1. Lo scenario economico internazionale ed il quadro congiunturale

1. Lo scenario economico internazionale ed il quadro
congiunturale
di Cesare Benzi
1. Introduzione
Dopo due anni di rallentamento dell’economia mondiale, sulle cui cause
esiste un ampia convergenza interpretativa (l’esaurirsi del lungo ciclo degli
investimenti degli anni Novanta, la sfiducia dei mercati finanziari
conseguente alla fine della fase di euforia borsistica e successivamente
all’instabilità dei mercati finanziari conseguente ai casi Enron e Worldcom,
il clima di incertezza che ha fatto seguito agli attacchi terroristici dell’11
settembre, ecc.)1 , il 2003 si presenta come un anno di difficile
interpretazione mentre gli analisti continuano a manifestare opinioni anche
radicalmente diverse anche per quanto riguarda l’andamento futuro
dell’economia mondiale.
L’analisi delle prospettive di breve periodo dell’economia mondiale e
dei principali paesi industrializzati si scontra contro difficoltà obiettive: le
instabilità di carattere geopolitico e – in particolare – gli effetti
sull’economia della recente guerra all’Iraq, il prolungarsi di una fase di
ristagno complessivo dell’economia internazionale che a sua volta
determinano comportamenti oscillanti, lo iato sempre più marcato tra le
enunciazioni d’intenti e le misure concretamente adottate dai governi2 e
l’incertezza che deriva da questi comportamenti rendono difficile
l’esercizio della previsione congiunturale. Al momento attuale, sembra
1
Cfr. Provincia di Milano (2001), Mercato del lavoro e politiche per l’impiego in
provincia di Milano. Rapporto 2000, FrancoAngeli, Milano; Provincia di Milano,
(2002), Le trasformazioni del mercato del lavoro e le politiche per l’occupazione
in provincia di Milano. Rapporto 2001, FrancoAngeli, Milano, pp. 69-107.
2
Paradigmatico, sotto questo aspetto, è il comportamento dell’amministrazione
americana che da un lato dichiara di volere mantenere elevato il valore del dollaro
in un momento in cui la valuta statunitense si sta rapidamente svalutando.
23
quindi quanto mai difficile avanzare interpretazioni anche per i principali
istituti internazionali di previsione economica.
Per questi motivi è sembrato opportuno inquadrare l’analisi di questo
contributo prendendo in esame le dinamiche di medio periodo: in questo
modo è infatti possibile fornire un’interpretazione che si collochi in un
contesto di più ampio respiro, prefigurando in altri termini alcuni scenari
(cfr. paragrafo 2) che possono concretamente guidare l’interpretazione della
congiuntura economica dei paesi che economicamente svolgono un ruolo di
leadership sull’economia mondiale ovvero gli Stati Uniti (cfr. paragrafo
3.1), il Giappone (cfr. paragrafo 3.2) e l’area dell’Euro (cfr. paragrafo 3.3.).
2. L’evoluzione economica di medio periodo
La dinamica di medio periodo del PIL nei principali paesi
industrializzati (cfr. Fig. 1 ) ha evidenziato come i tassi di crescita del PIL
statunitense siano stati in questi ultimi anni generalmente superiori a quelli
europei e a quelli giapponesi anche se è opportuno fornire alcune
qualificazioni.
Fig. 1 – Evoluzione di medio periodo del PIL
5
0
-5
1998
USA
1999
2000
Giappone
2001
2002
2003
Area dell'Euro
Fino all’anno 2000, gli Stati Uniti hanno fatto registrare tassi di crescita
superiori a quella degli altri paesi, una dinamica dovuta all’eccezionale
24
sviluppo degli investimenti privati, che ha determinato la sostituzione del
parco macchine, un forte aumento della produttività e del PIL. Anche i
consumi privati hanno giocato un ruolo importante nello sviluppo del PIL
statunitense.
Nello stesso periodo, anche i paesi europei fanno registrare tassi di
crescita positivi, benché inferiori a quelli statunitensi; in questo caso la
crescita europea è stata trainata, oltre che dagli investimenti privati, anche
dalle esportazioni, a dimostrazione che il tasso di crescita dipende
fortemente da dinamiche esterne ai paesi europei (in primo luogo, alla
domanda proveniente dagli Stati Uniti). Occorre tuttavia sottolineare come
in questi primi anni la forbice tra i tassi di crescita statunitensi e quelli
europei abbia teso a ridursi.
Nel 2001 i tassi di crescita statunitensi hanno assunto valori prossimi
allo zero e nettamente inferiori a que lli europei, in corrispondenza di una
serie di eventi congiunturali negativi che vanno dall’esaurirsi del ciclo
decennale degli investimenti ai casi Enron e Worldcom, dagli attentati
terroristici dell’11 settembre alla fase di incertezza politica che ne è seguita.
Nel 2002, i tassi di crescita statunitensi hanno recuperato leggermente,
mentre è continuata la contrazione di quelli europei: la differenza delle
dinamiche evidenziate da queste due aree economiche è sostanzialmente
dovuta al sostegno che gli Stati Uniti hanno saputo dare all’economia
nazionale attraverso un forte incremento della spesa pubblica, che invece in
Europa è rimasta sotto controllo in osservanza alle indicazioni del Trattato
di Maastricht.
Infine, il Giappone ha fatto registrare per tutto il periodo considerato
tassi di crescita oscillanti intorno allo zero, determinati sostanzialmente
dalla crisi del sistema bancario che si riflette in modo drammatico sugli
investimenti in capitale (ciò che, a sua volta, si riflette sulla capacità
produttiva di questo paese) ed appena attenuata dal sostegno fornito
all’economia dall’aumento della spesa pubblica.
In secondo luogo, occorre prendere in considerazione i riflessi della
dinamica del PIL e delle misure prese dai singoli governi sul mercato del
lavoro (cfr. Figg. 2 e 3). Com’é ovvio, l’andamento dei tassi di crescita
dell’occupazione riflettono in genere abbastanza fedelmente quelli del PIL;
tuttavia, la misura delle variazioni registrate nel periodo preso in esame è
stata abbastanza sorprendente in quanto i tassi di crescita dell’occupazione
negli Stati Uniti sono risultati nettamente inferiore a quelli europei,
arrivando ad assumere valori negativi a partire dal 2001; il Giappone,
invece, ha presentato , per tutto il periodo considerato, tassi di crescita
dell’occupazione negativi.
25
Fig. 2 – Evoluzione di medio periodo dell’occupazione
3
0
-3
1998
1999
USA
2000
2001
Giappone
2002
2003
Area dell'Euro
Fig. 3 – Evoluzione di medio periodo del tasso di disoccupazione
14
7
0
1998
USA
1999
2000
Giappone
26
2001
2002
2003
Area dell'Euro
In modo del tutto speculare, nel corso degli ultimi cinque anni il tasso di
disoccupazione si è ridotto in Europa ed è cresciuto negli Stati Uniti e in
Giappone.
Va rimarcato però che mentre il Giappone ha avuto andamenti
dell’occupazione pressoché costantemente negativi in tutto il periodo
considerato – a dimostrazione di una crisi economica che sembra ancora
lontana dall’essere superata – la dinamica occupazionale negli Stati Uniti e
nell’area dell’Euro si è rivelata più o meno positiva a seconda della
congiuntura economica. In effetti, fino all’anno 2000 il numero degli
occupati è cresciuto in entrambe le aree a tassi che si aggiravano intorno al
2% annuo; a partire dal 2000 i tassi di crescita hanno cominciato a contrarsi
ed hanno raggiunto livello prossimi allo zero sia negli Stati Uniti che nei
Paesi dell’area Euro. Il punto di svolta rappresentato dall’anno 2000 fa
supporre che il motivo della rallentata crescita dell’occupazione abbia
avuto origine dal termine del ciclo degli investimenti e alla caduta dei
consumi interni determinati dalla crisi delle Borse negli Stati Uniti piuttosto
che dagli attentati terroristici dell’11 settembre, che – al limite – potrebbero
avere amplificato un fenomeno già in essere. Ciò rende plausibile l’ipotesi
che la crescita dell’occupazione sia avvenuta grazie allo sviluppo dei settori
che hanno determinato la crescita degli investimenti, ovvero i settori della
cosiddetta new economy, producendo in questo modo una profonda
modificazione della struttura della forza lavoro verso figure professionali
maggiormente qualificate.
Come si è detto, il tasso di disoccupazione ha presentato un andamento
speculare: in Giappone è aumentato per tutto il periodo, mentre negli Stati
Uniti e nell’area dell’Euro è rimasto costante o si è ridotto fino al 2000, per
poi assumere valori crescenti negli anni seguenti.
Un ultimo aspetto da considerare consiste nella dinamica di medio periodo
del deficit interno ed estero dei principali paesi industrializzati (cfr. Figg. 4 e 5).
In generale, i bilanci pubblici dei paesi analizzati sono peggiorati negli ultimi
cinque anni. Negli Stati Uniti, il debito pubblico si è ridotto fino al 2000, ma a
partire dall’anno successivo l’Amministrazione Bush ha deciso di far fronte al
rallentamento dell’economia nazionale sostenendo la domanda attraverso un
aumento della spesa pubblica, determinando in tal modo un peggioramento dei
conti pubblici. In Europa, il deficit pubblico ha mantenuto valori negativi per
tutto il periodo considerato ad esclusione che per l’anno 2000 ed anche in questo
caso il 2001 ha segnato un’inversione del trend; in Giappone, il debito pubblico è
costantemente cresciuto nel corso degli ultimi cinque anni.
27
Fig. 4 – Evoluzione di medio periodo del deficit pubblico
8
0
-8
1998
1999
USA
2000
2001
Giappone
2002
2003
Area dell'Euro
Fig. 5 –Evoluzione di medio periodo del saldo della bilancia dei
pagamenti
6
0
-6
1998
USA
1999
2000
2001
Giappone
28
2002
2003
2004
Area dell'Euro
L’andamento dei conti con l’estero è stato invece condizionato in
maniera fondamentale dal valore della valuta nazionale: così, negli Stati
Uniti la sopravvalutazione del dollaro ha influenzato negativamente il saldo
estero in tutto il periodo considerato; nello stesso periodo, in Europa il
saldo delle partite correnti è rimasto in equilibrio, mentre in Giappone il
saldo delle partite correnti è migliorato leggermente per effetto della
svalutazione dello yen.
Ricordato che in tutto il periodo considerato, il Giappone ha registrato
performance nettamente inferiori a quelle statunitensi ed europee, vanno
avanzate alcune ipotesi interpretative che possono consentire di
comprendere meglio le dinamiche appena descritte per gli Stati Uniti e
l’area dell’Euro.
a) Gli Stati Uniti continuano a svolgere un ruolo trainante per l’economia
mondiale, mentre la nuova Europa non possiede ancora una capacità di
determinare in modo autonomo (ovvero indipendentemente dalle
dinamiche economiche degli altri paesi) lo sviluppo della propria
economia.
b) La capacità degli Stati Uniti di svolgere questo ruolo di traino è in gran
parte determinata dal fatto che il dollaro è la moneta che regola gli
scambi internazionali di merci: ciò ha determinato una
sopravvalutazione della valuta statunitense ed ha reso conveniente –
soprattutto per i paesi del Terzo Mondo, le cui valute sono sovente
soggette a drammatiche svalutazioni – investire in titoli statunitensi
per preservare il potere d’acquisto del paese, il che si traduce in un
finanziamento indiretto all’economia statunitense. D’altra parte, la
sopravvalutazione del dollaro rende il debito estero degli Stati Uniti
estremamente elevato: infatti, le esportazioni di merci statunitensi sono
fortemente penalizzate da un “dollaro forte”.
c) L’area dell’Euro ha una capacità di spesa limitata, anche a causa della
volontà di rispettare i vincoli che si è imposta e che si fanno
particolarmente stringenti in una situazione di crisi congiunturale
come l’attuale; essa può però contare oggi su una moneta che si sta
rapidamente apprezzando sul dollaro e che, nel lungo periodo,
potrebbe sostituire il dollaro come mezzo di scambio
internazionalmente accettato.
Ciò premesso, si possono formulare due ipotesi interpretative in merito
alle prospettive che potranno dischiudersi per l’economia internazionale.
Una prima ipotesi possibile è che la situazione descritta è destinata a
non subire significative modificazioni rispetto al recente passato: in
quest’ottica, è plausibile attendersi che una volta esauriti gli effetti della
29
attuale crisi congiunturale, l’economia statunitense dovrebbe rapidamente
riprendere il suo ruolo di guida dell’economia mondiale.
La seconda ipotesi è che il maggiore equilibrio che caratterizza
l’economia europea (anche se ottenuto a prezzo di tassi di crescita inferiori
a quelli statunitensi) ed il conseguente rafforzamento dell’Euro possano
mettere in discussione le tradizionali gerarchie economiche 3 : da questo
punto di vista, la recente svalutazione del dollaro fa presupporre che la
ripresa statunitense sarà connessa alla dinamica delle esportazioni piuttosto
che a dinamiche interne, segnando in questo modo un punto di svolta nella
politica economica statunitense.
Nel paragrafo successivo, in cui si descriverà la dinamica dei principali
indicatori economici nel corso dell’anno 2002, si cercherà di verificare in
che misura queste ipotesi siano fondate.
3. La congiuntura internazionale 4
A dispetto delle attese, l’economia mondiale ha segnato il passo anche
nel 2002: la causa principale della mancata ripresa deve essere
verosimilmente ricercata nell’incertezza legata alle tensioni di natura
geopolitica che hanno caratterizzato lo scorso anno che hanno determinato
un aumento dei prezzi del petrolio che, a sua volta, ha frenato le prospettive
di consumo/di investimento5 ed hanno provocato un rallentamento del
commercio mondiale.
Nei paesi maggiormente sviluppati, il clima di incertezza si è sommato
ad altri fattori di criticità specifici quali la crescita del disavanzo della
3
Alcuni autori hanno notato che alcuni paesi – ad esempio la Russia e la Cina –
hanno parzialmente convertito le loro riserve di valuta straniera in Euro, mentre
altri paesi hanno denominato i propri scambi in Euro piuttosto che in dollari. Si
vedano, a questo proposito: Brevi, P. (2003), “Alla ricerca delle reali ragioni di un
conflitto annunciato”, Storia in Network, n. 77, marzo; Harris, P. (2003), “Che
succederebbe se l’OPEC passasse all’Euro?”, Soberania.info, 5 marzo.
4
Cfr. Banca d’Italia (2003), Bollettino economico, n. 40; IMF, World Economic
Outlook , marzo; ECB (2003), Rapporto annuale 2002; ECB (2003), Rapporto
mensile, marzo; ECB (2002), Rapporto mensile, aprile; ISAE (2003), Le previsioni
per l’economia italiana, gennaio; ISAE (2003), Le previsioni per l’Italia nel 2003
e 2004, aprile; OECD, OECD Economic Outlook , aprile.
5
Come è noto, la fiducia di consumatori ed operatori è stata minata anche da
fenomeni che risalgono agli anni precedenti quali il timore di attentati terroristici,
gli scandali societari che si sono verificati negli Stati Uniti. la crisi finanziaria di
alcuni paesi dell’America Latina come l’Argentina: cfr. Provincia di Milano,
(2002), Le trasformazioni del mercato del lavoro e le politiche per l’occupazione
in provincia di Milano. Rapporto 2001, Milano, FrancoAngeli, pp. 69-107.
30
bilancia dei pagamenti statunitense e la svalutazione del dollaro per gli
Stati Uniti (cfr. paragrafo 3.1), la persistente difficoltà del sistema bancario
per il Giappone (cfr. paragrafo 3.2) e vincoli di bilancio particolarmente
stringenti per i paesi dell’area dell’Euro (cfr. paragrafo 3.3).
Per quanto riguarda gli altri paesi, i tassi di crescita sono relativamente
sostenuti nei paesi asiatici, variando – nell’ultimo trimestre 2002 – dal 3%
circa di Singapore all’11% circa della Cina 6 . In America Latina la
situazione è invece particolarmente critica in Argentina (il PIL si è
contratto del 10% nel solo terzo trimestre 2002) e in Uruguay (paese in cui
gli effetti della crisi argentina si sono avvertiti con maggior intensità),
mentre il Venezuela è stato caratterizzato da una crisi politica che ha
condotto ad un tentativo di colpo di stato: d’altra parte, alcuni segnali di
ripresa sono invece da registrare in alcuni paesi quali il Brasile ed il Cile, in
cui il peso del debito estero rimane tuttavia assai oneroso.
3.1. Stati Uniti
Come si può notare dall’esame della Tab. 1, il PIL statunitense è
cresciuto lo scorso anno a un tasso superiore a quello del 2001 (+1,8%
contro +0,3%): il tasso di crescita ha raggiunto i valori più elevati nel terzo
trimestre per contrarsi nuovamente nell’ultimo trimestre; ciò ha fatto sì che
nonostante il PIL si sia attestato su valori relativamente elevati, si avverta
la possibilità di una possibile nuova inversione di tendenza.
Se si considera il lato della domanda, appare chiaro che la ripresa dei
tassi di crescita è imputabile principalmente alla spesa pubblica, che ha
continuato a sostenere la domanda aggregata come già era avvenuto nel
2001. Anche i tassi di crescita dei consumi privati hanno fornito un
contributo non trascurabile e sono risultati superiori a quelli dell’anno
precedente in ogni trimestre: tuttavia, occorre sottolineare che la fiducia dei
consumatori stenta a decollare come dimostra la contrazione del tasso di
crescita dei consumi registratasi nel quarto trimestre 2002. E’ proseguita
invece la forte contrazione degli investimenti ed è peggiorato
moderatamente anche il saldo con l’estero.
Se si considera il lato dell’offerta, nel corso del 2002 è continuata la
contrazione, peraltro molto più limitata che nel recente passato, della
produzione industriale e dell’occupazione, mentre è cresciuta la
disoccupazione. La difficoltà delle imprese industriali è testimoniata da due
fattori: la riduzione dei tassi d’interesse a lungo termine e la contrazione
6
Non è ancora chiaro quanto la diffusione del virus della SARS potrà incidere
sulla crescita di questi paesi, anche se è verosimile che le prospettive di crescita si
ridurranno solo marginalmente.
31
Tab. 1 - Principali indicatori economici degli U.S.A.
2001
PIL (? %)1
2002
I trim. II trim. III trim. IV trim.
2001 2001 2001 2001
0,3
2,4
1,4
2,2
3,3
2,9
Consumi privati (?%)
Spesa pubblica (?%)1
Investimenti (?%)1
Esportazioni (?%)1
Importazioni (?%)1
2,5
3,7
-3,8
3,1
4,4
-3,1
-0,2
-0,7
3,0
4,7
-4,2
-9,3
-4,1
3,1
4,7
-2,9
-3,0
2,6
3,8
4,4
-1,0
2,8
6,7
2,7
4,0
0,9
3,9
10,1
Prod. ind. (1995=100) 2
124,6
123,6
122,4
123,7
124,7
123,8
109,6
4,7
109,3
5,8
108,1
5,6
109,3
5,9
110,0
5,8
109,6
5,9
120,0
124,0
123,0
123,0
124,0
125,0
2001
2002
Dic.
1
2
Occupaz. (1995=100)
Disoccupaz. (val. ass.) 2
Salari orari nell'ind.
manifatturiera
(1995=100) 2
Tassi d'interesse a lungo
termine (val. ass.)2
Prezzi alla produzione
(1995=100) 2
Prezzi al consumo
(1996=100) 3
Tasso d’inflazione 3
Genn. Febbr. Marzo
5,6
5,3
4,7
4,8
4,6
4,7
108,3
107,6
107,9
109,4
110,9
111,8
112,9
114,7
115,4
115,8
116,7
117,4
2,8
1,6
2,4
2,6
3,0
3,0
1
Per i dati annuali cfr. Banca d'Italia, Bollettino economico, n. 40, marzo
2003, per i dati trimestrali cfr. Eurostat, Euro-zone GDP up by 0,1%,
EU15 GDP up by 0,2%, Eurostat Euro-Indicators, n. 53, 2003: i dati
trimestrali segnalano le variazioni tendenziali ovvero le variazioni
percentuali sul periodo precedente in ragione d'anno.
2
Cfr. OECD, Main Economic Indicators, OECD, marzo e aprile 2002.
3
Cfr. Eurostat, Harmonized Indices of Consumer Prices, April 2003,
Eurostat Statistics in Focus, theme 2, n. 14, 2002: i dati trimestrali
segnalano le variazioni tendenziali ovvero le variazioni percentuali sul
periodo precedente in ragione d'anno.
32
del livello dei prezzi alla produzione – a fronte del moderato aumento dei
salari orari – potrebbero segnalare la contrazione dei margini di profitto
delle imprese. Non deve quindi sorprendere eccessivamente che,
nonostante il rialzo dei prezzi petroliferi connessi alle tensioni geopolitiche
nell’area mediorientale, la crescita dei prezzi al consumo si sia mantenuta
molto contenuta.
Per quanto riguarda le prospettive a breve termine, la rapida risoluzione
del conflitto con l’Iraq fa prevedere il ristabilirsi di condizioni di normalità
“psicologica” degli operatori: a partire dalla seconda metà del 2003 è
quindi prevedibile una ripresa dei consumi e degli investimenti che
dovrebbe riflettersi sui tassi di crescita del PIL, stimati dai principali istituti
di ricerca tra il 2,0% ed il 2,8%. D’altra parte, l’economia statunitense
continua a doversi confrontare con alcune problematicità – in particolare la
progressiva espansione del debito pubblico e del debito estero, che si
riflettono nella svalutazione del dollaro rispetto all’Euro e potrebbero
generare effetti di spiazzamento degli investimenti nel settore privato – che
la guerra in Iraq potrebbe avere acuito piuttosto che annullato. Sotto questo
punto di vista, le modalità della ripresa statunitense dipendono – come già
anticipato – dal modello di sviluppo che questo paese saprà (o vorrà)
perseguire (cfr. paragrafo 2).
3.2. Giappone
L’economia giapponese non è stata in grado di porre termine ad una
crisi che dura ormai da qualche anno: il tasso di crescita del PIL si è infatti
ulteriormente contratto, rispetto all’anno precedente, raggiungendo livelli
assai prossimi allo zero; occorre tuttavia segnalare nel corso dell’anno un
incremento progressivo dei tassi di crescita del PIL7 , che potrebbe
preludere ad una inversione del cic lo.
Quasi tutte le componenti della domanda – consumi privati, spesa
pubblica e investimenti privati – spiegano l’ulteriore rallentamento
dell’economia giapponese: gli investimenti si sono contratti in modo
sensibile, tradendo la mancanza di fiducia della classe imprenditoriale di
questo paese; il tasso di crescita dei consumi privati è stato positivo, ma
sensibilmente inferiore a quello dell’anno precedente; la spesa pubblica ha
attenuato la tendenza verso la recessione, ma non è stata in grado di
stimolare l’economia e il suo tasso di crescita è rimasto comunque inferiore
a quello dell’anno precedente. Solo le esportazioni nette hanno registrato
7
La contrazione media annua dei tassi di crescita è una media ponderata dei tassi
di crescita negativi registrati nei primi trimestri del 2002 e dei tassi di crescita
positivi registrati negli ultimi trimestri dell’anno.
33
Tab. 2 - Principali indicatori economici del Giappone
I trim. II trim. III trim. IV trim.
2001 2002
2001 2001 2001 2001
PIL (? %)1
0,4
0,3
-2,8
-0,2
1,7
2,8
Consumi privati (?%)1
Spesa pubblica (?%)1
Investimenti (?%)1
Esportazioni (?%)1
Importazioni (?%)1
1,7
2,6
-0,9
1,5
2,3
-4,2
-0,7
0,7
0,8
2,7
-8,2
-3,0
-5,5
0,9
2,3
-5,3
7,7
-0,2
2,3
2,8
-3,6
11,0
5,4
1,7
1,3
1,2
17,5
8,9
Prod. ind. (1995=100) 2
97,8
96,4
93,0
96,4
98,6
97,7
Occupaz. (1995=100) 2
Disoccupaz. (val. ass.) 2
Salari orari nell'ind.
manifatturiera
(1995=100) 2
99,3
5,0
98,0
5,4
97,1
5,3
98,4
5,3
98,6
5,4
98,0
5,4
105,0
104,0
83,0
103,0
104,0
126,0
2001
2002
Tassi d'interesse a lungo
termine (val. ass.)2
Prezzi alla produzione
(1995=100) 2
Prezzi al consumo
(1996=100) 3
Tasso d’inflazione 3
Dic.
Genn. Febbr. Marzo
1,3
1,3
1,0
0,8
0,8
0,7
93,9
91,9
91,5
91,5
91,6
91,7
100,6
99,7
99,7
99,3
99,0
99,3
-0,7
-0,9
-0,3
-0,4
-0,2
-0,1
1
Per i dati annuali cfr. Banca d'Italia, Bollettino economico, n. 40, marzo
2003, per i dati trimestrali cfr. Eurostat, Euro-zone GDP up by 0,1%,
EU15 GDP up by 0,2%, Eurosta t Euro-Indicators, n. 53, 2003: i dati
trimestrali segnalano le variazioni tendenziali ovvero le variazioni
percentuali sul periodo precedente in ragione d'anno.
2
Cfr. OECD, Main Economic Indicators, OECD, marzo e aprile 2002.
3
Cfr. Eurostat, Harmonized Indices of Consumer Prices. April 2003,
Eurostat Statistics in Focus, theme 2, n. 14, 2002: i dati trimestrali
segnalano le variazioni tendenziali ovvero le variazioni percentuali sul
periodo precedente in ragione d'anno.
34
un netto miglioramento: il loro tasso di crescita ha infatti assunto valori
moderatamente positivi, mentre nel 2001 si era registrata una loro
contrazione.
Dal lato dell’offerta, la produzione industriale ha proseguito la
contrazione già rilevata nel 2001, anche se a tassi di variazione più
contenuti. Queste difficoltà sono state confermate da una serie
impressionante di dati quali la contrazione dell’occupazione, l’aumento
della disoccupazione, la riduzione dei salari orari nell’industria
manifatturiera, la progressiva diminuzione dei tassi d’interesse a lungo
termine e la riduzione dei prezzi alla produzione/al consumo, a
testimonianza dell’esistenza di un processo deflattivo che non accenna a
ridursi.
Le prospettive a breve termine dell’economia giapponese rimangono
quindi orientate ad un pessimismo che deriva dal fatto che i problemi
strutturali – in particolare, la crisi del sistema bancario, impossibilitato ad
esigere crediti concessi con troppa disinvoltura (i cosiddetti bad loans) –
dell’economia nipponica non sono ancora stati risolti: i principali istituti di
ricerca indicano che la crescita del PIL del Giappone – che verosimilmente
sarà legata a un forte incremento delle esportazioni nette, in corrispondenza
alla ripresa del commercio mondiale al termine del conflitto Stati Uniti-Iraq
– assumerà valori compresi tra lo 0,2% e l’1,1%.
3.3. L’area dell’Euro
A differenza di quanto avvenuto negli Stati Uniti e in modo analogo a
quanto accaduto in Giappone, anche nei paesi dell’area Euro nel corso del
2002 si è registrata una sensibile contrazione dei tassi di crescita del PIL:
tuttavia, da un lato, i tassi di crescita – aggirandosi intorno all’1% su base
annua – non sembrano segnalare il rischio di recessione; dall’altro, anche in
questo caso, nel corso dell’anno la tendenza è stata verso un progressivo
recupero dei tassi di crescita su livelli che – per quanto non elevatissimi – si
attestano sulla media degli anni precedenti.
Le componenti della domanda che hanno maggiormente “sofferto” sono gli
investimenti, che hanno subito una contrazione severa. Sono invece
moderatamente positivi sia il tasso di crescita dei consumi privati (tuttavia in
forte contrazione rispetto all’anno precedente) che il tasso di crescita delle
esportazioni nette (costante rispetto all’anno precedente). Solo dall’aumento
della spesa pubblica proviene un certo sostegno alla domanda aggregata: si
tratta, tuttavia, di un sostegno che – dovendo i governi nazionali contemperare
due esigenze contraddittorie quali il rispetto dei parametri imposti dal Trattato
di Maastricht e la necessità di attuare interventi di politica economica
35
Tab. 3 - Principali indicatori economici dell’area dell’Euro
I trim. II trim. III trim. IV trim.
2001 2002
2001 2001 2001 2001
PIL (? %)1
1,4
0,8
0,4
0,8
1,0
1,2
Consumi privati (?%)1
Spesa pubblica (?%)1
Investimenti (?%)1
Esportazioni (?%)1
Importazioni (?%)1
1,8
2,1
-0,6
0,6
2,5
-2,5
0,5
0,6
0,6
2,4
-2,8
-2,6
-4,2
0,3
2,8
-3,3
1,0
-1,8
0,7
2,8
-2,6
3,0
1,6
1,0
2,3
-1,8
3,7
2,9
Prod. ind. (1995=100) 2
117,3
116,4
116,2
116,7
116,9
116,3
Occupaz. (1995=100) 2
Disoccupaz. (val. ass.) 2
Salari orari nell'ind.
manifatturiera
(1995=100) 2
109,2
8,0
109.8
8,3
108,8
8,1
109,8
8,2
110,2
8,3
110,2
8,5
118,0
121,0
118,0
121,0
123,0
124,0
2001
2002
Dic.
Tassi d'interesse a lungo
termine (val. ass.)2,
Prezzi alla produzione
(1995=100) 2
Prezzi al consumo
(1996=100) 3
Tasso d’inflazione 3
Genn. Febbr. Marzo
5,0
4,9
4,4
4,3
4,1
4,1
106,7
106,8
106,1
106,7
107,0
107,2
108,5
110,9
112,0
111,9
112,4
113,1
2,3
2,3
2,3
2,1
2,4
2,4
1
Per i dati annuali cfr. Banca d'Italia, Bollettino economico, n. 40, marzo
2003, per i dati trimestrali cfr. Eurostat, Euro-zone GDP up by 0,1%,
EU15 GDP up by 0,2%, Eurostat Euro-Indicators, n. 53, 2003: i dati
trimestrali segnalano le variazioni tendenziali ovvero le variazioni
percentuali sul periodo precedente in ragione d'anno.
2
Cfr. OECD, Main Economic Indicators, OECD, marzo e aprile 2002.
3
Cfr. Eurostat, Harmonized Indices of Consumer Prices. April 2003,
Eurostat Statistics in Focus, theme 2, n. 14, 2002: i dati trimestrali
segnalano le variazioni tendenziali ovvero le variazioni percentuali sul
periodo precedente in ragione d'anno.
36
controciclici – è stato giudicato da molti osservatori troppo prudente.
Tale difficoltà si riscontra solo parzialmente dal lato dell’offerta: tra i
fattori che segnalano criticità occorre segnalare il decremento della
produzione industriale, l’aumento della disoccupazione 8 e la forte
contrazione dei tassi d’interesse a lungo termine; tuttavia, crescono
moderatamente l’occupazione ed i salari orari nell’industria manifatturiera
e si mantengono stabili i prezzi alla produzione. Il tasso di inflazione cresce
più che nelle altre due aree, verosimilmente per effetto del changeover tra
le valute nazionali e l’Euro.
Nell’ipotesi “di scuola”, in base alla quale le prospettive a breve termine
dell’economia dei paesi dell’area Euro dipendono fortemente dalla
congiuntura statunitense, è prevedibile che si assista ad una ripresa nella
seconda metà del 2003 che i principali analisti valutano compresa tra
l’1,1% e l’1,8%: in quest’ottica, che implica un certo sfasamento temporale
tra la crescita statunitense e quella europea, i più elevati tassi di sviluppo
dovrebbero registrarsi nel 2004. Tuttavia, in una prospettiva di più ampio
respiro, la dinamica dell’economia europea dipenderà dalle scelte di fondo
effettuate congiuntamente dall’insieme dei paesi europei: se l’Europa non
vuole essere condannata a ricoprire un ruolo subalterno sul piano
economico9 , deve essere in grado di rendere più moderno il proprio sistema
produttivo e di generare, pur nel rispetto dei vincoli di bilancio, una
domanda interna di più vaste dimensioni.
8
In entrambi i casi va però segnalato come un peso assolutamente rilevante sia
imputabile alla perdurante crisi che attanaglia l’economia tedesca.
9
Si pensi alla possibilità che gli Stati Uniti adottino un modello di sviluppo che
sfrutti la svalutazione del dollaro e che sia quindi fortemente orientato alle
esportazioni: ciò renderebbe impraticabile una ripresa economica le cui modalità
sono state appena descritte.
37