Fabrizio De Filippis LA DOMANDA DEI PRODOTTI AGROALIMENTARI Dispense didattiche corso di Economia Agraria Università Roma Tre 2 La domanda dei prodotti agroalimentari 1. La teoria della domanda 1.1.Introduzione L’analisi della domanda è un elemento centrale nello studio dell’economia del settore agroalimentare e delle politiche ad esso indirizzate. Essa consente di dare risposta a numerosi e importanti quesiti connessi all’adattamento macroeconomico del settore agricolo, sia in contesti di sviluppo economico che in situazioni di arretratezza, nonché alla progettazione delle politiche agroalimentari ed alla valutazione dei loro effetti. Al centro della teoria della domanda vi è l’analisi del comportamento dei consumatori, siano essi soggetti singoli o famiglie. Tuttavia, soprattutto nel caso dei beni agroalimentari, è importante anche lo studio dei meccanismi con cui la domanda finale si trasmette lungo la catena che lega il consumo alla produzione, generando la domanda di prodotti primari che le imprese di trasformazione e distribuzione riversano sui produttori agricoli. Il contesto, fortemente stilizzato, in cui la teoria economica standard analizza le determinanti della domanda è quello di una economia di mercato perfetto: i consumatori acquistano tutto ciò che consumano su mercati perfettamente trasparenti, dove qualunque transazione avviene senza costi reali aggiuntivi rispetto al prezzo pagato dall’acquirente e ricevuto dal venditore. Si ipotizza, inoltre, che il consumatore sia guidato da un obiettivo di massimizzazione del proprio benessere (o utilità) individuale, per cui egli ottimizza il proprio “paniere” di consumo in base al proprio sistema di preferenze ed in risposta ai prezzi di mercato. In base a tali premesse, la domanda individuale di un bene da parte di un consumatore si definisce come la quantità del bene stesso che, dato il suo sistema di preferenze, egli è disposto a (ed è in grado di) acquistare in corrispondenza di un certo vettore di prezzi di mercato e di un dato livello del proprio reddito da destinare a consumi. Detti P1 il prezzo del bene in questione, P2,..., Pn i prezzi degli altri n - 1 beni presenti sul mercato ed R il reddito del consumatore, la funzione che determina la quantità domandata di un dato bene (Q1) potrà essere scritta come: Q1 = f(P1, P2,..., Pn, R), Tutte le variabili sono riferite ad uno stesso istante di tempo, per cui la relazione è di tipo statico. Come si chiarisce nell’Appendice 1, ciò equivale ad ipotizzare che gli aggiustamenti della domanda a variazioni di prezzi e reddito siano istantanei e governati da un sistema di preferenze individuali esogenamente dato. E’ importante sottolineare come il sistema di preferenze utilizzato dalla teoria economica costituisca il presupposto ma non l’essenza della domanda. In altre parole, l’esistenza di un certo tipo di desideri e bisogni - dunque di un dato sistema di preferenze - è da considerare una condizione necessaria ma non sufficiente per determinare la domanda che il consumatore effettivamente eserciterà sul mercato. Quest’ultima, infatti, sarà influenzata, oltre che dagli obiettivi del consumatore (preferenze) soprattutto dai suoi vincoli, vale a dire dal suo potere d’acquisto reale, definito dal prezzo di mercato dei prodotti e dal suo reddito spendibile, cioè 3 dalle variabili che compaiono nella funzione di domanda. Di conseguenza, per la massima parte dei prodotti, la quantità effettivamente domandata dal consumatore risulterà di norma assai inferiore a quella corrispondente ad un completo appagamento delle sue preferenze. Per poter pervenire alla funzione di domanda è, dunque, necessaria una teoria che descriva il sistema di preferenze del consumatore e definisca la sua funzione di utilità. Su questa base, il comportamento del consumatore può assimilarsi ad un problema di massimizzazione vincolata, dalle cui soluzioni, come vedremo, deriverà la sua funzione di domanda individuale. 1.2 L’utilità “cardinale” Prima di presentare l’analisi standard del comportamento del consumatore, vale la pena di richiamare la prima formulazione della teoria dell’utilità - l’utilità “cardinale” - che risale ai padri dell’economia neoclassica della scuola soggettivista (Gossen, Jevons, Edgeworth, Menger). Definita l’utilità di un bene come la sua capacità di soddisfare i bisogni, e ipotizzando questi ultimi come perfettamente divisibili, tale teoria si basa su tre postulati fondamentali: 1)L’utilità del consumatore dipende solo dalle quantità di beni che egli consuma. 2)La funzione di utilità è di tipo cardinale: essa, cioè, associa ad ogni paniere di consumo un valore - esprimibile, appunto, come numero cardinale - che misura la sua utilità. 3)Vale la legge della utilità marginale decrescente, nel senso che ogni dose aggiuntiva di consumo di un bene arreca al consumatore un ammontare di utilità aggiuntiva inferiore a quella della dose precedente. Sulla base di queste ipotesi, dette Q1, Q2, ..., Qn le quantità degli n beni acquistabili sul mercato, la funzione di utilità totale può essere scritta come: U = f(Q1, Q2,...,Qn). Considerando solo il bene 1, la funzione di utilità totale di un singolo bene è definita per un dato livello di consumo degli altri n - 1 beni: U = f(Q1/Q2,...,Qn). Guardando alla sua rappresentazione (figura 1), si può notare come la curva dell’utilità totale di un singolo bene non parta dall’origine: infatti, anche per un consumo nullo del bene in questione, il soggetto godrà comunque di un certo ammontare di utilità (U*), derivante dal consumo (tenuto fisso) degli altri beni. Inoltre, al crescere della quantità consumata, l’utilità cresce con incrementi via via minori fino ad un massimo, corrispondente al livello di saturazione Q*1, oltre il quale essa tende a diminuire1. L’utilità marginale (Umg) è il rapporto tra la variazione dell’utilità totale e la variazione della quantità consumata: Umg = ΔU/ΔQ1. Per variazioni infinitesime, cioè nella richiamata ipotesi di perfetta divisibilità dei bisogni, l’utilità marginale del singolo bene è la derivata parziale della funzione di utilità totale rispetto al consumo del bene stesso: Umg1 = U’1 = ∂U/∂Q1. Nel grafico della parte bassa della figura 1 si vede che Umg è sempre decrescente e si annulla in corrispondenza del punto di massimo dell’utilità totale (Q*1), oltre il quale diventa negativa. 1L’esempio più ovvio è quello del cibo, il cui consumo oltre un certo livello di sazietà genera effetti negativi. Tuttavia non è difficile pensare ad esempi analoghi in altri campi, anche se per molti beni il punto di saturazione può essere collocato ad un livello di consumo estremamente elevato e, dunque, difficilmente raggiungibile. 2Ovviamente, la mappa delle preferenze esiste anche se i beni sono più di due, ma in tal caso essa non è rappresentabile graficamente. Il fatto, quindi di limitarsi a due beni non fa perdere di generalità alla analisi. 4 Nell’approccio cardinalista il passaggio dalla funzione di utilità alla funzione di domanda è immediato: essendo, infatti, l’utilità un valore numericamente misurabile, la si può esprimere in unità monetarie, come propose a suo tempo Marshall. Misuriamo, allora, l’utilità marginale di un bene in termini di quantità di moneta che il consumatore è disposto a cedere, attraverso il pagamento del prezzo di mercato, per entrare in possesso di una unità aggiuntiva del bene stesso. Utilità totale (U) U* Q*1 Uitilità marginale (Umg = U') Q1 A p2 C B p1 O q2 q1 Q*1 Q1 Fig. 1 - Utilità totale e marginale Se, dunque, nel grafico in basso della figura 1 esprimiamo la scala dell’asse delle ordinate in moneta, allora la funzione Umg coincide con la curva di domanda di un singolo bene rispetto al prezzo. Infatti, il valore monetario di Umg non è altro che il “prezzo di domanda”, cioè il prezzo unitario che il consumatore è disposto a pagare in corrispondenza a ciascun livello di consumo e che, coerentemente alla legge della Umg decrescente, diminuisce al crescere della quantità consumata: dunque, in corrispondenza di un consumo complessivo pari a q1, il consumatore sarà disposto a pagare un prezzo p1; o - cosa del tutto equivalente - se il prezzo di mercato del bene è p1, egli troverà conveniente acquistarlo fino al raggiungimento di q1. Considerando tutti gli n beni disponibili, per ciascuno di essi il consumo sarà spinto fino al punto da eguagliare il valore monetario di Umg al prezzo di mercato del bene stesso: Umgi = U’i = ∂U/∂Qi pi (i = 1, 2,..., n). 5 Definendo con U’i/pi l’utilità marginale del bene “i” ponderata con il relativo prezzo, la condizione di equilibrio del consumatore si può esprimere anche in termini di eguaglianza delle utilità marginali ponderate, cosa che equivale ad imporre la condizione che l’utilità aggiuntiva ottenuta con l’ultima lira spesa dal consumatore sia la stessa per tutti i beni: U’1/p1 = U’2/p2 = ... = U’n/pn. Tutto il ragionamento fin qui svolto si basa su una ipotesi molto forte: che sia possibile una misurazione dell’utilità in termini di moneta. A questo riguardo, anche prescindendo dallo scarso realismo dell’ipotesi più generale, circa la misurabilità in senso cardinale di una variabile qualitativa e soggettiva quale l’utilità, bisogna chiedersi se la moneta possegga quel requisito fondamentale di invarianza che deve avere qualunque unità di misura: il fatto, cioè, di rimanere costante qualunque sia la misurazione che con essa si deve effettuare. Tale invarianza impone che l’utilità marginale della moneta sia costante per qualunque livello di reddito; in tal caso, infatti, l’utilità marginale che il soggetto attribuisce ad una certa quantità di un bene può essere correttamente misurata con l’ammontare di moneta che egli è disposto a cedere per acquistarla. Tuttavia è evidente come tale ipotesi risulti del tutto irrealistica, giacché anche per la “merce” moneta è ragionevole supporre che valga la legge dell’utilità marginale decrescente, per cui il “sacrificio” associato al pagamento di una data somma di danaro è tanto maggiore quanto minore è il reddito del consumatore. E’ questo un problema teorico serio, a meno di non limitare il ragionamento a situazioni in cui la spesa per l’acquisto del bene analizzato incida molto poco sul reddito complessivo del consumatore; in tal caso, infatti, le variazioni di prezzo e quantità consumata modificherebbero in misura poco significativa il potere d’acquisto complessivo del soggetto, e pertanto si potrebbe continuare a ragionare in termini di utilità marginale della moneta costante. Così, tuttavia, la misurazione monetaria dell’utilità acquista una portata molto circoscritta e vacilla, con essa, uno degli elementi di maggior forza dell’approccio cardinalista, vale a dire la possibilità di stabilire, sempre e comunque, una relazione diretta tra la funzione di utilità e la funzione di domanda. Le difficoltà associate ad una misurazione in senso cardinale dell’utilità hanno spinto a riformulare la teoria del comportamento del consumatore, fondandola su ipotesi meno restrittive di quelle imposte dall’approccio cardinalista. Storicamente, tale riformulazione fu intrapresa da Vilfredo Pareto e dette vita, a partire dall’inizio del ‘900, alla progressiva affermazione di una teoria delle preferenze che ingloba una nozione dell’utilità di tipo “ordinale” e che ancor oggi costituisce l’approccio più consolidato. 1.3. Le preferenze del consumatore nell’approccio “ordinalista” L’approccio ordinalista sposta il centro dell’attenzione dalla funzione di utilità al sistema di preferenze dell’individuo, mostrando come gli stessi risultati della teoria della scuola soggettivista possano essere raggiunti evitando la misurazione in senso cardinale dell’utilità. L’idea è che, per spiegare il comportamento del consumatore, sia sufficiente ipotizzare che egli valuti i diversi beni presenti sul mercato con un criterio di tipo “ordinale”, limitandosi a stabilire la “graduatoria” dei vari beni in termini di preferenza o indifferenza: in altre parole, dati due beni 6 (o due panieri di beni) x e y, non è necessario ipotizzare che il consumatore associ un valore numerico all’utilità di ciascuno di essi, ma semplicemente che egli abbia un campo ordinato di preferenze: tale, cioè, da consentirgli di esprimere uno dei seguenti giudizi: a) x è preferito a y (cosa che indichiamo, in simboli, con “xPy”) b) y è preferito a x (yPx) c) x e y sono equivalenti in termini di utilità e, dunque, c’é tra di essi una relazione (I) di “indifferenza” (cosa che indichiamo con xIy). Inoltre, sulla base di una serie di ipotesi aggiuntive, per la cui discussione si rimanda all’Appendice 1, è possibile pensare ad una mappa delle preferenze del consumatore che, nel caso in cui i beni siano solo due, è rappresentabile mediante le cosiddette curve di indifferenza2. Quantità del bene y D In A Ya C B Yb I2 I1 O Xa Xb Quantità del bene x Fig. 2 - Curve di indifferenza Nella figura 2, lungo gli assi sono misurate quantità dei due beni x ed y e, dunque, ogni punto del piano identifica un paniere di consumo in cui x ed y sono presenti con le quantità indicate dalle loro coordinate cartesiane. Le curve (I1, I2,..., In) sono curve di “indifferenza”, nel senso che uniscono tutti i punti corrispondenti a combinazioni di x e di y che danno all’individuo la medesima soddisfazione. Ad esempio, partendo dal punto A e rimanendo sulla I1, l’individuo potrà - fermo restando il suo livello di soddisfazione - compensare una riduzione nel consumo di y pari a YaYb con un aumento del consumo di x pari a XaXb. Il rapporto YaYb/XaXb è il saggio marginale di sostituzione (SMS) tra x ed y (SMSx,y = Δy/Δx) che coincide con la pendenza della curva di indifferenza. Il fatto che tale pendenza sia negativa indica che, per rimanere sulla stessa curva di indifferenza e mantenere costante il livello di soddisfazione, una diminuzione del consumo di un bene va “compensata” da un aumento del consumo dell’altro e viceversa. 2Ovviamente, la mappa delle preferenze esiste anche se i beni sono più di due, ma in tal caso essa non è rappresentabile graficamente. Il fatto, quindi di limitarsi a due beni non fa perdere di generalità alla analisi. 7 E’ possibile tracciare un numero infinito di curve di indifferenza, giacché si ipotizza che infinita sia la possibilità di “graduare” il benessere individuale; ed esse individueranno livelli di soddisfazione via via maggiori quanto più saranno distanti dall’origine degli assi3. La forma delle curve di indifferenza dipende dalle preferenze dell’individuo in relazione alle caratteristiche dei beni e - più in particolare - al loro grado di sostituibilità. Il caso standard è quello della figura 2, in cui le curve di indifferenza risultano convesse verso l’origine degli assi ed in cui, dunque, SMSx,y risulta strettamente decrescente4. E’ tuttavia utile discutere il significato di curve di indifferenza aventi forma diversa da quella classica (figura 3). bene y bene y A 3 2 1 1 bene x A) Perfetta sostituibilità bene y O B) Perfetta complementarità bene x bene y A I3 I2 By B I1 bene x C) Sostituibilità e complementarità parziali Ax 1 2 3 bene x D) Perfetta "neutralità" (del bene y) Fig. 3 - Forma delle curve di indifferenza e relazioni tra beni 3Più precisamente, data una qualunque semiretta che parte dall’origine, le curve di indifferenza la cui intersezione con tale semiretta è più distante dall’origine indicano un livello di soddisfazione maggiore: ad esempio, nella figura 2, poiché OD>OA>OC, in base alla simbologia prima richiamata si può scrivere che InPI2 e I2PI1. Ciò, tuttavia, non implica necessariamente che la distanza rappresenti una misura della soddisfazione associata ad una data curva di indifferenza. Se così fosse, infatti, le curve di indifferenza altro non sarebbero che “curve di livello” di una funzione di utilità cardinale, così come del resto le intese Edgeworth, che per primo le introdusse nell’analisi economica. 4Come illustrato con maggior dettaglio nell’Appendice 1, la convessità indica che vale la legge dell’utilità marginale decrescente. Inoltre, l’ipotesi di stretta convessità é necessaria perché il problema di scelta del consumatore abbia soluzione unica. 8 Il grafico 3A rappresenta il caso della perfetta sostituibilità, in cui le “curve” di indifferenza sono rettilinee: lungo di esse SMS è costante, per cui una data quantità di y può essere sempre sostituita con la stessa quantità di x. Un esempio relativo a prodotti alimentari, potrebbe essere quello di un consumatore per il quale carne bovina e suina siano perfettamente sostituibili: qualunque sia il livello di consumo di entrambi i tipi di carne, egli sarà sempre disposto a rinunciare ad una data quantità di carne bovina in cambio di una data quantità di carne suina. Il caso opposto è quello della perfetta complementarità, rappresentato dal grafico 3B, in cui le “curve di indifferenza” diventano delle spezzate a 90°: non vi è alcuna sostituibilità tra i beni e gli unici punti che contano sono quelli di angolo, a partire dai quali qualunque variazione nella quantità consumata di uno dei due beni è irrilevante, se non varia contemporaneamente anche quella dell’altro. Di conseguenza, l’unico modo per accrescere il livello di soddisfazione è quello di aumentare il consumo di entrambi i beni in proporzione fissa, lungo la semiretta OA. Un esempio a riguardo potrebbe essere la quantità di acqua e sale necessaria per cuocere la pasta: perché il sapore sia quello “giusto”, la proporzione è fissa; dunque, se voglio mangiare una quantità maggiore di pasta devo necessariamente aumentare nella stessa proporzione il mio consumo di acqua e di sale. Un caso particolare di complementarità è quello della perfetta “neutralità” di uno dei due beni, rappresentato nella figura 3D. Si tratta, ovviamente, di un caso estremo, in cui le curve di indifferenza sono delle rette verticali, ed il livello di soddisfazione dipende unicamente dalla quantità consumata del bene x; la quantità del bene y è invece del tutto irrilevante, dunque, “neutrale” rispetto al benessere del soggetto in questione5. Nella figura 3C, infine, è rappresentata la situazione che si può considerare come la più realistica: per ogni curva di indifferenza, in essa si ipotizza l’esistenza di una regione “centrale” corrispondente ad una ripartizione più o meno “equilibrata” del consumo dei due beni (il tratto AB) - che risulta convessa, ed in cui dunque vi é sostituibilità tra i due beni ed il SMS è decrescente. Tuttavia, ad ogni livello di soddisfazione, per entrambi i beni esiste una soglia minima sotto la quale il consumatore non è disposto a scendere: in riferimento alla prima curva di indifferenza della figura 3A, tale soglia è pari ad Ax per il bene x e a By per il bene y: ciò significa che, muovendosi lungo il tratto AB da sinistra verso destra, il consumatore è disposto a sostituire y con x, ma una volta raggiunta la soglia minima per il bene y (By), il bene x diventa “neutrale”, nel senso che qualunque aumento del consumo di x non può comunque compensare una ulteriore diminuzione in quello di y. Del tutto analogo è il ragionamento muovendosi da B verso A, solo che in tal caso è il bene y a diventare neutrale in corrispondenza di Ax. Un caso concreto interessante è dato dalla rappresentazione delle curve di indifferenza tra i generi alimentari (considerati, per semplicità, nel loro complesso) e tutti gli altri beni (figura 4). Come si vede, al livello di soddisfazione più basso (I1), - che potremmo assimilare ad una situazione di pura sussistenza - la curva di indifferenza è quasi orizzontale, giacché a quel livello ciò che più conta per il benessere dell’individuo è la quantità di cibo a sua disposizione: essa 5Ovviamente se il bene “neutrale” fosse x anziché y, le curve di indifferenza sarebbero delle rette orizzontali. 9 comunque non può scendere al di sotto del livello B, che corrisponde alle necessità alimentari minime, per cui in corrispondenza di tale livello gli altri beni diventano neutrali, e la quantità di essi posseduta oltre D è irrilevante. Mano a mano che l’individuo accresce il proprio tenore di vita e, dunque, mano a mano che egli sale sulla scala del benessere (collocandosi, ad esempio, sulla I3), accade esattamente il contrario: appagate le necessità di consumo alimentare e migliorata anche in senso edonistico la propria dieta, l’individuo si rivolgerà con sempre maggiore attenzione agli altri beni: in conseguenza di ciò emergerà anche per essi una soglia minima (OA) al di sotto della quale il consumatore non intende scendere, ed a cui corrisponde un livello (OC) oltre il quale saranno i generi alimentari a diventare neutrali. Generi alimentari C I3 I2 B I1 O A D Altri beni Fig. 4 - Curve di indifferenza tra generi alimentari ed altri beni 1.4. Il vincolo di bilancio Come si è accennato, la scelta del consumatore delle quantità da acquistare dei vari beni può essere interpretata come la soluzione di un problema di massimizzazione del suo livello di soddisfazione, vincolata dalla spesa che egli è in grado di sostenere. Ciò significa che, accanto alla mappa delle preferenze, abbiamo bisogno di qualcosa che rappresenti il “vincolo di bilancio” del consumatore. Rimanendo nel caso in cui la scelta sia limitata a due soli beni x ed y, indichiamone con X ed Y le quantità acquistate, con px e py i prezzi di mercato, mentre sia R* la spesa da destinare al loro acquisto6. Il vincolo di bilancio può essere scritto nel modo seguente: Xpx + Ypy ≤ R* Il significato di tale espressione è ovvio: la somma delle spese per l’acquisto dei beni x ed y spese date dalle quantità moltiplicate per i rispettivi prezzi - non può eccedere l’ammontare di 6Se si ipotizza che x ed y siano gli unici beni presenti sul mercato e che il tutto il reddito sia speso in consumi, allora R* sarà il reddito complessivo del consumatore. 10 reddito che il consumatore ha destinato a tali beni nel proprio bilancio. Essendo px, py ed R* noti, le incognite del problema sono rappresentate dalle quantità X ed Y da acquistare. Riscrivendo il vincolo in termini di uguaglianza e mettendolo in forma esplicita, si ha: R* px Y= − X py py Si tratta (figura 5) dell’equazione di una retta, il cui coefficiente angolare (negativo) è dato dal rapporto tra i prezzi dei due beni, mentre l’intercetta sull’asse delle ordinate (punto A) è data dal rapporto R*/py. In altre parole, il punto A (di coordinate 0, R*/py) ci dice la quantità complessiva del bene y che il consumatore potrebbe acquistare se decidesse di destinare ad esso tutto il proprio reddito: all’estremo opposto, se egli decidesse di spendere tutto nell’acquisto del solo bene x, egli ne potrebbe comprare una quantità pari a R*/px, collocandosi sulla retta di bilancio nel punto B (R*/Px, 0), corrispondente alla intercetta con l’asse delle ascisse. Quantità del bene y R*/ y A p w Yw k Yk Yz z p x/p y O Xz Xk Xw B R*/ y Quantità del bene x p Fig. 5 - la retta di bilancio Tutti i punti intermedi ad A e B e giacenti sulla retta di bilancio individuano panieri che sono alla portata del consumatore, giacché il vincolo di bilancio è soddisfatto. Ad esempio, per il paniere k si ha che Xkpx + Ykpy = R*. A maggior ragione sono accessibili tutti i panieri interni alla retta di bilancio, che si trovano nell’area OAB: ad esempio, per il paniere z si ha che Xzpx + Yzpy < R*, per cui il consumatore potrà acquistare le quantità Xz ed Yz con una spesa inferiore a R* e, dunque, con un risparmio pari a (Xk - Xz)px + (Yk - Yz)py; tuttavia, poiché stiamo ipotizzando che l’utilità del soggetto dipende solo dalla quantità consumata dei beni, risparmiare non ha senso, per cui la scelta di un paniere interno alla retta di bilancio sarebbe comunque sub-ottimale. Infine, qualunque paniere esterno alla retta di bilancio non sarà accessibile, in quanto la spesa per il suo acquisto eccederebbe il vincolo di bilancio R*. Ad esempio, per il paniere w si ha che Xwpx + Ywpy > R*. Andando alla figura 6, il grafico 6A mostra come cambia la retta di bilancio al variare del reddito spendibile del consumatore: se i prezzi dei due beni rimangono inalterati, la pendenza 11 della retta non varia, per cui ogni aumento del reddito da R1 ad R3 comporta slittamenti paralleli verso l’alto della retta stessa, che fanno aumentare l’area in cui è soddisfatto il vincolo di bilancio. Ovviamente, slittamenti del tutto analoghi si avrebbero nel caso di una riduzione contemporanea ed in misura identica - dei prezzi dei due beni, fermo restando il reddito monetario. Al contrario, una variazione differenziata di px e py, modificando il rapporto tra i prezzi dei due beni, fa variare la pendenza della retta di bilancio e, dunque, comporta un suo slittamento non parallelo. Ad esempio, nella figura 6B, partendo dalla retta 1, il raddoppio di px, fermo restando py, comporta una rotazione verso il basso (retta 2); analogamente, un raddoppio di py, fermo restando px, comporta una rotazione dalla 1 alla 3. In entrambi i casi, poiché il prezzo di uno dei due beni aumenta, il potere di acquisto reale del consumatore diminuisce e, con esso, si riduce l’area interna al vincolo di bilancio. bene y bene y R/py1 R 3/py R 2/py R/py2 2 1 3 R 1/py 2 3 1 R 1/px R 2/px A) Diversi livelli di reddito R 3/px R/px2 bene x R/px1 bene x B) Diversi rapporti tra i prezzi Fig. 6 - Modifiche nel vincolo di bilancio 1.5. La scelta “ottima” del consumatore Siamo ora in grado di risolvere il problema di scelta del consumatore circa le quantità da acquistare dei beni x ed y, come massimizzazione vincolata del proprio livello di soddisfazione. Per mostrare graficamente la soluzione del problema è sufficiente sovrapporre alla mappa delle curve di indifferenza il vincolo di bilancio, ricercando il paniere di consumo che, rispettando tale vincolo, consenta al consumatore di raggiungere la curva di indifferenza il più possibile distante dall’origine. Uno sguardo alla figura 7 mostra che il paniere che cerchiamo è quello individuato dal punto E(Xe, Ye), in cui la retta di bilancio è tangente ad una curva di indifferenza (nel nostro caso, la I2). Escludendo tutti i panieri esterni alla retta di bilancio e, dunque, non accessibili, è facile verificare come qualunque altro punto che giaccia lungo la retta stessa darebbe al consumatore un livello di soddisfazione minore di quello ottenibile in E. 12 Ad esempio, è chiaro come sia il punto A che il punto B, pur individuando panieri che comportano una spesa identica a quella che si ha nel punto E, rappresentino una scelta subottimale, in quanto giacciono su una curva di indifferenza più bassa. Infatti, a partire da A (da B), al consumatore converrebbe comunque muoversi verso E, riducendo (aumentando) la quantità acquistata del bene y e sostituendola con un aumento (una riduzione) quella del bene x, poiché in ogni caso ciò migliorerebbe la sua situazione: se tale sostituzione avvenisse lungo la retta di bilancio, da A (o da B) verso E, il consumatore, a parità di spesa, “catturerebbe” una curva di indifferenza più distante dall’origine e, dunque, accrescerebbe il proprio livello di soddisfazione; se, invece, tale movimento avvenisse lungo la curva di indifferenza di partenza (la I1), verso un qualunque altro punto dell’arco AB (per esempio, C), il consumatore otterrebbe un livello di soddisfazione inalterato con una spesa minore (C, infatti, è interno alla retta di bilancio). bene y Ya A E Ye I3 C I2 B Yb O Xa Xe I1 Xb bene x Fig. 7 - L'equilibrio del consumatore La condizione di tangenza, dunque, assicura che la scelta del consumatore sia ottimale. In termini geometrici tale condizione corrisponde alla eguaglianza tra la pendenza della curva di indifferenza e la pendenza della retta di bilancio, ovvero all’uguaglianza tra il saggio marginale di sostituzione tra i due beni ed il rapporto tra i loro prezzi7: SMSx,y = px py A questo punto, abbiamo a disposizione tutti gli ingredienti per comprendere i fondamenti teorici della funzione di domanda. Per far questo, rimanendo nel caso di soli due beni, analizziamo la variazione delle quantità dei due beni acquistate dal consumatore al variare, 7La condizione di tangenza tra curve di indifferenza e retta di bilancio assicura la massimizzazione del livello di soddisfazione del consumatore solo se le curve di indifferenza hanno forma convessa; solo se, in altre parole, il SMS è decrescente. Sulla ipotesi di convessità si veda l’Appendice 1. 13 alternativamente, del suo reddito spendibile o del prezzo relativo di un bene rispetto all’altro: nel primo caso otteniamo le cosiddette curve reddito-consumo; nel secondo, otteniamo le curve prezzo-consumo. 1.6. La curva reddito-consumo e le curve di Engel Come si è detto, una variazione del reddito spendibile del consumatore a parità di prezzo dei due beni coincide con lo slittamento parallelo delle rette di bilancio. Come pure si è detto, in questo caso ciò che conta è che rimanga inalterato il prezzo relativo (ovvero il rapporto tra i prezzi) di un bene rispetto all’altro: infatti, una variazione nella stessa proporzione dei prezzi di entrambi i beni comporta una variazione del potere di acquisto reale e, dunque - similmente a ciò che accade con una variazione del reddito monetario a parità di prezzi - uno slittamento parallelo della retta di bilancio. Unendo i punti di tangenza tra le curve di indifferenza e le rette di bilancio ottenuti in seguito agli slittamenti di queste ultime, si ottiene la cosiddetta curva reddito-consumo: essa, dunque, è il luogo dei punti di equilibrio del consumatore corrispondenti a diversi livelli del suo reddito e, dunque, ci dice come varia la domanda dei due beni al variare del reddito stesso. bene y bene y bene y 3 Y3 Y2 Y1 2 Y2 2 1 1 Y1 X1 X2 X3 bene x A) Beni x ed y entrambi "normali" X2 X1 bene x B) Bene y "normale" e bene x "inferiore" Fig. 8 - Linee reddito-consumo Nella figura 8A all’aumentare del reddito, passando dalla retta di bilancio 1 alla 3, aumenta sia il consumo di x (da X1 a X3) che di y (da Y1 a Y3). In questo caso, sia x che y sono beni “normali”; come si vedrà nel seguito, sono tali i beni il cui consumo varia nella stessa direzione del reddito. Non è detto, tuttavia, che tale comportamento “normale” sia l’unico possibile. Nella figura 8B, dove le curve di indifferenza hanno una forma particolare, vediamo che all’aumento del reddito il consumo dei due beni risponde in modo differenziato: la domanda di y aumenta da Y1a Y2, mentre quella di x diminuisce da X1 a X2. Diremo, allora, che x è un bene “inferiore”. 14 Dalla curva reddito-consumo è immediato il passaggio alla funzione che analizza la domanda di un singolo bene in dipendenza del reddito, tenendo fermi sia il prezzo del bene stesso che quello degli altri. In questo caso, la funzione “parziale” di domanda diventa: Q1 = f(R/P1, P2,..., Pn) Se al posto del reddito (R) inseriamo la spesa per consumi, tale rappresentazione dà luogo a quella che viene correntemente definita curva di Engel, dal nome dello statistico tedesco Ernst Engel (1821-1896) che per primo analizzò il comportamento della domanda rispetto al reddito. Egli ne ricavò la famosa legge che prende il suo nome, al cui operare ferreo è spesso attribuito il declino a cui, nel lungo periodo, sarebbe fisiologicamente condannata l’agricoltura rispetto agli altri settori dell’economia. La legge di Engel non è altro che la constatazione empirica di come “più povera è la famiglia, maggiore la proporzione della sua spesa totale che deve essere dedicata all’acquisto di generi alimentari” e di come “più ricca è una nazione, più piccola la proporzione di generi alimentari nella spesa totale”. In altre parole, sia che si parli di un singolo individuo o di un intero paese, la legge di Engel ci dice che, con l’aumento della ricchezza, la domanda di prodotti agricoli tende ad aumentare ad un tasso via via minore di quello con cui cresce la domanda di altri prodotti. Ciò deriva dalla natura dei prodotti agroalimentari e dal ruolo che essi svolgono nei modelli di consumo: si tratta, infatti, di beni rispondenti ad un bisogno primario che, se pure può essere soddisfatto con modalità sempre più differenziate e con prodotti sempre più costosi, risulta comunque vincolato fisicamente nella sua espandibilità8. Tornando ad un discorso più generale, osserviamo la figura 9, dove sono tracciate alcune curve di Engel, che rappresentano la relazione funzionale tra la quantità domandata di un singolo bene ed il reddito del consumatore. Come si è visto per le curve reddito-consumo, il segno di tale relazione non è dato a priori, per cui la forma concreta delle curve di Engel, analogamente a quella delle curve reddito-consumo da cui esse derivano, è una questione empirica. La loro osservazione consente di classificare i beni in tre categorie. 1) Beni “normali”: come si è detto, si tratta dei beni il cui consumo aumenta all’aumentare del reddito, sia pure in misura meno che proporzionale. Ricadono in questa categoria tutti i beni che soddisfano bisogni primari che, una volta appagati ad un livello accettabile, a partire da tale livello vengono percepiti con intensità via via minore, a vantaggio di altri bisogni meno essenziali e più sensibili all’aumento del potere di acquisto. 2) Beni “inferiori”: come pure si è già accennato, sono i beni la cui domanda diminuisce al crescere del reddito. Si tratta, dunque, di beni di bassa qualità, poco differenziati e di basso costo, il cui consumo è sostituito, all’aumentare del reddito, con beni di qualità superiore, più differenziati ed associati a servizi di commercializzazione. Il declino di un bene inferiore è spesso di tipo cumulativo: infatti, in un paese in cui cresce il reddito pro capite, mano a mano che un 8Tale limite “fisico” non esiste - o è assai più difficilmente raggiungibile - per la maggioranza degli altri bisogni:. Si pensi ad esempio, rimanendo tra i bisogni di prima necessità, al confronto tra vestiario ed alimentazione: diventando più ricchi si mangerà e ci si vestirà sempre “meglio”, spendendo sempre di più sia per l’alimentazione che per il vestiario; tuttavia, anche arrivando a nutrirsi solo di caviale e champagne, il consumo alimentare è comunque limitato dal desiderio e dalla capacità di assumere cibo. Al contrario, il numero di cravatte, scarpe e vestiti desiderato da un consumatore può essere, di fatto, illimitato. 15 dato prodotto viene sostituito da una quota crescente di consumatori, l’offerta di sostituti migliori tende ad aumentare, incentivando il processo di sostituzione. 3) Beni “di lusso”: sono beni la cui domanda cresce più che proporzionalmente rispetto al reddito, in sostituzione di beni inferiori o comunque per arricchire il paniere di consumo. Ovviamente fattori psicologici quali la pubblicità, la moda, lo status symbol, sono determinanti nel conferire ad un particolare prodotto, in un dato contesto, le caratteristiche di bene di lusso. Quantità domandata Quantità domandata a) bene normale Reddito Quantità domandata Reddito b) bene inferiore Quantità domandata lusso Reddito c) bene di lusso normale inferiore Reddito A d)"ciclo di vita" di un bene Fig. 9 - Curve di domanda rispetto al reddito (curve di Engel) Per quanto riguarda i prodotti alimentari, essendo beni che soddisfano una necessità primaria, e coerentemente a quanto afferma la già ricordata legge di Engel, essi ricadono in grande maggioranza nella categoria dei beni “normali”. Tuttavia, all’interno del comparto agroalimentare - data la forte sostituibilità che in esso si riscontra tra diversi prodotti, o tra diversi livelli qualitativi e differenti “presentazioni” di uno stesso prodotto - è possibile ritrovare tutte e tre le categorie di beni che abbiamo appena definito: così, ad esempio, alcuni prodotti allo stato fresco 16 tendono a comportarsi da beni “inferiori” ed alcuni prodotti trasformati da beni “di lusso”: è questo il caso dei prodotti nuovi o di quelli che consentono risparmi di tempo, sia nella preparazione (cibi pronti, fast food) che nella stessa attività di acquisto e conservazione (surgelati). Si può notare, al riguardo, che i prodotti alimentari rappresentano beni che soddisfano un bisogno giornaliero, al cui soddisfacimento é comunque associato un certo dispendio di tempo, cioè di una risorsa che tende ad essere percepita essa stessa come un bene di lusso. Di conseguenza, a livelli di reddito sufficientemente alti, la capacità di alcuni prodotti alimentari di far risparmiare tempo nel soddisfacimento di un bisogno comunque irrinunciabile, è una caratteristica che contribuisce ad accrescere la loro domanda. Va sottolineato il fatto che la distinzione tra diverse categorie di beni che abbiamo appena proposto ha comunque un significato che potremmo definire statico: essa, infatti, non ha validità assoluta, ma ha senso solo relativamente in certo contesto e in un dato momento. Guardando alla questione in termini dinamici, si può infatti affermare che, con riguardo alle variazioni della domanda rispetto al reddito, per ogni prodotto è immaginabile una sorta di “ciclo di vita”, durante il quale esso passa attraverso le tre tipologie che abbiamo appena definito, così come rappresentato nella figura 9: prescindendo da quei beni di primissima necessità, che sono comunque presenti, anche in corrispondenza a redditi molto bassi, nel paniere del consumatore, qualunque prodotto incomincerà ad essere consumato solo ad un certo livello di reddito ed inizialmente - in quanto prodotto nuovo - tenderà a comportarsi da bene “di lusso”, per poi consolidarsi come bene “normale”; successivamente, mano a mano che l’aumento del potere di acquisto del consumatore incentiverà la sua sostituzione con prodotti a loro volta nuovi, il bene in questione potrà diventare “inferiore”, fino a scomparire dal paniere di consumo. Un esempio di “ciclo di vita” - sia pure non completo - della domanda di un prodotto alimentare è fornito dalla carne bovina in Italia negli ultimi 50 anni. Il suo comportamento, fino a tutti gli anni sessanta, è stato quello tipico del bene “di lusso”, con un consumo che, durante gli anni del dopoguerra e del “miracolo economico”, è cresciuto a ritmi superiori alla crescita del reddito procapite. Successivamente, la carne bovina ha iniziato a comportarsi da bene “normale”, con una crescita dei suoi consumi progressivamente inferiore a quella del reddito. Negli anni più recenti, il consumo di carne bovina ha incominciato a ristagnare e non si può escludere per essa un futuro da bene “inferiore”. Un altro esempio può essere quello del vino: esso si comporta da bene di lusso nei paesi non produttori, dove rappresenta una novità o dove il suo consumo è associato ad occasioni speciali; al contrario, il vino è un bene “normale” o addirittura “inferiore” nei paesi produttori, dove esso - sia pure con le sue ampie possibilità di differenziazione rappresenta comunque un prodotto tradizionale che, soprattutto da parte delle nuove generazioni, tende ad essere sostituito con bevande alternative. 1.7. La curva prezzo-consumo Tornando alla rappresentazione mediante curve di indifferenza e rette di bilancio, analizziamo ora come variano le quantità domandate dei beni al variare del loro prezzo relativo. Nella figura 10A, partendo dal punto 1, introduciamo una riduzione del prezzo del bene x, fermo restando il 17 prezzo di y. Ciò implica che la retta di bilancio di partenza (b1) ruoterà verso destra (diventando b2 o b3), consentendo di raggiungere curve di indifferenza più elevate (punti 2 e 3). Definiamo la curva prezzo-consumo come il luogo dei punti di equilibrio del consumatore corrispondenti a diversi livelli del prezzo di un bene (in questo caso il bene x), fermo restando il prezzo degli altri (il bene y) ed il reddito monetario del consumatore. Nella figura 10A è rappresentato il caso normale, in cui la relazione tra prezzo e quantità domandata è inversa: al diminuire del prezzo di x, la retta di bilancio passerà, ad esempio, da b1 a b3, per cui il consumatore si sposterà dal punto 1 al punto 3 lungo la curva prezzo-consumo e la sua domanda aumenterà da X1 ad X3. Ovviamente, vale anche la relazione in senso contrario: se il prezzo di x aumenta e la retta di bilancio si sposta, ad esempio, da b3 a b2, il consumatore si sposterà dal punto 3 al punto 2, riducendo la domanda del bene x. bene y bene y bene y linea prezzo-consumo linea prezzo-consumo 3 Y3 Y2 Y1 2 Y2 2 1 1 Y1 b1 X1 b2 X2 X3 A)"legge di domanda" b1 b3 bene x X2 X1 b2 bene x B) Paradosso di Giffen (bene x) Fig. 10 - Linee prezzo-consumo Nell’ambito della teoria cardinalista dell’utilità, la relazione inversa tra prezzo e quantità domandata di un singolo bene, essendo conseguenza diretta della legge dell’utilità marginale decrescente era essa stessa indicata come legge di domanda. Nell’approccio ordinalista, invece, è possibile dare conto di casi in cui la relazione inversa tra prezzo e quantità domandata non sia verificata per cui la legge di domanda va formulata in modo diverso. Al riguardo, si osservi il grafico 10B, dove le curve di indifferenza sono tali per cui la diminuzione del prezzo di x, che si riflette nello slittamento della retta di bilancio da b1 a b2, comporta una diminuzione della sua domanda, da X1 ad X2 e viceversa. Si tratta del cosiddetto “paradosso di Giffen”, che può verificarsi in situazioni in cui un singolo bene costituisce una parte talmente rilevante della spesa complessiva di un consumatore che ogni variazione del suo prezzo determina un forte effetto in termini di variazione del reddito reale; e ciò, se il bene in questione è “inferiore”, può determinare una inversione della legge di domanda. Un esempio è 18 quello di un consumatore ai limiti della sussistenza, la cui dieta è costituita da (molte) patate e (poca) carne. Ipotizziamo anche che la patata sia un bene inferiore (la cui domanda diminuisce all’aumentare del reddito e viceversa) e che la carne sia un bene normale. In questa situazione, una diminuzione del prezzo delle patate avrà come conseguenza un aumento del reddito reale del consumatore che essendo, di fatto, diventato più “ricco” diminuirà il consumo del bene inferiore (le patate) in risposta ad una diminuzione del suo prezzo ed aumenterà quello della carne. Ovviamente, nel grafico 10B, x rappresenta le patate ed y la carne. 1.8. Effetto reddito ed effetto sostituzione Generalizzando il ragionamento appena fatto, possiamo meglio analizzare la relazione tra il prezzo e la quantità domandata di un singolo bene, affermando che essa è il frutto di due forze, non necessariamente di segno concorde, che si mettono in moto in conseguenza della variazione del prezzo del bene stesso. La prima di queste due forze, che si definisce effetto sostituzione, fa muovere il consumatore lungo la curva di indifferenza, riducendo il consumo del bene il cui prezzo relativo è aumentato, a vantaggio dell’altro bene divenuto meno costoso (e viceversa). L’effetto sostituzione dipende, quindi, dalla modifica della pendenza della retta di bilancio indotta dalla variazione del prezzo, e dalla conseguente modifica della posizione del punto di tangenza lungo la curva di indifferenza. Ricordando le ipotesi sulla forma e sulla inclinazione delle curve di indifferenza, l’effetto sostituzione è, per definizione, sempre “negativo”, nel senso che esso fa variare il consumo in direzione opposta alla variazione del prezzo, e sarà tanto maggiore in valore assoluto quanto maggiore è la sostituibilità tra i beni analizzati. La seconda “forza”, che si definisce effetto reddito, è conseguente alla variazione del potere di acquisto reale che deriva dalla variazione del prezzo di un singolo bene. Come si è visto nella figura 6, la rotazione della retta di bilancio indotta dall’aumento (o dalla diminuzione) del prezzo di un bene a parità di reddito monetario, fa diminuire (o aumentare) l’insieme di panieri accessibili per il consumatore e, dunque, rende il consumatore stesso più “povero” (o più “ricco”) in termini reali. Si può pensare all’effetto reddito come movimento da una curva di indifferenza ad un altra, cioè come variazione nel livello di soddisfazione conseguente alla modifica del reddito reale indotto dalla variazione del prezzo. A differenza dell’effetto sostituzione, il segno dell’effetto reddito non è determinabile a priori: esso sarà “negativo” - cioè di segno opposto alla variazione del prezzo e concorde all’effetto sostituzione - per i beni “normali” o “di lusso”, mentre sarà “positivo” per i beni “inferiori”. Per questi ultimi, infatti, la variazione del reddito reale indotta dalla variazione del prezzo spingerà la domanda a variare nella stessa direzione del prezzo stesso. In base all’intensità ed al segno dell’effetto reddito (Er) e dell’effetto sostituzione (Es), i beni si possono classificare in tre categorie: 1)Beni normali: si tratta di beni la cui domanda varia in direzione opposta a quella del prezzo, giacché sia Er che Es spingono in questa direzione. 2)Beni inferiori: la domanda varia in direzione opposta al prezzo, ma con intensità minore, poiché Es è in parte compensato da un Er di segno opposto, ma minore in valore assoluto. 19 3)Beni “Giffen”: sono quei beni la cui domanda varia nella stessa direzione del prezzo, in conseguenza di un Er di segno opposto ad Es e maggiore in valore assoluto. Er ed Es sono rappresentati nella figura 11, riferita al caso di beni normali, in riferimento a tre metodi utilizzabili per la loro individuazione. In tutti e tre i grafici si parte dal punto 1 sulla curva di indifferenza I1, con un consumo pari ad X1 del bene x. In conseguenza di un aumento del prezzo di x, vi è una modifica della pendenza della retta di bilancio (da α a γ) e, dunque, una sua rotazione verso l’interno; ciò modifica il punto di equilibrio del consumatore, portandolo al punto 3 della curva di indifferenza I2 e determina una riduzione del consumo di x da X1 a X3. 20 Il problema è “scomporre” l’effetto totale, dato dal passaggio del punto di equilibrio da 1 a 3, come se esso fosse frutto di un doppio movimento: quello lungo una stessa curva di indifferenza (Es) e quello da una curva ad un’altra (Er). Nel grafico 11A è riportato il metodo della “variazione compensativa”, con cui si individua Es chiedendosi quale sarebbe la risposta del consumatore alla variazione del prezzo di x se essa non comportasse - come in effetti accade - una riduzione del livello di soddisfazione ottenibile con il suo reddito spendibile; per “eliminare” tale effetto (che poi non è altro che Er), immaginiamo di “compensare” il consumatore in modo da consentirgli di rimanere, nonostante l’aumento del prezzo del bene x, sulla curva di indifferenza iniziale (I1). Tracciamo, dunque, una ipotetica retta di bilancio (tratteggiata in figura) la cui pendenza (γ) rispecchia il nuovo rapporto tra i prezzi, ma la cui distanza dall’origine è tale da consentire ancora di raggiungere I1. In questa situazione ipotetica, la condizione di tangenza ci dice che il punto di equilibrio sarebbe 2, con una riduzione del consumo di da X1 ad X2, e questa sarebbe da attribuire unicamente all’effetto sostituzione: infatti, l’unica cosa che è cambiata, tra 1 e 2 è il rapporto tra i prezzi dei beni, per cui - a parità di livello di soddisfazione - ciò che determina la riduzione X1X2 è unicamente il fatto che il consumatore sostituisce parte del consumo di x con y in conseguenza dell’aumento del prezzo relativo di x. Una volta individuato Es = X1X2, l’effetto reddito è determinato per residuo, per cui Er = X2X3. Con un ragionamento analogo la scomposizione in Es ed Er si può fare con il metodo della “variazione equivalente” (figura 11B). In tal caso si parte dall’effetto reddito e si ragiona rispetto alla curva di indifferenza finale (la I2) anziché rispetto a quella di partenza; in tal caso ci si chiede quale sarebbe la risposta del consumatore se egli - a parità di prezzi relativi - subisse una riduzione di reddito equivalente, in termini di livello di soddisfazione ottenibile, a quella (da I1 a I2) conseguente all’aumento del prezzo di x effettivamente verificatosi. Si traccia, allora, una ipotetica retta di bilancio (tratteggiata) la cui pendenza (α) rispecchia il rapporto iniziale tra i prezzi dei beni e la si fa slittare verso il basso fino al punto (2) in cui essa è tangente alla I2. In tal caso, la riduzione del consumo di x da X1 a X2 è attribuibile al solo effetto reddito, mentre stavolta è l’effetto sostituzione (Es = X2X3) ad essere determinato per residuo. Infine, con il metodo di Slutsky (grafico 11C) ci si chiede quale sarebbe la risposta del consumatore all’aumento del prezzo di x se egli fosse compensato della riduzione del potere di acquisto che ne deriva per cui, volendo, egli potrebbe continuare ad acquistare il paniere individuato dal punto 1. Si traccia, allora, una retta di bilancio (tratteggiata) la cui pendenza (γ) rispecchia il nuovo rapporto tra i prezzi, ma la cui distanza dall’origine è tale che essa passa per il punto 1. In questa situazione il consumatore, pur potendo continuare ad acquistare il paniere 1, troverebbe conveniente abbandonarlo per portarsi in 2 sulla I’2, ad un più alto livello di soddisfazione, riducendo il consumo di X da X1 ad X2: tale riduzione, essendo dovuta ad un 21 aumento del prezzo relativo di x a parità di potere di acquisto, è da attribuire ad Es, mentre Er (X2X3) è determinato per residuo. Nella figura 12 riportiamo la derivazione grafica di Er ed Es per i beni inferiori (fig.12A) e “Giffen” (Fig. 12B), utilizzando il metodo della variazione compensativa. Come si vede, in entrambi i casi Er è positivo - nel senso che la variazione che esso imprime alla domanda è di segno concorde alla variazione del prezzo - e, dunque, opera in senso opposto ad Es. Tuttavia, mentre nel caso dei beni inferiori 0 < Er < |Es|, per i beni “Giffen” si ha che Er <0 ed |Er| > |Es|. Per quanto riguarda i prodotti agroalimentari ed il loro comportamento rispetto alla intensità ed al segno di Er ed Es, va detto che esso può risultare estremamente differenziato, a seconda del tipo di bene e del contesto di riferimento. Se si parla di singoli prodotti e di consumatori relativamente ricchi, è ovvio pensare ad una variazione della loro domanda rispetto al prezzo dovuta quasi per intero all’effetto sostituzione: infatti, va ricordato che - almeno in economie sufficientemente differenziate - un singolo prodotto alimentare può avere una ampia serie di sostituti, cosa che tende a potenziare l’effetto sostituzione; inoltre, essendo la spesa dedicata al suo acquisto una frazione modesta della spesa complessiva del consumatore, il reddito reale di quest’ultimo è scarsamente influenzato dalla variazione del prezzo del bene stesso, il che attenua l’effetto reddito. Tuttavia, in situazioni di povertà e di dieta poco diversificata, laddove la spesa per l’acquisto di singoli beni costituisca una percentuale significativa della spesa del consumatore, non si può escludere che l’effetto reddito assuma proporzioni di tutto rilievo anche per i generi alimentari. 22 bene y bene y 2 2 1 1 I1 I1 3 3 I2 γ γ X2 X3 X1 Es (- ) Er (+) Effetto totale ( - ) A) Bene x inferiore α γ bene x X2 X1 γ I2 X3 Es (- ) Er (+) Effetto totale (+) α bene x B) Bene x "Giffen" Fig. 12 - Effetto reddito ed effetto sostituzione per beni inferiori e "Giffen" 1.9. La curva di domanda rispetto al prezzo Come nel caso del passaggio dalla linea reddito-consumo alla curva di Engel, anche quello dalla linea prezzo-consumo alla curva di domanda rispetto al prezzo è immediato. Infatti, partendo dalla linea prezzo-consumo, è sufficiente leggere su di essa le coppie prezzo-quantità relative ad un singolo bene, riportandole in un grafico dove viene rappresentata, appunto, la funzione “parziale” di domanda: Qx = f(Px/Py, R). Questa ci dice come varia la domanda del bene x al variare del suo prezzo, fermo restando il prezzo degli altri beni (nel caso delle curve prezzoconsumo c’è solo il bene y) ed il reddito monetario del consumatore. Per una convenzione introdotta da Marshall, tale funzione - che indichiamo, appunto, come curva di domanda marshalliana - viene disegnata in un grafico come quello della figura 13, dove la quantità domandata è misurata in ascissa ed il prezzo del prodotto in ordinata. Più precisamente, dunque, quella che viene rappresentata graficamente dagli economisti è la funzione inversa di domanda p = f(q), in cui è il prezzo la variabile dipendente9. 9L’inversione utilizzata da Marshall si spiega con il fatto che, nel suo approccio, l’equilibrio del mercato si raggiunge con l’aggiustamento dal lato delle quantità più che dei prezzi: compratori e venditori, infatti, opererebbero avendo in mente un “prezzo normale”, a cui sarebbero disposti a comprare o vendere una data quantità “normale”, la quale viene di volta in volta aggiustata in base all’effettivo prezzo di mercato. Il prezzo di mercato, che ovviamente di norma non coincide con il “prezzo normale” soggettivamente percepito dal singolo operatore, finisce col dipendere dagli aggiustamenti contingenti delle quantità scambiate. 23 Px P1 A C B P2 D' D Q1 Q2 Qx Fig. 13 - La curva di domanda rispetto al prezzo Osservando la curva di domanda, è importante distinguere tra variazioni nella relazione prezzo/quantità dovute a movimenti lungo la curva, e variazioni che conseguono a spostamenti della intera curva di domanda. Le prime corrispondono a movimenti lungo la curva prezzoconsumo e indicano come varia la quantità domandata di un bene al variare del suo prezzo, tenendo fisse tutte le altre variabili che compaiono nella funzione completa di domanda: ad esempio, ipotizzando comunque fissi gusti e bisogni, il passaggio dal punto A al punto B indica che una riduzione del prezzo da P1 a P2, se il reddito monetario del consumatore ed i prezzi degli altri beni non cambiano, genera un aumento della quantità domandata da Q1 a Q2. Al contrario, una modifica dei gusti del consumatore (corrispondente ad una modifica della forma delle curve di indifferenza), o una variazione del suo reddito monetario o dei prezzi degli altri beni, sono tutti eventi che comportano uno spostamento della curva prezzo-consumo e, dunque, uno slittamento della intera curva di domanda, cosa che ovviamente modifica anche la relazione prezzo/quantità. E’ quanto avviene, ad esempio, nel passaggio dal punto A al punto C, in cui l’aumento della quantità domandata (da Q1 a Q2) in corrispondenza al prezzo P1 è conseguenza dello slittamento della intera curva da D a D’: come è facile notare, lungo la D’ il consumatore sarà disposto ad acquistare una quantità maggiore di prima in corrispondenza di qualunque livello di prezzo. Si parla di variazioni della domanda in riferimento a spostamenti della intera curva, mentre per movimenti lungo la curva è più corretto parlare di variazioni della quantità domandata, in risposta a mutamenti del prezzo. Immaginando che il bene a cui è riferita la figura 13 sia costituito dalla carne bovina, uno slittamento verso l’alto della intera curva di domanda potrebbe dipendere da una delle seguenti cause, o da una loro combinazione (ovviamente le cause di slittamenti verso il basso della curva di domanda saranno del tutto simmetriche): 1) Un aumento del reddito monetario del consumatore, per cui, a parità di prezzo della carne bovina, il consumatore se ne potrà permettere un consumo più elevato. 24 2) Un aumento nel prezzo di un bene sostitutivo (per esempio, carne suina), per cui il consumo di carne bovina aumenterà in sostituzione del bene divenuto relativamente più costoso. 3) Una riduzione del prezzo di un prodotto complementare al bene analizzato. Un esempio potrebbe essere quello di un consumatore nelle cui preferenze carne bovina e vino (rosso) siano fortemente complementari, nel senso che egli consideri improponibile mangiare carne senza bere vino e viceversa. In questo caso, una sensibile riduzione del prezzo del vino rosso potrebbe incentivare un maggior consumo di carne bovina a parità di prezzo, generando uno slittamento verso l’alto della relativa domanda10. 4) Una modifica esogena nei gusti o nei bisogni del consumatore che faccia variare la posizione del bene in questione nella gerarchia delle sue preferenze, per cui a parità di prezzo il suo consumo varierà. Rimanendo nel nostro esempio, si può pensare ad una situazione in cui si diffonda l’idea che mangiare troppa carne bovina faccia male, a causa della eccessiva quantità di ormoni imiegati per aumentare l’accrescimento dei capi bovini, che comporterebbe uno slittamento verso il basso della intera curva di domanda. Nel caso dei prodotti alimentari avviene sempre più spesso che un dato prodotto diventi “di moda” o cada in disgrazia, non solo in conseguenza di campagne pubblicitarie mirate, ma anche in seguito a fenomeni di tipo socioculturale o a nuove conoscenze in campo dietetico. 10Va comunque detto che nel caso dei prodotti alimentari, pur esistendo numerosi beni tra di loro complementari, la relazione di complementarità non è tale da generare effetti significativi, come può avvenire in altri settori del consumo: si pensi, al riguardo, ad esempi quali quelli benzina/automobile o benzina/pedaggi autostradali, dove gli effetti incrociati della complementarità possono assumere particolare rilievo. 25 2. La Domanda di mercato 2.1. L’aggregazione delle funzioni individuali di domanda Finora abbiamo parlato della funzione individuale di domanda, servendoci di una teoria delle preferenze - appunto, individuali - e dell’apparato concettuale delle curve di indifferenza e delle rette di bilancio. Dovendo ora definire la funzione di domanda complessiva, relativa ad un intero mercato, possimao pensarla come aggregazione delle funzioni individuali di domanda di tutti i consumatori in esso presenti. Dunque, per ogni singolo bene i, la funzione aggregata di domanda sarà data da: m m ∑ Qij = ∑ f i (P1,...,Pn ,R j ) j=1 per i = 1,..., n e j = 1,..., m j=1 In essa Qij è la quantità domandata del bene i da parte del consumatore j. Dunque, la domanda di mercato di un dato bene dipende, oltre che dal prezzo del bene stesso e da quello degli altri (ad esso sostitutivi o complementari), dal numero dei consumatori e dal reddito procapite di ciascuno di essi. Ragionando in aggregato, si possono sostituire gli Rj con il reddito medio procapite, ma bisognerà in tal caso tenere conto sia della popolazione che della distribuzione del reddito. Detti Rp il reddito medio procapite, N la popolazione dei consumatori e D un indice della distribuzione del reddito, la funzione aggregata di domanda di un singolo bene si può scrivere come: Qi = fi(P1, ..., Pn, Rp, N, D) per i = 1,..., n Una ulteriore ipotesi che è necessario introdurre quando si ragiona a livello di domanda del mercato, è la indipendenza delle funzioni di domanda individuali, nel senso che la quantità domandata da ciascun consumatore non deve essere influenzata da quella degli altri. Ciò equivale ad ipotizzare un comportamento strettamente atomistico del soggetto - come se egli agisse in totale isolamento - e, dunque, porta ad escludere l’esistenza di fenomeni cumulativi legati a comportamenti dettati dal confronto interpersonale dei panieri di consumo11: ci si riferisce a fenomeni quali il cosiddetto effetto-traino (aumento imitativo della domanda), o il suo contrario, vale a dire l’effetto-snob (alcuni soggetti riducono la propria domanda perchè aumenta quella degli altri); o anche l’effetto-Veblen (la domanda aumenta all’aumentare del prezzo, perchè ciò consente di ostentare le proprie possibilità di consumo). Venendo alle rappresentazioni “parziali” della funzione aggregata di domanda - vale a dire la curva di domanda rispetto al prezzo e la curva di Engel - anche esse sono definite come aggregazione delle rispettive funzioni individuali. Dunque, ceteris paribus, in corrispondenza di ciascun livello di prezzo (o di reddito), la quantità complessivamente domandata sarà data dalla somma delle quantità domandate dai singoli consumatori presenti sul mercato. Ricordando il modo con cui sono rappresentate le curve individuali di domanda rispetto al prezzo e le curve individuali di Engel, in termini grafici ciò significa che l’aggregazione delle prime avviene per somma orizzontale e quella delle seconde per somma verticale. 11Il comportamento atomistico ipotizzato dalla teoria economica standard si può definire di egoismo razionale: ciascun consumatore decide quanto consumare dei diversi beni unicamente sulla base di un processo di massimizzazione vincolata della propria utilità, sulla base di un sistema di preferenze individuali in cui contano solo delle quantità di beni che egli consuma, senza nessuna influenza dettata da sentimenti di invidia o di altruismo. 26 P P P P1 P1 P1 P2 P2 P2 QA1 Q QA2 QB1 Consumatore A QB2 Q Q1 (QA1 + QB1) Consumatore B Q2 (QA2 + QB2) Q Domanda totale Fig. 14 - Aggregazione delle curve individuali di domanda rispetto al prezzo Immaginando che vi siano due soli consumatori, A e B, nella fig. 14 vi è l’aggregazione delle curve individuali di domanda rispetto al prezzo: per ogni livello di prezzo, per esempio P1, la quantità domandata totale è data dalla somma (orizzontale) delle quantità domandate, a quel prezzo, da ciascun consumatore presente sul mercato: Q1 = QA1 + QB1. Sempre che il bene analizzato non sia un “bene Giffen” per alcuni consumatori, la curva di domanda del mercato tende ad essere più “piatta” delle singole curve individuali da cui essa deriva. Q Consumatore A QA2 QA1 R1 R2 Reddito Q QB2 Consumatore B QB1 R1 R2 Reddito Q Q 2 = (QA2 + QB2) Domanda Totale Q 1 = (QA1 + QB1) R1 R2 Reddito Fig. 15 - Aggregazione delle curve individuali di Engel 27 La fig. 15 mostra la curva di Engel aggregata di un singolo bene, costruita per somma verticale delle curve di Engel di ciascun consumatore: per ogni livello di reddito procapite, per esempio R1, la domanda complessiva è data dalla somma delle domande individuali che si hanno a quel livello di reddito: Q1 = QA1 + QB1. Va notato che, nel caso delle curve di Engel, si può dire assai poco circa la relazione che intercorre tra la forma delle curve individuali e di quella aggregata. Non è affatto improbabile, infatti, che il prodotto analizzato sia un bene “normale” per alcuni consumatori, mentre sia “inferiore” o “di lusso” per altri, per cui la relazione tra reddito procapite medio e quantità domandata medierà andamenti individuali assai differenziati, che possono essere anche di segno opposto. Ciò spiega anche perchè nella funzione di domanda del mercato sia importante la distribuzione del reddito. Se valgono le condizioni di aggregabilità più sopra ricordate, la fig. 14 rappresenta la curva di domanda del mercato: essa dice come varia la quantità complessivamente domandata di un singolo bene al variare del suo prezzo, dati il reddito medio procapite e la sua distribuzione, la popolazione ed i prezzi degli altri beni, secondo la funzione Q1 = f(P1/P2, ..., Pn, Rp, N, D). Analogamente, la fig. 15 rappresenta la funzione aggregata di domanda rispetto al reddito; essa dice come varia la quantità domandata di un bene al variare del reddito medio procapite dei consumatori, essendo dati la distribuzione del reddito stesso, la popolazione, il prezzo del bene analizzato e quelli di tutti gli altri beni:Q1 = f(Rp,/P1, P2, ..., Pn, N, D). 2.2. L’elasticità della domanda Nelle pagine precedenti abbiamo stabilito in che direzione varia la domanda di un bene in risposta ad una modifica dei prezzi o del reddito del consumatore, definendo diverse categorie di beni ed individuando alcune caratteristiche della funzione di domanda. Ovviamente, soprattutto nel campo applicativo, è anche importante conoscere l’intensità della risposta della quantità domandata a variazioni di prezzi e reddito. Misuriamo tale intensità di risposta con un coefficiente che denominiamo elasticità e che si definisce, in relazione a ciascuna variabile xi che compare nella funzione completa di domanda di un singolo bene, come: Ed i = variazione % della quantità domandata ΔQd / Qd ΔQd xi = = variazione % di x i Δxi / x i Δxi Qd Dove Qd è la quantità domandata e ΔQd la sua variazione assoluta. Le variabili rispetto alle quali è rilevante misurare l’elasticità della domanda di un dato bene sono tre: il prezzo del bene stesso (elasticità diretta); il prezzo di un altro bene, sostitutivo o complementare del bene stesso (elasticità incrociata); il reddito del consumatore. L’elasticità diretta rispetto al prezzo Per ogni bene “i” l’elasticità diretta è il rapporto tra la variazione percentuale della quantità domandata e la variazione percentuale del suo prezzo: 28 Ed i = ΔQ i / Qi ΔQ i pi = Δpi / p i Δpi Q i Essendo un rapporto tra numeri, l’elasticità è essa stessa un numero puro, indipendente dalle unità di misura di prezzo e quantità. Ed è di norma negativa giacché, con l’eccezione dei beni “Giffen”, la quantità domandata varia in direzione opposta al prezzo. Si può pensare al valore di Ed come alla variazione percentuale della domanda conseguente ad una variazione dell’1% del prezzo: per esempio, se Ed = -1,2, ciò significa che la quantità domandata diminuisce (aumenta) dell’1,2% per ogni punto percentuale di aumento (diminuzione) del prezzo. Il più delle volte ci si riferisce al valore assoluto della elasticità, dando per scontato il suo segno negativo. Se, ad esempio, si dice che l’elasticità rispetto al prezzo della domanda di arance è “maggiore” di quella della domanda di zucchero, si intende dire che, in risposta ad una stessa variazione di prezzo, la variazione (comunque di segno opposto alla variazione del prezzo) della quantità domandata di arance è maggiore di quella della quantità domandata di zucchero e, dunque, che il valore assoluto di Ed è maggiore per le arance che per lo zucchero. Per variazioni infinitesime, Edi diventa: δQi pi Ed i = δp i Q i Ciò equivale a dire che, in un qualunque punto della funzione di domanda, l’elasticità rispetto al prezzo è data dal valore della sua derivata parziale rispetto al prezzo stesso (δQi/δpi), moltiplicato per il rapporto esistente tra il prezzo e la quantità domandata in quello stesso punto. Il valore della derivata misura la pendenza della funzione di domanda nel punto in cui si sta misurando l’elasticità mentre il rapporto P/Q ci dice la sua distanza relativa dagli assi. Se la funzione di domanda rispetto al prezzo è una curva, lungo di essa varia sia la pendenza che il rapporto P/Q, per cui, di norma, l’elasticità varia lungo la curva di domanda. Ciò non accade solo in tre casi. Il primo di essi è quello in cui la funzione di domanda sia del tipo qpn = k e dove, quindi, Ed = -n per ogni punto lungo la curva e, dunque, per qualunque rapporto P/Q12. Un esempio è la curva di domanda disegnata nel grafico centrale della figura 17, che è un’iperbole equilatera ad elasticità (costante) unitaria: muovendosi lungo di essa, infatti, la variazione della pendenza è esattamente compensata dalla variazione del rapporto P/Q e, dunque Ed = 1 in ogni punto13. Gli altri due casi in cui la funzione di domanda è ad elasticità costante sono rappresentati nei grafici A e C della figura 17: nel grafico A la funzione di domanda è del in q la funzione qpn = k, sia ha che q = kp-n, la cui derivata è dq/dp = -nkp-n -1. Sostituendo dq/dp e p dq p − n −1 q nella formula della elasticità Ed = , si ottiene: Ed = −nk p , da cui deriva che Ed = -n. Nel − dp q k p n −1 caso in cui n = 1, la generica funzione qpn = k diventa un iperbole equilatera di equazione qp = k, che definisce la 12Esplicitando curva di domanda ad elasticità unitaria. Per essa, infatti, si ha che Ed = 1 per qualunque rapporto p/q. 13Va ricordato che, seguendo l’inversione marshalliana, ciò che rappresentiamo nei grafici è la funzione inversa di domanda p = f(q); la cui derivata dp/dq misura il reciproco della pendenza della funzione di domanda q = f(p). Nella figura 17, il passaggio da A a B comporta un aumento del rapporto p/q (da Pa/Qa a Pb/Qb) che è esattamente compensato da una diminuzione del valore della derivata della funzione di domanda dq/dp: tale diminuzione coincide con l’aumento della derivata della funzione inversa di domanda e, dunque, con l’aumento della pendenza (da α a β) della curva rappresentata nella figura 17. 29 tipo q = Q*: la quantità domandata è rigidamente determinata a prescindere dal livello del prezzo, per cui Ed = 0. Nel grafico C la domanda è infinitamente elastica, nel senso che, dato il livello del prezzo p*, la domanda del bene analizzato è infinita, nel senso che - dato quel prezzo - i consumatori saranno disposti ad acquistarne comunque il massimo possibile. PPi i Pi Pi Β Pb P* Α Pa Qi Q* A)Elasticità nulla (perfetta rigidità) Fig. 17 - α β Qb Qi Qi Qa B)Elasticità unitaria C)Elasticità infinita Curve di domanda ad elasticità costante Nel caso in cui la funzione di domanda rispetto al prezzo è lineare (figura 18), una pendenza fissa si associa ad un rapporto P/Q decrescente da sinistra verso destra, per cui il valore assoluto di Ed decresce lungo la retta, da infinito (in corrispondenza dell’intercetta sull’asse delle ordinate) a zero (in corrispondenza dell’intercetta sull’asse delle ascisse). In riferimento alla figura, Ed = ∞ in B, dove q = 0 e, dunque, p/q = ∞. Analogamente, in C, dove il prezzo si annulla, sarà p/q = 0 e, dunque, Ed = 0. P P D1 I EdI = infinito B I EdI >1 G Pg Pa A (I EdI =1 ) E D2 F I EdI <1 O Qa I EdI =0 C Q Pd O D Qd Qg Q Fig. 18 - Elasticità della domanda lineare Inoltre si può mostrare che Ed è pari a 1 in corrispondenza del punto medio tra le intercette della retta di domanda con gli assi. Infatti, tale punto (A nella figura 18) è tale che BA = AC e, dunque, QaC = OQa. Poiché siamo nel caso in cui la domanda è lineare, e ricordando che ciò che si rappresenta nei grafici è la sua funzione inversa, questa sarà del tipo p = a + bq (con b, di norma, negativo); la sua derivata è data da dp/dq = b, mentre quella della funzione di domanda 30 sarà dq/dp = 1/b. Nel punto A il rapporto p/q è dato da OPa/OQa; ma poiché i due triangoli AQaC e BPaA sono uguali, si ha che OPa = AQa. Inoltre, nel triangolo ACQa si ha che AQa/QaC = tangα = b (cioè la pendenza della funzione inversa di domanda rappresentata in figura); ma AQa/QaC = OPa/OQa = b non è altro che il rapporto p/q corrispondente al punto A. Sostituendo nella formula della elasticità, si ottiene Ed = (1/b)b = 1. Il più delle volte non si conosce l’intera curva di domanda e la sua forma funzionale, per cui è impossibile calcolarne la derivata, che compare nella formula della elasticità puntuale. Inoltre, nella realtà non si ha a che fare con variazioni infinitesime e, dunque, spesso l’elasticità viene calcolata per variazioni discrete di prezzo e quantità, ricorrendo alla cosiddetta elasticità-arco. Detti ΔQ = Q1 - Q0 e ΔP = P1 - P0, essa si calcola con la formula di Allen: Ed = ΔQ P Q1 − Q0 P0 + P1 = ΔP Q P1 − P 0 Q0 + Q1 In pratica, con riferimento alla figura 19, in cui è rappresentata una domanda curvilinea, si valuta il movimento lungo la curva da A a B come se in questo tratto la domanda fosse lineare: di conseguenza, anziché la derivata dq/dp si usa il rapporto (Δq/Δp) tra le variazioni discrete di prezzo e quantità, che misura la pendenza del segmento rettilineo AB, mentre come rapporto p/q si utilizza quello (Pc/Qc) corrispondente al punto medio del segmento AB14. Dunque, l’elasticità arco non è la media delle elasticità puntuali calcolate in A ed in B, bensì è l’elasticità del punto medio (C) del segmento AB. P P0 A C Pc B P1 Q0 Qc Q1 Q Fig. 19 - Elasticità arco L’elasticità rispetto al prezzo è di grande importanza per l’analisi della domanda. Essa, infatti, dice come varia la spesa totale dei consumatori per l’acquisto di un certo prodotto al variare del prezzo del prodotto stesso. Poiché la spesa totale dei consumatori coincide con il ricavo totale dei 14Ovviamente, minori sono le variazioni di prezzo e quantità - e, dunque, più piccolo è l’arco preso in considerazione - minore è il grado di approssimazione della elasticità-arco rispetto alle elasticità puntuali calcolate in A o in B. 31 produttori, qualunque studio del mercato di un certo prodotto, teso ad individuare le strategie di prezzo più convenienti da parte delle imprese produttrici, singole o associate, non può prescindere da una stima della elasticità della domanda. In particolare, detta S la spesa totale, essa è data dal prodotto di prezzo per quantità domandata. Dunque, S = pq. Indicando con Es la elasticità della spesa rispetto al prezzo, essa è data da: Es = dS p d(pq) p = dp S dp (pq) Da cui, dopo facili passaggi15, deriva che Es = 1 + Ed. Poiché Ed è di norma negativa, ciò implica che l’elasticità ella spesa rispetto al prezzo sarà positiva, negativa o nulla, a seconda, rispettivamente, che l’elasticità della domanda sia, in valore assoluto, minore, maggiore o uguale ad 1. In altre parole, una variazione del prezzo di un bene normale, in dipendenza del valore di Ed, avrà uno dei seguenti effetti sulla spesa totale: - se |Ed| > 1, cioè se la domanda é elastica, una variazione del prezzo comporterà una variazione di segno contrario nella spesa totale dei consumatori, dovuta a una variazione della quantità domandata più che proporzionale a quella del prezzo; - se |Ed| < 1, cioè se la domanda é relativamente rigida, una variazione del prezzo comporterà una variazione dello stesso segno nella spesa totale dei consumatori, dovuta a una variazione della quantità domandata meno che proporzionale a quella del prezzo; - se |Ed| = 1, una qualunque variazione del prezzo lascerà inalterata la spesa totale, giacché la variazione percentuale della quantità domandata eguaglierà - compensandola - quella del prezzo. Ad esempio, se l’obiettivo di una strategia di marketing fosse quello di ampliare il volume delle vendite di un certo prodotto manovrandone il prezzo16, una politica di bassi prezzi sarebbe consigliabile solo nei casi in cui si avesse di fronte una domanda sufficientemente elastica. Se, al contrario, la domanda fosse rigida, sarebbe l’aumento dei prezzi ad aumentare il fatturato. Ciò spiega anche il senso di molte politiche di marketing rivolte a tipicizzare e differenziare il prodotto dal punto di vista qualitativo: esse, infatti, conquistando una maggior fiducia da parte dei consumatori, non fanno altro che rendere la relativa domanda più rigida e, dunque, meno sensibile alle variazioni del prezzo: sia quelle del prodotto stesso che dei prodotti concorrenti. Data l’importanza della elasticità della domanda rispetto al prezzo, è opportuno discutere brevemente quali sono i principali fattori che la influenzano. Tra di essi, ci limitiamo a citare i seguenti tre: 1)L’esistenza di prodotti sostituivi. E’ chiaro che maggiore è il numero di sostituti e più alto il grado di sostituibilità, tanto più elastica sarà la domanda di un dato bene rispetto al suo prezzo: se questo aumenta, infatti, i consumatori saranno incentivati ad acquistare gli altri beni che soddisfano lo stesso bisogno; se diminuisce, sostituiranno questi con dosi maggiori del bene in 15Applicando, 16Esempi infatti, la regola di derivazione di un prodotto, si ottiene: d(pq) p ! dp dq $ p ! dq $ 1 dq p Es = =# q+ p& = #q + p& = 1+ = 1 + Ed dp ( pq) " dp dp % pq " dp % q dp q a riguardo possono essere le strategie di vendita delle organizzazioni dei produttori agricoli, centrali cooperative, consorzi agro industriali, grandi imprese dell’industria alimentare che hanno potere di mercato. 32 questione, divenuto più a buon mercato: ciò significa che l’effetto sostituzione costituisce, nella maggioranza dei casi, la principale fonte della variazione della quantità domandata di un singolo bene in risposta alla variazione del prezzo. 2)II peso della spesa per l’acquisto del bene sul reddito dei consumatori. Maggiore è l’importanza del bene in termini di spesa del consumatore, tanto più elastica sarà - a parità di altre condizioni - la sua domanda rispetto al prezzo, sempre che non si tratti di un bene “Giffen”, per il quale l’effetto sostituzione sarà più che compensato da un effetto reddito di segno opposto. Un esempio può essere l’elasticità della domanda rispetto al prezzo di un prodotto come il vino, in un paese dove il vino costituisce un bene molto diffuso e dove, dunque, il suo peso sulla totale spesa per consumi alimentari è significativo. In tal caso, un aumento del prezzo del vino genera una riduzione della domanda maggiore di quella che si ha in un paese dove esso è un prodotto poco importante, consumato solo in particolari occasioni: nel primo caso, infatti, i consumatori compreranno meno vino sia perchè lo sostituiranno con altre bevande sia, forse soprattutto, perchè l’aumento del prezzo di un prodotto importante nel loro paniere di consumo riduce il potere di acquisto reale della spesa da essi destinata alla alimentazione. Essi, dunque, ne consumano di meno anche perché se ne possono permettere una minore quantità di prima. 3)Il grado di aggregazione dei prodotti. E’ ovvio, ma non è inutile ricordarlo, che quanto più aggregati sono i “prodotti” di cui si calcola l’elasticità, tanto meno elastica risulterà la relativa domanda, perché tanto minori saranno le possibilità di sostituzione. La domanda di carne bovina è più elastica della domanda di carne in generale e questa é più elastica della domanda complessiva di cibo: la carne bovina, infatti, può essere sostituita con (o può sostituire) la carne suina o di pollo; la carne in generale può essere sostituita con (o può sostituire) il pesce o i formaggi, mentre i generi alimentari presi nel loro insieme non hanno sostituti. Elasticità incrociata L’elasticità incrociata misura la risposta della domanda di un prodotto “i” alla variazione del prezzo di un altro prodotto “j”: dQ i P j Ed ij = dP j Q i In teoria, a seconda delle relazioni di complementarità o sostituibilità tra i beni “i” e “j”, si possono avere tre casi: a)Se i due beni sono complementari, Edij < 0: l’esempio classico è quello di zucchero e caffè: se il prezzo del caffè aumenta e diminuisce la relativa domanda, diminuirà anche la domanda di zucchero. b)Se i due beni sono sostituti, Edij > 0, per cui la domanda di “i” varia nella stessa direzione del prezzo di “j”, in quanto l’uno sostituisce l’altro nel paniere di consumo; tra i prodotti alimentari gli esempi sono, ovviamente, numerosissimi: carne bovina e suina, vino e birra, burro e margarina, olio d’oliva e di semi, etc. c)Se i due beni sono indipendenti, Edij = 0, in quanto non c’è nessuna relazione “incrociata”: nel campo dei generi alimentari il caso della perfetta indipendenza è meno facile da trovare, in 33 quanto comunque si tratta di beni che soddisfano uno stesso bisogno: esempi potrebbero essere quelli di sale e champagne, vino e burro, mele e olio. Va notato che il segno della elasticità incrociata definisce relazioni di complementarità e sostitutività lorde. Infatti, le relazioni nette sono determinate dal solo effetto sostituzione (movimento lungo una stessa curva di indifferenza), mentre la elasticità incrociata tiene conto anche dell’effetto reddito. Come vedremo meglio in seguito, la presenza di quest’ultimo fa sì che il segno ed il valore della elasticità incrociata finisce con il sottostimare le relazioni di sostitutività e a sovrastimare quelle di complementarità nette effettivamente esistenti tra i beni, sempre che essi siano beni “normali”17. Nel caso di beni sostitutivi, la domanda di “i” aumenta all’aumentare del prezzo di “j” (e viceversa) in conseguenza dell’effetto sostituzione; tuttavia essa diminuisce in conseguenza dell’effetto reddito associato all’aumento di prezzo del bene “j”, per cui la sostitutività lorda, misurata da Edij, è minore di quella netta: al limite, nel caso in cui il bene “j” abbia un peso significativo nella spesa del consumatore, l’aumento del suo prezzo può generare un effetto reddito tale da far diminuire la domanda del suo sostituto “i” più di quanto l’effetto sostituzione la faccia aumentare. Inoltre, la presenza dell’effetto reddito spiega anche il motivo della non simmetricità delle elasticità incrociate di prodotti sostitutivi, cioè della circostanza - verificata anche nelle indagini empiriche - che il valore di Edij non è necessariamente uguale a quello di Edji: cosa che, invece, dovrebbe accadere se l’elasticità incrociata dipendesse dal solo effetto sostituzione, cioè, da un movimento lungo una stessa curva di indifferenza18. Per lo stesso motivo, la presenza dell’effetto reddito rafforza le relazioni di complementarità derivabili dal valore della elasticità incrociata, che può risultare diversa da zero (e negativa) anche per beni che complementari non sono: si pensi al caso, non certo improbabile, in cui un aumento del prezzo della benzina faccia ridurre la domanda di vino. Il motivo di ciò non sta, ovviamente, in una relazione di complementarità nel consumo di benzina e vino (nel senso che essi non sono prodotti che vanno necessariamente consumati insieme), ma semplicemente nella circostanza che l’aumento del prezzo di un bene importante - ed a domanda relativamente rigida - come la benzina riduce il reddito reale dei consumatori i quali, di conseguenza, si potranno permettere una minore quantità di vino. Del resto, in questa accezione “lorda” della complementarità, si può affermare che tutti i beni sono in qualche misura complementari. La presenza dell’effetto reddito e, soprattutto, il fatto che la sua intensità si differenzia a seconda della importanza dei beni nella spesa complessiva per consumi e che il suo segno è diverso a seconda che si tratti di beni normali o inferiori, rende particolarmente difficoltosa la stima delle elasticità incrociate e relativamente ambigua la loro interpretazione economica. 17Per i beni “inferiori”, poiché l’effetto reddito agisce in senso opposto, vale esattamente il contrario. in totale assenza di effetto reddito, se un aumento del prezzo di del bene “j” fa spostare il consumatore da un punto A ad un punto B su una curva di indifferenza, con conseguente riduzione della domanda di “i”, un successivo aumento di uguale ammontare del prezzo del bene “i” riporterebbe l’equilibrio esattamente nel punto A e si avrebbe Edij = Edji. In altre parole, l’effetto sostituzione è sempre simmetrico, mentre non lo è l’effetto reddito. 18Infatti, 34 L’elasticità rispetto al reddito L’elasticità della domanda di un dato bene “i” rispetto al reddito misura la risposta della quantità domandata del bene stesso al variare del reddito dei consumatori. Essa è data da: dQi Y Ey i = dY Qi Dove Y è il reddito procapite se trattiamo la domanda di un intero paese o di una intera regione oppure è il reddito del singolo consumatore nel caso della domanda individuale. Nelle analisi empiriche, vista la difficoltà di avere dati in quantità fisica, a volte Eyi è calcolata come variazione della spesa per il prodotto “i” in relazione alla variazione della spesa complessiva per consumi. Indicando quest’ultima con C e definendo con Ei = PiQi la spesa per il prodotto “i”, si ha: Ey i = dE i C dC E i Come nel caso della elasticità-prezzo, l’elasticità rispetto al reddito è data da due componenti: dq/dy, che corrisponde al reciproco della pendenza della curva di Engel nel punto in cui si misura l’elasticità e y/q, che indica la distanza relativa di tale punto dagli assi. Il segno di Eyi ed il suo andamento lungo la curva di Engel consente di riformulare in modo più sintetico la classificazione dei beni proposta nelle pagine precedenti, in relazione alle caratteristiche della loro curva di domanda rispetto al reddito, Diremo allora che un bene “i” è: - “normale”, se Eyi > 0 e decrescente lungo la curva di Engel; - “di lusso”, se Eyi > 0 e crescente lungo la curva di Engel; - “inferiore”, Eyi < 0. Come si è detto, pur essendo possibile trovare singoli prodotti alimentari che si comportano da beni “inferiori” o “di lusso”, nel suo complesso il cibo può essere considerato un bene “normale”: l’elasticità della domanda alimentare rispetto al reddito è, dunque, positiva, anche se significativamente decrescente al crescere del reddito procapite. E’ questo un modo diverso di enunciare la già richiamata legge di Engel, la quale dice che la percentuale di spesa alimentare sulla spesa complessiva per consumi tende a decrescere al crescere del reddito. 2.3. Le proprietà della funzione di domanda Tornando alla funzione completa di domanda, è interessante ricordare alcune sue proprietà, relative alle relazioni che intercorrono tra i diversi tipi di elasticità. Tali proprietà - di cui si tralascia la dimostrazione - discendono dalle ipotesi su cui si fonda lo studio del comportamento del consumatore e, dunque, si riferiscono alla teoria della domanda individuale. Tuttavia, esse trovano applicazione soprattutto nell’analisi empirica della domanda del mercato. La prima di queste proprietà deriva dalla omogeneità di grado zero della funzione completa di domanda19, da cui discende che, se i prezzi di tutti i beni ed il reddito del consumatore variano 19Una funzione z = f(x, y) è omogenea di grado k se moltiplicando le variabili per una costante t, la funzione risulta moltiplicata per tk, cioè se f(tx, ty) = ztk. Nel caso della funzione di domanda Q = f(p1, p2, ..., pn, Y), l’omogeneità di 35 nella stessa proporzione, la quantità domandata di ciascun prodotto rimane inalterata. In altre parole, ciò porta ad escludere qualunque fenomeno di illusione monetaria, per cui i consumatori ragionerebbero solo in termini di quantità consumata e di potere di acquisto reale. In termini grafici, l’equilibrio del consumatore rimane inalterato, giacché la contemporanea proporzionale modifica di prezzi e reddito non muta la posizione e la inclinazione della retta di bilancio. riguardo alle relazioni tra le elasticità, tale proprietà si può esprimere affermando che, per ogni bene, la somma algebrica del valore della elasticità diretta rispetto al prezzo, di tutte le elasticità incrociate e della elasticità rispetto al reddito è pari a zero: Edii + Edi1+ Edi2 + ...Edi(n-1) + Edy = 0 Dove Edii è l’elasticità diretta della domanda del bene “i” rispetto al suo prezzo; Edi1, Edi2,...Edi(n-1) sono le elasticità incrociate rispetto al prezzo di tutti gli altri beni; Edy è l’elasticità della domanda del bene “i” rispetto al reddito. Come si diceva, tale proprietà conferma quanto ci si può aspettare anche sul piano intuitivo: in primo luogo, infatti, è ragionevole supporre che, per la grande maggioranza dei beni, la somma algebrica delle elasticità incrociate sia nel complesso positiva, giacché in genere un bene ha più sostituti che complementi, per cui la relazione di sostituibilità (che presuppone elasticità incrociata positiva) tende a dominare quella di complementarità. inoltre, almeno per i beni normali, che pure sono la maggioranza, anche l’elasticità rispetto al reddito è positiva. Ciò implica che, dato che la somma di tutte le elasticità è pari a zero, l’elasticità diretta (Edii) dovrà essere tale che: b)Edii sarà tanto maggiore in valore assoluto, cioè la domanda di un certo bene sarà tanto più elastica rispetto al (proprio) prezzo, quanto maggiore è la somma delle elasticità incrociate ΣjEdij (cioè quanto maggiore è il numero di sostituti e più intensa è la relazione di sostituibilità), e/o quanto maggiore è la elasticità della domanda rispetto al reddito. b)Edii - che di norma è negativa - sarà in valore assoluto maggiore di Edy: cioè, la domanda di un singolo bene tende ad essere più elastica rispetto al prezzo che rispetto al reddito. Ciò implica anche che, dal punto di vista empirico, nei casi in cui è difficile stimare l’elasticità della domanda di un bene rispetto al prezzo, la conoscenza della sua elasticità rispetto al reddito costituisce un limite inferiore al valore che essa può assumere. Inoltre, nei casi in cui si può assumere che ΣjEdij ≅ 0, allora IEdiiI ≅ Edy20 Una seconda proprietà della funzione di domanda discende dalla equazione di Slutsky: Edij = Sji - yjEyi grado zero implica che k = 0, per cui f(tp1, tp2, ..., tpn, tY) = t0Q = Q. Il che significa, appunto, che moltiplicando tutte le variabili della funzione di domanda per una stessa costante, la quantità domandata rimane inalterata. 20Un esempio classico a riguardo è dato dalla domanda di un bene quale il sale, tipicamente molto rigida rispetto al prezzo. Si tratta, infatti, di un bene privo di sostituti, per il quale, dunque, la somma delle elasticità incrociate è praticamente nulla; inoltre, trattandosi di un bene irrinunciabile, che tra l’altro costituisce una proporzione irrilevante della spesa totale per consumi, anche l’elasticità della sua domanda rispetto al reddito è molto bassa. 36 Dove Sji è l’effetto sostituzione espresso in termini di elasticità: esso misura la variazione della domanda di “i” conseguente ad una variazione del prezzo di “j”, a parità di livello di soddisfazione (cioè lungo una stessa curva di indifferenza) e, dunque, al netto dell’effetto reddito. Quest’ultimo è misurato da yjEyi, cioè dalla elasticità rispetto al reddito del prodotto “i” ponderata con il peso percentuale (yj) della spesa per l’acquisto del prodotto “j” sul reddito complessivo Y (yj = PjQj/Y). Poiché l’effetto sostituzione è sempre negativo e simmetrico (Sji = Sij), mentre Eyi è positiva per i beni normali, ciò conferma quanto già si era detto a livello intuitivo: per i beni normali la elasticità incrociata sovrastima la relazione di sostituibilità “netta” in ragione dell’effetto reddito, cioè quanto maggiore è il peso del prodotto “j” sul reddito stesso e quanto più elastica è la domanda del prodotto “i” rispetto al reddito. Tornando alle relazioni tra elasticità-prezzo ed elasticità-reddito, richiamiamo la funzione completa di domanda, in base alla quale la quantità domandata del bene 1 è data da: Q1 = f(P1, P2, ..., Pn, Y) Indicando con Ed1 l’elasticità diretta rispetto al prezzo, con Ed1j le n-1 elasticità incrociate e con Ey1 l’elasticità rispetto al reddito della domanda del bene 1, si può scrivere la seguente eguaglianza: Ed1 + Ed12 , + ... + Ed1n = - Ey1 La quale ci dice che la somma delle elasticità della domanda di un bene rispetto a tutti i prezzi deve eguagliare la elasticità della sua domanda rispetto al reddito cambiata di segno. L’ultima proprietà della funzione di domanda che si intende qui discutere è la cosiddetta condizione di aggregazione engeliana, che discende dal vincolo di bilancio, cioè dal fatto che la somma delle quantità acquistate di ciascuno degli n beni presenti sul mercato per i relativi prezzi deve essere uguale al totale reddito destinato a consumi: ΣiPiQi = Y. Esprimendo tale vincolo in termini di elasticità, si può scrivere: y1Ey1 + y2Ey2+ ... + ynEyn = 1 Qi Pi (per i = 1,..., n) è la % del reddito spesa per l’acquisto di ogni prodotto. Y Ciò significa che la somma delle elasticità rispetto al reddito di ciascun bene, ponderata con il peso che ciascuno di essi ha in termini di spesa complessiva, deve essere uguale ad 1. In altre parole, se vi è un aumento del reddito spendibile per consumi del 20%, esso si distribuirà in termini di aumenti del consumo dei diversi beni in ragione delle rispettive elasticità-reddito, ma la somma della variazione dei consumi dovrà comunque essere del 20%. Dove y i = 37 Appendice Struttura e caratteristiche del sistema di preferenze del consumatore Qui di seguito discutiamo i postulati su cui si fonda l’approccio ordinalista, in base ai quali è possibile tracciare le curve di indifferenza nel modo descritto nel testo: 1)Completezza, cioè esistenza di un campo ordinato di preferenze. Ciò implica, come accennato nel testo, che il consumatore, nell’ambito di qualunque insieme di panieri di beni di consumo, sia sempre in grado di stabilire tra di essi relazioni di indifferenza (I) o di preferenza (P). 2)Transitività (coerenza): dati tre panieri di beni x, y e z, se il primo è preferito (o indifferente) al secondo ed il secondo è preferito (o indifferente) al terzo, allora il primo dev’essere preferito (o indifferente) al terzo. In simboli: se xPy e yPz => xPz se xIy e yIz => xIz se xIy e yPz => xPz se xPy e yIz => xPz Bene a x y z I’’ z I’ Bene b Fig A.1.1 – Preferenze intransitive E’ facile verificare come, in termini grafici, la transitività implichi una mappa delle preferenze in cui le singole curve di indifferenza non si incrocino mai. Nella figura A.1.1, sia xIy, e yIz; se c’è transitività, dovrà essere anche yIz e, dunque, z giacerà sulla stessa curva di indifferenza I’, cioè la stessa sia di x che di y. Se, invece, non vi fosse transitività, xIy, e yIz non implicherebbe yIz, per cui z dovrebbe giacere su una curva di indifferenza comune a y, ma diversa da quella su cui giace x: questa potrebbe essere la curva I’’, che quindi si incrocia con la I’ Pur sembrando a prima vista scontata, la transitività è in effetti un’ipotesi alquanto forte; non è difficile, infatti, pensare all’esistenza di preferenze intransitive, soprattutto nei casi in cui il “consumatore” non sia un individuo ma 38 una unità collettiva (per esempio, una famiglia, un club). Nell’ipotesi che le decisioni dell’unità collettiva siano prese a maggioranza, infatti, è questo il classico caso in cui può verificarsi il cosiddetto “paradosso del voto”, in base al quale un gruppo in cui ciascun soggetto abbia preferenze transitive può finire col prendere decisioni che denotano, invece, preferenze “collettive” di tipo intransitivo. Per esemplificare questo caso, sia data una famiglia composta di tre individui (1, 2 e 3), in cui si debba decidere quale acquistare tra tre diversi panieri di beni x, y, z. Ciascun individuo ha preferenze transitive, per cui: individuo 1: xPy, yPz => xPz individuo 2: yPz, zPx => yPx individuo 3: zPx, xPy => zPy Data questa struttura delle preferenze individuali, se la famiglia, come spesso accade nella realtà, si affida ad un criterio di scelta a maggioranza, tra x ed y sceglierà x, in quanto per due su tre dei suoi componenti (gli individui 1 e 3) è xPy. Se, invece, la scelta è tra y e z, la famiglia sceglierà y, dato che, anche qui, per due componenti (gli individui 1 e 2) si ha che yPz. A livello familiare, dunque, xPy e yPz, per cui, in base al postulato di transitività, dovrebbe conseguire che xPz. Come si vede dal nostro esempio, invece, così non è, in quanto - date le preferenze individuali che abbiamo ipotizzato - nella alternativa tra x e z la famiglia sceglierà z, dal momento che due componenti su tre (gli individui 2 ed il 3) preferiscono z ad x. 3)Monotonicità (non sazietà): tale postulato impone che il consumatore preferisca sempre il più al meno. Dati, cioè, due panieri contenenti n beni, se uno di essi contiene quantità non minori di un bene e una quantità maggiore di almeno uno degli altri (n - 1) beni, esso sarà necessariamente preferito agli altri. Quindi, nel caso di due panieri 1 e 2, perché essi siano indifferenti, se in 1 è presente un bene in quantità maggiore che in 2, in 2 l’altro bene deve essere presente in quantità minore, altrimenti per il postulato di non sazietà 2 sarebbe necessariamente preferito ad 1 e non potrebbe giacere sulla stessa curva di indifferenza. Più precisamente, dato un paniere di consumo 1(x1, x2), contenente due beni x ed y in quantità x1 ed y1, perché un paniere 2(x2, y2) sia ad esso indifferente - e giaccia, dunque, sulla stessa curva di indifferenza - dovrà risultare: se y2 ≥ y1 => x2 < x1 se y2 ≤ y1 => x2 > x1 In termini grafici, ciò implica che le curve di indifferenza abbiano pendenza sempre negativa. Vale la pena di notare come il postulato di non sazietà sia chiaramente in contraddizione con quanto si è detto nel testo a proposito della funzione di utilità di un singolo bene circa il fatto che essa abbia un punto di massimo, dopo il quale diventa decrescente, facendo diventare negativa la corrispondente utilità marginale. In altri termini, il postulato di non sazietà escluderebbe che, oltre un certo livello, ogni ulteriore aumento della disponibilità di un bene faccia diminuire il benessere che il consumatore trae dal suo consumo. Volendo, invece, continuare a considerare teoricamente possibile tale eventualità, dobbiamo immaginare l’esistenza di una mappa “completa” delle preferenze del consumatore, rappresentabile come nella figura A.1.2. In essa le “curve complete” di indifferenza sono in realtà degli ellissoidi concentrici, lungo i quali la soddisfazione del consumatore aumenta andando dal più esterno al più interno, fino ad essere massima nel punto B. Quest’ultimo, che si definisce “punto di saturazione” (o bliss point), corrisponde al completo appagamento dei bisogni soddisfatti dai beni misurati sugli assi del grafico. Di conseguenza, le due semirette centrate sul punto B delimitano quattro quadranti, dei quali solo il primo, in basso a sinistra, è quello che corrisponde alla zona di non sazietà per entrambi i beni; e solo in esso, dunque, le curve di indifferenza hanno il consueto aspetto; il secondo ed il quarto quadrante individuano situazioni di sazietà, rispettivamente, del bene x e del bene y, per cui in essi le curve di indifferenza assumono un andamento crescente; mentre il quarto, in alto a destra, indica la zona di sazietà per entrambi i beni. 39 Bene y IV: Zona di sazietà per y A III: Zona di sazietà B I: Zona di non-sazietà O II: Zona di sazietà per y C Bene x Fig. A1.2 - Mappa "completa" di indifferenza Fermo restando la validità teorica della mappa “completa” delle preferenze, possiamo riformulare il postulato di non sazietà in senso più “debole”, affermando che esso individua come rilevante per l’analisi economica solo la prima zona e, allo stesso tempo, considera estremamente lontano, di fatto irraggiungibile, il punto di saturazione. 4)Staticità: come si è accennato, la funzione di domanda è una relazione di tipo statico, riferita ad un sistema di preferenze esogenamente dato, che si ipotizza rimanga immutato durante il processo in cui il consumatore effettua le sue scelte. Il significato dell’ipotesi di staticità è quello di escludere mutamenti nella struttura delle preferenze che siano di tipo endogeno, cioè conseguenti essi stessi alle scelte che il soggetto compie sulla base delle proprie preferenze. In altre parole si esclude, per dirla con Zamagni, che i gusti del consumatore siano anche “il risultato di un processo di apprendimento mediante esperienza (learning by doing)” e che, dunque, proprio il fatto che il consumatore preferisca oggi x a y possa indurre una modifica di tale preferenza. In termini grafici, questo significa assicurare “stabilità” alle curve di indifferenza: dati, infatti, due panieri x ed y tali che xIy, e che dunque giacciono su una stessa curva di indifferenza, non può accadere che la scelta di uno dei due modifichi tale relazione, per cui, in conseguenza di essa, i due panieri cesserebbero di appartenere alla stessa curva di indifferenza. Un esempio potrebbe essere la curva di indifferenza tra vino e birra. Poniamo che, per un dato consumatore, siano a priori - indifferenti i seguenti due panieri di consumo mensile delle due bevande in questione: x = 1 litro di vino e 20 litri di birra y = 10 litri di vino e 2 litri di birra e che egli, per effetto di una modifica dei prezzi relativi, passi dal paniere x al paniere y. Se non valesse il postulato di staticità, potrebbe accadere che tale passaggio, comportando un forte aumento nel consumo di vino, porti il nostro consumatore ad apprezzare di più tale bevanda e a modificare, di conseguenza, il proprio sistema di preferenze. In tal caso, la relazione tra x ed y non sarebbe più indifferenti, giacché ora sarebbe yPx e, dunque, essi non starebbero più sulla stessa curva di indifferenza: in altre parole, il fatto stesso di muoversi lungo la curva di indifferenza potrebbe modificarne la forma, in quanto potrebbe generare una modifica endogena dei gusti del consumatore. 40 5)Continuità: dato un paniere x, modificando opportunamente le quantità di beni in esso contenute, è sempre possibile trovare un altro paniere y che sia ad esso indifferente. Come è ovvio, tale postulato assicura l’esistenza stessa delle curve di indifferenza. Se così non fosse, infatti, - se, cioè, dato x, qualunque altro paniere y fosse tale che xPy o yPx e non fosse possibile trovare un altro paniere indifferente ad x - allora la curva di indifferenza si ridurrebbe al solo punto individuato dal paniere x. Anche se a prima vista può apparire strano, non è difficile pensare a un sistema di preferenze che non rispetti il postulato di continuità. Si pensi a un individuo amante dell’opera lirica, ma appassionato soprattutto alle opere di Mozart. Tale individuo possiede e ascolta periodicamente tutte le esecuzioni di opere di Mozart di cui è riuscito ad entrare in possesso, più un certa quantità di opere di altri autori. E’ certamente ragionevole immaginare una situazione in cui la passione per Mozart sia tale che l’individuo in questione sarebbe disposto a rinunciare ad una qualunque quantità di opere di altri autori, pur di aumentare il numero delle esecuzioni di Mozart che egli possiede. Ovviamente, per il principio di non sazietà, a parità di esecuzioni di Mozart, egli preferirà comunque possedere più opere di altri autori. Preferenze di questo tipo sono dette lessicografiche: con questo termine si vuole sottolineare che in esse, non essendovi alcuna sostituibilità tra i diversi panieri di consumo, questi sono ordinati gerarchicamente, in base ad una graduatoria precisa, alla stregua dei vocaboli contenuti in un dizionario. Per rappresentare graficamente un sistema di preferenze lessicografiche e per mostrare come con esse perda completamente di significato il concetto stesso di curva di indifferenza, nella figura A1.3 misuriamo lungo l’asse delle ordinate le esecuzioni di opere di Mozart possedute dal soggetto e lungo quello delle ascisse quelle di altre opere liriche. Sia x il paniere di consumo iniziale del nostro soggetto, per cui egli dispone di una quantità di musica di Mozart pari ad OA e di una quantità di “altra musica” pari ad OB. Musica di Mozart y A m z x n w s O B Altra musica Figura A1.3 - Preferenze lessicografiche In base al suo sistema di preferenze lessicografiche, qualunque punto al di sopra della linea tratteggiata che passa per x è preferito al paniere x, giacché contiene più musica di Mozart, cioè del bene di cui il soggetto vuole comunque massimizzare il consumo, a prescindere dalla quantità di altra musica. Analogamente, x sarà comunque preferito a qualunque paniere che giace al di sotto della retta tratteggiata: anche, ad esempio, ad un paniere quale w: quest’ultimo, infatti, pur contenendo una quantità assai maggiore di altra musica, contiene comunque un po’ meno Mozart. Ancora, lungo la semiretta tratteggiata, cioè data la quantità OA di musica di Mozart, il principio di non sazietà ci dice che il consumatore preferirà comunque avere una quantità maggiore di altra musica, per cui si avrà, ad esempio, che xPm ed nPx: vale a dire, x sarà preferito a qualunque punto della semiretta a sinistra di x, mentre qualunque punto alla sua destra sarà preferito ad x. La conclusione è che, per qualunque generico punto g del piano diverso da x (e, dunque, per qualunque generico paniere di consumo che esso rappresenta), si avrà che o che gPx o che xPg: non esiste, dunque, nessun paniere che risulti indifferente ad x, per cui non è definibile alcuna curva di indifferenza. 41 Non sorprende che le preferenze lessicografiche possono assumere una certa rilevanza proprio in campo agroalimentare, soprattutto in situazioni di malnutrizione, dovute a povertà o carestie. Infatti in tal caso, mutatis mutandis, il consumo di generi alimentari - soprattutto quello corrispondente alla soglia minima di sussistenza potrebbe avere il ruolo assunto nel nostro esempio dalla musica di Mozart, anche se a prima vista un tale accostamento può sembrare paradossale: infatti, come un appassionato di Mozart può essere disposto a rinunciare a qualunque quantità di altra musica pur di accrescere le esecuzioni di Mozart presenti nella propria collezione, così spostandosi ad un caso in cui il ventaglio di scelte non sia limitato al tipo di musica - un consumatore povero e malnutrito può ritenere comunque preferibile ogni paniere che contenga quantità maggiori di cibo rispetto a quelle di partenza, prescindendo dalle quantità di “altri beni” in esso presenti. 6)Convessità: tale postulato riguarda la forma delle curve di indifferenza, la quale deve essere tale che esse risultino convesse verso l’origine degli assi. Ciò equivale a dire che la pendenza delle curve di indifferenza deve essere decrescente da sinistra verso destra. Come si ricorderà, la pendenza delle curve di indifferenza tra due beni x ed y, non è altro che il saggio marginale di sostituzione Δy/Δx. Il fatto che esso debba risultare decrescente, dunque, impone che, muovendosi dal punto A al punto B della figura A1.4, per compensare una analoga riduzione del consumo di y (Δy) e rimanere, dunque, sulla stessa curva di indifferenza, sono necessari aumenti (Δx) via via maggiori della quantità consumata del bene x. Ciò significa, in altre parole, che l’utilità marginale del bene x tende a decrescere all’aumentare del suo consumo complessivo, così come, al contrario, l’utilità marginale del bene y aumenta al diminuire del consumo totale di y. Bene y A Δy Δy Δy B Δx 1 Δx 2 Δx 3 Bene x Fig. A.1.4 - Convessità delle curve di indifferenza Anche il postulato di convessità rappresenta una restrizione non banale, giacché non è difficile pensare a beni per i quali l’aumento del consumo procura una soddisfazione aggiuntiva via via crescente: si possono citare, al riguardo, tutti quei casi - come il buon vino o la buona musica - in cui la capacità del consumatore di apprezzare le caratteristiche del bene crescono con l’aumentare delle occasioni di consumo; oppure a beni - quali alcol, droga, tabacco - che procurano crescente assuefazione. Va detto, tuttavia, che si tratta di casi in cui sarebbe violato anche il postulato di staticità ed esogenità delle preferenze, giacché in essi si prevede una modifica endogena delle preferenze, in quanto conseguente a scelte di consumo precedenti da parte dell’individuo.