106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 106 C hiese nel mondo Cambiamento climatico: una prospettiva cristiana I Rapporto ai vescovi della COMECE ntroduzione Sarà impossibile affrontare la sfida del cambiamento climatico senza mettere anche in questione l’organizzazione delle nostre società, i nostri stili di vita e il nostro sistema di valori. A questa conclusione approda il Gruppo di lavoro ad hoc sulle politiche dell’Unione Europea in materia di cambiamento climatico e stile di vita cristiano, costituito nel 2007 dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea (COMECE) e composto da dieci personalità europee provenienti dal mondo scientifico, politico ed ecclesiale. Il rapporto Cambiamento climatico: una prospettiva cristiana. Le implicazioni del cambiamento climatico sugli stili di vita e sulle politiche dell’Unione Europea, consegnato ai vescovi della COMECE durante l’assemblea plenaria del 12-14 novembre 2008, porta però in primo piano la potenzialità positiva che i cristiani hanno in questo frangente: riuscire a tradurre in una proposta «gioiosa, non noiosa», basata sullo stile della moderazione, valori come giustizia globale, sussidiarietà, solidarietà, amore del prossimo, in un’ottica di responsabilità intra- e intergenerazionale. Stampa (15.11.2008) da sito web www.comece.org. Traduzione dall’inglese a cura della Fondazione Lanza (cf. nota a p. 118). IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 Il cambiamento climatico si presenta come una crescente minaccia per il benessere dell’umanità per le generazioni presenti e future. Infatti esso si sta sempre di più imponendo come una questione di sopravvivenza per una gran parte del genere umano. La comunità scientifica è fortemente convinta che il cambiamento climatico in atto sia stato principalmente causato dall’aumento nelle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo e dallo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali dovuto agli stili di vita delle società industrializzate, ai sistemi economici e sociali che ne sono alla base e alla crescente pressione attuata su persone e risorse in particolare nei paesi in via di sviluppo. Per la maggior parte della storia umana si è assistito a una tacita accettazione della necessità di sfruttare l’ambiente per creare un mondo funzionale a soddisfare i nostri bisogni riguardo a cibo, casa, trasporti e tecnologia. La tecnologia ci ha dato gli strumenti per dominare sempre di più il mondo naturale. Dobbiamo riconoscere che gli attuali insostenibili stili di vita ad alto uso di risorse dei paesi industrializzati non possono essere alla portata di tutte le persone del mondo e rischiano altresì di pregiudicare la capacità stessa del pianeta di sostenere coloro che verranno dopo di noi. Indipendentemente dalla domanda se sia già stato raggiunto o meno il picco del petrolio – o come alcuni sostengono il «picco di ogni cosa» –, la capacità di assorbimento dei gas serra da parte dell’atmosfera raggiungerà ben presto i suoi limiti e si porrà l’urgenza di un’azione immediata a tutti i livelli. Se non iniziamo ora a perseguire una seria riduzione delle emissioni di gas serra, allora i costi di mitigazione e adattamento aumenteranno in maniera esponenziale e alcuni danni, come l’estinzione di specie naturali, risulteranno irreversibili. Il cambiamento climatico è una questione cruciale per tutto il Creato. Si tratta, in particolar modo, di una questione di giustizia intra- e intergenerazionale. È parte importante del credo cristiano la convinzione che il mondo sia un’eredità della bontà, della bellezza e della 106 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 107 potenza di Dio e che noi abbiamo la responsabilità di salvaguardarlo. Qualunque minaccia causata dall’azione umana al funzionamento della nostra fragile casa planetaria rappresenta quindi un rifiuto delle nostre responsabilità etiche fondamentali e un pericolo alla rete della vita cui siamo intimamente collegati. Facendo seguito a precedenti interventi sulla salvaguardia del creato, papa Giovanni Paolo II ha dedicato il suo messaggio per la pace del 1990 alla responsabilità verso il creato. Nella sua lettera apostolica Ecclesia in America, pubblicata nel 1999, papa Giovanni Paolo II ha elencato tra i «peccati sociali che gridano al Cielo» la distruzione irrazionale della natura e, in particolare, l’incontrollata emissione di gas serra, nonché la distruzione sistematica delle foreste pluviali. Papa Benedetto XVI nella sua lettera del settembre 2007 sottolineava specificamente che «la conservazione dell’ambiente, la promozione dello sviluppo sostenibile e una particolare attenzione ai cambiamenti climatici sono questioni di grave preoccupazione per l’intera famiglia umana. Nessuna nazione, nessun dominio economico può evitare di riconoscere le implicazioni etiche legate all’intero sviluppo economico e sociale». Durante la cerimonia inaugurale per la Giornata mondiale della gioventù, il 17 luglio 2008, papa Benedetto XVI sottolineò che « Le meraviglie della creazione di Dio ci ricordano la necessità di proteggere l’ambiente ed esercitare un’amministrazione responsabile dei beni della terra» e la necessità «di riflettere su quale tipo di mondo noi stiamo consegnando alle future generazioni». In quest’ambito, occorrerebbe fare riferimento anche al Compendio della dottrina sociale della Chiesa redatto dal Pontificio consiglio della Giustizia e della pace e pubblicato nel 2004. In questo documento l’intero capitolo 10 è dedicato ai problemi ambientali e, al n. 470, in relazione ai cambiamenti climatici, si afferma che «il clima è un bene che deve essere protetto e richiede che, nei loro comportamenti, i consumatori e gli operatori di attività industriali sviluppino un maggiore senso di responsabilità». Recentemente anche numerose conferenze episcopali si sono soffermate sulla questione del cambiamento climatico. Tali incontri hanno, a loro volta, portato alla stesura di documenti che affrontano in generale la responsabilità verso il creato, in particolare, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti con un documento del 2001 intitolato Cambiamento climatico globale e la Conferenza episcopale tedesca con un esteso documento specifico sul tema I cambiamenti climatici: punto focale della giustizia globale, intergenerazionale ed ecologica (cf. Regno-doc. 9,2007,293). Altre conferenze episcopali stanno tuttora lavorando su documenti simili o hanno organizzato dei seminari di studio sull’argomento. In termini ecumenici, oltre ad affermare che la responsabilità verso il creato «dovrebbe essere osservata e promossa come parte integrante della vita della Chiesa a tutti i livelli» (Graz, raccomandazione per l’azione n. 5; Regno-doc. 15,1997,484), il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) ha anche annunciato un «Programma per il cambiamento climatico» e, a livello europeo, le tre Assemblee ecumeniche europee tenute fino a oggi (a cominciare da Basilea, 1989 e continuando con Graz, 1997, e Sibiu, 2007) hanno posto particolare enfasi sulla necessità che i cristiani adottino e promuovano stili di vita sostenibili «in grado di invertire il nostro contributo al cambiamento climatico», come citato nella raccomandazione n. 10 di Sibiu. Tuttavia, la questione va oltre il cambiamento climatico: esso è semplicemente un sintomo visibile dell’insostenibilità del nostro modo di vita. Affrontare la sfida del cambiamento climatico deve quindi essere visto nel contesto della sostenibilità in un mondo giusto, che offra un eguale senso di benessere alle persone di tutto il mondo e di tutte le generazioni dell’umanità. 1. Dati scientifici sul cambiamento climatico e proiezioni per il futuro Un quadro di inequivocabile evidenza rispetto a un progressivo cambiamento climatico sta emergendo in molte parti del mondo, Europa inclusa. L’ultimo rapporto del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (Intergovernmental panel on climate change, IPCC) – struttura coordinata dalle Nazioni Unite che coinvolge oltre 2000 scienziati di tutto il mondo – è stato sottoscritto da quasi tutti i governi del mondo e solleva importanti questioni morali ed etiche, non solo per i cristiani, ma per tutti coloro che sono preoccupati per l’armonia della creazione di Dio (si vedano i messaggi chiave dell’ultimo rapporto dell’IPCC nell’Appendice – qui omessa; ndr). Cambiamenti climatici osservati Il clima cambia naturalmente nel tempo in risposta a fattori interni ed esterni. Tuttavia, di grande significato per il clima di oggi sono i cambiamenti che avvengono nella composizione dell’atmosfera. I gas serra, quali anidride carbonica, metano e protossido di azoto, esercitano un’influenza di enormi proporzioni sulla temperatura della terra. Misurazioni derivate da un innumerevole numero di fonti, tra cui le bolle di aria intrappolate all’interno del ghiaccio profondo, dimostrano che la concentrazione di gas serra è aumentata, come risultato delle attività umane, al più alto livello degli ultimi 650.000 anni. Via via che sono cresciute la conoscenza e la comprensione delle attività atmosferiche, il tono dei rapporti dell’IPCC è divenuto progressivamente più sicuro e il convincimento che il cambiamento climatico sia oggi causato dall’azione umana è diventato sempre più inequivocabile. Al momento della pubblicazione del IV Rapporto di valutazione nel 2007, questa convinzione si era già trasformata quasi in una certezza: «La maggior IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 107 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 108 C hiese nel mondo parte degli aumenti medi di temperatura osservati a livello globale a partire dalla metà del XX secolo è molto probabilmente dovuta all’aumento osservato della concentrazione di gas serra di origine antropica». In questo contesto molto probabilmente indica una probabilità maggiore del 90%.1 Il dibattito sulla questione se la terra si stia scaldando o no è oggi concluso. Il riscaldamento è stato dimostrato in maniera indiscutibile da una grande varietà di fonti e prove scientifiche tra cui le osservazioni da superficie e da satellite, lo scioglimento della copertura nevosa e dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare. Tra i dati più significativi riportiamo quelli che maggiormente attestano l’accelerazione subita dal cambiamento climatico.2 – Gli ultimi 50 anni sono stati tra i più caldi degli ultimi 1.300 anni nell’emisfero settentrionale, con 11 dei 12 anni più caldi registrati a partire dal 1995. La temperatura media degli oceani è aumentata fino alla profondità di 3 km. Tale riscaldamento ha causato l’espansione dell’acqua salata, contribuendo di conseguenza all’innalzamento del livello del mare. La media dell’innalzamento del livello del mare è salita, nell’ultimo decennio, a 3,1 mm/anno. – Le temperature artiche sono aumentate di circa il doppio rispetto alla media del secolo scorso. Ciò ha comportato la riduzione di circa il 7% di quella porzione di suolo ghiacciata stagionalmente nell’emisfero settentrionale e una progressiva riduzione del 7,4% per ogni decennio del ghiaccio artico estivo. – Si registrano cambiamenti significativi anche nelle precipitazioni. Un aumento delle precipitazioni è evidente nell’Europa settentrionale e nell’Asia centrale e settentrionale, nonché nelle regioni orientali dell’America settentrionale e meridionale. Una riduzione nelle precipitazioni si registra nelle aree del Sahel, del Mediterraneo, dell’Africa meridionale e in alcune parti dell’Asia meridionale. – Si notano cambiamenti evidenti nella frequenza di eventi estremi quali tempeste, alluvioni, siccità e ondate di calore. Si è registrato, fin dagli anni Settanta, un aumento nell’attività di forti uragani nell’Atlantico. Alcune aree dell’Europa hanno sperimentato ondate di calore con conseguenze fatali e alluvioni catastrofiche. Un indizio di ciò è stato il caldo anomalo registrato nell’estate 2003 nell’Europa occidentale e centrale, che ha causato la morte di almeno 35.000 persone. Questi cambiamenti si sono verificati in maniera estremamente veloce. Mentre un piccolo gruppo di scettici resta ancora convinto che le attività umane non siano da annoverare tra i motivi principali, la stragrande maggioranza della comunità scientifica concorda che i processi naturali non siano la causa del recente riscaldamento. Ma anche se dovessero rimanere alcuni dubbi, il principio di precauzione afferma che dovremmo comunque ridurre le emissioni di gas serra e modificare i nostri stili di vita in modo da non mettere a rischio le possibilità delle future generazioni di affrontare i problemi che le attuali generazioni hanno in gran parte creato. 108 IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 Sta crescendo la pressione sulle politiche riguardanti il clima L’IPCC ha confermato che, nel periodo 1970-2004, le emissioni di gas serra sono aumentate del 70%. A fianco della continua crescita delle emissioni di gas serra da parte dei paesi industrializzati, stanno diventando sempre più importanti quelle dei paesi in transizione, in particolare Cina e India. I tassi di crescita in questi paesi superano, già oggi, di gran lunga quelli degli Stati Uniti e dell’Europa. Ciononostante, Europa e Stati Uniti da soli contano per più della metà delle emissioni di CO2 a livello mondiale a partire dalla rivoluzione industriale e quindi risultano responsabili per la maggior parte del cambiamento climatico dovuto alle attività antropiche. Sebbene il consumo di energia per unità di prodotto nazionale e la quantità di carbonio usata per la produzione di energia siano diminuite, questi fattori di riduzione delle emissioni sono stati di gran lunga annullati dalla crescita sia della popolazione mondiale sia della produzione. Se le politiche sul clima continueranno a essere portate avanti secondo il modello «business as usual», un’ulteriore crescita nella popolazione e nella produttività del lavoro a livello mondiale condurrà a un notevole aumento delle emissioni di gas serra. Una particolare attenzione deve essere posta sulle emissioni di CO2 derivanti dalla deforestazione delle foreste pluviali, che già contano per il 20% delle emissioni globali, sempre di CO2. La diagnosi finale del IV Rapporto di valutazione è quindi: «Non siamo sulla strada giusta!». Ne consegue che sono necessari sforzi considerevoli al fine di «de-carbonizzare» l’economia. Le emissioni globali diminuiranno solo se la riduzione dell’intensità d’uso di carbonio e di energia sarà più veloce della crescita della popolazione mondiale e della produttività. Nessun paese industrializzato ha finora dimostrato di essere in grado di scindere in modo permanente la propria crescita economica dall’emissione di gas serra. È prevedibile che i paesi emergenti dal punto di vista economico come Cina e India – ma anche quelli con accesso diretto al carbone come Stati Uniti e Russia – produrranno sempre più energia a partire da carbone marrone e nero, combustibili fossili che producono ancor più gas serra del petrolio e del gas che fino a oggi hanno alimentato la maggior parte della crescita economica in Europa e Stati Uniti. All’attuale tasso di crescita, nella logica di un approccio «business as usual», anche se l’efficienza energetica fosse ulteriormente aumentata e l’uso di risorse non rinnovabili e dell’energia nucleare crescesse come prospettato, ciò non basterebbe a provocare una scissione permanente della crescita economica dalle emissioni. Proiezioni climatiche: verso il clima più caldo della storia dell’umanità? Oggi, di fronte a una maggior conoscenza scientifica rispetto alla realtà del riscaldamento globale e al fatto che 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 109 esso sia prevalentemente dovuto all’influenza dei gas serra prodotti dalle attività umane, è importante quantificare i cambiamenti prevedibili nell’eventualità che le emissioni non dovessero venire ridotte drasticamente. L’IPCC ha basato le sue proiezioni di un clima futuro in assenza di interventi di mitigazione su simulazioni modellistiche guidate da una serie di possibili scenari di emissioni nell’arco dei prossimi cento anni. Nell’ultimo rapporto 2007, l’IPCC stima che, senza delle serie politiche di riduzione delle emissioni, la temperatura globale potrà aumentare, entro il 2100, da 1,6 a 6,9 °C al di sopra del livello pre-industriale3 a seconda dello scenario di riferimento e del modello utilizzato. Per dare un’idea, il periodo di disgelo dopo la più recente era glaciale, che durò molte migliaia di anni, si associò a un aumento della temperatura globale dell’ordine di 4 °C (che portò alla temperatura pre-industriale). L’ultima volta che la terra risultò più calda di 2 o 3 °C rispetto al livello pre-industriale fu circa 3 milioni di anni fa. Anche molti altri parametri climatici verranno interessati: secondo l’IPCC, con lo stesso scenario, il livello medio del mare potrà crescere tra i 18 e 59 cm (almeno) nel corso di questo secolo e continuerà a salire per secoli fino a quando la temperatura non si sarà stabilizzata. Il ciclo dell’acqua verrà intensificato provocando più siccità in alcune regioni e alluvioni in altre. La frequenza di fenomeni più estremi, ondate di calore e forti precipitazioni, potrà aumentare. L’intensità dei cicloni tropicali subirà delle variazioni. Aumenti nelle precipitazioni saranno più probabili alle alte latitudini, mentre nella maggior parte delle regioni subtropicali si registreranno delle diminuzioni, in continuità con le tendenze recentemente osservate. Si prevede che, a metà del secolo, le esondazioni annuali dei fiumi e la disponibilità di acqua andranno a diminuire in alcune regioni delle medie latitudini e dei tropici. È molto probabile che numerose aree semi-aride (bacino mediterraneo, Stati Uniti occidentali, Africa meridionale e Brasile nord-orientale) soffriranno una diminuzione delle risorse idriche dovuta al cambiamento climatico. Ci dovremmo rendere conto che esiste una doppia spiegazione riguardo al considerevole grado di incertezza indicato dal campo di variazione delle temperature contenuto in queste proiezioni (da 1,6 a 6,9 °C). La prima fonte di incertezza è di carattere umano: nessuno è in grado di prevedere quale scenario di emissioni si realizzerà nei prossimi 100 anni. La seconda è inerente alla scienza: modelli climatici dimostrano diverse sensibilità ai cambiamenti nelle emissioni a causa dei limiti dei computer e delle scelte effettuate da chi li applica per approssimare la fisica di alcuni elementi del sistema climatico, come le nuvole. Per esempio, lo scenario di più bassa mitigazione considerato conduce a una gamma di temperature probabili che vanno da 1,6 a 3,4 °C in più rispetto al livello pre-industriale. 1 2 Si veda nota 6 in Appendice (qui omessa; ndr). Per una descrizione più dettagliata si consulti l’Appendice (qui omessa; ndr). 3 La temperatura del periodo pre-industriale era di circa 0,5 °C più basso rispetto alla temperatura del XX secolo che è anche usato 2. Conseguenze del cambiamento climatico sull’ecosistema e sui cittadini Le variazioni di temperatura descritte in precedenza comportano delle conseguenze significative nel sistema climatico e questi cambiamenti influiscono sugli ecosistemi naturali e antropici, così come su settori economici come l’agricoltura, la silvicoltura, la gestione dell’acqua, l’energia e molti aspetti del turismo. Sebbene le condizioni medie possano modificarsi in maniera relativamente lenta, altri eventi più estremi verranno a subire delle variazioni molto più radicali per quanto riguarda la frequenza e l’intensità. Alcune importanti implicazioni, elencate dall’IPCC nel IV Rapporto di valutazione per l’Europa, vengono di seguito presentate.4 – Si stima che, in Europa, il cambiamento climatico finirà per amplificare le differenze regionali per quanto concerne sia la disponibilità di risorse naturali sia le attività umane. – Aumenterà il rischio di alluvioni improvvise sulla terraferma, di frequenti inondazioni costiere e di fenomeni erosivi. – Le aree montane registreranno un ritiro dei ghiacciai, una riduzione della copertura nevosa e del turismo invernale, nonché l’estinzione di numerose specie animali e vegetali. Nell’Europa meridionale, il cambiamento climatico comporterà un peggioramento delle condizioni (alte temperature e siccità), in un’area già vulnerabile rispetto alla variabilità climatica, con la riduzione della disponibilità d’acqua, del potenziale idroelettrico, del turismo estivo e, in generale, della produttività agricola. – Si prevede anche che il cambiamento climatico andrà ad aumentare i rischi sanitari dovuti alle ondate di calore e alla frequenza degli incendi. Sebbene sembri che il cambiamento climatico possa avere seri impatti in Europa, le sue conseguenze generali risulteranno ben più severe in altre parti del mondo. Le comunità più povere con basse capacità di adattamento e alta vulnerabilità soffriranno una serie di gravi conseguenze. – Centinaia di milioni di persone saranno esposte alla scarsità di acqua e all’aumento della siccità, obbligando milioni di individui a migrare entro la metà di questo secolo. – Se la temperatura media globale supererà di 2-3 °C il livello pre-industriale, circa il 30% delle specie animali e vegetali mondiali sarà esposto a un alto rischio di estinzione. La capacità della natura di adattarsi al cambiamento climatico è lenta e il problema principale per molte specie potrebbe essere proprio la rapidità dei cambiamenti stessi. come termine di riferimento per esprimere gli aumenti delle temperature globali (si veda nota d, tavola 1 dell’Appendice – qui omessa; ndr). 4 Per una descrizione più dettagliata degli impatti vedere Appendice (qui omessa; ndr). IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 109 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 110 C hiese nel mondo – Nelle zone tropicali, si registreranno riduzioni nei raccolti di cereali. Anche un piccolo aumento della temperatura locale di meno di 2 °C comporterà una crisi delle culture cerealicole in molte aree dei tropici, mentre un aumento di 3 °C potrebbe avere effetti simili anche in regioni a medie e alte latitudini. – L’aumento di danni dovuti ad alluvioni e tempeste coinvolgerà milioni di persone. – È probabile l’intensificarsi di gravi problematiche sanitarie a causa di malattie e malnutrizione. Si verificheranno modificazioni nelle aree di infezione di malattie dovute a vettori come malaria, febbre dengue, febbre gialla e alcune forme di meningite. – Aumenteranno le morti dovute al caldo, in particolare nelle aree urbane. Si prevede che il cambiamento climatico porterà alcuni benefici in zone temperate, come meno vittime per il freddo. In generale ci si aspetta che i vantaggi saranno superati dagli effetti negativi sulla salute dovuti alla crescita della temperatura specialmente nei paesi in via di sviluppo. – Alcuni paesi costieri, in particolare le regioni densamente popolate presso i delta dei grandi fiumi in Africa e in Asia, subiranno delle inondazioni di grande portata a causa dell’innalzamento del livello del mare. L’autosufficienza di alcune piccole isole verrà gravemente minacciata da aumenti nel livello del mare a da intrusioni saline nelle falde sotterranee. – Si prevede che lo scioglimento dei ghiacciai e dello strato nevoso andrà anche a incidere sulla disponibilità di acqua per uso umano, agricoltura e produzione di energia in regioni approvvigionate dall’acqua proveniente da importanti catene montuose dove a tutt’oggi vive un sesto della popolazione. – I conflitti per risorse in diminuzione, come acqua e cibo, potranno diventare più comuni e più sanguinosi. Due terzi dell’umanità potrebbero soffrire di scarsità d’acqua già entro il 2050. La fig. 3 dell’Appendice (qui omessa; ndr) mostra una panoramica degli effetti (IPCC, 2007) relativi ai diversi aumenti nelle temperature. Ciò dimostra la necessità di limitare l’aumento della temperatura al livello più basso possibile. Oltre a questi cambiamenti in corso, essi stessi sconfortanti per i loro effetti sulla società (e sull’economia) globale, alcuni punti di non ritorno del clima si profilano all’orizzonte. Il loro superamento potrebbe avviare alcuni precisi feedback nel sistema climatico, che l’umanità non sarebbe più in grado di fermare, nonché causare cambiamenti di dimensioni tali da non poter essere gestiti dalle nostre società. Esiste qualche speranza che ciò possa essere evitato nel caso si riuscisse a stabilizzare la temperatura al livello pre-industriale o sotto i 2 °C di aumento. In vista di tali sviluppi, non ci sono dubbi che devono essere intraprese azioni di mitigazione per ridurre le emissioni di gas serra. L’IPCC e il Rapporto Stern giungono alla conclusione che, da una parte, i costi della mitigazione del riscaldamento globale potrebbero risultare relativamente bassi se fossero prese azioni immediate; dall’altra, le strategie di adattamento possono risultare più efficienti, ma limitate nei loro obiettivi. Non 110 IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 è una questione di scelta: entrambe le misure devono venire implementate su scala mondiale e ciò deve essere fatto in tempi brevi e in modo deciso. 3. Le sfide politiche del cambiamento climatico Le conseguenze dell’inazione C’è chi, di fronte agli effetti del cambiamento climatico, sostiene che risulti economicamente più efficiente prendere misure correttive per ogni caso particolare – come alluvioni e siccità – anziché intraprendere azioni di mitigazione dirette alla stabilizzazione del clima. Sul breve periodo e da un punto di vista puramente economico, ciò potrebbe sembrare vero dal momento che, a causa dell’inerzia del cambiamento climatico, i benefici sul clima delle politiche di mitigazione non riusciranno a mostrare i loro effetti se non dopo due decenni circa. Tuttavia, questo approccio non è compatibile con lo sviluppo sostenibile né appare etico in senso cristiano. La perdita di vite umane in seguito a eventi disastrosi, o l’estinzione di specie animali e vegetali non possono certo essere risarcite da alcuna somma di denaro. Cosa ancora più importante, un’inazione nei prossimi anni renderebbe impossibile evitare di superare quei punti di non ritorno che comporterebbero, per esempio, cambiamenti radicali nelle dinamiche dei monsoni in Cina e in India; scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya che forniscono acqua a circa un sesto della popolazione globale; innalzamento del livello del mare oltre un metro di altezza. La conseguente necessità di trasferire milioni di individui (in Bangladesh e in Egitto, per esempio, più di dieci milioni di persone vivono un metro sotto il livello medio del mare) rende il bilanciamento monetario tra costi e benefici completamente insignificante. L’inazione sarebbe tanto più imperdonabile se si considera che le misure richieste non domandano sacrifici inaccettabili da parte del mondo industrializzato; al contrario esse richiedono trasformazioni strutturali che sono accessibili e cambiamenti nelle pratiche e nelle abitudini sociali che possono essere visti come opportunità per ritornare ai veri valori della vita. I costi in termini economici risultano molto al di sotto delle spese annuali per gli armamenti. La scelta quindi non è tra affrontare il clima, o in alternativa la povertà e le malattie, come spesso viene sostenuto; al contrario la protezione dell’ambiente si dimostra come un contributo essenziale alla lotta alla malnutrizione, alla malattia e alla povertà. Modi per ridurre le emissioni di gas serra Essenzialmente, ci sono quattro modi per ridurre le emissioni di gas serra, in particolare la CO2. 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 111 – Ridurre la domanda di beni e servizi a forte intensità di emissioni di gas serra. Questa opzione presenta il più alto potenziale di riduzione di emissioni nel mondo industrializzato e può venire immediatamente implementata, sebbene alcuni aspetti, come la pianificazione dell’uso del suolo per ridurre le distanze di percorrenza, possano richiedere del tempo. – Accrescere l’efficienza energetica fa risparmiare sia denaro sia emissioni. Il potenziale di riduzione associato all’efficienza nell’uso delle risorse supera di gran lunga quello necessario per passare a tecnologie a basso consumo di carbonio e un’immediata implementazione di pratiche in tal senso potrebbe stimolare le economie locali. L’IPCC stima che il potenziale economico per la riduzione delle emissioni tramite miglioramenti nell’efficienza, per esempio, nel settore delle costruzioni, possa essere fino a tre volte quello per gli altri settori quali la fornitura di energia, l’industria, l’agricoltura e il trasporto a bassa emissione di carbonio (si veda fig. 4, Appendice – qui omessa; ndr). Gli aumenti nell’efficienza sono le tipiche situazioni in cui tutti guadagnano. Ancora, appaiono necessari più incentivi per promuovere degli investimenti in efficienza ed è presumibile che la crescita dei costi energetici possa accelerare tale tendenza. – Azioni sulle emissioni non legate alla produzione di energia. Su scala globale, delle iniziative per fermare la deforestazione possono offrire un considerevole contributo per combattere il cambiamento climatico. Nel mondo industrializzato misure appropriate potrebbero essere, per esempio, il passaggio a metodi di allevamento e agricoltura che accumulano humus nel suolo o che riducono il consumo di carne. – Passare a tecnologie con deboli emissioni di carbonio per energia, riscaldamento e trasporti. Queste tecnologie sono certamente necessarie per fornire l’energia che sarà ancora richiesta dopo le misure di riduzione della domanda e un aumento nell’efficienza, ma il loro potenziale pratico su breve termine non dovrebbe essere sovrastimato dato il tempo già perduto per la mancata implementazione su vasta scala. La doppia sfida della politica energetica: «decarbonizzazione» e scarsità Nel XX secolo, la crescita economica e gli stili di vita ad alto consumo di risorse del mondo industrializzato sono stati resi possibili grazie all’estrazione di fonti di energia non rinnovabili: riserve di carbone, petrolio, gas e uranio. Questo deve cambiare. Il World energy outlook 2008 dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), pubblicato nel novembre 2008, prevede che, entro il prossimo decennio, l’offerta di energia diventerà scarsa rispetto alla domanda prevista. Ciò pone l’umanità a un bivio: saranno intrapresi sforzi per ridurre la domanda e per riuscire a soddisfare le rimanenti necessità attraverso l’uso di risorse rinnovabili, oppure l’abitudine e l’avidità prevarranno portando a un aumento della dipendenza dalla tecno- logia basata sul carbone con disastrosi effetti sul clima? Fonti rinnovabili, come l’energia solare (termica e fotovoltaica), eolica, idrica e l’uso di biomassa, quando usate in modo sostenibile, producono bassi livelli di emissioni di carbonio e risultano praticamente illimitate. Infatti l’energia delle radiazioni solari colpisce la terra ogni giorno in quantità che sono circa otto volte più grandi del totale degli usi commerciali d’energia a livello mondiale. Tuttavia, dal momento che sforzi per sviluppare tecnologie a energia rinnovabile e per penetrare il mercato sono stati fino a oggi, al massimo, tiepidi, le energie rinnovabili non diventeranno disponibili in tempo per riuscire a sanare il gap energetico. Nel settore dei trasporti, il 95% dell’energia deriva da combustibili fossili. A parte i veicoli elettrici a energia solare, l’unica alternativa per sostituire i combustibili fossili senza grandi modifiche tecniche sembra essere rappresentata, per il futuro, dai biocombustibili. Sfortunatamente, il loro utilizzo è stato intrapreso politicamente senza avere contemporaneamente definito dei chiari principi di sostenibilità. Continuare con questo approccio condurrà a sviluppi ecologici o sociali insostenibili che potrebbero portare a un aumento nei prezzi alimentari e destinare alla fame i paesi più poveri del mondo. L’Unione Europea sta mettendo a punto delle regole affinché la sostenibilità divenga un prerequisito nel momento in cui gli stati membri includessero i biocombustibili nei loro obiettivi per la riduzione dei gas serra. Sono, tuttavia, necessarie misure aggiuntive per bandire i biocombustibili insostenibili come mezzi per ridurre i costi di trasporto. Se si tiene presente la sostenibilità, è importante che la produzione di biomassa non si trovi a competere con la produzione alimentare. Non ci deve essere il più minimo dubbio che solo i terreni, i raccolti e i residui che non sono necessari per la produzione alimentare dovrebbero essere usati per produrre energia o per risparmiare energia. Quindi sono necessari ulteriori sforzi e molta ricerca in questa direzione per sviluppare una nuova generazione di biocombustibili ricavati, per esempio, a partire dalla paglia o da rifiuti naturali. L’energia nucleare, sempre più spesso promossa come soluzione a bassa emissione di carbonio per il problema del clima così come strumento in grado di chiudere il gap energetico, non può fare nulla nel breve termine. Nel migliore dei casi, visto che un crescente numero di centrali nucleari si trova alla fine della propria vita produttiva, le capacità globali di costruzione potrebbero risultare sufficienti per il mantenimento dell’attuale quota nucleare nel mix energetico del prossimo decennio. Senza entrare nei dettagli del dibattito nucleare in corso, va sottolineato che l’uso dell’energia nucleare può offrire al massimo una nicchia, ma non una soluzione sostenibile a causa dei problemi di risorse, di sicurezza, di rifiuti e di proliferazione che essa crea. In vista di un previsto aumento nell’uso del carbone, sono in corso di sviluppo diverse tecnologie per catturare il carbonio e sequestrarlo (CCS) in giacimenti esauriti di petrolio e gas, in acquiferi o in formazioni IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 111 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 112 C hiese nel mondo geologiche profonde. Sebbene sia richiesta energia aggiuntiva per tale sequestro, l’equilibrio complessivo dei gas serra e quello energetico possono considerarsi positivi. Sono necessarie ulteriori ricerche per valutare la stabilità a lungo termine dell’immagazzinamento della CO2 e altre possibili conseguenze inattese di questa tecnologia. Alla fin fine, una transizione verso risorse rinnovabili appare economicamente e tecnicamente fattibile; è necessaria in vista del cambiamento climatico e della fine dell’epoca del petrolio a basso prezzo; ed è urgente. I ruoli del nucleare e del sequestro del carbonio sono soggetti a discussione. In ogni caso, sia un’aumentata efficienza delle risorse sia una riduzione nella domanda posseggono un alto potenziale rispetto alla soluzione del problema. Considerazioni sui costi I costi di mitigazione basati su aumenti di efficienza energetica e sul cambiamento tecnologico per stabilizzare le concentrazioni dei gas serra a un livello corrispondente al limite di 2 °C ammonteranno a meno del 3% del prodotto mondiale lordo entro il 2030. Questi costi salgono significativamente per ogni anno in cui l’azione viene ritardata; secondo Nicholas Stern tali costi risultano già duplicati a partire dalla pubblicazione della sua prima stima nel 2006, a causa dei due anni di ritardo. Occorrono urgentemente strumenti economici che favoriscano una risposta del mercato in direzione della riduzione delle emissioni di gas serra. È in corso un dibattito su quali siano gli strumenti più adatti da adottare come, per esempio, un sistema di commercio globale per i diritti di emissione o tasse sulle emissioni di gas serra; ma il punto essenziale è che le emissioni devono avere un prezzo e che questo prezzo debba essere prevedibile nel medio termine. È importante tenere a mente che il cambiamento climatico non è che uno dei sintomi del carattere non sostenibile degli stili di vita, dei modi di produzione e delle abitudini di consumo sviluppatisi nel mondo industrializzato. La riduzione delle emissioni di gas serra non risolverà da sola il problema della sostenibilità. Non lo faranno neanche le soluzioni di geo-ingegneria, come il suggerimento di introdurre degli aerosol di solfato nella stratosfera in modo da riflettere un po’ della radiazione solare. Se non affrontiamo il problema alla radice, ci troveremo prima o poi di fronte agli altri limiti dell’ecosistema globale. Il tempo per un’efficace politica per il clima sta giungendo al termine e il conto potenziale per la nostra inerzia sta aumentando esponenzialmente. Sarà necessaria una considerevole risolutezza nell’intraprendere le diverse strade per la riduzione delle emissioni di gas serra. In breve, il cambiamento climatico sta presentando una grande sfida alla politica. Tuttavia, prima di indicare, nei capitoli seguenti, il ruolo dell’Unione Europea e l’auspicato contributo 112 IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 della Chiesa e dei cristiani europei nel contrastare il cambiamento climatico, vogliamo qui presentare alcune considerazioni etiche. 4. Considerazioni etiche sul cambiamento climatico Sempre più leader politici e rappresentanti di aziende hanno riconosciuto la necessità di affrontare la sfida politica del cambiamento climatico. Inoltre, misure di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico risultano oggi raggiungibili e a costi ragionevoli. Tuttavia, appare anche evidente che dal punto di vista europeo sarà solo in un futuro non vicino che i benefici delle politiche per il cambiamento climatico potranno essere apprezzati. Perché quindi i cittadini europei dovrebbero accettare nuove leggi che andrebbero a preparare la strada alla cosiddetta economia a bassa emissione di carbonio e adottare un diverso stile di vita al fine di affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico? Perché l’Unione Europea dovrebbe assumere un ruolo guida? Perché agire qui e ora quando i necessari cambiamenti finiranno per alterare, non solo marginalmente, ma in profondità i nostri attuali metodi di produzione e modelli di consumo? Anche in una società democratica, trasformazioni su questa scala non potranno essere raggiunte semplicemente chiedendo ai cittadini di obbedire alle leggi. Per agire sulle menti ma anche sui cuori delle persone e per implementare degli efficaci cambiamenti, sono necessari una forte guida politica e, ancor più, una profonda riflessione etica. Rispetto a questo ultimo punto la tradizione etica cristiana può offrire idee interessanti circa: – la questione meta-etica: perché il rapporto dell’umanità con la natura è di natura etica e morale; – i valori e i principi guida necessari per formulare norme etiche rispetto al cambiamento climatico; – il discorso etico ed esempi pratici per incoraggiare cambiamenti nel modo di vita europeo. La responsabilità per la salvaguardia del creato Deve essere riconosciuto che il problema ecologico è prima di tutto una questione di ethos pubblico, difficile da risolvere senza sfidare certi modelli di organizzazione della società e senza mettere in discussione i nostri modi di vita e il sistema di valori della nostra società civile. Dovremmo renderci conto che la cultura prevalente è ancora inadeguata per affrontare la questione ambientale. Al cuore di questa inadeguatezza c’è la convinzione dominante secondo la quale l’ambiente è pura riserva di risorse per l’umanità e, in quanto tale, non va introdotto nel regno dell’etica. Questa situazione non può essere tollerata oltre. La ragione è il semplice fatto 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 113 che la capacità distruttiva dell’umanità di oggi è diventata un fenomeno «biocida», nel senso che per la prima volta l’umanità è nella posizione di piegare la natura per i suoi fini, non solo per trarne vantaggio, ma anche per manipolarla. È giunta l’ora di riconoscere che la crescente produzione di beni materiali è incompatibile – viste le tecniche di produzione conosciute, l’attuale organizzazione dell’economia e il tasso di crescita della popolazione mondiale – con la salvaguarda dell’ambiente. Soprattutto, è arrivato il momento di riconoscere che quando le nostre società modificano l’ambiente troppo rapidamente finiscono per creare una situazione in cui la velocità di tali cambiamenti supera la velocità di adattamento della natura. Noi dobbiamo convincerci che la sfida dell’ecologia non consiste solo nell’urgenza pressante di ristrutturare gli odierni metodi di produzione ma, soprattutto, nell’adozione di nuovi stili di vita, meno dipendenti da beni materiali e basati di più su beni culturali e relazionali. È il momento di riconoscere che l’umanità è parte della natura ed è interna a essa. Il rapporto è quello di un essere nato nella natura, ma è anche un rapporto di cambiamento ordinato, perché l’umanità come parte integrante della natura la trasforma: e ciò è qualcosa di inevitabile e di positivo. Questo però non dovrebbe significare distruzione o degrado irreversibile. Il fondamento antropologico della responsabilità ambientale che noi privilegiamo si basa sul concetto che l’essere umano è l’unico soggetto morale investito di una responsabilità verso l’umanità, la natura e le future generazioni. Ne consegue che la responsabilità dell’umanità va oltre l’insieme degli esseri umani, incorporando sia le entità viventi non umane sia gli ecosistemi della terra. Amministrare la creazione di Dio Negli ultimi decenni la teologia cristiana ha preparato il terreno per una rinnovata visione della creazione di Dio e per una più acuta concezione del luogo e del ruolo dell’umanità. I teologi hanno spesso sottolineato il fatto che gli esseri umani sono parte della creazione di Dio, ma non ne sono i padroni. Gli esseri umani creati a immagine e somiglianza del Signore dovrebbero cercare di capire la natura in modo da partecipare alla sua esistenza e diventarne i custodi. Tale visione rinnovata può contribuire alla risoluzione della difficoltà che le diverse etiche ambientali hanno incontrato: in particolare, può essere dimostrato che il rapporto dell’umanità con l’ambiente deve essere ragionevolmente considerato anche come un problema morale, poiché implica un’estensione dei concetti di dovere e responsabilità. Ulteriori studi teologici, a tutti i livelli della Chiesa, sul rapporto tra l’essenza trina di Dio, la natura e l’essere umano sono quindi essenziali e devono venire incoraggiati. Tali ricerche ci saranno d’aiuto per comprendere più chiaramente la dimensione morale del nostro rapporto con la natura. Il 6 agosto 2008, in occasione di un incontro con preti e diaconi, il santo padre chiarì ancora una volta la sua posizione: «Fino a quando la terra è stata considerata creazione di Dio, il compito di “soggiogarla” non è mai stato inteso come un ordine di renderla schiava, ma piuttosto come compito di essere custodi della creazione e di svilupparne i doni; di collaborare noi stessi in modo attivo all’opera di Dio, all’evoluzione che egli ha posto nel mondo, così che i doni della creazione siano valorizzati e non calpestati e distrutti». Valori e principi per elaborare giudizi etici sulle politiche relative ai cambiamenti climatici La Chiesa cattolica è in costante rilettura del Vangelo e della sua Tradizione spirituale alla luce delle usanze e convenzioni delle varie epoche. Il suo insegnamento sociale si è evoluto nel corso dei secoli sulla base di una serie di principi e valori guida tra cui: rispetto per la dignità umana; aspirazione alla giustizia globale e attenzione verso i più deboli e le generazioni future; applicazione dei principi di sussidiarietà e solidarietà, sostenibilità e responsabilità per il bene comune. Questi valori e principi possono essere applicati anche alla valutazione delle politiche per i cambiamenti climatici. Rispetto per la dignità umana Il rispetto per la dignità umana è un valore centrale nella tradizione cristiana. Comprende l’intera persona in tutte le sue dimensioni. Quindi, il rispetto per la dignità umana include anche il rispetto per la dimensione spirituale di ciascun essere umano e la sua integrazione nella creazione. Il nostro attuale modello di consumo pone troppa enfasi sul consumo di beni materiali e di conseguenza sulla dimensione materiale della dignità umana. Esso tende a ignorare la necessità di sviluppare altre dimensioni. A questo proposito si può dire che le politiche a sostegno di questo modello non rispettano pienamente la dignità umana. Le attuali discussioni sulle politiche necessarie per contrastare il cambiamento climatico potrebbero favorire cambiamenti nel nostro stile di vita esageratamente materialistico e quindi costituire un’opportunità per riscoprire le altre dimensioni della dignità umana. Aspirazione a una giustizia globale, un orientamento a favore dei più deboli L’aspirazione a una giustizia globale e l’attenzione speciale verso i poveri e quelle generazioni che non sono ancora nate sono valori centrali dell’insegnamento sociale cattolico. L’approccio di contrazione e convergenza per la riduzione dell’emissione di gas serra è un’opzione per raggiungere più giustizia globale attraverso una ripartizione delle emissioni e uno schema di scambi ed è un requisito minimo alla luce di questi valori. La contrazione si rifà alla necessità di IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 113 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 114 C hiese nel mondo ridurre la quantità totale di emissioni di origine antropica per proteggere il clima. La convergenza fa invece riferimento alla distribuzione di tali emissioni. Per raggiungere un’allocazione equa dei diritti di emissione, viene spesso suggerito che ciascun essere umano nel mondo dovrebbe gradualmente ricevere gli stessi diritti di emissione: sulla base delle emissioni procapite correnti, minori diritti di emissione verranno via via allocati ai paesi industrializzati, mentre i paesi in via di sviluppo vedranno progressivamente aumentare i loro diritti di emissione, fino a che ciascun paese non raggiungerà, entro il 2050, gli stessi diritti procapite. Tuttavia, i paesi industrializzati non devono necessariamente conseguire tutte le riduzioni di emissioni che sono state loro imposte all’interno delle loro economie: essi possono anche comprare diritti di emissione da paesi emergenti, dal momento che molte emissioni nei paesi in via di sviluppo possono essere ridotte a costi inferiori che nei paesi sviluppati. A prima vista, i principi di contrazione e convergenza apparirebbero coerenti con l’idea di giustizia globale e con una speciale attenzione ai più poveri. Tuttavia, non viene preso in considerazione il fatto che l’atmosfera è stata sfruttata liberamente fin dall’inizio dell’era industriale, in particolare in Europa e negli Stati Uniti. Il debito di carbonio già accumulato non è quindi valutato e solo le emissioni future risulteranno venire equamente distribuite fra tutte le nazioni. L’approccio di contrazione e convergenza rappresenterebbe quindi solo il minimo assoluto in termini di equità. Sussidiarietà: un principio di organizzazione Le politiche unilaterali si sono dimostrate decisamente inefficaci per quanto concerne i «beni comuni globali», quali il sistema climatico della terra. La mancanza di istituzioni (non di burocrazie) a livello globale rende arduo risolvere le tante questioni del nostro tempo e in particolare il problema ambientale. I principi della sussidiarietà e solidarietà, insieme alla responsabilità per la salvaguardia della Terra, sottolineano la necessità di una governance globale ed efficiente in grado di proteggere l’ambiente, intraprendendo anche la lotta contro il cambiamento climatico, tramite strumenti di riduzione delle emissioni globali di gas serra. Tuttavia, ciò non preclude ad altri soggetti, come imprese, ONG e consumatori, di prendere iniziative proprie. Un accordo globale per combattere il cambiamento climatico dovrebbe includere un programma ambizioso ed equo per ridurre le emissioni globali di gas serra, meccanismi di finanziamento per misure di adattamento, in particolare in regioni povere e fortemente colpite, così come progetti di prevenzione rispetto alla deforestazione nonché riconoscere la necessità, discussa più avanti, di studi a livello globale. ricorso a questo credo e lo traspone nella dimensione etica. Ciò copre non solo gli aspetti individuali, ma anche quelli collettivi. «Il dovere di solidarietà che vige per le persone vale anche per i popoli», come papa Paolo VI aveva affermato (Populorum progressio, n. 48; EV 2/1093). Nella discussione circa gli strumenti e i metodi più adeguati per combattere il cambiamento climatico a livello globale, il principio di solidarietà dovrebbe guidare il finanziamento delle misure di ristrutturazione. Appare, quindi, necessario individuare meccanismi al fine di garantire che i trasferimenti di pagamenti globali arrivino a coloro che ne hanno più bisogno. Inoltre, serve solidarietà per raggiungere un accordo per finanziare la ricerca a livello globale e promuovere misure atte a prevenire la deforestazione. Sostenibilità Il principio di sostenibilità combina la responsabilità ecologica, la lotta contro la povertà su scala globale e l’efficienza economica. Tutto risulta collegato in maniera intrinseca sia al problema della povertà, assoluta e relativa, sia allo sviluppo. Sforzi per migliorare o conservare la qualità dell’ambiente nel Nord del pianeta risulteranno di poco aiuto senza un programma di azione, urgente e comprensivo, contro la povertà. Occorre affrontare il crescente divario tra ricchi e poveri. Il concetto di sviluppo sostenibile sollecita tutti i soggetti a proteggere il sistema climatico a beneficio delle attuali e future generazioni. Quando agiamo per preservare le basi della vita per le future generazioni, noi stiamo allo stesso tempo salvaguardando il futuro delle società esistenti. I responsabili delle decisioni politiche di oggi hanno anche il compito speciale di dover prendere in considerazione in maniera adeguata gli interessi delle generazioni future. Il principio di precauzione Il principio di precauzione chiede di intraprendere misure per evitare i danni possibili nonostante la mancanza di una certezza assoluta, dovuta a un’insufficiente conoscenza o comprensione scientifica del problema. Il grado di azione deve essere in una relazione accettabile con il possibile danno o con le incertezze coinvolte. Le misure richieste per combattere il cambiamento climatico sono un primo esempio di questo dilemma. Può essere molto facile sia sfruttare le preoccupazioni della gente in modo populistico al fine di avviare azioni, sia ostacolare qualsivoglia iniziativa presentando presunte controperizie. L’applicazione del principio di precauzione richiede quindi partecipazione e trasparenza nelle decisioni politiche, così come fiducia nei propri amministratori da parte dei cittadini. Moderazione, una virtù gioiosa e non noiosa Solidarietà: il principio della carità I cristiani credono che tutti gli esseri umani siano figli di Dio e tale convinzione li porta a riconoscerne la profonda interdipendenza. Il principio di solidarietà fa 114 IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 Tuttavia, il fatto di «fare un caso etico» delle politiche per il cambiamento climatico non risulterà probabilmente sufficiente a innescare quei cambiamenti 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 115 negli stili di vita che dovrebbero inevitabilmente risultare da una progressiva transizione a un’economia a basse emissione di carbonio. Il solo affiancare la conoscenza etica ai dati scientifici sul cambiamento climatico non porta a nulla. Un cambiamento significativo negli stili di vita diventerà, tuttavia, possibile se la «moderazione» sarà accettata come virtù centrale e come concetto gioioso e gratificante. In un dibattito urgente e necessario su tali istanze, la tradizione ascetica della cristianità potrebbe fornire un input credibile. Prima di tutto, deve essere riconosciuto che il nostro modello di consumo e i nostri stili di vita sono poco flessibili e difficili da modificare. Nonostante ciò, è anche evidente che la crescente produzione di beni materiali risulta incompatibile con la salvaguardia dell’ambiente naturale e di quello urbano. La pressione verso un costante aumento degli standard materiali di vita è quindi diventata un serio problema etico in una società che si basa sui principi della libertà individuale e della soddisfazione personale. Il primo imperativo per rendere possibili cambiamenti è quindi quello di ammettere una pluralità di stili di vita e di assicurare che tale diversificazione diventi effettiva e che lo stile di vita individuale diventi quindi una vera scelta. Un secondo passo dovrebbe essere un impegno generale verso il concetto di moderazione per combattere, da una parte, il consumo esagerato dei benestanti e, dall’altra, l’austerità imposta ai più poveri. Il concetto di moderazione può essere specificato in maniera più precisa. Esso dovrebbe risultare proporzionale e permettere a ciascuno di valutare ciò che è veramente essenziale per lui o per lei e conseguentemente di eliminare il superfluo. Infine, la virtù della moderazione dovrebbe essere creativa, intelligente e produttiva e diventare una condizione di partenza per una più ampia solidarietà e uno sviluppo più equo. Così, poiché la ricchezza non è solo materiale, ma anche relazionale e spirituale, dovrebbe essere data una definizione più precisa del significato e del contenuto del bellissimo concetto biblico di prosperità. Un buon equilibrio di queste tre dimensioni ci fornirebbe una visione più globale della ricchezza, ma presume la moderazione dal momento che risulta difficile sperimentarle tutte allo stesso tempo. Promuovere il concetto di moderazione, quindi, ha lo scopo non di diminuire, ma piuttosto di sostenere una più alta qualità di vita e una più grande ragione per gioire. Non si tratta di rinunciare al desiderio dei beni materiali, ma di discernere e meglio distinguere ciò che è essenziale da ciò che è superfluo, mettendoli a confronto con la ricchezza relazionale e spirituale. La ricerca di uno stile di vita più relazionale e spirituale si adatta bene anche alla necessità di adottare oggi nuovi comportamenti in risposta al cambiamento climatico. La Chiesa cattolica e tutte le altre tradizioni cristiane si trovano in una posizione privilegiata per promuovere tali cambiamenti negli stili di vita, e possono quindi fare del loro meglio per promuovere politiche atte ad affrontare il cambiamento climatico. Possono fare molto attraverso proposte concrete ed esempi anche modesti. La parole di papa Benedetto XVI del 6 agosto 2008 ci aiutano in questa direzione: «Infatti, non si tratta soltanto di trovare tecniche che prevengano i danni, anche se è importante trovare energie alternative e altro. Ma tutto questo non sarà sufficiente se noi stessi non troveremo un nuovo stile di vita, una disciplina fatta anche di rinunce, una disciplina del riconoscimento degli altri, ai quali il creato appartiene tanto quanto a noi che più facilmente possiamo disporne; una disciplina della responsabilità nei riguardi del futuro degli altri e del nostro stesso futuro, perché è responsabilità davanti a colui che è nostro giudice e in quanto giudice è redentore, ma appunto veramente anche nostro giudice». 5. Il ruolo dell’Europa nella lotta contro il cambiamento climatico In un mondo senza un’unica economia globale e con molti paesi e nazioni diverse, noi ci troviamo a dover trovare delle soluzioni per proteggere i nostri «beni comuni globali». Nessun paese sarà in grado, da solo, di prendere le necessarie misure di protezione. Per affrontare in maniera efficace i problemi ambientali sono necessarie soluzioni globali che coinvolgano tutti i paesi della Terra. Per stabilizzare la concentrazione delle emissioni di gas serra a un livello non pericoloso, è indispensabile una cooperazione a livello mondiale. Il principio delle responsabilità comuni, ma differenziate Gli accordi internazionali per combattere il cambiamento climatico sono basati sul principio delle responsabilità comuni, ma differenziate. Questo principio è stato accettato da tutti gli stati aderenti alla Convenzione quadro sul cambiamento climatico. Tale accordo riconosce la responsabilità globale per la protezione del sistema climatico della Terra e mira a una cooperazione a livello mondiale. Ciò conduce a impegni diversi riguardo ai prerequisiti e al contenuto. Gli stati industrializzati, inclusi gli stati membri dell’Unione Europea, hanno una responsabilità speciale. Il sistema climatico del nostro pianeta può essere protetto in maniera efficace solo se coloro cui competono le misure correttive si sentono obbligati a ottemperare ai loro impegni. Inoltre, tale principio è giustificato dalle diverse responsabilità nell’aver causato il cambiamento climatico nel passato (responsabilità per il danno). Il principio delle responsabilità comuni, ma differenziate è un principio dinamico che non si differenzia necessariamente tra i paesi del Nord e quelli del Sud del mondo. Piuttosto crea obblighi diversi a seconda dell’attuale stato di cose in ciascun paese. Di conseguenza, IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 115 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 116 C hiese nel mondo a cura di Vittore Mariani deve venire continuamente sviluppato e adattato alle mutevoli condizioni, che devono essere adeguate con la promozione della responsabilità sociale d’impresa. Il carattere universale e transnazionale della Chiesa cattolica la pone in una posizione ideale per attirare l’attenzione sul legame tra le preoccupazioni ecologiche e di sviluppo a livello globale. La relazione: incontro quotidiano con Dio e con l’uomo A nche la vita consacrata deve affrontare la sfida dell’individualismo imperante: la cultura contemporanea è infatti centrata sul singolo, mentre il cristianesimo è essenzialmente relazione con Dio e con il prossimo. Il volume affronta il tema, offrendo a religiose e religiosi nozioni teoriche e piste concrete. La responsabilità speciale dell’Unione Europea nel contrastare il cambiamento climatico Nel quadro del principio condiviso di responsabilità comuni, ma differenziate, l’Unione Europea detiene una responsabilità speciale nel contrastare il cambiamento climatico, non solo a causa della storia del cambiamento climatico stesso, ma per i mezzi tecnologici e finanziari in suo possesso e per la sua esperienza in fatto di azioni cooperative. Naturalmente, questa speciale responsabilità rispetto alla protezione del sistema climatico terrestre non deve essere presa in carico solo dall’Unione Europea, ma da tutti i paesi industrializzati che posseggono i necessari mezzi finanziari e tecnologici per contrastare il cambiamento climatico. Ma anche se certi paesi non volessero tener fede alle loro responsabilità di fronte ai poveri e alle future generazioni, ciò non può essere preso ad alibi dall’Unione Europea per non introdurre da parte sua le misure necessarie. Inoltre, l’Unione dovrebbe fare ogni sforzo possibile per convincere tutti i soggetti coinvolti della necessità di proteggere il sistema climatico terrestre. Quello che manca oggi è una guida forte e una voce che si alzi a favore di coloro che già sopportano, o lo faranno in futuro, il peso più alto del cambiamento climatico: i più poveri e le generazioni future. All’Unione Europea si chiede di alzare la sua voce in loro favore. «Problemi di vita religiosa» pp. 96 - € 8,60 Dello stesso autore con Elio Meloni: Costruire l’uomo Percorsi di progettazione personale e comunitaria pp. 192 - € 15,20 EDB Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 Edizioni Dehoniane Bologna www.dehoniane.it Godfried Danneels Non abbiate paura... Oltre lo sconforto Obiettivi condivisi e proposti dall’UE per ridurre le emissioni di gas serra N ell’odierna società del benessere è diffuso un disagio latente, che non di rado viene fatto risalire a un’educazione cattolica vista come ostacolo alla realizzazione dei propri desideri. Il cardinale Danneels invita a non conformarsi a tali pregiudizi, non vergognarsi dell’appartenenza al cristianesimo, non avere paura di riscoprire e testimoniare la gioia liberante dell’annuncio del Risorto. Se vogliamo mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 °C sopra il livello pre-industriale sarà necessaria un’azione molto energica. Secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC (2007), per contenere l’aumento di temperatura entro i 2-2.4 °C, le emissioni globali di CO2 dovrebbero essere ridotte (dal 2000 al 2050) del 50-85%. Ciò significa, per i paesi industrializzati, ridurre le emissioni dell’80-95% (dal 1990 al 2050). Secondo il Protocollo di Kyoto, come primo passo l’Unione Europea e i suoi stati membri si devono impegnare a ridurre le emissioni di sei gas serra di almeno l’8% entro il 2008-2012 rispetto ai livelli del 1990. Nel marzo 2007, il Consiglio Europeo ha dichiarato l’obiettivo di diminuire del 20%, nell’Unione Europea, i gas serra entro il 2020, traguardo che sarà alzato al 30% se altri paesi sviluppati decidono di impegnarsi in riduzioni di emissioni di simile entità. Per raggiungere tale obiettivo, nel gennaio 2008, la Commissione europea ha presentato un pacchetto integrato di proposte ambiziose «Meditazioni» pp. 72 - € 4,90 Dello stesso autore: Lo stress della felicità pp. 64 - € 6,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 116 IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 117 per combattere il cambiamento climatico che prevedono: obiettivi per l’aumento della quota di fonti rinnovabili nel mix energetico; un migliore sistema di scambio di emissioni; obiettivi di riduzione delle emissioni per quei settori non inclusi nel Sistema europeo di commercio delle emissioni (European emissions trading system, ETS); nuove regole sulla cattura e il sequestro del carbonio; nuove regole sui sussidi ambientali. Tuttavia, misure per combattere il cambiamento climatico e per ridurre le emissioni di gas serra devono essere prese principalmente a livello nazionale, regionale e locale. In questo modo, gli stati membri dell’UE possono avere un ruolo decisivo nell’effettiva implementazione delle strategie europee per il cambiamento climatico. Il cambiamento climatico non è, però, solo una questione da risolvere a livello dei governi e dei funzionari. Al contrario, tutti devono prendersi le loro responsabilità a partire dalle imprese, dalle organizzazioni non governative, fino ai consumatori e a ogni singolo individuo. Il ruolo della società civile nella lotta contro il cambiamento climatico Siamo profondamente convinti che il solo modo plausibile per uscire dalla crisi attuale sia l’elaborazione di una prospettiva culturale nella quale la società civile con i suoi corpi intermedi (associazioni, ONG, fondazioni, movimenti dal basso, Chiese) interagisca con i governi e con le forze di mercato. Il problema ambientale non può essere delegato né ai governi né alle sole forze di mercato. In realtà, l’eco-efficienza («fare di più e meglio con meno») è importante, ma rappresenta solo una risposta parziale ai problemi ambientali. Anche l’eco-giustizia, che usa strumenti come eco-incentivi, eco-tasse, oltre alla tradizionale regolamentazione diretta, pur necessaria, non è da sola sufficiente. È necessario elaborare un nuovo quadro concettuale che affronti i problemi ambientali secondo un approccio olistico e attraverso l’individuazione di un ruolo ben definito per i diversi soggetti coinvolti. Vorremmo sottolineare la capacità della società civile di aggregare la domanda politica dal basso, sia in merito a miglioramenti nella qualità della vita sia riguardo alla diretta partecipazione delle comunità locali, nazionali e internazionali nella scelta delle strategie di sviluppo. In particolare le ONG, insieme ai centri di ricerca e alle organizzazioni intergovernative, stanno dimostrando crescenti capacità operative e di pianificazione. Le loro attività dimostrano l’importanza della sostenibilità per un grande pubblico e presentano proposte innovative per la partecipazione nella gestione delle difficili questioni in gioco. Inoltre, le ONG e le altre componenti organizzate della società civile giocano un ruolo decisivo nell’incoraggiare gli individui ad adottare stili di vita più sostenibili. Ciò che caratterizza gli stili di vita è la nozione strategica dell’eco-sufficienza: «Vivere meglio con meno». A sua volta, tale nozione deriva da un concetto di benesse- re che non dipende da un eccessivo consumo di beni materiali. A questo riguardo, un movimento di consumatori socialmente responsabili, basato sull’idea del consumo etico, dovrebbe essere riconosciuto come una grande forza nella divulgazione di ideali ecologici. C onclusioni Conseguenze per le comunità ecclesiastiche e per i singoli cristiani È vero che alcune persone nella Chiesa sostengono che la quota di responsabilità umana rispetto al riscaldamento globale è stata esagerata e sono dell’opinione che variazioni naturali nel clima siano sempre esistite nella storia dell’evoluzione terrestre. Molti sottolineano soprattutto che numerosi ambientalisti guardano al numero degli abitanti della Terra come alla più grande minaccia all’ambiente e quindi raccomandano l’uso dei metodi di controllo della popolazione subordinando, in tal modo, lo sviluppo dell’umanità a una natura parzialmente idealizzata. Al contrario, si deve riconoscere che importanti studi internazionali sul cambiamento climatico e sulle sue cause sono ampiamente accettati come serie prove scientifiche. Ci troviamo infatti di fronte a una delle più grandi sfide all’umanità così come alla testimonianza cristiana. Nel suo incontro con la curia, il 6 agosto 2008 a Bressanone, il santo padre ha affermato con sicurezza: «Così, credo, dobbiamo tentare con tutti i mezzi che abbiamo di presentare la fede in pubblico, specialmente là dove riguardo a essa c’è già sensibilità. E penso che la sensazione che il mondo forse ci stia scivolando via – perché siamo noi stessi a cacciarlo via – e il sentirci oppressi dai problemi della creazione, proprio questo ci dia l’occasione adatta in cui la nostra fede può parlare pubblicamente e può farsi valere come istanza propositiva». La crisi ecologica pone un nuovo contesto per le grandi questioni di giustizia e pace su scala globale. Si stanno sviluppando nuove forme di povertà e di conflitti sociali e politici. La Chiesa deve rispondervi ed entrare in un nuovo dialogo globale con la società. A questo proposito, il contributo delle religioni e delle Chiese alla pace viene sollecitato anche dai laici. Dal momento che non si tratta di trovare soluzioni puramente tecniche, ma piuttosto di raggiungere una comprensione fondamentale di ciò che dà significato alla vita umana e di quali valori dovrebbero orientare le nostre vite, i cristiani posseggono un grande potenziale per introdurre il potere liberatorio della fede in questo dialogo. Tale comprensione aiuta a individuare e proporre anche degli stili di vita che siano sostenibili, attraverso cui si possa assumere una responsabilità nei confronti dell’umanità globale odierna e delle generazioni future. Il concetto di «stili di vita» fa riferimento non solo alla IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 117 106-118:REGDOC 17-2008.qxd 6-02-2009 17:42 Pagina 118 C hiese nel mondo vita privata degli individui, ma anche alle comunità religiose e alle strutture socio-economiche all’interno delle quali ha luogo la vita dei cristiani. A questo punto non basta emanare dichiarazioni teoriche sulla questione ambientale. Piuttosto, è necessaria una conversione ecologica: abbiamo bisogno di testimonianze credibili di vita cristiana. Stili di vita sostenibili e valori cristiani I cristiani devono prendere le distanze dallo stile di vita predominante nei nostri paesi, che appare troppo focalizzato sul consumo e in particolare su un consumo sproporzionato di energia. Attraverso la pubblicità, il mondo degli affari presenta il messaggio che possedere e consumare il maggior numero di beni possibile sia la strada verso la felicità individuale. Al contrario, la celebrazione della rinuncia e della vita semplice sembra avere poca risonanza. È quindi necessario dimostrare che l’essenza di una genuina qualità della vita, che i cristiani predicano, risulta legata al desiderio di gioia e felicità. Noi otteniamo la felicità in primo luogo attraverso buoni rapporti interpersonali con i nostri simili, con la creazione e con Dio, il Creatore e il Redentore, l’autore di tutto ciò che è buono. Per non venire sedotti dalla ricerca di interessi egoistici, abbiamo bisogno di una visione più comprensiva della vita umana. Dobbiamo affrontare il nostro tempo in modo nuovo: dovremmo, per esempio, iniziare nuovamente a coltivare la domenica come giorno di riposo, riscoprire la tranquillità che permette alla nostra anima di «riprendersi» e rivalutare la celebrazione nella forma di un incontro con il bello, con cose che vanno al di là gli orizzonti della nostra quotidianità, fino all’incontro con Dio stesso in varie forme. Abbiamo anche bisogno di instaurare un rapporto responsabile con gli spazi in cui viviamo: dovremmo, per esempio, riconsiderare la nostra mobilità che, indubbiamente, implica alti livelli di consumo energetico. La Santa Sede ha pubblicato documenti molto importanti, di cui siamo grati, sulla responsabilità verso il creato e sulle diverse sfide sociali del nostro tempo. Dobbiamo anche ricordare che il Vaticano ha preso molto seriamente tale impegno adottando appropriate buone pratiche. Per esempio, è stato recentemente annunciato che il grande tetto della Sala delle udienze di papa Paolo VI verrà attrezzato con istallazioni a energia solare. Sarebbe quindi un segnale importante per tutti i cristiani e per il mondo intero se la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico e il Protocollo di Kyoto venissero ratificati anche dalla Santa Sede o se un’enciclica sulle questioni ambientali potesse indicare le buone pratiche di alcune Chiese come esempio per le altre. La Chiesa dovrebbe anche mettersi in prima linea nell’investire i suoi fondi in progetti etici e sostenibili e nello sviluppare concetti di responsabilità sociale d’impresa per le sue attività economiche. 118 IL REGNO - DOCUMENTI 3/2009 Ci sono importanti documenti provenienti da conferenze episcopali – o da singole diocesi e ordini – riguardanti criteri per la gestione di edifici e proprietà ecclesiastiche, per un’organizzazione ecologicamente appropriata di grandi eventi ecclesiali e per la predisposizione di un eco-bilancio delle parrocchie. In particolare, monasteri e comunità ecclesiastiche hanno, sia storicamente sia oggigiorno, sviluppato modelli per un rapporto sostenibile con l’ambiente. A testimonianza di ciò, il «giorno della responsabilità per il Creato» (o tempo di responsabilità per il creato che va dal 1° settembre fino alla festa di San Francesco di Assisi o alla giornata del ringraziamento), introdotto da numerose conferenze episcopali e comunità ecclesiastiche, può offrire un’occasione per un’assunzione di responsabilità nei confronti del cambiamento climatico in istituzioni educative e per progetti concreti. Infatti la cosa essenziale è di adattare alle attuali circostanze la tradizione cristiana della vita semplice e del digiuno e di orientare la propria vita secondo valori morali. Nell’epoca presente, sta crescendo in molte persone il desiderio per una vita alimentata da energie spirituali. Come cristiani dobbiamo essere consapevoli che siamo chiamati a testimoniare la speranza che ci sostiene, una speranza basata su Cristo, perché ogni cosa è creata per lui e sperimenta la sua perfezione in lui. La responsabilità ecologica rientra in questa speranza. Ciò costituisce quindi un elemento essenziale per la fede cristiana, in relazione al creato e alla redenzione. Anche nel contesto ecumenico, la responsabilità ambientale è una questione condivisa da tutti i cristiani e costituisce un’area dove diventa possibile promuovere un impegno comune e condiviso con altre religioni e con l’intera società. GRUPPO DI LAVORO AD HOC SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO* * Membri del gruppo di lavoro ad hoc sul cambiamento climatico della COMECE (le opinioni espresse nel testo sono da ritenersi personali e quindi non attribuibili alle istituzioni o organizzazioni di appartenenza dei singoli membri del gruppo): prof. FRANZ FISCHLER, presidente, già membro della Commissione Europea, presidente dell’Ökosoziales Forum (Austria); prof. OTTMAR EDENHOFER, co-presidente del III Gruppo di lavoro dell’IPCC, vicedirettore del Potsdam-Institut für Klimafolgenforschung (Germania); JEAN-BAPTISTE DE FOUCAULD, ispettore generale della finanza, Ministero dell’economia, della finanza e dell’industria (Francia); rev. prof. KARL GOLSER, Professore di Teologia morale presso lo Studio teologico accademico, Bressanone (Italia); prof. LESZEK KARSKI, professore di gestione e protezione ambientale, Istituto di ecologia e bioetica, vicepreside alla Facoltà di filosofia cristiana, Università card. Stefan Wyszynski, Varsavia (Polonia); prof. HELGA KROMP-KOLB, direttore dell’Istituto di meteorologia, Università di risorse naturali e scienze applicate alla vita, Vienna (Austria); dr. CHARLOTTE KREUTER-KIRCHHOF; Segretaria, docente all’Istituto di diritto internazionale, Università di Bonn (Germania); prof. JOHN SWEENEY, professore di geografia, direttore delle Irish Climate Analysis and Research Units, Università nazionale d’Irlanda, Maynooth (Irlanda); prof. JEAN-PASCAL VAN YPERSELE, vicepresidente dell’IPCC, Istituto di astronomia e geofisica G. Lemaître dell’Università cattolica di Lovanio (Belgio); prof. STEFANO ZAMAGNI, professore ordinario di Economia politica, Università di Bologna, professore aggiunto di Economia politica, Università John Hopkins, Bologna (Italia). La traduzione dall’inglese è di Lucia Mariani per la Fondazione Lanza di Padova.