Pentecoste. Questa domenica ricorre un’altra festa solenne legata alla Pasqua: la Pentecoste. 50 giorni dopo, noi ci troviamo ancora insieme nel nome di Cristo Risorto e chiediamo di rinnovare il dono dello Spirito che è già in noi fin dal giorno del Battesimo. Non una festa di commemorazione, ma una celebrazione che attualizza, nell’oggi della nostra storia, la presenza e la potenza dello Spirito Santo. Vediamo come attraverso le scritture. La preghiera di Cristo Sacerdote. Tutta la vita di Cristo è segnata dalla presenza e dalla potenza dello Spirito. Già dal giorno della annunciazione veniva detto a Maria: “la potenza dello Spirito scenderà su di te. Colui che nascerà sarà santo e chiamato figlio di Dio”. La nascita del Signore, la presentazione al tempio, la sua fanciullezza nascosta a Nazareth e il suo manifestarsi da adolescente nel tempio, sono tutti avvenimenti guidati e sostenuti dallo Spirito. Così come il suo ministero che inizia con la discesa dello Spirito sopra di Lui al Giordano, con quella voce che irraggia dal cielo e il segno della colomba che tutti vedono; prosegue nella sinagoga di Nazareth quando Gesù afferma compiute su di sé le parole di Isaia: “Lo Spirito del Signore è su di me”. Tutti i miracoli avvengono nella potenza dello Spirito che Gesù continua ad invocare come forza della sua stessa vita. Fino alla preghiera del cenacolo. Gesù vive tutta una esistenza segnata dallo Spirito e invoca non solo su di sé ma sui discepoli e sul mondo intero, il dono di amore promesso dal Padre. Come era detto esplicitamente nel vangeli di oggi: “io pregherò il Padre ed Egli manderà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre”. Il primo dono di Gesù asceso al cielo è proprio l’effusione dello Spirito, secondo la sua promesa. “Non vi lascerò orfani, verrò di nuovo a voi”, dice ancora il Signore. Pentecoste è la festa in cui si adempie questa promessa di Dio. Dio non ci lascia soli dopo l’Ascensione di Gesù: lo Spirito Santo continua la sua opera. Su chi viene effuso lo Spirito Santo? Chi ottiene questo dono promesso da Dio? “Se mi amate osserverete i miei comandamenti”, aveva detto il Signore. Possiede il dono dello Spirito chi ama, chi osserva i comandamenti, cioè chi è animato da un desiderio ardente di amare Dio e di amare il prossimo. Lo Spirito, dono di amore, entra nella vita di chi sa spendersi con amore. Il dono di amore, è per chi diventa simile a Dio nell’amore. I doni dello Spirito . Quali sono i doni dello Spirito Santo? Quali i doni che questa preghiera di Gesù accende in noi? Al di là del settenario classico che tutti abbiamo imparato, ci sono due doni che la Scrittura mette particolarmente in luce. 1 Il dono della fede. “Nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito Santo può dire Gesù è anatema, e nessuno può dire Gesù è il Signore, se non sotto l’azione dello Spirito Santo”. Il dono della fede è un dono di Dio! San Paolo, nella seconda lettura era molto chiaro in proposito. Nessuno che si oppone alla fede, alla Chiesa, viene dallo Spirito. Nessuno che riconosce Gesù come Signore della propria storia e della storia del mondo, può farlo se non sotto l’azione dello Spirito. La fede di tutti è dono dello Spirito. Paolo ne è particolarmente convinto e prega perché tutti possano essere colmi dello Spirito Santo per riconoscere Gesù Risorto come Signore della storia. Il secondo dono: i doni personali. San Paolo ci ricorda anche che qualsiasi dono personale viene dallo Spirito. Paolo è abituato, nella sua fede, a vedere le sue doti, le sue qualità personali come dono dello Spirito e così fa anche per le altre persone, qualsiasi dono, carisma, disponibilità personale, è dono dello Spirito Santo. Il terzo dono: la comunione. Il terzo dono di cui parlava Paolo è il dono della comunione. Qualsiasi dono e carisma personale non è mai per la singola persona, ma è per l’utilità di tutta la comunità. Se uno trattenesse per sé il dono di grazia ricevuto, spegnerebbe il dono dello Spirito che è in lui. È l’utilità comune a dire la verità di un carisma. I doni dati da Dio non sono mai per il godimento personale, ma perché tutti ne abbiano giovamento. Un progetto. Tutto questo avviene dentro un preciso progetto di chiesa, di comunità. Ce lo spiegava molto bene la prima lettura. Se noi conoscessimo un poco la geografia antica, comprenderemmo che San Luca, nel descrivere la Pentecose e le diverse lingue che gli apostoli parlano, non lascia escluso nessuno. Vengono citati tutti i punti cardinali, viene citata la terra ferma e le isole, vengono citati territori dell’Asia e dell’Africa, tutto il mondo occidentale, che coincide con l’impero romano, viene citato il mondo ebraico e le sue differenziazioni. Il progetto che ha in mente San Luca è quello di una chiesa sempre più universale. La chiesa universale è questo: un dono di amore di Dio padre dove l’unità prodotta dallo Spirito si manifesta nella pluralità della comprensione. San Luca ci sta dicendo, detto in altri termini, che la potenza dello Spirito Santo si manifesta in molteplici modi e supera ogni muro e barriera che gli uomini, invece, erigono. Pentecoste è la festa della comprensione, dell’unione, della corresponsabilità, dell’amore, della vicinanza cristiana a tutti, della “simpatia”, cristiana, cioè della capacità di sentire ciò che sente ogni uomo, di provare ciò che prova ogni uomo, di vivere come proprio ciò che prova l’altro. Per noi. Cosa chiedere per noi e per la nostra Chiesa oggi? 2 Chiediamo insieme il dono di non essere chiusi in noi stessi. Questo è il primo rischio che vedo oggi molto diffuso anche nella chiesa, anche nella nostra chiesa, e che dobbiamo chiedere allo Spirito di aiutarci a superare. Se i carismi sono per l’utilità comune, se vivere la Pentecoste è rinnovare il dono dello Spirito, se aprirci alla intelligenza delle scritture significa comprendere il dono di unità e di pace a cui siamo chiamati, allora la prima cosa da fare è questa: capire che la chiesa è mistero di unità. Tocca quindi me non stare chiuso nelle dinamiche del mio gruppo. Tocca quindi me non essere sordo alle esigenze degli altri. Tocca quindi me chiedermi cosa porta l’altra persona o l’altro gruppo nella comunità dei fratelli. Tocca me chiedermi cosa posso fare io per incentivare l’unità della chiesa. Ecco il primo dono che dobbiamo chiedere insieme. Ecco il primo frutto spirituale della Pentecoste che vorrei vedere tra noi. Chiediamo il dono di non essere egoisti. Tutti pensiamo prima a noi stessi e poi, se rimane tempo, se rimane spazio, agli altri. L’egoismo è un frutto della chiusura e non può venire dallo Spirito. Chiediamo il dono di un vero altruismo, il dono dello Spirito per il quale impariamo a mettere davanti a noi l’altro, con i suoi bisogni, con le sue attese, con le sue aspettative, con il suo carico di cose buone e di cose belle e le sue pigrizie, le sue difficoltà, le sue reticenze. Questo è il frutto che deve brillare in chi ha celebrato la Pentecoste. Chiediamo al Signore il dono di questa rinnovata capacità di altruismo. Chiediamo il dono di parlare le lingue degli altri, e, cioè, domandiamoci sempre quale manifestazione di amore possiamo mettere in campo noi per sorprendere l’altro, per mettere l’altro a proprio agio, per mettere l’altro nella condizione di chi si sente compreso, capito, stimato, apprezzato, accompagnato. Ecco cosa è la Pentecoste. Ci aiuti Maria a ripetere con fede: “vieni Spirito Santo!”. Sia questa la preghiera che facciamo oggi a Cristo e che Lui, sacerdote eterno, esaudisce. 3