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Arbitrato e mediazione
Arbitrato
L’ammissibilità dell’arbitrato
irrituale alle controversie con la
pubblica amministrazione
di Fabio Giuseppe Angelini e Eugenio Sigona (*)
La presente disamina, lungi dal voler rappresentare una trattazione esaustiva del complesso tema dell’applicabilità dell’arbitrato alle controversie con la pubblica amministrazione, soffermandosi su alcuni aspetti
teorico-pratici meritevoli di particolare attenzione alla luce delle nuove esigenze del settore pubblico concernenti la cura degli interessi pubblici e la tutela degli interessi finanziari della collettività, intende fornire
al lettore alcuni spunti interpretativi in ordine all’individuazione dei confini di ammissibilità dell’arbitrato rituale e irrituale in relazione alle vertenze concernenti interessi legittimi e diritti soggettivi.
Cenni introduttivi sul riparto di
giurisdizione e sulla capacità di diritto
privato della pubblica amministrazione
La compromettibilità in arbitrato delle controversie in materia di appalti pubblici rappresenta, nello
stesso tempo, un tema tradizionale ed innovativo.
Certamente tradizionale lo è nella misura in cui, ai
fini dalla sua trattazione, richiede un’approfondita
conoscenza sia delle forme e dei modi di esercizio
dell’attività amministrativa, sia della natura delle
situazioni giuridiche soggettive connesse all’esercizio dei poteri amministrativi; innovativo, invece,
se solo si pensi alle più recenti novità in materia di
giustizia amministrativa e contratti pubblici spesso
dettate più da esigenze di controllo e contenimento della spesa pubblica che da motivazioni di coerenza del sistema amministrativo.
Senza voler distogliere il lettore dal tema al quale è
dedicato il presente studio, è bene sin da subito evidenziare che, quanto il riparto di giurisdizione nell’ambito delle controversie amministrative, quanto il
fondamento della capacità giuridica riconosciuta in
capo alla pubblica amministrazione, nonché, i confini entro i quali essa può essere esercitata, rappresentino questioni centrali al fine di indagare l’ammissibilità dell’arbitrato irrituale nell’ambito delle contro-
versie in cui sia parte l’amministrazione pubblica. A
tal fine, perciò, sarà necessario svolgere alcune brevi
considerazioni introduttive.
Il sistema di giustizia amministrativa si fonda sulla
coesistenza di due giudici il cui riparto è incentrato
sul criterio della causa petendi (o petitum sostanziale),
in forza del quale la giurisdizione si radica in virtù
della natura della situazione giuridica soggettiva che
si assume lesa (1). In particolare, al giudice ordinario
compete sindacare sulla lesione dei diritti soggettivi,
a quello amministrativo sulla lesione degli interessi
legittimi, ovvero, in relazione a tutte quelle controversie in cui l’amministrazione (in senso soggettivo o
oggettivo) agisce in veste di autorità secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale.
Inoltre, con riferimento alla giurisdizione del giudice amministrativo si distingue tra giurisdizione di
legittimità e giurisdizione esclusiva il cui ambito di
operatività si estende a tutte quelle fattispecie caratterizzate dalla compresenza di diritti soggettivi e
interessi legittimi laddove l’amministrazione, pur
collocandosi al di fuori di una cornice provvedimentale, agisce pur sempre esercitando un potere
amministrativo nei confronti del soggetto destinatario dell’azione amministrativa (2).
(*) Pur essendo il presente scritto frutto di una riflessione
congiunta dei due autori, i paragrafi 1 e 4 sono attribuibili a Fabio G. Angelini mentre i paragrafi 2 e 3 a Eugenio Sigona. Le
conclusioni, invece, attribuibili a entrambi.
(1) A. Travi, Lezioni di Giustizia Amministrativa, Torino, 2006,
119.
(2) Cfr. Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, in Dir. proc. amm.,
2005, 214, con nota di Mazzarolli, secondo cui possono formare oggetto di giurisdizione esclusiva solo quelle materie in cui
la P.A. agisce esercitando il suo potere autoritativo “ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti
negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di ta-
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Tali premesse, per quanto note e ormai ampiamente
indagate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, risultano essenziali ai fini di un corretto inquadramento del
tema in esame. Inoltre, con specifico riferimento alla
materia dei contratti pubblici, permettono di cogliere
la ratio dell’art. 244 del d.lgs. n. 163/2006 e dell’art.
133, comma 1, lett. e), punti 1) e 2) del d.lgs. n.
104/2010 laddove si inquadrano all’interno dei confini della giurisdizione esclusiva le controversie (I) “relative a procedure di affidamento di pubblici lavori,
servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti,
nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione
della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei
procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla
dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di
annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative” e (II) “relative al divieto di rinnovo tacito
dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo
provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’art.
115 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle
relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’art. 133, commi 3 e 4, dello
stesso decreto”, spettando, invece, al giudice ordinario
tutte quelle concernenti la fase di esecuzione dei contratti stipulati dai soggetti pubblici o privati a qualsiasi titolo tenuti all’applicazione del d.lgs. n. 163/2006.
Siffatto criterio di riparto giurisdizionale in materia
di contratti pubblici si fonda essenzialmente sull’assunto secondo il quale, nel corso della fase esecutiva del rapporto contrattuale in essere con l’amministrazione, le situazioni giuridiche soggettive in
gioco sarebbero di diritto soggettivo e non di (ovvero non connesse a situazioni di) interesse legittimo, non residuando – almeno in linea di principio
– in capo al contraente pubblico poteri di natura
autoritativa funzionali alla tutela di un interesse
pubblico. In tale fase l’attività della pubblica amministrazione è, infatti, regolata dal diritto comune (3) – fatti salvi gli istituti di specialità che trovano giustificazione esclusivamente in chiave di
tutela della funzione pubblica e degli interessi finanziari della collettività – con la conseguenza che
il contraente privato vanta nei confronti di quello
pubblico posizioni di diritto soggettivo pieno tali
da escludere, in linea di principio, la giurisdizione
amministrativa.
Occorre tuttavia precisare che, in virtù del noto
principio di finalizzazione alla cura degli interessi
pubblici (4) – anche quando esercita la propria capacità giuridica di diritto comune e, quindi, anche nella suddetta fase di esecuzione dei rapporti negoziali –
l’attività della pubblica amministrazione risulta pur
sempre strettamente funzionale al perseguimento di
un interesse pubblico, che si atteggia a vero e proprio
vincolo di scopo. Esso, peraltro, pur connotando del
carattere di specialità l’autonomia negoziale della
pubblica amministrazione, se non consente, da un lato, di ritenere limitata la capacità di quest’ultima,
dall’altro, non consentirebbe di considerare la pubblica amministrazione su un piano squisitamente paritario nell’ambito dei rapporti negoziali in essere
con i privati, bensì solo di tendenziale parità (5).
Quanto, invece, al tema della capacità di diritto
privato della pubblica amministrazione, in questa
sede è possibile fare solo un breve accenno al fine
di fugare qualsivoglia incertezza. Sul tema sono state sostenute due tesi. Secondo la prima, sussisterebbe una piena capacità di diritto privato della pubblica amministrazione e di qualsiasi figura giuridica
soggettivamente pubblica in virtù del fatto che le
norme e gli istituti del diritto privato sono comuni
a tutti i soggetti dell’ordinamento con la diretta
conseguenza che la persona giuridica pubblica ben
potrebbe curare gli interessi pubblici che le sono
assegnati tanto con strumenti di diritto pubblico
quanto con quelli di diritto privato (6). In questo
le facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l’esistenza del potere
autoritativo: art. 11 l. n. 241/1990)”; dunque materie che, in difetto della previsione di giurisdizione esclusiva, rientrerebbero
comunque, in quanto vi opera la Pubblica AmministrazioneAutorità, nella giurisdizione generale di legittimità del giudice
amministrativo.
(3) F. G. Scoca, La capacità della pubblica amministrazione
di compromettere in arbitri, in AA.VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, Milano, 1999, 100.
(4) F. G. Scoca, Autorità e consenso, in Dir. proc. amm.,
2002, 441; C. Cammeo, I contratti della pubblica amministrazione, Firenze, 1954, il quale afferma che lo scopo è uno degli
elementi costitutivi della personalità dell’ente e ne condiziona,
quindi, la capacità; C. Marzuoli, Principio di legalità e attività di
diritto privato della pubblica amministrazione, Milano, 1982; F.
Trimarchi Banfi, Il diritto privato dell’amministrazione pubblica,
in Dir. amm., 2004, 661 ss.
(5) G. Berti, Dall’unilateralità alla consensualità nell’azione
amministrativa, in L’accordo nell’azione amministrativa, A. Masucci (a cura di), Quaderni Regionali, Formez, 1988, 31, il quale nell’affrontare il tema del “contrattualismo amministrativo”
parla dell’atto amministrativo di natura contrattuale in termini
di “atto contrattuale tendenzialmente paritario”.
(6) M. S. Giannini, Attività Amministrativa, in Enc. dir., vol.
III, Milano, 1958, 994, secondo cui “Se si accede alla tesi prevalente, secondo cui le persone giuridiche private nel nostro
diritto positivo hanno soggettività piena e legittimazione illimitata, per le persone giuridiche pubbliche valgono le stesse regole, non sussistendo norme che ad esse, per dette persone,
deroghino”; A. Falzea, voce Capacità (teoria generale), in Enc.
dir., vol. VI, Milano 1960, 13; A. M. Sandulli, Manuale di diritto
amministrativo, Napoli, 1989, 735; G. Fischione, Gli enti pubbli-
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o sostanziale) e, rispetto alle quali – in virtù sia
delle situazioni giuridiche soggettive assunte come
lese, sia del grado di attinenza con la cura dell’interesse pubblico perseguito – occorrerà di volta in
volta indagare ai fini di valutare l’applicabilità o
meno dell’arbitrato irrituale.
quadro l’attività di diritto privato svolta dal soggetto pubblico risulta anch’essa attività amministrativa – sebbene priva dei connotati della tipicità e
dell’autoritatività – pur essendo svolta nelle forme
privatistiche. La seconda, invece, connota la capacità della pubblica amministrazione di un carattere
di specialità tale per cui essa potrebbe adottare solo
quegli atti che le sono espressamente permessi dall’ordinamento giuridico, come potrebbe evincersi
dalla lettura dell’art. 11 del codice civile (7). Siffatta tesi, pertanto, postula un principio di subordinazione dell’autonomia contrattuale alle leggi ed agli
usi osservati come diritto pubblico (8).
La giurisprudenza amministrativa, dal canto suo,
anche alla luce di quanto disposto dall’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241/1990 secondo cui “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di
diritto privato salvo che la legge disponga diversamente” (9), dopo aver più volte mutato orientamento, sembra ormai definitivamente orientata nel
senso di riconoscere piena capacità giuridica in capo alle persone giuridiche pubbliche (10).
Le considerazioni che precedono permettono, dunque, di tracciare un quadro variegato circa le possibili tipologie di controversie che possono interessare l’amministrazione pubblica (in senso soggettivo
Il principale ostacolo alla diffusione dello strumento
arbitrale alle controversie che vedono coinvolta la
pubblica amministrazione è stato storicamente rappresentato dal problema della disponibilità delle situazioni giuridiche soggettive connesse alla tutela di
un interesse pubblico, ovvero, della ritenuta generale
indisponibilità del potere amministrativo (11). Ulteriori problemi circa l’ammissibilità dello strumento
arbitrale sono stati poi rinvenuti proprio nella riconducibilità dello stesso nell’alveo della giurisdizione
ordinaria (12) (che escluderebbe, di fatto, tutte quelle controversie in cui la pubblica amministrazione
sia parte non in veste iure privatorum, bensì di autorità), nonché, nella contraddittorietà con la richiamata regola del riparto di giurisdizione.
L’ammissibilità dello strumento arbitrale è stata comunque sancita, in linea generale, dall’art. 12 del
d.lgs. n. 104/2010 secondo cui, coerentemente con
ci economici e la normativa sui pubblici appalti: riesame della
problematica anche nella prospettiva della legge 17 febbraio
1987, in Riv. trim. app., 1988, 441 ss.; A. Clarizia, Pubblico e
privato nell’ordinamento regionale, Napoli, 1979, 14 ss. Vedi
anche Cons. Stato, Sez. III, 11 maggio 1999, n. 596, in Urb. e
app., 2000, 876, con nota di Martinelli, Santini; Cons. Stato,
Sez. III, 19 dicembre 1989, n. 1838, in Riv. trim. app., 1990,
1065; Cons. Stato, Sez. VI, 12 marzo 1990, n. 374, in Foro it.,
1991, III, 270; Cons. Stato, Sez. V, 14 dicembre 1988, n. 818,
in Foro amm., 1988, fasc. 12; TAR Toscana, Sez. I, 3 marzo
1999, n.105, in Massima redazionale Giuffré 1999, TAR 1999.
(7) Il principio si trova affermato nell’art. 11 del codice civile
ai sensi del quale “le province ed i comuni nonché gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico”. Sul
punto cfr. V. Cerulli Irelli, Diritto privato dell’amministrazione
pubblica, Torino, 2008, 17; A. Romano, Amministrazione, principio di legalità e ordinamenti giuridici, in Dir. amm., 1999, 118.
(8) V. Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino,
2002, 39, secondo il quale il potere amministrativo si concretizzerebbe in una capacità speciale conferita dalla legge alla
singola attività amministrativa; O. Ranelletti, Concetto, natura e
limiti del demanio pubblico (1898) ora in Scritti giuridici scelti,
vol. IV (I beni pubblici), Torino, 1992, 287 ss., secondo il quale
ad una doppia personalità di diritto privato e di diritto pubblico
corrisponderebbe parimenti una doppia capacità di diritto privato e di diritto pubblico. M. Nigro, Profili pubblicistici del credito, Milano, 1969; L. Iannotta, L’adozione degli atti non autoritativi secondo il diritto privato, in Dir. amm., 2006, 353; G. Guarino, L’organizzazione pubblica, Milano, 1977, 119 ss.; E. Picozza, L’attività di diritto privato della pubblica amministrazione, P.
Stanzione e A. Saturno (a cura di), in Il diritto privato della pubblica amministrazione, Milano, 2006, 131 ss. Per un approfon-
dimento giurisprudenziale cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 novembre 2002, n. 6281, in Giust. civ., 2003, I, 1141; Cass. civ., Sez.
II, 21 aprile 2000, n. 5234, in Giust. civ. Mass., 2000, 863;
Cass., Sez. Un., 29 novembre 1993, n. 11491, in Giust. civ.
Mass., 1993, fasc. 11.
(9) G. Greco, Argomenti di diritto amministrativo, III ed., Milano, 2008, 175; M. Del Signore, La compromettibilità in arbitrato nel diritto amministrativo, Milano, 2004, 150, la quale evidenzia come tale disposizione normativa deve intendersi quale
“manifestazione di attività privata, in cui più non rileva l’esercizio del potere e nemmeno, dunque, il vincolo di scopo, sicché
il diritto privato regola il rapporto, nel quale l’Amministrazione
si pone nella stessa posizione di un qualsiasi altro soggetto
dell’ordinamento giuridico”.
(10) V. Cerulli Irelli, Diritto privato dell’amministrazione pubblica, Torino, 2008, 24.
(11) F. G. Scoca, La capacità della pubblica amministrazione
di compromettere in arbitri, in AA.VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, Milano, 1991, 100; E. Ferrari, Le giurisdizioni amministrative speciali, S. Cassese (a cura di), in Trattato di diritto
amministrativo, Diritto amministrativo speciale, 2000, IV, 360134; G. Caia, Arbitrati e modelli arbitrali nel diritto amministrativo.
I presupposti e le tendenze, Milano, 1989; S. A. Villata, Controversie di pubblico impiego, arbitrato e disapplicazione degli atti
amministrativi illegittimi, in Riv. dir proc., 2000, 803 ss.; A. Romano Tassone, L’arbitrato, in AA.VV., Il processo avanti al giudice amministrativo, commento sistematico alla l. 205/2000, II
ed., Torino, 2004, 525 ss.
(12) Per una ricostruzione sui rapporti tra arbitrato e giurisdizione cfr. L. Perfetti, Sull’arbitrato nelle controversie di cui sia
parte l’amministrazione pubblica. La necessaria ricerca dei presupposti teorici e dei profili problematici, in Riv. arbitrato, 2009,
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Lo strumento arbitrale nella pubblica
amministrazione
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quanto disposto dall’art. 6 della l. n. 205/2000, “le
controversie concernenti diritti soggettivi devolute
alla giurisdizione del giudice amministrativo possono
essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto ai
sensi degli artt. 806 e seguenti del codice di procedura civile”, nonché, con riferimento alla materia dei
contratti pubblici, dall’art. 241 del d.lgs. n. 163/2006,
secondo cui “le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e
di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell’accordo bonario previsto dall’art.
240, possono essere deferite ad arbitri” (13).
Tuttavia, con il d.l. n. 248/2007, come modificato
dalla l. n. 31/2008 è stato introdotto il divieto per
le pubbliche amministrazioni di “inserire clausole
compromissorie in tutti i loro contratti aventi ad
oggetto lavori, forniture e servizi”, pena la nullità
delle stesse o dei compromessi comunque sottoscritti; inoltre, con riferimento ai contratti già sottoscritti alla data di entrata in vigore della legge, e
per cui i relativi collegi non risultavano costituiti
alla data del 30 giugno 2008, era fatto obbligo di
declinare la competenza arbitrale, ove tale facoltà
fosse contemplata all’interno del contratto. L’entrata in vigore di tale disposizione – che, più che da
considerazioni di sistemica giuridica, sembra dettata da esigenze di controllo della spesa pubblica – è
stata però più volte differita nel tempo fino alla sua
abrogazione avvenuta con il d.lgs. n. 53/2010 che
ha apportato sostanziali modifiche alla disciplina
dell’arbitrato, intervenendo sugli artt. 241 e 244
del d.lgs. n. 163/2006. Successivamente, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con provvedimento prot. n. 24189-27 del 27 giugno 2012, ha
emanato una direttiva in materia di procedimenti
arbitrali (la cui applicabilità risulta estesa a fattispecie regolate dalla previgente normativa, nelle
quali sia prevista la facoltà di declinare la competenza arbitrale) la quale, in merito all’impiego degli
arbitrati per la risoluzione delle controversie di cui
all’art. 241 del d.lgs. n. 163/2006, invita “a limitare
al massimo la previsione della clausola compromissoria in considerazione della specifica natura e delle
caratteristiche dell’appalto e dell’opportunità, rispetto alla singola fattispecie, del ricorso arbitrale”.
Per completezza, occorre inoltre segnalare che l’art.
1, comma 19, della l. n. 190/2012, nel modificare
l’art. 241, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006, ha pre-
visto che – ai fini del deferimento ad arbitri delle
controversie su diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici – è necessaria l’“autorizzazione motivata da parte dell’organo di governo dell’amministrazione’’ e che, pertanto, “l’inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell’avviso con cui
è indetta la gara, ovvero, per le procedure senza
bando, nell’invito, o il ricorso all’arbitrato, senza
preventiva autorizzazione, sono nulli”.
L’ambito di applicazione di tale di disciplina, tuttavia, sembra essere limitato ai soli casi di nuovi affidamenti per i quali non sia stata ancora indetta la
procedura ad evidenza pubblica, ovvero, stipulato
il contratto, nonché, a quelle ipotesi in cui il contratto preveda, in capo alla stazione appaltante, la
facoltà di declinare la competenza arbitrale. Nei
restanti casi (ed in particolare, in quelli nei quali
sia già inserita nella disciplina contrattuale una
clausola compromissoria che non preveda alcuna
facoltà in ordine all’accettazione della competenza
arbitrale), non sembra invece che tale riforma possa trovare applicazione a meno di non voler configurare in capo alla stazione appaltante un vero e
proprio potere di incidere unilateralmente e discrezionalmente sul rapporto negoziale che, tuttavia,
sembrerebbe da escludersi in sede di esecuzione degli atti negoziali laddove le posizioni giuridiche
delle parti hanno natura di diritto soggettivo.
(13) Si noti, tuttavia, come il ricorso allo strumento arbitrale
per la risoluzione delle relative controversie rappresenti una
possibilità già prevista nella l. n. 2248/1865, All. F. e ormai am-
piamente consolidata alla luce delle leggi Merloni e, oggi, del
d.lgs. n. 163/2006.
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La compromettibilità in arbitrato rituale
delle controversie riferibili a interessi
legittimi e diritti soggettivi
L’analisi teorica che precede permette, dunque, di
svolgere le prime considerazioni applicative sul tema in esame.A tal fine, in via preliminare, occorre
evidenziare come ai fini dell’individuazione degli
esatti confini entro cui l’ordinamento ammette la
possibilità di devolvere alla competenza arbitrale le
controversie riguardanti la pubblica amministrazione sia necessario adottare il criterio della causa petendi (ovvero, del petitum sostanziale) e, pertanto,
occorrerà fare riferimento alla natura delle situazioni giuridiche soggettive in gioco. Inoltre, occorre
altresì rilevare come, essendo ipotizzabili due diverse tipologie di arbitrato (quello rituale e quello irrituale), una volta accertata, sulla base della natura
delle situazioni giuridiche coinvolte, l’ammissibilità
dello strumento arbitrale per la risoluzione della
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controversia, sarà poi necessario indagare quale tipologia di arbitrato sia ritenuta ammissibile nei
confronti della pubblica amministrazione.
Come segnalato in precedenza, l’art. 12 del d.lgs. n.
104/2010 prevede la possibilità di ricorrere agli
strumenti arbitrali solo in relazione a controversie
attinenti a diritti soggettivi e non a interessi legittimi. Pertanto, in linea di principio, l’arbitrato deve
ritenersi escluso laddove l’amministrazione si avvalga di poteri autoritativi nell’esercizio di una pubblica funzione. Ciò in quanto, in tali casi, il requisito
della disponibilità della res litigiosa non potrebbe ritenersi sussistere stante il fatto che la legittimità
dell’azione amministrativa, su cui l’interesse legittimo fonda la propria tutela, risulta essere indisponibile (14) ed irrinunciabile (15) da parte della pubblica amministrazione quanto per il privato.
In linea con tale assunto risulta essere la pronuncia
delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (16)
che – in relazione ad una controversia concernente
la materia della revisione delle tariffe di un servizio
pubblico – ha avuto modo di ribadire come “l’art.
6 comma 2 l. 21 luglio 2000, prevede la possibilità
che le controversie concernenti diritti soggettivi
devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo siano risolte mediante arbitrato rituale di diritto, mentre resta preclusa la compromettibilità in
arbitri delle controversie su interessi legittimi”.
Quanto, invece, ai diritti soggettivi nell’ambito
della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, l’art. 6 della l. n. 205/2000, oggi confluito
integralmente nell’art. 12 del d.lgs. n. 104/2010,
nell’ammettere la possibilità di risolvere con arbitrato rituale tali controversie, ha ampliato notevolmente i confini di ammissibilità dell’arbitrato nelle
controversie in cui la pubblica amministrazione sia
parte, superando di fatto quella giurisprudenza consolidata che li faceva coincidere con quelli della
giurisdizione ordinaria (17).
Nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, pertanto, lo strumento arbitrale – in linea
teorica – dovrebbe essere ritenuto ammissibile in
relazione a tutte quelle controversie che abbiano
ad oggetto esclusivamente diritti soggettivi e a
condizione che lo strumento arbitrale prescelto
dalle parti sia l’arbitrato rituale di diritto. Sennonché, alla luce della richiamata giurisprudenza della
Corte Costituzionale concernente i confini della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
le “controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo” a
cui rinvia il citato art. 12 rischiano di rappresentare una categoria del tutto marginale dell’ordinamento della giustizia amministrativa, lasciando
fuori dall’ambito di applicazione proprio quelle devolute alla giurisdizione esclusiva. Del resto, volendo dare una lettura costituzionalmente orientata
della disposizione in esame, non si potrebbe fare a
meno di negare la possibilità di ammettere lo strumento arbitrale in relazione a tutte quelle controversie che, pur riguardando diritti soggettivi, si inquadrano pur sempre nell’ambito di fattispecie affe-
(14) P. De Lise, L’arbitrato nel diritto amministrativo, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1990, 1196. Si segnala tuttavia che parte
della dottrina si è espressa nel senso di riconoscere nell’accordo tra P.A. e privati una forma di esercizio del potere, che consentirebbe di superare il problema della sua indisponibilità. Cfr.
sul punto G. Greco, Accordi e contratti della pubblica amministrazione tra suggestioni interpretative e necessità di sistema, in
Scritti in onore di Giorgio Berti e, dello stesso Autore, Accordi e
contratti della pubblica amministrazione tra suggestioni interpretative e necessità di sistema, in Dir. Amm., 2002, 413; G. Marongiu, La pubblica amministrazione di fronte all’accordo. Considerazioni preliminari, in L’accordo nell’azione amministrativa, A.
Masucci (a cura di), in Quaderni Regionali del Formez, 1988.
(15) L. Raggi, Contributo alla dottrina delle rinunce nel diritto
pubblico, Roma, 1914; C. Fadda, Sulla teoria delle rinunzie nel
diritto pubblico, in Riv. Dir. Pubbl., 1909, I, 23, i quali ritengono
che la P.A. non sia libera di poter scegliere se voler o meno
realizzare l’interesse al cui perseguimento essa è preposta, in
quanto la legge stessa la vincola a perseguirlo. In senso contrario, tuttavia, va segnalata quella dottrina che ritiene di poter
fondare la rinunciabilità del potere nell’atto di abdicazione o,
meglio, nella possibilità per la P.A. di non utilizzare il potere
configurandosi così la rinuncia al suo esercizio. In tal senso N.
Paolantonio, Contributo sul tema della rinuncia in diritto amministrativo, Napoli, 2003, 109.
(16) Cass., Sez. Un., 30 novembre 2006, n. 25508, in Giust.
civ. Mass., 2006, 11. Nello stesso senso, cfr. Cass., Sez. Un.,
14 novembre 2005, n. 22903, in Giust. civ. Mass., 2005, 11, e
Cass., Sez. Un., 27 luglio 2004, n. 14090, in Foro amm. CdS,
2004, 2007, secondo cui “l’art. 6, comma 2, l. 21 luglio 2000
n. 205, nel prevedere che le controversie concernenti diritti
soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto, è
norma di stretta interpretazione, posto che l’accordo delle parti, espresso nel patto compromissorio, indirettamente comporta una deroga alla giurisdizione, avendo l’effetto di affidare al
giudice ordinario, in sede di impugnazione del lodo, la cognizione di controversie che, in assenza dell’arbitrato, sarebbero
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Stante il carattere eccezionale della citata norma, essa, in
presenza di devoluzione al giudice amministrativo quale titolare esclusivo della tutela giurisdizionale, è applicabile solo
quando la posizione azionata abbia consistenza di diritto soggettivo, sicché non è sufficiente la mera idoneità della pretesa
a formare oggetto di transazione”. Va segnalato inoltre come
una parte della dottrina ritenga ammissibile lo strumento arbitrale anche in relazione a controversie concernenti interessi legittimi (cfr. A. Zito, La compromettibilità per arbitri con la pubblica amministrazione dopo la legge n. 205 del 2000: problemi e
prospettive, in Dir. amm., 2001, 343). Tale orientamento dottrinale, tuttavia, non ha sin qui trovato riscontro in giurisprudenza.
(17) A. Zito, La compromettibilità per arbitri con la pubblica
amministrazione dopo la legge n. 205 del 2000: problemi e prospettive, in Dir. amm., 2001, 343.
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gione della compresenza, in tali fattispecie, di posizioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo.
Coerentemente con tale ricostruzione teorica, peraltro, il citato art. 241 del d.lgs. n. 163/2006 sancisce la possibilità di ricorrere ad arbitri – senza
specificare, tuttavia, se trattasi di arbitrato rituale
o irrituale – solo ai fini della risoluzione delle controversie attinenti a diritti soggettivi; inoltre, il citato art. 12 del d.lgs. n. 104/2010 sancisce la devolvibilità ad arbitri – ma solo mediante ricorso allo
strumento dell’arbitrato rituale ai sensi degli artt.
806 e seguenti del codice civile – anche delle controversie riguardanti pur sempre diritti soggettivi
ma addirittura rientranti nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (20).
renti a contesti nei quali l’amministrazione agisce
in veste di autorità anche se mediante l’uso di strumenti formalmente privatistici (si pensi, per esempio, al caso degli accordi sostitutivi del provvedimento amministrativo).
Meno problematico, invece, appare il medesimo
tema in relazione all’ammissibilità dello strumento
in presenza di diritti soggettivi laddove, in tutte le
ipotesi in cui la pubblica amministrazione agisce
iure privatorum e, quindi, senza esercitare potestà
pubblicistiche, tutte le eventuali controversie che
potrebbero scaturire dall’essere o dall’agire della
pubblica amministrazione nell’ambito della propria
capacità giuridica di diritto comune rientrano pienamente nell’ambito della cognizione del giudice
ordinario. Ne deriva, quindi, che dette controversie risulteranno liberamente arbitrabili e transigibili come lo sono quelle tra i privati, ferme restando
tuttavia le disposizioni inerenti alla responsabilità
amministrativa per danno erariale (18).
Del pari, in linea con quanto poc’anzi detto, tutte
le controversie riguardanti i danni subiti dal privato in relazione ad un’attività meramente “esecutiva” della pubblica amministrazione, svolta al di
fuori di qualsivoglia valutazione attinente alla ponderazione di interessi pubblici, sono sottratte alla
giurisdizione del giudice amministrativo ed attribuite alla cognizione del giudice ordinario, ed in
quanto di diritto soggettivo pieno, le situazioni giuridiche soggettive in gioco risulteranno transigibili
e arbitrabili alla stregua del diritto comune (19).
Le considerazioni che precedono trovano piena applicazione al settore dei contratti pubblici ove convive sia la giurisdizione amministrativa fino all’avvenuta stipulazione del contratto, sia quella del
giudice ordinario in relazione alla fase di esecuzione del rapporto contrattuale, in ragione delle posizioni di diritto soggettivo vantate dal privato nel
corso di tale fase della vicenda negoziale. Ciò eccezion fatta per le controversie attinenti al divieto di
rinnovo tacito dei contratti, alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata e periodica, e ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi che sono invece rimesse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ra-
Dall’analisi che precede è possibile concludere nel
senso che la compromettibilità in arbitrato rituale
delle controversie in cui sia parte la pubblica amministrazione non risulti ammissibile in relazione a tutte quelle fattispecie nelle quali emergano posizioni di
interesse legittimo mentre, al contrario, sia pienamente ammissibile in tutte quelle nelle quali si discuta di diritti soggettivi. Ciò avviene, senza alcun
dubbio, nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario in relazione a quelle fattispecie in cui l’amministrazione agisce iure privatorum, in modo slegato
da qualsivoglia attività di ponderazione tra interessi
pubblici e privati. Maggiori dubbi, invece, nonostante l’ampiezza della previsione dell’art. 12 del d.lgs. n.
104/2010, desta la possibilità di ritenere compromettibili in arbitrato le controversie afferenti a diritti
soggettivi pur sempre connesse a fattispecie di esercizio di un potere autoritativo della pubblica amministrazione, come avviene nella giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo.
Con riferimento alla possibilità di ricorrere, invece,
allo strumento dell’arbitrato irrituale occorre evidenziare come, se da un lato l’art. 12 del d.lgs. n.
104/2010 prevede esclusivamente il ricorso all’arbitrato rituale di diritto in relazione alle controversie
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nei restanti casi – ovvero in relazione
(18) E. Capaccioli, L’arbitrato nel diritto amministrativo, in Le
fonti, vol. 1, Padova, 1957, 3 ss.
(19) Cfr. Cass., Sez. Un., 20 ottobre 2006, n. 22521, in Foro
amm. CdS, 2007, 1, 73.
(20) Si noti, tuttavia, come - per effetto della pronuncia Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, che ha ridotto di molto i confini
della giurisdizione amministrativa, riportandola nell’alveo dell’art. 103 Cost. - la portata applicativa di tale previsione risulti
ormai limitata in relazione al fatto che tali controversie - dovendo presupporre pur sempre la presenza di un soggetto pubblico in veste di autorità - non possono avere ad oggetto in modo
esclusivo diritti soggettivi.
616
L’applicazione dell’arbitrato irrituale alle
controversie in cui sia parte la P.A.: la
pronuncia Cass., Sez. Un., n. 8987/2009 e
il dibattito dottrinale in materia
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alle controversie devolute alla giurisdizione del giudice ordinario – non sussiste invece alcuna previsione normativa che espressamente escluda il ricorso all’arbitrato irrituale. Se ne dovrebbe dedurre
che, pertanto, poiché in tali fattispecie la pubblica
amministrazione agisce non esercitando poteri
autoritativi ed essendo soggetta, ai sensi dell’art. 1,
comma 1-bis della l. n. 241/1990, alle norme di diritto privato, le posizioni giuridiche soggettive risulterebbero pienamente transigibili e arbitrabili e,
quindi, compromettibili sia mediante ricorso all’arbitrato rituale che a quello irrituale.
Sennonché, come rilevato in precedenza, anche
quando la pubblica amministrazione agisce iure privatorum, la sua attività risulta pur sempre funzionalizzata in virtù di quel vincolo di scopo alla tutela
dell’interesse pubblico che è stato evidenziato affrontando – seppur a grandi linee – il tema della
capacità giuridica di diritto privato dei soggetti
pubblici. Da tale semplice constatazione derivano
non poche conseguenze in ordine al regime giuridico derogatorio cui il soggetto pubblico, nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali anche
mediante strumenti di natura non autoritativa, risulta comunque assoggettato in chiave di tutela
della funzione pubblica e degli interessi finanziari
della collettività, trovando piena applicazione – tra
l’altro – sia i principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., che quelli di cui all’art. 1 della l. n. 241/1990 e all’art. 2 del d.lgs. n.
163/2006 con riferimento all’attività contrattuale.
Al fine di meglio inquadrare la questione in esame,
occorre poi evidenziare come tra l’arbitrato rituale
e quello irrituale sussistano talune differenze (21)
che hanno comportato, soprattutto prima della novella normativa introdotta con la l. n. 205/2000,
un’oscillazione delle posizioni dottrinali sulla possibilità per la pubblica amministrazione di compromettere in arbitrato irrituale, ed indotto per lungo
tempo a ritenere precluso lo strumento dell’arbitrato irrituale alle controversie amministrative in ragione dell’impossibilità per la pubblica amministrazione di delegare a terzi la formazione della propria
volontà negoziale (22).
Sotto tale profilo, tuttavia, non può non evidenziarsi
come parte della dottrina (23) sia ormai orientata a
ritenere che non sussista diversità tra arbitrato rituale
o irrituale stante l’identità di funzioni tra arbitri rituali e arbitri liberi, ai quali viene pur sempre conferito il potere di giudicare e di decidere una controversia stabilendo chi ha torto e chi ha ragione mediante l’emissione di un lodo che, a prescindere dalla
natura rituale o irrituale dello stesso, ha gli effetti di
un negozio stipulato tra le parti (24).
Pertanto, la tradizionale tesi della dottrina giuspubblicistica che negava l’ammissibilità dell’arbitrato
irrituale nelle controversie in parola è stata confutata in maniera convincente sia sotto il profilo della natura propria dell’arbitrato irrituale (sempre più
vicina alla funzione giurisdizionale piuttosto che a
quella transattiva), sia sotto l’ulteriore profilo secondo cui il ricorso a tale tipologia di arbitrato
comportava il mancato rispetto delle regole dell’evidenza pubblica (25).
Alla luce di tali considerazioni sembrerebbe corretto condividere, nel silenzio della legge, la tesi che
(21) F. Armenante, C. Buonauro, C. Calenda, Contenzioso
contrattuale della P.A. Mezzi di tutela e risarcimento, Milano,
2012, 387; M. Marinelli, La natura dell’arbitrato irrituale. Profili
comparatistici e processuali, Torino, 2002, 104 ss. In primo luogo,
l’arbitrato irrituale viene solitamente riconosciuto come fondato
esclusivamente sull’autonomia privata delle parti e, pertanto, si
traduce in un lodo avente valore solamente contrattuale; in secondo luogo, generalmente si è soliti ritenere la stipulazione di
patti compromissori irrituali come la volontà delle parti di deferire
a terzi non il potere di compiere un giudizio, bensì di concludere
un atto negoziale volto alla composizione della lite in luogo delle
parti. In giurisprudenza cfr. ex multis Cass. civ., sez. lav., 19 agosto 2013, n. 19182, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., Sez. I, 1°
aprile 2011, n. 7574, in Giust, civ., 2012, 6, I, 1569; Cass. civ.,
Sez. I, 21 luglio 2010, n. 17114, in Guida al diritto, 2010, 46, 82;
Cass. civ., Sez. II, 12 ottobre 2009, n. 21585, in Foro padano,
2010, 2, I, 227; Cass. civ., Sez. I, 2 luglio 2007, n. 14972, in Giust.
civ. Mass., 2007, 7-8.
(22) In senso contrario alla possibilità per la P.A. di compromettere in arbitrato irrituale cfr. S. Cassese, L’arbitrato nel diritto
amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, 313 ss.; M. La Torre,
L’arbitrato nel diritto amministrativo, in Riv. dir. pubbl., 1935, I,
327 ss.; L. Acquarone, C. Migone, voce Arbitrato nel giudizio amministrativo, in Dig. disc. pubbl., Torino, 367; G. Caia, Arbitrati e
modelli arbitrali nel diritto amministrativo. I presupposti e le ten-
denze, Milano, 1989, 20 ss.; P. De Lise, L’arbitrato nel diritto amministrativo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, 1999 ss.; A. Linguiti,
C. Pluchino, Arbitrato e Pubblica Amministrazione: diritti soggettivi
e poteri autoritativi, in Rass. avv. Stato, 2004, 1354. In senso favorevole, invece, cfr. però, E. Fazzalari. L’arbitrato, in Rass. arb.,
1974, 155; F. Bassi, Arbitrato irrituale e pubblica amministrazione,
in AA.VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, 1999, 59 ss.; C.
Consolo, L’oscillante ruolo dell’arbitrato al crescere della giurisdizione esclusiva e nelle controversie sulle opere pubbliche (fra semi
obbligatorietà ed esigenze di più salde garanzie), in AA.VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, 1999, 133 ss.; G. Greco, Modelli
arbitrali e potestà amministrative, in AA.VV., Arbitrato e pubblica
amministrazione, 1999, 139 ss.
(23) C. Punzi, Il processo civile, sistema e problematiche, Torino, 2010, 263; S. Satta, Commentario al codice di procedura
civile, 175; E. Fazzalari, Arbitrato e arbitraggio, in Riv. arb.,
1993, 585 ss.; E. Zucconi Galli Fonseca, in AA.VV., Arbitrato,
Bologna, 2007, 75 ss.; F. P. Luiso, Diritto processuale civile,
vol. IV, Milano, 2007, 312.
(24) C. Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato rituale, II,
Milano, 2000, 81; dello stesso autore, La riforma dell’arbitrato,
in Riv. dir. proc., 1983, 78.
(25) F. Bassi, Arbitrato e pubblica amministrazione, in Arbitrato e pubblica amministrazione, Milano, 1999, 58; F. Goisis,
Compromettibilità in arbitrato irrituale delle controversie di cui
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propende per l’ammissibilità dell’arbitrato irrituale
in relazione a tutte le liti aventi ad oggetto posizioni di diritto soggettivo, ricadenti nell’ambito della
giurisdizione del giudice ordinario e non involgenti
questioni attinenti in via diretta alla cura dell’interesse pubblico.
Tuttavia, occorre segnalare come la giurisprudenza (26) sia invece propensa a negare tale orientamento e, pertanto, a ritenere inammissibile l’arbitrato irrituale nelle controversie in cui sia parte la
pubblica amministrazione, anche se soggette alla
cognizione del giudice ordinario. Secondo tale giurisprudenza, sebbene la pubblica amministrazione
nell’ambito dei propri rapporti negoziali si ponga
su un piano tendenzialmente paritetico rispetto ai
privati interessati dall’azione amministrativa, è da
escludere che sussista una piena e assoluta equiparazione della posizione di questa rispetto a quella
del privato in ragione dei suoi profili di specialità
derivanti dal vincolo di scopo cui resta comunque
soggetta, tanto nell’esercizio dei propri poteri autoritativi, quanto nell’esercizio della propria capacità
giuridica di diritto comune. Ne consegue, pertanto,
che ammettendo la possibilità di devolvere le controversie ad arbitri irrituali, il componimento della
vertenza risulterebbe affidato a soggetti individuati,
seppur nell’ambito di una logica negoziale, in assenza di un procedimento legalmente determinato
e, perciò, senza adeguate garanzie di trasparenza e
pubblicità della scelta, oltre che in assenza di un
regime di controlli connesso alla compatibilità della stessa con l’interesse pubblico perseguito dalla
stazione appaltante.
Il precedente giurisprudenziale più significativo in tal
senso è rappresentato dalla pronuncia delle Sezioni
Unite della Suprema Corte (16 aprile 2009, n.
8987) che, in relazione ad una fattispecie relativa alla fase di esecuzione di un rapporto contrattuale in
essere tra un ente pubblico ed un privato appaltatore
ha ritenuto l’arbitrato irrituale “un meccanismo negoziale […] che però appare scarsamente compatibile
con i principi che regolano l’agire della pubblica amministrazione, in forza dei quali non è consentito delegare a terzi estranei la formazione della volontà negoziale della pubblica amministrazione medesima”,
ritenendo pertanto di non condividere quell’orientamento secondo cui “sull’onda del generale processo
di privatizzazione dell’operare della pubblica amministrazione, da un lato, e dell’altro sulla spinta ad un
maggiore avvicinamento tra arbitrato irrituale e rituale, coerente con la connotazione negoziale (e non
propriamente giurisdizionale) di quest’ultimo […],
nell’ambito dell’autonomia privata di cui gode la
pubblica amministrazione quando opera su diritti disponibili, estesa anche alla stipulazione di negozi
eventualmente atipici, non può escludersi l’eventualità di una rinuncia libera e consapevole alla regolamentazione diretta del rapporto controverso dell’affidamento di tale regolamentazione ad un terzo arbitro
designato secondo criteri negoziali predeterminati”.
Secondo la Cassazione, infatti, per superare ogni possibile ostacolo all’utilizzabilità dell’arbitrato irrituale
nei contratti della pubblica amministrazione non basta richiamarsi alla natura privatistica degli strumenti
negoziali adoperati poiché, in tale ipotesi, risulterebbero, da un lato, comunque “violate le garanzie di
trasparenza e pubblicità della scelta” e, dall’altro, affidate a soggetti sottratti ad ogni controllo (con conseguente neutralizzazione delle regole sulla responsabilità amministrativa) le scelte circa il perseguimento
dell’interesse pubblico “che, anche nel componimento arbitrale, dovrebbe potersi realizzare e che non
può mai andare esente da un regime di controlli ed
eventuali conseguenti responsabilità”.
sia parte la pubblica amministrazione e art. 6 della l. n. 205 del
2000, in Dir. proc. amm., 2005, 249 ss.
(26) Ex multis Cass. civ., Sez. I, 19 settembre 2013, n.
21468, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., Sez. II, 7 maggio
2013, n. 10599, in Giust. civ. Mass., 2013; TAR Molise, Sez. I,
16 dicembre 2010, n. 1552, in Foro amm. TAR, 2010, 3943.
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Conclusioni
Le considerazioni che precedono permettono di ritenere che, con riferimento alla compromettibilità in
arbitrato rituale delle controversie in cui sia parte la
pubblica amministrazione, essa non sia ammissibile
in relazione a tutte quelle fattispecie nelle quali
emergano posizioni di interesse legittimo mentre, al
contrario, sia pienamente ammissibile in tutte quelle
nelle quali si discuta di diritti soggettivi, ovvero, ove
l’amministrazione agisce iure privatorum, al di fuori di
fattispecie strettamente connesse alla cura dell’interesse pubblico. In tal senso, in presenza di un diritto
soggettivo, proprio il grado di funzionalizzazione alla
cura dell’interesse pubblico relativo alla fattispecie
sottoposta a sindacato giurisdizionale e, quindi, l’eventuale coesistenza di un interesse legittimo costituisce l’elemento alla cui stregua va rapportata ogni
valutazione in ordine all’ammissibilità dello strumento arbitrale rituale di diritto di cui all’art. 12 del
d.lgs. n. 104/2010.
Quanto, invece, all’ammissibilità di quello irrituale
nell’ambito dei rapporti negoziali in cui sia parte la
pubblica amministrazione, va evidenziato come la
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giurisprudenza neghi tale possibilità ritenendolo
inammissibile anche nelle controversie devolute
alla cognizione del giudice ordinario. Sebbene la
pubblica amministrazione nell’ambito dei propri
rapporti negoziali si ponga su un piano tendenzialmente paritetico rispetto ai privati interessati dall’azione amministrativa, è pur sempre da escludere
che sussista una piena e assoluta equiparazione della posizione di questa rispetto a quella del privato
in ragione dei suoi profili di specialità derivanti dal
vincolo di scopo cui resta comunque soggetta, tanto nell’esercizio dei propri poteri autoritativi, quanto nell’esercizio della propria capacità giuridica di
diritto privato.
In tal senso deve leggersi, infatti, la posizione
espressa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte
nella sentenza n. 8987/2009, che ha negato la possibilità di compromettere in arbitrato irrituale le
controversie nelle quali è coinvolta una pubblica
amministrazione proprio con riferimento ad una
controversia avente ad oggetto un appalto di lavori. Contro tale tesi, tuttavia, vanno segnalate due
argomentazioni. Sotto un primo profilo, l’art. 12
del d.lgs. n. 104/2010 rinvia esclusivamente all’arbitrato rituale operando espressamente il richiamo
all’art. 806 ss. c.p.c., mentre l’art. 241 del d.lgs. n.
163/2006 si limita ad un rinvio alle norme in materia di arbitrato previste dal c.p.c. senza, tuttavia,
specificare se il legislatore abbia inteso riferirsi ad
una particolare forma di arbitrato, ovvero lasciato
aperta la possibilità di poter optare tra arbitrato rituale o libero (27). Sotto un secondo profilo, inoltre, è lo stesso art. 240 del d.lgs. n. 163/2006, al
comma 11, a prevedere una procedura di accordo
bonario in caso di iscrizione di riserve sui documenti contabili per un importo non inferiore al
dieci percento di quello contrattuale che si atteggia
a vero e proprio arbitrato irrituale laddove viene
demandato ad una commissione il compito di esercitare i poteri negoziali conferiti (28) al fine del
raggiungimento di un accordo bonario.
La recente evoluzione in materia di attività amministrativa non autoritativa, nella parte in cui fissa i
connotati della specialità della pubblica amministrazione entro limiti ben precisi e strettamente aderenti
al principio di legalità di cui all’art. 97 della Costituzione, alimenta, però, non poche perplessità in ordine al richiamato orientamento giurisprudenziale inducendo, chi scrive, a propendere piuttosto per la tesi dell’ammissibilità dell’arbitrato irrituale in relazione a tutte quelle vertenze aventi ad oggetto esclusivamente posizioni di diritto soggettivo, ricadenti nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario e
non involgenti questioni attinenti in via diretta alla
cura dell’interesse pubblico (e, pertanto, nelle quali
non sia rintracciabile il carattere dell’autoritatività
nell’azione – anche in forma privatistica – della pubblica amministrazione).
(27) L. Perfetti, Codice dei contratti pubblici commentato,
Milano, 2013, 2415, secondo il quale “Se è evidente che le
controversie attribuite al giudice amministrativo involgenti diritti soggettivi possono essere deferite solo ad arbitrato rituale
ai sensi degli artt. 806 ss. c.p.c., non pare peregrino ritenere
che l’arbitrato disciplinato dal d.lgs. n. 163/2006 possa estendersi anche alle forme dell’arbitrato irrituale e di equità, giusta
il rinvio alle sole disposizioni degli artt. 806 ss. c.p.c., senza alcuna specificazione in ordine al tipo di arbitro ammissibile”.
(28) G. Greco, Contratti e accordi della pubblica amministrazione con funzione transattiva (appunti per un nuovo studio), in
Dir. amm., 2005, 236, secondo cui la procedura di cui all’art.
240 del d.lgs. n. 163/2006 configurerebbe “un vero e proprio
arbitrato irrituale demandato alla Commissione, la quale riceve
mandato dalle parti a sostituirsi ad esse nell’esercizio dei relativi poteri negoziali”; A. Cianflone, G. Giovannini, L’appalto di
opere pubbliche, Milano, 2012, 2123 ss., secondo i quali la
procedura di accordo bonario in parola configurerebbe “una
fattispecie di arbitrato irrituale, con il quale è rimesso al terzocommissore di dirimere la controversia insorta tra le parti sulle
riserve, senza l’osservanza delle norme di procedura proprie
dell’arbitrato rituale. Secondo i principi, la determinazione della
commissione sarà, pertanto, suscettibile di invalidazione solo
ove inficiata da dolo (della maggioranza) dei componenti della
commissione stessa”; I. Lombardini, Il nuovo assetto dell’arbitrato negli appalti di opere pubbliche, Milano, 2007, 288; I.
Lombardini, Arbitrato delle opere pubbliche, in Arbitrati Speciali,
Bologna, 2008, 282 ss.; G. Greco, Contratti e accordi della pubblica amministrazione con funzione transattiva (appunti per un
nuovo studio), in Dir. amm., 2005, 236; S. Baccarini, G. Chiné,
R. Proietti, Codice dell’appalto pubblico, Milano, 2011, 2189
ss.; F. Saitta, Il nuovo codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Commentario sistematico, Padova, 2008, 1206.
Tuttavia, vi è che considera più appropriata la qualificazione
dell’accordo bonario nell’istituto della perizia contrattuale ex
art. 1349 c.c., ovvero nell’arbitraggio di tipo contrattuale: G. L.
Rota, G. Rusconi (a cura di), Codice dei contratti pubblici relativi
a lavori, servizi e forniture, I, Torino, 2007, 78; M. Sanino, Commento al Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture, Torino, 2006, 663. Sul punto cfr. anche Cass. civ.,
Sez. I, 29 ottobre 1999, n. 12155 , in Giust. civ. Mass., 1999,
2166, (“allorquando le parti di un rapporto giuridico conferiscono ad un terzo l’incarico di svolgere, in base alla sua specifica capacità tecnica, constatazioni e accertamenti, il cui esito
esse si impegnano ad accettare, ricorre l’ipotesi della perizia
contrattuale, la quale si differenzia sia dall’arbitrato rituale o irrituale con cui le parti tendono (in diversi modi) alla definizione
di una controversia giuridica, sia dall’arbitraggio avente ad oggetto l’incarico di determinare uno degli elementi del negozio
in via sostitutiva della volontà delle parti; pertanto è nullo il
compromesso con il quale si demandi agli arbitri la decisione
in ordine ad una questione tecnica anziché ad un rapporto giuridico”), nonché Cass. civ., Sez. I, 22 giugno 2005, n. 13436, in
Giust. civ. Mass., 2005, 9.
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