PIANO LAUREE SCIENTIFICHE APPUNTI DEL LABORATORIO DI

PIANO LAUREE SCIENTIFICHE
APPUNTI DEL LABORATORIO DI ALGEBRA E GEOMETRIA
PER STUDENTI DEL QUARTO ANNO
Prof. Sara Dragotti
Piano Lauree Scientifiche
Laboratorio di Algebra e Geometria
Laboratorio di Algebra e Geometria
Indagare sulla genesi di una nozione oggetto della matematica è un lavoro delicato, perché le idee evolvono lentamente, per strade imprevedibili e con il concorso
di studiosi interessati a settori spesso differenti. Pertanto è difficile razionalizzare
il processo che ha condotto alla nascita di una nozione formalizzata.
Quello che è importante, ed è educativo fare, è mettere in evidenza l’esistenza
di un tale processo. In termini poveri è importante sottolineare che un concetto
matematico non viene fuori dal nulla, o per caso, o perché ci viene comunicato da
qualche extraterrestre di passaggio. Gli oggetti della matematica vengono costruiti
(qualcuno dice scoperti) per trattare problemi concreti, ma di natura molteplice,
individuando quello che essi hanno in comune e generalizzandolo in definizioni
poste a base di una teoria. Hanno pertanto una funzione unificante. Lo studio della
teoria porta a risultati sui problemi concreti da cui si era partiti, ma fornisce anche
risultati su altri problemi il cui accostamento a quelli iniziali era insospettabile
prima dello sviluppo della teoria stessa.
Nel Laboratorio si è mostrato come la nozione di gruppo e quella di isomorfismo
di gruppi unificano certi comportamenti delle permutazioni di un insieme finito con
quelli delle simmetrie di una figura geometrica.
Non è un discorso storico, ma la vera storia della nascita dei gruppi è legata a
suggestioni non dissimili.
Le pagine che seguono sono solo un riassunto molto condensato delle definizioni
e di alcuni risultati.
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1. Applicazioni
Un’applicazione (o funzione) è una terna (S, T, f ) dove S è un insieme, detto
dominio, T un insieme non vuoto, detto codominio, ed f è una legge che consente
di associare ad ogni elemento di S uno, ed uno solo, elemento di T .
Si usano le scritture e frasi seguenti:
f : S → T , f è un’applicazione di S in T .
f (a) = a0 , all’elemento a di S corrisponde in f l’elemento a0 di T , o anche: a0
è l’immagine di a in f .
Riflettere bene sulla definizione di cui sopra e sulle parole sottolineate.
Esempio 1
S = insieme degli studenti presenti in un’aula, T = insieme degli anni tra il 1900
ed il 2013, legge: ad ogni studente si associ il suo anno di nascita.
Esempio 2
S = insieme dei punti di un piano euclideo, T = insieme dei punti di una retta
r dello stesso piano, legge: ad ogni punto del piano si associ la sua proiezione
ortogonale sulla retta r.
Esempi 3, 4, 5, 6
S = T = Z (insieme dei numeri interi)
f (x) = x2
g(x) = 2x
h(x) = x + 1
(
x
se x è positivo o nullo
q(x) =
x + 1 se x è negativo
Il termine funzione è sinonimo di applicazione, ma, come per tutti i sinonimi,
c’è una leggera sfumatura di differenza che fa preferire a volte l’uno, a volte l’altro
termine. Si preferisce il termine funzione, ad esempio, quando si vuole sottolineare
come il variare dell’elemento f (x) dipenda dal variare di x, ma è l’appropriarsi del
concetto e la pratica che suggeriscono quale termine sia più appropriato usare.
Siano A, B, C insiemi qualunque, e siano f un’applicazione di A in B, e g
un’applicazione di B in C. Si può considerare l’applicazione composta (o prodotto) di esse, ottenuta associando ad ogni elemento x di A l’immagine mediante
g dell’immagine di x mediante f . Indicando tale applicazione di A in C con il
simbolo fg, si avrà pertanto per ogni elemento x dell’insieme A
fg(x) = g (f (x))
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Esercizio 1 Verificare che fg è effettivamente un’applicazione.
Componiamo ora, per fare un esempio, le applicazioni f e g dei precedenti esempi 3 e 4. Si avrà per ogni intero x: fg(x) = g (f (x)) = g(x2 ) = 2x2 . Componendo
invece l’applicazione h di cui all’esempio 5 con g si ottiene: hg(x) = g(h(x)) =
g(x + 1) = 2(x + 1).
Avvertenza Si possono comporre due applicazioni solo se il codominio della prima
di esse coincide con il dominio della seconda.
Osservazione Il prodotto di applicazioni non è commutativo, ossia in generale
fg(x) non è uguale a gf (x). Vediamo il caso di uno degli esempi di prodotto
considerati sopra: risultava fg(x) = 2x2 , facendo invece il prodotto gf si otterrà
per ogni intero x: gf (x) = f (g(x)) = f (2x) = 4x2 .
Esercizio 2 Verificare che il prodotto di applicazioni è associativo, ossia (f g)h =
f (gh).
Un’applicazione f si dice biunivoca se valgono entrambe le seguenti propretà:
A) elementi distinti del dominio hanno immagini distinte, ovvero
x 6= y =⇒ f (x) 6= f (y)
B) ogni elemento del codominio è immagine di qualche elemento del dominio.
In altre parole se f : S → T è un’applicazione biunivoca ogni elemento di T
è immagine di uno, ed un solo, elemento di S. Negli esempi precedenti f non è
biunivoca perché non valgono né A) né B), g non è biunivoca perché vale A) ma
non vale B), h è biunivoca, q non è biunivoca perché vale B) ma non vale A) (0 e
-1 hanno la stessa immagine). Come sono le prime due applicazioni degli esempi?
Esercizio 3 Verificare che la composta di applicazioni biunivoche è biunivoca.
Per ogni applicazione biunivoca f di S in T si può definire l’applicazione di T
in S che associa ad ogni elemento x di T quell’unico elemento y di S che lo ha per
immagine in f . Più chiaramente, indicando con f −1 tale applicazione, si avrà
f −1 (x) = y ⇐⇒ f (y) = x
Esercizio 4 Verificare che f −1 è un’applicazione biunivoca.
L’applicazione f −1 si dice inversa di f .
Avvertenza La definizione di inversa si può dare solo per un’applicazione biunivoca. Se, ad esempio, pensiamo alla già citata applicazione di Z in sé g(x) = 2x,
all’elemento 5, come ad un qualunque altro intero dispari, non potremmo associare nessun intero, e quindi non si avrebbe una applicazione. Cosı̀ pure se pensiamo
alla funzione di Z in sé f (x) = x2 , nell’ipotetica inversa un numero negativo non
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avrebbe immagine ed inoltre un positivo come 4 ne dovrebbe avere due. In conclusione non è possibile: per poter definire la funzione inversa è indispensabile che per
la funzione data valgano entrambe le proprietà A) e B). Ad esempio la funzione
biunivoca h(x) = x + 1 di Z in sé ha per inversa la funzione h−1 (x) = x − 1.
Per quanto detto sopra un’applicazione biunivoca si dice anche invertibile.
Riflettere ancora e fare altri esempi.
Un’applicazione biunivoca di un insieme S in sé è detta spesso una permutazione di S.
Per ogni insieme non vuoto S si può definire l’applicazione di S in sé che
associa ad ogni suo elemento x lo stesso x. Si tratta ovviamente di un’applicazione
biunivoca, che è detta applicazione identica (o identità) di S. Se la indichiamo
con idS si avrà pertanto per ogni elemento x di S idS (x) = x.
È veramente banale rendersi conto che per ogni applicazione f di S in un
qualunque altro insieme T si ha: idS f = f idT = f , circostanza che in altre parole
si esprime dicendo che ogni identità è neutra per il prodotto.
Inoltre se f : S → T è un’applicazione biunivoca, e quindi invertibile, è immediato verificare la relazione ff −1 = idS e l’analoga f −1f = idT .
Nel seguito per comodità la permutazione identica sarà indicata solo con id
senza il pedice che indica l’insieme, sempre che ciò non dia luogo ad equivoci.
2. Permutazioni di un insieme finito
Un insieme S si dice finito se esiste un’applicazione biunivoca di S nell’insieme
dei primi n numeri naturali: Nn = {1, 2, 3, . . . , n} per un opportuno n. Diremo che
n è la potenza o cardinalità di S.
Poiché nel seguito non ci interesserà la natura degli elementi di un insieme
finito S, ma solo la sua cardinalità, supporremo sempre S = {1, 2, 3, . . . , n} per un
opportuno n.
Una permutazione p di S si indica con un simbolo combinatorio del tipo
1 2 3 ... n
5 1 7 ... 2
dove la prima riga contiene gli elementi di S in un certo ordine (generalmente
quello naturale), e nella seconda riga ogni elemento indica l’immagine dell’elemento
soprastante nella permutazione data. La tabella precedente (dove ovviamente n è
non minore di 7) indica quindi che l’immagine di 1 è 5, l’immagine di 2 è 1,
l’immagine di 3 è 7, e cosı̀ via. La biunivocità di p si traduce nel fatto che gli
elementi della seconda riga sono tutti diversi.
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Consideriamo ad esempio (e ci servirà nel seguito) le permutazioni di un insieme
di tre elementi S = {1, 2, 3}. Si hanno sei permutazioni con altrettante tabelle
rappresentative:
1 2 3
1 2 3
1 2 3
id ≈
, r1 =
, r2 =
1 2 3
2 3 1
3 1 2
1 2 3
1 2 3
1 2 3
s1 =
, s2 =
, s3 =
1 3 2
3 2 1
2 1 3
Con queste tabelle è visivamente comodo fare il prodotto di due permutazioni: si
sceglie un elemento nella prima riga della prima tabella e si vede nella seconda
riga quale è la sua immagine, questa immagine si rintraccia nella prima riga della
seconda tabella e si legge nella seconda riga la sua immagine ottenendo l’immagine
nella permutazione composta. Componiamo ad esempio le permutazioni s1 ed r1 :
1 2 3 1 2 3
1 2 3
=
perché 1 → 1 → 2, 2 → 3 → 1, 3 → 2 → 3
1 3 2 2 3 1
2 1 3
Si ottiene pertanto s1 r1 = s3 .
Effettuando tutti i possibili prodotti si ottiene la tabellina riportata sotto:
id
id id
s1 s1
s2 s2
s3 s3
r1 r1
r2 r2
•
s1
s1
id
r1
r2
s2
s3
s2
s2
r2
id
r1
s3
s1
s3
s3
r1
r2
id
s1
s2
r1
r1
s3
s1
s2
r2
id
r2
r2
s2
s3
s1
id
r1
Da essa rileviamo che
1) la permutazione identica è neutra per il prodotto, e lo sapevamo;
2) ogni permutazione ha inversa, e lo sapevamo. In aggiunta osserviamo che
ogni permutazione con la lettera s è inversa di se stessa, mentre ciascuna di
quelle con la lettera r è inversa dell’altra;
3) il prodotto è associativo, e lo sapevamo; dalla tabella si ricava con un paio
di passaggi;
4) il prodotto non è commutativo, infatti la tabella non è simmetrica rispetto
alla sua diagonale (la terza riga, ad esempio, è diversa dalla terza colonna).
Esercizio Nella tabellina di sopra ogni permutazione compare una sola volta in
ogni riga, cosı̀ come in ogni colonna. Come si può tradurre questa osservazione in
termini di una proprietà del prodotto?
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Un discorso analogo si può fare per le permutazioni di un insieme di cardinalità
4, che sono 24, e più in generale per un insieme di cardinalità n (in questo caso le
permutazioni sono n!).
Per il prodotto si avranno in ogni caso le proprietà:
1) la permutazione identica è neutra
2) ogni permutazione ha inversa
3) il prodotto è associativo.
Per completezza diciamo che il caso n = 2 è un caso banale. Ci sono solo
due permutazioni, di cui una è l’identità, ed è l’unico caso in cui il prodotto di
permutazioni è commutativo.
3. Il piano euclideo
Qualche precisazione ed un po’ di linguaggio
Per piano euclideo E2 intenderemo il piano costruito con le definizioni ed i
postulati, espliciti e sottintesi, di Euclide o, equivalentemente, con i più moderni
e completi assiomi di Hilbert.
Sarà utile, a volte indispensabile, fissare per tale piano un riferimento cartesiano
(monometrico ortogonale per comodità, più brevemente ortonormale). In questo
modo viene definita un’applicazione biunivoca dall’insieme dei punti del piano
all’insieme R2 delle coppie di numeri reali, e scriveremo P ≡ (x, y) per indicare
che (x, y) è l’immagine del punto P in tale applicazione, x è l’ascissa ed y l’ordinata.
Assegnare un riferimento consente di tradurre relazioni geometriche tra i punti
in relazioni algebriche tra le coordinate degli stessi. Cosı̀ ad esempio dire che alcuni punti appartengono ad una retta r si traduce nel dire che le loro coordinate
soddisfano a un’equazione di primo grado ax + by + c = 0 (∗) . Useremo il termine
rappresentare per descrivere questa circostanza, e quindi per l’esempio precedente diremo che l’equazione (∗) rappresenta la retta r nel riferimento cartesiano
assegnato.
4. Trasformazioni del piano euclideo
Una trasformazione del piano è un’applicazione biunivoca del piano euclideo
E2 in sé.
In effetti una trasformazione è quella che precedentemente abbiamo chiamato
permutazione, ma in un ambiente geometrico si preferisce usare il termine “trasformazione”, cosı̀ come per gli “elementi” del piano si usa il termine “punti” o
per alcuni sottoinsiemi si usa il termine indefinibile di “figura”.
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Se fissiamo un riferimento cartesiano ed indichiamo con (x, y) le coordinate del generico punto P e con (x0 , y 0 ) le coordinate della sua immagine in una
trasformazione f , possiamo rappresentare f scrivendo
(
x0 = f1 (x, y)
y 0 = f2 (x, y)
dove f1 ed f2 sono applicazioni di R2 in R, dette funzioni componenti, che possono essere di vario tipo, a patto di assicurare la biunivocità di f . Ad esempio la
trasformazione t del piano che “trasla” ogni punto P di un segmento di lunghezza
1 nella direzione e verso dell’asse delle ascisse sarà rappresentata dal sistema di
relazioni
(
x0 = x + 1
y0 = y
Comporre due trasformazioni f e g significa trasformare mediante g il piano
già trasformato mediante f . In altre parole comporre f con g significa effettuare il
prodotto di f e g in quanto applicazioni. La trasformazione ottenuta viene indicata
con il simbolo fg, e viene detta composta di f e g.
La trasformazione identica (o identità) id è l’applicazione che trasforma
ogni punto del piano in se stesso.
Per inversa di una trasformazione f si intende l’applicazione inversa, che
indicheremo con f −1 , che trasforma ogni punto P nel punto che f trasforma in P :
f −1 (P ) = Q ⇐⇒ f (Q) = P
Una importante classe di trasformazioni del piano è quella delle trasformazioni lineari o affinità caratterizzate algebricamente dalla proprietà che le funzioni
componenti sono funzioni lineari, ovvero polinomi di grado non maggiore di uno.
Quindi la rappresentazione cartesiana di un’affinità sarà del tipo
(
x0 = ax + by + c
y 0 = a0 x + b 0 y + c 0
Dalla teoria dei sistemi lineari si ricava che i coefficienti dei polinomi devono soddisfare la condizione ab0 −a0 b 6= 0 per garantire la biunivocità di f . La trasformazione
t dell’esempio di sopra è lineare.
Sulle affinità in generale diciamo solo che un’affinità trasforma una retta in una
retta e conserva il parallelismo. Riportiamo inoltre il fondamentale teorema che
segue perché ci sarà utile nel seguito.
Teorema 1 Fissati comunque nel piano tre punti non allineati A, B, C e tre punti
non allineati A0 , B 0 , C 0 esiste una, ed una sola, affinità del piano che trasforma
A in A0 , B in B 0 e C in C 0 .
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Tra le affinità ci sono le similitudini, di cui non parleremo, e tra queste le
isometrie che trattiamo di seguito.
5. Isometrie
Una isometria (o simmetria) del piano è una trasformazione h del piano che
conserva le distanze, cioè la distanza tra due punti qualsiasi A e B coincide con
la distanza dei loro trasformati h(A) ed h(B).
Una isometria è un’affinità (si prova). Quindi una isometria h si rappresenta in
un riferimento cartesiano con un sistema lineare del tipo
(
x0 = ax + by + c
y 0 = a0 x + b 0 y + c 0
ma il fatto che h conservi le distanze comporta che i coefficienti devono soddisfare,
oltre alla condizione ab0 − a0 b 6= 0 già detta, ad altre condizioni, che non diremo
perché esulano dal nostro discorso.
Esercizio 1 In quanto affinità, una isometria h muta una retta in una retta. Provare a dimostrare in maniera sintetica (cioè utilizzando i teoremi della geometria
euclidea) questa proprietà. Si ricaverà anche che i punti interni ad un segmento
AB sono trasformati nei punti interni al segmento di estremi h(A) e h(B).
Esercizio 2 Ci si renda conto che la trasformazione ottenuta componendo due
isometrie è ancora una isometria e che l’inversa di una isometria è una isometria.
Esercizio 3 Provare che una isometria conserva gli angoli.
Per le isometrie vale un teorema analogo al teorema fondamentale sulle affinità
con una condizione aggiuntiva. Precisamente:
Teorema 2 Fissati comunque nel piano tre punti non allineati A, B, C e tre
punti non allineati A0 , B 0 , C 0 tali che d(A, B) = d(A0 , B 0 ), d(A, C) = d(A0 , C 0 ) e
d(B, C) = d(B 0 , C 0 ), esiste una, ed una sola, isometria del piano che trasforma A
in A0 , B in B 0 e C in C 0 .
In altre parole, la condizione aggiuntiva sulle distanze dei punti assegnati comporta che l’unica affinità di cui al teorema 1 sia una isometria. Riflettere un po’
di tempo sul teorema 2. A quale risultato noto di geometria elementare viene da
pensare?
Vediamo ora alcune particolari isometrie.
Una traslazione è una trasformazione t del piano caratterizzata dalla proprietà
che il segmento congiungente un punto e la sua immagine ha lunghezza, direzione
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e verso fissati. In altre parole i segmenti At(A), Bt(B), C t(C), . . . e cosı̀ via sono
tutti paralleli, equiversi e di uguale lunghezza.
Esercizio 4 Provare che una traslazione è una isometria.
Esercizio 5 Provare che la rappresentazione cartesiana di una traslazione è del
tipo
(
x0 = x + c
y 0 = y + c0
Esercizio 6 Provare che la trasformazione ottenuta componendo due traslazioni
è ancora una traslazione e che l’inversa di una traslazione è una traslazione. Fare
un disegno rappresentativo della situazione. Aiuta e contribuisce ad appropriarsi
delle nozioni in maniera meno formale.
Esercizio 7 Provare che una traslazione non ha punti uniti (un punto unito in una
trasformazione è un punto che coincide con la sua immagine) e che una traslazione
trasforma una retta in una retta parallela.
Una rotazione è una isometria r con un punto unito (detto centro) caratterizzata dalla proprietà che, detto O tale punto, l’angolo delle semirette OP e
O r(P ) è un fissato angolo ϑ.
Se il riferimento ortonormale scelto per il piano ha come origine il punto unito
in una rotazione r di angolo ϑ, la rappresentazione cartesiana di r sarà del tipo
(
x0 = (cos ϑ)x − (sen ϑ)y
y 0 = (sen ϑ)x + (cos ϑ)y
Il prodotto di due rotazioni di centro O è una rotazione di centro O. Qual è il
suo angolo di rotazione?
Il ribaltamento di asse una retta r (o simmetria rispetto ad r) è una isometria
in cui tutti i punti di r sono uniti mentre un punto P fuori di r ha per immagine
il punto P 0 simmetrico di P rispetto ad r:
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In un riferimento ortonormale il ribaltamento rispetto all’asse delle ascisse si
rappresenta
(
x0 = x
y 0 = −y
Domanda
Se h è un ribaltamento, chi è il prodotto hh?
Esercizio 8 Indagare sul prodotto di due ribaltamenti di diversa retta asse.
Esercizio 9 Indagare sull’inversa di una rotazione.
6. Simmetrie di una figura (piana)
Per simmetria di una figura F del piano intendiamo una isometria del piano
che trasforma ogni punto di F in un punto di F .
Ad esempio la rotazione di centro il baricentro O di un triangolo equilatero
ABC ed angolo 2π/3 lascia unito il punto O e trasforma ogni punto P del triangolo
in un punto P 0 dello stesso triangolo, il vertice A va in B, B si sposta in C, e C
in A.
Pertanto tale rotazione è una simmetria del triangolo dato. Invece la rotazione
intorno ad O di angolo π/2 è sempre una isometria del piano, ma non trasforma in
sé il triangolo ABC, come pure una qualunque traslazione (tranne l’identità) non
è una simmetria di ABC.
Indaghiamo più a fondo sulle simmetrie di un triangolo equilatero.
Per prima cosa consideriamo che una isometria del piano trasforma un triangolo nel triangolo che ha per vertici le immagini dei vertici (riflettere con calma
utilizzando i risultati dell’esercizio 1 della sezione precedente). Quindi una isometria che trasforma un triangolo in sé (simmetria di quel triangolo) determinerà una
permutazione dei suoi vertici. Viceversa ogni permutazione dei vertici di un triangolo equilatero determinerà, in base al fondamentale teorema 2, una isometria del
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piano che trasformerà in sé il triangolo dato, quindi una simmetria del triangolo. In
conclusione possiamo affermare che: le simmetrie di un triangolo equilatero sono
tante quante le permutazioni dei suoi vertici ovvero, in forma più ricca e precisa:
Teorema 3 Esiste un’applicazione biunivoca ψ tra l’insieme delle permutazioni
di tre elementi e l’insieme delle simmetrie di un triangolo equilatero T . ψ associa
ad ogni permutazione dei vertici di T l’unica simmetria di T che trasforma i vertici
nei vertici indicati dalla permutazione stessa. Inoltre ψ soddisfa alla proprietà: la
simmetria di T associata al prodotto di due permutazioni coincide con il prodotto
delle simmetrie associate alle permutazioni date.
Riflettiamo bene e con calma su quanto afferma il teorema precedente. Il risultato importante non è l’esistenza di un’applicazione biunivoca tra gli insiemi
considerati. Infatti potremmo trovare direttamente che le possibili simmetrie di T
sono sei, e l’esistenza di un’applicazione biunivoca tra i due insiemi seguirebbe dal
fatto che hanno la stessa cardinalità (per precisione diciamo che tra due insiemi di
cardinalità 6 esistono 720 diverse applicazioni biunivoche). Ma l’applicazione ψ è
particolare sia perché è costruita in maniera naturale a partire dal teorema 2, sia
per la proprietà di “trasportare” il prodotto del primo insieme in quello del secondo. Riflettiamo bene: le frasi precedenti contengono termini nuovi in un linguaggio
complessivamente insolito. Se desta stupore, questo è un buon segno.
Ora finalmente esaminiamo ψ. Ricopiamo la figura del triangolo disegnando
anche le mediane
e guardiamo la tabella di ciascuna permutazione associando 1 al vertice A, 2 a B
e 3 a C.
L’immagine in ψ della permutazione r1 = ( 12 23 31 ) è l’unica simmetria di T che
trasforma A in B, B in C e C in A. Cosı̀ avviene per la rotazione %1 di centro O
ed angolo 120◦ . Dall’unicità segue allora ψ (r1 ) = %1 .
L’immagine in ψ della permutazione r2 = ( 13 21 32 ) è l’unica simmetria di T che
trasforma A in C, B in A e C in B, cosı̀ come avviene per la rotazione %2 di centro
O ed angolo 240◦ . Dall’unicità segue allora ψ (r2 ) = %2 .
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L’immagine in ψ della permutazione s1 = ( 11 23 32 ) è l’unica simmetria di T che
lascia unito il vertice A e scambia tra loro i vertici B e C, cosı̀ come avviene per
il ribaltamento σ1 di asse la retta mediana di T passante per A. Dall’unicità segue
allora ψ (s1 ) = σ1 .
L’immagine in ψ della permutazione s2 = ( 13 22 31 ) è l’unica simmetria di T che
lascia unito il vertice B e scambia tra loro i vertici A e C. Cosı̀ accade per il
ribaltamento σ2 di asse la mediana di T passante per B. Dall’unicità segue allora
ψ (s2 ) = σ2 .
L’immagine in ψ della permutazione s3 = ( 12 21 33 ) è l’unica simmetria di T
che lascia unito il vertice C e scambia tra loro i vertici A e B. Cosı̀ accade per
il ribaltamento σ3 rispetto alla mediana di T passante per C. Dall’unicità segue
allora ψ (s3 ) = σ3 .
Il fatto che alla permutazione id corrisponda la trasformazione identica del
piano segue allo stesso modo, come pure la verifica di quanto asserisce l’ultima
parte del teorema.
Facciamo ora alcune considerazioni di carattere generale.
Abbiamo esaminato due insiemi diversi: quello delle permutazioni di tre elementi, chiamiamolo S3 , e quello delle simmetrie di un triangolo equilatero, chiamiamolo
T3 . In entrambi abbiamo considerato una operazione di prodotto, operazioni differenti ovviamente perché fatte tra elementi di insiemi differenti. Eppure in entrambi
i casi abbiamo trovato un elemento neutro, un inverso per ogni elemento, ed abbiamo rilevato che l’operazione è associativa. Inoltre il teorema 3 ci ha presentato
un’applicazione biunivoca ψ di S3 in T3 che crea un legame non solo tra gli elementi dei due insiemi, ma anche tra i rispettivi modi di operare consentendo di
trasportare l’uno nell’altro. Vengono allora spontanee due domande:
PRIMA DOMANDA Esiste una nozione matematica unificante il modo di operare
in S3 ed in T3 , ossia il fatto che ci siano proprietà comuni?
SECONDA DOMANDA Esiste una nozione matematica che generalizzi il comportamento di ψ, formalizzando il legame tra due modi di operare?
Le risposte sono nella prossima sezione.
7. Le risposte
Sia S un insieme non vuoto. Una operazione definita in S è un’applicazione
f dell’insieme S 2 delle coppie di elementi di S nell’insieme S.
Nell’uso corrente per indicare una operazione si preferisce un simbolo grafico
come ∗ oppure +, ∧, ×, • al posto di una lettera latina o greca con cui si indica
solitamente un’applicazione, e scrivere a + b al posto di +((a, b)) e simili.
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Definizioni
Un’operazione ∗ definita in un insieme S si dice associativa se vale la proprietà
Per ogni terna a, b, c di elementi di S : (a ∗ b) ∗ c = a ∗ (b ∗ c)
Un elemento e di S si dice neutro per un’operazione ∗ definita in S se per ogni
elemento x di S si ha: x ∗ e = e ∗ x = x.
Un elemento x 0 di S si dice inverso di un elemento x rispetto ad un’operazione
∗ definita in S e per la quale esista un elemento neutro e se si ha: x∗x 0 = x 0∗x = e.
Siamo ora finalmente in grado di dare la definizione che fornisce la risposta alla
PRIMA DOMANDA della precedente sezione.
Dicesi gruppo una coppia (G, ∗) dove G è un insieme non vuoto e ∗ è un’operazione definita in G per cui valgano le proprietà:
1) ∗ è associativa
2) esiste un elemento e di G neutro per ∗
3) ogni elemento g di G ha inverso g 0 rispetto a ∗.
PRIMA RISPOSTA Sı̀. Le operazioni definite in S3 ed in T3 dotano entrambi di
una struttura di gruppo.
È chiaro che l’utilità della nozione di gruppo non si può limitare a questa
risposta.
Facciamo allora alcuni esempi di gruppi e non gruppi.
Esempio 1 La somma ordinaria di numeri interi, per cui si preferisce il simbolo +,
è una operazione definita nell’insieme Z dei numeri interi. È associativa, esiste un
intero neutro per questa somma, il numero 0, ed ogni intero ha un inverso rispetto
a tale operazione. L’inverso di a è il numero −a. Pertanto (Z, +) è un gruppo, il
gruppo additivo degli interi.
Esempio 2 La somma ordinaria di numeri naturali, per cui si preferisce il simbolo
+, è una operazione definita nell’insieme N dei numeri naturali. È associativa, ma
non esiste un elemento neutro, a meno che non includiamo 0 in N (come alcuni
fanno). Anche in tale caso però mancano gli inversi. Pertanto (N, +) non è un
gruppo.
Esempio 3 Il prodotto ordinario di numeri interi, per cui si preferisce il simbolo •,
è una operazione definita nell’insieme Z dei numeri interi. È associativo, esiste un
intero neutro per il prodotto, il numero 1, ma solo 1 e −1 hanno inverso rispetto
a •. Pertanto (Z, •) non è un gruppo.
Esempio 4 La somma ordinaria di numeri razionali, per cui si usa il simbolo +,
è un’operazione associativa definita nell’insieme Q dei numeri razionali. Per essa
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0 è elemento neutro ed ogni razionale a/b ha inverso −a/b. Pertanto (Q, +) è un
gruppo, il gruppo additivo dei razionali.
Esempio 5 Il prodotto ordinario di numeri razionali, per cui si usa il simbolo •, è
un’operazione associativa definita nell’insieme Q dei numeri razionali. Per essa 1
è elemento neutro, però (Q, •) non è un gruppo. Perché? Perché 0 non ha inverso.
Se però “restringiamo” l’operazione di prodotto a Q − {0} (e si può fare perché
il prodotto di razionali non nulli è non nullo) si ottiene un gruppo, il gruppo
moltiplicativo dei razionali non nulli.
Esempio 6 Sia dato un insieme di
definita dalla tabellina
∗
a
b
c
d
4 elementi S = {a, b, c, d} con l’operazione ∗
a
a
b
c
d
b
b
a
a
c
c
c
d
b
a
d
d
c
d
b
(S, ∗) è un gruppo?
Esempio 7 L’insieme delle trasformazioni del piano euclideo rispetto alla composizione di trasformazioni è un gruppo di cui sono sottogruppi (dare con attenzione
la definizione di sottogruppo) il gruppo delle isometrie, il gruppo delle rotazioni di
fissato centro, il gruppo delle traslazioni.
La risposta alla SECONDA DOMANDA è fornita dalla seguente definizione:
Siano (G, ∗) e (G 0 , ×) due gruppi. Un’applicazione f di G in G 0 si dice omomorfismo se comunque dati due elementi a e b di G si ha
f (a ∗ b) = f (a) × f (b)
Se l’applicazione f è biunivoca si parlerà di isomorfismo. Si può dimostrare
che l’inverso di un isomorfismo è un isomorfismo (provare a farlo per esercizio).
Gruppi tra cui esiste un isomorfismo si dicono isomorfi.
Le formule (come quella scritta sopra) hanno il pregio di essere sintetiche, ma
per una nozione nuova possono risultare un po’ misteriose. Usiamo allora le “parole” per essere più chiari. Un omomorfismo f di G in G 0 “trasporta” l’operazione
di G in quella di G 0 , nel senso che l’immagine del risultato dell’operazione ∗ tra
due elementi di G coincide con il risultato dell’operazione × tra le immagini degli
elementi dati. In forma lapidaria:
l’immagine di un risultato è uguale al risultato delle immagini.
Nel caso di isomorfismo il “trasporto” avviene anche in verso opposto, cioè dall’operazione di G 0 a quella di G. Questo rende “preziosa” la nozione di isomorfismo
perché consente, in presenza di gruppi isomorfi, di scegliere dove operare.
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Precisamente se l’operazione di uno dei due gruppi dovesse risultare “scomoda”,
si potrebbe:
a) trasportare gli elementi su cui operare nell’altro gruppo mediante un isomorfismo
b) operare tra gli elementi ottenuti con l’operazione a disposizione
c) riportare il risultato nel gruppo di partenza mediante l’isomorfismo inverso.
SECONDA RISPOSTA Sı̀, la nozione di isomorfismo: ψ è un isomorfismo del
gruppo S3 nel gruppo T3 .
Facciamo allora alcuni esempi di omomorfismi e non.
Esempio 8 Si considerino il gruppo additivo degli interi (Z, +), il gruppo moltiplicativo dei razionali non nulli (Q − {0}, •) e l’applicazione f di Z in Q − {0}
definita ponendo per ogni elemento x di Z: f (x) = 2x . f è un omomorfismo in
quanto, per note proprietà delle potenze di fissata base, si ha f (x + y) = 2x+y =
2x 2y = f (x) • f (y).
Esempio 9 Si considerino il gruppo additivo degli interi (Z, +), il gruppo additivo
dei razionali (Q, +) e l’applicazione di inclusione i che ad ogni intero x associa lo
stesso x come numero razionale. La giusta affermazione che i è un omomorfismo
che associa elementi distinti ad elementi distinti è un altro modo di dire che il
primo dei due gruppi è un sottogruppo del secondo.
Esempio 10 L’applicazione g di Z in Z definita ponendo g(x) = x3 non è un
omomorfismo del gruppo additivo degli interi in sé, mentre l’applicazione f sempre
di Z in Z definita ponendo f (x) = x + 3 è un isomorfismo.
Esempio 11 Per ogni gruppo (G, ∗) la permutazione di G che associa ad ogni
elemento il suo inverso rispetto a ∗ è un isomorfismo del gruppo in sé.
Esempio 12 L’applicazione h che ad ogni numero razionale associa il suo valore
assoluto non è un omomorfismo del gruppo additivo dei razionali in sé, ma la
restrizione di h ai razionali non nulli è un omomorfismo del gruppo moltiplicativo
dei razionali non nulli in sé.
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