La psicologia delle masse secondo Freud L'INDIVIDUO E I GRUPPI SOCIALI: LA FOLLA Si è soliti parlare di psicologia collettiva quando, prescindendo da relazioni con individui determinati e specifici, rispetto ai quali il comportamento individuale risulta differente, si considerano le influenze che sono esercitate su un individuo da parte di un gran numero di persone che individualmente possono essere estranee, ma al cui gruppo egli partecipa in un certo modo. L'individuo, esposto a tali influenze (incorporato, vale a dire, in un'entità collettiva), può subire una modificazione radicale del proprio comportamento; di qui, la necessità di individuare le varie tipologie di collettività: permanenti (Stato, Chiesa, ecc.)o transitorie (le folle occasionali); con organizzazione gerarchica interna (esercito) oppure aggregati amorfi; costruiti intorno ad una personalità dominante ovvero privi di leader. Una folla si caratterizza anche per la manifestazione di alcuni fenomeni tipici che la denotano come tale; la prima di queste è l'unità che si costituisce tra gli individui che fanno parte di una folla; gli individui si uniscono per dare origine ad un corpo unico, spogliandosi di quelle che sono le caratteristiche individuali per lasciar sussistere solo un fondo comune indifferenziato. Le sovrastrutture costituitesi attraverso l'educazione sociale e l'evoluzione si annullano, per cui l'anima della folla presenta aspetti che corrispondono alla vita psichica dei primitivi e dei bambini, assumendo comportamenti analoghi a quelli manifestati nell'inconscio o nella vita onirica. La folla è impulsiva, volubile, accessibile alle immagini e chiusa alle istanze critiche, affascinata dalle parole, priva del senso della realtà e indifferente alla verità; è autoritaria, intollerante, fermamente convinta della propria onnipotenza, conservatrice, crudele, brutale e distruttrice. Il quadro dell'anima della folla è quindi fortemente pessimistico; ne dovrebbe conseguire, consequenzialmente, un'opposizione radicale tra psicologia individuale e psicologia collettiva, conclusione, invece, contraddittoria; ciò, infatti, risulta dal fatto che le sovrastrutture esercitanti un freno sulla vita istintiva sono a loro volta il frutto di quella educazione che si esercita per la partecipazione all'aggregato sociale. Freud notò come questa contraddizione potesse essere risolta distinguendo tra gruppi sociali disorganizzati, per i quali varrebbe la descrizione riportata sopra, e gruppi che presentano un'organizzazione superiore, nei quali, sempre secondo Freud, si formerebbero quei caratteri che si riscontrano nell'individuo isolato, e che un tale individuo perderebbe provvisoriamente entrando a far parte di una folla disorganizzata. Fra i fenomeni che si manifestano nella folla, ne esiste un altro di estrema rilevanza: il contagio mentale, cioè il fatto che ogni sentimento ed ogni atto tende a propagarsi ed a venire riprodotto da tutti i componenti dell’aggregato; tale contagio è effetto della suggestionabilità, la quale viene enormemente esaltata negli individui della collettività: l'individuo è pronto a far propri e ad accattare sentimenti, convinzioni ed impulsi che in condizioni normali rifiuterebbe. SUGGESTIONE, IPNOSI E ATTACCAMENTO LIBIDICO Per ciò che concerne la teorizzazione della suggestione e dell'ipnosi, due furono i principali pensatori, tra l'altro in totale opposizione: Bernheim e Charcot. Bernheim riteneva che la suggestionabilità fosse un fenomeno generale e comune dell'uomo e che quindi le fondamentali differenze di comportamento tra gli esseri umani dipendessero dai differenti gradi di suggestionabilità; era anche convinto che l'ipnosi, che secondo Charcot era un fenomeno specifico ed anormale, non costituisse una forma particolare di suggestione. In questo modo rimaneva irrisolto il problema derivato dal fatto che situazioni come quelle create nelle diverse forme d’ipnosi, generassero un aumento del grado di suggestionabilità. Problema poi risolto da Freud, il quale sostenne la necessità di invertire il rapporto tra ipnosi e suggestione, considerando la seconda una particolare manifestazione della prima. Tuttavia risulta indifferente dire che la suggestione si riduca ad ipnosi o che l'ipnosi si riduca a suggestione, purché si precisi che il fenomeno considerato fondamentale sia qualcosa di specifico che si realizza di fronte a particolari procedimenti tecnici impiegati da un operatore, con il quale si istituisce un particolare rapporto: il raccordo suggestivo. Secondo Freud questo fenomeno rappresenta l'elemento essenziale del rapporto suggestivo; nei termini della teoria della libido, la traslazione suggestiva può essere interpretata come una concentrazione della stessa sulla persona del suggestionatore. A questo punto è necessario considerare il processo dell'idealizzazione, che consiste nel fenomeno per il quale l'oggetto della libido s’impone come assoluto, con la conseguenza che tutti i suoi comportamenti sono considerati delle perfezioni. Così l'io si fa piccolo di fronte al suo amore e la libido narcisistica si impoverisce e si annulla a favore della libido oggettuale; si annulla così la funzione del super-io al quale è, normalmente, rivolta gran parte della libido narcisistica. L'uomo diventa indifferente all'ideale che si era costruito di sé; per lui esiste ormai un solo imperativo, proveniente dalla persona amata che ha preso il posto del super-io. L'operatore è il solo essere degno di attenzione per l'ipnotizzato; le funzioni critiche sono abolite: tutto ciò che l'operatore chiede o afferma si realizza allucinatoriamente e viene eseguito automaticamente; le funzioni del super-io sono assunte, quindi, dall'operatore. Il rapporto ipnotico consisterebbe, quindi, in un totale abbandono amoroso nel quale, tuttavia, i fini sessuali sono del tutto assenti. L'efficacia di questo rapporto, sempre secondo Freud, dipenderebbe dal fatto che l'operatore risveglierebbe nel soggetto un elemento appartenente alla sua realtà arcaica: l'esistenza di un essere onnipotente, amato e contemporaneamente odiato, alla cui autorità non era possibile sfuggire e di fronte al quale si impone, nel soggetto, un comportamento passivo e masochistico. Ammesso, di conseguenza, che l'essenza dello stato di ipnosi consista in questo distacco dal mondo reale e dalla concentrazione della libido sulla persona dell'operatore, è possibile chiedersi se il distacco e la soppressione che ne derivano, siano da considerarsi assoluti. Freud osservava che durante l'ipnosi il soggetto comunque continuava a rendersi conto della realtà; egli aveva il senso più o meno vago dell'artificialità della situazione; inoltre il super-io non risultava del tutto annientato. Da qui la conseguenza che lo stesso rapporto suggestivo, in quanto accompagnato da una tale consapevolezza del carattere artificioso della situazione, non ha sul comportamento individuale, in quella sfera che potrebbe essere impropriamente definita reale, gli stessi effetti che potrebbero avere l'innamoramento(da ricordare è il fatto che nell'accecamento amoroso il soggetto può diventare facilmente e senza rimorsi un criminale) o l'appartenenza ad una folla. LA FOLLA E IL CAPO Si è già detto che le diverse tipologie di folla, o di aggregati sociali, si possono distinguere fra quelli caratterizzati dalla presenza di un capo e quelli che ne sono privi. Secondo Freud, tuttavia, la folla tipica è quella che si costituisce attorno ad un "condottiero" ed il fenomeno primario sul quale si forma la folla come entità unitaria è quello della relazione libidica che s’istituisce tra il singolo individuo e il capo. Questo rapporto è, per Freud, del tutto corrispondente al rapporto ipnotico. Egli prese in considerazione due esempi di folla, la Chiesa Cattolica e l'esercito, due folle artificiali e permanenti. L'una e l'altra collettività possono essere identificate come una grande famiglia; l'una e l'altra di queste formazioni si fondano sulla convinzione della presenza, visibile o invisibile, di un capo che ha cura in eguale modo ed ama ugualmente tutti i membri della collettività. Freud considera elemento essenziale di questa relazione col capo il fatto di sentirsi amati: ove quest'elemento venga a mancare, la formazione collettiva si disgrega. È, infatti, sua convinzione che la mancata resistenza finale degli eserciti della Germania durante la prima guerra mondiale andrebbe attribuita al fatto che il militarismo prussiano non si rese conto del "bisogno d'amore" dei soldati. In altre formazioni collettive il capo può apparentemente mancare, ma può allora essere sostituito da un'idea, oppure da un desiderio comune ad una molteplicità di individui. Anche in tali casi però la formazione collettiva tende ad incarnare quell'elemento astratto in un capo secondario che assume la funzione di guida della stessa collettività; inoltre il capo o l'idea possono assumere un carattere negativo: in altre parole l'odio per una persona può assumere la funzione di elemento coesivo della collettività. L'identità tra rapporto ipnotico e suggestivo riesce perfettamente a spiegare e ad illustrare la situazione che in questi casi va determinandosi nella coscienza del singolo. Il capo si costituisce in ideale dell'io e si sostituisce al super-io per i singoli gregari; può, quindi, restare sospesa o fortemente alterata la funzione normale del super-io e l'individuo può orientare tutto il suo comportamento sulla base esclusiva di questo momentaneo modello. In molti altri casi, però, la funzione normale del super-io non è totalmente abolita; il capo diventa allora, per il singolo gregario, un ideale solo parziale; e ciò spiega la possibilità per gli uomini di appartenere a diverse formazioni sociali; queste formazioni collettive permanenti consentono anche all'individuo che vi partecipa il mantenere di un certo grado d’indipendenza e d’originalità, che invece si annulla quando egli è assorbito in una folla transitoria. Ammettendo quindi che il capo agisca come fattore coesivo della collettività sociale in quanto sostituente del super-io individuale, nasce ora il problema di come possa porsi, contemporaneamente, come ideale di una moltitudine di individui. Ciò può essere spiegato partendo dal fatto che il super-io individuale non attira sempre in eguale misura su di sé tutta la libido narcisistica; parte di questa rimane legata all'io, come residuo di un narcisismo interiore di formazione precedente del super-io. Se quindi un individuo presenta, in forma pregnante, le proprietà peculiari ad un complesso di altri individui e, insieme, da impressione di una maggior forza e libertà libidica (cioè maggiore intraprendenza affettiva) con molta probabilità egli verrà sentito come capo e rivestito di tale ruolo. Da ciò deriva una necessaria distinzione tra psicologia della folla e psicologia del capo: Freud, per spiegare le origini della società umana, fece sua l’ipotesi di Darwin relativa all’orda primitiva, condotta da un maschio forte che impone la propria volontà su tutti. Quell’orda primitiva è la prima folla ed i comportamenti delle folle occasionali possono essere compresi ad una momentanea regressione a condizioni che dovevano essere permanenti all’epoca di quell’orda. Ma qui il capo ha una posizione eccezionale e la sua vita psichica deve avere caratteri distintivi da quella di tutti gli altri. Il capo è forte, libero ed indipendente, mentre gli altri sono troppo deboli, pavidi, per arrischiare iniziative personali. Il capo è una specie di super- uomo, solo; egli non ama alcuno, i membri stessi della sua orda sono i mezzi coi quali soddisfa i propri bisogni: il suo narcisismo non è limitato da alcuna proiezione libidica oggettuale permanente. Quindi, mentre il gregario ha bisogno di sentirsi amato, il capo non necessita d’amare nessuno; per il leader, l’amare è debolezza e per lui non vi è posto per i sentimenti (ossia per le stabili fissazioni libidiche) IDENTIFICAZIONE E COESIONE NELLA FOLLA I rapporti affettivi che uniscono i singoli al capo non esauriscono la struttura libidica della folla; una tale organizzazione sembra, infatti, costituita da un doppio ordine di legami: gli uni che collegano i singoli al capo, gli altri che uniscono i singoli tra loro. La fitta rete che ne risulta si fonda sulla mancanza di libertà che caratterizza l’individuo facente parte della folla, ma anche la stessa uniformità di comportamento, che si pone come carattere peculiare di una formazione collettiva. Per ciò che concerne l’origine di tale serie di legami affettivi, vi è chi ha affermato l’esistenza di un istinto gregario per cui gli uomini sarebbero spinti ad unirsi spontaneamente tra loro; ma se agisse effettivamente un primitivo e tale istinto, la presenza di un capo nella folla, o di qualcosa che vi corrisponde, non dovrebbe essere necessaria. A sostegno di ciò si è visto come sia presente, una fondamentale tendenza aggressiva nei loro rapporti reciproci e si è evidenziato come questa aggressività si renda manifesta anche in quelle relazioni permanenti che si stabiliscono tra individui particolari e che sembrano dominati da elementi positivi; il comportamento umano rivela, comunque, una certa prontezza all’aggressività, che risulta essere la palese espressione di quello che si definisce istinto di morte. Tuttavia, la nostra naturale tendenza all’aggressività, l’intolleranza e l’insofferenza scompaiono nella folla ove ci sentiamo solidali con in nostro vicino; la costituzione di una formazione collettiva è appunto caratterizzata dal sorgere di questi nuovi legami affettivi che si stabiliscono fra i suoi membri. L’instaurarsi di questo tipo di relazione è da ricercarsi in una forma particolare di identificazione che, sorgendo indipendentemente da legami affettivi, ostili o positivi nei confronti dell’oggetto, da invece origine a legami di tal genere. La base di questo istinto è costituita da quella parità di situazione che è l’attaccamento libidico al capo e l’assunzione di questi come ideale dell’io. Per cui, in forma schematica, è possibile rappresentare la formazione della folla come costituita, primariamente da un orientamento affettivo che si produce in una molteplicità di persone verso un individuo particolare, seguita da un processo per cui tale individuo viene assunto come ideale dell’io in sostituzione, provvisoria, del super-io e da un fenomeno di identificazione fra i vari individui in cui il processo si è prodotto ed infine dal sorgere di nuovi legami affettivi che si istituiscono tra i singoli in forza e per effetto di quella stessa identificazione iniziale. IL SENTIMENTO DELLA GIUSTIZIA Nessuna collettività sociale può mantenersi stabilmente tale senza che sia soddisfatto il sentimento della giustizia, poiché nel momento in cui si estingue la parità de trattamento tra i gregari si distruggono, di conseguenza, le stesse condizioni che rendono possibile l’identificazione fra i singoli ed in essi riaffiora e si riafferma l’originario narcisismo. L’esigenza di parità comporta tuttavia talune eccezioni: si applica ai gregari, ma non al capo, che, in un ceto modo, è fuori dell’aggregato. La folla riconosce lui ogni privilegio e la sua posizione eccezionale costituisce, essenzialmente, la condizione perché i componenti della folla ravvisino in lui il proprio ideale. Ideale di forza e di potenza: quanto più egli sa esercitare una tale attrazione sulla collettività, tanto più egli sarà seguito ed assunto come leader carismatico. Il sentimento della giustizia che sta alla base delle collettività sociali si può riassumere in questa formula: tutti eguali e un solo capo al di sopra di tutti. L’AGGRESSIVITA’ NEI GRUPPI SOCIALI E LA GUERRA Per effetto dell’identificazione che si genera in un aggregato sociale, il narcisismo individuale si trasforma in narcisismi di gruppo; l’aggressività verso il prossimo che, all’interno dell’aggregato viene neutralizzata dai legami affettivi che vi si istituiscono, è orientata all’esterno del gruppo sociale, dando origine all’intolleranza per gli esclusi, fenomeno del tutto generale e correlato alla solidarietà dei gruppi stessi. Questa forma di aggressività manifestata dai gruppi sociali non è determinata solo da una necessità di autoconservazione e dal bisogno di risolvere nel modo più favorevole i conflitti di interesse che si possono presentare fra il gruppo e le forze esterne: non è cioè la semplice conseguenza di esigenze di tipo razionale, ma l’espressione di elementi affettivi spontanei. Se agissero soltanto queste esigenze razionali, allora le guerre, i conflitti civili o le rivoluzioni potrebbero essere condotte senza odio; ma risulta evidente che la guerra è qualcosa di completamente diverso. Le guerre sono sì determinate da conflitti di interessi fra gruppi sociali, conflitti che rafforzano i legami affettivi interni al gruppo e allentano, sino al loro totale annullamento, le relazioni che uniscono il singolo a collettività di altra specie, ma liberano nel singolo una somma di impulsi aggressivi, di tendenze distruttive ed omicide, che sembrerebbero non solo inoperanti, ma del tutto assenti nell’uomo civile in tempo di pace e che, tuttavia, si identificano come fattori istintivi permanentemente attivi nell’uomo e che sono soltanto inibiti da una molteplicità di forze opposte. La stessa società civile, esigendo normalmente dal singolo la rinuncia a molti comportamenti aggressivi, esercita su di esso una pressione finalizzata alla limitazione di queste tendenze istintive; tuttavia una pressione del genere si manifesta anche nell’interno, in forza dei legami affettivi che si costituiscono nell’aggregato sociale. Questo si verifica dal momento che la stessa pressione esterna dello stato tende a farsi pressione interna, in quanto il super-io individuale è in gran parte il frutto dell’azione sociale e si costituisce in seguito all’introiezione dell’autorità esterna; in questo modo, il comportamento sociale normale dell’uomo risulta fondato sull’equilibrio che si istituisce tra le pressione dell’es (vale a dire della vita istintiva) e dalla contropressione delle difese esercitate dal super-io. Ma lo stato riserva a sé la libertà di compiere ciò che vieta ai singoli, cioè l’esercizio di quella violenza che inibisce ai suoi cittadini nei loro rapporti reciproci; e poiché lo stato esercita la sua attività attraverso la sua azione sui singoli, presenta come doverosi verso l’esterno quegli atti che punisce e reprime quando sono compiuti all’interno della collettività statale. Ciò significa, sostanzialmente, che lo stato prepara la guerra ed è ad essa predisposto già in tempo di pace: la dichiarazione di guerra è infatti l’atto attraverso il quale lo stato riconosce l’esercizio della violenza contro lo stato avversario legittimo per sé e quindi anche per i suoi cittadini armati. Per il singolo questo atto dello stato rappresenta un improvviso capovolgimento di valori, anche se non viene sentito come l’imposizione di un’autorità esterna; perciò trova nella loro menta un’immediata adesione: gli uomini non fanno la guerra perché lo stato glielo impone, ma semplicemente perché lo stato glielo permette. Ciò affonda le proprie radici nel fatto che la coscienza morale coincide, in massima parte, con l’angoscia sociale, cioè con la paura della riprovazione sociale, ma quando la società toglie il veto elle tendenze aggressive latenti nell’animo umano, queste esplodono, forti dell’appoggio dello stesso super-io; con ciò non si deve intendere la guerra come una improvvisa liberazione di tendenze aggressive e distruttrici: è infatti necessario aggiungere tutti quei fattori affettivi ed ideali che vengono additati nella esaltazione dell’eroismo guerriero. Fra questi ve n’è uno che parrebbe in contraddizione con lo stesso carattere aggressivo: per quanto la cosa possa apparire paradossale, il ricordo che la guerra lascia nel combattente è soprattutto un sentimento di umana simpatia, di amore. Questo si verifica nel momento in cui la liberazione e l’accentuazione delle tendenze aggressive si accompagnano ad una straordinaria intensificazione dei rapporti affettivi tra gli stessi combattenti; la guerra è livellatrice per tutti. Così, come il narcisismo individuale, tramutandosi in narcisismo di gruppo, fa si che risultino derivate dall’esterno le tendenze aggressive, cosi lo stesso polarizzarsi dell’aggressività di un gruppo in una data direzione, riducendo l’aggressività interna, cementa i legami libidici del gruppo e rafforza la sua coesione. LA DISGREGAZIONE DEI GRUPPI SOCIALI E IL PANICO L’elemento coesivo di un aggregato sociale è costituito dalla rete di legami libidici che lo pervadono; per ciò che concerne la dissoluzione di tale situazione, la forma tipica di tale fenomeno è data dal panico che improvvisamente si diffonde: ognuno cessa di obbedire agli ordini e di sentirsi solidale cogli altri gregari, cessa cioè di sentirsi membro di un’organizzazione ritrovandosi solo; contemporaneamente tutti sono pervasi da un folle terrore. Il fenomeno del panico ha tuttavia un carattere particolarmente strano, e in un certo senso, quasi paradossale: se, infatti, da un lato segna la scomposizione dell’aggregato, dall’altra sembrerebbe un esempio tipico di contagio affettivo, cioè della diffusione di uno stato d’animo nella folla. Pare che a provocarlo, in genere, sia un improvviso pericolo: il terrore s’impadronirebbe della folla e darebbe origine alla sua disgregazione; anche se è possibile il verificarsi di situazioni invertite, casi in cui proprio l’annullamento dei legami affettivi genera una situazione vista come eccezionalmente pericolosa ed irreparabile. Comunque, i due fattori che concorrono alla produzione di un panico collettivo sono dati: da una situazione di pericolo che minaccia ciascuno, e da un allentamento dei legami libidici nella collettività. L’improvvisa presenza di un pericolo reale può richiamare la libido sull’io personale ed allentare così i legami libidici che uniscono l’aggregato, come può invece un improvviso annullamento di questi legami provocare nel singolo uno stato di angoscia, per cui anche il minimo pericolo tende ad essere vissuto come gravissimo. La soppressione dei legami libidici che legano un individuo all’altro all’interno di un aggregato sociale provoca uno stato acuto di angoscia che può essere assimilata all’angoscia nevrotica; la si può quindi imputare all’improvvisa a automatica conversione delle cariche libidiche che collegavano il singolo a quell’aggregato e che vengono improvvisamente liberate; ma la si può interpretare anche come reazione emotiva alla perdita di quella protezione che il singolo sente nell’aggregato sociale, e cioè quell’improvvisa solitudine affettiva, ma anche alla necessità di provvedere da solo a se stesso, facendo fronte ai pericoli. Senza la protezione effettiva della collettività sociale la vita appare tremendamente densa di insopportabili minacce; l’uomo, infatti, si sente perseguitato non soltanto da atti ostili concreti, ma anche dal ritiro di quella solidarietà e simpatia collettiva, dalla esclusione da quella rete di legami libidici che costituisce l’elemento coesivo della collettività sociale. SOCIALITA’, SESSUALITA’ E NEVROSI Negato che vi sia un istinto gregario, originario e specifico, la genesi di tutti i fenomeni sociali è stata dunque ricondotta da Freud ad uno dei due istinti ritenuti primordiali: l’eros e il complesso degli impulsi libidici. Le tendenze libidiche, la cui intima natura è di carattere sessuale, possono o conservare integralmente una tale loro natura, mantenendosi rivolte ad un fine propriamente sessuale, oppure venirne distolte, concentrandosi verso manifestazioni più accettabili. Parlando della struttura libidica della folla, o dei legami libidici che costituiscono la coesione degli aggregati sociali, ci si riferisce, chiaramente, a tendenze libidiche distolte dal loro fine originale, vale a dire sublimate. Stabilito ciò, sorge ora il problema dei rapporti fra socialità e sessualità, cioè quello inerente alle relazioni che possono intercorrere tra i fenomeni sociali, in quanto retti su tali tendenze, e l’amore vero e proprio, in quanto costituito da una fusione di tendenze sessuali originarie e di tendenze sessuali sublimate. In un certo senso vi è antitesi tra socialità e sessualità: l’amore basta a se stesso, quindi il bisogno di socialità non si fa sentire; inoltre, la tendenza, nell’amore, a sottrarsi ai legami sociali, si manifesta con il pudore dei propri sentimenti. L’amore, quindi, limita i sentimenti sociali ed è fattore disgregativo delle collettività: per amore gli uomini sono facilmente portati a svincolarsi o a rinnegare la religione, la razza, la nazione o la classe a cui appartengono, perciò l’amore è una forza anticonservatrice da cui le religioni, le razze, le nazioni e le classi hanno sempre cercato di difendersi. A questo punto ci si può porre anche il problema del rapporto delle nevrosi con la socialità: anche il nevrotico è antisociale; la sua libido è fissata su determinati oggetti inconsci, quindi egli non dispone di energia sessuale da investire in rapporti di ordine sociale. Inoltre il nevrotico si sente isolato nella società che non lo può comprendere; sente un abisso che lo divide dagli altri, e non vi è possibilità per lui di una identificazione con la folla.