il Trophées des Alpes, il “Trofeo delle Alpi”. Si tratta di quello che resta del monumento eretto fra il 6 e il 7 avanti Cristo per celebrare la fine delle guerre intraprese da Augusto fra il 25 e il 14 a.C. per sottomettere tutte le popolazioni alpine. La forma era di una imponente torre circolare eretta su un basamento quadrato, circondata da un colonnato e sovrastata da una statua dell’imperatore. L’insieme monumentale, costruito in blocchi di calcare ricoperti di marmo di Carrara, aveva una altezza complessiva di più di 50 metri, che lo rendeva (con il suo biancore accecante) visibile e imponente per un lungo tratto di costa. Sorgeva a lato della via Julia Augusta (proseguimento dell’Aurelia) che solo qualche anno prima (13-12 a.C.) era stata completamente pavimentata e dotata di un sistema di pietre miliari dedicate ad Augusto. L’intento di costituire un primario caposaldo paesaggistico e di simboleggiare il completo dominio di Roma anche sugli elementi naturali e sulla morfologia delle terre sottomesse era piuttosto evidente, come era sottolineato il richiamo simbolico della sua collocazione, nel punto in cui le Alpi inconAnno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Il Trophée des Alpes trano il mare, quasi a sottolineare la vittoria del mondo mediterraneo su quello montano. I trofei di questo tipo erano normalmente dedicati a divinità della vittoria: il Trofeo di Augusto sorgeva nell’ambito di un’area sacra devoluta a Heracles Monoikos, Ercole, eroe civilizzatore e Quaderni Padani - 19 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 20 Ricostruzione dell’iscrizione sulla base del testo pliniano costruttore di strade attraverso le montagne, il cui destino era simbolicamente assimilato a quello dell’imperatore. Augusto era così divinizzato con il pretesto della sottomissione dei barbari. L’imponenza dell’opera e della dedicazione era del tutto proporzionata alla fatica che Roma aveva dovuto fare per sottomettere i popoli alpini. A questo proposito serve fare alcune considerazioni di carattere generale: erano passati tre secoli – una enormità – dal primo affacciarsi romano sulla valle padana e quindi sulla Gallia Cisalpina, nel lontano 295 a.C., con la battaglia del Sentino. Questo testimonia della durezza e della costanza con cui i nostri popoli avevano saputo re- sistere. Prima di poter celebrare la sottomissione dei popoli alpini, Roma aveva da tempo conquistato l’intero bacino mediterraneo, ma anche la Gallia e la Britannia. Non basta: la celebrata occupazione militare non sempre significava reale conquista. In realtà infatti almeno lo stato dei Cozii conserverà una sua formale indipendenza fino al 64 d.C. e per la creazione della Provincia Poenina (comprendente l’alta Ossola, il Vallese e altre valli) si dovrà attendere fino al 100 d.C. In ogni caso sembra azzardato parlare di reale “pacificazione” di tutte le vallate alpine: le rivolte resteranno endemiche e il passaggio dei valichi sempre piuttosto difficoltoso. Si può in qualche modo perciò affermare che Ricostruzione del testo attuale 20 - Quaderni Padani Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 21 la costruzione del Trofeo sia stata forse un po’ affrettata, dettata più da preoccupazioni propagandistiche (di minaccia per i nemici e di rassicurazione per gli amici) che da una vera consapevolezza di “scampato pericolo”: una sorta di elemento di esorcizzazione, un grosso segno apotropaico. Del monumento alla vittoria aveva però tutti i caratteri architettonici ed estetici, che derivavano dall’antica abitudine di erigere cumuli di armi nemiche catturate: anche a La Turbie sono scolpite nel marmo panoplie di armi sottratte ai nemici vinti. C’è poi l’iscrizione che glorifica la dedica all’imperatore, le sue vittorie e che riporta il lungo elenco dei popoli sottomessi. L’iscrizione era stata riportata da numerosi contemporanei, fra cui Plinio. Nella parete in marmo del fronte principale è inciso: “All’imperatore Cesare Augusto, figlio del Divino Giulio, Pontefice Massimo, acclamato imperatore per la quattordicesima volta, e rivestito della diciassettesima potenza tribunizia. Il Senato e il popolo romano, perché sotto la sua condotta e i suoi auspici, tutti i popoli alpini che si trovavano fra il mare Superiore (l’Adriatico) e il mare Inferiore (il Tirreno) sono stati sottomessi al potere del Popolo Romano. Popoli alpini vinti: Trumpilini (Val Trompia); Camunni (Val Camonica); Venonnetes, Venostes, Isarci, Breuni, Genaunes e Focunates (Alpi tirolesi); VindelicoAnno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Il frontone oggi rum gentes quattuor: Cosuanetes, Rucinates, Licates e Catenates (Lago di Costanza); Ambisontes (Alpi bavaresi); Rugusci, Suanetes, Calucones e Brixenetes (Alpi bavaresi); Leponti (Val d’Ossola); Uberi, Nantuates, Seduni e Varagri (Vallese); SaI popoli alpini sottomessi da Augusto Quaderni Padani - 21 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 22 Ricostruzione della panoplia sul fronte principale lassi (Val d’Aosta); Acitavones (?); Medulli e Ucenni (Bassa Savoia); Caturiges (Chorges, Delfinato); Brigiani (Briançon, Delfinato); Sogionti (Sisteron, Delfinato); Brodionti (Digne, Delfinato); Nemaloni ed Edenates (?); Vesubiani (La Vésubie, Alpi Marittime); Veamini, Gallitae e Triullati (?); Ecdini (Tinée, Alpi Marittime): Vergunni (Vergons, colle di Tout-Aures, Alpi Marittime); Egui e Turi (Borgo San Dalmazzo, Cuneese); Nematuri (Liguria occidentale); Oratelli (Alpi Marittime?); Nerusi (Vence, Alpi Marittime); Velauni (Briançonnet, Alpi Marittime); Suetri (Castellane, Alpi Marittime).” I popoli sono riportati nella dicitura originaria e di ognuno di essi viene qui fornita la collocazione geografica verificata o fortemente presunta. Un punto interrogativo contraddistingue le tribù per le quali non esiste alcuna ipotesi attendibile di collocazione sul territorio. Questo potrebbe essere il possibile risultato di un cambiamento di denominazione, dell’inesistenza di documentazione per le comunità più minuscole ma anche l’esito di una - purtroppo piuttosto comune – azione di “pulizia etnica” con il conseguente sterminio di un popolo o di una sua massiccia deportazione. È anche piuttosto sintomatico che siano stati tralasciati numerosi altri popoli (Segouii, Segusini, Belaci, Tebauii, Sauincates, Venisami, Ie- Ricostruzione del Trofeo originario secondo Jean Camille Formigé, 1920 22 - Quaderni Padani Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 23 merii, eccetera) che sono invece citati su analoghe dediche alle vittorie augustee sull’Arco di Susa, sul mausoleo di Escoyères (nel Queyras) e in altri siti. Con la caduta del dominio romano, il Trofeo ha subito devastazioni (forse anche cariche di significati politici) e riutilizzi di vario genere. Nel medio evo è stato prima abitato e poi trasformato – in virtù della sua collocazione strategica – in fortificazione. All’ultimo utilizzo militare ha posto fine una disposizione di Luigi XIV nel 1705. Per secoli le rovine sono state utilizzate come cava di materiale edile: le parti superstiti dell’iscrizione sono state ritrovate nei muri di numerosi edifici del vicino villaggio e proprio da queste si è potuto ripartire quando si è intrapresa l’opera di restauro. Il primo intervento di consolidamento del basamento – che minacciava di sbriciolarsi causando il crollo anche dell’ultimo mozzicone di torre – è stato effettuato fra il 1857 e il 1859 dal governo sardo cui la Contea di Nizza apparteneva da secoli. Con il passaggio alla Francia, la rovina è stata classificata nel 1865 monumento storico di interesse nazionale. Fra il 1905 e il 1909 si hanno i primi scavi archeologici sistematici, e fra il 1913 e il 1915 si ha una prima parziale ricostruzione di alcune colonne con l’utilizzo dei resti ritrovati. È a partire dal 1927 che si raccolgono con sisteAnno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 “Turbia, Rivière de Gênes ”, litografia, 1938 Stato del monumento nel 1905 Quaderni Padani - 23 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 24 Attuale veduta su Monte Carlo dal monumento Il monumento oggi maticità tutti i frammenti del Trofeo presenti in vari musei o riutilizzati in altri edifici e, per opera principalmente di Jules Formigé (architetto capo dei Monuments Historiques dal 1920 al 1949, finanziato dal mecenate americano Edward Tuck), viene parzialmente ricostruito il monumento con una alacre opera di anastilosi, qualche volta anche un po’ fantasiosa. Così, non senza un po’ di imbarazzo, si inaugura il risorto monumento nel 1934 nella veste che si può vedere oggi. Il romantico e pittoresco rudere sopravissuto al tempo è stato trasformato in un pezzo di quello che si ipotizza potesse essere il monumento originario, con la ricostruzione completa della parete con l’iscrizione dedicatoria (nella quale sono stati inseriti i pezzi autentici ritrovati) e di una parte del colonnato circolare. Naturalmente si tratta di una ricostruzione largamente opinabile (infatti esistono numerose versioni di possibili diverse ricostruzioni) che è però ormai entrata nell’immaginario collettivo. Oggi il monumento è aperto al pubblico e dai suoi camminamenti si può godere di un’ampia visuale sul sottostante panorama (modello Manhattan) di Monaco e Monte Carlo. La ricostruzione, che è quasi certamente stata ispirata dalla volontà di riproporre un segno di grandezza imperiale, in realtà serve a ricordare una antica oppressione. Bibliografia ❐ AA.VV. “ Le Trophée des Alpes ”. In Nice Historique, n. 2, 2005 ❐ Formigé, Jules. “Le Trophée des Alpes (La Turbie)”. In Gallia, n. 2, 1949 ❐ Lamboglia, Nino. “Il Trofeo di Augusto alla Turbia”. In Itinerari Liguri, n. 4, 1938 24 - Quaderni Padani Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 25 I Celti nel Veneto occidentale Fitte comunità di agricoltori-guerrieri Cenomani nel veronese di Leone Chesini U no dei dati più interessanti emersi dalle recenti ricerche è l’attribuzione ai Cenomani del territorio veronese. La documentazione archeologica, che è riferibile quasi esclusivamente a necropoli, tranne alcuni ritrovamenti sparsi e a un importante tesoretto di monete celtiche da Nogarole Rocca, documenta un’occupazione graduale del territorio da parte di popolazioni celtiche a partire dal V-IV secolo a.C. fino alla fase della romanizzazione (II-I secolo a.C.). Quest’ultima non dovette essere molto gradita da questi “alleati” di Roma, dato che sono proprio di questo periodo le iscrizioni in alfabeto leponzio (e non latino) rinvenute nel Veronese e nell’alto Mantovano e che sono state interpretate dagli studiosi come un fenomeno di Abstand e cioè di resistenza linguistica La maggiore concentrazione di insediamenti si trovava nella media pianura con una fitta rete di abitati tra gli attuali centri di Povegliano (Poiàn), Vigasio (Vigasi), Santa Maria di Zevio (Santa Maria) e Isola Rizza (La Rissa), quasi tutti toponimi celtici, a poca distanza dalla città di Verona su di una linea che copre tutta la fascia a sud delle città dal Mincio (Menso) all’Adige (Adese). Le direttrici dalle quali è giunta nel Veronese questa celtizzazione così massiccia sono principalmente due: da ovest, lungo l’antica Via gallica che proveniva dalla valle del Rodano, nella Gallia transalpina, e che transitava per Torino e quindi per Milano, collegandosi con le direttrici che scendono dai laghi lombardi e dal Canton Ticino, e che raggiungeva Verona dopo essersi incrociata con l’altra fondamentale via di penetrazione da nord, la val d’Adige. Questa importante via, che scende dal passo del Brennero, attraversava il territorio dei Reti che, pur mantenendo la propria caratteristica fisionomia culturale sono investiti dal VI secolo a.C. da espresAnno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 sioni di celtismo, come accade in Veneto. Nel III secolo a.C. si verifica però il progressivo appiattimento della cultura retica, in coincidenza con l’affermarsi della koiné gallo-romana e deve essere riferita proprio a questo periodo la notizia di “Trento città dei Galli”, tramandata da Pompeo Trogo, storico di epoca augusta, compendiato da Giustino e anche dal geografo Tolomeo nel II secolo d.C. (se lo dicono loro!). Ma la val d’Adige fu probabilmente la via che portò anche al- Lama di spada, da San Lorenzo di SebatoLothen tri Celti in Padania, basti pensare ai Boi che abitavano la regione di Bologna (Bulagna-Bulandalanda dei Boi), che erano originari della Boemia o della Baviera e che quindi devono aver passato le Alpi al Brennero e discesa la val d’Adige e, trovati i Cenomani in tutto il territorio a nord del Po, passarono il grande fiume e si stabilirono in Cispadania e sull’Appennino padano ricacciando Quaderni Padani - 25 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 26 Lama di spada, da Ciringhelli di Vigasio oltre lo spartiacque quei pochi Etruschi che lo avevano varcato. Così hanno creato quel confine linguistico che è tutt’oggi il più importante all’interno del mondo cosiddetto neolatino, che si chiama “Linea gotica”, ma che sarebbe più giusto chiamare “Linea celtica” dato che separa le lingue Gallo-romanze da quelle Romanze meridionali. Nel Veronese la ricerca archeologica non è finora riuscita a individuare le aree abitative che erano sicuramente in prossimità delle necropoli, forse a causa di profondi interventi agrari o perché le case erano costruite in legno. Sicuramente è questo un campo che merita ulteriori indagini anche se il ritrovamento di numerose necropoli con tombe dai corredi cospicui ci fornisce un quadro completo e ben documentato dell’età celtica di questa parte della Gallia cisalpina, vergognosamente tenuto nascosto dalla “cultu26 - Quaderni Padani ra” ufficiale romanofila e dallo Stato italiano centralista che diffondono solo retorica classicheggiante a scapito della sacrosanta celticità di queste terre. In Francia, tutti sono fieri dei loro antenati Gaulois e i Tedeschi, pur essendo più propriamente germanici o gallo-germanici, sono orgogliosi che la parte centro-sud del loro paese fosse parte della grande Gallia, per non parlare delle isole britanniche: tantiPadani sembrano invece provare subalternità nei confronti della Magna Grecia, tanto cara ai loro detrattori. Nel paese dei Cenomani, dal Veronese al Mantovano e Bresciano, la pratica funebre è quella del biritualismo con l’inumazione per le donne e i bambini, e l’incinerazione riservata ai guerrieri. Un eccezionale rinvenimento, nel 1998, presso una necropoli di 181 tombe celtiche del II-I secolo a.C., in località Lazisetta, (l’Adeseta) di Santa Maria di Zevio, presso il corso dell’Adige, ha riportato alla luce una tomba a carro. Il guerriero qui sepolto è stato prima bruciato su di una pira insieme a offerte di tranci di carne di maiale, e poi le ceneri e le ossa incombuste (raccolte in un panno e mischiate con monete e oggetti d’ornamento) sono state deposte nella fossa assieme ad armi, attrezzi agricoli, strumenti e al vasellame usato per il banchetto funebre. Il tutto è stato coperto da un carro da guerra rovesciato, con le quattro ruote smontate, una sola delle quali è però stata deposta nella fossa con il cerchione ritualmente piegato. Nelle necropoli di Lazisetta, Mirandola e Fenil Novo, distanti poche centinaia di metri una dall’altra, ci sono numerose tombe con presenza di armi ancora nel II e I secolo a.C., a prova della radicata presenza della casta guerriera in una società da tempo “riappacificata”: evidentemente i “nostri” non si erano ancora assoggettati all’invasione romana della terra che ormai non era più la loro. Le spade, di impressionanti dimensioni (che si possono ammirare al Museo civico di storia naturale di Verona), sono piegate e ritorte ritualmente per rimarcare la fine del loro uso e simboleggiare così, secondo credenze magico-religiose, la loro inutilità nella vita ultraterrena. Numerose sono quelle decorate con triskel, intrecci, dragoni che si fronteggiano con le fauci spalancate, figure antropomorfe formate da bizzarri motivi curvilinei. Vi compare anche il “signore degli animali”, l’arcaico dio Kernunnos, dalle sembianze zoo-antropomorfe, con enormi corna. Il significato delle decorazioni va al di là del puro fatto esornativo e si lega certamente a funzioni di carattere apotropaico, ma Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 27 anche a credenze di ordine magico-religioso. Un recente studio di M. Szabo sull’armamento decorato giunge alla conclusione che il significato della ornamentazione dei foderi sia fondato su un sistema religioso che vuole esprimere la presenza della divinità cosi fortemente sentita dai guerrieri celti. La presenza di una figurazione “antropomorfa” con attributi fantastici (le corna o i serpenti, ad esempio) è palese ed esplicita nei foderi di Ciringhelli di Vigasio, mentre in altri casi motivi di origine vegetale, animale e antropomorfi fusi insieme, rendono quasi incomprensibile il tema figurato. La diffusione su scala europea di questi motivi decorativi mostra l’esistenza di legami profondi fra la cultura celtica cisalpina e quella transalpina. Particolare attenzione merita la monetazione celtica nel Veronese in quanto risale al IV secolo a.C. e rappresenta la più antica emissione monetale del nostro territorio. I Celti sono così stati i primi in assoluto a coniare delle monete nel Veronese, in Padania e nell’Europa centrale, a segno di una civiltà avanzata, ben due secoli prima della romanizzazione. Eccezionale è il ritrovamento di un vero e proprio tesoretto di 310 monete nei pressi della rocca di Nogarole, in una zona attraversata dal fiume Tione (Tiòn) che ha restituito numerose testimonianze dell’Età del ferro. Di queste monete, che sono state coniate in un lungo arco di tempo che va dal IV al III secolo a.C., 18 sono del tipo Arslan V-VI con leone naturalistico, di provenienza probabilmente insubre, mentre tutte le altre sono del tipo Arslan VII-VIII con leone-scorpione, coniate in area boico-cenomane. Per quanto riguarda il secolo successivo, il Veronese è letteralmente disseminato di monete celtiche che sono state rinvenute soprattutto nelle ricche e numerose necropoli della fascia tra alta e media pianura, in località dai nomi squisitamente celtici come Lazisetta, Mirandola, Casalandri, Ortaia, Le Buse, Crocetta (Crosèta), Bertolaso, Cassinate, e Ciringhelli (Serenghèi), dalla radice celtica “Ser” o ”Cer” (altura) e “Ghei” (Galli-Ghelti), “altura dei celti”. Numerose sono le attestazioni anche nel territorio pedicollinare di Montorio, Casterna e San Giorgio di Valpolicella. L’ultimo è un borgo arroccato su di una collina dai fianchi scoscesi, dominante una vasta parte di pianura che spazia da Verona al Lago di Garda e oltre, anticamente chiamato Ganda (toponimo diffuso nelle Alpi di probabile origine celtica o forse retica che indicava un luogo dov’erano cave di pietra), che sopravvive Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 nel nome popolare del paese di San Giorgio inganna poltròn: evidentemente quel “in-gana” ha ingannato molti e non solo quei “poltroni” che salendo a piedi verso il paese lo vedevano sempre lì a due passi, ma non ci arrivavano mai. Qui, dove ora sorge la chiesa costruita durante il regno del re longobardo Liutprando e nella quale si possono ammirare decine di Soli delle alpi e ruote solari, bizzarri animali e simboli pagani, esistevano un precedente tempio e un adiacente laboratorio metallurgico del V secolo a.C. La celticità di questa zona è provata anche dalle are di età romana dedicate alle varie divinità degli Arusnati, il popolo autoctono della Fodero di spada, da Ciringhelli di Vigasio Valpolicella, la cui origine celtica è dimostrata dalla desinenza in “ati”. Questi adoravano Lualda (Lugus?), Ihamnagalla, Sequanagalla, le Ninfe Auguste e le Anguane (fate dei boschi e delle sorgenti). Nella Lessinia (montagna veronese) sorgevano nella seconda Età del ferro due importanti abitati d’altura (castellieri), Castel Sottosengia e Monte Loffa, a pochi chilometri uno dall’altro, in prossimità di vie di comunicazione come la val d’Adige e la pedemontana est-ovest. In questi siti sono stati rinvenuti reperti tipicamente celtici come fibule Hallstattiane e LaTèniane, gioielli e oggetti d’ornamento decorati con pasta vitrea, fusarole, coltellacci e attrezzi agricoli, oltre che numerose monete. In questa fase il tipo più documentato (16 esemplari) è quello con leggenda in caratteri nord-etruschi Toutiopouos, databile alla metà del II secolo a.C., coniato probabilmente a Milano dagli InsuQuaderni Padani - 27 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 28 bri. Segue il tipo con leggenda Massa e leonescorpione (11 esemplari) coniato probabilmente dai Cenomani. É attestato anche il tipo con leone-lupo coniato in area lombardo occidentalepiemontese, oltre che i tipi Pirakos e Rikoi, forse gli ultimi emessi dai Celti padani prima di soccombere alla “civiltà” romana. Dal castelliere del Monte Loffa sono emersi evidenti segni di distruzione dell’abitato che fu incendiato e raso al suolo alla fine del II secolo a.C. Molto importanti sono le iscrizioni in alfabeto leponzio che sono venute alla luce negli ultimi due decenni nel Veronese e nell’alto Mantovano, in quanto si tratta delle iscrizioni in tale alfabeto, più orientali mai rinvenute, che si inseriscono nel quadro della celticità linguistica della Pa- I Celti: 1. Valeggio, 2. Povegliano, 3. Vigasio, 4. Santa Maria di Zevio, 5. Isola Rizza dania e non solo. Ma il dato più significativo è il fatto che sono state redatte in alfabeto leponzio e non latino ancora nel II e soprattutto nel I secolo a.C., in fase di avanzata romanizzazione. Questo dato è dunque un chiaro segno di una volontà di connotazione anti romana, effettuata tramite l’alfabeto leponzio inteso come “alfabeto nazionale celtico-padano”, quello che in termini socio-linguistici si definirebbe un fenomeno di 28 - Quaderni Padani Abstand e cioè l’espressione della volontà di prendere le distanze da un “altro” (i Romani in questo caso) verso il quale esistono motivi politici e culturali di opposizione. Questo sbugiarderebbe le “fonti” latine che parlano dei Cenomani come fedelissimi alleati di Roma. I testi provengono principalmente da tre località: Valeggio sul Mincio, Santa Maria di Zevio e Isola Rizza (Casalandri), queste due ultime sorgono lungo il corso dell’Adige, già individuato come direttrice di penetrazione celtica nel Veronese. Dalla necropoli di Valeggio sul Mincio, fra le varie iscrizioni datate al I secolo a.C., si segnala una sigla di un nome proprio Ver, sigla che dovrebbe essere connessa con ver, prefisso di uper come in nomi tipo Vercingetorix. Questa radice, molto diffusa nel mondo celtico e che significherebbe “elevato”-“superiore”, potrebbe essere alla base del nome di Verona nel senso del composto Vernemeton o Ver-dunum, “fortezza elevata”. Il primo nucleo protostorico di Verona è infatti sorto sul monte delle Torricelle (Le Toresele), nel punto in cui l’Adige “scava” proprio sotto al monte, disegnando quell’ansa nella quale verrà poi costruita la Verona di età romana, un insediamento facilmente difendibile oltre che utile per l’avvistamento e il controllo della navigazione sull’Adige e della strada pedemontana (via gallica). Dalla necropoli di Santa Maria di Zevio sono emerse due iscrizioni: Uiro, che trova confronti in ambito celtico ed è frequente nell’onomastica gallica in composizione e non; e Ateporix, forma onomastica squisitamente celtica. Dalla zona di Fenil Novo viene l’iscrizione kulopout, interpretabile come un composto con confronti con il gallico Andocoulo per il primo elemento e con boud “vittoria” per il secondo (boud, peraltro, è una fra le formanti più frequenti nell’onomastica celtica continentale: l’esempio più famoso è Boudicca, la Giovanna d’Arco dei Celti britanni). Infine da Casalandri di Isola Rizza è da segnalare l’iscrizione a testo kos’io: la forma rimanda verosimilmente alla base ghosti, già identificata in kozis dell’iscrizione di Prestino e in xosio di quella di Castelletto Ticino. Si tratta di un dato importante per il disegno della celticità continentale ma anche per quello della celticità tout court in quanto conferma la presenza nel celtico della forma *ghosti (cfr. gotico gasts, antico nordico gestr, latino hostis, anglosassone e antico alto tedesco gast, eccetera) che, prima di queste attestazioni, era considerata assente dal dominio linguistico celtico. D’altra parte questa Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 29 parola non poteva mancare nel gran numero di parole del Veroceltico in quanto è presente nelle nese sono di origine celtica coaltre lingue euriane, delle quali i me: braghe (da “bracae”), camiCelti erano, nel I millennio a.C. i sa (da “camisia”), còtola (Gaelico più forti portatori, dalle loro sedi “kilt”), tabàr (da “labarum”), tanell’Europa circumalpina. Ma, a miso (Francese “tamis”), visinél parte queste iscrizioni di 22 secoli (vortice), trosa (fetta, Bretone fa, la lingua padana è a tutt’oggi “troha”), trucàr, (tagliare, Gaelisostanzialmente di matrice celtico “truk”), sgrisoloni (brividi, ca anche se ha subito una forte Bretone “skrij”), roso (stormo, influenza latina e germanica. I Irlandese “ros”), rumàr (cercare linguisti infatti classificano le vaaffannosamente, Celtico armoririe parlate padane (Piemontese, cano “rum”), mota (mucchio, Lombardo occidentale e orientale, Francese “mede”), ligaòr (ramarLigure, Emiliano e Romagnolo, ro, Gaelico “luachair”), guindol Veneto e Friulano) come facenti (vortice, Bretone “gwent”), gruparte di un’unica koinè padana (il gno (ammasso, Irlandese “grun“Gallo-romanzo cisalpino”). In Fodero di spada, da Santa non”), sgrèbani (luoghi sassosi, questo quadro linguistico, il Vero- Maria di Zevio, località Gaelico “gri”), gueiàr (punzecnese rappresenta il Veneto occi- Mirandola, tomba 131 chiare, Cornovagliese “geu”), dentale pur mancando dei tratti gerla (cesta da portare sulle spalpiù caratteristici del Veneto come le), frasa (neve gelata, Irlandese la l evanescente; c’è l’è al posto “fras”), ciuca (sbornia), brol del xè per il verbo essere, lu inve(frutteto), caréga (Inglese “chace di elo per la terza persona sinir”), sisòra (Inglese “sisors”), golare e la caduta della maggior brigàr (dal Celtico “brigos”, forparte delle vocali finali, (esempio: za), brancolo (Inglese “branch”), veneto palo, veronese pal, veneto butél (ragazzo, Celtico “bid”), bocuciaro, veronese cuciar ecceteria (Gaelico “borr”), barchessa ra). Queste differenze sono sicu(portico, Celtico “barga”), arente ramente da attribuire allo stan(vicino, Celtico “are”), solo per ziamento più massiccio dei Celti citarne alcune. cenomani nel Veronese che nel Passando alla toponomastica, ci resto del Veneto, pur avendo l’isi rende conto ancora di più di dioma veneto la stragrande magquale sia stata la portata del pogioranza delle caratteristiche linpolamento celtico nel Veronese. guistiche che lo fanno apparteneAnalogamente al resto della Pare alla grande famiglia delle lindania infatti, circa l’80% dei togue celto-romanze europee, che ponimi sono di origine celtica, sono: la costruzione delle frasi, con percentuali “bulgare” sopratl’uso dei tempi, la “localizzazione” Fodero di spada, da Santa tutto fra i microtoponimi della dei verbi e le forme di negazione Maria di Zevio, località fascia prealpina. (come nelle lingue anglosassoni). Mirandola, tomba 131. Il suffisso più caratteristico della Un esempio di postposizione della Interpretazione del viso toponomastica celtica è quello in negazione: veronese “Ghe vetu umano con utilizzo di ele- “ago”, “aga”, “igo”, “iga” (nel Vemiga?”, tedesco “Gehst Du ni- menti vegetali. ronese spesso “ega”), “ico” e cht?”. Altre caratteristiche celti“ica”. Esempio: Gargagnago, deriche sono: i fenomeni palatali, l’assenza dei dit- vante dal celtico “Karn” (pietra), “Gand” (cava) e tonghi, le vocali “celtiche” ü e ö, purtroppo “ago” (campo, Latino “ager”, Tedesco “lager”. Il scomparse nel Veronese dal 1700, ma ancora paese si trova infatti ai piedi della collina di San ravvisabili nelle parole dette con particolare en- Giorgio, anticamente chiamato Ganda per le sue fasi, la caduta delle vocali finali e l’assenza delle cave ed era il posto dove veniva trasportata e venconsonanti doppie. duta la pietra (lastame calcareo) nella pianura. Oltre a questi elementi sintattici e fonetici, un Della stessa etimologia è il famoso sito megaAnno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quaderni Padani - 29 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 30 Vasellame bronzeo della tomba 7. Santa Maria di Zenio, necropoli di Lazisetta litico francese di Carnach, ma sono migliaia i toponimi di questo tipo nell’Europa centrale “celtica”. Altri toponimi analoghi rintracciabili nel veronese sono: Alcenago, Vago, Legnago, Verago, Jago, Mondrago, Tregnago, Canzago, Maregnago, Azzago, Lumiago, Marega, Gnirega, Mazzurega (Masuréga), Vignega, Poiega, Dosdega, Miega, Marniga, Marciaga, Ossenigo, Pradònego, Senaga, Braga, Valdòneghe, Maroiaga, Marcenigo, Maternigo, Lonico, Vigo, Brognoligo, oltre che l’antico nome del Lago di Garda “Benacus” (Irlandese “benach”, cornuto). Sono di origine celtica anche i toponimi con finale in “lano”, “ano”, “on”, come: Lugagnano, Lughezzano(dal dio celtico “Lug-Lugus”, come Lugano e Lione, Lugdunum), Azzano, Magnano, Povegliano, Cercomano, Caranzan, Oppeano, Canton, Anson, Armaron, Orgnano, Quinzano, Meggiano, Trezzolano, Cuzzano, Arbizzano, Cattignano, Scorgnano, Grezzana, Marzana: ma la lista di questi toponimi è interminabile. Celtico è anche il nome dell’Adige, da “Ad” (antico) e “Vis” (fiume). Da “briga” (collina, Bretone “bre”, Tedesco “Berg”) derivano: Breonio, Brentino, Brenzone, Brentane, Brenton, Brancon, Braga, Brancaglia, che sono della stessa etimologia di Bregenz, (Austria), Briançon, (Francia), Bressanone, (Brixen), Brescia, Brianza e molti altri. Sicuramente celtici sono i toponimi con finale in “ara-are” 30 - Quaderni Padani come: Domegliara, (Domjara), dal celtico “DunDunum” (fortezza) e “are”, (vicino). Nei pressi si trova infatti il “Mont Indon”, il quale per la sua posizione e morfologia, potrebbe avere avuto una fortezza o un tempio celtico sulla sua sommità. Importante è infine il microtoponimo “Campi Renghi” di una spianata allo sbocco della Val d’Adige in quanto, oltre a essere indubbiamente di origine celtica (da “ronch”, collina), l’autore è convinto si tratti dei famigerati “Campi Raudi” (campi rossi, e in effetti il terreno qui è rossiccio), mai identificati con certezza dagli storici, “presso Verona o Vercelli”. La storica battaglia fra Cimbri e Romani del 110 a.C. deve aver avuto luogo proprio qui, dove i Cimbri avrebbero potuto dilagare nella pianura padana se i Romani non avessero sbarrato lo sbocco della valle. Nei pressi si svolse infatti anche la storica “Battaglia di Rivoli” fra l’esercito di Napoleone e quello austriaco e, poco distante, a Ponton, si trovava (e si trova tuttora) l’unico ponte sull’Adige della zona e quindi si tratta di un’ area storicamente strategica. Dopo questa battaglia, i Cimbri si sarebbero potuti stabilire sulle montagne circostanti dove rinforzati dai Goti prima e dai Longobardi poi, avrebbero conservato la loro lingua fino quasi ai nostri giorni, essendo ormai poche decine le persone che parlano Cimbro. Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 31 Chi è responsabile della comunicazione nella Lega Nord? di Alessandro Severi Trascrizione di due puntate della trasmissione “Radio Londra”, andate in onda su Radio Padania Libera (?) il 18 e il 25 settembre 2006. A seguito di queste puntate, la trasmissione è stata sospesa. 1 Come anticipato lunedì scorso, oggi parleremo di comunicazione, cioè di come si comunica col grande pubblico. È un termine molto generico ma che acquista un significato ben preciso nel campo del marketing di cui è uno strumento. Marketing: ecco un’altra parola moderna spesso impiegata a sproposito e di cui pochi di noi hanno un’idea precisa, per cui spesso le viene attribuita una connotazione negativa. Tempo fa, un amico di Bergamo (che spero sia in ascolto), si scandalizzò perché dicevo che anche un ideale come quello della Lega si deve “vendere come un fustino di detersivo”. Gli sembrava scandaloso. E invece i principi e le regole della comunicazione sono identici sia che si voglia convincere una persona a votare per un partito, a comprare un succo di frutta, o a credere in Dio. Il contenuto evidentemente è ben diverso, ma le regole di comunicazione sono identiche, e la Lega non le conosce. Devo subito chiarire che in questa trasmissione cercherò di analizzare il modo con cui la Lega comunica, senza mai giudicare il contenuto di quello che dice. In altre parole, parlerò non di contenuti ma di contenitori. Anche se in una puntata precedente di Radio Londra avevo definito il modo di comunicare della Lega come “dire le cose giuste nel modo sbagliato”, oggi non proporrò nessun giudizio, solo analisi. Il giudizio lo darete voi ascoltatori. Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 E ora veniamo al sodo. Per comunicare con effetto bisogna avere in testa ben chiare, ma proprio ben chiare, queste idee: 1. A chi si vuol parlare; 2. Cosa si vuole dire; 3. Come dirlo; 4. Il fine ultimo: che cosa ci si propone di ottenere. Tenendo bene in testa queste cose - e con un po’ di pratica - possiamo riuscire a guardare una pagina pubblicitaria in una rivista, uno spot televisivo, o un manifesto, e capire a chi sta parlando il pubblicitario, e cosa vuole ottenere, che non è sempre quello di vendere un prodotto. Cominciamo dal primo punto: a chi si vuole parlare. Faccio un esempio: in Inghilterra la Jaguar – una marca di automobili di lusso - ha iniziato una campagna pubblicitaria in cui parla di prezzi, di consumi e di performance. Finora la sua pubblicità non ha mai parlato di prezzi e di consumi. Chi chiede subito il prezzo di una macchina di lusso vuol dire che non può permettersela. E allora perché fa questa pubblicità adesso? È chiaro: al volante di Jaguar si vedevano solo persone sopra i cinquanta, con capelli bianchi o almeno brizzolati e certamente un bel conto in banca. È evidente che la Jaguar sta cercando una clientela più giovane e meno ricca. Vuole ampliare il mercato. La macchina è la stessa, ma il messaggio ora è diverso. Ho detto poco fa che le regole della comunicazione - diciamo più generalmente della pubblicità - sono le stesse, sia che si vendano prodotti commerciali, idee o una fede religiosa. Questo lo dico un po’ per scandalizzare, però sappiamo tutti che un prete parla in un modo quando é sul pulpito, in un altro in confessionale, e in un Quaderni Padani - 31 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 32 altro quando insegna il catechismo ai bambini. Il contenuto é lo stesso ma il modo di parlare é diverso perché parla a persone diverse. E la Lega? A chi parla la Lega? La Lega parla sempre e solo ai leghisti. Parla un linguaggio destinato ai leghisti, che piace ai leghisti. A questo punto facciamo un passo indietro e chiediamoci: perché le società commerciali e industriali fanno della pubblicità? Perché? Diciamo che - grosso modo - si fa una campagna pubblicitaria o per acquisire nuovi clienti, o per fidelizzare i consumatori esistenti. In politica si fa propaganda o per rassicurare gli elettori che già votano per il partito o per ottenere nuovi consensi fra chi vota per altri partiti. Cioè elettori esistenti o nuovi elettori. È una scelta importantissima. In Germania - ad esempio - dove tutti bevono birra, i produttori di birra non spendono soldi per fare nuovi consumatori. Conviene far bere un po’ di più i consumatori esistenti. È una scelta. Torniamo alla Lega. Ho detto prima che se con occhio un po’ esperto si guarda un pezzo di pubblicità o propaganda, si può riuscire a capire a chi e diretto e che cosa si propone. E quando io guardo la pubblicità, diciamo la propaganda, della Lega, vedo che è sempre e solo indirizzata a mantenere la lealtà degli elettori esistenti, soprattutto dei militanti. Quasi mai ad acquisirne di nuovi. In altre parole, la Lega predica ai convertiti. Non dico che sia bene né che sia male. In Lega ci sono menti politiche ben più raffinate della mia e che sanno quello che fanno, ma è certo che la comunicazione della Lega non è diretta ad acquisire nuovi consensi. Altrimenti qualcuno ci spieghi perché avevamo più consensi quando non avevamo media nostri: quotidiano, radio, televisione e un settimanale. Ragioniamo un momento: quanti di noi sentono dire a dei non leghisti frasi come “beh in certe cose la Lega ha ragione”, “su questo sarei d’accordo con la Lega”, “Bossi non tutti i torti”, eccetera. Questi si chiamano leghisti potenziali o elettori potenziali, nel marketing si direbbe consumatori potenziali. Ora immaginate che questa massa di elettori potenziali (e sono una grande massa, se si pensa che in Padania noi abbiamo solo il 7-8% dei voti), immaginate che questi possibili leghisti sentano Borghezio che urla insulti da un palco, Calderoli che in televisione dice che una legge che ha contribuito a varare è “una porcata”, o che dice che vuole regalare a Bush la famosa maglietta. 32 - Quaderni Padani Un leghista approva, ma i possibili elettori vengono - secondo voi - incoraggianti a convertirsi alla Lega? La risposta è no, evidentemente, perché questo contribuisce a dare alla Lega una reputazione di rozzezza. Cose così hanno il solo scopo è di fare piacere a leghisti convinti, duri e puri e basta: “Predicare ai convertiti”, appunto. Allora la Lega fa bene a comportarsi così? La risposta è questa: dipende dall’obiettivo che si è proposta. Se vuole far piacere ai leghisti esistenti fa bene; se invece vuole acquistare nuovi consensi sbaglia perché li allontana. Se vogliamo mostrare al pubblico in generale che siamo seri e competenti e affidabili, mandiamo avanti Pagliarini e dirigenti del suo calibro. Se vogliamo parlare solo ai fedeli: avanti Stefani! Avanti Calderoli! Basta sapere quello che vogliamo. Contrariamente al noto proverbio: è l’abito che fa il monaco. Un elettore che non sia già schierato, dà più importanza a una frase vuota e inutile di un Casini o di un Fini (detta in modo serio e pacato), che a una verità urlata da un dirigente leghista scamiciato che ha mille ragioni. Voi direte: ma è mai possibile che un Movimento come il nostro, che difende il Nord, la nostra cultura, il nostro mondo occidentale, abbia solo il 7-8% al Nord? Perché? Perché stiamo comunicando in modo sbagliato. Perché? Per un motivo che non abbiamo ancora detto: la comunicazione si fa attraverso i media. Media vuol dire soltanto mezzi, e mezzi di massa. I mass media, sono stampa, radio, televisione e affissione di manifesti. In più ci sono i comizi nelle piazze che non sono mass media perché si rivolgono solo ai presenti nella piazza. In difesa della pubblicità, spesso accusata di tanti mali, bisogna osservare che quando diciamo che una pubblicità è stupida o offensiva, significa molto spesso che abbiamo letto o ascoltato un messaggio che non era diretto a noi perché i media non sono tanto mirati. Se apro una rivista femminile o per teen-agers dirò che vedo della pubblicità inutile e che non m’interessa: ma sono io che ho letto un messaggio diretto ad altri. Evidentemente si comunica in modo diverso da una media all’altro. In un comizio davanti a una marea di camicie verdi e di belle bandiere padane si possono, anzi, si devono dire e gridare cose che dette davanti un pubblico- magari padano ma non leghista Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 33 non solo non avrebbero effetto, ma allontanerebbero l’ascoltatore dalla Lega. Io sono sicuro che questi fatti sono completamente ignorati o non presi in considerazione da chi nella Lega si occupa di comunicazione. Bisogna avere chiaro in testa a chi si vuole parlare, cioè cercare il proprio mercato, nel nostro caso il proprio elettorato. cioè dove seminare per poi raccogliere i frutti. La Coca Cola ha scelto un mercato di giovani, per cui la pubblicità è fatta in modo da attirare soprattutto i giovani. Ma la Lega dove va a pescare i suoi consensi? Ci ho pensato spesso, ci ho pensato molto, e ci ho capito poco. Vi dico solo di qualche osservazione che ho fatto, senza nessun giudizio politico, ma soltanto dal punto di vista della mia esperienza nel marketing e nella comunicazione. Prendiamo solo la Padania e gli elettori padani: 50% dei Padani votano per il centro sinistra e questi lettori la Lega non li vuole, tant’è vero che invece di scagliarsi contro i vari capi della sinistra se la prende con gli elettori della sinistra. Anche a RPL sentiamo spesso telefonate di ascoltatori arrabbiatissimi contro la sinistra e che chiamano tutti “comunisti”. In altre parole la Lega non vuole i voti di chi ha votato centrosinistra: non cerca di convincerli; anzi, spesso li insulta. Col marketing le imprese cercano di Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 convincere i consumatori di altre marche a passare alla loro. Noi no. Quindi il nostro “mercato” si autoriduce del 50%. Alle ultime elezioni politiche tanti manifesti della Lega dicevano: “No al matrimonio omosessuale”. Dimentichiamo per un momento questa idea vergognosa di lanciarsi contro i gay, che non hanno nessuna colpa e che non hanno scelto di nascere gay, e siamo cinici: quanti lettori sono stati convinti a votare per noi sulla base di slogan e campagne contro i gay? Quanti voti ci abbiamo guadagnato? É impossibile dirlo. É più facile invece dire quanto si sia perso. Faccio un conto approssimativo: pare che le persone gay siano il 6% della popolazione. Aggiungiamo che ciascun gay abbia - fra padre, madre, fratelli e sorelle - almeno tre parenti stretti che si sentono insultati dal linguaggio dei media della Lega. Questo fa 18%. Chi ha voglia di fare qualche calcolo può anche aggiungere chi non ha nulla a che vedere con i gay ma che trova inaccettabile e indegno insultare queste persone. Abbiamo così eliminato un’altra bella fetta di elettori. Complimenti! Ma perché impedire di votare Lega ai gay, alle loro famiglie e alle persone civili che non li vogliono discriminare? Perché? Forse qualche scienziato è riuscito a dimostrare che chi nasce Quaderni Padani - 33 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 34 gay è un centralista che non vuol la libertà del suo paese, che è contento di pagare tasse per conto di chi le non paga? La Lega ha poi l’abitudine di lanciarsi a testa bassa e senza esclusione di colpi in argomenti non direttamente connessi ai suoi ideali, ma che sono direi periferici o addirittura estranei. Penso ai PACS, alle cellule staminali, alla Serbia e Milosevich, eccetera. Questo prendere posizione in modo violento per una parte senza dare nessuna libertà di scelta, esclude automaticamente un grande numero di potenziali elettori. Evidentemente non vogliamo neanche il loro voto. Se questa è una scelta politica cosciente va bene io parlo di comunicazione non di contenuto però stiamo marciando verso il 3%. Se ne siamo consci e ci piace, allora è tutto OK. E invece no, io credo che la Lega stia andando in questa direzione semplicemente per incompetenza, perché non sa comunicare. Voi direte: ma è mai possibile che un Movimento come il nostro, che è osteggiato da tutti gli interessi occulti e palesi, che è riuscita a tener testa a tutti per anni e senza l’apporto di grandi capitali, non sia capace di fare comunicazione? Ma è mai possibile? Io vi dico di si, e la spiegazione è questa: purtroppo la comunicazione non è una scienza esatta, è un’attività nella quale tutti possono dire qualcosa, anche chi ne capisce poco. Basta vedere un manifesto elettorale o uno spot televisivo ed è facile dire qualche cosa di sensato: quel colore non mi piace, quella frase è più bella di un altra, la grafica va bene o non va bene, eccetera. In realtà per fare le cose bene ci vogliono dei professionisti. Ci sono in Lega grandi menti politiche che non si rendono conto che non sono capaci di comunicare, semplicemente perché non è il loro mestiere; che credono che basti gridare o scrivere una cosa giusta e che non si rendono conto che la comunicazione è una cosa diversa e va fatta in modo professionale. La comunicazione va ponderata da specialisti, non nasce spontaneamente. Nessun uomo politico serio si sognerebbe di ordinare degli slogan di propaganda. Ve lo immaginate un leader conservatore o Tony Blair che prende un foglietto di carta, ci fa una bozza e dice a qualcuno: “fate una roba così, e scriveteci sopra questo o quest’altro”. Un politico deve avere chiaro in testa a chi vuole parlare, cioè chi vuole convincere e di che cosa, dare istruzioni a un professionista e lasciare che questi crei il 34 - Quaderni Padani messaggio. Poi approverà o farà rifare il lavoro. In questa rubrica in passato avevo già fatto questo esempio: ricordo di avere detto che se in via Bellerio succede un black-out e va via la corrente, interviene uno specialista non un deputato o un senatore che di corrente non capisce niente. Ma il deputato o senatore o dirigente che sa di non capire niente di elettricità, crede di conoscere le regole professionali della comunicazione, e invece non sa neppure distinguere fra strategie e tattica. Certo sa benissimo come si parla con un pubblico di leghisti in un comizio, ma qui stiamo parlando di ben altro. 2 Lunedì scorso da Venezia avevo parlato di comunicazione in generale e della comunicazione della Lega in particolare. Avevo detto come se con occhio un po’ esperto uno guarda una pagina di pubblicità di un prodotto o vede uno spot pubblicitario o un manifesto, può capire a che genere di consumatore il pubblicitario stia parlando e di che cosa cerchi di convincerlo (che non è sempre quello di comprare un prodotto). Abbiamo anche detto che - grosso modo - ogni pubblicità si rivolge o ai consumatori esistenti per rassicurarli e trattenerli, o ai consumatori di altre marche per attirarli verso la propria. Dentro questi due gruppi poi si cercherà di indirizzare il messaggio pubblicitario, o il messaggio politico, più specificamente, verso uomini o donne, giovani o meno giovani eccetera, a seconda del mezzo che si usa: media o mass media. Se qualcuno mi ha ascoltato la settimana scorsa ricorderà che la mia analisi della comunicazione che fa la Lega era che la Lega parla soltanto ai leghisti, cioè “predica ai convertiti” e non cerca nuovi consensi fra quelli che hanno votato centrosinistra, o che sono laici, gay, o che appartengono ad altre categorie che non piacciono ad alcuni dirigenti della Lega. Soprattutto, e questo è ciò che più mi stupisce, è che non cerca di recuperare i voti che sarebbero più facilmente recuperabili. Quali sarebbero gli elettori più facilmente recuperabili? Semplice: quelli che hanno già votato Lega e che per qualche motivo l’hanno disertata. Mi ero anche permesso di dire che il problema della Lega mi sembra essere che chi fa comunicazione non s’intende di comunicazione e pensa che basti l’intuito. La comunicazione invece è Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 35 un’arte a parte. Quello che ho detto la settimana scorsa era una critica aperta, e il fatto che nessun dirigente mi sia capitato tra capo e collo a rimproverarmi o a chiudermi la bocca, vuol dire che: o nessuno dei personaggi importanti della Lega aveva la radio accesa a quell’ora, oppure perché un po’ di dibattito interno è tollerato e considerato utile. Propendo per questa ultima supposizione, e quindi continuerò imperterrito a dire quello che penso. Abbiate pazienza, mi spiace sembrare di volere dare lezioni a destra e manca, ma credo che sia bene parlare ancora un po’ di comunicazione. In termini semplici e sintetici: come comunica una società commerciale e, insisto, anche un partito o movimento politico bene organizzato? Facciamo l’esempio di una società perché più facile: immaginiamo una società che produce aperitivi e si accorge che le vendite sono in calo. Il Direttore Generale chiede al reparto marketing di presentare una spiegazione. Il marketing si avvale di ricerche di mercato, usando tecniche molto raffinate, e trova questa spiegazione: il nostro aperitivo viene principalmente bevuto da persone di una certa età, mentre i giovani non lo bevono perché ha un’immagine vecchiotta e tradizionale. Anche i giovani che non lo hanno mai bevuto danno questo genere di risposta. È una questione di immagine. Non c’è da stupirsi, capita molto spesso: il prodotto è buono ma l’immagine è negativa e la gente non lo compra. La cosa capita anche alla Lega Nord: presenta le idee più giuste ma ha una cattiva immagine. Viene percepita male. Torniamo al nostro esempio. La Direzione di quella marca di aperitivi decide di indirizzare i consumi verso le fasce di mercato più giovani. E passa la palla al Marketing (notate: la Direzione non decide in che modo parlare ai consumatori, non è suo lavoro. Il suo lavoro, molto più importante, è decidere strategie e investimenti e cose del genere). Il Marketing incontrerà la sua Agenzia di pubblicità nella persona di un cosiddetto Account Manager al quale si darà un briefing dettagliato (scusate queste parole inglesi, ma si usa così) cioè spiegazioni e istruzioni su: 1) cosa vogliamo fare; 2) perché; 3) a che genere di persone vogliamo parlare (prevalentemente uomini o donne, classe sociale, eccetera); 4) cosa vogliamo ottenere e; 5) di che budget disponiamo. L’agenzia di Pubblicità e Comunicazione ne discute col suo reparto creativo e quando è convinta che ha fatto un buon lavoro va a presentarAnno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 lo alla nostra società di aperitivi. Sto solo facendo un esempio: se si tratta di una campagna di affissione e stampa, cioè con manifesti e pagine su riviste e giornali, i creativi magari proporranno dei personaggi che bevono il nostro aperitivo. Saranno giovani ma non giovanissimi, perché le persone che si vuole convincere sono giovani adulti. Saranno vestiti all’ultima moda ma non all’ultimissima, abbastanza eleganti ma senza cravatta, eccetera. Questi giovani poi avranno un’aria simpatica ma non saranno troppo belli e attraenti (perché devono essere personaggi che si possono imitare, non invidiare, altrimenti si creano situazioni di frustrazione e delusione che non vogliamo). Questi sono i ragionamenti che si farebbero in questo caso immaginario. La Direzione approva, oppure rifiuta e rimanda a casa l’agenzia che dovrà ritornare con un’altra proposta. Una volta che la proposta è approvata dovrà essere testata: cioè si mostrano bozze di manifesto a 100 - 200 persone che rappresentino il settore al quale vogliamo vendere il prodotto per vedere se il messaggio è stato trasmesso bene e capito bene. Io l’ho fatta semplice e lineare perché i dettagli qui non interessano, ma in realtà sono in gioco molti soldi e qualche settimana o mese dopo si tratterà di valutare se i soldi spesi sono ritornati in cassa attraverso un aumento di vendite o almeno un aumento di distribuzione (nel caso di pubblicità politica se sono arrivati i voti ). Vi ho inflitto tutta questa tirata, e me ne scuso, ma volevo dimostrare che la comunicazione verso il pubblico non è cosa semplice, è roba da specialisti, anche se a prima vista pare si tratti solo di fare un manifesto o di inventare qualche slogan. Mi sembra che in via Bellerio invece si pensi che queste cose si possono fare per istinto. I “capi” invece devono stabilire chiaramente cosa vogliono e a chi vogliono parlare. Il lavoro creativo lo devono fare gli specialisti. I “capi” devono solo stabilire le strategie. E quando devono loro stessi, i “capi”, comparire in pubblico - questo accade nel mondo politico non in quello commerciale - devono ascoltare attentamente i consigli di esperti, altrimenti finiscono per dire in televisione quello che va detto in un comizio, dicono cose non adatte al pubblico che li sta ascoltando. E che non sono Camicie verdi! La comunicazione è una professione molto specializzata e solo superficialmente può sembrare che consista solo nel fare un bel disegno, nell’inventare un bello slogan o una frase forte. Quaderni Padani - 35 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 36 Carta europea dell’autonomia locale Consiglio d’Europa, 1985 G li Stati membri del Consiglio d’Europa, firmatari della presente Carta, considerando che il fine del Consiglio d’Europa è di realizzare un’unione più stretta tra i suoi membri, per salvaguardare e promuovere gli ideali ed i principi che sono il loro patrimonio comune; considerando che la stipulazione di accordi nel settore amministrativo è uno dei mezzi atti a realizzare detto fine; considerando che le collettività locali costituiscono uno dei principali fondamenti di ogni regime democratico; considerando che il diritto dei cittadini a partecipare alla gestione degli affari pubblici fa parte dei principi democratici comuni a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa; convinti che è a livello locale che il predetto diritto può essere esercitato il più direttamente possibile; convinti che l’esistenza di collettività locali investite di responsabilità effettive consente un’amministrazione efficace e vicina al cittadino; consapevoli del fatto che la difesa ed il rafforzamento dell’autonomia locale nei vari Paesi europei rappresenti un importante contributo all’edificazione di un’Europa fondata sui principi della democrazia e del decentramento del potere; affermando che ciò presuppone l’esistenza di collettività locali dotate di organi decisionali democraticamente costituiti, che beneficino di una vasta autonomia per quanto riguarda le loro competenze, le modalità d’esercizio delle stesse, ed i mezzi necessari allo espletamento dei loro compiti istituzionali; hanno convenuto quanto segue: Art. 1 Le Parti s’impegnano a considerarsi vincolate 36 - Quaderni Padani dagli articoli seguenti, nella maniera e nella misura prescritta dall’articolo 12 della presente Carta. Parte I Art. 2 Fondamento costituzionale e legaledell’autonomia locale Il principio dell’autonomia locale deve essere riconosciuto dalla legislazione interna, e per quanto possibile, dalla Costituzione. Art. 3 Concetto di autonomia locale 1. Per autonomia locale, s’intende il diritto e la capacità effettiva, per le collettività locali, di regolamentare ed amministrare nell’ambito della legge, sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante degli affari pubblici. 2. Tale diritto è esercitato da Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti. Detta disposizione non pregiudica il ricorso alle Assemblee di cittadini, al referendum, o ad ogni altra forma di partecipazione diretta dei cittadini qualora questa sia consentita dalla legge. Art. 4 Portata dell’autonomia locale 1. Le competenze di base delle collettività locali sono stabilite dalla Costituzione o dalla legge. Tuttavia, detta norma non vieta il conferimento, alle collettività locali, di competenze specifiche, in conformità alla legge. 2. Le collettività locali hanno, nell’ambito della legge, ogni più ampia facoltà di prendere iniziative proprie per qualsiasi questione che non Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 37 esuli dalla loro competenza o sia assegnata ad un’altra autorità. 3. L’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini. L’assegnazione di una responsabilità ad un’altra autorità deve tener conto dell’ampiezza e della natura del compito e delle esigenze di efficacia e di economia. 4. Le competenze affidate alle collettività locali devono di regola essere complete ed integrali. Possono essere messe in causa o limitate da un’altra autorità, centrale o regionale, solamente nell’ambito della legge. 5. In caso di delega dei poteri da parte di un’autorità centrale o regionale, le collettività locali devono fruire, per quanto possibile, della libertà di armonizzare l’esercizio delle loro funzioni alle condizioni locali. 6. Le collettività locali dovranno essere consultate per quanto possibile, in tempo utile ed in maniera opportuna nel corso dei processi di programmazione e di decisione per tutte le questioni che le riguardano direttamente. Art. 5 Tutela dei limiti territoriali delle collettività locali Per ogni modifica dei limiti locali territoriali, le collettività locali interessate dovranno essere preliminarmente consultate, eventualmente mediante referendum, qualora ciò sia consentito dalla legge. Art. 6 Adeguamento delle strutture e dei mezzi amministrativi alle missioni delle collettività locali 1. Senza pregiudizio di norme più generali emanate dalla legge, le collettività locali devono poter definire esse stesse le strutture amministrative interne di cui intendono dotarsi, per adeguarle alle loro esigenze specifiche in modo tale da consentire un’amministrazione efficace. 2. Lo statuto del personale delle collettività locali deve consentire un reclutamento di qualità, che si basi sui principi del merito e della competenza; a tal fine, deve associare adeguate condizioni di formazione, di remunerazione e di prospettive di carriera. Art. 7 Condizioni dell’esercizio delle responsabilità a livello locale 1. Lo statuto dei rappresentanti eletti dalle collettività locali deve assicurare il libero esercizio Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 del loro mandato. 2. Esso deve consentire un adeguato compenso finanziario delle spese derivanti dall’esercizio del loro mandato, nonché, se del caso, un compenso finanziario per i profitti persi, od una remunerazione per il lavoro svolto, nonché un’adeguata copertura sociale. 3. Le funzioni ed attività incompatibili con il mandato di eletto locale possono essere stabilite solamente dalla legge o dai principi giuridici fondamentali. Art. 8 Verifica amministrativa degli atti delle collettività locali 1. Ogni verifica amministrativa sulle collettività locali potrà essere effettuata solamente nelle forme e nei casi previsti dalla Costituzione o dalla legge. 2. Ogni verifica amministrativa degli atti delle collettività locali deve di regola avere come unico fine di assicurare il rispetto della legalità e dei principi costituzionali. La verifica amministrativa può, tuttavia, comportare una verifica esercitata da autorità, a livello superiore, dell’opportunità in merito ai compiti, la cui esecuzione è delegata alle collettività locali. 3. La verifica amministrativa delle collettività locali deve essere esercitata nel rispetto di un equilibrio tra l’ampiezza dell’intervento dell’autorità di controllo e dell’importanza degli interessi che essa intende salvaguardare. Art. 9 Risorse finanziarie delle collettività locali 1. Le collettività locali hanno diritto, nell’ambito della politica economica nazionale, a risorse proprie sufficienti, di cui possano disporre liberamente nell’esercizio delle loro competenze. 2. Le risorse finanziarie delle collettività locali devono essere proporzionate alle competenze previste dalla Costituzione o dalla legge. 3. Una parte almeno delle risorse finanziarie delle collettività locali deve provenire da tasse e imposte locali di cui esse hanno facoltà di stabilire il tasso nei limiti previsti dalla legge. 4. I sistemi finanziari che sostengono le risorse di cui dispongono le collettività locali devono essere di natura sufficientemente diversificata ed evolutiva per consentire loro di seguire, in pratica, per quanto possibile, l’andamento reale dei costi di esercizio delle loro competenze. 5. La tutela delle collettività locali finanziariamente più deboli richiede la messa in opera di Quaderni Padani - 37 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 38 procedure di perequazione finanziaria o di misure equivalenti, destinate a correggere gli effetti di una ripartizione impari di fonti potenziali di finanziamento, nonché degli oneri loro incombenti. Dette procedure o misure non devono diminuire la libertà di opzione delle collettività locali nel proprio settore di responsabilità. 6. Le collettività locali dovranno essere opportunamente consultate per quanto riguarda le modalità dell’assegnazione, nei loro confronti, delle risorse nuovamente distribuite. 7. Per quanto possibile, le sovvenzioni concesse alle collettività locali non dovranno essere destinate al finanziamento di progetti specifici. La concessione di sovvenzioni non deve pregiudicare la libertà fondamentale della politica delle collettività locali, nel proprio settore di competenza. 8. Per finanziare le loro spese di investimento, le collettività locali devono poter avere accesso, in conformità alla legge, al mercato nazionale dei capitali. Art. 10 Diritto di associazione delle collettività locali 1. Le collettività locali hanno diritto, nell’esercizio delle loro competenze, a collaborare e, nell’ambito della legge, ad associarsi ad altre collettività locali per la realizzazione di attività di interesse comune. 2. Il diritto delle collettività locali di aderire ad un’associazione per la tutela e la promozione dei loro interessi comuni e quello di aderire ad un’associazione internazionale di collettività locali devono essere riconosciuti in ogni Stato. 3. Le collettività locali possono, alle condizioni eventualmente previste dalla legge, cooperare con le collettività di altri Stati. Art. 11 Tutela legale dell’autonomia locale Le collettività locali devono disporre di un diritto di ricorso giurisdizionale, per garantire il libero esercizio delle loro competenze ed il rispetto dei principi di autonomia locale, consacrati dalla Costituzione o dalla legislazione interna. Parte II colata da venti almeno dei paragrafi della Parte I della Carta, di cui almeno dieci prescelti tra i paragrafi seguenti: – articolo 2, – articolo 3, paragrafi 1 e 2, articolo 4, paragrafi 1, 2 e 4, – articolo 5, – articolo 7, paragrafo 1, – articolo 8, paragrafo 2, – articolo 9, paragrafi 1, 2 e 3, – articolo 10, paragrafo 1, – articolo 11. 2. Ciascun Stato contraente, al momento del deposito del proprio strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione, notificherà al Segretario Generale del Consiglio d’Europa i paragrafi prescelti in conformità alla norma del paragrafo 1 del presente articolo. 3. Ciascuna Parte può, in qualsiasi ulteriore momento, notificare al Segretario Generale che essa si considera vincolata da ogni altro paragrafo della presente Carta, che non aveva ancora accettato in conformità alle disposizioni del paragrafo 1 del presente articolo. Detti successivi impegni verranno considerati come parte integrante della ratifica, dell’accettazione o dell’approvazione della Parte che effettua la notifica, e produrranno i medesimi effetti dal primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data di ricevimento della notifica da parte del Segretario Generale. Art. 13 Collettività cui si applica la Carta I principi di autonomia locale contenuti nella presente Carta si applicano a tutte le categorie di collettività locali esistenti sul territorio della Parte. Ciascuna Parte può tuttavia, al momento del deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione, designare le categorie di collettività locali e regionali alle quali intende limitare il settore di applicazione o che intende escludere dal settore di applicazione della presente Carta. Essa può anche includere altre categorie di collettività locali o regionali nell’ambito di applicazione della Carta, mediante ulteriore notifica al Segretario Generale del Consiglio d’Europa. Disposizioni varie Art. 12 Impegni 1. Ciascuna Parte s’impegna a considerarsi vin38 - Quaderni Padani Art. 14 Comunicazioni di informazioni Ciascuna Parte trasmette al Segretario Generale del Consiglio d’Europa ogni opportuna informaAnno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 39 zione relativa alle disposizioni legislative ed altre misure adottate allo scopo di adeguarsi ai termini della presente Carta. Parte III Art. 15 Firma, ratifica, entrata in vigore 1. La presente Carta è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Sarà sottoposta a ratifica, accettazione e approvazione. Gli strumenti di ratifica, di accettazione o di approvazione saranno depositati presso il Segretario Generale del Consiglio d’Europa. 2. La presente Carta entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data alla quale quattro Stati membri del Consiglio d’Europa abbiano espresso il loro consenso ad essere vincolati dalla Carta, in conformità alle norme del paragrafo precedente. 3. Per ogni Stato membro che esprimerà successivamente il suo consenso ad essere vincolato dalla Carta, questa entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data del deposito dello strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione. Art. 16 Clausola territoriale 1. Ciascuno Stato può, al momento della firma, o al momento del deposito del proprio strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione indicare il o i territori cui si applicherà la presente Carta. 2. Ciascuno Stato potrà, in qualsiasi altro successivo momento, mediante dichiarazione indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, estendere l’applicazione della presente Carta ad ogni altro territorio designato nella dichiarazione. La Carta entrerà in vigore nei confronti di detto territorio il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data di ricevimento della dichiarazione da parte del Segretario Generale. 3. Ogni dichiarazione resa, in virtù dei due paragrafi precedenti, potrà essere ritirata, per quanto riguarda i territori indicati in detta dichiarazione, mediante notifica inviata al Segretario Generale. Il ritiro avrà effetto dal primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di sei mesi dopo la data di ricevimento della notifica da parte del Segretario Generale. Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Art. 17 Denuncia 1. Nessuna Parte può denunciare il presente Statuto prima dello scadere di un periodo di cinque anni successivo alla data di entrata in vigore della Carta nei suoi confronti. Un preavviso di sei mesi sarà notificato al Segretario Generale del Consiglio d’Europa. Detta denuncia non pregiudica la validità della Carta nei confronti delle altre Parti, fermo restando che il numero di queste non sia mai inferiore a quattro. 2. Ciascuna Parte può, in conformità alle norme enunciate nel paragrafo precedente, denunciare ogni paragrafo della Parte I della Carta da essa accettato, con riserva che il numero e la categoria dei paragrafi cui questa Parte è vincolata rimangano conformi alle disposizioni dell’articolo 12, paragrafo 1. Ciascuna Parte che, a seguito della denuncia di un paragrafo, non si adegui più alle disposizioni dell’articolo 12, paragrafo 1, sarà considerata come avendo denunciato la Carta stessa. Art. 18 Notifiche Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa notificherà agli Stati membri del Consiglio: a. ogni firma; b. il deposito di ogni strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione; c. ogni data di entrata in vigore della presente Carta, in conformità al suo articolo 15; d. ogni notifica ricevuta in applicazione delle disposizioni dell’articolo 12, paragrafi 2 e 3; e. ogni notifica ricevuta in applicazione delle disposizioni dell’articolo 13; f. ogni altro atto, notifica o comunicazione relativa alla presente Carta. In fede di che, i sottoscritti, debitamente autorizzati a tale scopo, hanno firmato la presente Carta. Fatto a Strasburgo il 15 ottobre 1985 in francese ed in inglese, i due testi facenti ugualmente fede, in un unico esemplare, che sarà depositato negli archivi del Consiglio d’Europa. Il segretario Generale del Consiglio d’Europa ne invierà copia autenticata conforme a ciascuno degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Quaderni Padani - 39 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 40 La Rubrica Silenziosa La statistica è una scienza fatta di dati e cifre che quasi sempre non necessitano di commenti. Di seguito si riportano i dati di alcune indagini scelte fra le tante disponibili e più o meno note. Incentivi alle imprese Anno: 2002-2003 Fonte: MET - Monitoraggio economico e territorio Erogazioni degli incentivi alle imprese (in milioni di Euro) e somme pro capite (in Euro), per regione, nel biennio 2002-2003 Marche Lazio Veneto Emilia Rom. Tr. SudTirolo Umbria Toscana 113 409 360 362 86 78 335 Liguria Lombardia Piemonte Molise Abruzzo 207 1.326 649 55 231 127 146 151 168 181 Friuli Sicilia Puglia Campania Sardegna Valdaost Calabria Basilicata 255 1.275 1.175 1.993 594 47 1.022 345 215 251 288 345 360 392 499 569 Rep. italiana Padania Italia etnica 10.917 3.292 7.625 189 129 238 40 - Quaderni Padani 77 78 80 91 92 93 95 più di 200 € pro capite fra 100 e 200 € pro capite meno di 100 € pro capite Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 41 La Rubrica Silenziosa Protesti Anno: 2004 Fonte: Agenzia delle Entrate Numero di protesti ogni 100.000 abitanti Trentino SudTirolo Veneto Friuli Valdaosta Liguria Piemonte Sardegna Emilia Romagna 739 1.132 1.157 1.365 1.584 1.680 1.693 1.703 Toscana Umbria Marche Molise 2.494 2.850 2.890 2.692 Sicilia Lombardia Basilicata Calabria Abruzzo Puglia Campania Lazio 3.020 3.046 3.085 3.460 3.526 3.787 4.470 5.345 Repubblica italiana Padania Italia etnica 2.929 2.012 3.658 Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 più di 3.000 protesti ogni 100.000 abitanti fra 2.000 e 3.000 protesti ogni 100.000 abitanti meno di 2.000 protesti ogni 100.000 abitanti Quaderni Padani - 41 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 42 La Rubrica Silenziosa Invalidi civili Anno: 2004 Fonte: Istat-Inps Numero di invalidi civili ogni 1.000 abitanti Lombardia Veneto Piemonte Trentino SudTirolo 54,8 59,0 62,4 63,4 Friuli Emilia Romagna Liguria Lazio Toscana 70,8 73,9 76,1 79,7 80,6 Valdaosta Puglia Sicilia Marche Campania 96,2 101,7 104,5 107,2 110,0 Abruzzo Molise Umbria Calabria Sardegna Basilicata 113,2 115,9 116,0 119,5 121,0 122,6 Repubblica italiana Padania Italia etnica 42 - Quaderni Padani 82,8 62,9 100,3 più di 110 invalidi ogni 1.000 abitanti fra 90 e 110 invalidi ogni 1.000 abitanti fra 70 e 90 invalidi ogni 1.000 abitanti meno di 70 invalidi ogni 1.000 abitanti Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 43 La Rubrica Silenziosa Trasferimenti alle Regioni Anno: 2005 Fonte: Sda Bocconi per Anci Veneto Euro per abitante trasferiti dallo Stato alle Regioni Trentino SudTirolo Valdaosta Friuli Veneto Emilia Romagna 0,00 9,37 9,58 167,52 172,48 Lombardia Marche Toscana Abruzzo Piemonte Sardegna Puglia 186,71 187,19 195,35 196,61 199,32 205,39 208,58 Umbria Molise Liguria Lazio 217,44 219,95 226,04 249,97 Sicilia Calabria Campania Basilicata 267,88 281,35 299,66 305,05 Repubblica italiana Padania Italia etnica 210,75 169,99 245,14 Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 più di 250 € per abitante fra 210 e 250 € per abitante fra 180 e 210 € per abitante meno di 180 € per abitante Quaderni Padani - 43 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 44 La Rubrica Silenziosa Frodi assicurative Anno: 2004 Fonte: Isvap Percentuale di sinistri stradali con frodi rilevate alle Assicurazioni Valdaosta Trentino SudTirolo Friuli Umbria Marche Emilia Romagna Veneto Lombardia 0,14 0,42 0,47 0,58 0,71 0,73 0,81 0,99 Toscana Abruzzo Molise Piemonte Sardegna Lazio Basilicata Liguria 1,11 1,14 1,23 1,36 2,15 2,20 2,50 2,63 Sicilia Calabria Puglia Campania 4,70 5,73 7,50 12,90 Repubblica italiana Padania Italia etnica 44 - Quaderni Padani 2,91 1,06 4,70 più del 4% di sinistri con frode fra l’1% e il 4% di sinistri con frode meno dell’1% di sinistri con frode Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 45 La Rubrica Silenziosa Deficit della sanità Anno: 2004 Fonte: Corte dei conti Disavanzo della spesa sanitaria in Euro per abitante Umbria Basilicata Puglia Friuli Piemonte + 2,99 0,96 7,72 7,79 9,60 Emilia Romagna Toscana Liguria Lombardia Veneto Molise 10,35 11,74 27,08 34,80 47,34 56,37 Sicilia Marche Calabria Abruzzo 67,02 67,24 74,68 98,44 Campania Sardegna Lazio Valdaosta Trentino SudTirolo 102,48 105,53 123,16 370,76 462,32 Repubblica italiana Padania Italia etnica 58,38 44,35 69,63 Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 più di 100 € per abitante fra 60 e 100 € per abitante fra 10 e 60 € per abitante meno di 10 € per abitante Quaderni Padani - 45 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 46 La Rubrica Silenziosa Referendum sulla riforma costituzionale, detta della “Devolution” Anno: 2006 Fonte: Ministero Interno Percentuale di voti a favore della riforma, per Provincia Repubblica italiana Padania 38,3 47,4 Province più “devoluzioniste”: Sondrio 65,4 Bergamo 62,7 Como 62,6 Verona 61,5 Treviso 59,6 Province meno “devoluziniste”: Crotone 13,8 Vibo Valentia 16,9 Cosenza 17,1 Reggio Calabria 18,6 Catanzaro 18,6 meno del 20% di si fra il 20% e il 30% di si fra il 30% e il 40% di si fra il 40% e il 50% di si fra il 50% e il 60% di si più del 60% di si 46 - Quaderni Padani Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:47 Pagina 47 La Rubrica Silenziosa Consumo di Viagra Anno: 1998-2005 Fonte: Ims Health Numero di pillole consumate ogni mille uomini nel periodo 1998-2005, per Provincia Media italiana: 2.960 Province più consumatrici: Roma 4.791 Pistoia 4.756 Rimini 4.627 Firenze 4.518 Pisa 4.320 Province meno consumatrici: Potenza 991 (per via del nome?) Nuoro 1.080 Enna 1.154 Matera 1.232 Agrigento 1.401 meno di 2.000 pillole fra 2.000 e 2.500 pillole fra 2.500 e 3.000 pillole fra 3.000 e 4.000 pillole più di 4.000 pillole Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quaderni Padani - 47 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 48 Biblioteca Padana Angelo Del Boca Italiani, brava gente Vicenza: Neri Pozza, 2005 318 pagine, 16,00 Euro Del Boca percorre tutte le vicende storiche italiane dell’ultimo secolo e mezzo e racconta con dovizia di documentazione tutte le nefandezze militari tricolori, dalla cosiddetta “guerra al brigantaggio” alle efferatezze nazi-fasciste. Sciorina un terribile rosario di scempiaggini, violenze e stupidità. Tutte accuratamente nascoste dalla storia ufficiale: il brigantaggio non c’è sui libri di scuola, le schifezze in Eritrea, in Libia, in Etiopia e sul Carso sono sempre state taciute sotto l’immagine stereotipata degli “italiani, brava gente”. Solo quelle fatte in Slovenia e dintorni hanno avuto qualche attenzione in più negli ultimi tempi. É un bel libro che proprio ci voleva. Peccato però che sia “senza capo né coda”. Nel senso che mancano l’inizio e la fine (in ordine di tempo) delle malefatte nazionali. Manca il momento in cui le efferatezze moderne hanno avuto inizio con la repressione delle insorgenze: è vero che non erano ancora fatte in nome dell’Italia unita ma in quello della criptoitalia giacobina, che però la storia ufficiale dipinge come l’inizio del Risorgimento. Erano soldati della Repubblica italiana e del Regno napoleonico d’Italia quelli che davano con entusiasmo una maano ai francesi a massacrare i loro compatrioti. 48 - Quaderni Padani Manca poi l’ultimo capitolo della seconda guerra mondiale. Dopo avere giustamente sottolineato le nefandezze fasciste, l’autore tende a giustificare con eccesso di comprensione le nefandezze partigiane in generale e quelle comuniste in particolare. Minimizza le schifezze delle varie volanti rosse, riduce a nulla i massacri di poveri diavoli bollati come fascisti. Sembra quasi che l’italica crudeltà sia secondo Del Boca solo da addebitare alla cultura reazionaria o di destra. Così secondo lui, i garibaldini sarebbero stato i buoni (come Bronte insegna...) e i piemontesi del reazionario re Vittorio cattivi con i cafoni. Le imprese coloniali sarebbero manifestazioni deleterie di nazionalismo (è ve- ro) e Crispi era una sorta di ante-Mussolini (è altrettanto vero) ma c’è dell’altro che Del Boca finge di ignorare. Il nazionalismo e il fascismo sono sicuramente responsabili ma lo sono altrettanto anche tutte le altre ideologie nate dalla rivoluzione francese: socialismo e comunismo compresi. Non si spiegherebbero infatti né le nefandezze delle contro-insorgenze, né le vicende tragiche della resistenza marxista, o delle successive violenze “rivoluzionarie” conosciute (Brigate rosse, Sessantotto, Feltrinelli, centri sociali, eccetera) e quelle ancora non conosciute e coperte dai misteri di Stato sotto i quali rosso e nero si intrecciano col verde dell’Islam. Non si spiegherebbero neppure le violenze perpetrate da governi democratici in Sud Tirolo, né le più recenti avventure “pacifiste”, dall’uranio impoverito sul popolo serbo a certe schifezze in Somalia. La causa vera delle violenze sono le ideologie giacobine, sotto il cappello dell’unità. Viene da pensare che sia proprio l’Italia a fare da innesco alle violenze. Ha ragione Sergio Romano quando scrive che per sopravvivere l’unità ha bisogno di ferro e sangue. Gli stati preunitari – con la sola sintomatica eccezione dei violenti Savoia – non avevano mai aggredito nessuno: Toscana e Due Sicilie non avevano mai fatto guerra a nessuno. Figuriamoci i ducati microscopici o il Papa. Genova e Venezia erano state in passato un po’ più manesche ma non imperialiste, e comunque niente in confronto all’Italia unita. Del Boca è un grande storico ma gli manca la dote essenziale che è la serenità di giudizio. Le lenti dell’ideologia sono deformanti e gli fanno perdere lucidità. Ha fatto un lavoro straordinario per aprire il vergognoso armadio delle nefandezze, ma cerca di tenere chiuso qualche cassetto. Non ci sono patrioti violenti buoni o a fin di bene. Ci sono violenti e basta. Ottone Gerboli Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 49 Edoardo Rubini Giustizia veneta. Lo spirito veneto nelle leggi criminali della Repubblica Venezia: Filippi Editore, 2003 293 pagine, 25,00 Euro Un profondo afflato identitario si riflette in questo libro di natura giuridica, la cui peculiarità è presentare una visione completa della società veneta attraverso l’intero apparato di leggi, pene e reati che permisero alla Serenissima di mantenersi indipendente per circa mille anni. Non solo per gli “addetti ai lavori”, ma esaustiva lettura di un mondo in cui l’essenza della Legge era al servizio di un popolo. Estremamente dettagliato, potrebbe addirittura costituire, con qualche adattamento, un codice penale da prendere a modello per una Padania liberata dal giogo italiano perché chiaro, semplice e con il “buon senso” della logica. L’introduttivo Discorso alla Nazione permette di comprendere quanto sia fondamentale il senso di appartenenza alla Terra e alla Cultura veneta. È un attaccamento fiero, carico di orgoglio, dunque positivo e mai arrogante; una strenua difesa del passato, velata da una sorta di amarezza per la grandezza perduta, lontana nel tempo. I nomi dei più famosi “Padri” sono richiamati in un appello che li rievoca fin dall’Età del Bronzo, quando le “singole comunità si reggevano con assemblee democratiche…” e le “diverse classi sociali… erano tenute insieme da pacifici rapporti di tipo confederativo”. Così, afferma l’autore, da sempre “la Serenissima si resse sul consenso collettivo”, con una concezione molto vicina alla sensibilità moderna. Una lunga serie di esempi e aneddoti evidenzia come i principi basilari fossero frutto di una “forte responsabilità della classe dirigente, costruita su basi adeguatamente larghe e omogenee”, e della “estro- missione di tutte le altre fasce sociali dalla politica attiva”. Si perseguiva una “condivisione di valori” che consolidava l’intera società: le “ambizioni personali erano bandite, represse come causa d’ogni male”. Così, l’essenza della Nazione era in totale sintonia con ogni suo aspetto sociale e culturale. Completava questo accurato sistema un “alto tribunale politico” per prevenire il cattivo operato e le degenerazioni dell’aristocrazia e dell’oligarchia al potere: riflessioni personali e dettagli storici sottolineano il valore di un profondo senso etico e meritocratico. Rubini riscontra come nemmeno le moderne ideologie abbiano apportato contribuiti validi. Ricorda, infatti, che “per l’uomo di Stato veneziano, l’incarico Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Biblioteca Padana pubblico era un onere grosso”...“ma al servizio della Patria (veneta), non la Patria a servizio loro.” A differenza degli Stati nazionali creati forzosamente nel XIX secolo con violenza, come nel caso italiano, la Serenissima rappresentò dunque uno splendido esempio di eccezionale modello democratico, anche in considerazione della sua politica di neutralità e di un corretto sviluppo socio-economico. Se “l’amore per la Patria non esiste più” a causa di un nazionalismo strumentalizzato dalle ideologie politiche di destra o sinistra e “per assenza di “valori etnici”, risulta addirittura deleterio un “revanscismo italico” dove “i parametri di giudizio” sono le storiche “coercizioni e violenze” o l’azione di “potenti gruppi di interesse economico, organizzati su scala sovrastatale”. Il criterio di democraticità dello Stato, dotato di un potere condizionante sui cittadini, può basarsi sul semplice criterio di rappresentatività? Alla domanda, retorica, l’esempio di Venezia ribadisce dunque l’esigenza di recuperare la “forte carica ideale che animava l’intero sistema politico“ della Serenissima”. Il suo Ordinamento giuridico risalente al XIII secolo si caratterizzò su “una realtà pacifica e rilevabile da tutti i documenti storici: in barba alla grande tradizione romanistica” con “un diritto proprio, le cui fonti erano costituite da statuti, deliberazioni giurisprudenziali e consuetudini”. E la “consuetuQuaderni Padani - 49 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 50 Biblioteca Padana dine” è sia “il diritto vivente nella pratica quotidiana” sia “le procedure e criteri seguiti dagli organismi pubblici nell’applicazione delle leggi”: l’uso patrio mantenne sempre la sua originalità. Se questo aspetto è stato rinnegato da esimi studiosi italiani, come il citato Besta, è perché si è spesso sopravvalutata la tradizione del diritto greco-romano. Rubini porta l’esempio di una contraddizione relativa alle leggi sulla dote, dimostrando che solo le leggi di influenza longobarda potevano risolvere con precisione l’eventuale controversia. Purtroppo, “un forte condizionamento ideologico grava sull’analisi storica: l’unitarismo italico ha teso a proiettare su Roma la paternità di qualsivoglia espressione culturale degna di essere studiata.” Viceversa, nell’antichità “restò marginale l’impronta romana nell’assetto politico e giuridico” e anche in età imperiale “le popolazioni non volevano il diritto romano perché erano abituate da sempre a vivere secondo un diritto nazionale profondamente diverso”. L’autonomia e l’autogoverno costituiscono nei secoli la cultura dei Veneti. Vi sono similitudini con le nazioni dell’arco alpino-adriatico, Austria, Slovenia, Carinzia o Istria: sono le assemblee popolari, longobarde o germaniche, come il riunirsi presso un albero di tiglio; o quella nota come Arengo, che governa e giudica a Venezia dal 697 al 1268 e coincide con la costituzione, proprio nel 697, della Veneta Repubbli50 - Quaderni Padani ca, segnata dall’“elezione del primo Doge, Paoluccio Anafesto”. Non a caso, simbolo di “indipendenza sia dall’Impero bizantino, sia da quello germanico.” Con orgoglioso senso di appartenenza, si esaminano le diverse parti dell’Ordinamento Veneto: le fonti del diritto (le leggi penali, le pratiche forensi, le compilazioni statutarie), l’autorità del Diritto Comune (specificità, uso patrio e considerazioni politiche), il principio di legalità (giustizia, carità, legalità, l’arbitrio giudiziario, le presunzioni e garanzia), i Magistrati. Piuttosto elitaria, la formazione dei giudici esperti nelle consuetudini locali “si faceva valere in larga parte per via orale” e presumeva “la coerenza con gli interessi generali, tanto nel penale, quanto nel civile”, così da evitare pericolosi conflitti d’interessi. Poiché “la libertà del singolo equivaleva alla libertà di tutta la nazione.” Secondo Costituzione, i patrizi, generalmente in condizione di affrontare economicamente studi lunghi e costosi, dovevano possedere “le capacità essenziali di un politico, coglier il nucleo e valutarlo… lasciandolo alla categoria subordinata – cancellieri, segretari, notai…”. Soprattutto, si “mirava ad armonizzare l’ordinamento… con gradualità ”i territori sulla terraferma di diritto imperiale, come l’Istria. Si giudicava il reo secondo il principio della “buona fede” o carità, attraverso i vari gradi e con un sistema severo di controlli, che prevedeva sempre la pietà per il condannato e la punibilità del giudice in caso di errore comportamentale, generalmente evitato da un “rigoroso sistema di verbalizza- zione”. Sembra di sognare. Le presunzioni di varia gravità e forme di garanzia riguardavano tutta una vasta casistica che anticipava quelle conquiste tipiche della giurisprudenza moderna. In magistratura, le competenze e le funzioni erano separate, ma vi era l’obbligo di assumere la carica e di essere sottoposti a controlli per inefficienza, oltre a un frequente avvicendamento. Vi erano anche i Zudexi del Forestier, per il diritto internazionale; ma il supremo magistrato e capo delle forze armate era il Doge. Se i tribuni erano giudici eletti dal popolo a presiedere l’arengo nelle isole della Laguna, i gastaldi dipendevano dall’autorità centrale, sorta di antenati dei podestà. E il quadro non è completo. Seguono poi i capitoli sulle pene e i reati. Nel sistema giuridico della Serenissima tutto è sempre estremamente dettagliato, improntato alla dignità umana, esecuzioni comprese. Nel libro, alle citazioni in latino si affiancano le numerose espressioni in veneto, che mantengono la specificità di una grande cultura. Va ricordato che durante i secoli, le pene si trasformarono gradatamente in un “atto giuridico”. È lungo e dettagliato l’elenco dei reati punibili con la pena capitale, che nell’Alto Medioevo includeva sia la pena di morte, il confine a vita, l’ergastolo o la condanna al remo di galera. Altrettanta precisione nel Registro dei Giustiziati per il numero e tipologia dei condannati; ma, si aggiunge, “il carnefice lavorò con grande parsimonia”. Apparentemente è “cruda” la descrizione delle diverse modalità di esecuzione della pena capitale, da inquadrarsi Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 51 in momenti storici lontani dalla nostra sensibilità ma che servì a mantenere a lungo la sicurezza della Serenissima. Anche l’invio al confino e le carcerazioni erano molto particolareggiate; si prendeva in considerazione una vastissima tipologia di ruoli e di misure assistenziali per i condannati. I lavori forzati al remo o la ferma nell’esercito per tre anni rappresentavano un’alternativa al soggiorno in cella e nel XVIII secolo si preferiva ricorrere ai lavori di pubblica utilità, con l’eccezione per i nobili e i ladri. Ma non mancavano sanzioni pecuniarie, punizioni infamanti, come la berlina per falsari e stregoni, torture e difese d’ufficio, addirittura dalla seconda metà del Trecento. E i reati considerati sono tanti: creditizi, contro il patrimonio o la persona o la moralità o lo Stato. Ma la tendenza era sempre quella di mantenere la disciplina graduando e attenuando via via le pene, in base al sesso o alle recidive. Se ne occupava il Doge in persona, come fece Giovanni Dandolo attraverso “la promissione (assemblea) dei malefici di Jacopo Tiepolo del 1232”. Ma si coglie la modernità e “l’anima libertaria” di Venezia soprattutto nella parte relativa ai reati contro lo Stato, inteso come “bene comune” nell’ideale repubblicano, rendendo così meno rilevante il reato di lesa maestà. Né laici, né religiosi, né il Doge - come accadde nel 1355 al cospiratore Marin Falier - erano esenti dal poter essere giudicati e condannati per alto tradimento. Severità anche contro l’usurpazione di cariche pubbliche o grande attenzione contro i brogli, la cui “incessante lotta” simboleggia- va “quel profondo anelito verso la società politica perfetta, fonte e fondamento spirituale di tutto l’ordinamento politico veneziano”, afferma Rubini. E vi fu accoglienza a Venezia per “tutti i gruppi etnici”, riuniti in piccole enclaves”, uniche eccezioni, gli zingari” e i “bravi”, “sicari, sanguinolenti, forestieri”: erano brevi i permessi di soggiorno “nei confini dello Stato”, ferme le espulsioni dei clandestini, severe le sanzioni o le condanne per i cancellieri e tutti coloro che li favorivano. Si torna a sognare ancora un sistema proprio di uno Stato così civile, la cui esistenza fu cancellata da un falso plebiscito sabaudo. La consapevolezza di sapere che la Veneta Repubblica e il suo sistema giuridico erano in passato una concreta realtà in alcune regioni padane come Veneto o Lombardia è malinconica, se confrontata al deprimente contesto giuridico italiano, ma è uno sprone a recuperare, almeno, lo spirito e l’identità. S. G. Biblioteca Padana Stato di Torino, o nelle biblioteche civiche di Ivrea, Novara e Vercelli. I protagonisti sono appunto Valdostani: montanari, uomini delle istituzioni o del clero, tutti appartenenti all’allora Regno del Piemonte. Sorprende scoprire quanto l’episodio dell’insorgenza e la sua feroce repressione da parte di Cavour siano paradigmatici della futura politica forzosa per “fare l’Italia”. Se la specificità del tema sembra dunque riguardare una piccola Terra come l’Arpitania, la peculiarità di questo Roberto Gremmo Montanari contro il tricolore. L’Insorgenza valdostana del 1853 e l’opposizione popolare a Cavour Biella: Storia Ribelle, 2005 228 pagine Grazie a Roberto Gremmo, autonomista piemontese della prima ora e ottimo autore storico, si approfondisce in un’ottica revisionistica la storia cosiddetta “pre-unitaria” italiana. Montanari contro il tricolore, infatti, tratta avvenimenti accaduti nell’attuale Valle d’Aosta, e rende giustizia a un mondo finora ignorato, “racchiuso” ancora negli Archivi di Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 libro consiste nella ricerca dettagliata degli episodi e nella precisa documentazione riportata anche in lingua francese. Nell’esposizione, di taglio cronologico, si colgono aspetti di acuta e ironica analisi critica verso le cosiddette “Autorità Civili”, che si misero da subito al servizio del Primo Ministro Cavour. Contro i “ribelli” montanari. Quaderni Padani - 51 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 52 Biblioteca Padana Attraverso una paziente opera di ricerca, l’autore riesce a “smontare” l’insieme delle manovre politiche che hanno mosso opportunisticamente uno di quei “figuri” generalmente celebrati dalla Storia ufficiale delle scuole italiane, uno degli italopattriottardi da stradario, proprio anche a fronte dell’atteggiamento che Cavour tenne nei confronti di questa insorgenza valdostana. Una prima motivazione era di natura puramente economica. I protagonisti erano poveri montanari spinti dalla fame e da una situazione economica sempre più precaria per le nuove tasse, volute dal governo del Primo Ministro. Si evidenzia, dunque, come il cosiddetto eroe risorgimentale si trovasse personalmente coinvolto in un conflitto d’interessi: da “azionista dei mulini di Collegno quale era, legiferò a favore degli importatori di cereali. Se la politica liberistica da lui impostata “favoriva i ceti egemonici e penalizzava le classi più povere”, la penuria di raccolti e il conseguente aumento dei prezzi non facilitavano di certo la situazione economica dei montanari. L’imposizione sabauda dell’obbligo della leva militare e la concessione governativa di “sussidi agli immigrati politici lombardo-veneti” in seguito al conflitto del 1848 e 1849 aggravarono la situazione socio-politica di coloro che vivevano fra le montagne. Il malcontento era peraltro stato avvertito in altre località del Piemonte, dove si erano già re52 - Quaderni Padani gistrate varie rivolte spontanee contro il rincaro del prezzo del pane. Spinti dalla fame, i montanari iniziarono la ribellione in Valle d’Aosta proprio il giorno di Natale. La protesta partiva dal piccolo borgo alpino di Champorcher, forse anche a causa del mancato risarcimento ai parenti di tre giovani morti nella guerra di Lombardia. Ci si ricordava ancora delle rivolte antifrancesi del 1799 e del 1801, “indicate sprezzantemente dai potenti e dai notabili come insurrezioni degli zoccoli (socques)”. Il sostegno morale del segretario comunale Claude Joseph Dogier e del sacerdote Giovanni Antonio Gorret incoraggiò i montanari; la protesta coinvolse gente della vicina Pontbozet e di Issogne e giunse a Verrès. L’avvenimento assumeva anche una valenza sociale. Qui i “ribelli” s’impadronirono delle armi; strapparono e bruciarono poi quattro tricolori, simboli di quell’oppressione a cui giustamente si opponevano poiché “I loro nemici erano Cavour ed il simbolo della nuova vessazione: il drappo liberale verde, bianco e rosso, mutuato scimmiescamente da quello giacobino d’Oltralpe.” Un forte senso di dignità li guidava, consapevoli di avanzare delle giuste richieste. Avvertiamo quasi un affetto nella narrazione delle vicende e dei poveri montanari e il libro va letto per conoscere al meglio i particolari. Il 26 Dicembre a Chatillon circa 1200 uomini “gridarono di volere l’abolizione dello Statuto, la rimozione del Ministero di Finanze, l’abolizione delle imposte e dei nuovi pesi e misure, ripristinamento delle feste”. Il timore dei montanari era anche quello di perdere parte della tradizione religiosa che lo Stato del Piemonte sembrava volere attuare attraverso la politica anticlericale. Il governo aveva da poco approvato le leggi Siccardi, anticattoliche. L’intenzione degli orgogliosi “ribelli” era raggiungere Torino, la Capitale del Regno sabaudo e portarvi la loro protesta, ma l’intervento degli Intendenti di Aosta, Spirito Racca, e di Ivrea, Santi, e i carabinieri bloccò con violenza le due bande di circa ottocento montanari, che decisero, così, di dirigersi ad Aosta. Dopo qualche spiacevole episodio di razzia di generi alimentari, “vennero fermati con l’inganno” alle porte di Aosta, dove Vescovo, Sindaco e comandante militare, cavalier Michele Papa, trattarono con “il più coraggioso dei montanari, Dedioddo Chanou”. Fecero deporre le armi ai Socques e sottoscrivere a Chanou un foglio di carta, che avrebbe dovuto recare le richieste avanzate; il timore che i moti si estendessero anche alle valli confinanti era molto forte. Seguì dunque una sorta di farsa diplomatica, preludio alla conclusione della gran parte delle future vicende italiane. Numerose le assoluzioni: Racca venne scagionato: “nel tentativo di salvargli posto e carriera non mancarono di spendersi con dichiarazioni di sostegno e votazioni di vibranti ordini del giorno i Comuni di Ollein, St. Oyen ed Etroubles. Così, “gli accordi si rivelarono carta straccia…”, i ribelli “finirono sotto chiave e l’ordine tornò in Val d’Aosta.” Ma il 29 Dicembre “gli ultimi irriducibili fecero ancora sfregio alla tricolore bandiera”; il battaglione dei Savoia represse con Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 53 sanguinaria violenza la rivolta a Roen, Saint Marcel, …” e con la riconoscenza di Aymavilles e Chatillon! Le Istituzioni erano salve ma qualcuno doveva comunque pagare. Si adottarono particolari misure di prevenzione: la custodia delle armi nel Forte di Bard, prigione dei Socques e dei sacerdoti accusati di aver appoggiato le rivolte; vi fu la sospensione dei sindaci conniventi e la proclamazione dello stato di assedio in caso di eventuali nuovi moti. La Valle d’Aosta era, inoltre, presidiata da numerose forze di controllo sabaude. “Pugno di ferro”, scrisse il Ministro dell’Interno di San Martino all’Intendente Santi. Molti detenuti, “… 530 individui”, finirono in un carcere in pessime condizioni sanitarie anche a causa dei malintesi linguistici fra gli inquirenti e i testimoni, che si esprimevano in lingua locale, detta con tono dispregiativo “patois”. Un gruppo di nove montanari riuscì, nell’indifferenza delle guardie, a riparare in Svizzera, come accadde poi per “Tutti li compromessi nel fatto dell’insurrezione”, secondo quanto dichiarato il 12 Dicembre 1854. I settantaquattro che finirono sotto processo il 1 Gennaio 1855 a Torino dovevano rispondere solo di furto di alimentari o danni materiali. Ma un’altra e più rilevante motivazione all’azione subdola del Primo Ministro sabaudo era relativa all’aspetto giuridico. L’obiettivo era costituito dai rapporti intercorsi fra Cavour, il Partito Clericale e la Magistratura. Si ricorda qui come tra Cavour e il Clero non correva buon sangue. Egli intervenne personalmente al Parlamen- to di Torino per chiedere “la cacciata di diversi ordini religiosi dal Regno”, proprio citando le accuse del processo ai “tumulti della Valle d’Aosta”. Nel settore della stampa, il “foglio cattolico torinese, L’Armonia…aveva previsto l’esplosione in tutta la Valle del regno del terrore…”. Il conte Edouard Crotti si prodigò in un’appassionante difesa dei religiosi anche attraverso la pubblicazione di “un memoriale”, ma i quattro sacerdoti furono accusati, imprigionati a Bard per “insurrezione” e poi trasferiti nelle carceri a Torino. A seguito di accuse false, riportate nel libro col testo in francese i quattro sacerdoti furono condannati per la violazione delle Leggi Siccardi del Parlamento Subalpino, che puniva i rappresentanti del Clero “la censura delle Istituzioni dello Stato”. Una “sentenza mite”, sorta di compromesso fra le parti in causa riconosceva l’esistenza di un partito clericale con diritto di espressione, anche per sminuire le cause del malessere sociale che provocò le tensioni. In carcere restarono solo tre montanari, uno dei quali aveva bruciato e lacerato due bandiere, tricolori. Tuttavia, le pressioni di Cavour furono ignorate poiché I magistrati avevano agito “secondo una norma garantista, in vigore dal 1851 che impediva al potere politico di interferire nelle carriere dei Giudici”. Gli orgogliosi socques dell’Arpitania e il loro clero beneficiarono di questo inatteso risvolto, si afferma. Probabilmente questo caso potrebbe essere considerato il preludio ai tanti processi che seguiranno nella vita futura storia giudiziaria italiana. Se in passato gli Arpitani e i popoli Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Biblioteca Padana padani hanno perso la propria indipendenza e identità, oggi, vi sono ancora vittime dei reati d’opinione e i condannati, va ricordato, invocano richieste di libertà. S. G. Paolo Gulisano e Brid O’Neill La notte delle zucche Milano: Editrice Ancora, 2006 96 pagine, Euro 7,00 Grandi zucche forate illuminate dall’interno; scheletri e cupe figure incappucciate; risate agghiaccianti e un ritornello ossessivo: dolcetto o scherzetto? Tutto questo è Halloween, una moda, una festa, una nuova consuetudine che si è imposta negli ultimi anni, grazie alla persuasività di cinema e televisione, dopo il pionieristico lavoro fatto da parte dei fumetti (ricordate Linus in perenne attesa del Grande Cocomero, tra Quaderni Padani - 53 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 54 Biblioteca Padana la scettica perplessità di Snoopy?). Ormai la festa di Halloween è entrata perfino nel mondo della scuola: non pochi sono gli istituti scolastici,dalla scuola primaria a quella superiore, dove gli insegnanti fanno festa insieme ai bambini, tra giochi e disegni. Da più parti, di fronte al crescere di questo fenomeno, si è cominciato a manifestare una certa preoccupazione: c’è chi vede in Halloween un ritorno a forme di “paganesimo”, e chi invece un rito folkloristico e consumistico, una specie di innocuo carnevale fuori stagione. Chi ormai più si ricorda, non solo tra i bambini e i giovani e a livello massmediatico popolare, la festività cristiana che Halloween va soppiantando: Ognissanti. Il 1 novembre, quando è ricordato nell’accezione cristiana dai mezzi di comunicazione, è praticamente confuso con la festività dei defunti, che cade in realtà il giorno dopo. Eppure il nome Halloween altro non è che la storpiatura americana del termine - in inglese di Irlanda – All Hollows’ Eve: la vigilia di Ognissanti. Questa antichissima festa arrivò negli Stati Uniti insieme agli emigranti irlandesi, e là si radicò, per subire poi, in tempi recenti, una radicale trasformazione. Dagli schermi di Hollywood la moda di Halloween è arrivata così da qualche anno nella vecchia Europa. Per conoscere bene la storia di Halloween, le sue origini, i si54 - Quaderni Padani gnificati dei simboli e cento altre curiosità è giunto in questi giorni nelle librerie un agile volumetto, scritto a quattro mani da Paolo Gulisano, uno dei più apprezzati esperti di Tolkien, di letteratura fantastica e di mitologia celtica, collaboratore dei Quaderni e da Brid O’Neill, studiosa irlandese di miti e folklore trapiantata negli Stati Uniti. I due autori portano i lettori indietro nei secoli, fino a quella grande festa celebrata sin dai più lontani tempi da parte dei Celti il 1 novembre. Una festa antichissima che ha attraversato i secoli, con usi e costumi che nel tempo si sono ridefiniti ma che hanno conservato lo stesso significato. I due autori ripercorrono il mito e la storia di Halloween, arrivando fino al grande caso letterario e cinematografico degli ultimi anni, quello di Harry Potter, nelle cui storie Halloween ricorre numerosissime volte, segnando- tra l’altro-la data dell’attacco di Voldemort ai genitori di Harry e la loro uccisione. diana privo di senso, l’opera dello storico e biografo Lentini è estremamente chiara e didattica. Chi sono gli sconfitti? Uomini e istituzioni come “il federalismo, la Chiesa e i cattolici, i contadini e gli operai, il popolo e i poveretti, la giustizia sociale…”; sono contestate le modalità con cui è stata attuata l’unità degli Stati preunitari. Con molta chiarezza, dichiara che il suo intento è quello di “ricomporre una nuova unità…” - sulla quale, però, ci permettiamo di sollevare grandi perplessità – con “valori e diritti che non furono rispettati”. Ma anche un lettore laico apprezza la profondità di ricerca e l’analisi lucida degli eventi storici accaduti. Il primo “sconfitto” per eccellenza è dunque il federalismo, sorta di chimera desiderata dallo stesso Cavour e da Giovanni Mastai Ferretti, più noto come Gerlando Lentini La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano dalla parte degli sconfitti Rimini: Il Cerchio 1999 91 pagine, 19.00 Euro Incisivo e scritto con un’ottica cattolica, questo libro affronta in tono revisionista il processo risorgimentale, “anello debole” di un periodo che la storiografia italiana ufficiale ritiene fondamentale per la formazione dell’entità statuale italiana. Se, in effetti, la particolarità di questa fase storica si rivela sempre più strumentalmente utilizzata per mantenere uno “status quo” nella realtà quoti- papa Pio IX. Delle tre forme di unità - federazione, confederazione o annessione - si scelse, non a caso, la peggiore; nonostante l’intervento del Papa per “un progetto di unificazione Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 55 elaborato da prelati” come Antonio Rosmini e “dal giurista redattore della Carta Costituzionale svizzera Pellegrino Rossi”. I moti rivoluzionari del 1848 e il rifiuto del re Carlo Alberto a negoziare con i popoli, preclusero ogni dialogo sulla scelta istituzionale da adottare. Le leggi anticlericali tra il 1850 e il 1855 e cioè la soppressione degli ordini religiosi che non svolgevano funzioni sociali, contrastano il principio cavouriano del “Libero Stato in libera Chiesa”. E lo stesso imperatore francese Napoleone III fu vittima del “doppio gioco” di Cavour nell’accordo del 1858 a Plombières: l’allenza contro l’Austria era finalizzata ad attuare una futura Confederazione. Invece, seguiranno solo “plebisciti fasulli al 99% che avrebbero legittimato l’annessione” con violente imposizioni. In uno scenario di schiere di falsificatori, misfatti e corruttele che determinano il nuovo Stato centrale, si legge di una serie eventi degni del miglior romanzo giallo: scomuniche eccellenti come quella comminata a Vittorio Emanuele, la profezia negativa relativa ai Savoia e riportata da don Giovanni Bosco, il misterioso annegamento di Ippolito Nievo sul piroscafo affondato con la documentazione finanziaria della spedizione dei Mille e i tentativi di corruzioni dei vertici dell’alto clero. Si arrivò, così, all’unità d’Italia. Qualcuno se ne era accorto già allora: per Massimo D’Azeglio “non si poteva di fondare un’associazione umana su una serie di furberie, di perfidie e di bugie” e per Carlo Cattaneo è “odiosa ai popoli...l’idea nazionale; finirà col far sospirare il passa- to”. Lentini evidenza come l’opportunismo del “complotto massonico-protestante”, favorito dall’intervento di interessi e personaggi inglesi e concretizzatosi anche nella spedizione dei Mille (1860) con Giuseppe Garibaldi (Gran Maestro del Grande Oriente Italiano nel 1861), prevalse sul rispetto per le identità, culture della gente e laicizzò la Chiesa cattolica. Religiosi e popolani si trovavano spesso uniti in un fronte comune contro leggi vessatorie e la forte tassazione anche di generi alimentari essenziali, come la tassa sul macinato dei cereali nel 1868. Citando lo storico inglese Dannis Mack Smith, Lentini ricorda come “nel risorgimento italiano, troppo era dovuto al caso e agli stranieri, mentre lo sforzo nazionale compiuto appariva sproporzionatamente limitato”; oltre l’incongruenza di “giustificare la conquista di Roma e dello Stato Pontificio sia giuridicamente sia moralmente, dato che lo Stato italiano si era impegnato mediante trattato a difenderlo da ogni possibile invasore.” Cosa aspettarsi dunque dalla creazione così innaturale di uno Stato-Frankestein, Entità mostruosa senza vita e orgoglio proprio? Quello che viene spesso, e a ragione, definito “un paese anomalo”. Le soppressioni delle istituzioni religiose, le rivolte o le cosiddette insorgenze, il fenomeno del brigantaggio e della mafia, nati come reazione all’insensibile governo dei Savoia, completarono lo scenario. L’evoluzione dello sconclusionato Regno italiano non convince l’Autore, che rileva la necessità di “dare una comune coscienza nazionale”. Ottima la riflessione se- Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Biblioteca Padana condo cui “al vuoto dei valori della tradizione storica e cattolica si volle rimediare mitizzando il Risorgimento col culto di coloro che lo avevano realizzato, elevandoli al rango di eroi”, quelli che definiamo eroi da stradario. Il capitolo finale, Un popolo alla deriva, traccia una panoramica del crescente anticlericalismo registrato tra il 1882 e il 1900, anche attraverso le figure del filosofo cattolico Benedetto Croce, del piuttosto conciliante di papa Leone XIII o del più combattivo don Davide Albertario, direttore del periodico Osservatore Cattolico al tempo di re Umberto I. Il sovrano fu pugnalato nello stesso anno a Monza: l’episodio era il simbolo dichiarato di “uno stato di malessere diffuso in tutta la società” proprio perché “le condizioni erano peggiorate con l’unità…” Ma il fallimento continua. S. G. Ernest Renan Che cos’è una nazione? Roma: Donzelli editore, 2004 114 pagine, Euro 12,50 Breve e conciso volume che tutti dovrebbero leggere per formarsi una propria coscienza e conoscenza civica, dedicato a chi vive in nazioni non ancora riconosciute, come i popoli padani, ma soprattutto a coloro che continuano a nutrirsi, seppur in buona fede, di confusi sentimenti patriottici, strumentalizzati da alcune istituzioni stataliste con il peggior opporQuaderni Padani - 55 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 56 Biblioteca Padana tunismo. Il quesito andrebbe dunque posto a tutte quelle “personalità” che dall’alto dei loro scranni quasi quotidianamente diffondono a mezzo stampa o radiofonico e televisi- vo le loro verità circa cosiddetti “Unità Nazionale”, “Patria” e/o “Paese”, proclamandone una condivisione inesistente. È dunque auspicabile che siano i singoli a conoscere i criteri e l’essenza di una vera nazione. Ma è altrettanto fondamentale sapere la differenza fra il concetto di Stato come ente giuridicamente riconosciuto e Nazione come legame storico, culturale, sociale: è il lien social o legame sociale riconosciuto da Fustel de Coulanges, come si vedrà. II tema, sempre attuale, frutto di una conferenza del 1882 di Ernest Renan, studioso e “suddito fedele di Napoleone III”, scaturisce dalle riflessioni amare su un periodo in cui la Francia del XIX secolo si contraddi56 - Quaderni Padani stingue per un insieme di situazioni storico-sociali negative: “il crollo del Secondo Impero, l’umiliazione dell’invasione, la vacanza di ogni potere legittimo, il collasso dei suoi concittadini”. Così, sebbene la lucida analisi di Renan offra una risoluzione sociale alla Francia del 1870, ci è possibile riflettere sugli “elementi primari della convivenza civile e sui fattori di sopravvivenza di una collettività anche depredata delle sue risorse e dei suoi mezzi di difesa”. Ed è una realtà che pare ci riguardi da vicino quella trattata nella prima parte del libro, mentre risultano meno interessanti le restanti relative al confronto fra Francia e Germania, alla funzione dei popoli semitici nella storia della civiltà o all’ebraismo come razza e religione. L’introduzione di Silvio Lanaro, prende spunto dal contesto storico francese e costituisce una soddisfacente chiarificazione teorica di alcuni concetti fondamentali, come l’inefficacia della democrazia a suffragio universale, “perché il numero è notoriamente idiota di per sé, o come il nazionalismo; originatosi “con la guerra franco-prussiana…”. Fu infatti il dibattito sul destino dell’Alsazia a coinvolgere non solo i preoccupati letterati Gustave Flaubert e George Sand, ma teorici del devastante nazionalismo ottocentesco, come Fichte o Theodor Mommsen da una parte e lo storico NumaDenys Fustel de Coulanges, autore della Cité antique (1864) dall’altra. Questi, definiva l’Alsazia “tedesca per la razza e per la lingua”, ma “per la nazionalità e per sentimento patriottico, senza dubbio, francese”, poiché la sua gente partecipò alla “rivoluzione del 1789”. Convinto che “la forza non fonda nulla”, egli giungeva, con sorprendente attualità, alla considerazione che “è facile sentirsi francesi (ma potremmo scrivere: italiani) quando si gode di tranquillità, di sicurezza e di protezione, ma è molto più arduo… quando si deve scegliere perché una serie di scosse sismiche sta minando dalle fondamenta la stabilità dell’edificio sociale”. Su posizioni simili si trovava il pensiero del moderato Renan, che, con entusiasmo ipotizzava la possibilità di “influire sul presente” rivalutando l’elemento storico: se nel caso francese tale opportunità non si concretizzò, crediamo valga, soprattutto ai nostri giorni, la pena soffermarci sulle componenti di una nazione. Uno dei testi della conferenza alla Sorbona assume, ai nostri occhi, una funzione quasi profetica: “le individualità storiche” di Francia, Inghilterra, Germania e Russia continueranno nonostante “un tentativo di dominio universale”. Né oblio o errore storico, né religione, razza o lingua, né etnografia sono fattori fondamentali: “una nazione è un’anima, un principio spirituale.” Un’anima che, “presuppone un passato, ma si riassume nel presente attraverso un fatto tangibile: il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme. L’esistenza di una nazione è un plebiscito di tutti i giorni, come l’esistenza dell’individuo è un’affermazione perpetua di vita.” Riecheggia anche la richiesta di un eventuale referendum di autodeterminazione dei popoli previsto dall’articolo 1 dello Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. E Renan prosegue con il criterio del buon senso e della logicità, ricordando Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 57 che “le nazioni non sono qualcosa di eterno. Esse hanno avuto un inizio, avranno una fine.” Ma le trombonanti “personalità istituzionali” dello Stato italiano sembrano ignorarlo, quotidianamente, sbandierando bandiere e interessi nazionali subiti e storicamente mai scelti. Così, “l’esistenza delle nazioni” per Renan ha una doppia valenza: è “un bene, persino una necessità” da contrapporre a una “confederazione europea, che probabilmente, prenderà il loro posto”; ma addirittura “garanzia della libertà, che sarebbe perduta se il mondo avesse una sola legge e un solo padrone.” Paragonate a veri e propri individui con pregi e difetto di esistere, le nazioni sono personificazioni di un’umanità vista nella sua totalità e libertà d’espressione: “le dissonanze marginali spariscono nell’insieme.” Sembra quasi che Ernest Renan conosca i Padani e rivolga soprattutto a loro una riflessione con una nota di dolore e sofferenza circa il futuro. È uno scenario in cui si prevedono dolori, ma “fintanto che questa coscienza morale mette alla prova la sua forza attraverso i sacrifici richiesti dall’abnegazione dell’individuo a favore di una comunità, essa è legittima, ha il diritto di esistere. Renan sembra prefigurarsi anche le eventuali obiezioni affermando: “Se si sollevano dubbi sulle loro frontiere, consultate le popolazioni contese. Aspettiamo, Signori; facciamo passare il regno dei geni (della politica); sopportiamo il disprezzo di chi si sente forte. Il modo per avere ragione in futuro è, in certi momenti, sapersi rassegnare a esser fuori moda”. Forse, il futuro è già iniziato. S.G. Stephen P. Halbrook La Svizzera nel mirino. La neutralità armata della Svizzera nella seconda guerra mondiale Locarno: Pedrazzini Edizioni Verbania: Alberti Libraio, 2002 310 pagine , 30.00 Euro Perché un libro sulla Confederazione Elvetica? La prima risposta ci è fornita dall’autore, avvocato statunitense, docente di Filosofia della Storia e ricercatore di temi giuridici e militari svizzeri: ristabilire perché contro la Svizzera “la verità storica potesse venire alterata per pura propaganda” nel periodo 1933-1945. Nello specifico, come suggerito nel sottotitolo, si tratta con estrema chiarezza e approfondita analisi della neutralità armata durante la Seconda Guerra Mondiale e della resistenza attuata contro una possibile invasione. Particolarmente efficaci, le pagine introduttive completano il quadro storico: nelle riflessioni all’edizione in lingua italiana si ribadisce come abbiano Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Biblioteca Padana spesso pesato negativamente giudizi condizionati da una sensibilità contemporanea che non tiene conto della realtà di allora o da pregiudizi di natura antisemitista. La Svizzera, infatti, diede asilo politico a un gran numero di rifugiati ebrei. Brevi cenni di storia del Canton Ticino, da sempre distintasi per spirito libertario, si intrecciano con momenti di quella padana, come la rivolta della Val d’Ossola e l’esilio di Carlo Cattaneo. Già nella prefazione, Halbrook evidenza l’eccezionalità della neutralità di “una nazione del continente europeo non assoggettata all’occupazione tedesca…”, che ”ha dissuaso con successo la Germania dall’invadere e occupare il suo territorio. Il segreto è individuato nella presenza di tre fondamentali elementi: “una tolleranza razziale, etnica e linguistica, una lunga tradizione democratica e un sistema politico federale decentralizzato”. Ma non è un miracolo. La storia della Svizzera è un appassionante cammino di libertà, dignità e orgoglio, strenuamente ricercati da popoli che, pur appartenendo a etnie diverse - tedesca, francese e ticinese - hanno fatto della difesa della propria indipendenza l’obiettivo primario. Giova ricordare, che, da tradizione, la fondazione della Confederazione Elvetica avvenne sul prato del Grütli il 1° Agosto 1291 per la specifica volontà dei capi dei tre cantoni alpini di Uri, Svitto e Unterwalden, prometQuaderni Padani - 57 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 58 Biblioteca Padana tendosi reciproca difesa in caso di attacco esterno. A eccezione della breve parentesi di dominio napoleonico a cavallo dei Secoli XVIII e XIX, è tutta una storia di indipendenza coraggiosa. Precedente a questa data, sembra sia accaduto il leggendario aneddoto di Guglielmo Tell, paradigmatico di un atteggiamento tipicamente svizzero. È il cittadino che, grazie all’abilità di valido tiratore, rifiuta di assoggettarsi alla bizzarra volontà del tiranno austriaco, mette a repentaglio anche la vita del figlio per affermare la propria libertà e quella della sua Nazione, uccidendo poi il tiranno con una seconda freccia. E la balestra dell’eroe nazionale non perderà mai l’efficacia e la determinatezza, nemmeno durante la triste egemonia nazista del secolo scorso. Grazie al principio di neutralità armata, dal 1481, la difesa della madrepatria ha garantito alla Svizzera di evitare conflitti con le nazioni in guerra e conservare la propria indipendenza e unità interna. Questa concezione implica non solo una linea d’azione ma uno spiccato senso di responsabilità del singolo cittadino; se dalla fine del XIX secolo tutta l’organizzazione dell’esercito è di competenza federale e non dei singoli 58 - Quaderni Padani cantoni, da sempre la libertà della nazione si fonda sul solido senso civico e sull’abilità del singolo uomo a utilizzare il suo fucile. Il fucile, si affermava nell’edizione del manuale del 1933 distribuito a ogni maschio svizzero arruolato, è “simbolo dell’indipendenza e della forza della mia patria…”. Ne conseguiva la necessità di conoscerne al meglio l’aspetto tecnologico, di mantenersi in costante esercizio di tiro, anche evitando spreco di muni- zioni e, ovviamente di fornire una pronta mobilitazione in caso di emergenza bellica. Nella nuova Costituzione del 1815 l’esercito è definito popolo in armi; ogni maschio dai diciotto anni ai quaranta è tenuto ad addestrarsi per sparare fino a trecento metri e la Federazione svizzera di tiro a segno fu il fulcro delle numerose manifestazioni realizzate per favorire lo spirito di concordia e la l’allenamento. Facendo riferimento alla tradizione e alla festa nazionale del 1° Agosto, anche nel 1940, sul Grütli ri- fiorì lo spirito di resistenza contro l’offensiva di Adolf Hitler. Negli undici capitoli del libro seguono dunque gli avvenimenti accaduti dal 1933, vigilia della Seconda Guerra Mondiale fino al 1945, liberazione dell’Europa dall’occupazione militare tedesca. La lettura ci offre pagine di profonde e coinvolgenti emozioni: la consapevolezza di essere nel mirino di un’offensiva pericolosa e sconvolgente, l’angoscia per l’eventuale perdita della libertà millenaria e la tenace speranza di poterla preservare, a costo della vita, con onore. E la costante e coraggiosa reazione di un popolo che crede fino in fondo nella sua indipendenza, ricorrendo a una grande forza d’animo, perché spinto dall’idea di “difesa nazionale spirituale”. Nuovo Guglielmo Tell fu uno svizzero di lingua francese originario del cantone Vaud, Henry Guisan, comandante capo dell’esercito (dove “non vi sono generali all’infuori di quello nominato dal Parlamento in tempo di guerra”). Nella sua strategia ricorrono frequenti i riferimenti alla forza morale del patriottismo e alla forza materiale dell’esercito, considerato “l’incarnazione della Repubblica Federale”, la cui “forza era fondata sulla diversità”. Egli aggiunse che “il federalismo è la salvaguardia del paese, l’unificazione sarebbe la sua rovina”. La tattica adottata Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 59 si sviluppava dunque su un duplice livello: quello militare e diplomatico. Fin dal 1933 si era a conoscenza di piani di invasione della Confederazione da parte della Germania nazista, come comprovava l’esistenza di mappe del Reich comprendenti la Svizzera di lingua tedesca. Ma verso il Nazionalsocialismo, afferma l’autore citando il New York Times, la Svizzera provò “scarso entusiasmo”. Dopo l’annessione dell’Austria nel 1938, alle frontiere si rafforzarono le fortificazioni, si adottarono nuove misure, come un programma di riarmo più efficace e il prolungamento del servizio militare. A livello diplomatico, vi fu l’uscita dalla Società delle Nazioni e la messa al bando del Partito Nazionalsocialista, oltre all’attività di controspionaggio. L’avanzata nazista in Europa incombeva: a seguito della sottomissione della Cecoslovacchia, la Svizzera incoraggiava la difesa spirituale nazionale intensificando gare di tiro a segno e coinvolgendo anche le donne. I condizionamenti furono continui e di diversa natura. Se economicamente la Svizzera “dipendeva dalla Francia e dall’Italia per i viveri”, a livello mediatico, la possente propaganda tedesca di Goebbels richiedeva addirittura che “la stampa e la pubblica opinione dei Paesi neutrali non criticassero mai il Nazionalsocialismo.” Nel 1940 Belgio, Danimarca, Norvegia e Francia si arresero alla conquista tedesca. Fu dunque necessario modificare i piani per la politica del Ridotto: “una fortezza costruita dentro un’altra” per “prolungare la difesa della fortificazione principale e ricacciare l’aggressore”. Simbolo dell’orgogliosa dignità civica svizzera, il ridotto nelle Alpi rappresentava l’estremo tentativo di conservarne la libertà concentrando l’azione proprio dove si prevedeva il nemico avrebbe attaccato. E tutta la restante popolazione sarebbe ricorsa all’autodifesa. Ma lo spirito di resistenza fu sempre mantenuto vivo anche attraverso società segrete, come Esercito e Focolare o Aktion, che si occupavano di tenere contatti con tutta Europa o contro la demoralizzazione dei civili e il razionamento dei viveri o i frequenti allarmi ae- Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Biblioteca Padana rei. Non va dimenticato l’onere dei costi economici relativi all’ospitalità prestata - talvolta molto criticata - ai rifugiati ebrei e politici di diversa nazionalità, ai malati, ai prigionieri e agli orfani di guerra, di cui la Svizzera si fece carico con un profondo spirito umanitario. Attraverso l’operato della Croce Rossa si salvò un elevato numero di innocenti e perseguitati, il che attirò le mire di conquista naziste. Grazie alla neutralità la Svizzera poteva mantenere rapporti commerciali con Tedeschi e Statunitensi, gestire risorse finanziarie internazionali e assumere un ruolo strategico per attività di spionaggio. Forse per questo forte senso di tolleranza o per l’offensiva contro l’Unione Sovietica vi fu il rischio di un’invasione fino alla fine del 1944, cessato solo con la resa dei nazisti l’8 Maggio. Oggi i principi che hanno permesso alla Svizzera di mantenere la propria neutralità restano immutati. A conclusione, merita citare quanto dichiarato da un grande esule lombardo, Carlo Cattaneo: “…La libertà svizzera è un’istituzione che può proteggere le nazioni confinanti dagli effetti dei loro propri errori e dei momentanei loro furori. Il santuario della libertà dev’essere il santuario dell’umanità.” Ma i Padani ne sono da sempre consapevoli e, a Padania liberata dal giogo romano, potranno trarne i migliori benefici. Silvia Garbelli Quaderni Padani - 59 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 60 Norme per i collaboratori ai Quaderni Padani La lunghezza degli articoli Gli articoli devono avere una lunghezza compresa fra le 4.000 e le 20.000 battute. Per gli articoli che superano le 5.000 battute è necessario allegare un abstract di non più di 400 battute. La Redazione può modificare l’abstract ed apportare tagli al testo dell’articolo. In generale, ogni modifica sostanziale verrà concordata con l’autore. Si consiglia agli autori di segnare a margine della stampata, a matita, quelle parti non importantissime che, in caso di necessità, possono essere tagliate. Modalità di consegna Tutti i testi devono essere consegnati in dischetto (con la chiara indicazione del programma di scrittura usato e della versione) e in una copia a stampa (“stampata”). I testi possono venire forniti sia su dischetti MacIntosh che su dischetti MS-Dos. I programmi Word sono da preferire a quelli Wordstar che hanno una gestione a righe che crea qualche problema di conversione in ambiente MacIntosh. È comunque essenziale specificare sempre con quale versione sia stato battuto il testo. Il testo va impaginato a correre; sarà la Redazione a curare l’impaginazione definitiva dei testi in funzione delle esigenze tipografiche. 60 - Quaderni Padani Il materiale va consegnato ad uno dei redattori dei Quaderni Padani o spedito a: La Libera Compagnia Padana Casella Postale 55 Largo Costituente, 4 28100 Novara Il materiale - pubblicato o non non viene restituito. Tutte le collaborazioni sono gratuite. Gli autori di testi pubblicati hanno diritto a ricevere 3 copie del numero dei Quaderni Padani su cui è apparso il loro contributo. Immagini È preferibile che i testi siano accompagnati da immagini in testo o fuori testo, fornite di didascalie. Le immagini vanno consegnate sotto forma di disegni al tratto o di stampe fotografiche (meglio se in bianco e nero) di formato massimo A4 (cm 21 x 29,7). Il formato massimo di stampa sulla rivista è di cm 10 x14,5 (h). Eventuali immagini già digitalizzate devono essere in formato TIF, in ambiente MS-Dos. Nel caso di grafici o torte realizzati in altro modo, occorre indicare con precisione il software che li ha generati. Redazione delle note Le note devono essere indicate nel testo con numero ad esponente o con numero fra parentesi. Tutte le note vanno consegnate impaginate alla fine del testo: sarà cura della Redazione inserirle a pié di pagina. I riferimenti ai libri vanno indicati come segue: Romano Bracalini, Cattaneo. Un Federalista per gli Italiani (Milano: Mondadori, 1995), p.112 Il titolo è sempre in corsivo. Ove non ci fosse l’indicazione di editore si indichi: s.e.; ove manca il luogo di pubblicazione: s.l.; ove manca l’anno di pubblicazione: s.d. Per libri già citati in precedenza nell’articolo si dirà Romano Bracalini, op.cit., p.112 Per libri citati in successione immediata si dirà: Ibidem, p.112 I riferimenti agli articoli vanno indicati come segue: Corrado Galimberti, “Una lingua, un Popolo”, su Quaderni Padani, n.1, Estate 1995, pp.24-25 Bibliografia Le eventuali bibliografie vanno riportate alla fine del testo con le modalità che seguono. Libri (in ordine alfabetico per autore): - Bracalini, Romano. Cattaneo. Un Federalista per gli Italiani. Milano: Mondadori, 1995 Articoli (in ordine alfabetico per autore): - Galimberti, Corrado. “Una Lingua, un Popolo”. Quaderni Padani. n.1. Estate 1995. Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 61 Piccolo Dizionario Grammaticale Abbreviazioni e sigle Evitare le abbreviazioni. Ad esempio: L’articolo 3 della legge (e non l’art.3...); il senatore Rossi (e non il sen. Rossi), eccetera (e non ecc. o etc.). Si possono usare abbreviazioni come tv, dc (per democristiano e non per Democrazia Cristiana), ndt, ndr. Le sigle vanno scritte come nomi propri con l’iniziale maiuscola e il resto minuscolo e non separato da punti. Ad esempio: Anas, Anci. Per chiarezza spiegare il significato, nel caso si usi una sigla poco nota, la prima volta che compare nel testo. Esempio: l’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani. A capo Si usi l’«a capo» con discernimento perchè serve a indicare un periodo. Analoghe considerazioni vanno fatte sull’opportunità di non abusare del salto di riga per dare risalto alla separazione fra due argomenti trattati. In questi casi è più opportuno utilizzare dei titolini. Accenti In italiano, l’accento sulla e è grave solo su: è e cioè. In tutti gli altri casi ci vuole l’accento acuto: poiché, affinché eccetera. Gli accenti diversi (circonflessi eccetera) e gli altri segni presenti nelle lingue straniere o nelle lingue locali (“umlaut”, “tilde” eccetera), che non possono essere tracciati con il programma di scrittura usato, andranno segnati a mano in rosso sulla stampata. Le “umlaut” (ü) possono essere sostituite dal dittongo ue. Alfabeti diversi Le lettere di alfabeti diversi da quello latino (greco, cirillico eccetera) vanno chiaramente tracciate in rosso sulla stampata. Ove tali lettere non fossero reperibili nel programma di scrittura usato, deve essere lasciato uno spazio ben identificato nel testo su dischetto e il riferimento sulla stampata deve essere molto preciso. Citazioni Vanno riportate fra virgolette (“”) e devono sempre cominciare con la maiuscola. Esempio: Ha detto: “Verrò a trovarti”. Corsivo Si impiega solo per: 1) le testate dei giornali e delle riviste; 2) i titoli di libri, film, quadri, lavori teatrali; 3) i nomi scientifici latini di animali e piante; 4) nelle note in parentesi seguite da ndr o ndt (che vanno invece in tondo). Il corsivo non si adopera per dare enfasi a una parola o a un’espressione, né per le parole di altre lingue, né per i nomi di monumenti o navi. Ove nel programma di scrittura impiegato non esistesse una specifica caratterizzazione del corsivo, si sottolinei la parola indicando però sulla stampata che si intende proprio un corsivo. Decenni Si scrivono sempre in lettere con maiuscola iniziale. Esempio: gli anni Sessanta. “D” eufonica Va usata solo nell’incontro di due vocali uguali. Esempio: Franco ed Enrico, ad Arona. Nell’incontro di vocali diverse si omette sempre. Esempio: A una a una, e io, a Este. Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Grassetto Viene impiegato per i titolini o per segnare frasi particolarmente importanti. In caso di programmi di scrittura che non hanno il grassetto si indichi con chiarezza in rosso sulla stampata dove deve essere applicato. Maiuscole Paese e Repubblica, Stato, Parlamento, Senato, Provincia, Comune, Chiesa, Costituzione, Dio eccetera si scrivono con la maiuscola quando indicano la “personalità” e la “unicità” dell’ente che designano; per intendere, insomma, che si stà parlando del Parlamento (italiano e non di un qualsiasi paese), del Comune (di Milano e non di un qualsiasi comune). Nord, Sud, Est, Ovest si usano con la maiuscola quando indicano realtà geopolitiche e con la minuscola quando indicano direzione. Nelle denominazioni di enti o associazioni formate da più di un nome, prende la maiuscola soltanto il primo. Esempio: Associazione nazionale comuni italiani. Per i ministeri, prende la maiuscola il primo dei termini che designa il ministero stesso. Esempio: ministero dei Lavori pubblici, ministero di Grazia e giustizia. Si usa la maiuscola quando si parla di Terra, Sole e Luna intesi come astri e la minuscola quando si indica l’elemento fisico conseguente. Nei nomi geografici, va con l’iniziale maiuscola solo il vocabolo che può stare da solo senza perdere significato. Esempio: il fiume Po, il Fiume Azzurro, il lago di Garda, il Lago Maggiore. Si usa la maiuscola dei nomi, titoli di opere e denominazioni Quaderni Padani - 61 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 62 straniere così come appaiono nell’originale. Esempio: Le Moniteur. Nomi propri Quando si parla di un personaggio è bene chiamarlo, per la prima volta nel corso del testo, con nome e cognome per esteso (quindi: Carlo Cattaneo e non C. Cattaneo). Poi, se lo si cita ancora, si può usare solo il cognome. Nomi stranieri I nomi e le altre parole di lingue scritte in alfabeti diversi da quello latino devono essere trascritti nel nostro alfabeto con criteri sempre identici. Si usi sempre, se esiste, una grafia ormai consacrata. Esempio: Gheddafi. Per i nomi geografici si usi sempre, se esiste, la grafia italiana. Esempio: Parigi e non Paris, Ragusa e non Dubrovnik. Numeri Di norma si scrivono in cifre. Esempio: 20 lire. Si scrivono però in lettere: 1) i numeri da zero a dieci compreso (due chilometri); 2) cento, mille, mila, milione, miliardi (un milione di lire); 3) i numeri all’inizio di un periodo (Ventisette secoli); 4) i numeri che hanno un valore aritmetico attenuato (la vita è bella a vent’anni). Si scrivono sempre in cifre le indicazioni di data, orario e simili. Esempio: il treno delle 6, il 13 gennaio. Ordinali Si scrivono in cifre o in lettere seguendo le regole dei numeri e aggiungendo il segno tipografico ordinale. Esempio: il terzo palazzo, il 23° giorno. 62 - Quaderni Padani Ove il programma di scrittura non avesse il segno °, lo si indichi con una lettera e lo si segni sulla stampata in rosso. Esempio: 23o per ventitreesimo. Si scrivono sempre in numeri romani gli ordinali che sono parte di un nome proprio o di un nome di un regnante. Esempio: la nave Berta III, Carlo V. Percentuali Si scriva sempre il numero in cifre, seguito dall’espressione “per cento” in lettere. Esempio: 2 per cento. Il segno % si usa nei grafici e nelle tabelle e non nei testi. Plurale di nomi stranieri Non prendono il plurale e restano invariati i nomi di origine straniera entrati nell’uso corrente. Esempio: quattro tunnel, tre cognac. Restano nella forma plurale solo quelli entrati nell’uso corrente al plurale. Esempio: i peones di Montecitorio. Prendono invece il plurale i nomi stranieri non entrati nell’uso italiano e impiegati tra virgolette. Punteggiatura Davanti ai segni di punteggiatura non si deve mai mettere lo spazio bianco che è invece obbligatorio subito dopo. Il non rispetto di questa regola provoca seri problemi nell’impaginatura elettronica dei testi. Non si usa la virgola davanti a “eccetera”. Secoli Si scrivono, ove possibile, in lettere e con maiuscola. Esempio: il Trecento, il Duemila. Negli altri casi si usa il numero romano. Esempio: nel IX secolo. “Avanti Cristo” e “dopo Cristo” si abbreviano in “aC” e “dC”. Secolo può essere abbreviato in “sec.” solo nelle note. Sottolineature Ove non fosse presente nel programma il segno di sottolineatura, si indichino sulla stampata in rosso le parole da sottolineare. Dove si usi normalmente la sottolineatura come segno grafico per indicare il corsivo e si intenda invece effettivamente sottolineare nella stampa del testo una parola, lo si segni con particolare cura sulla stampata. Titoli Gli autori devono indicare titoli e sottotitoli dei loro interventi. Essi possono essere modificati per esigenze redazionali. Titolini Gli interventi di particolare lunghezza vanno suddivisi in capitoli contrassegnati da un titolino che andrà stampato in grassetto. Si consiglia di usare titolini anche per indicare il trattamento di specifici argomenti all’interno del testo. Virgolette Le virgolette (“”) si usano solo per i seguenti casi: 1) per il discorso diretto e quando si riportano frasi e parole testuali o citazioni; 2) quando si riportano parole di lingue straniere o locali non entrate nell’uso corrente; 3) quando si vuole dare particolare enfasi a una parola o mettere in rilievo che viene usata con un senso diverso da quello usuale. Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 63 La forza della Padania sono le idee I Quaderni Padani sono pubblicati bimestralmente da La Libera Compagnia Padana, una associazione che ha fini solo culturali e che riunisce tutti coloro che - al di là delle differenze ideologiche - credono nell’autonomia dei popoli padano-alpini. Il solo modo per ricevere con continuità i Quaderni è di aderire alla Libera Compagnia. La quota associativa annuale è di € 50. Essa dà diritto a ricevere i Quaderni, un libro e ogni altra pubblicazione o materiale edito dalla Compagnia. Il pagamento può essere effettuato: ❏ Inviando la quota all’indirizzo postale de “La Libera Compagnia Padana” (Casella Postale 55, Largo Costituente 4, 28100 Novara) con assegno non trasferibile intestato a “La Libera Compagnia Padana”. ❏ Mediante bonifico sul Conto Corrente Bancario numero 1403, intestato a “La Libera Compagnia Padana” presso l’agenzia di Novara della Banca Popolare di Novara (Cod. ABI 5608, Cab 10101). ❏ Mediante Conto Corrente Postale numero 38261202, intestato a “La Libera Compagnia Padana”. Si prega di allegare o far pervenire in ogni caso alla sede postale della Compagnia la scheda di adesione compilata in ogni sua parte. Si raccomanda di non pagare con Vaglia Postale! Lo statuto dell’Associazione è stato pubblicato sul numero 51-52 dei Quaderni Padani. Le Norme per i collaboratori sono pubblicate su questo numero. Entrambi i documenti sono reperibili anche sul sito dell’Associazione La Libera Compagnia Padana Casella Postale 55, Largo Costituente 4, 28100 Novara Tel. 333-1511182 E-mail: [email protected] Sito Internet: www.laliberacompagnia.org Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quaderni Padani - 63 Quad68imp 25-02-2008 14:48 Pagina 64 Scheda di adesione a La Libera Compagnia Padana Cognome Nome Luogo di nascita Data di nascita Residenza: Città Prov. Cap. Via tel. casa telefonino tel. ufficio fax E-mail: Professione: Quota di adesione: € 50 ❐ Rinnovo ❐ Nuovo associato Modalità con cui è stato effettuato il pagamento: ❐ Contanti ❐ Bonifico bancario cc 1403 Banca Popolare Novara cod. ABI 5608, CAB10101 Firma ❐ Assegno bancario ❐ Versamento in cc postale ❐ Assegno circolare N° 38261202 Data La Libera Compagnia Padana, C. P. 55, Largo Costituente 4, 28100 Novara, Tel. 333-1511182 E-mail: [email protected], Sito Internet: www.laliberacompagnia.org Secondo quanto previsto dalla legge 31 dicembre 1996, n. 675, i dati personali verranno impiegati solo ed esclusivamente per uso interno all’Associazione e non verranno in alcun modo divulgati. 64 - Quaderni Padani Anno Xll, N. 68 - Novembre-Dicembre 2006 Quad68cop2 25-02-2008 14:45 Pagina 3 Abbiamo pubblicato: Quaderni n. 61-62 - Settembre-Dicembre 2005 Repetita iuvant - Brenno 50 buone ragioni per l’indipendenza - Gilberto Oneto e Giancarlo Pagliarini I numeri dell’oppressione Quaderni n. 63 - Gennaio-Febbraio 2006 Chi sceglie i rappresentanti del popolo? - Brenno Identità, occidente e società multiculturale - Davide Gianetti Monopolio: una questione di Stato - Cristian Merlo Ricordo di Silvio Vitale, patriota napoletano - Adolfo Morganti Filippo Curletti, agente “pentito” di Cavour - Elena Bianchini Braglia Nel 1953 il contadinismo piemontese sconfisse la “legge truffa” - Roberto Gremmo Politica linguistica e minoranze autoctone in Francia - Fabio Ratto Lettera alla Libera Compagnia Padana - Giorgio Garbolino Boot Quaderni n. 64-65 - Marzo-Giugno 2006 Una riserva di libertà – Gilberto Oneto 1945-04-27 “Ciò che attendiamo dagli Alleati e ciò che loro daremo” – Il Cisalpino 1945-08-05 “La realtà nazionalista” – Il Cisalpino 1947-07-03 “Diritto di resistenza” – Il Popolo 1950-02-11 “Le regioni oggi” – L’Italia 1975-12-28 “La Padania e le grandi regioni” – Corriere della Sera 1976-03-20 “Come risolvere i problemi del sud?” – Corriere della Sera 1987-09-11 “L’Italia delle cento leghe” - Il Sole 24 Ore 1987-09-16 “In dialetto contro lo Stato” - Il Sole 24 Ore 1990-03-21 “Per un’Italia quasi federale” – Il Sole 24 Ore 1990-06-09 “L’Italia unita dalla retorica” - IIl Sole 24 Ore 1990-07-10 “Ma è nel federalismo che emerge la modernità” - IIl Sole 24 Ore 1990-12-27 “Caro Cossiga, la Costituzione ti protegge” - Il Sole 24 Ore 1990 “Etica, politica e problema della democrazia” – Orientamenti, n. 9-10 1991-02-21 “Chi alzò la spada dell’Islam” - Il Sole 24 Ore 1991-02-22 “San Tommaso senza eredi” - Il Sole 24 Ore 1991-05-10 “Un’idea orientata verso il futuro” – Europeo 1992-03-05 “Come sarà la Federazione” – Lombardia Autonomista 1992 “Io e la sinistra” – Micromega, n. 2 1992-07-29 “Che grave errore negare ai siciliani l’indipendenza” – Corriere della Sera 1992-12-10 – “Battaglia d’arresto” – L’Indipendente 1992-12-31 – “O centralismo o sfascio totale: rozza teoria” – L’Indipendente 1993-05-11 – “Miglio: riscoprire Sturzo? Sì, ma quello federalista” – La Stampa 1993-08-05 “Miglio: il voto degli emigrati splendido autogol dei partiti” – Corriere della Sera 1993-09 “Ex uno plures” – Limes 1993-10-15 “Le mie grandi regioni” – Corriere della Sera 1993 Lo Stato unitario – dal libro di Giuseppe Caravita 1994-01-26 “Sarò custode del federalismo” – Lega Nord 1994-02-22 “Ai lombardi i risparmi dei lombardi” – Il Giornale 1994-02-28 “Una Costituzione federale per restituire la libertà agli italiani” – Lega Nord 1994-04-14 “Miglio risponde a Sartori sul presidenzialismo” – Corriere della Sera 1994-06-14 “Il profesùr contro Speroni: no al federalismo avventurista” – Corriere della Sera 1994-08-21 “Nel dibattito tra garantisti e rigoristi evitiamo un’Italia a legalità limitata” – Corriere della Sera 1995-01-10 – “Il mio federalismo unica soluzione” – Il Giornale 1995-03-01 “L’Assemblea Costituente è un inganno” – Il Giornale 1995-03-29 – “Per salvare il Paese bisogna cambiare la Costituzione” – Il Giornale 1995-05-07 “Come cambiare la Costituzione” – Il Giornale 1995-06-18 “La Repubblica incaprettata” – Il Giornale 1995-08-20 – “La corruzione nei Comuni è figlia del centralismo” – Il Giornale 1995-08-27 “Perchè non è possibile sopprimere le regioni a statuto speciale” – Il Giornale 1995-11-16 – “Perchè le elezioni non bastano a cambiare il Paese” – Il Giornale 1996-01-25 – “Il coraggio di un vero federalismo” – Il Giorno 1996-05-16 – “Appello ai lombardo-veneti” – Il Giornale 1996-06 – “Evitiamo di sacrificare la diversità europea sull’altare dell’integrazione” – Federalismo e Libertà 1996-11-12 “Travolte le garanzie della Costituzione” - Il Sole 24 Ore 1994-04 “L’interesse nazionale non esiste” - Elites 1997-09-21 “Ma questo Stato non è una creatura viva” - Il Sole 24 Ore 1997-11-19 “Manifesto del solo federalismo possibile” – Il Giornale 1998-06-05 “Dopo la Bicamerale, ora proviamo l’Assemblea” – Il Corriere di Como BIBLIOGRAFIA delle operre di Gianfranco Miglio Quaderni n. 66-67 - Luglio-Ottobre 2006 Un pugno di mosche - Brenno ● 23 Novembre 1986 - Marcia contro il fisco Il primo fuoco di paglia - Carlo Stagnaro Meno fisco = più libertà - Franco Miroglio Uno che quel giorno c’era - Roberto Gremmo Rassegna stampa ● 13 -14-15 Settembre 1996 - Manifestazione sul Po per l’indipendenza della Padania Dieci anni dopo - Gilberto Oneto Monviso, il re di pietra simbolo di libertà. Un luogo sacro per antichi e nuovi popoli - Mariella Pintus Monviso, 13 Settembre 1996 - Gianluca Savoini Rassegna stampa Articoli pubblicati prima del 15 Settembre Articoli pubblicati dopo il 15 Settembre Il programma della manifestazione I documenti dell’indipendenza I numeri della manifestazione Le pubblicazioni sulla manifestazione Quad68cop2 25-02-2008 14:45 Pagina 4