L`antropologia

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Antropologia
L’ANTROPOLOGIA È UNA DISCIPLINA AUTONOMA DELLE SCIENZA SOCIALI NATA
DALLA SOCIOLOGIA CHE STUDIA L’UOMO NELLA SUA EVOLUZIONE BIOLOGICA.
L’ANTROPOLOGIA CULTURALE STUDIA L’UOMO NELLA SUA COMUNITÀ DI VITA E
DI APPARTENENZA (USI, COSTUMI, RELIGIONI, CONSUETUDINI E CREDENZE).
L’antropologia si assegna il compito di pensare l’altro.
Nella storia, ben oltre il XVI secolo, l’altro era il primitivo, il non europeo.
L’antropologo moderno deve guardarsi dal considerarsi superiore rispetto all’oggetto del suo studio
mantenendo un distacco scientifico dall’etnocentrismo (ogni individuo si identifica per lingua,
aspetto e modo di vivere con una comunità e tende a rifiutare, criticare, svalutare coloro che non
sono come lui) e dall’esotismo (culto del pittoresco che può virare verso l’etnocentrismo
accompagnato da atteggiamenti di svalutazione e razzismo).
L’etnina:
una popolazione con origine comune.
L’etnografia:
un lavoro descrittivo basato sull’osservazione e sulla scrittura che comporta raccolta dati e
documenti per la registrazione di fatti umani atti alla comprensione di una società o di una
istituzione.
L’etnologia:
elabora i materiali forniti dall’etnografia mirando a costruire dei modelli. (oggi detta antropologia
sociale e culturale)
L’antropologia:
dibattito teorico, tradizione intellettuale e ideologica di una disciplina, pratica istituzionale, ricerca
sul campo.
L’antropologia sociale:
inclusa nell’antropologia generale, determina le leggi della vita in società osservando il
funzionamento delle istituzioni sociali (famiglia, organizzazione politica, ecc..).
Antropologia culturale:
nasce negli stati uniti e si concentra sulla trasmissione della cultura.
Antropologia filosofica:
discorso astratto sull’uomo.
Antropologia fisica:
studio biologico e fisico comprendendo
Le Origini
Gli studiosi sono generalmente d'accordo nel ricercare le origini dell'antropologia alla seconda metà
del secolo scorso, periodo nel quale nacque, e si sviluppò, quella corrente di pensiero nota come
Evoluzionismo.
Tuttavia l'evoluzionismo non nasceva dal nulla; nell'impossibilità di rintracciare un precursore
"ufficiale" al quale assegnare l'etichetta di padre fondatore dell'antropologia, è importante notare
come almeno a partire dalle antiche società classiche, greca e romana in particolare, sia possibile
riscontrare una viva curiosità riguardante le differenze culturali esistenti tra i diversi gruppi umani.
Filosofi e viaggiatori ci hanno lasciato testimonianze importanti riguardo le loro idee sull'origine
dell'uomo, sugli usi e costumi delle genti da loro visitati, sulle differenze strutturali di adattamento
ai diversi ambienti naturali.
Tra i filosofi più importanti:
Socrate (470-399 a.c.), secondo cui le società erano guidate da principi morali universali, a cui gli
individui si conformavano;
Platone (427-347 a.c.), che fu suo allievo, oltre a concordare sull'esistenza di valori universali,
poneva l'accento sull'evoluzione della società, a suo dire, frutto di una progressiva specializzazione
delle attività lavorative.
Altro personaggio di rilievo nello sviluppo del pensiero moderno fu Aristotele (384-322 a.c.);
convinto di come l'uomo fosse da considerare un essere sociale sin dalla nascita, rintracciò le origini
della società tanto nel linguaggio quanto nel pensiero razionale. Questa era nata, a suo dire, grazie
alla naturale tendenza gregaria dell'uomo, impegnato nella continua necessità di soddisfare i propri
bisogni.
Tra i viaggiatori dell'antichità: Erodoto (484-425 a.c.).
Con il declinare delle grandi società classiche, e con la sempre maggiore importanza che andrà
assumendo il cristianesimo come dottrina religiosa e morale in Europa, i concetti di storia e di
società tenderanno a modificarsi, fino a diventare ideologie dominanti durante il periodo
medioevale. In particolare l'idea di storia passerà da una concezione essenzialmente ciclica ad una
lineare, mentre una nuova visione universale sostituirà quella particolare.
L’Evoluzionismo
L'evoluzionismo nacque in una Inghilterra dell’800 in forte ascesa economico-sociale il cui apice
era rappresentato dall'Inghilterra vittoriana. L'idea fondamentale era che tutti gli uomini, non
importa se appartenenti a popolazioni primitive o complesse, fossero dotati delle stesse facoltà
intellettive. Tutte le società dovevano evolversi attraverso una scala di crescente complessità,
perché le leggi che governavano l'evoluzione sociale erano sempre uguali a se stesse. A livello
teorico ciò voleva dire considerare i gruppi "primitivi" attuali come i più indietro nella scala
evolutiva, e di vedere in essi i rappresentanti degli antichi abitanti preistorici d'Europa. Quanto più
un popolo presentava istituzioni culturali complesse (nel campo, cioè, del sociale, dell'economico,
del politico, del religioso), tanto più era posto avanti nella scala evolutiva.
Gli esponenti di maggior rilievo della corrente evoluzionista sono: Herbert Spencer (1820-1903),
Edward Burnett Tylor (1832-1917) e George James Frazer (1854-1941). Questi studiosi erano
accomunati dal fatto di condividere alcuni concetti fondamentali.
Spencer considera la società in analogia ad un organismo biologico.
L'evoluzione agiva, quindi, in direzione di una crescente complessità dell'organismo "sociale", al
cui apice era vista la civiltà inglese, considerata come la più evoluta e complessa.
Ogni intervento dello stato in direzione assistenziale nei confronti delle fasce più deboli della
popolazione, poteva comportare un regresso della società.
Tylor mise in evidenza come la cultura fosse il risultato di un apprendimento sociale; ogni
individuo, di conseguenza, apprende un insieme di norme e comportamenti trasmessi attraverso le
generazioni.
Un altro tema affrontato da Tylor fu quello riguardante l'animismo, considerato, da quasi tutti gli
evoluzionisti, come la forma primordiale di religione (credenza dell’anima).
Frazer teorizzò l'esistenza di tre fasi storiche, dominate rispettivamente dalla magia, dalla religione
e dalla scienza. Arrivò a definire la magia come la "sorella bastarda della scienza", considerando la
fase intermedia della religione come un semplice intermezzo caratterizzato dalla mancanza quasi
totale di iniziativa conoscitiva.
Il Diffusionismo
La corrente diffusionista, fenomeno austro-tedesco, nacque all'inizio del '900 come rifiuto del
paradigma evoluzionistico, e diventò importante sia in Europa che in America. L'idea che una
cultura, o segmenti di essa, possa migrare e diffondersi, in entrata ed in uscita.
Faceva seguito il tema degenerazionista, ossia la tendenza a considerare l'allontanamento di un
tratto culturale dal luogo di origine come indice della sua decadenza, rispetto alla sua primigenia
perfezione.
Gli autori più rappresentativi: Frobenius (1873-1938), Graebner (1877-1934) e Schmidt (1868-
1954).
Negli Stati Uniti la scuola di Boas e Wissler: idea di area culturale come un ambito di diffusione di
elementi culturali simili, a partire da un centro di irradiazione (centro culturale). Nel centro si
sarebbero dovuti ritrovare tutti gli elementi che caratterizzavano l'area che si stava studiando, che
divenivano progressivamente meno strutturati man mano che ci si allontanava da esso.
Una variante delle teorie diffusioniste fu il cosiddetto iper-diffusionismo che si basava su teorie
riguardanti la quasi universale diffusione del culto del sole e dei grandi monumenti in pietra; le
piramidi maya, ad esempio, portavano, in quest'ottica, una conferma importante, perché
rappresentavano la degenerazione delle antiche e più perfette piramidi egizie.
La corrente di cultura e personalità
Fino agli anni Quaranta del sec. XX, l'antropologia culturale statunitense fu influenzata dalla scuola
di F. Boas, antropologo ed etnologo, che dimostrò come la cultura sia indipendente da fattori
razziali e abbia in sé caratteri tipici per ciascun gruppo etnico e pertanto sia un prodotto autonomo
di ogni popolo.
Su questa strada vennero condotte indagini sui "caratteri nazionali" delle singole culture e sul potere
condizionante che queste hanno sulla personalità dei singoli: si affermò quindi una scuola, detta
"cultura e personalità" di cui massimi esponenti sono stati R. Linton, M. Mead, A. Kardiner.
Scuola Socio Antropologica Francese
Le forti tensioni politico-sociali della Francia di fine '800, unite ad una crescita economica
contrassegnata da forti contraddizioni interne germogliarono attraverso Durkheim (1858-1917) nel
pensiero della scuola francese.
La caratteristica principale della metodologia della scuola sociologica francese fu quella di
considerare i fenomeni sociali (dalla famiglia alla parentela, dalla religione all'economia) come
"cose" aventi una vita propria, la cui esistenza sarebbe stata garantita indipendentemente
dall'apporto delle singole coscienze, e capaci, per questo, di esercitare una pressione costante sugli
individui del gruppo.
L'intera gamma dei fatti era da studiare con l'ausilio del metodo dell'osservazione empirica, al fine
di garantire scientificità ad ogni fase dello studio.
La società non doveva quindi essere considerata come la semplice risultante delle singole coscienze,
quanto rappresentare una sintesi operata dalla loro fusione.
L'individuo è un prodotto della società, e non viceversa, perché questa è irriducibile dalla somma
dei singoli, e mantiene una vita propria. Ogni azione che si compie in società è, dunque, frutto di
una coscienza che ci è superiore, e dalla quale dipendiamo.
Nota: Mauss (1872-1950), padre fondatore dell'etnologia francese, studierà il diverso modo che
hanno le società eschimesi di strutturarsi sul territorio a seconda delle differenti stagioni dell'anno,
viste in stretta dipendenza con l'organizzazione delle attività economiche.
L'antropologia marxista
Fu un fenomeno prevalentemente francese, sviluppatosi negli anni '60 in concomitanza al processo
di destalinizzazione dell'Unione Sovietica, con il rilancio del marxismo sul piano ideologico e
politico, con la situazione coloniale e con i movimenti di liberazione dei paesi del terzo mondo.
L'antropologia marxista è stata influenzata in maniera decisiva dalla rilettura del Capitale di Marx
operata dal filosofo francese Althusser (1966).
Su queste basi, gli antropologi marxisti cercano di utilizzare per i sistemi non capitalistici i metodi
di analisi che Marx aveva usato nell'analisi del capitalismo.
Nel loro complesso questi studi hanno sottolineato come il lavoro sia fondato non solo sullo
sfruttamento di una classe da parte di un'altra, ma anche su quello fra i sessi all'interno dell'unità
domestica o fra i gruppi d'età nella società più ampia: sfruttamento legittimato dal sistema di
proprietà e da quelli politico, di parentela e religioso.
Le prospettive dell'antropologia marxista sono particolarmente significative nello studio della
stratificazione sociale, dell'interrelazione fra attività economica e struttura sociale, nell'analisi della
situazione coloniale e neo-coloniale. Essa permette inoltre di inserire le società tradizionali nel
quadro economico e politico caratterizzato dall'espansione del modo di produzione capitalistico.
Il declino della corrente marxista è andato accentuandosi nel corso degli anni '80, a causa di una
serie di congiunture storico-sociali. In particolare, il crollo dei paesi nati dalle fondamenta di
un'ideologia marxista della società, cosi come il declino "storico" del marxismo come ideologia,
hanno sicuramente giocato un ruolo importante.
Ancor oggi, tuttavia, in un'era dominata dalla volontà globalizzatrice dei paesi occidentali, specie
nella sua accezione politico-economica, gli aspetti teorici dell'antropologia marxista possono aiutare
lo studioso a comprendere, e spiegare, le dinamiche di contatto tra sistemi economici differenti, cosi
come possono stimolare un'attenta analisi riguardo le caratteristiche di tale contatti, cercando di
mettere in evidenza, laddove possibile, le contraddizioni derivanti.
Nota: In Italia l'antropologia marxista è stata influenzata dall'opera di Gramsci.
IL Funzionalismo
Il funzionalismo nasce in Gran Bretagna tra il 1930 e il 1950.
Se gli studiosi che si erano occupati di popolazioni "primitive" basandosi esclusivamente su dati di
seconda e terza mano, da Malinowski (1884-1942) in poi la parte riguardante la ricerca sul campo
verrà pensata come momento indispensabile ad una successiva analisi dei dati raccolti.
All'interno della società, la famiglia elementare, ossia il gruppo composto da madre, padre e figli,
assumeva un ruolo decisivo per quanto riguardava il funzionamento stesso del gruppo.
In essa, infatti, scrive Malinowski, avviene sia la riproduzione biologica che sociale, intesa come
momento di trasmissione della cultura tra generazioni successive, finendo per rappresentare
l'istituto culturale fondamentale alla continuazione della società.
Lo Strutturalismo
Corrente di pensiero sviluppatasi a partire dagli anni '50 grazie alle intuizioni di Lèvi-Strauss
(1908).
Lo strutturalismo può essere considerato come una "filosofia di carattere antropologico", che tenta
di dar conto del reale utilizzando idee e principi teorici provenienti da ambiti di sapere eterogenei,
organizzati all'interno di un campo esperenziale non sempre sottoponibile a verifica sperimentale.
Con la nascita dello strutturalismo, si intese creare un ponte metodologico in grado di mettere a
confronto culture diverse, facendole incontrare, e rendendole in questo modo funzionanti come
semplici variabili di temi universali costanti, nella dimensione sottostante lo spirito umano,
l'inconscio.
Lo strutturalismo è la fusione di idee e stimoli provenienti da altri ambiti conoscitivi, tra cui la
sociologia di Durkheim, la psicoanalisi di Jung, la linguistica strutturale di Jakobson e Bogatirèv.
Possiamo considerare un precursore dell'analisi strutturale l'antropologo americano Morgan, il
quale, analizzando i termini di parentela e comparandoli con altre terminologie di parentela,
individua quello che viene chiamato un sistema, del quale indica i principi generali esistenti a
seconda dei diversi contesti.
Per Lèvi-Strauss, ad esempio, l'universalità della proibizione dell'incesto diveniva comprensibile se
la si metteva in rapporto al concetto di reciprocità. Privarsi delle proprie donne per aprire un canale
comunicativo con altri gruppi.
L'analisi strutturalista tende ad andare oltre i specifici ambiti sociali, per ritrovare quelle categorie
universali presenti nella mente umana. Le differenze culturali vanno lette come variabili di temi
costanti, puntando su di una natura umana sempre uguale a se stessa, non soggetta alle intemperie
storiche e culturali.
Predominio degli studi americani
Indirizzo antropologico sviluppatosi negli anni '40 negli Stati Uniti, riprende la prospettiva più
generale dell'Evoluzionismo del XIX secolo sfumandola in senso multilineare.
Da un lato spiega le trasformazioni sociali con un'unica legge di causale direttamente proporzionale
allo sfruttamento dell'energia esistente nell'ambiente e all'efficienza dei mezzi per riprodurla
(White). Dall'altro fa propria la teoria ecologico-culturale, fondata sull'articolazione dei processi di
di adattamento all'ambiente, che considera l'evoluzione secondo fasi di sviluppo non
necessariamente parallele in tutti i campi della vita sociale e culturale (Stewart).
Rifacendosi al concetto di livelli di integrazione socio-culturale, sottolinea la natura multilineare
dell'evoluzione, identificandone i livelli attraverso la misurazione del graduale aumento di controllo
della complessità, in analogia con l'evoluzione biologica.
Mira a scoprire le leggi e le regolarità del cambiamento culturale, organizzando l'evoluzione attorno
a modelli paralleli di sviluppo, che riflettono le specifiche strategie adattive appropriate a differenti
condizioni ambientali.
Con Sahlins (1968) e Service (1958, 1962, 1966) da una parte, e Fried (1967) ed Harris (1968,
1979) dall'altra, le università americane del Michigan e della Columbia hanno visto prevalere questa
tendenza.
Sahlins, partendo dall'idea di White, secondo cui l'evoluzione dei sistemi socio-culturali può essere
vista come un movimento che si evolve in funzione diretta della quantità di energia sfruttata e
utilizzata pro-capite per anno, considerò tale movimento sotto due aspetti.
Il primo (evoluzione specifica) sostiene che la cultura è sottoposta ad un processo di
diversificazione progressiva, risultante nelle singole culture.
Il secondo (evoluzione generale) consisterebbe nel passaggio da forme più semplici di
organizzazione socio-culturale a forme più complesse, corrispondenti a livelli più efficaci di
trasformazione delle risorse naturali in "energia culturale".
Service, a sua volta, utilizzò il concetto di livelli di integrazione socio-culturale di Stewart, per
designare i gradi di complessità crescente caratterizzanti l'organizzazione delle società umane.
Identificò inoltre i livelli di integrazione con gli stadi di una sequenza di sviluppo universale e,
elaborando una concezione che ha standardizzato la terminologia antropologica, istituì la
classificazione evoluzionistica che distingue i tipi di società in BANDA, TRIBU', DOMINIO e
STATO.
Harris elaborò un modello evoluzionistico, coniugando nel suo approccio materialista e nomotetico
(il materialismo culturale) il determinismo culturale di White e l'attenzione ai fatti ambientali di
Stewart con un'interpretazione tecno-economicista e deterministica del materialismo storico.
L’Antropologia della parentela
Limitatamente in ambito antropologico, è grazie all'opera di Morgan (1818-1881), antropologo
americano, che gli istituti della parentela e della discendenza sono definitivamente entrati a far parte
delle problematiche di interesse scientifico.
Ogni individuo interagisce all'interno del proprio gruppo, la cui coesione viene garantita, e
mantenuta salda, dalla comune discendenza. Tutti gli individui legati da questo vincolo inossidabile
formano ciò che viene definito un gruppo parentale.
Per discendenza intendiamo una conseguenza naturale della procreazione, mentre per parentela il
riconoscimento sociale e culturale della discendenza.
Quando pensiamo ad un nostro parente più o meno lontano, e consideriamo tale legame come
naturale, cadiamo in un vizio di forma, perché, in realtà, è tutto frutto del processo di
inculturazione, che fissa regole e modi comportamentali, imponendoceli attraverso lo strumento
pedagogico dell'insegnamento.
Forme assunte dai gruppi legati da relazioni parentali (in ordine di ampiezza numerica crescente):
lignaggio
caratterizzato dal fatto di essere composto da un numero limitato di individui, i quali si troveranno
tutti imparentati tra di loro attraverso un antenato comune di riferimento. La bassa densità
demografica permetterà una ricostruzione puntuale di tutte le parentele esistenti, in modo che
chiunque potrà rapportarsi all'altro conoscendo esattamente il tipo di legame che li tiene uniti.
clan
è un raggruppamento composto da un numero maggiore di individui, e la distanza genealogica, che
li separa dall'antenato comune, sarà tanto profonda da non permettere riscontri puntuali per quanto
riguarda i vari gradi di parentela che legano i membri del gruppo. Ciò vuol dire, sostanzialmente,
che gli individui si sentiranno parenti tra di loro, ma sarà un tipo di parentela "flessibile", in modo
che tutti si definiranno, ad esempio, tra loro fratelli, e tutti i collaterali (quindi gli zii, sia essi maschi
che femmine) verranno considerati, indistintamente, padri o madri. All'interno di un clan, inoltre, la
parentela potrà essere di tipo fittizio, ed il legame costruito culturalmente (è il caso, ad esempio, di
due membri che diventeranno fratelli dopo aver unito ritualmente il loro sangue).
A livello teorico, possiamo considerare il clan come un gruppo formato da uno o più lignaggi, dove
vigerà, di solito, il divieto di trovarsi un partner all'interno del proprio clan, facendo si che si creino
rapporti con altri clan finalizzati allo scambio di mogli e mariti.
IL MATRIMONIO
L'istituto del matrimonio un fattore d'integrazione, avente funzione regolatrice all'interno della
società.
"Il matrimonio è quell'unione tra uomo e donna che fa si che la prole nata da lei venga considerata
prole di entrambi, e che, al contempo, stabilisce la creazione di vincoli riconosciuti tra i gruppi
d'appartenenza dell'uno e dell'altra".
Capacità del matrimonio di funzionare come meccanismo sociale di:
- Filiazione (antropologia culturale americana).
Attraverso il matrimonio, il ruolo del maschio si trasforma da quello di genitor in quello di pater,
con tutte le conseguenze che un atto del genere comporta. La prole nata dal connubio sarà infatti
considerata di entrambi, cosicché, per diritto di successione, lo status sociale, il nome e le eventuali
ricchezze, passeranno da padre in figlio. Essendo un atto al contempo sacro e giuridico, il
matrimonio, almeno nella sua accezione formale, prescinde da qualsiasi tipo di sentimento. Ciò vuol
dire che un matrimonio, al di la del fatto ovvio che l'amore potrà certamente contribuire ad una
migliore riuscita, per esistere non avrà bisogno di un coinvolgimento affettivo per rendere
ugualmente valide le richieste di successione alla morte dell'uno o dell'altro. E' ugualmente ovvio,
infatti, che un sentimento profondo, sulla cui base due individui decideranno di organizzare
un'esistenza in comune, sarà valido anche in assenza dell'istituto giuridico del matrimonio.
Importante è sottolineare la specificità della procreazione che risiede dietro l'esistenza del
matrimonio, tanto che, presso diverse società, la mancanza di prole può essere motivo sufficiente
per un'eventuale rottura del connubio.
- Alleanza (antropologia sociale inglese).
L'intera storia delle società umane, senza esclusioni di sorta, ci conferma che il matrimonio è stato
utilizzato spesso come forma di alleanza tra gruppi diversi, funzionando come un'istituzione
culturale con finalità sociali. Attraverso lo scambio di donne, infatti, gruppi differenti possono
instaurare forme di collaborazione, crearne di nuove, o sedare tensioni conflittuali, quando queste,
magari, si fanno troppo ricorrenti. Nella storia della cultura occidentale sono noti i matrimoni tra
gruppi di élite al potere, al fine di instaurare importanti forme di alleanze politiche, cosi come lo
sono i matrimoni "chiusi" delle monarchie ancor oggi esistenti. Senza andare troppo lontano, non si
può negare che in tutte le forme di accettazione di un matrimonio da parte delle famiglie, entrano in
gioco fattori che nulla hanno a che vedere con il sentimento dei due contraenti, ma che rientrano
all'interno di considerazioni di tipo sociale ed economico. Il benestare dei rispettivi genitori avverrà,
infatti, con più accondiscendenza se il futuro genero apparterrà ad una classe sociale più elevata, o
se comunque occuperà un posto di rilievo all'interno del sistema lavorativo.
Passando ad una sommaria descrizione dei tipi di matrimoni esistenti, la differenza base osservata
sarà tra i monogamici e i poligamici, ossia la possibilità di acquisire, nel primo caso, un solo
partner, o, come succede nei poligamici, di averne in numero maggiore. Questi ultimi si
suddivideranno, ulteriormente, in poliginici e poliandrici, a seconda se sarà l'uomo ad avere la
possibilità di sposare più donne, o, se invece, sarà la donna a potersi legare a più uomini
contemporaneamente.
La residenza, infine, una volta contratto il matrimonio, potrà essere virilocale, se la donna andrà a
vivere nel gruppo del marito, uxorilocale, se sarà, invece, il marito a doversi spostare nel gruppo
parentale della moglie, o neo locale, se, infine, la nuova famiglia deciderà di andare a vivere al di
fuori dei rispettivi gruppi d'appartenenza.
L’antropologia Interpretativa
Dall’inizio del 1970 se da un verso si intensificano gli studi antropologici, dall’altro si verifica una
crisi teorica, quella che è stata chiamata “crisi della rappresentazione etnografica”: si indaga sulla
affidabilità degli informatori e sulla capacità dell’etnologo di comprendere le culture indigene.
L’antropologia interpretativa, rappresentata da Clifford Geertz, propone di interpretare le culture
come fossero dei “testi”, ipotesi che impone la necessità di una “traduzione”; in questo senso
traduzione e interpretazione sono le due modalità per comprendere le culture altre e diverse.
Come esemplificazione Geertz propone una interpretazione del concetto di persona in tre società
diverse (Giava, Bali, Marocco), considerando la nozione dal punto di vista dei nativi.
A Giava il concetto di persona corrisponde a un’armonia generalizzata del cosmo, per cui ogni
singolo essere è collocato in un punto preciso entro un disegno armonico universale, nel cui ambito
il re occupa il posto più elevato, specchio e immagine della potenza degli Dei.
A Bali il concetto di persona si collega piuttosto alla teatralità della vita rituale, tipicamente
balinese, nella quale ogni persona recita una parte, è un personaggio del grande teatro del mondo.
In Marocco infine la persona è determinata dalla sua posizione topologica, all’interno dello spazio
sociale, che è strutturato a cerchi concentrici: la famiglia, la famiglia estesa, il villaggio, il paese e
l’intero mondo. Il concetto di persona in Marocco è un concetto spaziale e relazionale (Geertz,
1988, 66).
Attualmente la dimensione interpretativa ha postulato il metodo della “negoziazione dei significati”:
l’antropologo scende a patti con il suo gruppo di ricerca e con gli informatori, interpretando i
significati dei fenomeni culturali in base a una transazione, in cui il punto di vista “interno”, quello
dei nativi, viene confrontato esplicitamente con il punto di vista “esterno”, quello dell’antropologo,
che implicitamente opera con metodo comparativo.
Attualmente la situazione nel mondo implica di interpretare i fenomeni di sincretismo culturale.
Oggi le comunità sono in contatto reciproco, la civiltà occidentale ha invaso in maniera pervasiva
l’intero pianeta, sconvolgendo gli equilibri sia culturali che ecologici, e imponendo una serie di
situazioni che hanno scardinato le strutture socioculturali originarie dei popoli di interesse
etnologico.
Si può portare ad esempio ciò che accadde tra i Tikopia nelle Isole Salomone del Pacifico.
L’introduzione della moneta provocò non solo un’alterazione del sistema economico ma anche altri
mutamenti. Cambiarono le coltivazioni che vennero integrate con quelle della patata americana e
della tapioca. L’incremento demografico e la pressione sulle risorse alimentari indebolirono i
legami di parentela, “non vi era più tra le famiglie nucleari che costituivano le unità economiche
della famiglia estesa la cooperazione che esisteva prima, in molti casi la terra era stata divisa fra
varie famiglie nucleari, e i diritti sulla terra erano appannaggio di queste o addirittura, cosa che non
si era mai verificata precedentemente, di singoli individui. I membri delle famiglie estese non erano
più disposti a spartire i beni, soprattutto il denaro, e altri beni acquisiti attraverso il lavoro.
L’isola di Tikopia vicino alle Salomone fu così completamente trasformata dall’impatto con le
modalità culturali dei bianchi” (Ember, 1998, 367). Un altro mutamento radicale è stato quello della
fondazione degli Stati nazionali sulla scia delle colonie, che hanno inglobato comunità ed etnie a
volte tra loro estremamente disomogenee.
Oggi non è più possibile studiare le comunità native nella loro integrità. Il sincretismo culturale è
l’elemento dominante. Come sostiene Amselle si è passati dall’attività della “ragione
antropologica” all’attività delle “logiche meticce”, che tengono conto delle problematiche
interculturali e transculturali ormai dominanti nel nostro pianeta.
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