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Carla Perria
Sul finire dell’epidemia da virus influenzale H1N1 si tenta di fare un
bilancio sostenibile fra dubbi, incertezze, clamorosi guadagni delle
industrie produttrici del vaccino e inquietante sfiducia nelle istituzioni
sanitarie da parte dell’opinione pubblica. Il risultato è un insieme di
luci e ombre che obbliga tutti ad un rigoroso esame di coscienza.
I dati relativi alla diffusione dell’infezione da virus H1N1 in Italia e nel mondo
indicano che, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’epidemia che per mesi ha tenuto
con il fiato sospeso milioni di persone, volge al tramonto, lasciandosi alle spalle
molti dubbi e incertezze sull’appropriatezza delle decisioni assunte nel nome della
difesa della salute delle popolazioni. Si apre così il capitolo del bilancio di fine
missione, doverosa parentesi di consapevolezza e coscienza, per il quale questo
contributo, nel riassumere alcuni passaggi di questa vicenda, intende fornire
elementi di riflessione che ciascun lettore può elaborare in modo autonomo.
Innanzitutto alcuni brevi dati epidemiologici. Il Sistema di Sorveglianza Nazionale
delle Sindromi influenzali (Influnet), che raccoglie le segnalazioni dei quadri clinici
influenzali provenienti da un campione di medici di famiglia, stima che si siano
verificati circa 5 milioni di casi di sindrome influenzale da virus H1N1 (influenza
suina) a partire dall’inizio della sorveglianza (settimana dal 19 al 25 ottobre). I dati di
incidenza ci dicono che la fascia di età più colpita è stata quella pediatrica e che la
curva epidemica ha raggiunto il picco intorno alla metà del mese di novembre,
raggiungendo un valore (circa 13 casi per 1000 assistiti dei medici di famiglia) superiore a
quello toccato nelle precedenti stagioni influenzali, tranne in quelle del 2002-2003 e
2004-2005, quando è stato osservato il livello maggiore di incidenza mai raggiunto negli
ultimi dieci anni. I dati ci dicono anche che nelle settimane di picco si è registrato un netto
incremento degli accessi in Pronto Soccorso per sindrome respiratoria acuta, che tuttavia
non si è tradotto in un aumento corrispondente del numero dei ricoveri ospedalieri per la
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stessa causa, e che in totale si sono verificati 241 decessi in tutta Italia, di cui più
dell’80% dei soggetti deceduti presentava gravi patologie concomitanti[1]. Questi
dati di sostanziale benignità dell’infezione erano in qualche modo stati preannunciati
dall’andamento dell’epidemia da influenza suina nell’emisfero sud, che si è verificata
nell’estate del 2009. In Australia ci sono stati 172 morti accertati su una popolazione
di quasi 22 milioni di persone e poco più di 4600 ricoveri ospedalieri[2]. Questo
numero di decessi è stato di molto inferiore alle previsioni e così è accaduto anche per gli
altri paesi che hanno sperimentato la malattia nella trascorsa stagione. Dando una rapida
occhiata ai dati delle precedenti pandemie ci troviamo di fronte al seguente quadro
riepilogativo: 1918-1919: influenza spagnola, causata dal ceppo H1N1, da 50 a 100 milioni
di morti, soprattutto in India; 1957-1958: influenza asiatica, ceppo H2N2, da 1 a 2 milioni di
decessi; 1968-1969: influenza Hong Kong, ceppo H3N2, meno di 1 milione di morti; 2009:
influenza suina A, ceppo H1N1, circa 15.300 vittime dall’aprile dell’anno scorso.
Il focus sulla situazione epidemiologica in Italia si completa con i dati di copertura della
vaccinazione contro il virus dell’influenza suina con il nuovo vaccino Focetria® prodotto
dall’azienda farmaceutica Novartis e autorizzato con procedura centralizzata europea dalla
Commissione europea in data 29 settembre 2009. Nelle sottopopolazioni indicate dalle
Circolari ministeriali come target ottimale dell’intervento a oggi in tutto sono state
somministrate in Italia poco più di 850.000 dosi di vaccino e la copertura del
personale sanitario, che era considerato uno degli obiettivi cardine del programma,
ha raggiunto appena il 15%. L’ultimo tassello di questa breve riflessione sui dati riguarda
il fatto che la circolazione del virus H1N1 ha praticamente soppiantato quella dei virus
influenzali cosiddetti epidemici, ricorrenti ogni anno, riducendo di molto anche il carico di
malattia dovuto all’epidemia stagionale che questo anno, di fatto, non si è verificata, forse
anche grazie a un meccanismo di immunizzazione crociata.
Alla luce di questa breve analisi emerge, da una parte, il ritratto di una infezione
ampiamente controllabile, che invece era stata dipinta come un vero e proprio
pericolo per le sorti dell’umanità, e che forse avrebbe richiesto una maggiore
cautela nell’esercizio del potere da parte degli organi decisionali sanitari, e
dall’altra, dato forse più eclatante e imprevisto, una carenza di fiducia negli organi
decisionali stessi da parte della popolazione, sfiducia che si è espressa in un uso
pressoché irrisorio del rimedio potenzialmente più efficace, e cioè il vaccino.
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Notevoli perplessità sull’opportunità di intraprendere una vaccinazione di massa,
anche per l’esiguità della documentazione di efficacia dovuta ai tempi strettissimi
dedicati alle procedure di autorizzazione del vaccino, sono state avanzate da
comunità scientifiche indipendenti e da illustri esponenti della sanità pubblica
mondiale fin dalla comparsa delle prime dosi sullo scenario dell’epidemia. I governi
europei si sono affrettati ad accaparrarsi il maggior numero di dosi possibili,
sottoscrivendo con le case farmaceutiche contratti milionari, il più delle volte celati
all’opinione pubblica per motivi di riservatezza. In questo modo le aziende produttrici
si sono assicurate consistenti guadagni, anche attraverso clausole che le esoneravano dalla
maggior parte di rischi finanziari. Solo la Polonia, attraverso una dichiarazione del
Ministro della Sanità, ha esplicitamente denunciato il tentativo di manipolazione
dell’industria che si nascondeva dietro l’obiettivo di proteggere la salute della
popolazione.
A campagna vaccinale inoltrata, il tedesco Wolfgang Wodarg, già presidente della
Commissione sanità del Parlamento europeo, si è fatto promotore di una mozione che
obbliga l’OMS a rispondere a una Commissione di inchiesta, istituita dal Consiglio d’Europa,
l’organismo di 47 Stati membri con sede a Strasburgo, in merito alla correttezza e alla
trasparenza del procedimento di gestione dell’emergenza pandemica a livello
mondiale, in particolare sulle circostanze che hanno portato alla dichiarazione di
pandemia (fase massima di allerta nel campo delle emergenze biologiche), avvenuta l’11
giugno del 2009 [3].
In merito a questo ultimo punto verranno poste all’attenzione della Commissione le
motivazioni alla base del cambiamento della definizione di pandemia influenzale, avvenuto
intorno ai primi di maggio 2009, in particolare per quanto concerne la scomparsa
improvvisa del criterio di gravità (elevata morbosità e mortalità) dalla definizione
di pandemia. In altre parole è stato adottato solo il criterio della diffusione planetaria del
virus, escludendo quello della rilevanza in termini di impatto sulla salute, con il risultato di
abbassare la soglia di emergenza e determinare l’esplosione di richieste di un nuovo
miracoloso vaccino da parte dei governi[4]. Il gruppo che supporta il Direttore generale
dell’OMS nelle decisioni riguardanti gli interventi di immunizzazione (SAGE: Strategic
Advisory Group of Experts on Immunization) è costituito da esperti di cui sono noti nomi ed
affiliazioni, e che hanno dichiarato eventuali conflitti di interesse, sia di tipo professionale
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che finanziario. Non altrettanto così sembra che abbiano fatto gli appartenenti a una
ristretta cerchia di 18 consiglieri del Direttore generale, che va sotto il nome di Comitato
per le Emergenze, e che orienta le decisioni in merito proprio alle dichiarazioni di stato di
emergenza di carattere internazionale in varie aree della sanità pubblica, la cui identità è
invece coperta da segreto[5].
Le aree grigie di questa vicenda sono a dir poco numerose, a partire da quanto
successo a La Gloria, in Messico, focolaio iniziale della pandemia, e dalla scarsa chiarezza
riguardante le gravi sindromi respiratorie che colpirono la popolazione locale nella
primavera dello scorso anno, per continuare con l’evidente incoerenza tra l’incertezza della
situazione, denunciata più volte dalla stessa OMS, e il decisionismo e la sicurezza
manifestati nella corsa alla produzione e all’approvvigionamento del vaccino, per il quale si
sarebbero dovute attentamente valutare le conseguenze in termini di costo-beneficio. E per
finire con le ombre che si sono andate progressivamente addensando
sull’indipendenza dell’OMS, che da qualche tempo si avvale per il suo
sostentamento di ingenti somme provenienti da finanziamenti privati e non da
fondi pubblici[6].
L’ultimo capitolo di questa vicenda è quello amaro del bilancio fra gli investimenti
intrapresi e i risultati ottenuti, rappresentato dal flop della vaccinazione di massa e
dalla mole di vaccini rimasti inutilizzati. Il contratto di vendita-acquisto, stipulato
il 21 agosto 2009 dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e
dalla Novartis, produttrice del vaccino contro l’influenza A, di 24 milioni di dosi, ha
determinato un costo complessivo per lo Stato di 184.800.000 euro[7]; in Svizzera di
13 milioni di dosi acquistate dalla Confederazione solo 3 milioni sono state distribuite ai
Cantoni e di queste solo una parte impiegate. La spesa è stata di 84 milioni di franchi, senza
contare i costi di tutto il programma di prevenzione [8]. Lo stesso dicasi anche per Francia,
Germania e Gran Bretagna che sono state costrette ad attivare trattative per trovare il modo
di diminuire le scorte di vaccino, a causa della scarsa richiesta, enormemente inferiore alle
previsioni.
Il problema dei vaccini inutilizzati ha aperto le porte alla solidarietà, nel senso che, essendo
praticamente la totalità dei vaccini stata acquistata dai paesi ricchi sia direttamente che,
indirettamente, attraverso le Organizzazioni mondiali, numerosi governi hanno deciso di
donare i vaccini ai paesi più poveri, principalmente quelli dell’Est per quanto riguarda
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l’Europa. In tal senso, L’OMS ha accolto molto positivamente il gesto della GlaxoSmithKline,
che ha donato 50 milioni di dosi di vaccino pandemico H1N1 ai 95 stati che non possono
permettersi l’acquisto del vaccino [9].
A questo punto sorge spontanea una domanda a dir poco inquietante sotto il profilo
dell’etica: può essere chiamata solidarietà la donazione di vaccini che non sono
serviti a proteggere la salute dei paesi ricchi, i quali li avrebbero senza dubbio
utilizzati in presenza di un rischio concreto? In altre parole chi si sarebbe
preoccupato di proteggere i paesi poveri se l’emergenza pandemica fosse stata non
solo annunciata ma realmente sperimentata?
Bibliografia
Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute – Istituto
Superiore di Sanità. FluNews, Aggiornamento epidemiologico settimanale N.19, 1-7 marzo
2010.
Australian Government, Department of Health and Ageing. Australian Surveillance Influenza
Summary Report, N. 19, 2009.
Council of Europe. Extracts of statements made by the leading participants at apublic
hearing of the Committee on Social, Health and FamilyAffairs of the Parliamentary
Assembly of the Council of Europe(PACE) in Strasbourg on Tuesday 26 January 2010.
WHO e la definizione di pandemia
Pandemic WHO = Big Pharma? Attenti alle bufale, 21.12.2009.
McCoy D Chand S Sridhar D. Global health funding: how much, where it comes from and
where it goes. Health Policy and Planning 2009;24:407-417.
Contratto di fornitura di vaccino contro l’influenza A H1N1. Attenti alle bufale,
15.02.2010 [PDF: 1,42 Mb].
Swissinfo.ch. Pandemia H1N1: panico ancora una volta inutile .
WHO. Agreement for donation of pandemic H1N1 vaccine signed. Statement 10 November
2008.
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