L’ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO NON CHIUDE: SUL DEPOSITO ARCHIVISTICO DI POMEZIA La pubblicazione su Repubblica.it del 20 agosto dell’inchiesta “L’Italia senza più memoria”, ove si denunciano i tagli di risorse all’Archivio centrale dello Stato (ACS), ha indotto studiosi, storici e “amici” dell’Archivio ad esprimere e manifestare la loro solidarietà. Li si vuole qui ringraziare tutti, in particolare coloro che ci hanno sollecitato a trovare le più opportune forme di iniziativa per garantire al nostro Istituto le risorse necessarie. E’ bene però precisare che nel sommario del servizio, inevitabilmente alla ricerca del grido ad effetto, sono gravemente alterati, fino a diventare false notizie, almeno due punti. Il primo è che “entro l’anno l’ACS potrebbe chiudere”: nel corpo dell’articolo si dice correttamente che “sarà complicato chiudere il bilancio 2014” (ma sarà certamente chiuso), mentre è vero che negli anni a venire, se le risorse rimarranno quelle del 2014 e se non si faranno investimenti “produttivi” (come il fotovoltaico, ad esempio), il rischio è incombente. La seconda, ancora più grave, riguarda l’affermazione che la sede dell’ACS potrebbe essere trasferita a Pomezia mentre in tutto l’articolo, e di ciò occorre dare atto alla giornalista, si parla solo del deposito archivistico di Pomezia. Ma le cose che si vanno dicendo sul deposito di Pomezia richiedono di riprendere per bene la questione. Il testo che qui segue è forse un po’ lungo, ma data l’importanza del discorso è bene esplicitare tutti i passaggi, per renderli comprensibili anche ai non addetti ai lavori. 1. La procedura per acquisire un deposito archivistico non lontano dalla sede dell’Eur inizia nel 2010, in pieno accordo con la Direzione generale per gli Archivi (DGA) che, sulla base dei documenti prodotti dalla Conferenza nazionale degli archivi di Bologna del 2009, era allora fortemente impegnata nella creazione di poli archivistici. Con l’obiettivo, ambizioso, di avviare a soluzione quella cronica mancanza di spazi che non consentiva (e non consente) agli istituti archivistici di compiere per intero il primo dei loro doveri: quello di acquisire gli archivi che per obbligo di legge gli organi dello Stato debbono versare (per chi volesse approfondire, anche con dati e statistiche: http://www.conferenzanazionalearchivi.beniculturali.it/). 2. Per l’ACS v’era inoltre un ulteriore e più specifico motivo per l’acquisizione del deposito che poi sarebbe stato localizzato a Pomezia: l’inidoneità di una parte consistente dei depositi archivistici della sede dell’ACS all’Eur, inidoneità che rendeva urgente l’individuazione di soluzioni concrete che garantissero una migliore conservazione delle carte. A cosa si deve questa inidoneità? L’Archivio centrale dello Stato occupa due dei tre corpi di fabbrica del complesso che avrebbe dovuto ospitare, in occasione dell’E42, la Mostra dell'autarchia, ma la guerra lasciò incompiuti quegli edifici. Agli inizi degli anni Cinquanta, il primo sovrintendente dell’ACS, Armando Lodolini, pensò che essi potevano essere adibiti a sede dell’ACS e propose al ministero dell'Interno, da cui gli Archivi dipendevano, di eseguirvi quei lavori di adeguamento che li rendessero idonei a custodire masse notevoli di documentazione. 1 Purtroppo la proposta di Lodolini fu accolta tardivamente, quando gli edifici erano già stati completati senza che vi fossero stati compiuti i lavori di adeguamento richiesti. I risultati? Eccoli: Edificio laterale a. il corpo laterale (un’area rettangolare di 37 x 135 ml), che conserva 50 chilometri di carte, è collegato a quello centrale, ove sono la Sala di studio, gli uffici e tutti gli spazi pubblici, solo da un passaggio sotterraneo del tutto disagevole, tant’è che la grandissima parte della documentazione più frequentemente consultata è stata collocata, per ovvie ragioni di economicità di gestione, nell’edificio centrale; b. il piano terra del medesimo edificio laterale ha un’altezza di sette metri; è stato quindi possibile utilizzarlo in modo efficace installando scaffalature su tre livelli, con due ballatoi cui si accede solo mediante scale piuttosto strette. Il che rende impossibile movimentare i carrelli tra i diversi livelli e, tantomeno, utilizzarli per portare la documentazione da uno di questi ballatoi alla Sala di studio (ad eccezione di un montacarichi realizzato nel 2009 che serve solo un angolo dell’edificio); c. il primo piano, che ha un altezza di oltre sei metri e solai di scarsa portata, non sopporta scaffalature che superino i 2,5 metri d’altezza, il che vuol dire che lo spazio di questo ambiente di oltre 4.000 mq. si utilizza solo per un terzo; d. il medesimo primo piano ha, lungo tutto il suo perimetro, amplissime vetrate; sono molto belle ma dal momento che esse lasciano passare dall’esterno sia il freddo che il caldo, quello spazio non gode di alcun isolamento termico e si hanno perciò temperature del tutto inadatte ad un deposito archivistico (un eventuale impianto di condizionamento termoigrometrico avrebbe naturalmente costi incalcolabili, in contrasto con qualsiasi moderna logica di sostenibilità economica). Edificio centrale e. i depositi dell’edificio centrale (dall’alto verso il basso: piano terra, ballatoio e piano inferiore) sono in condizioni ambientali accettabili, salvo quelli del piano inferiore, posti oltre tre metri al di sotto del livello stradale: durante i lavori di completamento dell’edificio, negli anni Cinquanta, non furono purtroppo realizzate quelle intercapedini che avrebbero isolato quello spazio, proteggendolo da umidità e infiltrazioni d’acqua. Il fenomeno è stato limitato grazie all’installazione di pompe di areazione, con costi non trascurabili per la loro manutenzione e per il consumo di energia elettrica. 3. A questi fattori di carattere strutturale occorre aggiungere che molte delle scaffalature installate alla vigilia del 1960, anno in cui l’Archivio aprì al pubblico la attuale sede all’EUR, sono diventate inadeguate e che gli impianti e i locali destinati a deposito archivistico, sia quelli dell’edificio laterale che dell’edificio centrale, non sono mai stati oggetto, dal 1960, di una complessiva attività di manutenzione. Con l’ovvia conseguenza di ripetuti malfunzionamenti che mettono a rischio lo stato di conservazione delle carte. 4. Il risultato, in sintesi, è che i depositi del più importante istituto archivistico italiano non garantiscono, per una parte non trascurabile, una corretta conservazione delle fonti storiche custodite, né una loro agevole gestione. A fronte di un esborso di quasi cinque milioni di euro che ogni anno il Mibact paga per la locazione della sede dell’ACS ad Eur spa, società a partecipazione pubblica (MEF e Comune di Roma) proprietaria degli immobili. 5. Che fare? Chiedere al “superiore Ministero” tutte le risorse necessarie per portare a soluzione tutto quello che si poteva risolvere? Certo, sarebbe stato possibile imboccare questa strada. E sarebbe stato poco 2 faticoso: sulla base degli stanziamenti degli ultimi anni, solo i lavori per ottenere il CPI, e solo di una parte dell’edificio laterale (costo: 3.300.000 euro), sarebbero stati completati in una quindicina d’anni; nel frattempo, tutto il resto avrebbe subito un ulteriore processo di degrado. Senza risolvere, comunque, nessuno dei problemi più gravi, quelli di carattere strutturale. In alternativa, si poteva proporre la costruzione di una nuova sede dell’ACS, con tutti i requisiti giusti: funzionale ed economicamente sostenibile, capace di custodire non solo le carte di oggi ma anche quelle di domani. Anche se una quindicina d’anni fa questa possibilità fu prospettata, e subito messa da parte, oggi sarebbe possibile riprenderla, benché essa non garantisca nulla nel breve e medio periodo (si sono spesi due anni per acquisire il deposito di Pomezia, uno spazio limitato in un immobile già costruito!!!). 6. L’unica concreta prospettiva, da cui si potevano sperare risultati positivi in tempi ragionevoli, è stata individuata in un uso alternativo di quegli spazi dell’edificio laterale costosi e inidonei a custodire la documentazione. La proposta, definita da quasi tre anni e avanzata in più occasioni, prevedeva due opzioni: a. di restituire ad EUR Spa il corpo laterale, per ottenere una consistente riduzione del canone di locazione e investire in modo produttivo i risparmi ottenuti; b. in alternativa, di assegnare il medesimo corpo laterale, o una sua parte, ad altra struttura Mibact per la quale si pagava un significativo canone di locazione. Si poteva infatti ricavare dall’edificio laterale un’autonoma unità immobiliare ritagliandovi il primo piano e l’ingresso del piano terra, con un proprio accesso dal piazzale esterno e del tutto indipendente dall’edificio centrale dell’ACS come sono, nell’edificio opposto, gli uffici dell’Agenzia per la Mobilità del Comune di Roma. L’abbattimento dei costi sarebbe stato pari, in questo caso, al canone di locazione che si pagava per la struttura Mibact che sarebbe stata trasferita a piazzale degli Archivi. 7. Naturalmente tutto questo sarebbe stato possibile perché si stava acquisendo il deposito di Pomezia, anche per realizzare, indipendentemente da tutto il resto, una qualche economia di gestione. Il deposito di Pomezia costa infatti 150.000 euro l’anno (inclusi tutti i costi aggiuntivi, compresi quelli di guardiania) e può ospitare 38 chilometri di carte. Non si tratta, comunque di un nuovo fitto passivo: esso sostituisce la succursale al Serafico presa in affitto a metà degli anni Ottanta che custodiva 15 chilometri di carte e costava, tra canone di locazione e costi di gestione, 450.000 euro l’anno. Si è così aumentata di 23 chilometri la capacità di ricezione dei depositi ACS, risparmiando per giunta 300.000 euro l’anno (un risparmio che lo Stato farebbe bene a restituire, almeno in parte, alle strutture che lo realizzano, anche per incentivare analoghe iniziative di abbattimento delle spese inutili). 8. Dopo aver finalmente acquisito in locazione il deposito di Pomezia, nella primavera scorsa sono state quindi avviate, e ultimate nel successivo mese di ottobre, le attività di dismissione della sede del Serafico, di trasferimento da questa sede e da quella centrale dell’Eur nel deposito di Pomezia degli archivi non inventariati o poco consultati, e quindi di razionalizzazione, mediante spostamenti interni, della collocazione dei fondi archivistici dell’Eur. 9. Da pochi giorni sembra ormai definita la decisione di assegnare il primo piano e una parte del piano terra dell’edificio laterale al Museo Nazionale d’Arte Orientale e, forse, alla Direzione Generale per gli Archivi, effettuandovi tutti i necessari lavori di riqualificazione. Se la decisione coinvolgerà le due strutture l’abbattimento delle spese per locazioni passive sarà di circa un milione e mezzo, se essa riguarderà invece solo il MNAO sarà di quasi un milione l’anno. 10. Quali vantaggi per l’ACS la cessione dell’edificio laterale, o di una sua parte, e lo spostamento della documentazione nel deposito di Pomezia? 3 Il principale: quello di assicurare la migliore custodia di quegli archivi ora collocati in ambienti inidonei e in condizioni che ne mettono a rischio la conservazione. Mediante il trasferimento a Pomezia di una quantità di carte pari alla consistenza degli archivi oggi collocati negli spazi “dismessi” dell’edificio laterale, in un deposito finalmente adeguato, funzionale e sicuro, dove le carte sono poste, come accade nei moderni sistemi di gestione, in scatole che le preservano dalla polvere e da altri agenti esterni. E, una volta liberati i depositi dell’Eur della documentazione trasferita, mediante una incisiva attività di razionalizzazione e della disposizione dei fondi rimasti. In secondo luogo: di diminuire lo spazio della sede Eur da gestire direttamente, con un abbattimento non indifferente dei costi che oggi l’ACS sostiene. Per converso, tutto l’edificio laterale, anche se assegnato solo in parte ad altre strutture del Mibact, sarebbero oggetto di lavori di riqualificazione che inevitabilmente coinvolgeranno l’intera area, anche per valorizzare appieno il sistema museale dell’Eur. Infine: dai risparmi che in questo modo si realizzano, l’ACS può ricavare le risorse per realizzare più incisive attività di inventariazione e digitalizzazione delle fonti, effettuare più efficaci azioni di manutenzione degli spazi, quasi del tutto concentrati a questo punto nel più funzionale edificio centrale, può gestire un efficace servizio archivistico da Pomezia a Roma (una navetta che tutte le mattine porta nella Sala di studio dell’Eur i pezzi richiesti). 11. A quali criticità può andare incontro questa soluzione? A patto che tutta l’operazione sia organizzata e realizzata in modo razionale, e scontando le perplessità e gli interrogativi che suscita sempre una soluzione innovativa, non si riesce a vedervi particolari criticità. Se la documentazione oggi collocata negli spazi da liberare fosse già a Pomezia, cosa che non è, l’unico concreto peggioramento del servizio lo subirebbe, oggi (ma solo oggi), lo studioso che in Sala di studio chiede un pezzo spostato a Pomezia: per averlo dovrebbe aspettare il giorno dopo. Ma dal prossimo anno, prima del prossimo trasferimento, la Sala di studio dell’ACS sarà dotata di un sistema informatizzato di gestione. Sarà quindi possibile prenotare e chiedere i pezzi anche online, a distanza: gli studiosi potranno anticipare le loro richieste e avere all’Eur, per il giorno in cui vanno in Sala di studio, tutto quello che hanno richiesto, indipendentemente dal fatto che la documentazione si trovi nella sede centrale o a Pomezia. Per lo studioso le modalità di movimentazione dei pezzi risulteranno del tutto indifferenti: che importa se i faldoni arrivano in Sala di studio con un servizio di navetta da un deposito esterno, o se arrivano facendo un percorso che, se riguarda quell’edificio laterale di cui s’è detto, è certamente lungo, complicato e disagevole? Altre criticità? Sembra che alcuni vadano affermando un nuovo principio archivistico: che tutta la documentazione di un istituto archivistico debba essere conservata unitariamente, in un’unica sede. E’ una nuova teoria che presuppone una sorta di animismo archivistico: che le carte perdono l’anima se vengono allontanate dalla casa del padre. Sembrano, queste, evidenti insensatezze, tipiche purtroppo di questi tempi poco controllati. C’è invece un altro punto - serio, concreto e per nulla animistico - che va garantito. Esso riguarda le condizioni e gli ambienti in cui si fanno i lavori archivistici di ordinamento e inventariazione. Per capire da dove cominciare e come procedere, l’archivista dovrebbe avere davanti, tutto intero, il nucleo documentale su cui deve lavorare. E se esso è molto consistente, dovrà avere a disposizione tutto lo spazio necessario. Dispiace che di questo argomento, serio perché riguarda le attività lavorative, non si dica nulla. E comunque, tanto per dare le più ampie assicurazioni, lo spazio per lavorare non manca. 12. Si diceva del servizio archivistico gestito (anche) con una navetta. Esso è, almeno per gli archivi storici, una novità mentre non lo è per gli archivi di deposito. E’ invece una pratica diffusa per le biblioteche, a partire dalla New York Public Library - un modello mondiale di efficienza – alla Biblioteca della Camera dei 4 Deputati di Roma, che prevede per i volumi collocati in magazzini esterni un servizio di navetta attivo due volte a settimana. 13. Cosa aggiungere? Il servizio di navetta da Pomezia alla sede dell’Eur sarà certamente realizzato quando sarà stato completato il prossimo trasferimento nel deposito esterno (riguarderà, a seconda delle decisioni del Mibact, 20-25 chilometri di carte). L’individuazione dei fondi che saranno spostati nel deposito di Pomezia sarà effettuata seguendo i criteri già adottati lo scorso anno per la documentazione trasferita nell’ottobre 2013: vi saranno trasferiti i fondi non inventariati e quelli meno consultati. A riprova dell’efficacia di questi criteri stanno le prime risultanze dell’esperienza fatta: nei dieci mesi trascorsi dal trasferimento 2013 abbiamo ricevuto DUE richieste di consultazione del materiale che vi è depositato. Che dire? Che si tenevano in locali molto costosi ingenti quantità di carte in gran parte non inventariate e dunque inaccessibili? Che tutto ciò non configura (forse) un danno all’erario, ma costituisce certamente un indice di cattiva gestione delle risorse pubbliche? Dalle verifiche già compiute risulta che all’Eur c’è ancora molta documentazione che potrebbe essere trasferita a Pomezia senza quasi colpo ferire. E che con i risparmi realizzati, e con quelli che sarà possibile realizzare nei prossimi anni, sarebbe possibile “convertire” le risorse ora impiegate nelle locazioni passive, “nel mattone”, in attività lavorative di inventariazione e restauro e in efficienti servizi archivistici. 14. L’acquisizione del deposito di Pomezia, con la sua disponibilità di spazi, si è rivelata una iniziativa molto positiva. Oltre ad aver reso possibili la dismissione del Serafico e i risparmi di cui s’è detto (se li proiettassimo nel lungo periodo se ne ricaverebbe la bella cifra di nove milioni), essa ha consentito di rispondere positivamente alle richieste di versamento o di deposito che sono pervenute in questi mesi da parte di numerosi soggetti, anche non direttamente connessi con le usuali competenze dell’ACS, dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico alla Biblioteca Alessandrina. Si è così messo in evidenza quello che già si sapeva: che a Roma mancano depositi archivistici che, sul modello del centro realizzato dall’Agenzia delle Entrate, siano capaci di servire tutti gli uffici statali e, più in generale, le pubbliche amministrazioni. Si tratta di una carenza più volte evidenziata, che determina diseconomie note e una pessima gestione di quel patrimonio documentale destinato in gran parte a costituire le fonti con cui si scrive la storia contemporanea. Da parte di alcuni si avanzano oggi (forse per indicare qualche alternativa al deposito di Pomezia) diverse proposte: la costruzione di una nuova sede per l’ACS, lo scavo nella zona di piazzale degli Archivi di un sotterraneo da destinare a deposito (come s’è fatto per l’Archivio Vaticano), l’acquisizione di caserme o di immobili demaniali, anche per evitare di dover sempre ricorrere alla locazione. Sono tutte proposte utili, da esaminare, ma per sottrarre questi argomenti dalle tipiche discussioni da bar, in cui ognuno parla a ruota libera, è opportuno annotare che: o o o la costruzione di una nuova sede, ripetendo anche da noi quanto è stato fatto in moltissimi Paesi, sarebbe certamente la strada maestra per superare tutte le criticità dell’attuale situazione. Inutile aggiungere, però, che di questa prospettiva si potrà discutere seriamente solo quando il decisore politico la porrà sul tavolo per esaminare costi e benefici di una sia pur minima idea progettuale; la medesima osservazione vale, più o meno, anche per grandi interventi come la costruzione di un sotterraneo a piazzale degli Archivi (l’idea è degli anni Cinquanta); degli immobili demaniali, su cui insistono alcuni, si parla da molti anni, anche a Roma, ma nel frattempo nulla s’è fatto: non resta quindi che aspettare (ma con tutte le eccezioni del caso, come ad esempio le caserme romane, andrebbe fatto un discorso più articolato sulle caratteristiche degli immobili demaniali in Italia, spesso in contrasto con le esigenze di un moderno deposito archivistico); 5 o i costi che si pagano per le locazioni, certamente da abbattere, vanno comunque sottoposti ad una valutazione economica: nel caso di Pomezia, ad esempio, il costo complessivo per la conservazione degli archivi non supera annualmente i 4 euro a metro lineare di documentazione. Siamo sicuri che un immobile demaniale, anche soltanto calcolando i costi di gestione, non supererebbe i 4 euro? Basterebbe fare i conti, caso per caso, e trarne le opportune conseguenze. 15. Nel contesto di questo discorso bisognerebbe infine tentare di chiarire la questione dell’affitto esorbitante che si paga ad Eur spa. Come sappiamo, Eur spa è una società a partecipazione pubblica (90% del MEF, 10% del Comune di Roma) nata dalla trasformazione in società per azioni dell'Ente Autonomo Esposizione Universale di Roma (d.lgs 403/1999): le risorse che arrivano alla società non sono partite di giro, come pure s’è detto, e anche se l’espressione spesso utilizzata in questi casi dello “Stato che paga l’affitto a se stesso” riesce efficace per un bel titolo ad effetto, essa è del tutto sbagliata: nel complicato settore dell’economia un’eccessiva semplificazione (anche la moneta è un’astrazione!!) ci farebbe tornare al baratto. Le risorse di Eur spa sono costituite, invece, da corrispettivi (per locazioni, ad esempio) o da stanziamenti (da MEF e Comune di Roma) per i servizi svolti dalla società. La vera questione, di carattere economico e non contabile, è capire se gli immobili concessi in locazione e i servizi di carattere pubblico resi da Eur spa sono, complessivamente, corrispondenti ai valori del mercato e se la gestione della società è, ancora dal punto di vista economico, sostenibile. Posta infatti l’esistenza di Eur spa, lo Stato dovrà comunque assicurarne il funzionamento con risorse pubbliche: eventuali provvedimenti di riduzione dei canoni, o di demanializzazione degli immobili, non sarebbero, dal punto di vista generale, che soluzioni apparenti visto che nel bilancio dello Stato esse determinerebbero la diminuzione di alcune voci e l’aumento di altre. In termini più diretti: poiché il fitto ad Eur spa non è pagato dall’ACS, ma è iscritto nel bilancio Mibact in un capitolo di spesa a carico della DGA, l’eventuale riduzione del canone (o la demanializzazione) farebbe scendere della stessa somma sia la voce in uscita che la corrispondente voce in entrata, senza alcun vantaggio per alcuno. Risultati ben diversi si hanno invece quando le economie si fanno davvero (quando non si prende la Ferrari, come si diceva una volta, per andare dal giornalaio), quando si utilizzano al meglio, in modo più produttivo, le risorse a disposizione. Quando, com’è nel nostro caso, quegli spazi inidonei a svolgere la funzione di deposito archivistico sono invece utilizzati da una struttura museale che ora paga ad un privato, non ad una società a partecipazione pubblica, un canone di entità non proprio trascurabile. 16. In attesa che maturino soluzioni più avanzate (con l’augurio che esse non siano l’albero di Bertoldo, che quando fu condannato a morte ottenne la grazia di scegliersi l’albero a cui essere impiccato, ma purtroppo non ne trovò mai uno adatto), Pomezia potrebbe essere, com’era negli intendimenti iniziali, il primo passo verso la creazione di un polo archivistico delle pubbliche amministrazioni di cui si parla da anni ma che di fatto non ha visto alcuna concreta (e positiva) realizzazione. E’ un invito esplicito a tutti i soggetti competenti, dalla DGA ai vertici del Mibact, ad occuparsi davvero dei poli archivistici. A partire da Roma, anche estendendo quel deposito di Pomezia che con i prossimi trasferimenti esaurirà lo spazio disponibile. Una iniziativa immediata in questa direzione: o o consentirebbe di accogliere tutte le richieste ancora in sospeso di versamento e di deposito di fondi archivistici; eviterebbe di dover ripetere quei rifiuti che negli anni passati hanno ridotto al minimo, per tanto tempo, i versamenti e le acquisizioni di fondi archivistici, determinando la “scomparsa” di tanti archivi: un danno enorme, di cui poco si parla, al patrimonio storico nazionale; 6 o o consentirebbe di poter cogliere occasioni importanti e proficue, com’è stato per il progetto Aset che vede l’ACS beneficiario di un finanziamento PON di 750.000 euro grazie al fatto che si poteva disporre di un deposito archivistico, semplicemente per compiere il dovere, istituzionale, di riunire tutti gli archivi prodotti dalla Cassa per il Mezzogiorno e dall’Agensud, archivi che alla fine degli anni Novanta, proprio per carenza di spazio, l’ACS poté acquisire solo in parte; consentirebbe di dare una risposta positiva alle acquisizioni, piuttosto consistenti, dell’immediato futuro. Le disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo (DL 31 maggio 2014, n. 83), prevedono infatti che gli organi giudiziari e amministrativi dello Stato versino all’ACS e agli archivi di Stato i documenti relativi agli affari esauriti da oltre trent'anni, riducendo di dieci anni questo termine. Le conseguenze di questo provvedimento? In assenza di indagini recenti, forse potranno essere ancora utili i dati raccolti nel 2009 in occasione della Conferenza nazionale degli archivi. Da questi dati, che in diverse occasioni si sono rivelati molto attendibili, si potrebbero comprendere le dimensioni, sbalorditive, delle prossime acquisizioni. Tutto prevedibile, naturalmente. Roma, 25 agosto 2014 7