Il problema dell`imputabilità della donna tra Otto e Novecento

Dossier – Il problema dell’imputabilità della donna tra Otto e Novecento
Il problema dell’imputabilità della donna
tra Otto e Novecento
© 2010 - Giuseppina De Giudici per “Donne e Diritti”
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Dossier – Il problema dell’imputabilità della donna tra Otto e Novecento
Giuseppina De Giudici
Il problema dell’imputabilità della donna tra Otto e Novecento
"Egli è certo dietro le osservazioni dei fisiologi,
che gli organi della generazione hanno molta
influenza su quelli che servono all'intelletto. Nelle
femmine la midolla spinale è più debole e delicata
che non lo è nei maschi. Quindi han quelle più
deboli le forze dello spirito e più fermi i mezzi di
acquistare le idee fornite loro dalla natura. Ciò
posto il sesso femminile è pure una giusta causa
perchè il delitto venga all'agente meno imputato".
G. Carmignani, Elementi di diritto criminale,
(1808), tr.it. dal latino, Napoli 1854, p. 56.
La questione dell’imputabilità della donna si pose all’ordine del giorno tra Otto e Nocevento,
allorché quella che usualmente viene definita Scuola positiva cominciò a mettere in discussione la
validità dei metodi di studio della Scuola classica di diritto penale.
Il nuovo indirizzo, pur senza disconoscere l’importanza dei risultati conseguiti attraverso la
sistematizzazione della categoria del reato e della pena, promuoveva un integrale ripensamento del
diritto penale e delle sue finalità. Dal giurista, invitato ad allargare il proprio spettro di indagine, si
attendeva ora anche un attento esame delle ragioni personali e sociali del delitto e dei “fattori della
criminalità”.
Nel complesso, il diritto penale tendeva ad essere trasformato in un capitolo della sociologia
criminale, secondo quanto auspicato da Enrico Ferri.
L’attenzione si incentrava, infatti, sul delinquente e sulla sua pericolosità e si avvertiva la necessità
di predisporre sanzioni adeguate alla personalità del soggetto e al riadattamento del delinquente;
l’oggettività schematica e astratta del reato veniva perciò ad assumere una posizione in qualche
misura defilata.
La forza dirompente della Scuola positiva si esprimeva nella tensione tra “vecchio” e “nuovo” ed
era scontato che il nuovo fosse rappresentato dalla necessità di ridiscutere i parametri di una
scienza, quale quella del diritto penale, che si allargava grazie a conoscenze e competenze prima
sconosciute o non sviluppate.
La medicina, la biologia, la sociologia, l’antropologia, offrivano elementi di riflessione raccolti
dal giurista che si trovava a fare i conti con categorie e strumenti di lavoro sino ad allora inediti.
Quanto al tema dell’imputabilità femminile, c’è da dire che esso non era rimasto del tutto
inesplorato, ed anzi era stato ripreso in tempi recenti da Filippo Maria Renazzi nell’opera Synopsis
elementorum juris criminalis (1804) e da Giovanni Carmignani negli Elementa Juris criminalis
(1808). Nel complesso, però, esso meritava di essere discusso e approfondito.
Tra l’altro, ora, sembrava possibile perfino riuscire a dimostrare la minorità muliebre grazie a
precisi riscontri fisiologici. I risultati delle indagini di laboratorio, infatti, parevano supportare
l’ipotesi di una differenza fisiologica delle femmine che si traduceva in termini di inferiorità. Si
poteva dimostrare, ad esempio, che il cervello della donna aveva un peso minore rispetto a quello
dell’uomo e questo bastava per accreditare l’idea della diversità, strutturale oltre che funzionale, tra
uomo e donna.
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D’altronde, era forse la ricerca di coerenza all’interno dell’ordinamento normativo a richiedere
gli sforzi dei giuristi: dal diritto costituzionale al diritto privato le femmine erano collocate in una
palese condizione di inferiorità, testimoniata dall’esclusione dall’elettorato attivo e passivo e dalle
limitazioni alla capacità d'agire.
Il tema dell’imputabilità esulava evidentemente dalla semplice sfera penale: era in discussione
l’intero ruolo della donna entro la rete di rapporti familiari, sociali, ed eventualmente nel mondo del
lavoro.
Accertata la “debolezza” del sesso femminile ci si dovette domandare se la donna fosse in grado
di raggiungere una completa maturità psico-fisica. Era un interrogativo che incideva sull’ulteriore
questione della pienezza o meno della coscienza di offendere, posto che questa poteva essere
inficiata dall’incapacità di intendere il pieno valore etico-sociale delle proprie azioni o essere
condizionata dall'influsso di fattori interni (fisici o morali) o esterni.
Partendo dalla fisiologia del corpo femminile e dalle sue implicazioni emotive e
comportamentali si approdò al tema che divenne centrale: quello del difficile rapporto tra
imputabilità e libero arbitrio con tutte le implicazioni relative alla determinazione dei fattori
influenti sulla volontà umana e alla graduazione del livello di libertà di azione dei soggetti.
Il nesso tra libero arbitrio e imputabilità divenne tanto rilevante da generare l’idea che tra le due
Scuole si fosse aperto un divario che poteva essere espresso come contrasto tra determinismo e
libero arbitrio, tra metodo tecnico-giuridico e sociologia criminale.
La Scuola positiva, infatti, rigettava il postulato del libero arbitrio per affermare il principio del
determinismo causale. Da qui l’idea del reato, inteso non più come ente giuridico, ma come fatto
umano, come manifestazione dell’apparato bio-psicologico del delinquente ed espressione di una
pericolosità innata o acquisita incolpevolmente. Ciò spiega perché si preferisse adoperare
l’espressione “pericolosità sociale”, piuttosto che “imputabilità”, “volontà colpevole” o
“responsabilità morale”.
Con l'affermarsi del metodo di indagine induttivo-sperimentale, la Scuola positiva pensava alla
difesa sociale attraverso la fiduciosa ricerca di un equilibrio fra garanzie individuali e garanzie
sociali. D’altra parte, il meccanicismo insito nel principio di causalità permetteva di considerare
come consequenziali fenomeni fisici e psichici, individuali e sociali.
In ciò risiedevano anche i principali difetti riconosciuti alla Scuola positiva: le schematizzazioni
deterministiche portavano inesorabilmente ad una sorta di deresponsabilizzazione del delinquente, il
che metteva in ombra garanzie di legalità e di certezza mentre faceva prevalere la difesa sociale.
Il continuo confronto tra la Scuola criminale positiva e la Scuola classica determinò l’affermarsi
di “altre” Scuole e di tendenze eclettiche, cui afferivano coloro che non si riconoscevano né
nell’uno né nell’altro indirizzo.
Ad esempio, il Carnevale e l’Alimena rientrano tra gli assertori del Positivismo critico, un
indirizzo che promuoveva l’idea dell’allargamento del diritto penale al diritto criminale e, dunque,
ai mezzi di difesa della società e dei consociati dagli autori - imputabili o meno - di comportamenti
previsti dalla legge come reati.
Nello stesso tempo essi prendevano le distanze dal classicismo penale, giudicato eccessivamente
filosofico, e dalla propensione, propria del Tecnicismo giuridico, ad assumere metodi, forme e
modelli di altre discipline giuridiche, e facevano valere l’autonomia del diritto criminale di fronte
alle implicazioni antropo-sociologiche. Non era più tempo di commistioni tra diritto penale e
criminale, da un lato, e scienze mediche, biologiche, sociologiche e antropologiche, dall’altro lato.
In fin dei conti si chiedeva la connessione del diritto penale e criminale con l’uomo e la società,
senza rinunciare però al rigore del giurista e senza cadere nella trappola rappresentata dal problema
insolubile della determinazione del fondamento del libero arbitrio. A tal proposito, si manteneva
fermo il concetto di “responsabilità morale”, mentre si prendevano le distanze da quello di
“pericolosità sociale” di stampo positivista.
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Le posizioni di questa Scuola portarono alla creazione di un rapporto dicotomico tra
responsabilità individuale-pena retributiva e responsabilità sociale-misure di sicurezza. Ciò derivava
dall’edificazione dei canoni del diritto penale sulla responsabilità del fatto commesso con volontà
colpevole e sull'imputabilità, a sua volta fondata non sul postulato del libero arbitrio, bensì sui
concetti di salute mentale e di normalità (principio del «determinismo psicologico»).
Sciogliere il nodo gordiano costituito dal problema del libero arbitrio non fu facile. Una parte dei
criminalisti tra fine Ottocento e Novecento volle fondare l'imputabilità su basi empiriche. Oltre alla
tesi della normalità, furono così proposte quella dell'identità personale e dell’intimidabilità. Tutte
risultarono però insoddisfacenti per via della confusione operata tra i presupposti dell'imputabilità e
i criteri per il suo accertamento.
L’accostamento tra normalità e imputabilità portava a presupporre nell’individuo sano e maturo
la presenza delle normali facoltà di autodeterminazione: dal concetto di normalità, certamente
difficile da afferrare nella sua intima essenza, rimanevano, però, esclusi i delinquenti abituali e
professionali con anomalie psichiche.
Secondo la teoria dell'identità personale (Tarde, Sabatini), era imputabile l’autore di atti in cui
costui si poteva riconoscere: è opinabile, però, che gli atti compiuti da infermi di mente potessero
essere considerati come esternazione della loro personalità.
La teoria dell'intimidabilità (Impallomeni, Vannini, Alimena), presentava la propria fragilità,
invece, nel legame tra imputabilità e capacità di essere intimorito dalla minaccia di una sanzione,
dato che anche i bambini e i malati di mente subiscono, entro certi limiti, l'efficacia intimidatrice
dei castighi.
Interessanti furono poi le idee in materia penale diffuse dal Socialismo giuridico, un indirizzo
sviluppatosi nel trentennio compreso tra il 1880 e il 1910 che premeva verso lo sviluppo di una
maggiore sensibilità del diritto penale nei confronti delle lotte di classe. Il che avveniva
naturalmente in un contesto storico-politico segnato da lotte sindacali e nascita del movimento
operaio. Di rilievo sono gli scritti di Turati, Il delitto e la questione sociale (1883), Florian,
Ingiustizie sociali del codice penale (1896) e Zerboglio La lotta di classe nella legislazione penale
(1896).
Il Socialismo giuridico non fu in grado di formulare proposte efficaci, atte a superare le
ingiustizie sociali e il carattere classista del diritto penale dell’età liberale. Per tale motivo non potè
resistere alla diffusione del nuovo indirizzo, il Tecnicismo giuridico, che connoterà l'impostazione
dogmatica del Codice Rocco (1930).
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Sezione Materiali
A) Positivismo giuridico e principali classificazioni sull’imputabilità
Le principali classificazioni compiute dalla dottrina sulle cause influenti sull’imputabilità furono
le seguenti:
cause che influiscono sull’intelletto e cause che escludono o diminuiscono la libertà. Le prime a
loro volta furono distinte in cause fisiche o fisiologiche (come l’età, il sesso, l’alienazione mentale,
il sonno, il sonnambulismo, il sordomutismo) e in cause morali e ideologiche (come l’ignoranza e
l’errore). Tra le seconde si indicarono la coazione, l’impeto degli affetti e delle passioni e
l’ebbrezza.
cause dirimenti e diminuenti, cause giustificanti e cause scusanti. Le prime (dirimenti e
diminuenti) concernevano la capacità di volere e di intendere ed erano tali da esimere dalla
responsabilità o da diminuirla (come l’età, l’alienazione mentale, lo stato di necessità, la legittima
difesa, l’ebbrezza). Le cause giustificanti concernevano il diritto e il dovere dell’agente di compiere
l’atto, nel senso che chi agì lo fece in conformità ad una norma contingente, prevalente sulla norma
penale (come l’esecuzione di legge o l’ordine dell’autorità). Le altre scusanti si riflettono sul
momento del delinquere (come l’impeto degli affetti, le cause d’onore).
cause che escludono o diminuiscono l’imputabilità (dirimenti e attenuanti, come l’età, l’infermità
di mente, il caso fortuito, la forza maggiore, l’ignoranza, l’errore, l’ubriacchezza, le attenuanti
generiche) e cause che escludono o diminuiscono la responsabilità (esimenti e scusanti come
l’esecuzione della legge o dell’ordine dell’autorità, la legittima difesa, lo stato di necessità la
provocazione).
B. Imputabilità: le soluzioni previste nel Codice Zanardelli
Il Codice Zanardelli non contemplava la differenza di sesso come fattore influente di per sé
sull'imputazione. Peraltro, il Codice (libro I, titolo IV, Della imputabilità e delle cause che la
escludono o la diminuiscono) sorvolava sulla definizione delll’imputabilità, che invece troviamo
configurata nell’art. 85 del codice vigente. Allo stesso modo, il codice del 1889 non definiva il dolo,
la colpa o gli altri titoli di imputazione dell’evento o del fatto.
Il problema dell’imputabililità era impostato sulla volontarietà del fatto; erano poi precisate le
circostanze dirimenti e diminuenti. Così, il legislatore del 1889 distingueva tra fatti conformi ad una
fattispecie criminosa commessi da un soggetto capace di intendere e volere - cioè nel pieno
possesso della «coscienza e libertà dei proprii atti», conformemente al dettato dell’art. 46 - e fatti
commessi da un soggetto che senza colpa versasse in uno «stato di infermità di mente» gravemente
lesivo di quelle capacità.
L’art. 59 del Codice Zanardelli, infine, a differenza di quanto stabilito dal Codice Rocco,
contemplava attenuanti generiche.
Art. 45: Nessuno può essere punito per un delitto se non abbia voluto il fatto che lo costituisce,
tranne che la legge lo ponga altrimenti a suo carico, come conseguenza della sua azione od
omissione.
Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione, ancorché non si
dimostri ch’egli abbia voluto commettere un fatto contrario alla legge.
Art. 46: Non è punibile colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di
infermità di mente da togliergli la coscienza e la libertà dei proprii atti.
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Il giudice nondimeno, ove stimi pericolosa la liberazione dell’imputato prosciolto, ne ordina la
consegna all’Autorità competente per i provvedimenti di legge.
Art. 59: oltre le diminuzioni di pena espressamente stabilite dalla legge, se concorrono
cirsostanze attenuanti in favore del colpevole, all’ergastolo è sostituita la reclusione a trent’anni, e
le altre pene sono diminuite di un sesto.
C.
Nelle opere dei penalisti tra fine Ottocento e inizio Novecento distinguiamo coloro che
sostengono la piena uguaglianza giuridica tra uomini e donne in campo penale da coloro che
suggeriscono una minore o diversa imputabilità per le donne. Vi è anche la posizione intermedia di
chi, deprecando l’ipotesi della creazione di un doppio diritto penale, consigliava di ricorrere per le
donne ad una semplice attenuazione di pena.
Lo spoglio compiuto sulle opere di seguito riportate ha permesso di distinguere tra:
coloro che negano la diminuzione di imputabilità per la donna:
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Carrara Francesco, Programma del corso di diritto criminale. Parte generale, Lucca, 1860.
Manzini Vincenzo, Trattato di diritto penale italiano, Milano-Torino-Roma, 1908.
Rossi Pellegrino, Trattato di diritto penale, nuova trad. it. con note e addizioni dell’avv.
Enrico Pessina, Torino, 1853.Tuozzi Pasquale, Corso di diritto penale secondo il vigente
codice d’Italia esposto nell’Università di Napoli, 3 ed., Napoli, s.d.
e coloro che ammettono in generale la diminuzione di imputabilità per la donna:
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Alimena Bernardino, I limiti e i modificatori della imputabilità, Torino 1896.
Bacaredda Ottone, La donna di fronte alla legge penale, Cagliari, 1877.
Bonneville de Marsangy Arnould, De l'amelioration de la loi criminelle en vue d'une justice
plus prompte, plus efficace, plus genereuse et plus moralisante, Paris, s.d.
Bonneville de Marsangy Arnould, Etude sur la moralité comparée de la femme et de
l’homme, Paris, 1862.
Bovio Giovanni, Saggio critico di diritto penale, Napoli, 1872.
Campione Francesco, Dalla femmina alla donna, Torino 1925
Canonico Tancredi, Del reato e della pena in genere. Memorie delle lezioni, Torino, 1872.
Carmignani Giovanni, Juris criminalis elementa, Pisis, 1833-1834.
Carmignani Giovanni, Teoria delle leggi sulla sicurezza sociale, Pisa, 1831-1832.
De Tilla Alfredo, La donna e la responsabilità penale, Napoli, 1890.
Del Vecchio Giuseppe, Il soggetto del reato nel diritto positivo vigente e nel progetto
"Rocco", Milano, 1930.
Ellero Pietro, Della minore responsabilità penale delle donne, in Idem, Opuscoli criminali,
Bologna, 1874, pp. 87-99.
Puglia Ferdinando, Le donne delinquenti e la legge penale, in "La Scuola Positiva nella
giurisprudenza penale", III, 1893 (contrario in linea generale ad una minore imputabilità
delle donne, ammetteva la "concessione di circostanze attenuanti o minoranti della
responsabilità penale delle donne)
Fera Benedetto, La donna e la sua imputabilità in rapporto alla fisiologia e patologia del
suo apparato genitale, con prefazione dell'on. prof. Enrico Ferri, Roma, 1913.
Niceforo Alfredo, La delinquenza in Sardegna: note di sociologia criminale con prefazione
di Enrico Ferri, Palermo, 1897.
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Pitzolo Girolamo, Della imputabilità e specialmente delle cause che scusano in riguardo
all’affetto. Saggio, Sassari, 1866.
Spangenberg Ernst, Del sesso femminile considerato relativamente al diritto e alle
legislazioni, in Scritti germanici di diritto criminale raccolti da F.A. Mori, Livorno, 1846.
riservano al prudente arbitrio del giudice la valutazione concreta sulla imputabilità delle donne:
• Napodano Gabriele, Il diritto penale italiano, Napoli, 1895 (egli precisa peraltro che il
codice italiano non riconosce al sesso femminile una cagione che scema l’imputabilità, ma
una causa che mitiga l’esecuzione della pena (art. 23) per “pudore” e a causa della “gracilità
della fibra”, p. 101).
sul problema della responsabilità della donna si segnala :
• Mecacci Ferdinando, Trattato di diritto penale, Torino, 1901-1902.
tra i trattati di criminologia si segnalano:
• Botti Ettore, La delinquenza femminili a Napoli, Napoli, 1904.
• Ferri Enrico, Studi sulla criminalità ed altri saggi, Torino, 1901.
• Mellusi Vincenzo, Donne che uccidono, Torino, 1924.
• Palmieri Vincenzo Mario, voce Donna (fasi sessuali), in Eugenio Florian – Alfredo
Niceforo – Nicola Pende, Dizionario di criminologia per opera di numerosi autori, I,
Milano, 1943, pp. 270-272.
tra le opere di rilievo in tema di: medicina legale, fisiologia, fisiopatologia, anatomia, psichiatria,
sociologia e di storia delle donne, si segnalano:
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medicina legale
Briand Joseph, Manuale completo di medicina legale, trad. con note ed aggiunte di V.
Piccaroli e G. Novati, Pavia, 1823.
Devergie Marie Guillaume Alphonse, Medicina legale teorica e pratica, con riscontri e
annotazioni di G. B. F. Dehaussy de Robecourt (prima vers. italiana a cura di G. Coen),
Venezia, 1839-1840.
Morache G., Grossesse et accouchement, étude de socio-biologie et de médecine légale, F.
Alcan, Paris, 1903.
Pellegrini Rinaldo, Trattato di medicina legale e delle assicurazioni sociali, Padova 1932.
Ziino Giuseppe, La fisio-patologia del delitto, Napoli-Roma-Palermo, 1881.
fisiologia, fisiopatologia, anatomia e psichiatria
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Altavilla Enrico, Psicologia giudiziaria, con prefaz. di Enrico Ferri, 2° ed., Torino, 1927.
Bossi Luigi Maria, Isterismo e ginecologia: crimini psichiatrici della Kultur, Luisa di
Coburgo, Milano, 1917.
Colajanni Napoleone, La sociologia criminale. Appunti, Catania, 1889.
De Sanctis Sante-Ottolenghi Salvatore, Trattato pratico di psicopatologia forense per uso
dei medici, giuristi e studenti, Milano, 1920.
Ferrariani Lino, Madri snaturate (studio psichico giuridico), Milano, 1893.
Jaccoud Sigismond, Trattato di patologia interna, Napoli, 1885.
Lombroso Cesare, Ferrero Guglielmo, La donna delinquente, Torino, 1927.
Lussana Filippo, Fisiologia della donna, Padova, 1868.
Minichini Domenico, Elementi di fisiologia umana, 2° ed., Napoli, 1832.
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Moebius Paul Julius, L’inferiorità mentale della donna (1900), introduz. di F. Ongaro,
Torino, 1978.
Venturi Silvio, Le degenerazioni psico-sessuali (nella vita degli individui e nella storia delle
società), Torino, 1892.
sociologia e storia delle donne
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Comte Auguste, Principes de philosophie positive, precedes de la preface d'un disciple par
E. Littre, Paris, 1929.
Ferri Enrico, Sociologia criminale, 4° ed., Torino, 1900.
Legouvé Ernest, Histoire morale des femmes, Paris, 1849.
Poli Baldassare, Sull’impunibilità penale dell’affetto e della passione: nota, Milano, 1875.
Weininger Otto, Sesso e carattere. Una ricerca di base (1903), introduz. di F. Rella, trad. di
G. Fenoglio, Milano, 1978.
tra le opere composte da donne - in contesti storici, politici e geografici del tutto differenti –
si segnalano:
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De Gouges Olympe, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791), trad. it.
di A. Lo Monaco, Genova, 2007 (l’autrice rivendicava il diritto delle donne di essere punite
come gli uomini).
Benetti-Brunelli Valeria, La donna nella legislazione italiana, Roma, 1908 (si dichiarava a
favore di una minore responsabilità della donna per via delle condizioni di dipendenza in cui
era stretta).
Druskowitz Helene (von), Sono possibili la responsabilità e l'imputabilità senza supporre il
libero arbitrio? (1887), tr.it. di M.G. Mangione, in Una filosofa dal manicomio, Roma 1993,
pp. 5-32 (in ordine al dilemma tra determinismo e libero arbitrio).
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