La psicologia delle masse secondo Freud

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La psicologia delle masse secondo Freud
L'INDIVIDUO E I GRUPPI SOCIALI: LA FOLLA
Si è soliti parlare di psicologia collettiva quando, prescindendo da relazioni con individui
determinati e specifici, rispetto ai quali il comportamento individuale risulta differente, si
considerano le influenze che sono esercitate su un individuo da parte di un gran numero
di persone che individualmente possono essere estranee, ma al cui gruppo egli partecipa
in un certo modo. L'individuo, esposto a tali influenze (incorporato, vale a dire, in un'entità
collettiva), può subire una modificazione radicale del proprio comportamento; di qui, la
necessità di individuare le varie tipologie di collettività: permanenti (Stato, Chiesa, ecc.)o
transitorie (le folle occasionali); con organizzazione gerarchica interna (esercito) oppure
aggregati amorfi; costruiti intorno ad una personalità dominante ovvero privi di leader.
Una folla si caratterizza anche per la manifestazione di alcuni fenomeni tipici che la
denotano come tale; la prima di queste è l'unità che si costituisce tra gli individui che
fanno parte di una folla; gli individui si uniscono per dare origine ad un corpo unico,
spogliandosi di quelle che sono le caratteristiche individuali per lasciar sussistere solo un
fondo comune indifferenziato. Le sovrastrutture costituitesi attraverso l'educazione sociale
e l'evoluzione si annullano, per cui l'anima della folla presenta aspetti che corrispondono
alla vita psichica dei primitivi e dei bambini, assumendo comportamenti analoghi a quelli
manifestati nell'inconscio o nella vita onirica. La folla è impulsiva, volubile, accessibile alle
immagini e chiusa alle istanze critiche, affascinata dalle parole, priva del senso della
realtà e indifferente alla verità; è autoritaria, intollerante, fermamente convinta della
propria onnipotenza, conservatrice, crudele, brutale e distruttrice.
Il quadro dell'anima della folla è quindi fortemente pessimistico; ne dovrebbe conseguire,
consequenzialmente, un'opposizione radicale tra psicologia individuale e psicologia
collettiva, conclusione, invece, contraddittoria; ciò, infatti, risulta dal fatto che le
sovrastrutture esercitanti un freno sulla vita istintiva sono a loro volta il frutto di quella
educazione che si esercita per la partecipazione all'aggregato sociale. Freud notò come
questa
contraddizione
potesse
essere
risolta
distinguendo
tra
gruppi
sociali
disorganizzati, per i quali varrebbe la descrizione riportata sopra, e gruppi che presentano
un'organizzazione superiore, nei quali, sempre secondo Freud, si formerebbero quei
caratteri che si riscontrano nell'individuo isolato, e che un tale individuo perderebbe
provvisoriamente entrando a far parte di una folla disorganizzata.
Fra i fenomeni che si manifestano nella folla, ne esiste un altro di estrema rilevanza: il
contagio mentale, cioè il fatto che ogni sentimento ed ogni atto tende a propagarsi ed a
venire riprodotto da tutti i componenti dell’aggregato; tale contagio è effetto della
suggestionabilità, la quale viene enormemente esaltata negli individui della collettività:
l'individuo è pronto a far propri e ad accattare sentimenti, convinzioni ed impulsi che in
condizioni normali rifiuterebbe.
SUGGESTIONE, IPNOSI E ATTACCAMENTO LIBIDICO
Per ciò che concerne la teorizzazione della suggestione e dell'ipnosi, due furono i
principali pensatori, tra l'altro in totale opposizione: Bernheim e Charcot.
Bernheim riteneva che la suggestionabilità fosse un fenomeno generale e comune
dell'uomo e che quindi le fondamentali differenze di comportamento tra gli esseri umani
dipendessero dai differenti gradi di suggestionabilità; era anche convinto che l'ipnosi, che
secondo Charcot era un fenomeno specifico ed anormale, non costituisse una forma
particolare di suggestione. In questo modo rimaneva irrisolto il problema derivato dal fatto
che situazioni come quelle create nelle diverse forme d’ipnosi, generassero un aumento
del grado di suggestionabilità. Problema poi risolto da Freud, il quale sostenne la
necessità di invertire il rapporto tra ipnosi e suggestione, considerando la seconda una
particolare manifestazione della prima. Tuttavia risulta indifferente dire che la suggestione
si riduca ad ipnosi o che l'ipnosi si riduca a suggestione, purché si precisi che il fenomeno
considerato fondamentale sia qualcosa di specifico che si realizza di fronte a particolari
procedimenti tecnici impiegati da un operatore, con il quale si istituisce un particolare
rapporto: il raccordo suggestivo. Secondo Freud questo fenomeno rappresenta l'elemento
essenziale del rapporto suggestivo; nei termini della teoria della libido, la traslazione
suggestiva può essere interpretata come una concentrazione della stessa sulla persona
del
suggestionatore.
A
questo
punto
è
necessario
considerare
il
processo
dell'idealizzazione, che consiste nel fenomeno per il quale l'oggetto della libido s’impone
come assoluto, con la conseguenza che tutti i suoi comportamenti sono considerati delle
perfezioni. Così l'io si fa piccolo di fronte al suo amore e la libido narcisistica si
impoverisce e si annulla a favore della libido oggettuale; si annulla così la funzione del
super-io al quale è, normalmente, rivolta gran parte della libido narcisistica. L'uomo
diventa indifferente all'ideale che si era costruito di sé; per lui esiste ormai un solo
imperativo, proveniente dalla persona amata che ha preso il posto del super-io.
L'operatore è il solo essere degno di attenzione per l'ipnotizzato; le funzioni critiche sono
abolite: tutto ciò che l'operatore chiede o afferma si realizza allucinatoriamente e viene
eseguito automaticamente; le funzioni del super-io sono assunte, quindi, dall'operatore. Il
rapporto ipnotico consisterebbe, quindi, in un totale abbandono amoroso nel quale,
tuttavia, i fini sessuali sono del tutto assenti. L'efficacia di questo rapporto, sempre
secondo Freud, dipenderebbe dal fatto che l'operatore risveglierebbe nel soggetto un
elemento appartenente alla sua realtà arcaica: l'esistenza di un essere onnipotente,
amato e contemporaneamente odiato, alla cui autorità non era possibile sfuggire e di
fronte al quale si impone, nel soggetto, un comportamento passivo e masochistico.
Ammesso, di conseguenza, che l'essenza dello stato di ipnosi consista in questo distacco
dal mondo reale e dalla concentrazione della libido sulla persona dell'operatore, è
possibile chiedersi se il distacco e la soppressione che ne derivano, siano da considerarsi
assoluti. Freud osservava che durante l'ipnosi il soggetto comunque continuava a rendersi
conto della realtà; egli aveva il senso più o meno vago dell'artificialità della situazione;
inoltre il super-io non risultava del tutto annientato. Da qui la conseguenza che lo stesso
rapporto suggestivo, in quanto accompagnato da una tale consapevolezza del carattere
artificioso della situazione, non ha sul comportamento individuale, in quella sfera che
potrebbe essere impropriamente definita reale, gli stessi effetti che potrebbero avere
l'innamoramento(da ricordare è il fatto che nell'accecamento amoroso il soggetto può
diventare facilmente e senza rimorsi un criminale) o l'appartenenza ad una folla.
LA FOLLA E IL CAPO
Si è già detto che le diverse tipologie di folla, o di aggregati sociali, si possono distinguere
fra quelli caratterizzati dalla presenza di un capo e quelli che ne sono privi. Secondo
Freud, tuttavia, la folla tipica è quella che si costituisce attorno ad un "condottiero" ed il
fenomeno primario sul quale si forma la folla come entità unitaria è quello della relazione
libidica che s’istituisce tra il singolo individuo e il capo. Questo rapporto è, per Freud, del
tutto corrispondente al rapporto ipnotico. Egli prese in considerazione due esempi di folla,
la Chiesa Cattolica e l'esercito, due folle artificiali e permanenti. L'una e l'altra collettività
possono essere identificate come una grande famiglia; l'una e l'altra di queste formazioni
si fondano sulla convinzione della presenza, visibile o invisibile, di un capo che ha cura in
eguale modo ed ama ugualmente tutti i membri della collettività. Freud considera
elemento essenziale di questa relazione col capo il fatto di sentirsi amati: ove
quest'elemento venga a mancare, la formazione collettiva si disgrega. È, infatti, sua
convinzione che la mancata resistenza finale degli eserciti della Germania durante la
prima guerra mondiale andrebbe attribuita al fatto che il militarismo prussiano non si rese
conto del "bisogno d'amore" dei soldati.
In altre formazioni collettive il capo può apparentemente mancare, ma può allora essere
sostituito da un'idea, oppure da un desiderio comune ad una molteplicità di individui.
Anche in tali casi però la formazione collettiva tende ad incarnare quell'elemento astratto
in un capo secondario che assume la funzione di guida della stessa collettività; inoltre il
capo o l'idea possono assumere un carattere negativo: in altre parole l'odio per una
persona può assumere la funzione di elemento coesivo della collettività.
L'identità tra rapporto ipnotico e suggestivo riesce perfettamente a spiegare e ad illustrare
la situazione che in questi casi va determinandosi nella coscienza del singolo. Il capo si
costituisce in ideale dell'io e si sostituisce al super-io per i singoli gregari; può, quindi,
restare sospesa o fortemente alterata la funzione normale del super-io e l'individuo può
orientare tutto il suo comportamento sulla base esclusiva di questo momentaneo modello.
In molti altri casi, però, la funzione normale del super-io non è totalmente abolita; il capo
diventa allora, per il singolo gregario, un ideale solo parziale; e ciò spiega la possibilità per
gli uomini di appartenere a diverse formazioni sociali; queste formazioni collettive
permanenti consentono anche all'individuo che vi partecipa il mantenere di un certo grado
d’indipendenza e d’originalità, che invece si annulla quando egli è assorbito in una folla
transitoria. Ammettendo quindi che il capo agisca come fattore coesivo della collettività
sociale in quanto sostituente del super-io individuale, nasce ora il problema di come
possa porsi, contemporaneamente, come ideale di una moltitudine di individui. Ciò può
essere spiegato partendo dal fatto che il super-io individuale non attira sempre in eguale
misura su di sé tutta la libido narcisistica; parte di questa rimane legata all'io, come
residuo di un narcisismo interiore di formazione precedente del super-io. Se quindi un
individuo presenta, in forma pregnante, le proprietà peculiari ad un complesso di altri
individui e, insieme, da impressione di una maggior forza e libertà libidica (cioè maggiore
intraprendenza affettiva) con molta probabilità egli verrà sentito come capo e rivestito di
tale ruolo.
Da ciò deriva una necessaria distinzione tra psicologia della folla e psicologia del capo:
Freud, per spiegare le origini della società umana, fece sua l’ipotesi di Darwin relativa
all’orda primitiva, condotta da un maschio forte che impone la propria volontà su tutti.
Quell’orda primitiva è la prima folla ed i comportamenti delle folle occasionali possono
essere compresi ad una momentanea regressione a condizioni che dovevano essere
permanenti all’epoca di quell’orda. Ma qui il capo ha una posizione eccezionale e la sua
vita psichica deve avere caratteri distintivi da quella di tutti gli altri. Il capo è forte, libero ed
indipendente, mentre gli altri sono troppo deboli, pavidi, per arrischiare iniziative personali.
Il capo è una specie di super- uomo, solo; egli non ama alcuno, i membri stessi della sua
orda sono i mezzi coi quali soddisfa i propri bisogni: il suo narcisismo non è limitato da
alcuna proiezione libidica oggettuale permanente. Quindi, mentre il gregario ha bisogno di
sentirsi amato, il capo non necessita d’amare nessuno; per il leader, l’amare è debolezza
e per lui non vi è posto per i sentimenti (ossia per le stabili fissazioni libidiche)
IDENTIFICAZIONE E COESIONE NELLA FOLLA
I rapporti affettivi che uniscono i singoli al capo non esauriscono la struttura libidica della
folla; una tale organizzazione sembra, infatti, costituita da un doppio ordine di legami: gli
uni che collegano i singoli al capo, gli altri che uniscono i singoli tra loro. La fitta rete che
ne risulta si fonda sulla mancanza di libertà che caratterizza l’individuo facente parte della
folla, ma anche la stessa uniformità di comportamento, che si pone come carattere
peculiare di una formazione collettiva. Per ciò che concerne l’origine di tale serie di legami
affettivi, vi è chi ha affermato l’esistenza di un istinto gregario per cui gli uomini sarebbero
spinti ad unirsi spontaneamente tra loro; ma se agisse effettivamente un primitivo e tale
istinto, la presenza di un capo nella folla, o di qualcosa che vi corrisponde, non dovrebbe
essere necessaria.
A sostegno di ciò si è visto come sia presente, una fondamentale tendenza aggressiva nei
loro rapporti reciproci e si è evidenziato come questa aggressività si renda manifesta
anche in quelle relazioni permanenti che si stabiliscono tra individui particolari e che
sembrano dominati da elementi positivi; il comportamento umano rivela, comunque, una
certa prontezza all’aggressività, che risulta essere la palese espressione di quello che si
definisce istinto di morte. Tuttavia, la nostra naturale tendenza all’aggressività,
l’intolleranza e l’insofferenza scompaiono nella folla ove ci sentiamo solidali con in nostro
vicino; la costituzione di una formazione collettiva è appunto caratterizzata dal sorgere di
questi nuovi legami affettivi che si stabiliscono fra i suoi membri. L’instaurarsi di questo
tipo di relazione è da ricercarsi in una forma particolare di identificazione che, sorgendo
indipendentemente da legami affettivi, ostili o positivi nei confronti dell’oggetto, da invece
origine a legami di tal genere. La base di questo istinto è costituita da quella parità di
situazione che è l’attaccamento libidico al capo e l’assunzione di questi come ideale
dell’io. Per cui, in forma schematica, è possibile rappresentare la formazione della folla
come costituita, primariamente da un orientamento affettivo che si produce in una
molteplicità di persone verso un individuo particolare, seguita da un processo per cui tale
individuo viene assunto come ideale dell’io in sostituzione, provvisoria, del super-io e da
un fenomeno di identificazione fra i vari individui in cui il processo si è prodotto ed infine
dal sorgere di nuovi legami affettivi che si istituiscono tra i singoli in forza e per effetto di
quella stessa identificazione iniziale.
IL SENTIMENTO DELLA GIUSTIZIA
Nessuna collettività sociale può mantenersi stabilmente tale senza che sia soddisfatto il
sentimento della giustizia, poiché nel momento in cui si estingue la parità de trattamento
tra i gregari si distruggono, di conseguenza, le stesse condizioni che rendono possibile
l’identificazione fra i singoli ed in essi riaffiora e si riafferma l’originario narcisismo.
L’esigenza di parità comporta tuttavia talune eccezioni: si applica ai gregari, ma non al
capo, che, in un ceto modo, è fuori dell’aggregato. La folla riconosce lui ogni privilegio e la
sua posizione eccezionale costituisce, essenzialmente, la condizione perché i componenti
della folla ravvisino in lui il proprio ideale. Ideale di forza e di potenza: quanto più egli sa
esercitare una tale attrazione sulla collettività, tanto più egli sarà seguito ed assunto come
leader carismatico.
Il sentimento della giustizia che sta alla base delle collettività sociali si può riassumere in
questa formula: tutti eguali e un solo capo al di sopra di tutti.
L’AGGRESSIVITA’ NEI GRUPPI SOCIALI E LA GUERRA
Per effetto dell’identificazione che si genera in un aggregato sociale, il narcisismo
individuale si trasforma in narcisismi di gruppo; l’aggressività verso il prossimo che,
all’interno dell’aggregato viene neutralizzata dai legami affettivi che vi si istituiscono, è
orientata all’esterno del gruppo sociale, dando origine all’intolleranza per gli esclusi,
fenomeno del tutto generale e correlato alla solidarietà dei gruppi stessi. Questa forma di
aggressività manifestata dai gruppi sociali non è determinata solo da una necessità di
autoconservazione e dal bisogno di risolvere nel modo più favorevole i conflitti di interesse
che si possono presentare fra il gruppo e le forze esterne: non è cioè la semplice
conseguenza di esigenze di tipo razionale, ma l’espressione di elementi affettivi
spontanei. Se agissero soltanto queste esigenze razionali, allora le guerre, i conflitti civili o
le rivoluzioni potrebbero essere condotte senza odio; ma risulta evidente che la guerra è
qualcosa di completamente diverso. Le guerre sono sì determinate da conflitti di interessi
fra gruppi sociali, conflitti che rafforzano i legami affettivi interni al gruppo e allentano, sino
al loro totale annullamento, le relazioni che uniscono il singolo a collettività di altra specie,
ma liberano nel singolo una somma di impulsi aggressivi, di tendenze distruttive ed
omicide, che sembrerebbero non solo inoperanti, ma del tutto assenti nell’uomo civile in
tempo di pace e che, tuttavia, si identificano come fattori istintivi permanentemente attivi
nell’uomo e che sono soltanto inibiti da una molteplicità di forze opposte. La stessa
società civile, esigendo normalmente dal singolo la rinuncia a molti comportamenti
aggressivi, esercita su di esso una pressione finalizzata alla limitazione di queste
tendenze istintive; tuttavia una pressione del genere si manifesta anche nell’interno, in
forza dei legami affettivi che si costituiscono nell’aggregato sociale. Questo si verifica dal
momento che la stessa pressione esterna dello stato tende a farsi pressione interna, in
quanto il super-io individuale è in gran parte il frutto dell’azione sociale e si costituisce in
seguito all’introiezione dell’autorità esterna; in questo modo, il comportamento sociale
normale dell’uomo risulta fondato sull’equilibrio che si istituisce tra le pressione dell’es
(vale a dire della vita istintiva) e dalla contropressione delle difese esercitate dal super-io.
Ma lo stato riserva a sé la libertà di compiere ciò che vieta ai singoli, cioè l’esercizio di
quella violenza che inibisce ai suoi cittadini nei loro rapporti reciproci; e poiché lo stato
esercita la sua attività attraverso la sua azione sui singoli, presenta come doverosi verso
l’esterno quegli atti che punisce e reprime quando sono compiuti all’interno della
collettività statale. Ciò significa, sostanzialmente, che lo stato prepara la guerra ed è ad
essa predisposto già in tempo di pace: la dichiarazione di guerra è infatti l’atto attraverso il
quale lo stato riconosce l’esercizio della violenza contro lo stato avversario legittimo per
sé e quindi anche per i suoi cittadini armati. Per il singolo questo atto dello stato
rappresenta un improvviso capovolgimento di valori, anche se non viene sentito come
l’imposizione di un’autorità esterna; perciò trova nella loro menta un’immediata adesione:
gli uomini non fanno la guerra perché lo stato glielo impone, ma semplicemente perché lo
stato glielo permette. Ciò affonda le proprie radici nel fatto che la coscienza morale
coincide, in massima parte, con l’angoscia sociale, cioè con la paura della riprovazione
sociale, ma quando la società toglie il veto elle tendenze aggressive latenti nell’animo
umano, queste esplodono, forti dell’appoggio dello stesso super-io; con ciò non si deve
intendere la guerra come una improvvisa liberazione di tendenze aggressive e distruttrici:
è infatti necessario aggiungere tutti quei fattori affettivi ed ideali che vengono additati nella
esaltazione dell’eroismo guerriero. Fra questi ve n’è uno che parrebbe in contraddizione
con lo stesso carattere aggressivo: per quanto la cosa possa apparire paradossale, il
ricordo che la guerra lascia nel combattente è soprattutto un sentimento di umana
simpatia, di amore. Questo si verifica nel momento in cui la liberazione e l’accentuazione
delle tendenze aggressive si accompagnano ad una straordinaria intensificazione dei
rapporti affettivi tra gli stessi combattenti; la guerra è livellatrice per tutti. Così, come il
narcisismo individuale, tramutandosi in narcisismo di gruppo, fa si che risultino derivate
dall’esterno le tendenze aggressive, cosi lo stesso polarizzarsi dell’aggressività di un
gruppo in una data direzione, riducendo l’aggressività interna, cementa i legami libidici del
gruppo e rafforza la sua coesione.
LA DISGREGAZIONE DEI GRUPPI SOCIALI E IL PANICO
L’elemento coesivo di un aggregato sociale è costituito dalla rete di legami libidici che lo
pervadono; per ciò che concerne la dissoluzione di tale situazione, la forma tipica di tale
fenomeno è data dal panico che improvvisamente si diffonde: ognuno cessa di obbedire
agli ordini e di sentirsi solidale cogli altri gregari, cessa cioè di sentirsi membro di
un’organizzazione ritrovandosi solo; contemporaneamente tutti sono pervasi da un folle
terrore. Il fenomeno del panico ha tuttavia un carattere particolarmente strano, e in un
certo senso, quasi paradossale: se, infatti, da un lato segna la scomposizione
dell’aggregato, dall’altra sembrerebbe un esempio tipico di contagio affettivo, cioè della
diffusione di uno stato d’animo nella folla. Pare che a provocarlo, in genere, sia un
improvviso pericolo: il terrore s’impadronirebbe della folla e darebbe origine alla sua
disgregazione; anche se è possibile il verificarsi di situazioni invertite, casi in cui proprio
l’annullamento dei legami affettivi genera una situazione vista come eccezionalmente
pericolosa ed irreparabile.
Comunque, i due fattori che concorrono alla produzione di un panico collettivo sono dati:
da una situazione di pericolo che minaccia ciascuno, e da un allentamento dei legami
libidici nella collettività. L’improvvisa presenza di un pericolo reale può richiamare la libido
sull’io personale ed allentare così i legami libidici che uniscono l’aggregato, come può
invece un improvviso annullamento di questi legami provocare nel singolo uno stato di
angoscia, per cui anche il minimo pericolo tende ad essere vissuto come gravissimo.
La soppressione dei legami libidici che legano un individuo all’altro all’interno di un
aggregato sociale provoca uno stato acuto di angoscia che può essere assimilata
all’angoscia nevrotica; la si può quindi imputare all’improvvisa a automatica conversione
delle cariche libidiche che collegavano il singolo a quell’aggregato e che vengono
improvvisamente liberate; ma la si può interpretare anche come reazione emotiva alla
perdita di quella protezione che il singolo sente nell’aggregato sociale, e cioè
quell’improvvisa solitudine affettiva, ma anche alla necessità di provvedere da solo a se
stesso, facendo fronte ai pericoli. Senza la protezione effettiva della collettività sociale la
vita appare tremendamente densa di insopportabili minacce; l’uomo, infatti, si sente
perseguitato non soltanto da atti ostili concreti, ma anche dal ritiro di quella solidarietà e
simpatia collettiva, dalla esclusione da quella rete di legami libidici che costituisce
l’elemento coesivo della collettività sociale.
SOCIALITA’, SESSUALITA’ E NEVROSI
Negato che vi sia un istinto gregario, originario e specifico, la genesi di tutti i fenomeni
sociali è stata dunque ricondotta da Freud ad uno dei due istinti ritenuti primordiali: l’eros
e il complesso degli impulsi libidici. Le tendenze libidiche, la cui intima natura è di
carattere sessuale, possono o conservare integralmente una tale loro natura,
mantenendosi rivolte ad un fine propriamente sessuale, oppure venirne distolte,
concentrandosi verso manifestazioni più accettabili. Parlando della struttura libidica della
folla, o dei legami libidici che costituiscono la coesione degli aggregati sociali, ci si
riferisce, chiaramente, a tendenze libidiche distolte dal loro fine originale, vale a dire
sublimate.
Stabilito ciò, sorge ora il problema dei rapporti fra socialità e sessualità, cioè quello
inerente alle relazioni che possono intercorrere tra i fenomeni sociali, in quanto retti su tali
tendenze, e l’amore vero e proprio, in quanto costituito da una fusione di tendenze
sessuali originarie e di tendenze sessuali sublimate. In un certo senso vi è antitesi tra
socialità e sessualità: l’amore basta a se stesso, quindi il bisogno di socialità non si fa
sentire; inoltre, la tendenza, nell’amore, a sottrarsi ai legami sociali, si manifesta con il
pudore dei propri sentimenti. L’amore, quindi, limita i sentimenti sociali ed è fattore
disgregativo delle collettività: per amore gli uomini sono facilmente portati a svincolarsi o a
rinnegare la religione, la razza, la nazione o la classe a cui appartengono, perciò l’amore
è una forza anticonservatrice da cui le religioni, le razze, le nazioni e le classi hanno
sempre cercato di difendersi.
A questo punto ci si può porre anche il problema del rapporto delle nevrosi con la
socialità: anche il nevrotico è antisociale; la sua libido è fissata su determinati oggetti
inconsci, quindi egli non dispone di energia sessuale da investire in rapporti di ordine
sociale. Inoltre il nevrotico si sente isolato nella società che non lo può comprendere;
sente un abisso che lo divide dagli altri, e non vi è possibilità per lui di una identificazione
con la folla.
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