la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint

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LA COOPERAZIONE TRA IMPRESE:
CONSORZI, GEIE, JOINT-VENTURE E
ASSOCIAZIONI TEMPORANEE.
Relatore
dr. Paolo CELENTANO
Giudice del Tribunale di Napoli
1.
Il fenomeno della cooperazione tra imprese.
Il fenomeno della cooperazione tra imprese costituisce il naturale portato della libertà
d’iniziativa economica garantita nel nostro ordinamento dall’art. 41, co. 1, Cost.
(«L’iniziativa economica privata è libera») e della conseguente possibile e normale presenza sul mercato di una pluralità di operatori economici tra loro concorrenti, ciascuno dei quali,
cioè, tende naturalmente a conquistare una fetta sempre più ampia di clientela o, comunque, a
garantirsi un margine di profitto sempre più alto.
Molteplici sono gli strumenti a disposizione degli operatori economici per perseguire tale
scopo competendo tra loro: la qualità del prodotto o del servizio offerto, il contenimento dei
prezzi, la riduzione dei costi, la pubblicità.
Ma può accadere anche che, allo stesso scopo, gli operatori economici si alleino, stipulando tra loro accordi che non li vedono in posizioni contrapposte, bensì uniti da intenti comuni, uniscano, cioè, occasionalmente o stabilmente, in tutto in parte, le loro forze, anziché utilizzarle (solo) per competere tra loro.
Nelle sue forme più intense, questa cooperazione tra operatori economici – la cui categoria giuridica di riferimento generale è costituita soprattutto da quella dei contratti plurilaterali
con comunione di scopo1 – può essere realizzata mediante il coordinamento o l’integrazione,
più o meno estesa, tra le rispettive strutture organizzative e/o tra le rispettive attività o addirittu-
1
Alla generale categoria dei contratti plurilaterali con comunione di scopo (o, più precisamente, ai
«contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuno sono dirette al conseguimento di uno
scopo comune») fanno riferimento l’art. 1420 e, indirettamente, gli art. 1446, 1459 e 1466 c.c., anche se solo
al fine di disciplinare gli effetti sul contratto della nullità e dell’annullabilità che riguardi il vincolo di una
delle parti e dell’inadempimento e dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione di una delle parti. Sul
tema dell’identificazione dei caratteri propri dei contratti plurilaterali con comunione di scopo si veda, soprattutto, M ARASÀ , Le società, Milano, 2000, 9 ss.
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ra mediante la costituzione di organizzazioni comuni, anche dotate di una propria soggettività o
personalità giuridica.
È in questo ambito che si collocano i fenomeni oggetto della presente relazione: i consorzi, i gruppi europei di interesse economico, le joint-ventures, le ccdd. associazioni temporanee di imprese.
2.
I consorzi.
2.1.
Nozione e tipologia del fenomeno consortile.
Secondo l’art. 2602, co. 1, c.c. – come modificato dalla l. 10 maggio 1976, n. 377 –
«con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono una organizzazione comune
per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese».
Quattro, dunque, sono gli elementi caratteristici del fenomeno consortile che rinviene la
sua disciplina nel codice civile2: 1) la natura contrattuale dell’accordo; 2) la partecipazione
a tale accordo di più imprenditori; 3) la creazione di un’organizzazione comune; 4) la finalità anticoncorrenziale e/o di cooperazione interaziendale, quest’ultima realizzata attraverso un meccanismo non dissimile da quello mutualistico.
L’aspetto funzionale (la cd. causa consortile) è il primo che pare opportuno porre in rilievo, anche perché, alla stregua dell’attuale testo dell’art. 2602, co. 1, c.c., devono ritenersi
ormai superate le incertezze di quella parte della dottrina e della giurisprudenza che, vigendo
l’originario testo di detto articolo3, sulla base della collocazione della norma nel titolo dedicato
alla «disciplina della concorrenza e dei consorzi» e del riferimento testuale alla «disciplina
delle attività economiche connesse», sosteneva che essa si riferisse soltanto agli accordi tra
imprenditori per la restrizione della reciproca concorrenza, mentre tutte le altre forme di cooperazione fra imprese dovessero ricadere nell’ambito delle associazioni non riconosciute4.
2
Occorre tener presente che il termine consorzio è impiegato dal nostro legislatore per indicare fenomeni assai eterogenei, sia nel campo del diritto privato che nel campo del diritto pubblico, il cui connotato
comune è dato soltanto dalla costituzione di organismi per il soddisfacimento in comune di bisogni propri
dei consorziati. Sicché non tutti i consorzi ricadono, almeno direttamente, sotto la disciplina dettata dagli
artt. 2602 e ss. c.c., ma solo quelli che presentano le caratteristiche strutturali e funzionali esposte nel corpo
del testo. V. CAMPOBASSO , Diritto commerciale, 1, Diritto dell’impresa, Torino, 1993, 260, n. 1.
3
Nel quale i consorzi venivano definiti come «contratti fra più imprenditori, esercenti una medesima
attività economica o attività economiche connesse, i quali hanno per oggetto la disciplina delle attività
stesse, mediante una organizzazione comune».
4
Sul punto si rimanda alle considerazioni ed alle citazioni bibliografiche di PAOLUCCI , I consorzi per il
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Ora, infatti, è indubbio che un consorzio può, innanzitutto, essere costituito (solo o anche)
al fine di disciplinare, limitandola, la concorrenza tra imprenditori che svolgono la medesima
attività o attività similari (cd. consorzio anticoncorrenziale) e, in tal caso, costituisce una delle
possibili manifestazioni dei patti limitativi della concorrenza previsti dall’art. 2596 c.c., dai quali
si distingue per la costituzione di un’organizzazione comune cui è demandato il compito di disciplinare in funzione anticoncorrenziale l’attività dei consorziati e/o di sorvegliare l’attuazione
degli accordi anticoncorrenziali. Esempio classico – e testualmente previsto – di tale tipo di
consorzio è quello per il contingentamento della produzione o degli scambi.
Può, poi, essere costituito (solo o anche) per realizzare un esigenza di tipo mutualistico,
quale strumento di cooperazione interaziendale finalizzato alla riduzione dei costi di gestione
delle singole imprese consorziate (cd. consorzio di coordinamento o di cooperazione interaziendale), come, ad esempio, nel caso in cui il consorzio abbia per oggetto l’acquisto in
comune di determinate materie prime o la gestione in comune della pubblicità5.
Proprio per il loro diverso profilo funzionale, è evidente che i consorzi anticoncorrenziali
ed i consorzi di coordinamento sollevano problemi profondamente diversi allorché si passi a
valutare la loro incidenza sulla struttura concorrenziale del mercato.
I consorzi anticoncorrenziali, al pari degli altri accordi limitativi della concorrenza, determinano sempre alterazioni più o meno rilevanti e durevoli della struttura concorrenziale del
mercato e, pertanto, la loro legittimità va, caso per caso, vagliata alla stregua della disciplina
antimonopolistica, comunitaria e nazionale6.
È, infatti, opinione comune che l’esplicita previsione normativa di consorzi con finalità anticoncorrenziali non implichi l’esenzione di tali consorzi dall’applicazione della cd. disciplina
antitrust, sicché i contratti che li costituiscono vanno reputati radicalmente nulli ove impingano
nei divieti di cui all’art. 85 del Trattato CE o all’art. 2 della l. 10 ottobre 1990, n. 2877.
Valutazioni opposte sono sollecitate dai consorzi di coordinamento senza finalità anticoncoordinamento della produzione e degli scambi, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, vol.
18, Torino, 1983, 419 ss.
5
In giurisprudenza, per il riconoscimento della portata innovativa del profilo funzionale dei consorzi
della legge n. 377 del 1976, v. Cass., 18 marzo 1995, n. 3163, in Giur. it., 1995, I, 1, 1800, in Dir. fall., 1995, II,
997, in Riv. dir. ind., 1997, II, 161, con nota di D’URSO, ed in Soc., 1995, 1423, con nota di SARALE, secondo
la quale: «Dopo la modifica dell’art. 2602 c.c., introdotta con legge n. 377 del 1976 e dopo l’entrata in
vigore della legge n. 240 del 1981, la causa del contratto di consorzio non è più limitata alla disciplina
della concorrenza tra imprenditori esercenti una medesima attività economica o attività economiche
connesse, ma ha un ambito più vasto, grazie al quale tale contratto si rivela concepito quale strumento
di collaborazione generale tra imprese diverse, volto a realizzare le più razionali ed opportune sinergie». Conf.: Cass., 26 luglio 1996, n. 6774, in Riv. dir. ind., 1997, II, 161, con nota di D’URSO; Cass., 9 luglio
1993, n. 7567, in CED Cass., RV. 483076.
6
Che ha superato l’inattuata disposizione di cui all’art. 2618 c.c., che prevede(va) l’approvazione da
parte dell’autorità governativa, sentite le corporazioni interessate, dei contratti di consorzio «tali da influire sul mercato generale dei beni in essi contemplati». Pure inattuata è rimasta la disposizione di cui all’art.
2619 c.c., che prevede la sottoposizione alla vigilanza dell’autorità governativa dell’attività dei consorzi.
Tuttavia, va rammentato che la legislazione speciale prevede forme di controllo sulla costituzione e/o
sull’attività determinate categorie di consorzi, come, ad es., i consorzi tra società cooperative per il coordinamento della produzione e degli scambi (v. art. 27-quater d.lgs.C.p.St. 1577/1947).
7
V. PATRONI GRIFFI, Le forme di integrazione fra imprese, in Manuale di diritto commerciale, a cura
di Buonocore, Torino, 1997, 606.
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correnziali, che rispondono all’esigenza di salvaguardare ed incrementare la competitività delle
imprese e, in questo senso, costituiscono strumenti idonei a preservare la struttura concorrenziale del mercato, sicché vengono guardati con favore, soprattutto allorché riuniscano piccole
e/o medie imprese, dal legislatore, che ne agevola la costituzione e l’attività con benefici tributari e creditizi8.
Ciò precisato, non va, però, dimenticato che il codice civile disciplina i consorzi anticoncorrenziali ed i consorzi di coordinamento in modo tendenzialmente uniforme, mentre annette
grande rilievo ad un’altra fondamentale distinzione tipologica dei consorzi di cui qui si sta trattando: quella tra consorzi con (sola) attività interna e consorzi destinati a svolgere (anche) attività esterna. Distinzione, questa, che si fonda sulle diverse modalità mediante le quali
l’organizzazione comune può espletare i compiti demandatile, giacché, mentre nei consorzi del
primo tipo il compito di tale organizzazione, pur quando sia eventualmente costituita anche da
un ufficio comune, si esaurisce nella regolamentazione dei rapporti fra i consorziati e/o nel controllare il rispetto degli obblighi previsti dal contratto, sicché non entra in relazione con i terzi,
nei consorzi del secondo tipo le parti prevedono l’istituzione di un ufficio destinato a svolgere attività con i terzi nell'interesse delle imprese consorziate (art. 2612 c.c.).
Quest’ultima struttura è la più coerente con le finalità dei consorzi di coordinamento, mentre i consorzi anticoncorrenziali ben possono perseguire le loro finalità senza entrare in relazione con i terzi. Ma, come si diceva, il legislatore codicistico annette rilievo alla sola distinzione
tra consorzi con sola attività interna e consorzi con attività anche esterna , prevedendo, con gli
artt. da 2603 a 2611, una base normativa comune a tutti i consorzi e dettando, poi, agli artt.
da 2612 a 2615-bis, disposizioni riguardanti i soli consorzi del secondo tipo.
È rimasta senza seguito applicativo, invece, a causa della mancata emanazione della normativa di attuazione prevista dall’art. 111 disp. att. c.c., la previsione dei consorzi obbligatori
di cui agli artt. 2616 e 2617 c.c., cioè dei consorzi «fra esercenti lo stesso ramo o rami similari di attività economiche» che avrebbero dovuto essere obbligatoriamente costituiti in
forza di un provvedimento dell’autorità governativa per «esigenze dell’organizzazione
della produzione» o per la gestione collettiva dell’ammasso di determinati prodotti agricoli.
La legislazione, tuttavia, prevede non pochi casi di ccdd. consorzi coattivi, costituiti per legge
tra tutti gli operatori economici appartenenti ad una determinata categoria.
Va, comunque, rilevato che la disciplina codicistica è congegnata in modo tale da lasciare
amplissimo spazio all’autonomia contrattuale e non offre precise indicazioni per il caso in cui
questo spazio non sia riempito, così imponendo di ricercare aliunde e, in particolare, a seconda dell’orientamento di fondo cui si ritiene di dover aderire e del concreto problema che si
tratta di risolvere, nella disciplina del mandato o delle associazioni non riconosciute o delle
società (di persone, di capitali o cooperative), la soluzione di numerose e spinose questioni.
Tuttavia, essa costituisce punto di riferimento obbligato ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile, ove si tratti di colmare lacune normative o contrattuali, a tutti quei consorzi
previsti ma solo parzialmente regolamentati dalla legislazione speciale che presentino analogie
strutturali e funzionali con i consorzi di cui agli artt. 2602 e ss. c.c., come, ad esempio, i consorzi fra società cooperative per il coordinamento della produzione e degli scambi,
8
V., ad es., la l. 21 maggio 1981, n. 240, e gli artt. 17 e ss. della l. 5 ottobre 1991, n. 317.
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introdotti all’art. 27-ter del d.lgs.C.p.St. 14 dicembre 1947, n. 1577, dall’art. 5 della l. 17
febbraio 1971, n. 127, o i consorzi di garanzia collettiva fidi (detti, più semplicemente,
anche consorzi fidi o confidi), previsti dall’art. 19 della l. 12 agosto 1977, n. 675, e dagli artt.
29 e ss. della l. 5 ottobre 1991, n. 3179.
2.2.
La disciplina generale.
2.2.1. Forma e contenuto del contratto.
Il consorzio si costituisce mediante un contratto di natura associativa che deve essere
stipulato per iscritto a pena di nullità (art. 2603, co. 1, c.c.) e deve indicare (art. 2603, co.
2, c.c.):
1) l’oggetto e la durata del consorzio;
2) la sede dell’ufficio eventualmente costituito;
3) gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati;
4) le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla rappresentanza in
giudizio;
5) le condizioni di ammissione di nuovi consorziati;
6) i casi di recesso ed esclusione;
7) le sanzioni per l’inadempimento degli obblighi dei consorziati.
Ove, poi, si tratti di un consorzio per il contingentamento della produzione o degli scambi,
il contratto deve inoltre indicare le quote o i criteri per la determinazione delle quote dei singoli
consorziati (art. 2603, co. 3, c.c.).
La dottrina prevalente tende a ridurre la portata precettiva delle appena esposte prescrizioni riguardanti il contenuto del contratto, affermando che essenziale è solo la determinazione
dell’oggetto del consorzio e degli obblighi assunti e degli eventuali contributi dovuti dai consorziati, nonché, ove si tratti di consorzi di contingentamento, delle quote o quanto meno dei crite9
Non sono, invece, consorzi, bensì società consortili cooperative fra società cooperative (o cooperative di cooperative o di secondo grado), tra l’altro dotate di personalità giuridica, i «consorzi di società cooperative» volti a favorire gli scopi mutualistici delle cooperative consorziate ed i «consorzi di cooperative
ammissibili ai pubblici appalti», previsti, rispettivamente, dall’art. 27 e dall’art. 27-bis del d.lgs.C.p.St. 14
dicembre 1947, n. 1577 (cfr.: CAMPOBASSO , op. cit., 260-261, in nota; Trib. Roma, 11 maggio 1979, in Giur.
comm., 1980, II, 222). Natura di società cooperativa hanno pure i consorzi agrari e la Federazione italiana
dei consorzi agrari (v. art. 1 d.lgs. 7 maggio 1948, n. 1235). Nemmeno, poi, sono assimilabili ai consorzi di
cui agli artt. 2602 e ss. c.c., poiché non vi fanno parte imprenditori, i consorzi costituiti tra proprietari di
immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale ed i ccdd. consorzi di urbanizzazione, ai quali si ritiene tendenzialmente applicabile la disciplina delle associazioni non riconosciute, sia pur con alcune deroghe per renderla compatibile con lo stretto collegamento tra la partecipazione
all’ente collettivo ed il diritto di proprietà (v. Cass., 18 luglio 1984, n. 4199, in Giust. civ., 1985, I. 72; Trib.
Napoli, 14 maggio 1998, in Notariato, 1999, 357). Problematica, invece, soprattutto per i loro peculiari profili
strutturali, è l’assimilabilità ai consorzi disciplinati dal codice civile dei consorzi fra piccole e medie imprese, di cui agli artt. 1 e ss. della l. 21 maggio 1981, n. 240, e dei consorzi fra imprese artigiane, di cui all’art. 6
della l. 8 agosto 1985, n. 443.
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ri di determinazione delle quote dei singoli consorziati10, giacché, nel silenzio delle parti:
- in ordine alla durata del contratto, questa è fissata dall’art. 2604 c.c. in dieci anni
(art. 2604)11;
- in ordine alla sede dell’ufficio comune eventualmente costituito, questa, anche nel
caso in cui si tratti di un consorzio con attività esterna, potrebbe essere comunque individuata
nel luogo in cui l’organizzazione comune svolge prevalentemente la propria attività12;
- in ordine alle indicazioni di cui al n. 4, agli organi consortili spetterebbero comunque
i poteri di ordinaria amministrazione, mentre la rappresentanza in giudizio spetterebbe, argomentando da quanto disposto dall’art. 2613 c.c., a coloro cui è attribuita la presidenza o la
direzione del consorzio13;
- in ordine alle condizioni di ammissione di nuovi consorziati, dovrebbe ritenersi che i
consorziati abbiano inteso escludere tale eventualità, conferendo al consorzio una struttura
chiusa, sicché nuovi consorziati potrebbero essere ammessi solo modificando il contratto con
il consenso di tutti i precedenti consorziati, ai sensi dell’art. 2607 c.c.14;
- in ordine ai casi di recesso e di esclusione, dovrebbe ritenersi che i consorziati abbiano inteso escludere tale eventualità15, salvo quanto previsto, per il caso del trasferimento
dell’azienda da parte dell’imprenditore consorziato, dall’art. 2610 c.c. e salva l’eventuale applicazione dei principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, che dovrebbero
comportare l’esclusione del consorziato gravemente inadempiente o che abbia cessato l’attività
di imprenditore16;
- in ordine alle sanzioni per l’inadempimento degli obblighi dei consorziati, dovrebbero applicarsi i rimedi previsti in via generale per l’inadempimento delle obbligazioni17.
Alcune di queste affermazioni meritano, però, un approfondimento.
2.2.2. I soggetti.
Dalla definizione del contratto di consorzio data dall’art. 2602, co. 1, c.c. emerge che ad
esso devono partecipare più imprenditori (almeno due).
10
V., ad es., CAMPOBASSO , op. cit., 264.
11
La medesima durata decennale deve ritenersi applicabile nei casi in cui il contratto stabilisca espressamente che il consorzio abbia durata indeterminata (in tal senso, M ARASÀ , Prime valutazioni sulla nuova
normativa in tema di consorzi, in Riv. dir. civ., 1977, II, 524).
12
V. FRANCESCHELLI, Consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Libro V, Del lavoro (artt. 2602-2642), Bologna-Roma,
1992, 117.
13
V. A SCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, 121.
14
V.: A SCARELLI, op. cit., 122; CAMPOBASSO , op. cit., 265; PATRONI GRIFFI, op. cit., 608. Contra:
GABRIELLI, Sui contratti necessariamente aperti, in Riv. dir. civ., 1982, 557 ss., secondo cui il contratto di
consorzio rientra fra i contratti necessariamente aperti, sicché la mancanza delle indicazioni di cui al n. 5
del secondo comma dell’art. 2603 c.c., così come l’eventuale espressa clausola di chiusura del consorzio
ad altri soggetti, determinerebbe la nullità del contratto medesimo.
15
V.: A SCARELLI, op. cit., 120; CAMPOBASSO , op. cit., 266.
16
V. CAMPOBASSO , op. cit., 266.
17
Cfr. FRANCESCHELLI, op. cit.
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Ciò, secondo parte della dottrina, non significa che i consorziati debbano essere necessariamente tutti imprenditori né tampoco tutti imprenditori commerciali, giacché, innanzitutto,
nelle disposizioni dedicate al consorzio che si riferiscono ai soggetti partecipanti non si parla
mai di imprese consorziate né di imprenditori consorziati, bensì semplicemente di consorziati
e, poi, a differenza di quanto prevedeva il testo originario, che parlava di contratto «tra più
imprenditori», l’attuale testo dell’art. 2602, co. 1, c.c., come modificato dalla l. 377/1976, si
limita a dire che «con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono
un’organizzazione comune …»18.
In tal modo si cerca di convogliare nell’alveo della definizione – e, dunque, della disciplina
– codicistica anche la figura del cd. consorzio misto, nel quale, in vista del conseguimento di
interessi più ampi rispetto a quelli perseguiti dagli imprenditori che vi partecipano, la compagine dei consorziati è formata anche da soggetti non imprenditori e, in particolare, da enti pubblici19.
Va, tuttavia, osservato che i dati letterali su cui si fonda questa opinione non paiono decisivi e si scontrano con la lettera dell’art. 2602, co. 1, c.c., da cui si ricava che l’organizzazione
che il contratto di consorzio istituisce è comune soltanto ai più imprenditori che al contratto
medesimo partecipano e non anche ad altri soggetti.
Il che dovrebbe valere ad escludere che al contratto di consorzio di cui tale norma fornisce la nozione possano partecipare soggetti che non siano imprenditori20.
Vero è, tuttavia, che tale principio subisce numerose deroghe nella legislazione speciale, in
cui, sovente, si rintraccia l’espressa previsione di consorzi cui possono o devono partecipare
anche enti pubblici ovvero soggetti privati non imprenditori21.
Comunque, non è necessario che gli imprenditori consorziati siano imprenditori commerciali o svolgano la medesima attività o attività similari, benché, evidentemente, quest’ultima sia
la regola allorché si tratti di consorzi anticoncorrenziali.
2.2.3. La durata del consorzio.
Il contratto di consorzio è essenzialmente un contratto di durata.
Questa deve essere, infatti, determinata nel contratto e, in mancanza, è fissata in dieci anni dall’art. 2604 c.c., come modificato dalla l. 10 maggio 1976, n. 377; e la medesima regola
deve ritenersi applicabile, in nome del principio di conservazione degli atti giuridici, nel caso in
cui il contratto stabilisca espressamente che il consorzio abbia durata indeterminata, salvo
l’improbabile caso in cui alla indeterminatezza della durata del consorzio vada in concreto attribuito rilievo essenziale (art. 1419 c.c.).
Nel suo testo originario l’art. 2604 c.c. prevedeva che il contratto non potesse avere durata superiore a dieci anni, anche se poteva essere prorogato prima della scadenza del termine
18
V. PATRONI GRIFFI, op. cit., 607.
19
V. PATRONI GRIFFI, op. cit., 607.
20
V. PAOLUCCI , op. cit., 449.
21
V., ad es.: l’art. 19, co. 2, della l. 12 agosto 1977, n. 675, in relazione ai consorzi di garanzia collettiva
fidi; l’art. 2, co. 3, della l. 21 maggio 1981, n. 240, in relazione ai consorzi fra piccole e medie imprese; l’art. 6,
co. 3, della l. 8 agosto 1985, n. 443, in relazione ai consorzi fra imprese artigiane.
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col consenso di tutti i consorziati.
La modifica del dato normativo è stata ispirata dall’esigenza di garantire maggiore stabilità
ai consorzi di cooperazione interaziendale, ma l’attuale testo non fa distinzioni fra questi consorzi ed i consorzi anticoncorrenziali, sicché parte della dottrina22 ritiene che esso preveda una
deroga all’art. 2596 c.c., che fissa in cinque anni la durata massima dei patti limitativi della
concorrenza, anche se prevalente è l’opinione23 che vede nell’art. 2596 c.c. una norma speciale, in quanto tale non derogabile dall’art. 2604 c.c.
Preferibile è, a mio avviso, la prima tesi, sia perché, come s’è detto, l’art. 2604 c.c. non
fa distinzioni, sia perché, a ben vedere, i consorzi anticoncorrenziali costituiscono una species
e dei consorzi e dei patti limitativi della concorrenza, sicché detta norma è in rapporto di specialità reciproca con quella di cui all’art. 2956 c.c., sia perché in concreto è sovente assai difficile distinguere fra consorzi meramente anticoncorrenziali e consorzi di cooperazione interaziendale senza finalità anticoncorrenziali.
Indubbia, comunque, pare tuttora, nonostante le modifiche apportate dalla legge n.
377/1976 all’art. 2604 c.c., la possibilità di una proroga della durata del consorzio prima della
scadenza del termine contrattuale o legale, secondo le modalità previamente stabilite dal contratto o, in mancanza, con il consenso, risultante da atto scritto a pena di nullità, di tutti i consorziati, in applicazione di quanto stabilito in via generale per le modificazioni del contratto
dall’art. 2607 c.c.
2.2.4. Le modificazioni del contratto.
2.2.4.1. Le modificazioni soggettive.
Il contratto di consorzio è, al pari di tutti i contratti di natura associativa, naturalmente
aperto all’adesione di nuovi imprenditori e, per questo, deve indicare le condizioni per
l’ammissione di nuovi consorziati (art. 2602, co. 2, n. 5, c.c.).
In mancanza di tali indicazioni, deve ritenersi che il consorzio abbia struttura chiusa, sicché nuovi imprenditori potranno esservi ammessi solo con il consenso, risultante da atto scritto, di tutti i consorziati (arg. ex art. 2607 c.c.).
Nel caso di trasferimento dell’azienda da parte di uno dei consorziati vale, però,
l’opposta regola, contenuta nell’art. 2610, co. 1, c.c., alla stregua della quale l’acquirente
dell’azienda subentra automaticamente nel consorzio in luogo dell’alienante, salvo un patto
(scritto) contrario, che può essere contenuto sia nel contratto di consorzio sia in un distinto
accordo tra i consorziati e l’acquirente dell’azienda e la cui possibilità, espressamente prevista,
smentisce la tesi24, per vero del tutto minoritaria, secondo cui il contratto di consorzio avrebbe
struttura necessariamente aperta.
Tuttavia, se sussiste una giusta causa ed il trasferimento dell’azienda sia avvenuto per atto tra vivi, gli altri consorziati potranno, entro un mese dalla notizia dell’avvenuto trasferimento
22
V. CAMPOBASSO , op. cit., 265.
23
Per la quale v., ad es.: PATRONI GRIFFI, op. cit., 608; BORGIOLI, Consorzi e società consortili, in
Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1985, 247.
24
Per la quale v. GABRIELLI, op. cit.
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dell’azienda, deliberare l’esclusione dal consorzio dell’acquirente dell’azienda (art. 2610, co.
2, c.c.).
Si tratta, evidentemente, di una disciplina speciale rispetto a quella dettata dall’art. 2558
c.c. in tema di successione nei contratti inerenti all’azienda trasferita, secondo cui, se non è
pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio
dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, salva la facoltà del terzo contraente
di recedere dal contratto, ove sussista una giusta causa, entro tre mesi dalla notizia del trasferimento.
Il che, peraltro, fa comprendere che il contratto di consorzio non è, in linea generale, ritenuto dal legislatore un contratto naturalmente connotato dall’intuitus personae.
Benché nulla dica in proposito l’art. 2602 c.c., la disciplina ivi contenuta dovrebbe, poi,
valere anche per il caso in cui l’imprenditore consorziato ceda il godimento della propria azienda a titolo di usufrutto o di affitto25, nonché nel caso del ritrasferimento dell’azienda al proprietario o all’affittante da parte dell’usufruttuario o del affittuario26.
Pressoché pacifica, invece, è l’inammissibilità del trasferimento della mera quota di
partecipazione al consorzio senza il contestuale trasferimento dell’azienda del consorziato27
e, di conseguenza, la sua inassoggettabilità ad esecuzione forzata28.
Salvo quanto previsto dall’art. 2610 c.c., le cause di recesso o di esclusione dal consorzio devono essere indicate nel contratto (art. 2603, co. 2, n. 6, c.c.).
In mancanza, devono ritenersi applicabili i princìpi generali in materia di inadempimento e
di impossibilità sopravvenuta dell’adempimento delle obbligazioni contrattuali, sicché gli altri
consorziati potranno sempre deliberare l’esclusione dal consorzio del consorziato gravemente
inadempiente agli obblighi consortili ovvero che abbia perso i requisiti che costituiscono la ragione essenziale della sua partecipazione al consorzio, come, ad esempio, nel caso in cui abbia
cessato l’attività di impresa.
Per le medesime ragioni deve ammettersi la possibilità per il consorziato che abbia perso i
requisiti essenziali di recedere dal contratto.
Salvo che il contratto disponga diversamente, invece, non può ritenersi consentito un re25
In tal senso, Cass., 25 giugno 1966, n. 1621, in CED Cass., RV. 32321. Ma v. anche Cass., 14 febbraio
1979, n. 969, in CED Cass., RV. 397153; Cass., 29 gennaio 1979, n. 632, in Foro it., 1979, I, 1818, in Giur. it.,
1980, I, 1, 146, ed in Giust. civ., 1979, I, 1488, che paiono, però, far applicazione dell’art. 2558 c.c.
26
V. Cass., 14 febbraio 1979, n. 969, e Cass., 29 gennaio 1979, n. 632, citt., per le quali, tuttavia, la successione del titolare dell’azienda nel contratto di consorzio stipulato dall’usufruttuario o dall’affittuario
non si verificherebbe allorché il ritrasferimento al primo dell’azienda non sia l’effetto di un fatto negozialmente previsto, quale, ad es., la scadenza del contratto di costituzione dell’usufrutto o di affitto o il verificarsi della condizioni risolutiva apposta al medesimo contratto, bensì, ad es., della rìisoluzione di tale contratto per l’inadempimento dell’usufruttuario o dell’affittuario.
27
In tal senso, v.: FRANCESCHELLI, op. cit., 123; A SCARELLI, op. cit., 125; VOLPE PUTZOLU, I consorzi
per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Trattato di diritto commerciale e di diritto
pubblico dell’economia, diretto da Galgano, vol. IV, La concorrenza e i consorzi, Padova, 1981, 423. 371.
BORGIOLI, op. cit., 468, ammette, invece. la trasferibilità della mera quota di partecipazione al consorzio,
allorché il contratto la consenta espressamente ed a condizione che il cessionario possieda i requisiti stabiliti dal contratto.
28
A SCARELLI, op. cit., 125. Ma per il problema degli effetti sul consorzio del fallimento del consorziato
si v. infra nel corpo del testo.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
cesso ad nutum del consorziato29 ovvero un’esclusione ad nutum del consorzio.
In quest’ambito di considerazioni, particolare rilevanza pratica riveste la questione degli
effetti sul consorzio del fallimento del singolo consorziato.
In proposito, la disciplina legislativa è del tutto silente e l’opinione prevalente in dottrina
ed in giurisprudenza è nel senso di inserire il fallimento del singolo consorziato tra le cause di
esclusione e/o di recesso dal consorzio 30, talvolta trovandosi affermato che ciò vale anche
qualora il contrario sia previsto dal contratto di consorzio 31.
Fondamento di questa tesi è principalmente la duplice idea che il fallimento del consorziato comporta ineluttabilmente l’impossibilità di quest’ultimo di far fronte agli obblighi consortili e
che il rapporto consortile abbia natura essenzialmente fiduciaria.
È stato, tuttavia, correttamente rilevato da una parte della dottrina32 che il fallimento del
consorziato non costituisce di per sé causa di impossibilità sopravvenuta dell’adempimento
degli obblighi consortili gravanti sull’imprenditore fallito né di mutamento del soggetto cui vanno imputati i diritti e gli obblighi consortili e che, in caso di continuazione temporanea
dell’esercizio o di esercizio provvisorio dell’impresa ai sensi dell’art. 90 l.f., il curatore del fallimento del singolo consorziato ben potrebbe avere interesse a continuare a far parte del consorzio, magari in vista di una prossima chiusura della procedura concorsuale senza liquidazione
dell’attivo o della cessione dell’azienda ad un terzo, sicché la partecipazione al consorzio può
rappresentare una utilità che appare ingiusto ed illogico sottrarre automaticamente al fallito ed
alla massa dei suoi creditori.
Se ne è ricavato che va attribuita al curatore la facoltà di scelta tra il recesso ed il subentro
nel contratto33.
Né – si è aggiunto34 – questa evenienza può dirsi esclusa sul rilievo che la disciplina del
rapporto tra i consorziati ed il consorzio è improntato a quella del contratto di mandato, per il
quale l’art. 78 l.f. dispone lo scioglimento automatico in caso di fallimento di una delle parti,
giacché, a parte le generali obiezioni che possono muoversi in ordine alla piena assimilabilità al
mandato dei rapporti tra i componenti di una collettività organizzata e gli organi collettivi, se il
mandato rientra nella struttura di un contratto più complesso, l’art. 78 l.f. risulta inapplicabile,
dovendo trovare, invece, applicazione la disciplina del contratto di cui costituisce una parte.
Un insuperabile ostacolo alla tendenziale preservazione della partecipazione al consorzio
del consorziato fallito potrebbe essere piuttosto rappresentato dal principio enunciato in materia di società semplice dall’art. 2288, co. 1, c.c. – ma esteso espressamente alle società cooperative dall’art. 2527, co. 1, c.c. e, per l’opinione largamente dominante, applicabile anche
alle società in nome collettivo ed in accomandita semplice35 – secondo cui il socio che sia stato
29
V.: FRANCESCHELLI, op. cit., 132; GUGLIELMETTI, op. cit., 345; Cass., 9 luglio 1993, n. 7567, cit.
30
V., ad es., PATRONI GRIFFI, op. cit., 609.
31
In tal senso Cass., 31 marzo 1969, n. 1052, in Giur. it., 1970, I, 1784.
32
Il riferimento è a CENSONI, Gli effetti del fallimento sui consorzi e sulle associazioni temporanee
d’impresa, in I rapporti giuridici pendenti, suppl. a Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 1998,
n. 11, 133 ss.
33
V. CENSONI, op. loc. cit.
34
V. sempre CENSONI, op. loc. cit.
35
In tal senso: App. Bologna, 13 febbraio 1984, in Dir. fall., 1987, II, 934; Trib. Udine, 6 febbraio 1988, in
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
dichiarato fallito è escluso di diritto dalla società, qualora si dovesse ritenere che tale principio
valga anche per i consorzi.
Senonché, assai discussa è l’individuazione della ratio ispiratrice del principio di cui
all’art. 2288, co. 1, c.c., che da taluni36 è rinvenuta nell’esigenza di evitare che la società subisca ripercussioni negative per effetto del fallimento del socio, da altri37 nell’incompatibilità tra la
prosecuzione del rapporto sociale e le esigenze liquidatorie proprie della procedura fallimentare, da altri ancora38 nell’incompatibilità tra la prosecuzione del rapporto sociale ed il conseguente regime di responsabilità illimitata e solidale dei soci per tutte le obbligazioni contratte in
nome della società e gli effetti del fallimento, che non tollera che l’attivo fallimentare sia gravato
da passività maturate dopo l’apertura della procedura e fuori dal controllo degli organi fallimentari.
Invero, le esigenze della liquidazione fallimentare sono le medesime sia che si tratti di una
quota di una società di persone o cooperativa sia che si tratti di una quota di una società a responsabilità limitata e, nondimeno, il socio di una società di quest’ultimo tipo che sia dichiarato
fallito non è escluso di diritto dalla società (arg. ex art. 2480 c.c.) e, d’altra parte, la disciplina
della responsabilità per le obbligazioni assunte nei confronti dei terzi in nome del consorzio è
differente da quella della responsabilità per le obbligazioni assunte dalle società di persone e
sostanzialmente analoga a quella della responsabilità per le obbligazioni assunte nei confronti
dei terzi da una società cooperativa, cui è certamente applicabile la disposizione di cui all’art.
2288, co. 1, c.c.
Quanto, poi, all’esigenza di salvaguardare la società dalle ripercussioni conseguenti al fallimento del socio, i suoi contorni sono alquanto sfuggenti ed inidonei a comprendere l’effettiva
portata del principio in discussione, posto che le società, come, d’altronde, i consorzi, non
sono mai in quanto tali responsabili per i debiti personali dei soci.
Nemmeno, poi, potrebbe ritenersi applicabile per analogia la disciplina dettata dall’art. 6
del d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240, che dispone l’esclusione di diritto dal GEIE, istituto che, come vedremo, presenta diverse assonanze con i consorzi con attività esterna, del membro che
sia dichiarato fallito.
La componente personale, il cd. intuitus personae, nei GEIE è, infatti, assai più rilevante
che nei consorzi, come può desumersi dal fatto che nei primi per l’ammissione di nuovi membri
è sempre richiesta la volontà unanime dei membri39.
Mi pare, dunque, che, in mancanza di argomenti decisivi nell’uno o nell’altro senso, debba
concludersi che, nel caso in cui il contratto nulla preveda in proposito, il fallimento del consorziato non implichi di per sé l’automatica esclusione di quest’ultimo dal consorzio e nemmeno
faccia sorgere la facoltà del curatore di recedere dal contratto, ma debbano trovare applicazione i princìpi generali in materia di risoluzione dei contratti per inadempimento o per sopravSoc., 1988, 819. Contra: FERRI , Delle società, in Commentario al codice civile, a cura di Scialoja e Branca,
1981, 306, sul rilievo che nelle società commerciali i creditori non hanno la facoltà di chiedere la liquidazione
della quota durante la vita della società.
36
V., ad es., FERRARA JR.-CORSI , Gli imprenditori e le società, Milano, 1996, 321.
37
V., ad es., FERRI , op. loc. cit.
38
V., ad es., CENSONI, op. loc. ult. cit.
39
V. infra.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
venuta impossibilità dell’adempimento.
Discusso, inoltre, è se e quando il consorziato receduto o escluso dal consorzio abbia diritto alla liquidazione della sua quota di partecipazione al fondo consortile (peraltro, come si vedrà meglio appresso, necessario solo nei consorzi con attività esterna).
La disposizione contenuta nell’art. 2609, co. 1, c.c., secondo cui «nei casi di recesso e
di esclusione … la quota di partecipazione del consorziato receduto o escluso si accresce
proporzionalmente a quella degli altri» consorziati, infatti, non è parsa in grado di risolvere
la questione, essendo opinione prevalente che essa non si riferisca alla quota di partecipazione
al fondo consortile, bensì soltanto ai diritti ed agli obblighi assunti dal consorziato nei consorzi
di contingentamento40.
Senonché, anche tra coloro che condividono questa impostazione può distinguersi tra chi
ritiene che la lacuna riguardo alla liquidazione della quota di partecipazione al fondo consortile
vada colmata applicando la disciplina dettata per le associazioni non riconosciute dall’art. 37
c.c., che espressamente esclude la liquidazione della quota in caso di recesso dell’associato, e
chi, invece, sostiene che il consorziato receduto o escluso avrebbe sempre diritto alla liquidazione della propria quota di partecipazione al fondo consortile, immediatamente41 o, secondo
altra opinione, fondata sul rilievo che l’art. 2614 c.c. vieta ai consorziati di chiedere la divisione
del fondo consortile ed ai loro creditori particolari di far valere i loro diritti su detto fondo finché dura il consorzio, solo al momento dello scioglimento del consorzio42.
2.2.4.2. Le altre modificazioni.
Come già s’è più volte detto, se non è diversamente convenuto, il contratto di consorzio
può essere modificato solo con il consenso di tutti i consorziati, risultante da atto scritto a pena
di nullità (art. 2607 c.c.).
La diversa convenzione può sia impedire ogni modificazione o talune modificazioni del
contratto sia prevedere che le modificazioni consentite dal contratto siano decise da un certo
numero di consorziati ovvero da uno o più organi consortili ovvero da un terzo.
Le modificazioni possono concernere, oltre che la persona dei consorziati, qualsiasi profilo del contratto (l’oggetto del consorzio, le attribuzioni degli organi consortili, la durata del
consorzio, ecc.), purché nell’ambito della cd. causa consortile, cioè purché al consorzio sia
attribuita una finalità che possa farsi rientrare in quelle di cui all’art. 2602 c.c.
Assai discussa è – nella totale carenza di una disciplina legislativa in proposito e della discordia esistente in ordine all’ammissibilità in linea generale della trasformazione, della fusione e
della scissione di enti di carattere associativo di diritto privato diversi dalle società –
l’ammissibilità sia della trasformazione dei consorzi in altri tipi di soggetti giuridici e, in
particolare, in società sia della trasformazione in consorzi di altri tipi di soggetti giuridici,
accompagnata o meno da una modifica dello scopo consortile in scopo lucrativo o viceversa43,
come anche della fusione 44 e della scissione dei consorzi.
40
V., per tutti, CAMPOBASSO, op. cit., 266; e, in giurisprudenza, App. Milano, 5 dicembre 1975, in Dir.
fall., 1976, II, 111.
41
In tal senso: CAMPOBASSO , op. cit., 266; BORGIOLI, op. cit., 461; App. Milano, 5 dicembre 1975, cit.
42
In tal senso PAOLUCCI , op. cit., 464.
43
Per l’inammissibilità della trasformazione: di un consorzio in società consortile, v. Trib. Verona, 21 aprile 1995, in Gius, 1995, 1860, ed in Soc., 1995, 1080, Trib. Brescia, 12 dicembre 1985, in Riv. not., 1986, 713,
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
anche della fusione 44 e della scissione dei consorzi.
2.2.5. L’organizzazione comune.
Sotto il profilo strutturale, carattere essenziale di ogni tipo di consorzio è la creazione di
un’organizzazione comune, cui è demandato il compito di dare esecuzione al contratto, assumendo ed attuando le decisioni a tal fine occorrenti.
La disciplina legislativa al riguardo lascia assai ampio spazio all’autonomia privata, spettando ai consorziati stabilire «le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla rappresentanza in giudizio» (art. 2603, co. 2, n. 4, c.c.).
Tuttavia, dagli scarni dati normativi si ricava che, in ogni caso, la struttura organizzativa
deve essere formata almeno dagli organi che sono preposti al consorzio, la cui
responsabilità verso i consorziati è regolata dalle norme sul mandato (art. 2608 c.c.) ed ai
quali, nei consorzi con attività esterna, spetta sempre la rappresentanza processuale passiva del
consorzio, concorrente con quella di coloro cui è attribuita dal contratto (art. 2613 c.c.).
Contrariamente a quanto si trova sovente affermato in dottrina, non è, invece, a mio avviso, necessaria la costituzione di un organo deliberativo di tipo assembleare distinto dalla
informe totalità dei consorziati, giacché il contratto potrebbe stabilire che le deliberazioni relative all’attuazione dell’oggetto del consorzio, data la natura dispositiva della norma che per esse
richiede il voto favorevole della maggioranza dei consorziati (art. 2606, co. 1, c.c.), siano prese da tutti i consorziati all’unanimità e la legge prevede che, salvo che sia diversamente stabilito, eguale unanimità di consensi sia necessaria per le modificazioni del contratto, per le quali,
peraltro, è richiesta la forma scritta ad substantiam (art. 2607 c.c.).
Comunque, le deliberazioni relative all’attuazione dell’oggetto del consorzio non adottate
all’unanimità e non conformi alla legge o al contratto possono essere impugnate davanti
all’autorità giudiziaria dai consorziati presenti ma dissenzienti entro trenta giorni dalla data della
loro adozione e dai consorziati assenti entro trenta giorni dalla data in cui esse siano state a
costoro comunicate ovvero, allorché si tratti di deliberazioni soggette ad iscrizione nel registro
delle imprese, dalla data di tale iscrizione (art. 2606, co. 2, c.c.).
Pare pacifico, poi, che l’impugnazione di cui all’art. 2606, co. 2, c.c. consiste in un’azione
volta all’annullamento delle deliberazioni relative all’attuazione dell’oggetto del consorzio non
conformi alla legge o al contratto, che non esclude l’eventualità di un’azione di nullità delle medesime deliberazioni o delle modificazioni del contratto il cui oggetto sia impossibile o illecito
ovvero adottate senza l’osservanza delle forme od in assenza delle altre condizioni prescritte
dalla legge o dal contratto.
Nemmeno mi pare necessaria l’istituzione di un organo di controllo sull’attività dei
e Trib. Milano, 26 aprile 1984, in Giur. comm., 1985, 539; di un consorzio in società consortile a responsabilità limitata, v. App. Roma, 11 marzo 1998, in Giur. it., 1998, 1428. Per l’ammissibilità della trasformazione: di
una società consortile cooperativa a responsabilità limitata in consorzio, v. Trib. Trieste, 16 febbraio 1988, in
Giur. comm., 1990, 545; di un consorzio in società consortile, v. App. Brescia, 27 marzo 1986, in Riv. not.,
1986, 714; di un consorzio in società consortile cooperativa a responsabilità limitata, v. Trib. Udine, 8 marzo
1986, in Vita not., 1986, 353, e Trib. Udine, 10 dicembre 1983, in Giur. comm., 1984, 417; di un consorzio in
società consortile per azioni, v. App. Roma, 21 luglio 1999, in Giur. it., 2000, 118.
44
Per l’ammissibilità, le condizioni e gli effetti della fusione tra consorzi v. BORGIOLI, op. cit., 430.
Pag. 13 di 41
la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
consorziati: l’art. 2605 c.c. si limita, infatti, a stabilire che «I consorziati devono consentire i
controlli e le ispezioni da parte degli organi previsti dal contratto», ma non impone
l’attribuzione agli organi consortili di poteri di controllo e/o di ispezione sui consorziati.
2.2.6. Lo scioglimento del consorzio.
Per l’art. 2611 c.c., il contratto di consorzio si scioglie:
1) per il decorso del tempo stabilito per la sua durata;
2) per il conseguimento dell’oggetto o per l’impossibilità di conseguirlo;
3) per volontà unanime dei consorziati;
4) per deliberazione dei consorziati, presa a norma dell’art. 2606, se sussiste una giusta causa;
5) per provvedimento dell’autorità governativa, nei casi ammessi dalla legge;
6) per la altre cause previste nel contratto.
Pur non essendo espressamente previste dalla legge, secondo la prevalente dottrina,
costituisce, inoltre, causa di scioglimento del consorzio il venir meno della pluralità dei
consorziati45.
Alla liquidazione dei consorzi con attività meramente interna che abbiano, come ben
possibile, benché non necessario, un fondo consortile, qualora nulla sia stabilito nel contratto, i
più ritengono che vadano applicate le norme dettate in tema di scioglimento della comunione46.
2.3.
Le particolarità concernenti i consorzi con attività esterna.
Alla disciplina dettata in linea generale per i consorzi si aggiungono, per i soli consorzi con
attività esterna, le disposizioni dettate dagli artt. da 2612 a 2615-bis c.c.
Elemento caratterizzante dei consorzi con attività esterna è l’«istituzione di un ufficio
destinato a svolgere un’attività con i terzi» (art. 2612, co. 1, c.c.): attività che, evidentemente, deve essere connessa all’oggetto del consorzio.
Di conseguenza i profili di specialità della disciplina contenuta in detti articoli dipendono
dall’esigenza di regolare i rapporti con i terzi con i quali i consorzi con attività esterna sono
abilitati ad entrare in relazione.
Proprio per la loro capacità relazionale, infatti, i consorzi con attività esterna sono soggetti
ad un regime di pubblicità legale, giacché è richiesto che un estratto del contratto – contenente l’indicazione della denominazione del consorzio, del suo oggetto e della sua durata, della
sede dell’ufficio consortile, del cognome e del nome dei consorziati e delle persone a cui sono
attribuite la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio e dei relativi poteri, il
modo di formazione del fondo consortile e le norme relative alla sua liquidazione – venga, en-
45
FRANCESCHELLI, op. cit., 171; M INERVINI, Concorrenza e consorzi, in Trattato di diritto civile, diretto da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, Milano, 1965, 91.
46
M INERVINI, op. cit., 91; GUGLIELMETTI, La concorrenza e i consorzi, in Trattato di diritto civile,
diretto da Vassalli, Torino, 1970, 351.
Pag. 14 di 41
la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
tro trenta giorni dalla stipulazione, depositato dagli «amministratori» per l’iscrizione presso
l’ufficio del registro delle imprese del luogo ove si trova la sede dell’ufficio consortile (art.
2612, co. 1, c.c.).
Ad analoga forma di pubblicità sono soggette le modificazioni concernenti gli elementi che
devono essere indicati nell’estratto del contratto (art. 2612, co. 2, c.c.).
A proposito della rappresentanza del consorzio, va, poi, rilevato che l’art. 2613 c.c.,
con singolare disposizione, evidentemente tesa ad agevolare i terzi, consente a questi ultimi di
convenire in giudizio i consorzi con attività esterna «in persona di coloro ai quali il contratto
attribuisce la presidenza o la direzione, anche se la rappresentanza è attribuita ad altre
persone», in tal modo rendendo, in deroga ai principi generali in tema di efficacia pubblicitaria
delle iscrizioni nel registro delle imprese (art. 2193 c.c.), inopponibile ai terzi l’eventuale clausola contrattuale, pur iscritta nel registro delle imprese, che attribuisca la rappresentanza processuale passiva del consorzio a persone diverse da quelle che ne hanno la presidenza o la
direzione.
I consorzi con attività esterna, pur non essendo persone giuridiche, sono, poi, dotati di una
soggettività giuridica distinta da quella dei consorziati, costituendo un autonomo centro di
imputazione di rapporti giuridici47, e di autonomia patrimoniale, in quanto delle obbligazioni
assunte in nome del consorzio da coloro che ne hanno la rappresentanza risponde soltanto
il fondo consortile (art. 2615, co. 1, c.c.), costituito dai contributi del consorziati e dai beni
con tali contributi acquistati (senza che ciò, però, precluda altre forme di alimentazione) e destinati a rimanere insensibile, per tutta la durata del consorzio, alle pretese dei consorziati e dei
loro creditori particolari (art. 2614 c.c.).
La riforma del 1976 ha, infatti, eliminato la responsabilità illimitata e solidale per tali obbligazioni delle persone che hanno agito in nome del consorzio; e ciò all’evidente scopo di favorire il pratico ricorso all’istituto in considerazione, ma, come non s’è mancato di sottolineare,
trascurando di introdurre opportuni presidi a garanzia della consistenza del patrimonio consortile48.
Per le obbligazioni assunte dagli organi consortili per conto dei singoli consorziati
rispondono, invece, costoro solidalmente col fondo consortile; ed è, inoltre, previsto che, in
caso di insolvenza del singolo consorziato interessato, nei rapporti tra consorziati49, il debito
dell’insolvente si ripartisca tra gli altri consorziati in proporzione delle loro rispettive quote (art.
2615, co. 2, c.c.).
Discusso è, però, se questo – eccezionale50 – regime di doppia responsabilità valga solo
per le obbligazioni assunte dagli organi consortili per conto del singolo consorziato ma in nome
47
Cfr. Cass., 9 dicembre 1996, n. 10956, in Giust. civ., 1997, I, 944.
48
Sul punto, v.: CAMPOBASSO , op. cit., 270; PATRONI GRIFFI, op. cit., 612; PAOLUCCI , op.. cit., 467.
49
Il punto, peraltro, non è pacifico, essendovi chi (COTTINO , Diritto commerciale, I, tomo II, Padova,
1994, 57-58), sia pur in posizione nettamente minoritaria, sostiene che l’ultima parte del secondo comma
dell’art. 2615 c.c. concerna anche la responsabilità esterna dei consorziati diversi da quello nel cui interesse
è stata assunta l’obbligazione e risultato insolvente.
50
Perché derogatorio del principio generale di cui all’art. 1705 c.c., che non consente al terzo contraente
di agire nei confronti del soggetto nel cui interesse l’atto è compiuto senza che ne sia speso il nome.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
del consorzio51 ovvero solo per le obbligazioni assunte dagli organi consortili in nome e per
conto del singolo consorziato52 ovvero per tutte le obbligazioni assunte dagli organi consortili
per conto del singolo consorziato, non importa se in nome di quest’ultimo o del consorzio53,
ovvero anche per le obbligazioni assunte dal singolo consorziato direttamente avvalendosi
dell’opera di intermediazione degli organi consortili54.
La considerazione della lettera dell’art. 2615 c.c. e delle finalità della riforma del ‘76 inducono, a mio avviso, ad individuare le obbligazioni di cui risponde esclusivamente il fondo consortile in tutte quelle assunte dagli organi consortili nell’ambito degli scopi consortili e, dunque,
nell’interesse comune di tutti i consorziati e le obbligazioni di cui risponde solidalmente col fondo consortile anche i singoli consorziati in tutte quelle assunte dagli organi consortili
nell’esclusivo interesse di uno o più singoli consorziati55.
Sempre a tutela dei terzi con i quali i consorzi con attività esterna possono venire in
contatto, l’art. 2615-bis c.c. pone a carico di coloro cui è attribuita la direzione del consorzio
l’obbligo di redigere, «osservando le norme relative al bilancio di esercizio delle società
per azioni», e di depositare presso l’ufficio del registro delle imprese, entro due mesi dalla
chiusura dall’esercizio annuale, una situazione patrimoniale.
Incertezze sussistono, tuttavia, sul contenuto di tale documento, giacché, secondo alcuni,
si tratterebbe di un mero inventario delle attività e delle passività del consorzio, come tale non
assimilabile ad un bilancio di esercizio, mentre, secondo altri, si tratterebbe di una vera e propria situazione patrimoniale conforme allo stato patrimoniale di cui è composto il bilancio di
esercizio delle società per azioni, anche se non accompagnata dal conto economico56.
L’esplicito richiamo normativo alle regole di compilazione del bilancio di esercizio delle
società per azioni fa decisamente propendere per quest’ultima tesi. Ritengo, però, di dover
aggiungere che una situazione patrimoniale nuda e cruda, sia pur redatta in conformità delle
norme che disciplinano il contenuto dello stato patrimoniale delle società per azioni, non mi
pare sufficiente a garantire le esigenze informative dei terzi in vista delle quali il legislatore del
’76 ha introdotto l’art. 2615-bis c.c., sicché mi pare necessario che essa sia accompagnata
almeno da una relazione descrittiva dell’organo direttivo del consorzio che fornisca le medesime informazioni della nota integrativa e/o della relazione sulla gestione previste dagli artt. 2427
e 2428 c.c.
In ogni caso, l’organo cui spetta la direzione del consorzio sarà, a norma dell’art. 2217
c.c., tenuto a redigere anche il conto annuale dei profitti e delle perdite, qualora il consorzio
svolga un’attività commerciale57.
51
In questo senso v.: M INERVINI, op. cit., 95; FERRARA JR.-CORSI , op. cit., 184.
52
In tal senso VOLPE PUTZOLU, Responsabilità del consorzio e responsabilità dei consorziati, in
Giur. comm., 1980, II, 183.
53
In tal senso v.: PATRONI GRIFFI, op. cit., 612-613; COTTINO , op. cit., 56-57; GALGANO,
L’imprenditore, Bologna, 1991, 151; Cass., 27 settembre 1997, n. 8509, in Giust. civ., 1998, I, 437, con nota
adesiva di VIDIRI , Consorzi con attività esterna e responsabilità delle imprese consorziate.
54
Per quest’ultima opinione v.; CAMPOBASSO , op. cit., 271.
55
In questo senso v. VIDIRI , op. cit., 441.
56
V. PATRONI GRIFFI, op. cit., 614, che propende per la seconda tesi esposta nel corpo del testo.
57
V. PATRONI GRIFFI, op. cit., 614.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
Invero, può dirsi ormai nettamente prevalente l’idea che anche il consorzio con attività esterna possa assumere, in considerazione dell’attività in concreto svolta, ovvero assuma sempre, in considerazione del fatto che lo svolgimento di una fase dell’impresa dei consorziati rappresenta esso stesso attività d’impresa, la qualifica di imprenditore e, in particolare, di imprenditore commerciale, in quest’ultimo caso essendo anche soggetto a fallimento58, senza
che, però, ciò possa importare il fallimento per estensione dei consorziati, stante la limitata
responsabilità di questi ultimi per le obbligazioni del consorzio59.
Il fallimento del consorzio con attività esterna comporta, invece, secondo l’opinione prevalente, lo scioglimento del relativo contratto60 e la conseguente liquidazione del fondo consortile, le cui modalità devono essere indicate nel contratto medesimo (art. 2612, co. 1, n. 5,
c.c.) e, in mancanza, vanno individuate, secondo l’opinione prevalente, applicando per analogia le norme che regolano la liquidazione delle società personali61.
Siccome, poi, secondo l’opinione prevalente, il regime di pubblicità legale previsto
dall’art. 2612 c.c. ha efficacia meramente dichiarativa 62, è possibile immaginare anche consorzi (con attività esterna) irregolari, in quanto non iscritti nel registro delle imprese, cui dovrebbe applicarsi il regime di responsabilità previsto dall’art. 38 c.c. per le associazioni non
riconosciute, con la conseguenza che coloro che hanno agito per il consorzio sarebbero, in
solido tra loro e con il fondo consortile, illimitatamente responsabili per le obbligazioni assunte63, nonché soggetti in proprio al fallimento per estensione del fallimento del consorzio.
3.
Le società consortili.
La possibilità di perseguire gli scopi assegnati dalla legge ai consorzi (o la cd. causa consortile) anche mediante la costituzione di una società era già implicitamente prevista dal testo
originario del codice civile, che, all’immutato art. 2620, estende i (mai istituiti) controlli
58
Per la assoggettabilità a fallimento dei consorzi con attività esterna che svolgano un’attività commerciale v.: Trib. Catania, 14 luglio 1998, in Giur. comm., 2000, II, 47; Trib. Milano, 12 maggio 1997, in Fall.,
1997, 1036; Trib. Genova, 17 ottobre 1997, in Fall., 1998, 314; Trib. Milano, 5 febbraio 1996, in Giur. merito,
1996, 662; Trib. Macerata, 7 marzo 1990, in CED Cass., Arch. merito, PD. 900404. Contra, sul rilievo che i
consorzi con attività esterna non svolgono mai un’attività commerciale: Trib. Perugia, 20 settembre 1995, in
Fall., 1996, 199; Trib. Milano, 23 luglio 1981, in Fall., 1982, 282; nonché, in dottrina, CENSONI, op. cit., 131.
59
V. CENSONI, op. cit., 132-133.
60
FRANCESCHELLI, op. cit., 171; M INERVINI, op. cit., 91. Ma v. anche VOLPE PUTZOLU, I consorzi per
il coordinamento della produzione e degli scambi, cit., 423, secondo cui il fallimento del consorzio non
comporta lo scioglimento del contratto, ma solo la riduzione del suo oggetto, qualora si tratti di consorzio
che abbia anche finalità anticoncorrenziali.
61
FRANCESCHELLI, op. cit., 168.
62
Così M INERVINI, op. cit., 92.
63
V. PATRONI GRIFFI, op. cit., 614.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
dell’autorità governativa «alle società che si costituiscono per raggiungere gli scopi indicati nell’art. 2602».
E questa possibilità era stata ampiamente sfruttata dalla prassi, soprattutto mediante la costituzione di società consortili in forma di società di capitali o di società cooperative ed al fine di
aggirare il regime di responsabilità illimitata per le obbligazioni del consorzio di coloro che avessero agito per questo, previsto, fino alla riforma del 1976, dall’art. 2615 c.c. e/o di sopperire alle lacune della normativa in materia di consorzi in ordine al funzionamento degli organi
collettivi.
La riforma del 1976, con l’introduzione nel codice civile dell’art. 2615-ter c.c., secondo
cui «le società previste nei capi III e seguenti del titolo V possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati dall’art. 2602», ha confermato la legittimità di questa prassi, risolvendo i dubbi che erano stati sollevati in relazione alla possibilità di concepire società con
scopi esclusivamente consortili e, dunque, senza scopi lucrativi, ma facendo sorgere nuovi
problemi.
Infatti, innanzitutto, l’art. 2615-ter c.c., in contraddizione con l’ampia formulazione
dell’art. 2620 c.c., prevede che le società consortili possano assumere le forme delle società
commerciali di persone e delle società di capitali, così dando la sensazione di voler escludere
l’ammissibilità di società consortili semplici e di società consortili cooperative.
Ma, mentre l’esclusione delle società semplici dal novero delle società che possono assumere ad oggetto scopi consortili può trovare la sua logica giustificazione nella (indefettibile o
eventuale) natura sostanzialmente commerciale dell’attività svolta dalle società consortili64 e/o
nell’esigenza di evitare l’elusione del regime pubblicitario già previsto per i consorzi con attività
esterna e con la riforma esteso alla situazione patrimoniale di tali consorzi65_ 66, inspiegabili ai
più sono apparse le ragioni per cui il medesimo trattamento è stato riservato alle società cooperative, date le evidenti assonanze tra lo scopo mutualistico e lo scopo dei consorzi, soprattutto di quelli di coordinamento tra imprese, delle quali s’erano già avvedute la prassi e la legislazione speciale, che, con le modifiche apportate dall’art. 5 della l. 17 febbraio 1971, n. 127,
all’art. 27 del d.lgs.C.p.St. 14 dicembre 1947, n. 1577, aveva espressamente previsto la possibilità di costituire consorzi di società cooperative in forma di società cooperativa 67.
Peraltro, anche dopo la riforma del 1976, la legislazione speciale ha continuato a contemplare fattispecie di società consortili in forma di società cooperative, come nei casi dell’art. 6
della l. 8 agosto 1985, n. 443, dell’art. 1 della l. 21 maggio 1981, n. 240, e dell’art. 17 della l.
64
In tal senso, v.: FRANCESCHELLI, op. cit., 199; BORGIOLI, op. cit., 149.
65
In quest’altro senso, v. PATRONI GRIFFI, op. cit., 616.
66
Per Trib. Catania, 24 giugno 1982, in Dir. fall., 1982, II, 2, 1662, la società consortile costituita in forma
di società semplice prima dell’entrata in vigore della legge n. 377/1976 che non abbia adeguato la sua struttura alla nuova normativa va considerata alla stregua di una società in nome collettivo irregolare.
67
Il primo comma dell’art. 27 del d.lgs.C.p.St. 14 dicembre 1947, n. 1577, come modificato dall’art. 5 della
l. 17 febbraio 1971, n. 127, prevede, infatti, che: «Le società cooperative legalmente costituite, comprese
quelle tra pescatori lavoratori, che, mediante la costituzione di una struttura organizzativa comune, si
propongono, per facilitare i loro scopi mutualistici, l’esercizio in comune di attività economiche, possono costituirsi in consorzio come società cooperative, ai sensi degli articoli 2511 e seguenti del codice
civile». Per l’ammissibilità di siffatte società consortili cooperative di secondo grado anche dopo la riforma
del ’76, v. Trib. Napoli, 30 aprile 1999, in Soc., 2000, 251, con nota di BONAVERA.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
5 ottobre 1991, n. 317, che danno per scontata l’ammissibilità di società consortili, «anche in
forma di cooperativa», tra imprese artigiane, tra piccole e medie imprese operanti nei settori
dell’industria, del commercio e dell’artigianato, tra piccole imprese industriali, tra piccole imprese industriali e piccole imprese commerciali e di servizi.
Pertanto, è opinione di gran lunga prevalente che l’omesso richiamo da parte dell’art.
2615-ter c.c. alla disciplina delle società cooperative vada interpretato come un mero lapsus
del legislatore e/o come il frutto della convinzione della piena compatibilità tra lo scopo consortile e quello mutualistico e, dunque, dell’inutilità di ribadire la piena ammissibilità di società consortili in forma di società cooperative68.
Era, invece, già emerso prima della riforma del ’76 e resta tuttora aperto il problema della
disciplina applicabile alle società consortili, le quali, come s’è visto, sono enti di natura
ibrida, in quanto volti a perseguire gli scopi tipici dei consorzi mediante la struttura tipica di una
società commerciale.
Proprio in forza di questa considerazione, s’è sostenuto – con l’autorevole avallo
dell’unica sentenza sul tema della Corte di cassazione – che a siffatte società sarebbe
applicabile una disciplina mista e, più in particolare: la disciplina del tipo di società
commerciale prescelto per quel che concerne i profili ccdd. formali, cioè relativi
all’articolazione della struttura organizzativa ed alle attribuzioni ed al funzionamento degli
organi; la disciplina dei consorzi per quel che concerne i profili ccdd. sostanziali, cioè relativi
ai rapporti tra i soci e tra i soci ed i terzi, che prevarrebbe su quella del tipo societario
prescelto anche in mancanza di un’espressa previsione contrattuale 69.
68
In tal senso v.: M ARASÀ , op. ult. cit., 551; PATRONI GRIFFI, op. cit., 616-617; CAMPOBASSO , op. cit.,
274; Trib. Udine, 16 marzo 1993, in Dir. fall., 1993, II, 417; Trib. Udine, 14 dicembre 1990, in Dir. fall., 1992,
II, 988; App. Bologna, 13 ottobre 1990, in Soc., 1991, 66; Trib. Venezia, 30 maggio 1985, in Soc., 1986, 84;
Trib. Trieste, 11 febbraio 1980, in Giur. comm., 1981, II, 690; Trib. Roma, 14 novembre 1979, in Giur. comm.,
1980, II, 424. Contra: VOLPE PUTZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi,
cit., 348 ss., secondo cui, in sostanza, la struttura organizzativa della società cooperativa sarebbe incomp atibile con il perseguimento degli scopi indicati dall’art. 2602 c.c.; Trib. Napoli, 8 maggio 1997, in Soc., 1998,
66, secondo cui, data la differente destinazione soggettiva dello scopo consortile rispetto a quello mutualistico, essendo il primo rivolto a favorire l’impresa ed il secondo il lavoro, l’ammissibilità della costituzione
di società consortili cooperative impingerebbe nell’inderogabile disposizione di cui all’art. 2515, co. 2, c.c.,
secondo cui «l’indicazione di cooperativa non può essere usata da società che non hanno scopo mutualistico». In posizione mediana v’è, poi, chi – come M ARASÀ , Le «società» senza scopo di lucro, Milano,
1984, 300 e ss., e GIULIANELLI, in nota a Trib. Napoli, 8 maggio 1997, cit. – sostiene che le previsioni di
società consortili cooperative contenute nella legislazione speciale costituirebbero deroghe alla regola
generale dell’incompatibilità tra scopo consortile e modello cooperativo e, come tali, non tali da rendere in
via generale ammissibile l’impiego delle forme della società cooperativa per il perseguimento degli scopi
indicati dall’art. 2602 c.c.
69
In quest’ordine d’idee si muovono, in dottrina, ad es., FRANCESCHELLI, op. cit., 180 ss., e, in giurisprudenza: Cass., 4 novembre 1982, n. 5787, in Giur. comm., 1984, II, 568, secondo cui «Nel caso di societàconsorzio, cioè di società commerciale che venga costituita fra più imprenditori, come consentito dall'art. 2615-ter c.c. (introdotto dalla l. 10 maggio 1976 n. 377) per il perseguimento di finalità consortili,
di disciplina e coordinamento delle rispettive attività, restano interamente applicabili le disposizioni
sui consorzi dettate dagli art. 2602 ss. c.c., tenuto conto che l'espressa previsione in questo senso contenuta nell'art. 2620 comma 1 c.c. non può trovare limitazioni o deroghe, sotto il profilo della compatibilità di tali disposizioni con quelle dettate in tema di società, perché, nell'indicata fattispecie, la società
non viene impiegata nella sua funzione tipica, ma come strumento di attuazione di una volontà diversa,
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
S’è, però, rilevato che questa tesi – come quella70, in parte diversa, secondo cui la causa
consortile determinerebbe l’inapplicabilità di tutte le norme societarie attinenti alla funzione lucrativa o incompatibili con la funzione consortile, fatta eccezione per quelle poste a tutela
dell’interesse dei terzi – non è aderente al dettato normativo né in grado di fornire certezze
sufficienti a risolvere con l’uniformità e la coerenza necessarie la maggior parte delle questioni
interpretative che le società consortili in concreto pongono, essendo assai difficile distinguere le
questioni di forma da quelle di sostanza.
Più di recente, pertanto, maggior successo sembra riscuotere la tesi secondo cui le società
consortili sono, in linea di principio, assoggettate alla disciplina del tipo societario prescelto,
salva la possibilità lasciata all’autonomia statutaria di apportare a tale disciplina le modificazioni
e le integrazioni necessarie ad adattare la struttura societaria alle finalità consortili perseguite e
purché si tratti di modificazioni ed integrazioni non incompatibili con norme inderogabili del tipo
societario prescelto71.
D’altronde, un non trascurabile ulteriore argomento a favore di questa tesi può ricavarsi
dalla disposizione di cui al secondo comma dell’art. 2615-ter c.c., secondo cui l’atto costitutivo delle società consortili «può stabilire l’obbligo dei soci di versare contributi in denaro»,
evidentemente anche ulteriori rispetto a quelli determinati nel contratto, nonché di importo indeterminato ed indeterminabile al momento della costituzione del consorzio.
Questa disposizione, invero, sarebbe del tutto pletorica se si ritenesse la sostanza consortile sufficiente a soverchiare la forma societaria ed idonea a determinare l’automatica applicazione ai profili sostanziali delle società consortili della disciplina dettata in materia di consorzi, posto che l’art. 2603, co. 1, n. 3, impone al contratto di consorzio di indicare i «contributi dovuti dai consorziati», sicché può spiegarsi solo come un’eccezione al principio inderogabile in materia di società di persone e di capitali secondo cui il socio non può essere obbligato ad effettuare conferimenti in denaro ulteriori rispetto a quelli determinati nel contratto sociale (arg. ex artt. 2253, 2345 e 2478 c.c.)72.
Pur muovendo in questa prospettiva, che mi sembra quella preferibile, non tutti i problemi
paiono, però, suscettibili di agevole soluzione; e ciò a causa delle incertezze sussistenti in dottrina ed in giurisprudenza sia in ordine all’individuazione delle norme disciplinanti le società
commerciali cui va riconosciuta natura inderogabile sia in ordine all’ammissibilità di un giudizio
specificamente riconosciuta e regolamentata dalla legge. Anche nella società consorzio, pertanto, sono
operanti le disposizioni degli art. 2603, 2609 e 2610 c.c. con riguardo allo scioglimento del vincolo
consortile rispetto al singolo consorziato». V. anche Trib. Matera, 23 aprile 1985, in Giust. civ., 1986, I,
257, che arriva ad affermare sufficiente la forma scritta e non necessario l’atto pubblico per la costituzione
di una società consortile in forma di società di capitali.
70
Per la quale v. M ARASÀ , Le «società» senza scopo di lucro, cit., 259 ss.
71
Per questa tesi, v., fra gli altri: CAMPOBASSO , op. cit., 275-276; PATRONI GRIFFI, op. cit., 617-618;
PAOLUCCI , op. cit., 436-439; M INERVINI, op. cit., 99 ss.; App. Venezia, 11 dicembre 1997, in Giur. comm.,
1999, II, 27; Trib. Napoli, 9 febbraio 1993, in Riv. not., 1993, 458; Trib. Venezia, 8 gennaio 1985, in Foro it.,
1986, I, 1425; Trib. Milano, 12 maggio 1984, in Riv. dir. comm., 1986, II, 397, ed in Giur. comm., 1985, II, 531.
72
Cfr. PATRONI GRIFFI, op. cit., 618. Per l’ammissibilità, invece, nelle società cooperative di una clausola
statutaria che imponga al socio versamenti in danaro ulteriori rispetto al conferimento, v. Cass., 18 aprile
1998, n. 3942, in Giust. civ., 1998, I, 1879, con nota di VIDIRI , Società cooperative e prestazioni accessorie
in denaro a carico del socio, ai cui riferimenti bibliografici e giurisprudenziali si rimanda.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
di compatibilità tra le norme che disciplinano ciascun tipo societario prescelto e le finalità consortili.
Non è questa la sede per provare ad abbozzare una ricostruzione della disciplina delle
società consortili a seconda del tipo societario prescelto, che, peraltro, in pratica, assai difficilmente sarà quello della società in nome collettivo o delle società in accomandita, dato il regime
di responsabilità per le obbligazioni sociali che caratterizza questi tipi societari.
Per rimanere ai problemi di maggior rilevanza pratica e, in particolare, a quelli già passati
al vaglio della giurisprudenza, mi sembra, tuttavia, di poter affermare che essi vadano risolti sì
nella prospettiva interpretativa da ultimo indicata, ma tenendo in considerazione anche le eventuali incompatibilità tra le norme che disciplinano le società commerciali e le finalità consortili, di
guisa che la disciplina del tipo societario prescelto non potrà prevalere su quella dettata in materia di consorzi e che deve ritenersi costituisca un connotato ineliminabile di ogni struttura volta a perseguire le finalità consortili di cui all’art. 2602 c.c.
Pertanto, deve ritenersi:
a) che sia, in linea generale, possibile – come, peraltro, previsto per diverse categorie
di società consortili miste dalla legislazione speciale – la partecipazione alle società consortili anche di soggetti che non siano imprenditori 73, purché tra i soci vi siano almeno due
imprenditori, ché, altrimenti, l’attività sociale non potrebbe essere volta al conseguimento delle
finalità di cui all’art. 2602 c.c.;
b) che le società consortili siano tutte soggette a fallimento, svolgano o meno in concreto un’attività commerciale74;
c) che il regime di responsabilità dei soci delle società consortili per le obbligazioni sociali dipenda dal regime di responsabilità per le obbligazioni sociali previsto per il tipo
societario prescelto75, con la conseguente responsabilità illimitata ed il conseguente automatico
fallimento per estensione del fallimento sociale dei soci di società consortili di persone76;
d) che la previsione contenuta nell’atto costitutivo dell’obbligo dei soci delle società
consortili di versare contributi in denaro nella misura necessaria a coprire l’eccedenza delle
uscite rispetto alle entrate sociali, secondo il meccanismo detto del ribaltamento (o della
ribalta) dei costi, riguardi esclusivamente i rapporti tra società e soci, sicché non altera il
regime della responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali previsto per il tipo societario
prescelto e, dunque, l’assoggettabilità a fallimento per estensione in conseguenza del fallimento
sociale anche dei soci di società consortili di capitali o cooperative;
e) che nelle società consortili di capitali sia ammissibile la previsione nell’atto costitutivo
e/o nello statuto di casi di recesso e di esclusione del socio ulteriori rispetto a quelli previsti
dalla legge, anche se solo a condizione che sia salvaguardata l’integrità del capitale sociale;
73
Contra Trib. Udine, 2 giugno 1992, in Soc., 1993, 207.
74
In tal senso BOZZA, Insolvenza delle associazioni temporanee di imprese e delle società consortili,
in Fall., 1995, 464 ss.
75
V. BOZZA, op. cit.
76
Nonché dei soci accomandatari delle società consortili in accomandita per azioni, del socio unico azionista delle società consortili per azioni e del socio unico quotista delle società consortili a responsabilità
limitata (fatta salvo il particolare regime delle società unipersonali a responsabilità limitata), sempre che a
siffatte ipotesi si ritenga applicabile l’art. 147 l.f.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
f) che le clausole contrattuali o statutarie limitative della circolazione delle
quote o delle azioni di partecipazione nelle società consortili saranno valide solo nella
misura in cui lo siano secondo la disciplina inderogabile del tipo societario prescelto.
4.
Il gruppo europeo di interesse economico (GEIE).
Il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) è un istituto elaborato nelle sue
grandi linee dal legislatore comunitario, con il regolamento 25 luglio 1985, n. 2137, al fine
di promuovere ed agevolare la cooperazione tra operatori economici (e, dunque, non
solo tra imprenditori)77 appartenenti a diversi Stati membri (art. 3 reg.), ma che ha avuto
assai scarso successo in Italia.
La disciplina comunitaria uniforme detta alcune norme inderogabili, lasciando, per il resto, ai singoli Stati membri di integrare la disciplina dell’istituto con disposizioni applicabili ai
gruppi che hanno sede nel loro territorio78.
Per quanto riguarda l’Italia, la disciplina integrativa è contenuta nel d.lgs. 23 luglio
1991, n. 240, cui faremo in prosieguo riferimento, esorbitando da questa sede un’indagine su
tutte le singole analoghe discipline nazionali degli Stati membri dell’Unione europea, e che nulla
dispone per il caso in cui l’autonomia privata non riempia l’ampio spazio comunque lasciatole.
Il che fa sorgere il problema di individuare la disciplina applicabile per colmare le eventuali
lacune, per lo più risolto ricorrendo alla disciplina dei consorzi, che, tuttavia, come s’è visto, è,
a sua volta, tutt’altro che esaustiva.
Comunque, non v’è dubbio che la finalità di cooperazione tra soggetti operanti nei medesimi settori economici o in settori economici connessi, avvicina tale istituto ai consorzi e, in particolare, ai consorzi di cooperazione interaziendale con attività esterna, alla cui disciplina s’è
indubbiamente ispirato il legislatore italiano nella formulazione della disciplina nazionale integrativa e dai quali, però, il GEIE si distingue per la maggior ampiezza dei suoi potenziali membri e
per due sue caratteristiche essenziali: la transnazionalità e l’ausiliarietà.
Parti del contratto costitutivo del gruppo possono, infatti, essere persone fisiche o giuridiche che svolgono un’attività economica (art. 4, § 1, reg.) e, dunque, non solo imprenditori, ma
anche liberi professionisti; ed è necessario che almeno due di esse esercitino tale attività in Stati
diversi dell’Unione europea (art. 4, § 2, reg.).
Inoltre, diversamente dall’attività dei consorzi, l’attività del GEIE non può sostituire ma so-
77
Tra l’altro è espressamente previsto che il GEIE possa essere costituito anche tra liberi professionisti,
benché non possa sostituirsi a questi nei rapporti con i terzi inerenti all’espletamento della libera professione, sicché non è possibile utilizzarlo per l’esercizio in forma associata delle libere professioni. Cfr.
CAMPOBASSO , op. cit., 278.
78
V. C.giust.CE, 18 dicembre 1997, n. 696J0402.
Pag. 22 di 41
la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
lo ausiliare quella dei membri (art. 3, § 1, reg.)79.
Invece, al pari dei consorzi con attività esterna, il GEIE è un ente associativo a rilevanza esterna dotato di soggettività giuridica distinta da quella dei suoi membri80, giacché ha
«la capacità, a proprio nome, di essere titolari di diritti e di obbligazioni di qualsiasi natura, di stipulare contratti o di compiere altri atti giuridici e di stare in giudizio» (art. 1,
§ 2, reg.), anche se è possibile che ciascuno degli Stati membri conferisca ai gruppi aventi sede nel suo territorio addirittura la personalità giuridica (art. 1, § 3, reg.), ciò che non ha fatto il
legislatore italiano.
Fonte del rapporto associativo è il contratto, che deve essere redatto per iscritto a pena
di nullità (art. 2 d.lgs.) e deve indicare almeno (art. 5 reg.):
a) la denominazione del gruppo preceduta o seguita dall'espressione «gruppo europeo
di interesse economico» o dalla sigla «GEIE», a meno che tale espressione o sigla figuri già
nella denominazione81;
b) la sede del gruppo, che deve essere ubicata in uno Stato membro dell’Unione (art.
12 reg.);
c) l'oggetto del gruppo;
d) i nomi, la ragione o la denominazione sociale, la forma giuridica, il domicilio o la sede sociale e, eventualmente, il numero ed il luogo di iscrizione di ciascun membro del gruppo;
e) la durata del gruppo, se quest'ultimo non è costituito a tempo indeterminato.
Inoltre, il contratto è soggetto a pubblicità legale, giacché, entro trenta giorni dalla sua
conclusione, deve essere iscritto, a cura degli amministratori o, nel caso in cui questi non vi
provvedano, di qualsiasi membro, nel registro delle imprese nella cui circoscrizione si trova la
sede del gruppo (art. 3 d.lgs.) e successivamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica (art. 4 d.lgs.). Di questa pubblicazione deve, poi, essere data comunicazione nella
Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee (art. 11 reg.).
All’iscrizione del contratto nel registro delle imprese è attribuita efficacia costitutiva
(artt. 1 e 6 reg.), mentre le altre forme di pubblicità appena descritte hanno mera efficacia dichiarativa.
Prima dell’iscrizione, pertanto, analogamente a quanto accade per le società di capitali in
forza dell’art. 2331 c.c., delle operazioni compiute in nome del GEIE sono responsabili soli79
All’uopo il regolamento vieta al GEIE: di esercitare, direttamente o indirettamente, un potere di direzione o di controllo delle attività dei membri o di altro operatore economico; di detenere – direttamente o
indirettamente, a qualsiasi titolo, fatte salve alcune eccezioni – quote o azioni di un’impresa che di esso
faccia parte; di avere più di 500 dipendenti; di essere utilizzato da una società per concedere prestiti o trasferire beni a propri dirigenti o a persone a questi collegate; di essere membro di altro GEIE (art. 3, § 2, reg.).
80
In tal senso: CAMPOBASSO , op. cit., 277; PATRONI GRIFFI, op. cit., 620; M ASI , Gruppo europeo di interesse economico (GEIE), in Enc. Giur. Treccani, vol. XV, Roma, 1994, 8. Contra: PIETROBON, Il gruppo
europeo di interesse economico (G.E.I.E.), in Riv. dir. civ., 1989, II, 57 ss., che nega che il GEIE (cui non
sia stata conferita la personalità giuridica dallo Stato in cui è stabilito) abbia una propria soggettività giuridica, fondando essenzialmente sul rilievo della possibilità che il gruppo medesimo sia privo di un proprio
patrimonio.
81
La Corte di giustizia delle Comunità europee, con la già citata sentenza 18 dicembre 1997, n. 696J0402,
ha precisato che il legislatore nazionale può liberamente disciplinare il contenuto della denominazione del
gruppo, purché questa contenga o sia seguita dall’espressione «gruppo europeo di interesse economico»
o dalla sigla «GEIE».
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dalmente ed illimitatamente coloro che le hanno compiute (art. 9, § 2, reg.).
Sono soggetti a pubblicità, mediante l’iscrizione nel registro delle imprese e, talvolta, anche la pubblicazione della Gazzetta Ufficiale della Repubblica, ma sempre con efficacia meramente dichiarativa, anche i principali eventi riguardanti la vita del gruppo, tra cui: le modifiche
del contratto, la creazione o la soppressione di dipendenze, la nomina e la cessazione degli
amministratori, la cessione delle partecipazioni da parte dei membri, lo scioglimento, la nomina
dei liquidatori, la chiusura della liquidazione, il progetto di trasferimento della sede (v. artt. 7 e
8 reg. e 3 e 4 d.lgs.).
Per quel che concerne le cause di nullità del gruppo, il regolamento rimanda alla legislazione integrativa nazionale, ma la nostra legge di attuazione nulla dispone al riguardo, sicché
troveranno applicazione le cause di nullità ricavabili dai princìpi generali in materia di enti di
natura associativa.
Uniforme è, invece, la disciplina degli effetti della nullità (art. 15 reg.), che sostanzialmente coincide con quella propria delle società di capitali (art. 2232 c.c.), discostandosi sensibilmente da quella di diritto comune..
Infatti, la dichiarazione di nullità del gruppo non ha effetto retroattivo, non pregiudica la
validità degli atti precedentemente compiuti, opera solo come causa di scioglimento del gruppo, sicché il giudice che la dichiara deve provvedere alla nomina dei liquidatori, determinandone i poteri (art. 8, co. 2, d.lgs.) e, quando possibile, è sanabile entro un termine che il giudice
all’uopo deve fissare.
Per quel che concerne la struttura organizzativa, come nei consorzi, l’articolazione, le
attribuzioni e le regole di funzionamento degli organi del GEIE sono in larga parte rimesse
all’autonomia privata.
Unici organi indefettibili sono il collegio dei membri e gli amministratori82, essendo
affidata all’autonomia negoziale l’eventuale istituzione di altri organi (art. 16 reg.).
Estremamente scarna è la normativa comunitaria e quasi nulla dice quella nazionale riguardo alle attribuzioni ed alle modalità di funzionamento degli organi essenziali del gruppo, essendo stabilito solo :
a) che i membri del gruppo possono adottare collegialmente83 qualsiasi decisione per
la realizzazione dell’oggetto del gruppo medesimo (art. 16 reg.) e, dunque, qualora il contratto
non sia diversamente convenuto, anche quelle di carattere gestorio che spetterebbero agli amministratori;
b) che all’uopo la loro consultazione deve essere organizzata dall’organo amministra82
In questo senso: CAMPOBASSO, op. cit., 280; M ASI , op. cit., 9; PATRONI GRIFFI, op. cit., 621. Invece,
M ONGIELLO, Il gruppo europeo di interesse economico (G.E.I.E.), Padova, 1994, 229 ss e 308 ss., argomentando dall’art. 17, co. 4, reg., secondo cui «Su iniziativa di un amministratore o su richiesta di un
membro, l’amministratore o gli amministratori devono organizzare una consultazione dei membri affinché questi ultimi prendano una decisione», ritiene che la volontà dei membri del gruppo possa essere
espressa anche in maniera del tutto deformalizzata e, dunque, che, in questo caso, non possa parlarsi di un
collegio dei membri quale organo del gruppo distinto dalla totalità informe dei membri.
83
Discusso, però, è se la regola della collegialità per le decisioni dei membri sia imprescindibile (in senso
negativo M ONGIELLO, op. cit.; in senso positivo MASI , CAMPOBASSO e PATRONI GRIFFI, opp. locc. ultt.
citt.) ed importi la necessaria riunione fisica dei membri in forma assembleare (in senso positivo
CAMPOBASSO , op. loc. ult. cit., 280; contra: M ASI e PATRONI GRIFFI, opp. locc. ultt. citt.).
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tivo su richiesta di un amministratore o di un membro (art. 17, § 4, reg.);
c) che le decisioni più importanti, quali quelle concernenti le modificazioni dell’oggetto
o della durata o lo scioglimento anticipato del gruppo, devono essere prese dai membri
all’unanimità, richiesta anche per le altre decisioni ove il contratto non disponga diversamente
(art. 17, § 2 e § 3, reg.);
d) che a ciascuno dei membri è attribuito di norma un solo voto, salva la possibilità che
il contratto attribuisca a taluni membri più voti, a condizione, però che nessuno disponga da
solo della maggioranza dei voti (art. 17, § 1, reg.);
e) che la gestione del gruppo è affidata ad uno o più amministratori, che possono essere anche persone giuridiche, nel qual caso sarà la persona fisica che ne ha la rappresentanza
ad esercitare le funzioni gestorie e ad assumere le relative responsabilità, e nominati con il contratto o con successiva decisione dei membri (artt. 19 reg. e 5 d.lgs.);
f) che i poteri degli amministratori sono fissati dal contratto, salvo che per ciò che concerne il potere di rappresentanza del gruppo nei confronti dei terzi che a ciascuno di loro
disgiuntamente spetta ex lege e le cui limitazioni contrattuali, benché debitamente pubblicate,
non sono opponibili ai terzi, fatta eccezione per la sola eventuale previsione di una rappresentanza congiunta (art. 20 reg.).
Nulla è stabilito in ordine alle invalidità delle decisioni degli organi del gruppo, sicché, per lo più, si ritiene che debba farsi ricorso analogico alla disciplina applicabile ai consorzi84.
Le modificazioni del contratto devono, in linea generale, essere prese all’unanimità, salvo che il contratto stesso disponga diversamente. Tuttavia, le modificazioni concernenti
l’oggetto o la durata del gruppo, il numero di voti attribuito a ciascuno dei membri, gli obblighi,
anche finanziari, dei membri e le modalità di adozione delle decisioni di gruppo devono essere
sempre adottate all’unanimità.
Incerta, come nel caso dei consorzi, è, in assenza di una disciplina legale, l’ammissibilità
della trasformazione del GEIE in altro ente di natura associativa e della trasformazione inversa85.
Benché sia discusso se al GEIE debba essere sempre o, com’è più plausibile, possa
essere, in considerazione dell’attività in concreto svolta, riconosciuta la qualifica di imprenditore e, in particolare, di imprenditore commerciale, la normativa prevede che i suoi
amministratori debbano tenere i libri e le altre scritture contabili previste per gli imprenditori
commerciali, redigere il bilancio e sottoporlo all’approvazione dei membri e, dopo che questa
sia avvenuta, depositarlo nel registro delle imprese entro quattro mesi dalla chiusura
dell’esercizio (art. 7 d.lgs.).
Siccome, poi, il GEIE non può avere per scopo quello di realizzare profitti per sé stesso
(art. 3 reg.), i profitti derivanti dalla sua attività, benché eventualmente transitati per le sue casse, sono imputati direttamente ai suoi membri nella proporzione prevista dal contratto o,
qualora questo sia sul punto silente, in parti uguali; e secondo questo stesso criterio sono
anche ripartiti tra i membri i contributi destinati a coprire l’eventuale eccedenza delle uscite
rispetto alle entrate del gruppo (art. 21 reg.).
84
In tal senso CAMPOBASSO , op. cit., 280.
85
V. M ASI , op. cit., 15.
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alle entrate del gruppo (art. 21 reg.).
Non è prevista l’obbligatoria formazione di un fondo patrimoniale e quello eventualmente
costituito non è dalla normativa elevato a patrimonio autonomo, sicché, per contrappeso, particolarmente rigoroso è il regime di responsabilità per le obbligazioni assunte dal gruppo, per
le quali è, infatti, stabilita la responsabilità solidale ed illimitata di tutti i membri del gruppo, oltre che del gruppo medesimo, ove questo abbia un proprio patrimonio (art. 24 reg.),
senza le distinzioni e le limitazioni che caratterizzano il regime di responsabilità dei consorzi con
attività esterna.
Tuttavia, la responsabilità illimitata e solidale dei membri per le obbligazioni assunte dal
gruppo è sussidiaria rispetto a quella di quest’ultimo, anche se ai membri non è concesso un
vero e proprio beneficium excussionis, bensì un mero beneficium ordinis, giacché i creditori possono agire nei loro confronti solo dopo aver chiesto al gruppo di pagare ed il pagamento
non sia stato effettuato entro un congruo termine (art. 23 reg.).
Tale regime riguarda anche la responsabilità dei membri entrati a far parte del gruppo dopo la sua costituzione per le obbligazioni assunte dal gruppo anteriormente, salvo patto contrario, opponibile ai terzi solo se debitamente pubblicato (art. 26 reg.).
Inoltre, i membri che cessano di far parte del gruppo continuano a rispondere secondo le
medesime regole delle obbligazioni anteriormente assunte dal gruppo (art. 33 reg.) e la responsabilità dei membri permane fino alla conclusione del quinto anno successivo alla pubblicazione della chiusura della liquidazione del gruppo (art. 37 reg.).
Netta, come s’è già rilevato, è la connotazione personalistica (il cd. intuitus personae)
della partecipazione al GEIE, come si desume dal fatto che l’ammissione di nuovi membri e
l’efficacia della cessione della quota di partecipazione da parte di un membro ad altro membro
o ad un terzo dipendono sempre da una decisione presa all’unanimità (artt. 22 e 26, § 1, reg.),
nonché dalla disciplina dei casi di scioglimento parziale del rapporto associativo.
Invero, le cause di recesso e di esclusione di singoli membri dal gruppo devono essere
stabilite dal contratto e, in mancanza: il recesso è possibile solo se sussiste una giusta causa o
col consenso unanime degli altri membri (art. 27, § 1, reg.), mentre l’esclusione può essere
pronunciata solo giudizialmente in caso di gravi inadempienze su richiesta della maggioranza
degli altri membri (art. 27, § 2, reg.), salvi i casi in cui il membro perda i requisiti soggettivi
previsti per la partecipazione al gruppo (nel qual caso, per la verità, la normativa parla di decadenza) ovvero divenga insolvente e sia per questo assoggettato ad una procedura concorsuale, in cui opera di diritto (artt. 28, § 1, reg., e 6 d.lgs.).
Nulla vieta, poi, mi pare, uno scioglimento consensuale del rapporto associativo limitatamente ad un singolo membro, per il quale, in mancanza di diversa previsione nel contratto di
gruppo, a formare la volontà del gruppo occorrerà una decisione presa all’unanimità dal collegio dei suoi membri.
Comunque, il membro che cessa di far parte del gruppo ha diritto alla liquidazione del valore della sua quota di partecipazione, determinato tenendo conto del patrimonio del gruppo al
momento dello scioglimento parziale del vincolo associativo.
Lo scioglimento del gruppo può essere decisa dal collegio dei membri all’unanimità,
salvo che sia diversamente stabilito dal contratto, ed è obbligatorio, oltre che nei casi previsti
dal contratto, in caso di scadenza del termine di durata del contratto, di conseguimento o di
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sopravvenuta impossibilità di conseguimento dell’oggetto del gruppo, di sopravvenuta mancanza della pluralità dei membri o di almeno due membri di diversa nazionalità; di spostamento
della sede del gruppo fuori dall’ambito territoriale comunitario; di modificazioni dell’oggetto
del gruppo determinanti la perdita del suo essenziale carattere ausiliario.
Anche qualora sussista una causa di scioglimento obbligatorio occorre una decisione dei
membri del gruppo, in mancanza della quale, decorsi tre mesi dal verificarsi della causa di
scioglimento, ciascun membro può richiedere una pronunzia giudiziale in proposito (art. 31
reg.). Fanno eccezione a tale regola i casi in cui il gruppo perda gli essenziali caratteri di transnazionalità, comunitarietà ed ausiliarietà, per i quali l’intervento dell’autorità giudiziaria può essere immediatamente richiesto da qualsiasi interessato e deve sfociare in una pronuncia di
scioglimento ove, prima che questa intervenga, la situazione non sia stata regolarizzata (art. 32,
§ 1, reg.).
Inoltre, è sempre possibile per ogni membro ricorrere all’autorità giudiziaria perché pronunci lo scioglimento del gruppo per giusta causa (art. 32, § 2, reg.).
Il procedimento di liquidazione conseguente allo scioglimento del gruppo è disciplinato
mediante rinvio alle disposizioni degli artt. 2275 e ss. c.c. (art. 8 d.lgs.), sicché, ove il contratto
non preveda il modo di liquidare il patrimonio, i membri, all’unanimità o, in caso di disaccordo,
il presidente del tribunale competente ovvero il giudice, nel caso in cui lo scioglimento sia pronunziato giudizialmente, dovranno nominare uno o più liquidatori e determinarne i poteri.
Non è chiaro, però, quale sia il momento cui deve ricollegarsi l’estinzione del gruppo, posto che l’art. 35 reg. stabilisce che «la capacità giuridica del gruppo ai sensi dell’articolo
1, paragrafo 2, sussiste fino alla chiusura della liquidazione», senza chiarire se occorre in
proposito far riferimento all’effettiva chiusura della liquidazione ovvero alla sua mera pubblicazione e nel nostro ordinamento è, com’è noto, da tempo discusso se l’estinzione delle società
soggette ad iscrizione nel registro delle imprese consegua alla loro cancellazione da tale registro o se, invece, debba ritenersi che esse rimangano in vita anche dopo tale evento, qualora
questo non sia stato preceduto dalla definizione di tutti i rapporti giuridici di cui sono titolari.
Particolare è la disciplina prevista per un’altra causa di scioglimento del gruppo: il suo fallimento.
Al pari di ogni imprenditore commerciale, il gruppo che eserciti un’attività commerciale e
sia insolvente è, infatti, soggetto a questa procedura di liquidazione concorsuale, la cui apertura, però, in conformità con quanto disposto in tema di società cooperative a responsabilità sussidiaria limitata o illimitata dei soci, non determina il fallimento per estensione dei suoi membri,
ma l’applicazione della speciale disciplina di riparto delle passività dell’ente collettivo dettata
dall’art. 151 l.f. (artt. 36 reg. e 9 d.lgs.).
In forza del generico rinvio dell’art. 36 reg. alle «disposizioni del diritto nazionale che
disciplina l’insolvenza e la cessazione dei pagamenti», non par dubbia, poi, la possibilità di
applicare al GEIE procedure concorsuali diverse dal fallimento, nonché dalla liquidazione
coatta amministrativa (per la quale è necessaria, ex art. 2 l.f., un’espressa previsione
normativa), e, dunque, le procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata
e, ove ne sussistano i presupposti, di amministrazione straordinaria86.
86
Cfr. M ASI , op. cit., 13.
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5.
Le joint ventures.
Com’è noto, non esiste un modello tipizzato di joint venture, espressione questa mutuata dal mondo anglosassone e con la quale, specie nelle relazioni commerciali internazionali, si
suole indicare ogni forma di accordo di natura associativa e di durata limitata nel tempo tra
imprenditori finalizzato all’esercizio di un’attività economica di comune interesse, sicché, in
un’accezione ampia, essa potrebbe addirittura coprire l’intero fenomeno della cooperazione
tra imprenditori realizzata in forme associative.
Tuttavia, nel tentativo di dare una sistemazione concettuale al fenomeno, la dottrina ha da
tempo elaborato alcune classificazioni delle joint ventures.
Così, sulla base dell’elemento funzionale o teleologico, si distingue tra joint ventures
strumentali, caratterizzate dall’essere costituite per l’esecuzione di contratti complessi da
stipulare con terzi e di cui un esempio è costituito dalle associazioni temporanee di imprese
previste dalla nostra legislazione in materia di appalti pubblici, e joint ventures operative, il
cui fine è l’esercizio congiunto di un’attività imprenditoriale in un settore economico di interesse
comune dei coventurers.
Altra distinzione corrente è quella tra incorporated joint ventures e unincorporated o
contractual joint ventures, basata sul fatto che nelle prime vi è la costituzione di
un’organizzazione comune, spesso una società di capitali dotata di personalità giuridica, distinta
da quella dei partners e deputata a realizzare la finalità di collaborazione interimprenditoriale,
che manca, invece, nelle seconde.
Ciò posto, è, comunque, evidente che non è possibile parlare di una disciplina delle
joint ventures, la soluzione dei problemi giuridici che queste pongono dipendendo dalle svariate forme negoziali ed organizzative in cui possono concretarsi i joint venture agreements e
dalla legislazione nazionale a questi applicabile.
In linea generale, può, però, dirsi che il perseguimento degli scopi delle joint ventures
sovente richiede la stipulazione di negozi e/o la creazione di organismi atipici dal punto di vista
del nostro diritto nazionale e, in quanto tali, ove questo sia il diritto applicabile, validi solo nella
misura in cui gli interessi che mirano a soddisfare siano meritevoli di tutela e la loro disciplina
non sia in contrasto con norme o princìpi inderogabili (art. 1322 c.c.).
6.
Le associazioni temporanee di imprese.
6.1.
In generale.
Dall’esperienza prima anglosassone e poi internazionale delle joint ventures derivano le
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nostrane associazioni temporanee di imprese (o raggruppamenti temporanei di imprese o
riunioni temporanee di imprese), strumenti di cooperazione temporanea ed occasionale fra più
imprenditori per la realizzazione congiunta, senza la costituzione di un’organizzazione comune,
di un’opera o di un affare complesso (per lo più, di grandi opere pubbliche o private) che supera le capacità operative di ciascuna singola impresa e che, tuttavia, presenta caratteristiche
tali, quali la divisibilità in parti o la necessità di più prestazioni specialistiche di diverso contenuto, da consentirne la scomposizione.
Le ragioni che hanno indotto la pratica a ricorrere a questo strumento non tipizzato di cooperazione interaziendale, giuridicamente costruito fondando soprattutto sulla disciplina del
mandato collettivo con rappresentanza, anziché alla costituzione di una società o di un consorzio con attività esterna sta, innanzitutto, nell’intento di evitare il sostenimento dei costi necessari alla creazione ed al funzionamento di un organismo collettivo, in secondo luogo,
nell’interesse degli imprenditori ad assumersi direttamente la propria parte di obblighi e di
diritti derivanti dalla realizzazione dell’opera o dell’affare ed a conservare la propria autonomia
giuridica ed economica, esaurendosi la loro collaborazione nell’affidamento ad uno di loro (cd.
capogruppo o capofila) della gestione unitaria dei rapporti con la controparte. Esigenze, queste, che, col tempo, si sono perfettamente coniugate con l’interesse del committente ad avere
un unico interlocutore nonostante la pluralità degli appaltatori.
Dell’originalità del fenomeno e della sua irriducibilità ai contratti nominati la dottrina e
la giurisprudenza si sono da tempo rese conto87, distinguendo, inoltre, i raggruppamenti orizzontali, caratterizzanti l’esecuzione delle opere non scorporabili poiché affidate ad imprese
con specializzazione omogenea, dai raggruppamenti verticali, caratterizzanti l’esecuzione di
opere con parti scorporabili poiché affidate ad imprese specializzate in settori tecnologici
diversi.
Nondimeno, il nostro legislatore non ha ancora dato al fenomeno in considerazione una
disciplina organica ed unitaria, limitandosi a regolarne, soprattutto sotto la spinta di direttive
comunitarie, solo talune manifestazioni e taluni aspetti in relazione a determinati settori econo87
Cfr.: M AZZONE, L’associazione temporanea di imprese, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, vol. 17, Torino, 1995, 553 ss.; PATRONI GRIFFI, op. cit., 626. E v.: Cass., 16 febbraio 1963, n. 342, in
Foro it., 1963, I, 1990, secondo cui, «qualora un appalto venga aggiudicato congiuntamente a due imprese riunite, non potendo essere configurato un rapporto di associazione in partecipazione, il quale è
caratterizzato dal fatto che la titolarità dell’impresa è nel solo associante e la partecipazione
dell’associato è limitata ai risultati dell’impresa medesima, né, qualora si tratti di un’impresa individuale e di una società per azioni, una società di fatto tra le stesse, deve essere esclusa l’esistenza di un
conferimento del contratto d’appalto assoggettabile ad imposta di registro », giacché «in tale ipotesi il
vincolo costituito tra le due imprese dà luogo soltanto ad unione delle attività e dei mezzi dei singoli
contraenti, ognuno dei quali rimane titolare della propria posizione originaria, e non sussiste, quindi,
quel movimento di ricchezza che è a base della specifica tassazione»; nonché Cass., 24 febbraio 1975, n.
681, in Giur. comm., 1976, II, 780, secondo cui, «nell’ambito della possibilità, riconosciuta alle parti
dall’art. 1322 c.c. di concludere contratti atipici, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, è consentita la conclusione di un negozio innominato di natura
associativa, distinto dal contratto di società, con il quale le parti si associano per la gestione in comune
di un contratto di appalto per l’esecuzione di un’opera pubblica stipulato in nome e per conto proprio
da uno dei contraenti, sulla base di un vincolo giuridico limitato ai rapporti interni fra i contraenti
stessi e non esteriorizzato nei confronti dei terzi e senza costituire un’impresa autonoma dotata di un
proprio patrimonio distinta da quelle dei singoli associati».
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mici e, in particolare, al settore dei pubblici appalti di opere, di forniture e di servizi.
Alla normativa di questo settore, la più dettagliata sotto il profilo contenutistico e la più rilevante sotto il profilo pratico, concentrerò di seguito l’attenzione, limitandomi, per il resto, qui
a rammentare che nell’ambito del fenomeno in argomento sono stati dalla dottrina ricondotti
anche gli accordi tra imprese nazionali ed estere per la coproduzione di opere cinematografiche, di cui all’art. 19 della l. 4 novembre 1965, n. 121388, ed i rapporti tra imprese contitolari
di concessioni per la ricerca de la coltivazione di giacimenti di idrocarburi o minerari, di cui agli
artt. 18 della l. 21 luglio 1967, n. 613, ed all’art. 12 della l. 30 luglio 1990, n. 22189.
6.2.
Le riunioni temporanee di imprese ammissibili ai pubblici appalti.
Il primo riconoscimento normativo dell’ammissibilità della partecipazione agli appalti di
opere pubbliche di «imprese riunite che abbiano conferito mandato collettivo con rappresentanza ad una di esse, qualificata capogruppo, la quale esprime l’offerta in nome e
per conto proprio e delle mandanti» era contenuto nell’art. 20, co. 1, della l. 8 agosto
1977, n. 584, recante norme di adeguamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di
lavori pubblici alle direttive della CEE, la quale, inoltre, stabiliva:
- la responsabilità solidale nei confronti dell’ente appaltante delle imprese riunite, limitata, in caso di appalti di opere scorporabili, per le mandanti, ferma la responsabilità solidale
della capogruppo, a quella derivante dall’esecuzione delle parti di opere di rispettiva competenza (art. 21, co. 3), cioè, in altri termini, la responsabilità solidale per le obbligazioni nascenti
dall’appalto nei confronti della stazione appaltante di tutte le imprese riunite in caso di raggruppamento orizzontale e soltanto della capogruppo e della singola impresa incaricata
dell’esecuzione di quella parte dell’opera cui si riferiscono le obbligazioni in caso di raggruppamento verticale;
- che il mandato speciale, gratuito ed irrevocabile nei rapporti con la stazione appaltante, all’impresa capogruppo fosse dalle altre imprese riunite conferito nella forma di una
scrittura privata autenticata, che la relativa procura fosse conferita al legale rappresentante
dell’impresa capogruppo e che l’eventuale revoca per giusta causa del mandato fosse inefficace nei confronti dell’ente appaltante (art. 22, co. 1);
- che al mandatario spettasse la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle
imprese mandanti nei confronti dell’ente appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi
natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino all’estinzione di ogni rapporto, salva la facoltà dell’ente appaltante di far valere direttamente la responsabilità delle
mandanti (art. 22, co. 2);
- che il rapporto di mandato non determinava di per sé organizzazione o associazione
fra le imprese riunite, ognuna delle quali conservava la propria autonomia ai fini della gestione
e degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali (art. 22, co. 3);
- in caso di fallimento dell’impresa mandataria ovvero, qualora si fosse trattato di
88
Cfr. CAMPOBASSO , op. cit., 286.
89
Cfr.: M AZZONE, op. cit., 557 ss.; CAMPOBASSO , op. cit., 286.
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impresa individuale, ni caso di morte, interdizione o inabilitazione del suo titolare, la facoltà
dell’ente appaltante di proseguire il rapporto con altra impresa che fosse costituita mandataria,
purché di gradimento del medesimo ente appaltante, ovvero di recedere dall’appalto (art. 23,
co. 1)
- in caso di fallimento di una delle imprese mandanti ovvero, qualora si fosse
trattato di impresa individuale, di morte, interdizione o inabilitazione del suo titolare, l’impresa
capogruppo dovesse indicare altra impresa subentrante, in possesso dei prescritti requisiti di
idoneità o, in mancanza, dovesse eseguire la parte di opera già affidata all’imprenditore fallito,
morto, interdetto o inabilitato direttamente o a mezzo delle altre imprese mandanti (art. 23,
co.2).
La l. 8 ottobre 1984, n. 687, aggiungeva, poi, alla legge n. 584/1977 l’art. 23-bis che
prevedeva la possibilità per le imprese riunite di costituire tra loro una società, anche consortile, per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori, che subentrava
nell’esecuzione totale o parziale del contratto, senza che ciò costituisse subappalto o cessione
del contratto e senza necessità di autorizzazione o di approvazione.
Tale disciplina è stata, poi, sostanzialmente riprodotta dagli artt. 22, 23, 25 e 26 del d.lgs.
19 dicembre 1991, n. 406, e, quindi, dagli artt. 10 e 13 della l. 11 febbraio 1994, n. 109 (cd.
legge Merloni) e dagli artt. da 93 a 96 del relativo regolamento di attuazione emanato con
d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554.
Sulla stessa falsariga, salvo che per quel che concerne la previsione della possibilità di costituire una società tra le imprese riunite, estesa ai soli lavori pubblici nei ccdd. settori esclusi, si
muovono le disposizioni concernenti:
- le riunioni temporanee di imprese nei pubblici appalti di forniture, come disciplinate prima dall’art. 9 della l. 30 marzo 1981, n. 11390, ed ora dall’art. 10 del d.lgs. 24
luglio 1992, n. 358;
- le riunioni temporanee di imprese nei pubblici appalti di servizi, come disciplinate dall’art. 11 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157;
- le riunioni temporanee di imprese nei pubblici appalti di lavori, di forniture e
di servizi nei ccdd. settori esclusi, come disciplinate dall’art. 23 del d.lgs. 17 marzo 1995,
n. 15891.
Dunque, il fenomeno che questa normativa settoriale prende in considerazione è quello di
più imprese che, mediante il conferimento di un mandato gratuito ed irrevocabile con rappresentanza esclusiva ad una di esse, formulano congiuntamente un’offerta per la partecipazione
90
Per le differenze tra la disciplina di cui alla legge n. 584/1977 e quella di cui alla legge n. 113/1981 si
veda M AZZONE, op. cit., 578 ss.
91
Le medesime disposizioni dettate per le riunioni temporanee di imprese ammissibili agli appalti di lavori pubblici si applicano, peraltro, «in quanto compatibili», anche ai raggruppamenti temporanei costituiti tra liberi professionisti, singoli o associati nelle forme di cui alla l. 23 novembre 1939, n. 1815, e successive modificazioni, e/o società di professionisti di cui all’art. 17, co. 6, lett. a), della l. 11 febbraio 1994, n.
109, e/o società di ingegneria di cui all’art. 17, co. 6, lett. b), della l. 11 febbraio 1994, n. 109, cui il medesimo
art. 17 cit., come modificato dall’art. 6 della l. 18 novembre 1998, n. 415, consente di affidare, nell’ambito
della disciplina dei lavori pubblici, la progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché la direzione
dei lavori ed incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile unico del procedimento e dei dirigenti competenti alla formazione dei programmi triennali di realizzazione dei lavori.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
ad una gara di appalto e, nel caso in cui si aggiudichino l’appalto, sempre congiuntamente stipulano il relativo contratto e gestiscono i rapporti con la stazione appaltante relativi
all’esecuzione dei lavori, cui, però, ciascuna di loro provvede (o, meglio, può, in linea di principio, provvedere) autonomamente.
È evidente che il complesso di norme in considerazione si preoccupa essenzialmente dei
rapporti delle imprese riunite con l’ente appaltante lasciando nell’ombra i rapporti interni e
con i terzi.
Alla sua stregua, tuttavia, può affermarsi che le riunioni temporanee di imprese ammissibili ai pubblici appalti – come mi pare preferibile chiamarle, sia in considerazione della
nomenclatura utilizzata dal legislatore sia per chiarire che si tratta, come meglio vedremo appresso, di un fenomeno che non può dirsi di per sé di natura associativa) – sono caratterizzate:
a) dalla loro occasionalità e temporaneità, in quanto esse si costituiscono in vista ed
in funzione della gara per l’aggiudicazione dell’appalto di una singola opera o di un gruppo di
opere e si sciolgono o con la mancata aggiudicazione dell’appalto o con la definizione di tutti i
rapporti derivanti dall’esecuzione dell’opera o delle opere appaltate;
b) dalla permanenza dell’autonomia giuridica ed economica delle imprese riunite, in quanto ciascuna di esse conserva la propria individualità, continua a svolgere la propria
precedente attività, esegue direttamente con la propria organizzazione la propria parte di lavori,
subisce le perdite o consegue i profitti derivanti dall’esecuzione della propria parte di lavori,
intrattiene direttamente e separatamente i propri rapporti, anche se inerenti all’esecuzione della
propria parte di lavori, con i terzi, di fronte ai quali romane, pertanto, direttamente e separatamente responsabile per le obbligazioni assunte;
c) dalla mancanza di un’organizzazione comune tra le imprese riunite, in quanto
queste concorrono alla gara e, nel caso in cui se l’aggiudichino, stipulano il relativo contratto
ed assumono i relativi obblighi congiuntamente e direttamente e, quindi, eseguono (o, per
meglio dire, possono eseguire) direttamente e separatamente la propria parte di lavori, la loro
cooperazione essendo limitata (o, per meglio dire, ben potendo esser limitata) all’affidamento
alla capogruppo, mediante un mandato speciale con rappresentanza esclusiva, gratuito ed irrevocabile, del compito di interloquire con la stazione appaltante;
d) da un rapporto tra le mandanti e la capogruppo che presenta talune significative
deviazioni dalla disciplina legale del mandato, in quanto quello con rappresentanza esclusiva che, anche nell’interesse della mandataria e della stazione appaltante, deve essere conferito all’impresa capogruppo è essenzialmente gratuito92, in deroga al principio della naturale onerosità del mandato, sancito dall’art. 1709 c.c., ed irrevocabile, salvo che per giusta causa,
nel qual caso, comunque, la revoca è inefficace nei confronti della stazione appaltante, in deroga a quanto stabilito dall’art. 1723 c.c.93.
Dal che può agevolmente rilevarsi come le riunioni temporanee di imprese qui in conside92
Anche se alla capogruppo mandataria spetterà il rimborso delle spese sostenute ex art. 1720 c.c. (in
tal senso PATRONI GRIFFI, op. cit., 627).
93
Sicché – come nota M AZZONE, op. cit., 569, può accadere che la capogruppo si veda revocare per
giusta causa il mandato e, ciò nonostante, sia tenuta ad agire, in via esclusiva, in nome e per conto delle
mandanti nei confronti della stazione appaltante, con la conseguente necessità di individuare quale sia,
dopo la revoca del mandato, la disciplina applicabile ai rapporti interni tra mandanti e mandataria.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
razione non sono assimilabili né alle società né ai consorzi né ai GEIE, in quanto di per sé non
danno vita ad un soggetto giuridico distinto dalle imprese riunite, né all’associazione in partecipazione, in quanto le imprese riunite assumono congiuntamente le obbligazioni derivanti dal
contratto, non vanno, cioè, necessariamente inquadrate nell’ambito dei fenomeni associativi94,
salvo che in questi non si vogliano ricomprendere anche i rapporti interni tra i mandanti nel
mandato collettivo, ma si fondano essenzialmente sulla disciplina del mandato e vanno, pertanto, considerate come una particolare manifestazione del più ampio fenomeno della cooperazione (meramente) contrattuale tra imprese concorrenti riconducibile alle unincorporated joint ventures strumentali.
Coerenti con tali rilievi sono le disposizioni concernenti la responsabilità delle imprese
riunite per le obbligazioni derivanti dall’esecuzione del contratto: non essendovi un soggetto
giuridico distinto dalle singole imprese riunite né un patrimonio distinto da quello delle singole
imprese riunite, infatti, tale responsabilità grava direttamente e solidalmente su tutte le imprese
riunite, fatto salvo quanto s’è detto sopra in relazione alle riunioni verticali.
Nemmeno, pertanto, si potrà immaginare un fallimento della riunione temporanea di
imprese in quanto tale; e, coerentemente, con tale impostazione le disposizioni legislative si
preoccupano piuttosto di regolamentare gli effetti sul contratto di appalto del fallimento di una
delle imprese riunite, stabilendo:
a) per il caso del fallimento della capogruppo mandataria, data l’evidente natura
fiduciaria del ruolo di tale impresa, la facoltà della stazione appaltante di proseguire il rapporto
con altra impresa di suo gradimento, che, in tal caso, dovrà subentrare alla fallita nella veste di
mandataria, ovvero di recedere dall’appalto;
b) per il caso del fallimento di una delle imprese mandanti, la prosecuzione del
contratto con il solo obbligo della capogruppo di indicare altra impresa subentrante o, in mancanza, di eseguire direttamente o a mezzo delle altre imprese mandanti la parte di opere già
affidata all’imprenditore poi fallito.
Discusso è, tuttavia, se il fallimento della mandataria importi o meno automaticamente, al
contempo, lo scioglimento del contratto di appalto nei rapporti tra la fallita e la stazione appaltante e lo scioglimento del rapporto di mandato (e della riunione temporanea, ove si ritenga di
poterla distinguere dal mandato) limitatamente ai rapporti tra la fallita e le imprese mandanti.
Problema, questo, che ha evidenti risvolti in ordine alla legittimazione del curatore del fallimento della mandataria a riscuotere anche i crediti delle imprese mandanti verso la stazione appal-
94
Conformemente a quanto sostenuto nel corpo del testo, negano che le riunione temporanee di imprese costituiscano di per sé un fenomeno associativo: BONVICINI, Associazione temporanea di imprese, in
Enc. giur. Treccani, vol. III, Roma, 1988, passim; M AZZONE, op. cit., 575; BOZZA, op. cit. Contra: CORAPI,
Le associazioni temporanee di imprese, Milano, 1983, secondo cui le associazioni temporanee di imprese
sono equiparabili ai consorzi con attività meramente interna; mentre per VIDIRI , Mandato collettivo con
rappresentanza ed associazione temporanea di imprese, in Giust. civ., 1998, I, 2541, «il raggruppamento
temporaneo di imprese configura un contratto innominato, che pur avendo finalità associative si differenzia – per non costituire un centro autonomo di rapporti, per essere privo di un proprio patrimonio e
per essere la propria operatività limitata all’interno dello stesso raggruppamento – sia dalla società che
dalla stessa associazione, trovando la fonte del proprio riconoscimento nel disposto dell’art. 1322 c.c.».
In questo stesso senso v. Cass., 24 febbraio 1975, n. 681, cit.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
tante, ma che va, a mio avviso, risolto, seguendo l’opinione prevalente95, in senso positivo.
Invero, la facoltà della stazione appaltante di scegliere, in caso di fallimento della capogruppo, tra la prosecuzione del rapporto derivante dall’appalto con sostituzione della mandataria fallita ed il recesso da tale rapporto evidentemente presuppone sciolto sia il contratto di
appalto nei rapporti con la mandataria fallita sia il mandato a questa conferito.
Ne consegue che il curatore del fallimento della capogruppo mandataria non è legittimato
a riscuotere i crediti delle imprese mandanti verso la stazione appaltante, neanche quelli maturati prima della dichiarazione di fallimento96.
Per le somme di denaro che la capogruppo mandataria abbia riscosse dalla stazione appaltante in nome e per conto delle imprese mandanti prima di essere dichiarata fallita e che non
siano state a queste ultime ancora riversate al momento della dichiarazione del fallimento della
mandataria, le mandanti vanteranno un diritto di credito di natura concorsuale da insinuare al
passivo fallimentare della mandataria97.
95
Per la quale, v. soprattutto BOZZA, op. cit., 464 ss., e la recente Cass., 15 gennaio 2000, n. 421, in
Fall., 2001, 505, che fanno leva, per sostenere il contestuale scioglimento del mandato, anche sull’effetto
risolutivo di questo contratto normalmente prodotto dal fallimento di una delle parti ex art. 78 l.f. o, comunque. specificamente derivante dal peculiare collegamento funzionale del mandato conferito alla capogruppo con la partecipazione di quest’ultima all’appalto pubblico. Per analoghe conclusioni v. anche: Trib.
Roma, 14 gennaio 1998, in Giur. merito, 1998, 917; App. Venezia, 21 maggio 1997, in Dir. fall., 1997, II, 1188.
Secondo CENSONI, op. cit., 135 ss., invece, le disposizioni in materia di pubblici appalti che disciplinano gli
effetti del fallimento della capogruppo mandataria andrebbero coordinate con l’art. 81 l.f., di guisa che il
contratto di appalto e quello di mandato non si scioglierebbero automaticamente per effetto del fallimento
della capogruppo mandataria in relazione ai rapporti di cui questa è titolare, spettando al curatore del fallimento della capogruppo mandataria, sentito il comitato dei creditori, se è stato nominato, e con
l’autorizzazione del giudice delegato, il potere di dichiarare di voler subentrare nel rapporto dandone comunicazione alla stazione appaltante nel termine di venti giorni dalla dichiarazione di fallimento ed offrendo
idonee garanzie. Diversa ancora è la posizione di Trib. Treviso, 10 gennaio 1995 (in Dir. fall., 1997, II, 338,
con nota contraria di SANDULLI, Effetti del fallimento nell’ambito delle riunioni temporanee di imprese
per l’esecuzione degli appalti di opere pubbliche), secondo cui la dichiarazione di fallimento della capogruppo, benché importi la facoltà della stazione appaltante di recedere dal contratto di appalto ovvero di
proseguirlo con altra impresa che sia costituita mandataria, non modifica il ruolo dell’originaria mandataria
in ordine ai rapporti giuridici sorti in precedenza e, quindi, non pregiudica il diritto del curatore del fallimento della medesima originaria mandataria di pretendere dalla stazione appaltante il corrispettivo dei lavori
eseguiti sino all’apertura della procedura concorsuale dalle imprese riunite, salva la facoltà delle imprese
mandanti di insinuare nel passivo del fallimento della capogruppo i crediti maturati per le opere da esse
rispettivamente eseguite.
96
Per la diversa posizione di Trib. Treviso, 10 gennaio 1995, cit., v. nota precedente.
97
Contra: SANDULLI, op. cit., che, aderendo a quanto sostenuto da altra dottrina (CANCRINI –
PISELLI, Considerazioni in tema di associazioni temporanee di imprese, in Riv. giur. edil., 1985, 266 ss.),
ritiene che la capogruppo non acquisti la titolarità delle some ricevute in pagamento dalla stazione appaltante in nome e per conto delle mandanti, che, di conseguenza, dovrebbero poter rivendicare dette somme
ai sensi dell’art. 103 l.f., in tal modo sottraendosi al concorso con gli altri creditori della fallita. Ma la tesi si
scontra con la pressoché pacifica (v.: Cass., 16 maggio 1990, n. 4262, in Dir. fall., 1990, II, 1398; Trib. Vicenza, 19 settembre 1988, in Fall., 1989, 343; Trib. Genova, 17 giugno 1988, in Fall., 1988, 1265; Trib. Milano,
29 settembre 1983, in Fall., 1983, 1452) inammissibilità della rivendicazione ex art. 103 l.f. di cose fungibili e,
in particolare, del denaro. La necessità per le imprese mandanti di insinuare il proprio credito nel passivo
fallimentare della capogruppo mandataria non sussiste, invece, a mio avviso, nel caso in cui, nonostante lo
scioglimento del mandato, il curatore del fallimento della mandataria abbia riscosso dalla stazione appaltante corrispettivi relativi ad opere eseguite dalle mandanti, trattandosi, in tal caso, di un credito nei confronti
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
Ma la previsione normativa secondo cui le riunioni temporanee di imprese che si stanno
considerando non implicano di per sé «organizzazione o associazione fra le imprese riunita», se, da una parte, esclude che il rapporto tra le imprese riunite debba essere sempre connotato nei termini di un rapporto di natura associativa, non esclude, anzi dà per scontato, che le
imprese riunite possano regolamentare i loro rapporti interni in modo diverso e più complesso
ed anche creare un’organizzazione comune, in tal caso dando luogo ad un vero e proprio rapporto associativo, il quale, però, fino all’espletamento della gara, salvo che non persegua finalità ulteriori rispetto a quelle della partecipazione alla gara e della gestione dell’eventuale appalto, non andrà oltre il paradigma del consorzio con attività meramente interna, ché, altrimenti,
sarà il consorzio, occasionale o stabile, con attività esterna, il GEIE o la società tra le medesime
imprese costituita a concorrere all’aggiudicazione.
Una volta che le imprese riunite si siano aggiudicate la gara e debbano procedere
all’esecuzione dei lavori, l’esigenza di cooperazione diviene più intensa e, con questa, più sentito il bisogno delle imprese medesime di ricorrere a modelli organizzativi più complessi, soprattutto allorché le opere da realizzare siano indivisibili, di passare dalla cooperazione meramente contrattuale alla cooperazione associativa tra imprese, dal fenomeno delle contractual
joint ventures a quello delle incorporated joint ventures.
Da qui la previsione – per la prima volta introdotta, come s’è detto, con l’art. 23-bis della
legge n. 584/1977 e poi ribadita dalle successive disposizioni in materia di lavori pubblici (v.
artt. 26 d.lgs. 409/1991, 96 d.P.R. 554/1999, 23 d.lgs. 158/1995) – della possibilità per le
imprese riunite di costituire una società, anche consortile, per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori, di cui devono far parte tutte le imprese riunite (ovvero tutte le imprese interessate alla parte di lavori per la cui esecuzione unitaria la società sia stata costituita)
e che – aggiunge il legislatore – dalla data della notificazione alla stazione appaltante del suo
atto costitutivo «subentra, senza che ciò costituisca ad alcun effetto subappalto o cessione di contratto e senza necessità di autorizzazione o di approvazione, nell’esecuzione
totale o parziale del contratto, ferma restando la responsabilità delle imprese riunite».
Senonché, questa previsione normativa ha fatto sorgere problemi interpretativi di non facile soluzione soprattutto a proposito del significato del subentro di detta società nell’esecuzione
del contratto di appalto.
Invero, in dottrina, a chi sostiene che la società costituita tra le imprese riunite succede a
queste nel contratto di appalto, con conseguente estinzione della riunione temporanea o, meglio, del mandato conferito alla capogruppo98, s’oppone chi, invece, reputa che la previsione in
questione abbia la sola portata di legittimare la società costituita tra le imprese riunite
all’esecuzione materiale dell’appalto, sicché la medesima società rappresenta un mero
strumento operativo delle imprese riunite, come tale destinato ad affiancarsi al raggruppamento
della massa, di cui il giudice delegato dovrà ordinare il pagamento con decreto ai sensi dell’art. 111, co. 1, n.
2, e co. 2, l.f.
98
In tal senso: M AZZONE, op. cit., 577-578, ma v. anche il ripensamento dello stesso Autore, in
L’associazione temporanea di impresa, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, vol. 22, Torino,
1991, 595 ss.; DI M AJO, Associazioni temporanee di imprese e società consortili negli appalti pubblici
(nota a Cass., 4 gennaio 2001, n. 77), in Soc., 2001, 1470 ss.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
temporaneo o, meglio, a lasciare in vita il mandato conferito alla capogruppo99.
Recentemente, l’argomento è stato affrontato, in relazione ad un caso in cui le imprese
riunite avevano costituito una società consortile, anche dalla Corte di cassazione100, che, sposando la seconda delle tesi dottrinali cui s’è accennato, ha affermato che la disposizione di cui
all’art. 23-bis della l. 584/1977 «ha la esclusiva portata di legittimare la società consortile
nella esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto a carico dell’ATI, ma non ne
comporta la sostituzione», giacché:
a) «fa riferimento ad un “subentro” nella esecuzione totale o parziale del contratto e non ad una successione nel rapporto giuridico sorto con la convenzione con
l’ente appaltante»;
b) «esclude in modo assoluto – “ad alcun effetto” – che ciò determini subappalto
o cessione di contratto, tant’è che espressamente prevede che non siano necessarie autorizzazioni o approvazioni»;
c) fa salva la responsabilità delle imprese riunite, per cui, non essendo dato affermare
che quella medesima responsabilità è assunta in via privativa o in via cumulativa dalla consortile, esclusa deve restare la successione di quest’ultima nel rapporto di mandato tra imprese
riunite e capogruppo.
Ma, a mio avviso, questa tesi fortemente riduttiva del dato normativo non convince, sia
perché, già da un punto di vista meramente lessicale, mi pare che il subentro nell’esecuzione
del contratto non possa esprimere altro che la sostituzione della società costituita tra le imprese riunite a queste ultime in tutti i rapporti giuridici concernenti l’esecuzione del contratto di
appalto e non solo nella materiale esecuzione dei lavori appaltati101, sia perché la precisazione
che questo subentro nell’esecuzione del contratto non costituisce ad alcun effetto subappalto o cessione di contratto e non importa la necessità di autorizzazioni o di approvazioni può
meglio essere spiegata con l’intenzione del legislatore di evitare che il fenomeno, benché riconducibile ai fenomeni di successione nel contratto, sia sottoposto alla medesima disciplina in
tema di subappalto e di cessione del contratto di appalto prevista dalla legislazione in materia
di lavori pubblici.
Né è incompatibile con la tesi della successione ex lege della società costituita tra le imprese riunite a queste ultime nel contratto di appalto la previsione della perdurante responsabilità solidale delle medesime imprese riunite (o, meglio, di tutte tali imprese nelle riunioni orizzontali e dell’impresa capogruppo e della singola impresa mandante cui si riferisce l’obbligazione
inadempiuta nelle riunioni verticali) nei confronti della stazione appaltante, che ben può spiegarsi con l’intento del legislatore di tutelare la stazione appaltante evitando che la costituzione
della società in questione sia utilizzata dalle imprese riunite come strumento per eludere le proprie responsabilità. Il che induce a ritenere che detta responsabilità delle imprese riunite si cumula con quella che la società tra queste costituita viene ad assumere in proprio succedendo
99
In questo senso: BOZZA, op. cit., 472 ss.; CARBONE, Associazioni temporanee d’impresa e consorzi
nell’appalto di opere pubbliche, in Giur. it., 1988, IV, 84 ss.
100
Cass., 4 gennaio 2001, n. 77, in Soc., 2001, 1465. Nello stesso senso l’ancor più recente Cass., 2 novembre 2001, n. 13582, in CED Cass., n. 549968.
101
M AZZONE, L’associazione temporanea di imprese, cit., 577.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
ex lege nel contratto di appalto102.
Peraltro, la tesi seguita dalla Suprema Corte può condurre a conseguenze praticogiuridiche aberranti, giacché, mentre la stazione appaltante potrebbe confidare solo sulla responsabilità solidale di tutte le imprese riunite della capogruppo e della singola impresa inadempiente, i terzi nei cui confronti la società in questione assuma obbligazioni, ove questa sia
costituita nella forma di una società di capitali, potrebbero fare affidamento solo sulla responsabilità di tale società, che, pertanto, potrebbe costituire uno strumento di agevole frode in
danno di tali terzi creditori, soprattutto se si considera che, sempre seguendo la tesi qui criticata, i corrispettivi dell’esecuzione dell’appalto dovrebbero essere dalla stazione appaltante pagati alla capogruppo e da questa trattenuti o riversati, dedotte le spese eventualmente sostenute, a ciascuna delle mandanti103 e che la legge non impone che l’atto costitutivo della società
costituita tra le imprese riunite preveda che questa funzioni secondo il meccanismo del cd. ribaltamento dei costi.
Ritengo, pertanto, che debba concludersi che la società costituita tra le imprese riunite per
l’esecuzione unitaria dei lavori succede a queste ex lege nel contratto di appalto, assumendone, quindi, tutti i diritti e gli obblighi relativi, senza che, però, ciò comporti l’applicazione delle
norme in materia di successione nei contratti e, in particolare, la disciplina in tema di subappalto e di cessioni del contratto di appalto nel settore dei lavori pubblici, giacché, per una sorta di
fictio iuris, la società medesima deve considerarsi l’originaria appaltatrice dei lavori, con conseguente estinzione del mandato conferito dalle imprese riunite alla capogruppo, che non ha
più ragione di essere, salvo il caso in cui detta società sia stata costituita per l’esecuzione unitaria di una parte soltanto delle opere appaltate, nel quale l’estinzione del mandato si verificherà
solo nei rapporti tra la capogruppo e le imprese mandanti la cui quota di lavori sia stata interamente attribuita alla società medesima.
Non nego che questa soluzione implica la possibilità del fallimento della società costituita
tra le imprese riunite per l’esecuzione unitaria dei lavori appaltati, con la conseguente risoluzione del contratto di appalto104, e, per converso, l’inapplicabilità delle speciali regole dettate in
ordine agli effetti sul contratto di appalto del fallimento delle singole imprese riunite, con la
conseguenza che la suddetta società dovrà provvedere all’esecuzione anche della quota di lavori originariamente affidati all’impresa poi fallita105. Si tratta, però, di conseguenze che non mi
102
M AZZONE, op. ult. cit., 577; DI MAJO, op. cit., 1471.
103
DI M AJO, op. cit., 1472.
104
Va condivisa, invero, la prevalente opinione (per la quale v., ad es., PLENTEDA, Pubblici appalti e
fallimento, in Fall., 2000, 182 ss.) secondo cui, in materia di appalti pubblici, il fallimento dell’appaltatore
comporta ineluttabilmente lo scioglimento del contratto di appalto, sia perché i requisiti che l’appaltatore
deve possedere rivestono rilievo essenziale, con conseguente applicazione i quanto disposto dall’art. 81,
co. 2, l.f., sia perché in tal senso depone l’interpretazione storico-sistematica della legislazione speciale. Sul
punto si vedano i riferimenti bibliografici e giurisprudenziali contenuti in Codice del fallimento, a cura di
Pajardi, Milano, 2001, sub art. 81, 8, p. 602 ss.
105
Così come non nego che la soluzione della successione ex lege nel contratto di appalto può prestarsi a fare della società costituita tra le imprese riunite per l’esecuzione unitaria del contratto di appalto
uno strumento per tentare di eludere, attraverso la cessione delle quote o delle azioni di partecipazione in
tale società, le disposizioni in materia di appalti pubblici che vietano la cessione del contratto di appalto e
limitano fortemente le possibilità di subappalto (v. art. 18 l. 19 marzo 1990, n. 55), subordinano a particolari
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paiono idonee a mettere in discussione la bontà della premessa da cui muovono.
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composizione delle riunioni temporanee di imprese (v. art. 13, co. 5-bis, l. 11 febbraio 1994, n. 109). Onde
evitare questo pericolo si potrebbe, però, ricorrere all’applicazione, per via analogica, di tali disposizioni
anche alle società in considerazione.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
(14) FRANCESCHELLI R., Consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi,
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(32) VOLPE PUTZOLU G., I consorzi per il coordinamento della produzione e degli
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
retto da F. Galgano, vol. IV, La concorrenza e i consorzi, Padova, 1981.
(33) VOLPE PUTZOLU G., Responsabilità del consorzio e responsabilità dei consorziati, in
Giur. comm., 1980, II, 183 ss.
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la cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee
INDICE
1. Il fenomeno della cooperazione tra imprese. ........................................................................1
2. I consorzi.........................................................................................................................2
2.1. Nozione e tipologia del fenomeno consortile................................................................. 2
2.2. La disciplina generale. ............................................................................................... 5
2.2.1. Forma e contenuto del contratto..................................................................................................... 5
2.2.2. I soggetti............................................................................................................................................. 6
2.2.3. La durata del consorzio.................................................................................................................... 7
2.2.4. Le modificazioni del contratto......................................................................................................... 8
2.2.4.1. Le modificazioni soggettive. ...........................................................................................8
2.2.4.2. Le altre modificazioni....................................................................................................12
2.2.5. L’organizzazione comune............................................................................................................... 13
2.2.6. Lo scioglimento del consorzio....................................................................................................... 14
2.3. Le particolarità concernenti i consorzi con attività esterna............................................. 14
3. Le società consortili. ....................................................................................................... 17
4. Il gruppo europeo di interesse economico (GEIE)............................................................... 22
5. Le joint ventures. ............................................................................................................ 28
6. Le associazioni temporanee di imprese. ........................................................................... 28
6.1. In generale.............................................................................................................. 28
6.2. Le riunioni temporanee di imprese ammissibili ai pubblici appalti................................. 30
7. Bibliografia. .................................................................................................................... 38
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