Livada de vişini - Il giardino dei ciliegi

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Tozzi
febbraio 25, 2016
Roberto Bacci, alla sua nuova collaborazione col Teatro
Nazionale rumeno di Cluj-Napoca, dà vita a uno spettacolo
straordinario, sorretto da interpretazioni intense,
tremendamente credibili. Sensibile recettore della lezione di
Grotowski per un teatro povero, il regista toscano riesce a
restituire l’ambivalenza che ha connotato il testo originario fin dalla sua
prima apparizione, pensato da Cechov sotto forma di commedia e messo
in scena da Stanislavskij come una tragedia.
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È un soave scambio culturale, privo di alcun medium tra attore e
spettatore, questo Livada de vişini – Il giardino dei ciliegi,
un’autentica esperienza totale in cui, per il continuo confronto, il teatro
illuminato e il respiro di ogni odore cui si fa cenno, si dà prova di una
altissima dignità ed eleganza artistica.
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Sorretto da interpretazioni straordinarie, raggiunge un mirabile equilibrio
interno, che lo salva dai rischi del patetismo o di un’eccessiva
stravaganza. L’intero teatro è abitato, agìto dagli altri: il sipario è già
aperto, durante l’intervallo non viene chiuso, vi è un ponte che, dal palco,
si protende fin quasi all’ingresso. Su di esso gli attori saltano, corrono,
cadono; da esso, alla fine, ripartono. E come dimenticare Ljuba che,
sorretta dal fratello Gaev, balza di poltrona in poltrona fino ad attraversare
l’intera platea o gli attori che, durante l’intervallo, popolano i palchi
laterali?
Tuttavia, proviamo a distrarci dalla messinscena per volgerci all’intreccio.
Ljuba, l’aristocratica proprietaria della tenuta che ospita il giardino dei
ciliegi, è appena tornata da Parigi, assieme alla figlia e a uno stuolo di
governanti e lacchè. Ad attenderla trova il fratello, la figlia adottiva Varja e
il ricco mercante Lopachin, figlio dei servi che erano appartenuti al nonno
di Ljuba e Gaev. Il clima è festoso, sebbene tutti siano al corrente del fatto
che la tenuta sia stata messa all’asta. Subito Lopachin propone di tagliare
il giardino e dividere in lotti la proprietà, così da poterci costruire dei villini.
Mentre alcuni personaggi si affannano per salvare la tenuta, sulla scena si
succedono i mancati amori di Duniasa e Jasa, di Epichodov e Duniasa, di
Lopachin e Varja, infine di Anja e Trofimov. La fenomenologia dell’amore è
desolante e, per personale parere, il vero centro focale dello spettacolo,
quello cui sono rivolte trovate registiche indimenticabili. L’amplesso di
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Duniasa e Jasa dietro una barricata di valigie con l’irruzione di Epichodov
nudo che suona la chitarra e minaccia di uccidersi per le sue disgrazie ne
rappresenta una capace di elevare a perfezione l’adattamento di un testo
già compiuto.
Paradigmatica è poi la figura di Ljuba: quando «il problema,
irrevocabilmente» sta per essere risolto, si abbandona ancora all’amore e
decide di tornare a Parigi. «Lo amo, lo amo… È questa la pietra che ho al
collo e che mi porta sul fondo, ma io amo questa pietra». Ljuba è una
donna che ha rifiutato di accettare la mutata situazione socio-economica
della sua patria e le sue disastrose esperienze sentimentali. A esse ha
sacrificato tutto, lasciandosi derubare del patrimonio, senza rimpianto,
essendo anzi animata da un’affezione sacrale (non a caso liubov’ in russo
significa amore) verso questi uomini depravati.
Una volta conclusa l’asta e la proprietà del giardino dei ciliegi passata a
Lopachin, Ljuba e Gaev si rasserenano, pronti a volgersi verso nuovi
godimenti.
Nonostante la componente sociale sia a fondamento dell’opera, gli accenni
nostalgici alle servitù da una parte e gli appassionati discorsi del
bolscevico ante litteram Trofimov dall’altro, sono situati sullo sfondo, tesi a
rendere con soavità il colore di un’epoca di transizione. Certo, Lopachin è
necessario «come nell’ordine della natura è necessaria la bestia feroce
che mangia tutto ciò che incontra sulla sua strada» e tuttavia anch’egli, al
pari di quei ciliegi abbattuti dalle motoseghe che odorano realmente di
benzina, verrà mangiato da una bestia impietosa.
Per questo l’unica risposta da dare a Epichorov, quando chiede «non riesco
proprio a capire… se vivere o tirarmi un colpo», non potrebbe che essere
«vivi, per amore (liubov’)».
Lo spettacolo è andato in scena
Teatro della Pergola
Via della Pergola, 12/32, Firenze
23 e il 24 febbraio 2016
ore 20:45
Fondazione Teatro della Toscana e Emilia Romagna Teatro
Fondazione presentano
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Livada de vişini – Il giardino dei ciliegi
di Anton Cechov
traduzione Maria Rotar
drammaturgia Stefano Geraci
regia Roberto Bacci
con Ramona Dumitrean, Alexandra Tarce, Anca Hanu, Ionuț Caras,
Sorin Leoveanu, Cristian Grosu, Cǎtǎlin Herlo, Irina Wintze, Radu
Lǎrgeanu, Patricia Brad, Cornel Răileanu, Matei Rotaru, Miron Maxim
musicisti Pusztai Renato Aladar, Albert Gábor Balázs
scene e costumi Adrian Damian
direzione tecnica Doru Bodrea
luci Jenel Moldovan
suono Marius Rusu
assistenti luci Alexandru Corpodean, Mădălina Mânzat
assistente scenografia Florin Călbăjos
coordinatore numeri d’illusionismo Florin Suciu
suggeritrice Ana Maria Moldovan
assistenti alla regia Maria Rotar e Francesco Puleo
produzione del Teatro Nazionale di Cluj-Napoca
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