l`archivio centrale dello stato non chiude: sul deposito archivistico di

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L’ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO NON CHIUDE:
SUL DEPOSITO ARCHIVISTICO DI POMEZIA
La pubblicazione su Repubblica.it del 20 agosto dell’inchiesta “L’Italia senza più memoria”, ove si
denunciano i tagli di risorse all’Archivio centrale dello Stato (ACS), ha indotto studiosi, storici e “amici”
dell’Archivio ad esprimere e manifestare la loro solidarietà. Li si vuole qui ringraziare tutti, in particolare
coloro che ci hanno sollecitato a trovare le più opportune forme di iniziativa per garantire al nostro Istituto
le risorse necessarie.
E’ bene però precisare che nel sommario del servizio, inevitabilmente alla ricerca del grido ad effetto, sono
gravemente alterati, fino a diventare false notizie, almeno due punti. Il primo è che “entro l’anno l’ACS
potrebbe chiudere”: nel corpo dell’articolo si dice correttamente che “sarà complicato chiudere il bilancio
2014” (ma sarà certamente chiuso), mentre è vero che negli anni a venire, se le risorse rimarranno quelle
del 2014 e se non si faranno investimenti “produttivi” (come il fotovoltaico, ad esempio), il rischio è
incombente.
La seconda, ancora più grave, riguarda l’affermazione che la sede dell’ACS potrebbe essere trasferita a
Pomezia mentre in tutto l’articolo, e di ciò occorre dare atto alla giornalista, si parla solo del deposito
archivistico di Pomezia.
Ma le cose che si vanno dicendo sul deposito di Pomezia richiedono di riprendere per bene la questione. Il
testo che qui segue è forse un po’ lungo, ma data l’importanza del discorso è bene esplicitare tutti i
passaggi, per renderli comprensibili anche ai non addetti ai lavori.
1. La procedura per acquisire un deposito archivistico non lontano dalla sede dell’Eur inizia nel 2010, in
pieno accordo con la Direzione generale per gli Archivi (DGA) che, sulla base dei documenti prodotti dalla
Conferenza nazionale degli archivi di Bologna del 2009, era allora fortemente impegnata nella creazione di
poli archivistici. Con l’obiettivo, ambizioso, di avviare a soluzione quella cronica mancanza di spazi che non
consentiva (e non consente) agli istituti archivistici di compiere per intero il primo dei loro doveri: quello di
acquisire gli archivi che per obbligo di legge gli organi dello Stato debbono versare (per chi volesse
approfondire, anche con dati e statistiche: http://www.conferenzanazionalearchivi.beniculturali.it/).
2. Per l’ACS v’era inoltre un ulteriore e più specifico motivo per l’acquisizione del deposito che poi sarebbe
stato localizzato a Pomezia: l’inidoneità di una parte consistente dei depositi archivistici della sede
dell’ACS all’Eur, inidoneità che rendeva urgente l’individuazione di soluzioni concrete che garantissero una
migliore conservazione delle carte.
A cosa si deve questa inidoneità?
L’Archivio centrale dello Stato occupa due dei tre corpi di fabbrica del complesso che avrebbe dovuto
ospitare, in occasione dell’E42, la Mostra dell'autarchia, ma la guerra lasciò incompiuti quegli edifici. Agli
inizi degli anni Cinquanta, il primo sovrintendente dell’ACS, Armando Lodolini, pensò che essi potevano
essere adibiti a sede dell’ACS e propose al ministero dell'Interno, da cui gli Archivi dipendevano, di eseguirvi
quei lavori di adeguamento che li rendessero idonei a custodire masse notevoli di documentazione.
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Purtroppo la proposta di Lodolini fu accolta tardivamente, quando gli edifici erano già stati completati
senza che vi fossero stati compiuti i lavori di adeguamento richiesti.
I risultati? Eccoli:
Edificio laterale
a. il corpo laterale (un’area rettangolare di 37 x 135 ml), che conserva 50 chilometri di carte, è
collegato a quello centrale, ove sono la Sala di studio, gli uffici e tutti gli spazi pubblici, solo da un
passaggio sotterraneo del tutto disagevole, tant’è che la grandissima parte della documentazione
più frequentemente consultata è stata collocata, per ovvie ragioni di economicità di gestione,
nell’edificio centrale;
b. il piano terra del medesimo edificio laterale ha un’altezza di sette metri; è stato quindi possibile
utilizzarlo in modo efficace installando scaffalature su tre livelli, con due ballatoi cui si accede solo
mediante scale piuttosto strette. Il che rende impossibile movimentare i carrelli tra i diversi livelli
e, tantomeno, utilizzarli per portare la documentazione da uno di questi ballatoi alla Sala di
studio (ad eccezione di un montacarichi realizzato nel 2009 che serve solo un angolo dell’edificio);
c. il primo piano, che ha un altezza di oltre sei metri e solai di scarsa portata, non sopporta
scaffalature che superino i 2,5 metri d’altezza, il che vuol dire che lo spazio di questo ambiente di
oltre 4.000 mq. si utilizza solo per un terzo;
d. il medesimo primo piano ha, lungo tutto il suo perimetro, amplissime vetrate; sono molto belle
ma dal momento che esse lasciano passare dall’esterno sia il freddo che il caldo, quello spazio non
gode di alcun isolamento termico e si hanno perciò temperature del tutto inadatte ad un
deposito archivistico (un eventuale impianto di condizionamento termoigrometrico avrebbe
naturalmente costi incalcolabili, in contrasto con qualsiasi moderna logica di sostenibilità
economica).
Edificio centrale
e. i depositi dell’edificio centrale (dall’alto verso il basso: piano terra, ballatoio e piano inferiore)
sono in condizioni ambientali accettabili, salvo quelli del piano inferiore, posti oltre tre metri al di
sotto del livello stradale: durante i lavori di completamento dell’edificio, negli anni Cinquanta, non
furono purtroppo realizzate quelle intercapedini che avrebbero isolato quello spazio,
proteggendolo da umidità e infiltrazioni d’acqua. Il fenomeno è stato limitato grazie
all’installazione di pompe di areazione, con costi non trascurabili per la loro manutenzione e per il
consumo di energia elettrica.
3. A questi fattori di carattere strutturale occorre aggiungere che molte delle scaffalature installate alla
vigilia del 1960, anno in cui l’Archivio aprì al pubblico la attuale sede all’EUR, sono diventate inadeguate e
che gli impianti e i locali destinati a deposito archivistico, sia quelli dell’edificio laterale che dell’edificio
centrale, non sono mai stati oggetto, dal 1960, di una complessiva attività di manutenzione. Con l’ovvia
conseguenza di ripetuti malfunzionamenti che mettono a rischio lo stato di conservazione delle carte.
4. Il risultato, in sintesi, è che i depositi del più importante istituto archivistico italiano non garantiscono,
per una parte non trascurabile, una corretta conservazione delle fonti storiche custodite, né una loro
agevole gestione. A fronte di un esborso di quasi cinque milioni di euro che ogni anno il Mibact paga per
la locazione della sede dell’ACS ad Eur spa, società a partecipazione pubblica (MEF e Comune di Roma)
proprietaria degli immobili.
5. Che fare? Chiedere al “superiore Ministero” tutte le risorse necessarie per portare a soluzione tutto
quello che si poteva risolvere? Certo, sarebbe stato possibile imboccare questa strada. E sarebbe stato poco
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faticoso: sulla base degli stanziamenti degli ultimi anni, solo i lavori per ottenere il CPI, e solo di una parte
dell’edificio laterale (costo: 3.300.000 euro), sarebbero stati completati in una quindicina d’anni; nel
frattempo, tutto il resto avrebbe subito un ulteriore processo di degrado. Senza risolvere, comunque,
nessuno dei problemi più gravi, quelli di carattere strutturale.
In alternativa, si poteva proporre la costruzione di una nuova sede dell’ACS, con tutti i requisiti giusti:
funzionale ed economicamente sostenibile, capace di custodire non solo le carte di oggi ma anche quelle di
domani. Anche se una quindicina d’anni fa questa possibilità fu prospettata, e subito messa da parte, oggi
sarebbe possibile riprenderla, benché essa non garantisca nulla nel breve e medio periodo (si sono spesi
due anni per acquisire il deposito di Pomezia, uno spazio limitato in un immobile già costruito!!!).
6. L’unica concreta prospettiva, da cui si potevano sperare risultati positivi in tempi ragionevoli, è stata
individuata in un uso alternativo di quegli spazi dell’edificio laterale costosi e inidonei a custodire la
documentazione. La proposta, definita da quasi tre anni e avanzata in più occasioni, prevedeva due
opzioni:
a. di restituire ad EUR Spa il corpo laterale, per ottenere una consistente riduzione del canone di
locazione e investire in modo produttivo i risparmi ottenuti;
b. in alternativa, di assegnare il medesimo corpo laterale, o una sua parte, ad altra struttura Mibact
per la quale si pagava un significativo canone di locazione. Si poteva infatti ricavare dall’edificio
laterale un’autonoma unità immobiliare ritagliandovi il primo piano e l’ingresso del piano terra, con
un proprio accesso dal piazzale esterno e del tutto indipendente dall’edificio centrale dell’ACS come
sono, nell’edificio opposto, gli uffici dell’Agenzia per la Mobilità del Comune di Roma.
L’abbattimento dei costi sarebbe stato pari, in questo caso, al canone di locazione che si pagava per
la struttura Mibact che sarebbe stata trasferita a piazzale degli Archivi.
7. Naturalmente tutto questo sarebbe stato possibile perché si stava acquisendo il deposito di Pomezia,
anche per realizzare, indipendentemente da tutto il resto, una qualche economia di gestione. Il deposito di
Pomezia costa infatti 150.000 euro l’anno (inclusi tutti i costi aggiuntivi, compresi quelli di guardiania) e può
ospitare 38 chilometri di carte. Non si tratta, comunque di un nuovo fitto passivo: esso sostituisce la
succursale al Serafico presa in affitto a metà degli anni Ottanta che custodiva 15 chilometri di carte e
costava, tra canone di locazione e costi di gestione, 450.000 euro l’anno. Si è così aumentata di 23
chilometri la capacità di ricezione dei depositi ACS, risparmiando per giunta 300.000 euro l’anno (un
risparmio che lo Stato farebbe bene a restituire, almeno in parte, alle strutture che lo realizzano, anche per
incentivare analoghe iniziative di abbattimento delle spese inutili).
8. Dopo aver finalmente acquisito in locazione il deposito di Pomezia, nella primavera scorsa sono state
quindi avviate, e ultimate nel successivo mese di ottobre, le attività di dismissione della sede del Serafico, di
trasferimento da questa sede e da quella centrale dell’Eur nel deposito di Pomezia degli archivi non
inventariati o poco consultati, e quindi di razionalizzazione, mediante spostamenti interni, della
collocazione dei fondi archivistici dell’Eur.
9. Da pochi giorni sembra ormai definita la decisione di assegnare il primo piano e una parte del piano
terra dell’edificio laterale al Museo Nazionale d’Arte Orientale e, forse, alla Direzione Generale per gli
Archivi, effettuandovi tutti i necessari lavori di riqualificazione. Se la decisione coinvolgerà le due strutture
l’abbattimento delle spese per locazioni passive sarà di circa un milione e mezzo, se essa riguarderà invece
solo il MNAO sarà di quasi un milione l’anno.
10. Quali vantaggi per l’ACS la cessione dell’edificio laterale, o di una sua parte, e lo spostamento della
documentazione nel deposito di Pomezia?
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Il principale: quello di assicurare la migliore custodia di quegli archivi ora collocati in ambienti inidonei e
in condizioni che ne mettono a rischio la conservazione. Mediante il trasferimento a Pomezia di una
quantità di carte pari alla consistenza degli archivi oggi collocati negli spazi “dismessi” dell’edificio laterale,
in un deposito finalmente adeguato, funzionale e sicuro, dove le carte sono poste, come accade nei
moderni sistemi di gestione, in scatole che le preservano dalla polvere e da altri agenti esterni. E, una volta
liberati i depositi dell’Eur della documentazione trasferita, mediante una incisiva attività di
razionalizzazione e della disposizione dei fondi rimasti.
In secondo luogo: di diminuire lo spazio della sede Eur da gestire direttamente, con un abbattimento non
indifferente dei costi che oggi l’ACS sostiene. Per converso, tutto l’edificio laterale, anche se assegnato
solo in parte ad altre strutture del Mibact, sarebbero oggetto di lavori di riqualificazione che
inevitabilmente coinvolgeranno l’intera area, anche per valorizzare appieno il sistema museale dell’Eur.
Infine: dai risparmi che in questo modo si realizzano, l’ACS può ricavare le risorse per realizzare più incisive
attività di inventariazione e digitalizzazione delle fonti, effettuare più efficaci azioni di manutenzione degli
spazi, quasi del tutto concentrati a questo punto nel più funzionale edificio centrale, può gestire un efficace
servizio archivistico da Pomezia a Roma (una navetta che tutte le mattine porta nella Sala di studio dell’Eur i
pezzi richiesti).
11. A quali criticità può andare incontro questa soluzione?
A patto che tutta l’operazione sia organizzata e realizzata in modo razionale, e scontando le perplessità e gli
interrogativi che suscita sempre una soluzione innovativa, non si riesce a vedervi particolari criticità.
Se la documentazione oggi collocata negli spazi da liberare fosse già a Pomezia, cosa che non è, l’unico
concreto peggioramento del servizio lo subirebbe, oggi (ma solo oggi), lo studioso che in Sala di studio
chiede un pezzo spostato a Pomezia: per averlo dovrebbe aspettare il giorno dopo. Ma dal prossimo anno,
prima del prossimo trasferimento, la Sala di studio dell’ACS sarà dotata di un sistema informatizzato di
gestione. Sarà quindi possibile prenotare e chiedere i pezzi anche online, a distanza: gli studiosi potranno
anticipare le loro richieste e avere all’Eur, per il giorno in cui vanno in Sala di studio, tutto quello che hanno
richiesto, indipendentemente dal fatto che la documentazione si trovi nella sede centrale o a Pomezia. Per
lo studioso le modalità di movimentazione dei pezzi risulteranno del tutto indifferenti: che importa se i
faldoni arrivano in Sala di studio con un servizio di navetta da un deposito esterno, o se arrivano facendo un
percorso che, se riguarda quell’edificio laterale di cui s’è detto, è certamente lungo, complicato e
disagevole?
Altre criticità? Sembra che alcuni vadano affermando un nuovo principio archivistico: che tutta la
documentazione di un istituto archivistico debba essere conservata unitariamente, in un’unica sede. E’ una
nuova teoria che presuppone una sorta di animismo archivistico: che le carte perdono l’anima se vengono
allontanate dalla casa del padre. Sembrano, queste, evidenti insensatezze, tipiche purtroppo di questi
tempi poco controllati. C’è invece un altro punto - serio, concreto e per nulla animistico - che va garantito.
Esso riguarda le condizioni e gli ambienti in cui si fanno i lavori archivistici di ordinamento e inventariazione.
Per capire da dove cominciare e come procedere, l’archivista dovrebbe avere davanti, tutto intero, il nucleo
documentale su cui deve lavorare. E se esso è molto consistente, dovrà avere a disposizione tutto lo spazio
necessario. Dispiace che di questo argomento, serio perché riguarda le attività lavorative, non si dica nulla.
E comunque, tanto per dare le più ampie assicurazioni, lo spazio per lavorare non manca.
12. Si diceva del servizio archivistico gestito (anche) con una navetta. Esso è, almeno per gli archivi storici,
una novità mentre non lo è per gli archivi di deposito. E’ invece una pratica diffusa per le biblioteche, a
partire dalla New York Public Library - un modello mondiale di efficienza – alla Biblioteca della Camera dei
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Deputati di Roma, che prevede per i volumi collocati in magazzini esterni un servizio di navetta attivo due
volte a settimana.
13. Cosa aggiungere? Il servizio di navetta da Pomezia alla sede dell’Eur sarà certamente realizzato quando
sarà stato completato il prossimo trasferimento nel deposito esterno (riguarderà, a seconda delle decisioni
del Mibact, 20-25 chilometri di carte). L’individuazione dei fondi che saranno spostati nel deposito di
Pomezia sarà effettuata seguendo i criteri già adottati lo scorso anno per la documentazione trasferita
nell’ottobre 2013: vi saranno trasferiti i fondi non inventariati e quelli meno consultati. A riprova
dell’efficacia di questi criteri stanno le prime risultanze dell’esperienza fatta: nei dieci mesi trascorsi dal
trasferimento 2013 abbiamo ricevuto DUE richieste di consultazione del materiale che vi è depositato.
Che dire? Che si tenevano in locali molto costosi ingenti quantità di carte in gran parte non inventariate e
dunque inaccessibili? Che tutto ciò non configura (forse) un danno all’erario, ma costituisce certamente un
indice di cattiva gestione delle risorse pubbliche?
Dalle verifiche già compiute risulta che all’Eur c’è ancora molta documentazione che potrebbe essere
trasferita a Pomezia senza quasi colpo ferire. E che con i risparmi realizzati, e con quelli che sarà possibile
realizzare nei prossimi anni, sarebbe possibile “convertire” le risorse ora impiegate nelle locazioni passive,
“nel mattone”, in attività lavorative di inventariazione e restauro e in efficienti servizi archivistici.
14. L’acquisizione del deposito di Pomezia, con la sua disponibilità di spazi, si è rivelata una iniziativa molto
positiva. Oltre ad aver reso possibili la dismissione del Serafico e i risparmi di cui s’è detto (se li
proiettassimo nel lungo periodo se ne ricaverebbe la bella cifra di nove milioni), essa ha consentito di
rispondere positivamente alle richieste di versamento o di deposito che sono pervenute in questi mesi da
parte di numerosi soggetti, anche non direttamente connessi con le usuali competenze dell’ACS,
dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico alla Biblioteca Alessandrina. Si è così
messo in evidenza quello che già si sapeva: che a Roma mancano depositi archivistici che, sul modello del
centro realizzato dall’Agenzia delle Entrate, siano capaci di servire tutti gli uffici statali e, più in generale, le
pubbliche amministrazioni. Si tratta di una carenza più volte evidenziata, che determina diseconomie note
e una pessima gestione di quel patrimonio documentale destinato in gran parte a costituire le fonti con cui
si scrive la storia contemporanea.
Da parte di alcuni si avanzano oggi (forse per indicare qualche alternativa al deposito di Pomezia) diverse
proposte: la costruzione di una nuova sede per l’ACS, lo scavo nella zona di piazzale degli Archivi di un
sotterraneo da destinare a deposito (come s’è fatto per l’Archivio Vaticano), l’acquisizione di caserme o di
immobili demaniali, anche per evitare di dover sempre ricorrere alla locazione. Sono tutte proposte utili, da
esaminare, ma per sottrarre questi argomenti dalle tipiche discussioni da bar, in cui ognuno parla a ruota
libera, è opportuno annotare che:
o
o
o
la costruzione di una nuova sede, ripetendo anche da noi quanto è stato fatto in moltissimi Paesi,
sarebbe certamente la strada maestra per superare tutte le criticità dell’attuale situazione. Inutile
aggiungere, però, che di questa prospettiva si potrà discutere seriamente solo quando il decisore
politico la porrà sul tavolo per esaminare costi e benefici di una sia pur minima idea progettuale;
la medesima osservazione vale, più o meno, anche per grandi interventi come la costruzione di un
sotterraneo a piazzale degli Archivi (l’idea è degli anni Cinquanta);
degli immobili demaniali, su cui insistono alcuni, si parla da molti anni, anche a Roma, ma nel
frattempo nulla s’è fatto: non resta quindi che aspettare (ma con tutte le eccezioni del caso, come
ad esempio le caserme romane, andrebbe fatto un discorso più articolato sulle caratteristiche degli
immobili demaniali in Italia, spesso in contrasto con le esigenze di un moderno deposito
archivistico);
5
o
i costi che si pagano per le locazioni, certamente da abbattere, vanno comunque sottoposti ad una
valutazione economica: nel caso di Pomezia, ad esempio, il costo complessivo per la conservazione
degli archivi non supera annualmente i 4 euro a metro lineare di documentazione. Siamo sicuri che
un immobile demaniale, anche soltanto calcolando i costi di gestione, non supererebbe i 4 euro?
Basterebbe fare i conti, caso per caso, e trarne le opportune conseguenze.
15. Nel contesto di questo discorso bisognerebbe infine tentare di chiarire la questione dell’affitto
esorbitante che si paga ad Eur spa.
Come sappiamo, Eur spa è una società a partecipazione pubblica (90% del MEF, 10% del Comune di Roma)
nata dalla trasformazione in società per azioni dell'Ente Autonomo Esposizione Universale di Roma (d.lgs
403/1999): le risorse che arrivano alla società non sono partite di giro, come pure s’è detto, e anche se
l’espressione spesso utilizzata in questi casi dello “Stato che paga l’affitto a se stesso” riesce efficace per un
bel titolo ad effetto, essa è del tutto sbagliata: nel complicato settore dell’economia un’eccessiva
semplificazione (anche la moneta è un’astrazione!!) ci farebbe tornare al baratto. Le risorse di Eur spa sono
costituite, invece, da corrispettivi (per locazioni, ad esempio) o da stanziamenti (da MEF e Comune di
Roma) per i servizi svolti dalla società. La vera questione, di carattere economico e non contabile, è capire
se gli immobili concessi in locazione e i servizi di carattere pubblico resi da Eur spa sono, complessivamente,
corrispondenti ai valori del mercato e se la gestione della società è, ancora dal punto di vista economico,
sostenibile.
Posta infatti l’esistenza di Eur spa, lo Stato dovrà comunque assicurarne il funzionamento con risorse
pubbliche: eventuali provvedimenti di riduzione dei canoni, o di demanializzazione degli immobili, non
sarebbero, dal punto di vista generale, che soluzioni apparenti visto che nel bilancio dello Stato esse
determinerebbero la diminuzione di alcune voci e l’aumento di altre. In termini più diretti: poiché il fitto ad
Eur spa non è pagato dall’ACS, ma è iscritto nel bilancio Mibact in un capitolo di spesa a carico della DGA,
l’eventuale riduzione del canone (o la demanializzazione) farebbe scendere della stessa somma sia la voce
in uscita che la corrispondente voce in entrata, senza alcun vantaggio per alcuno.
Risultati ben diversi si hanno invece quando le economie si fanno davvero (quando non si prende la Ferrari,
come si diceva una volta, per andare dal giornalaio), quando si utilizzano al meglio, in modo più produttivo,
le risorse a disposizione. Quando, com’è nel nostro caso, quegli spazi inidonei a svolgere la funzione di
deposito archivistico sono invece utilizzati da una struttura museale che ora paga ad un privato, non ad una
società a partecipazione pubblica, un canone di entità non proprio trascurabile.
16. In attesa che maturino soluzioni più avanzate (con l’augurio che esse non siano l’albero di Bertoldo, che
quando fu condannato a morte ottenne la grazia di scegliersi l’albero a cui essere impiccato, ma purtroppo
non ne trovò mai uno adatto), Pomezia potrebbe essere, com’era negli intendimenti iniziali, il primo passo
verso la creazione di un polo archivistico delle pubbliche amministrazioni di cui si parla da anni ma che di
fatto non ha visto alcuna concreta (e positiva) realizzazione.
E’ un invito esplicito a tutti i soggetti competenti, dalla DGA ai vertici del Mibact, ad occuparsi davvero dei
poli archivistici. A partire da Roma, anche estendendo quel deposito di Pomezia che con i prossimi
trasferimenti esaurirà lo spazio disponibile.
Una iniziativa immediata in questa direzione:
o
o
consentirebbe di accogliere tutte le richieste ancora in sospeso di versamento e di deposito di fondi
archivistici;
eviterebbe di dover ripetere quei rifiuti che negli anni passati hanno ridotto al minimo, per tanto
tempo, i versamenti e le acquisizioni di fondi archivistici, determinando la “scomparsa” di tanti
archivi: un danno enorme, di cui poco si parla, al patrimonio storico nazionale;
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o
o
consentirebbe di poter cogliere occasioni importanti e proficue, com’è stato per il progetto Aset
che vede l’ACS beneficiario di un finanziamento PON di 750.000 euro grazie al fatto che si poteva
disporre di un deposito archivistico, semplicemente per compiere il dovere, istituzionale, di riunire
tutti gli archivi prodotti dalla Cassa per il Mezzogiorno e dall’Agensud, archivi che alla fine degli anni
Novanta, proprio per carenza di spazio, l’ACS poté acquisire solo in parte;
consentirebbe di dare una risposta positiva alle acquisizioni, piuttosto consistenti, dell’immediato
futuro. Le disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il
rilancio del turismo (DL 31 maggio 2014, n. 83), prevedono infatti che gli organi giudiziari e
amministrativi dello Stato versino all’ACS e agli archivi di Stato i documenti relativi agli affari
esauriti da oltre trent'anni, riducendo di dieci anni questo termine. Le conseguenze di questo
provvedimento? In assenza di indagini recenti, forse potranno essere ancora utili i dati raccolti nel
2009 in occasione della Conferenza nazionale degli archivi. Da questi dati, che in diverse occasioni si
sono rivelati molto attendibili, si potrebbero comprendere le dimensioni, sbalorditive, delle
prossime acquisizioni. Tutto prevedibile, naturalmente.
Roma, 25 agosto 2014
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