Essere e sentirsi madri. Maternità e affido nel

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Essere e sentirsi madri.
Maternità e affido nel Salento
Tenia Favale
1. Desiderare un bambino
La nascita di un figlio rappresenta un progetto inscritto nel tessuto
biologico di un uomo e di una donna. Mentre nei secoli passati sessualità e procreazione erano quasi sempre inevitabilmente legate, negli ultimi
decenni la diffusione delle pratiche contraccettive, la legalizzazione dell'aborto, le nuove tecnologie di fecondazione assistita hanno creato nuovi scenari in cui la sessualità femminile è sganciata dalla maternità, non
è collegata necessariamente all'atto sessuale e meno ancora all'istituzione matrimoniale. Ciò dimostra quanto sia rilevante il tempo storico, le
ideologie sull'identità e i ruoli maschili e femminili della società in cui
si vive.
La scelta di diventare genitori è stata spiegata in vari modi: alcuni studi hanno fatto riferimento all'istinto materno considerando la maternità
come fattore innato; altri interpretano il desiderio di avere un figlio come frutto di un bisogno di sopravvivenza del patrimonio genetico.
La maternità contribuisce all'assegnazione alla donna di un ruolo e di
una funzione sociale definiti confermando l'identità femminile e lo stato di adulta della donna'.
L'essere madre è tra gli eventi fondamentali attorno a cui si organizza la vita sociale, culturale e religiosa di una comunità.
Nell' antichità era credenza comune che la possibilità di procreare era
privilegio esclusivo della donna, mentre non appariva visibile né comprensibile l'intervento dell' uomo 2 .
i Cfr. A. SCOPERSI, P. VITERBORI, Psicologia della maternità, Roma, Carocci,
2003.
2 Un mito orfico narra che una dea, la Notte, abbia generato il mondo intero deponendo un immenso uovo d'argento nel grembo dell'oscurità. Da esso ebbe origine la prima coppia: Urano e Gea, dalla cui unione nacquero Crono e Rea, che a lo-
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Ormai il desiderio di maternità, il bambino sognato e atteso nel corpo e nella mente di ogni donna è il punto di arrivo e di partenza di un
processo evolutivo dell'essere donna. Il bambino reale, frutto di una relazione sessuale, è l'ultima tappa di questa evoluzione. Il riconoscimento è la realizzazione di ciò che è stato sempre sognato, realizzato nell'inconscio.
Comunemente si pensa che una famiglia sia veramente tale quando ci
sono i figli. Ancora oggi, in alcune culture, il non avere figli è una causa sufficiente allo scioglimento del matrimonio. Anche nella cultura e
dottrina cattolica, che tanta influenza ha sulle famiglie italiane, il matrimonio è considerato strumentale alla procreazione 3 .
Mentre prima il matrimonio, l'uscita dalla propria famiglia, era considerato il passaggio all'età adulta, oggi questo passaggio è rappresentato dalla nascita di un figlio. Ciò emerge anche da una ricerca curata da
Anna Oppo, Simonetta Piccone Stella e Amalia Signorelli 4 svolta in sei
città del mezzogiorno (Napoli, Salerno, Cosenza, Lecce, Messina e Catania). Per le donne intervistate la maternità è momento cardine per il
passaggio alla vita adulta, oggetto di progettualità 5 .
Con essa si assume un nuovo ruolo: se con il matrimonio si passa
dall'essere figlio all'essere moglie e marito, con la nascita di un figlio si
assume il ruolo, riconosciuto dalla società, di genitore. Tale cambio di
ruolo viene riconosciuto anche all'interno della coppia, infatti il coniuge
non è più visto solo come partner ma come padre o madre del proprio figlio.
Le ragioni per avere un figlio sono diverse: per amore dei bambini,
per creare una vera famiglia, per amore del coniuge, per dare un senso
alla vita. Si corre il rischio, pertanto, che il bambino diventi un bambino
ro volta dettero alla luce Zeus, il padre di tutti gli dei. Un altro mito tramandato da
Esiodo racconta che Gaia o Gea, la terra, emersa dal caos originario, partorì Urano,
il cielo stellato, con il quale si accoppiò e costituì la coppia originale.
3 Cfr. C. SARACENO, Sociologia della famiglia, Bologna, Il Mulino, 2001.
4 Cfr. A. OPPO, S. PICCONE STELLA, A. SIGNORELLI (a cura di), Maternità, identità, scelte, Napoli, Liguori, 2000.
5 Cfr. M. MANCARELLA, Donne a Lecce: i percorsi di un'emancipazione difficile, in A. OPPO, S. PICCONE STELLA, A. SIGNORELLI (a cura di), Maternità, identità,
scelte, Napoli, Liguori, 2000.
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Tonfa Favale
per se stessi, un bambino che verrà considerato proprietà privata, privo
di quella autonomia alla quale ha diritto.
Il senso comune afferma che: "desiderare un bambino è cosa naturale". Perciò la nostra società genera desideri che devono essere soddisfatti. Siamo portati a considerare la mancanza di figli come mancanza di
desiderio. La Champenois Laroche infatti scrive: "Il fatto di essere giudicati dagli altri come persone che non vogliono avere bambini può anche accentuare il carattere psicologico di certe sterilità. Si tratta di un fardello tanto più pesante da portare per coloro che tacciono il loro dolore
di non essere genitori" 6 .
L'esigenza di un figlio, come sosteneva Freud, ha a che fare con il bisogno narcisistico di ogni essere umano e con il combattere la morte sia
sul piano della continuità biologica che culturale, perciò si può intendere un figlio come la sintesi di tutti i valori consci ed inconsci interiorizzati nel corso della vita e della coppia.
Donatella Bramanti afferma che il desiderio di avere un figlio è legato al riconoscimento del valore della vita e della storia familiare, d'altra
parte, il figlio rimanda al genitore una positiva immagine di sé e del proprio valore 7 .
Tale affermazione è avvalorata da Bosi e Guidi i quali sostengono: "È
nella natura della donna generare, tanto che la sessualità femminile è
spesso giustificata solo in funzione della maternità; per l'uomo ogni paternità è una prova tangibile di virilità e potenza sessuale; per tutti un figlio è rassicurazione di continuare nel tempo, riducendo l'angoscia di
morte; nella coppia un bambino che nasce è, per ciascuno dei due, la testimonianza visibile dell'altro" 8 .
Quando non si realizza il desiderio di un figlio esso si trasforma in
sofferenza che spesso porta la coppia a volere un figlio ad ogni costo.
Il problema della sterilità è stata una realtà sempre presente nella storia dell'umanità e la mancanza di un figlio, l'incapacità alla procreazio-
6 F. CHAMPENOIS LA ROCHE,
Vorrei un figlio, Milano, Edizione Paoline, 1994, p.
46.
Cfr. D. BRAMANTI, Il significato socioculturale, in Adozioni internazionali sul
territorio e sui servizi, Istituto degli Innocenti, Collana della Commissione per le
adozioni internazionali, 2001.
8 S. Bosi, D. GUIDI, Guida all'adozione, Milano, Mondadori, 1992. p. 10.
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ne, era vista come un fallimento, una colpa o addirittura una punizione
divina, come testimonia l'Antico Testamento. La donna è stata sempre
garante della vita e della continuazione della discendenza e l'essere sterile era considerata come una situazione tipicamente femminile.
L'assicurarsi la discendenza era un valore così assoluto da legittimare
l'accoppiamento con Un'altra donna, come confermano gli episodi biblici di Sara ed Abramo e di Giacobbe e Rachele`'.
Oggi è stato accertato che la sterilità non è una condizione tipicamente femminile ma anche l'uomo ne può essere portatore, anche se ancora la sterilità maschile viene presa poco in considerazione.
Molte coppie iniziano a cercare un figlio verso i trent'anni. al termini degli studi e dopo aver raggiunto una sicurezza economica ed una stabilità sociale. Rimane pertanto inutilizzato il periodo di maggiore fertilità che va dai 20 a 25 anni.
Anche se la sterilità non è più considerata una menomazione, ancora
oggi, in alcuni strati sociali, essa è vissuta come un fallimento. Grazie ai
metodi anticoncezionali si decide quando avere un figlio, ma non si accettano ritardi quando si stabilisce di averne uno. 10
L'impossibilità di avere dei figli naturali colpisce una percentuale elevata di coppie. La moderna medicina riconosce che, oltre alle cause organiche che portano alla sterilità, i fattori psicologici possono ostacolare la procreazione all'interno della coppia, tanto che, spesso, le diagnosi
di infertilità parlano di cause legate allo stress o a fattori psico-emotivi''.
La mancata maternità, oltre a rompere quella catena che assicura la
discendenza, provoca, molto spesso, problemi di tipo psicologico. L'incapacità di procreazione porta con sé la sofferenza del fallimento e la vi-
ta di coppia è scandita da continue visite mediche, quasi mai da consultazioni psicologiche, che accentuano ancora di più il problema.
La condizione di infertilità di una coppia porta i suoi membri a vivere una condizione di disagio psicologico, sociale e relazionale tra le più
complesse, legate, spesso, al vissuto familiare ed individuale del singolo individuo.
Cfr. M. FARRI MONACO, Il figlio del desiderio, Torino, Bollati Boringhieri,
1994.
Io Cfr F. TONIZZO, D. Micucci, Adozione. Perchè e come, Torino, Utet, 1994.
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La soluzione a questo problema sembra, in un primo momento, essere la fecondazione artificiale.
Nelle società tradizionali il diventare madre era un dovere sociale al
quale nessuna donna si poteva sottrarre. Oggi questo dovere è stato trasformato in diritto da soddisfare ad ogni costo. Con la "rivoluzione contraccetiva" lo stato di infertilità diviene la normalità ed è necessario agire su questa per produrre fertilità: per la prima volta la donna è in grado
di controllare la scelta di maternità, dando rilievo a questa come scelta
individuale.
La separazione tra riproduzione e sessualità ha portato a due comportamenti contraddittori: da una parte la riduzione delle nascite e dall'altra la ricerca di una genitorialità a tutti i costi 12 .
Il bisogno di essere genitori biologici induce molte coppie a ricorrere alla fecondazione artificiale come soluzione alla loro situazione di infertilità. In una società dove la tecnologia fa da padrona, dove tutto è
possibile, una coppia si sente quasi "costretta" a dover tentare tutto. Una
procreazione al di fuori della sessualità finisce per modificare i ruoli all'interno della coppia poiché entrambe o uno dei due genitori potrebbe
non essere genitore biologico del nascituro.
Come afferma la Bramanti 13 , negli ultimi anni, va diffondendosi l'emergere di differenti forme di genitorialità oltre a quella "naturale": assistita, quando si interviene con la fecondazione artificiale; ricostruita,
quando ci si risposa dopo un divorzio/separazione o una vedovanza; sociale, riferita alle forme di adozione nazionale ed internazionale o affidamento eterofamiliarem; a distanza, quando una coppia aiuta material-
Il Cfr. A. ZANARDI, Il colloquio nell'adozione, Milano, Franco Angeli, 1999.
12 Cfr. M. MANCARELLA (a cura di), Nuove famiglie nuove relazioni, Lecce, Pensa Multimedia, 2001.
13 Cfr. D. BRAMANTI, Il significato socioculturale, in Adozioni internazionali sul
territorio e sui servizi, Istituto degli Innocenti, Collana della Commissione per le
adozioni internazionali, 2001.
14 Si inizia a parlare di adozione intorno all'anno 2000 a.C. nel codice di Hammurabi. Nell'Antico Testamento si fa cenno ad alcuni casi di "adozione": nella genesi Giacobbe prende con sé Manasse ed Efraim; nell'Esodo, Mosè viene trovato
in una cesta dalla figlia del Faraone; Ester viene presa in casa da Mardocheo e "fu
trattata come se fosse sua figlia". Ma il suo vero sviluppo venne con il Diritto Ro-
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mente uno o più bambini consentendo loro di vivere nel loro Paese d'origine.
La scelta di adottare un bambino è, solitamente, l'ultima tappa di un
lungo percorso doloroso, iniziato con la scoperta di infertilità e il ricorso, per la maggior parte dei casi, alla fecondazione assistita, che una coppia si trova a dover affrontare.
Il fallimento procreativo rappresenta un'esperienza critica da cui la
coppia riparte verso la scelta adottiva. Accettare la propria sterilità, accettare la mancanza di un figlio naturale o l'impossibilità a portare a termine una gravidanza rappresenta il primo passo verso il cambiamento.
Questo processo viene vissuto come un vero e proprio lutto, come la reazione emotiva di fronte alla perdita di una persona cara. L'impossibilità
procreativa si presenta come la morte di una parte di sé, come il fallimento del progetto di continuità generazionale inscritto nel codice genetico.
La scelta di adottare un bambino giunge alla fine di un lungo travaglio che porta al superamento del lutto.
Quando l'adozione si presenta come una strada troppo difficile da
percorrere, magari perché la coppia risulta non idonea, un'altra strada
che si segue per diventare finalmente "mamma", anche se per un periodo di tempo determinato, è l'affido eterofamiliare.
Il ricorso all'adozione, e ancor di più all'affido eterofamiliare, ha una
duplice connotazione: per colmare quel vuoto di un figlio che non arriva o per "salvare" un bambino da un amaro destino.
mano. L' Adoptio era uno strumento per procurare un erede al patrimonio e al rango familiare infatti possiamo ricordare che nell'anno 4 d.C. Tiberio fu adottato da
Cesare Augusto con il nome di Tiberio Giulio Cesare, e lo stesso avvenne per Nerone che fu adottato nell'anno 50 d. C. dall'imperatore Claudio con il nome di Nerone Claudio Cesare. Il Cristianesimo lottò anche contro le tradizioni delle popolazioni barbare le quali abolivano l'aborto e difendevano la gravidanza illegittima, ma
destinavano alla schiavitù il figlio adulterino; pertanto Costantino, primo imperatore cristiano, varò alcune leggi contro la vendita di trovatelli e figli illegittimi, anche
se ciò si conciliava male con i dogmi della Chiesa. Ma l'adozione per un periodo di
tempo fu abolita da Napoleone, il quale l'aveva proibita perché credeva che adottare un bambino fosse pericoloso per l'integrità della legittimità familiare.
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2. L'affido familiare come maternità sociale
È possibile affermare che le rapide spinte alla modernizzazione, che
hanno attraversato la famiglia in Italia, abbiano portato alla ridefinizione di una rinnovata dipendenza dei nuovi nati dai propri genitori, che
rappresentano gli unici adulti legittimi ad educare ed allevare i figli.
L'affidamento eterofamiliare, così come ci viene proposto dalla nostra legislazione, costituisce un esempio di come si possa realizzare un
intreccio di relazioni che, coinvolgendo individui, sistemi familiari e sistema pubblico, può dare origine ad una realtà di aiuto e sostegno.
La tendenza attuale è quella di dare una valutazione più mediata dell'istituto dell'affido sottolineando che attualmente sia al Sud che al Nord
in sede di applicazioni della legge n. 184/83 e successiva modifica (legge 149/01) non sono stati evitati i seguenti rischi, entrambi gravi e contrari all'interesse del minore: fare dell'istituto familiare una sorta di adozione camuffata utilizzando tale provvedimento come espediente per
procrastinare nel tempo decisioni drastiche relative a dichiarare lo stato
di adottabilità del minore e quindi di allontanarlo definitivamente da legami familiari inesistenti e dannosi; non effettuare progetti chiari specifici per ogni caso di affido selezionando le coppie affidatarie, e attuando
abbinamenti tra minore, sua famiglia d'origine e famiglia affidataria in
base alle reciproche caratteristiche, ai bisogni del minore e alle possibilità di interazione non conflittuali tra le due famiglie; non definire con
chiarezza le ipotesi relative alla durata dell'affido e agli interventi da attuare per il rientro del bambino nella famiglia di origine.
Molti si domandano cosa possa indurre una coppia sposata, ed in particolare una donna, con e senza figli, a dichiararsi disponibili all'affidamento di un minore, magari già grande, destinato a tornare nella propria
famiglia d'origine dopo aver ricevuto cure ed attenzioni dalla famiglia
affidataria.
La motivazione che spinge una famiglia a occuparsi di un bambino è
ciò che semplicemente viene definito amore, un desiderio di "dare" e
"darsi", di "condividere", di "aprirsi agli altri".
Nella nostra società le famiglie nucleari tendono ad avere sempre meno
figli e in un tempo concentrato e si determina pertanto un maggiore spazio
per la solidarietà nei confronti dei più deboli, in particolare per i minori 15 .
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Cfr. F. IcHINo, M. ZEVOLA, Affido familiare e adozione, Milano, Hoepli, 1993.
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Molto spesso si decide di prendere in affidamento un bambino per
colmare il senso di solitudine che si manifesta durante la vita di una donna che ha deciso di rimanere single, (a volte il Tribunale dei Minorenni
può decidere di affidare il minore ad un single) come nel caso della signora intervistata che ad un certo punto della sua vita, non essendo sposata, ha sentito il bisogno di qualcosa in più e ha scelto di intraprendere
il cammino dell'affido familiare ripetendo l'esperienza più volte: "Ad un
certo punto della mia vita, essendo non sposata, non sapevo cosa fare, e
frequentando un gruppo di preghiera, ho iniziato ad avere in casa alcune ragazze universitarie senza prendermi niente, ma sentivo che avevo
bisogno di qualcosa in più. Una mia amica, infatti, mi chiamò e mi disse che c'era un ragazzo, secondo lei handicappato, che nessuno voleva
e mi chiese se lo potevo prendere io. Con il mio cammino di fede io pensai che fosse un'occasione che Dio mi mandava perché gli potessi essere utile" 16
.
Ma dalle interviste fatte a coppie con o senza figli emerge che le motivazioni che portano una coppia all'affido possono essere così riassunte
• La coppia è senza figli e, dopo aver atteso per anni un bambino in
adozione, vede nell'affido un ripiego per ottenere un figlio.
• la coppia pensa a questi bambini come più sfortunati di coloro che
hanno un'adottabilità aperta e pertanto come più meritevoli di aiuto;
• coppie benestanti, già con figli propri, pensano di poter compiere un
servizio sociale e dare la possibilità ai loro figli di conoscere da vicino questa realtà difficile;
• altre volte, un figlio naturale è morto da poco, lasciando un gran vuoto;
• può esserci un marito troppo occupato dal lavoro e una moglie che
ricerca uno spazio per sé, riproponendosi in un ruolo materno;
• i figli nella famiglia possono essere già adulti, magari sposati, e pertanto i coniugi si sentono improvvisamente soli ed inutili
I dati esposti sono il risultato di una ricerca da me effettuata in occasione della tesi di laurea condotta in area salentina, e in particolare nei comuni di Monteroni e di Lequile, in provincia di Lecce. Cfr. T. FAVALE, Famiglie e minori nell'esperienza dell'affido, Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di
Lecce, a. a. 1999/2000.
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