Prof.ssa Garagnani Elisa – ISIS Archimede
Fluidostatica
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I fluidi: liquidi e gas
La materia si presenta a noi in varie forme di aggregazione che dipendono dalle forze interne di
coesione tra le molecole. Mentre i solidi sono caratterizzati da forze interne tali da mantenere
pressoché inalterata la loro forma, e conseguentemente anche il loro volume, i fluidi presentano
forze di coesione più deboli, possono perdere la loro forma, assumendo quindi quella del
recipiente in cui sono contenuti, ma possono mantenere inalterato il loro volume; in tal caso
prendono il nome di fluidi incomprimibili.
I fluidi si distinguono in liquidi e gas. Esaminiamo le rispettive caratteristiche.
• I liquidi hanno un volume proprio e una superficie limite che li separa dalle sostanze
esterne. I gas, invece, non hanno un volume proprio e tendono ad occupare tutto lo
spazio a loro disposizione.
• Per quanto riguarda il comportamento elastico, i liquidi sono praticamente incomprimibili, come i solidi, mentre un gas è facilmente comprimibile.
• Considerando la densità, è utile notare che i liquidi presentano densità molto più elevate
rispetto a quelle dei gas; per esempio, la densità dell’acqua, alla temperatura di 4◦ C,
è uguale a 103 kg/m3 , mentre quella dell’aria, a temperatura e pressione ambiente, è
circa uguale a 1,3 kg/m3 .
Le differenze che esistono tra liquidi e gas sono da attribuire alla diversa forza dei legami
tra gli atomi e le molecole della sostanza; tuttavia, poiché l’intensità di tali legami dipende
fortemente dalle condizioni ambientali, la distinzione tra liquido e gas non è netta. Infatti,
variando opportunamente temperatura e pressione, è possibile trasformare un liquido in un
gas e viceversa.
È quindi possibile trattare in modo unificato le proprietà meccaniche dei fluidi, che vengono chiamati così perché, a differenza dei solidi, sono in grado di fluire, cioè di scorrere. La
principale caratteristica meccanica di un fluido è, infatti, proprio la possibilità di scorrimento
di una sua qualsiasi parte rispetto ad un’altra adiacente, o rispetto alle pareti del contenitore.
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Il fluido in quiete
I fluidi, a differenza dei solidi, non hanno forma propria. Un liquido, infatti, tende a spandersi
sotto l’azione del proprio peso, mentre un gas, molto più leggero, tende a diffondersi ovunque,
occupando tutto lo spazio disponibile. Questo differente comportamento dei fluidi rispetto
ai solidi, come già accennato, è dovuto alla diversa entità delle forze con cui si attraggono le
molecole, ossia le piccolissime particelle di cui tutti i corpi sono composti: molto intense nei
solidi, tali forze sono più deboli nei liquidi e pressoché nulle nei gas. Ciò significa che:
• in un fluido ogni molecola è libera di muoversi con una certa libertà rispetto alle altre.
Tuttavia, quando si parla di quiete di un fluido, non si considerano le singole molecole di
cui è composto: come una grande folla di persone, vista da lontano, può sembrarci immobile
anche se le singole persone si muovono, allo stesso modo una goccia di fluido può essere in
quiete nonostante le sue molecole siano in perenne e rapidissima agitazione.
In conclusione, un fluido è in quiete (e si intende in quiete rispetto al recipiente che
lo contiene) se lo è qualunque sua parte abbastanza grande da essere osservabile su scala
macroscopica.
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La pressione
Un fluido è in quiete quando si realizza l’equilibrio fra le forze che tendono a metterlo in
moto, come per esempio il suo peso, e le forze esercitate su di esso dalle pareti del recipiente
che lo contiene, che si oppongono a tale moto.
Per comprendere come agiscono queste forze, immaginiamo di aprire un piccolo foro in
un punto qualsiasi della parete di un recipiente che contiene un liquido, come è mostrato in
figura.
Naturalmente il liquido comincerà ad uscire dal foro; tuttavia, se questo è abbastanza
piccolo, la quasi totalità del fluido resterà in quiete e quindi sarà lecito ritenere che la forza
che spinge il liquido fuori dal recipiente sia uguale alla forza con cui il liquido agiva sulla
parete del recipiente prima che aprissimo il foro. Ripetendo la prova in varie situazioni e con
recipienti di forma differente, ricaviamo che
a) la forza che il liquido esercita sulle pareti del recipiente, che chiameremo spinta idrostatica, è presente in tutti i punti del recipiente che si trovano a contatto con il
liquido;
Questo fatto è tipico dei fluidi: se il recipiente contenesse invece un solido, la spinta si
eserciterebbe soltanto sul fondo e non sulle pareti laterali.
b) la spinta idrostatica è in ogni punto perpendicolare alla parete, come si ricava osservando la direzione del getto di liquido nelle immediate vicinanze del foro.
Da queste semplici osservazioni si ricava che nello studio dei fluidi, a differenza di quanto
avviene per i solidi, non ha senso parlare di forza applicata in un punto; si deve invece pensare
alla forza come distribuita su una certa superficie.
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Il rapporto fra la forza F agente perpendicolarmente su una certa superficie e l’area A
della superficie stessa viene detto pressione, indicata con p:
F
A
Se la forza è misurata in newton e l’area in metri quadrati, la pressione risulta misurata
in newton/metro quadrato (abbreviato N/m2 ); tale unità è detta pascal (abbreviata Pa) ed
è l’unità del Sistema Internazionale della pressione.
Se, per esempio, su un pistone avente l’area di 1 dm2 (ossia 10−2 m2 ) viene esercitata
una forza di 10 N, la pressione risultante è pari a 10 N/10−2 m2 = 103 Pa.
Viceversa, note la pressione del fluido p e l’area della parete A, la forza esercitata dal
fluido sulla parete (o dalla parete sul fluido) è data da:
p=
F = pA.
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Il principio di Pascal
Il peso non è naturalmente l’unico fattore che può determinare la pressione di un fluido;
qualunque forza esterna agente per mezzo di un pistone, o di qualcosa di equivalente, può
contribuire ad aumentare (o diminuire) la pressione che il fluido esercita sulle pareti del
recipiente che lo contiene.
Se ripetiamo l’esperimento precedente con un recipiente chiuso da un pistone scorrevole
a perfetta tenuta, come in figura, sul quale agiamo con una certa forza, scopriamo un’altra
importante proprietà della spinta idrostatica, che viene espressa dal cosiddetto principio di
Pascal :
c) qualsiasi variazione della pressione prodotta in un punto qualsiasi del fluido si propaga
simultaneamente in tutti gli altri punti ; infatti, se in un certo istante la forza premente
sul pistone aumenta, tutti i getti diventano istantaneamente più veloci ed intensi.
È facile inoltre convincersi del fatto che
d) le forze di pressione agiscono in ogni punto del fluido, ossia anche all’interno del fluido
stesso; infatti le parti del fluido a contatto con il recipiente esercitano sulle pareti una
spinta in quanto a loro volta sono spinte dalle parti di fluido più interne con cui si
trovano a contatto; queste sono spinte dalle parti ancora più interne, e così via.
Una semplice verifica sperimentale di questo fatto si può realizzare nel modo seguente. Al
fondo di un recipiente pieno di liquido e chiuso da un pistone scorrevole è ancorato un
palloncino di gomma riempito d’aria: se premiamo sul pistone, il palloncino diventa più
piccolo, senza tuttavia cambiare forma.Ciò mostra che le forze di pressione agiscono ovunque
sulla superficie del palloncino e sempre perpendicolarmente ad essa.
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Si può infine verificare che
e) in un dato punto del fluido le forze di pressione assumono lo stesso valore in tutte le
direzioni.
La prova sperimentale si può realizzare con un recipiente chiuso da due pistoni abbastanza
vicini e aventi le stesse dimensioni; si vede allora che il liquido posto nel recipiente è in
equilibrio quando le forze agenti sui due pistoni sono uguali, qualunque sia la direzione lungo
cui i pistoni stessi agiscono.
Le proprietà a), b), c), d), e), che abbiamo verificato sperimentalmente per un liquido,
devono ritenersi vere per un fluido in generale, ossia anche per un gas.
Poiché, come abbiamo detto, le forze di pressione agiscono in ogni direzione, non è possibile associare alla pressione una direzione particolare; a differenza della forza, pertanto, la
pressione non è una grandezza vettoriale, bensì è una grandezza scalare.
Dal valore della pressione e nota l’area della superficie sulla quale tale pressione si esercita,
è pertanto possibile ricavare soltanto il modulo della forza e non la direzione; se si vuole
conoscere anche la direzione della forza, bisognerà tenere conto del fatto che, come abbiamo
detto, la forza è sempre perpendicolare alla superficie. Per quanto riguarda il verso, è chiaro
che la forza esercitata dal fluido sulla parete del recipiente è sempre diretta verso l’esterno
del recipiente stesso; viceversa, la forza esercitata dalla parete sul fluido è sempre diretta in
senso opposto, ossia verso l’interno.
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Il torchio idraulico
L’applicazione più diretta del principio di Pascal è il fatto che una forza piccola, agente su
una piccola porzione di superficie di un fluido incomprimibile, può equilibrarne una molto
più grande. Questo viene utilizzato nel torchio idraulico ed in altre macchine simili.
Per comprendere il principio di funzionamento di queste macchine, considera la seguente
figura.
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Due cilindri comunicanti, con sezione di
area A1 e A2 , contenenti un liquido incomprimibile, sono chiusi alla superficie libera mediante due pistoni scorrevoli. Se sul pistone
di sezione A1 si esercita una forza perpendicolare F1 ne segue un aumento di pressione
F1
. Poiché, come enunciato dal princi∆p =
S1
pio di Pascal, la variazione di pressione si trasmette inalterata, la forza F2 che va esercitata
sull’altro pistone per mantenere l’equilibrio,
F2
. Si deduce
deve essere tale che ∆p =
S2
F1
F2
=
A1
A2
⇒
F2 =
F1
A2 .
A1
Quindi, se A1 è molto più piccola di A2 , dovrà
essere F2 molto maggiore di F1 .
Nota che, grazie all’incomprimibilità, la variazione di volume del liquido contenuto nel primo
cilindro è uguale in modulo alla variazione di volume nel secondo cilindro:
∆V1 = ∆V2 ,
ossia:
A1 ∆h1 = A2 ∆h2 .
Per il torchio idraulico vale quindi la ben nota legge delle leve: ciò che si guadagna in
forza si perde in spostamento. In altre parole il lavoro compiuto dalla forza F1 , è uguale a
quello compiuto dalla forza F2 .
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La legge di Stevino
Definita la pressione, ci proponiamo ora di determinare le condizioni di equilibrio di un fluido
in quiete.
A questo scopo immaginiamo di congelare all’interno del fluido un elemento di forma e
volume definiti, supponendo di lasciare inalterato il resto del fluido.
Consideriamo prima il caso in cui il peso del fluido sia trascurabile rispetto alle
forze esterne agenti su di esso (il che è verificato in pratica, se il fluido è un gas e
se la quantità di fluido considerata non è molto grande), e cerchiamo le condizioni di
equilibrio per un elemento E di fluido a forma di parallelepipedo.
E risulta in equilibrio soltanto se su ciascuna delle sue facce agisce una forza uguale a
quella che agisce sulla faccia opposta; ciò equivale a richiedere che sulla superficie di
E la pressione assuma ovunque lo stesso valore. Poiché il ragionamento è valido per
qualunque elemento di fluido, arriviamo alla conclusione che in condizioni di equilibrio,
la pressione all’interno di un fluido di peso trascurabile è la stessa in tutti i punti ; in
altre parole, se p0 è la pressione esercitata da un pistone o da uno strumento equivalente,
allora per tutti i punti del fluido in quiete si avrà:
p = p0 .
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Consideriamo ora il caso di un fluido di peso non trascurabile (in pratica potete pensare ad un liquido). La faccia superiore dell’elemento E sia sottoposta alla pressione
p1 e quindi alla forza F1 = p1 A, dove A è l’area della faccia.
Affinché E sia in equilibrio, la forza F agente sulla faccia inferiore, dovrà bilanciare F1
più il peso di E stesso, che indichiamo con FP :
F = F0 + Fp ;
m
Sia poi d è la densità del fluido, che supporremo uguale in tutti i punti. Poiché d = ,
V
possiamo esprimere la massa dell’elemento di fluido E come m = dV . Quindi la forza
peso Fp è data da:
Fp = mg = dV g = dgAh,
dove h è l’altezza del parallelepipedo e g l’accelerazione di gravità. Detta allora p2 la
pressione del fluido al livello della faccia inferiore, ossia alla profondità h rispetto alla
faccia superiore, possiamo riscrivere la precedente uguaglianza nella forma:
p2 A = p1 A + dgAh,
ossia, dividendo per A:
p2 = p1 + dgh.
Quest’ultima è nota come legge di Stevino; essa ci dice che in un fluido pesante ed
incomprimibile la pressione cresce in maniera lineare rispetto alla profondità. In altre
parole la variazione della pressione è direttamente proporzionale alla profondità. Inoltre
confrontando la pressione in punti di fluidi di densità differente alla stessa profondità,
la variazione di pressione è direttamente proporzionale alla densità del fluido.
La legge di Stevino è in accordo con quanto si può facilmente osservare utilizzando una
bottiglia di acqua con dei fori. Da tutti i fori fuoriescono zampilli d’acqua di diversa
intensità: dal foro inferiore fuoriesce uno zampillo più lungo, mentre dai fori più alti
fuoriescono zampilli sempre più corti. Questo conferma che la pressione dell’acqua ad
una profondità maggiore risulta maggiore; essa cresce in corrispondenza dell’altezza del
liquido sovrastante.
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La botte di Pascal
Si racconta che il filosofo, matematico e fisico Blaise Pascal, per stupire gli amici, mostrò
come sfasciare una botte piena d’acqua aggiungendo pochi bicchieri. Per farlo sfruttò
proprio la legge di Stevino, riempendo un tubo molto sottile e lungo 10 metri. Il suo
esperimento viene ricordato con il nome di botte di Pascal e il fenomeno osservato come
paradosso idrostatico.
Infatti se in una botte piena d’acqua immergiamo attraverso il coperchio un tubo stretto e molto alto, versando acqua nel tubo la pressione idrostatica aumenta, secondo la
legge di Stevino, proporzionalmente all’altezza. Per il principio di Pascal l’aumento
di pressione si trasmette a tutto il liquido contenuto nella botte e di conseguenza aumenta anche la forza esercitata dall’acqua contro le pareti interne della botte, essendo
il prodotto di pressione per superficie. Versando quindi acqua nel tubo si arriverà ad
un punto in cui la botte si rompe in quanto il materiale che la costituisce non è in
grado di sopportare la forza esercitata dal liquido. Ciò conferma anche l’indipendenza
della pressione in un certo punto interno ad un fluido dalla forma del recipiente che lo
contiene: un tubo alto ma relativamente stretto può produrre pressioni notevoli senza
la necessità di impiego di grossi volumi di liquido.
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I vasi comunicanti
Dalla legge di Stevino si deduce che se due punti del fluido pesante in quiete, sono alla stessa
profondità, in essi la pressione è la stessa e, viceversa, se la pressione è uguale anche la quota
a cui si trovano è la stessa.
D’altra parte, se in un fluido si trovassero alla stessa quota due punti A e B con pressioni
differenti, allora il fluido non sarebbe in equilibrio ma tenderebbe a muoversi spinto da una
risultante di forze non nulla (dal punto a pressione maggiore al punto a pressione minore).
Dunque la condizione di equilibrio di un fluido di peso non trascurabile è che punti alla
stessa quota abbiano la stessa pressione.
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La pressione in un punto P di un fluido pesante, in equilibrio, è costante in tutti i punti
della superficie orizzontale passante per P .
Ciò si verifica, per esempio, alla superficie di contatto di un liquido con l’atmosfera; tutti
i punti di tale superficie sono allo stesso livello; lo sono anche le superfici libere di un fluido
pesante in vasi comunicanti. Vi è, perciò, un altro principio della statica dei fluidi che può
essere spiegato attraverso la legge di Stevino è la cosiddetta legge dei vasi comunicanti, la
quale afferma che:
• In condizioni di equilibrio il livello raggiunto da un liquido omogeneo contenuto in più
recipienti aperti comunicanti fra loro è lo stesso in ciascun recipiente.
Allo stesso livello significa che le superfici libere del liquido nei vari recipienti stanno tutte
sullo stesso piano orizzontale, dove per orizzontale si intende perpendicolare alla direzione
del filo a piombo.
Colleghiamo infatti due recipienti con un tratto di tubo orizzontale AB; il fluido contenuto
nel tubo è in equilibrio soltanto se la pressione in A è eguale alla pressione in B e poiché
queste pressioni, in accordo con la legge di Stevino, sono proporzionali ai livelli del fluido
nei due recipienti, si avrà equilibrio solo se tali livelli sono uguali. Se invece inizialmente i
due livelli sono differenti, il liquido in AB scorrerà dai punti a pressione maggiore ai punti a
pressione minore e pertanto, fino a quando non sarà raggiunta la condizione di equilibrio, si
avrà un passaggio di liquido dal recipiente in cui il livello è maggiore all’altro.
Il principio dei vasi comunicanti viene sfruttato dall’uomo per diverse applicazioni pratiche:
Il metodo del muratore o del piastrellista.
Come trasferire un livello di riferimento
(ad esempio un caposaldo con quota nota)
da un punto ad un altro? Semplicemente
usando una gomma trasparente riempita
d’acqua e sfruttando il principio dei vasi
comunicanti.
Acquedotti. L’acqua potabile giunge nelle nostre case perchè il serbatoio generale dell’acqua nelle città e nei paesi è situato in
posizione elevata e collegato, mediante i
tubi della rete di distribuzione, con tutti i
punti di utilizzo.
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Cosa succede invece se nei vasi comunicanti introduco un liquido di densità
diversa e non miscibile con quello già presente?
Se il tubo è riempito con liquidi non miscibili di densità diverse d1 e d2 , le altezze raggiunte
dal fluido nei due rami saranno diverse: h1 e h2 . Vediamo perché.
Innanzitutto la superficie di separazione
di due liquidi non miscibili, in equilibrio, è
sicuramente caratterizzata da una brusca variazione di densità; però, all’equilibrio, punti dei due liquidi a contatto avranno la stessa pressione altrimenti un liquido spingerebbe sull’altro ed il sistema non sarebbe in
equilibrio.
Dunque, sulla superficie S di separazione tra i due liquidi agiranno rispettivamente
verso il basso e verso l’alto le pressioni idrostatiche delle colonne h1 e h2. In condizioni
di equilibrio le due pressioni si bilanceranno:
d1 gh1 = d2 gh2
da cui:
d2
h1
=
h2
d1
Pertanto due liquidi non miscibili in vasi comunicanti raggiungono altezze inversamente
proporzionali alle proprie densità.
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Misura operativa di pressione
Gli strumenti per misurare la pressione vengono chiamati manometri. Un esempio di manometro è una capsula manometrica che può essere realizzata, per esempio, da un piccolo
contenitore sotto vuoto contenente una molla e delimitato da una pistone.
Per effettuare lo spostamento del pistone occorre vincere la forza elastica di una molla
vincolata al pistone ed al fondo della capsula. La pressione esercitata sul pistone è determinata dalla deformazione della molla calibrata (che permette di misurare la forza perpendicolare
che agisce sul pistone) e dall’area del pistone.
A differenza dei liquidi, nel caso di contenitori di gas di volume relativamente piccolo, la
pressione del gas sulla superficie del contenitore è uguale alla pressione in un qualsiasi punto
al suo interno. Come infatti mostra la figura, la pressione esercitata dal gas è la stessa sulla
superficie del contenitore come al suo interno, come si può constatare utilizzando più capsule
manometriche disposte in punti diversi del gas.
Questo è il caso per esempio della pressione dell’aria contenuta in una stanza; la stessa
cosa non si può dire se si considera la pressione tra la base e la cima di una collina. In questo
caso l’effetto dell’attrazione gravitazionale sull’aria non è affatto trascurabile e la pressione
cambia al cambiare della quota.
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La spinta di Archimede
Attraverso la legge di Stevino possiamo calcolare la cosiddetta forza (detta anche spinta) di
Archimede, che agisce su qualunque corpo immerso in un fluido.
Consideriamo, infatti, un corpo a forma di cilindro, totalmente immerso nel fluido. Detta
A l’area di base e h l’altezza del cilindro, la forza F1 che il fluido esercita sulla faccia superiore,
e che è diretta verticalmente verso il basso vale:
F1 = p1 A = (p0 + dgh1 )A,
mentre la forza F2 , che il fluido esercita sulla faccia inferiore e che è diretta
verticalmente verso l’alto, vale:
F2 = p2 A = (p0 + dgh2 )A,
dove h1 e h2 sono le profondità a cui si
trovano rispettivamente la faccia superiore e
la faccia inferiore. La forza risultante, che
chiameremo FA , è eguale alla differenza fra le
due forze, ossia:
FA = F2 − F1 = (p0 + dgh2 )A − (p0 + dgh1 )A = dg(h2 − h1 )A = dghA = dgV.
Poiché d è la densità del fluido e V è íl volume del corpo, dV è la massa di una quantità di
fluido che occuperebbe lo stesso volume dell’elemento immerso, quello che potremmo descrivere come il fluido spostato immergende il corpo. Dunque l’espressione trovata dgV risulta
essere il peso di un volume di fluido pari al volume del corpo stesso.
Inoltre, poiché è sempre h2 > h1 , sarà anche p2 > p1 e quindi F2 > F1 . La forza FA
risulta pertanto rivolta verso l’alto. Ritroviamo così la legge di Archimede, scoperta dallo
scienziato siracusano nel II sec. a.C.:
• Un corpo immerso in un fluido riceve una spinta diretta dal basso verso l’alto uguale
al peso del fluido spostato.
La legge di Archimede spiega perché i corpi aventi densità minore di quella del fluido
in cui sono immersi, galleggiano; tali corpi, infatti, se totalmente immersi, spostano una
quantità di fluido di peso superiore al loro peso e pertanto la forza di Archimede che su di
essi agisce prevale sulla forza di gravità.
L’equilibrio fra le due forze viene raggiunto quando una parte del corpo emerge dal fluido
in misura tale che il peso del fluido spostato dalla parte immersa risulti eguale al peso del
corpo.
Oltre che con il calcolo, la legge di Archimede può essere ricavata anche con un semplice
ragionamento. Poiché la pressione che il liquido esercita su un corpo non dipende dalla natura
di questo, la forza di Archimede che agisce su un certo corpo è uguale a quella che agisce
su un elemento E di fluido avente forma e dimensioni eguali a quelle del corpo stesso (o
della sua parte immersa); e poiché E, essendo immerso in altro fluido della stessa natura, è
chiaramente in equilibrio, la forza di Archimede che agisce su di esso deve essere eguale ed
opposta al suo peso.
Quando si parla di forza di Archimede, si è soliti pensare alla spinta idrostatica esercitata
dall’acqua, che permette il nuoto e la navigazione. Non bisogna però dimenticare che una
spinta analoga, seppure 800 volte più piccola, è esercitata anche dall’aria. Di solito corpi
sono troppo pesanti perché questa spinta abbia effetti visibili, ma se riempiamo un leggero
involucro con aria calda, idrogeno o elio, il peso complessivo può risultare inferiore a quello
dell’aria spostata; l’involucro allora sale e può anche sollevare dei pesi o trasportare dei
passeggeri.
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