GALILEO GALILEI ( 1564 – 1642 ) Dall’ Universo TOLEMAICO all’Universo COPERNICANO Verso la metà del XVI sec. la ‘rivoluzione astronomica’ di Niccolò Copernico dà l’avvio alla rivoluzione scientifica, che si configura come una nuova esperienza della Verità, in cui la Ragione si affranca dalla dipendenza dalla Teologia per affermare il suo primato e la sua autonomia attraverso una inedita relazione con il mondo dell’esperienza sensibile. Al modello aristotelico-tolemaico basato sulla immobilità e centralità della Terra all’interno del cosmo, e sulla distinzione tra mondo Celeste e mondo Terrestre, Copernico contrappone un modello Eliocentrico, riprendendo una concezione del cosmo che era già stata sostenuta dai Pitagorici. Nel corso dei secoli si erano accumulate molte osservazioni sul moto degli astri che il modello tolemaico non era più in grado di spiegare, in particolare l’irregolarità dei moti apparenti dei Pianeti. Si era cercato di spiegare tali moti con la teoria degli Epicicli, rappresentando i Pianeti come ruotanti intorno a un centro che a sua volta si muove con un moto circolare intorno alla Terra, con il risultato di complicare sempre di più il sistema e di portare a contraddizione il modello geometrico del Cosmo con la realtà fisica dei Corpi celesti. C. ebbe il coraggio intellettuale di rovesciare il punto di vista della cosmologia tradizionale adottando una teoria, quella Eliocentrica, che permetteva di spiegare con semplicità i moti degli astri e di accordare lo spazio della rappresentazione geometrica con lo spazio della realtà fisica. Partendo dalla constatazione che il movimento nello spazio può appartenere indifferentemente o alla cosa osservata o all’osservatore o a entrambi, C. giustifica la razionalità della teoria Eliocentrica e attribuisce alla Terra il moto diurno della Rotazione su se stessa e il moto annuo di Rivoluzione intorno al Sole. Tale teoria venne subito criticata dai teologi protestanti, che la giudicarono in contrasto con il passo della Bibbia in cui Giosuè ordina al Sole di fermarsi perché gli Israeliti possano completare vittoriosamente, nella medesima giornata, la battaglia per la conquista della Palestina; cosicchè, quando C. si decide a pubblicare la sua cosmologia eliocentrica nel ‘De Rivolutionibus Orbium Coelestium’ (Sulla Rivoluzione delle Sfere Celesti), il teologo Osiander aggiunge una prefazione per presentare la teoria Eliocentrica come una pura Ipotesi Matematica, finalizzata a semplificare i calcoli astronomici e non ad una descrizione realistica e ‘vera’ dei moti celesti. Nonostante la scelta coraggiosa delle teoria Eliocentrica, Copernico resta comunque ancorato alla Fisica aristotelica, di cui conserva la visione di un Universo chiuso e finito, con i Pianeti collocati all’interno delle sfere concentriche e cristalline, e con la distinzione dei moti imperfetti sulla Terra dal moto circolare e perfetto dei Corpi celesti. In questo senso, egli usa la matematica ancora in modo simbolico e magico, come il linguaggio capace di svelare la struttura recondita del cosmo, così come avevano fatto i Pitagorici e Giordano Bruno, senza cogliere nella misurabilità quantitativa la chiave di un sapere matematico avente valore di Legge Universale, come invece farà Galileo. La critica di Galileo al Principio di Autorità e la distinzione tra Fede e Scienza Nel contesto della critica più generale che il Naturalismo del ‘500 rivolge ad Ari, si inserisce l’opposizione di Galileo al continuo ricorrere da parte degli aristotelici all’autorità del grande filosofo greco quando si trattava di avvalorare o negare una tesi, senza tenere in alcun conto l’osservazione empirica dei fenomeni. Essi pretendevano di utilizzare i testi di Ari per spiegare i fenomeni dell’esperienza sulla base delle Essenze, facendoli dipendere dalle Cause Formali e Finali di natura speculativa e metafisica, e trascurando la causalità meccanica riscontrabile empiricamente nella successione necessaria tra due fenomeni, tali che, ‘tolto il primo di essi, debba venir meno anche il secondo’; una necessità che assurge a valore di Legge quando può essere espressa in una relazione o formula di carattere matematico. All’autorità libresca e astratta di Ari, Galileo sostituisce un nuovo Principio di Autorità: quello costituito dall’Esperienza, unita e interpretata dalla Ragione. La stessa critica viene rivolta all’autorità della Teologia e delle Scritture con la metafora dei due Libri, il libro dei Testi Sacri e il libro della Natura. In quanto scritti entrambi da Dio, non possono contraddirsi perché la verità è una sola, ma la loro convivenza è possibile perché Fede religiosa e Scienza della Natura hanno finalità e ambiti d’indagine diversi tra loro. Il loro diverso linguaggio, l’uno utile alla condotta pratica delle persone comuni, e fermo quindi alla superficiale apparenza del moto del Sole, l’altro accessibile solo a coloro che conoscono i caratteri matematici, triangoli, quadrati e cerchi con cui è scritto, è la ragione della loro distinzione, cosicchè sarebbe un grave errore cercare nei testi sacri la risposta a quesiti sull’universo fisico, perché il loro scopo è invece di natura etica per la salvezza eterna. Le Scritture non vanno quindi intese alla lettera, ma in senso allegorico e spirituale, interpretando l’episodio di Giosuè come il segno del favore divino verso il popolo eletto di Israele e non invece come l’annuncio di una verità astronomica. Il Cannocchiale e il Metodo Sperimentale Galileo è certamente il primo ad utilizzare il cannocchiale, già nel 1609, in maniera scientifica, cioè per ricavare osservazioni e dati con cui comprovare la realtà della teoria eliocentrica di Copernico, nella speranza vana che fosse fatta propria dalla Chiesa. Nel Sidereus Nuncius (Ragguaglio Astronomico) G. annuncia le scoperte fatte con l’uso del cannocchiale: i satelliti di Giove, l’anello di Saturno, le macchie solari, le fasi di Venere e la rugosità della superficie lunare, che smentisce definitivamente ogni differenza di natura tra cielo e terra. Applicando la pratica dell’osservazione sistematica anche ai fenomeni della fisica terrestre, come la caduta dei gravi, egli pose in atto un metodo che è universalmente noto come il Metodo Sperimentale, vero fondamento della rivoluzione scientifica, e che può essere distinto in 4 fasi: - l’osservazione dei fenomeni, per ricavare dati quantitativi e misurazioni, anche potenziando i nostri sensi con appositi strumenti;- dall’insieme dei dati quantitativi raccolti, elaborare un’Ipotesi esplicativa che connetta i fenomeni in esame in un’unica relazione matematica;- partendo dall’Ipotesi formulata, ricavare per dimostrazione matematica altre proprietà e relazioni che saranno relative ai fenomeni in esame, se l’Ipotesi dovesse avere valore di Legge universale;- mettere a punto un Esperimento per verificare se le deduzioni matematiche si verificano anche nell’Esperienza, oppure, in caso negativo, rimettere in discussione l’Ipotesi di partenza, procedendo a nuove e più estese osservazioni quantitative. L’alternarsi di momenti Induttivi e momenti Deduttivi conferma il sapere scientifico come l’effetto di una combinazione tra Esperienza e Ragione, tra le Sensate Esperienze, cioè osservazioni empiriche effettuate sotto il controllo della Ragione, e le Necessarie Dimostrazioni, basate sul procedere rigoroso della matematica per elevare a Legge una determinata ipotesi attraverso la Verifica Sperimentale. Alla base del sapere scientifico c’è dunque la novità dell’Esperimento, in cui avviene la riproduzione artificiale di fenomeni naturali, nelle migliori condizioni di osservabilità, allo scopo di provare la verità o la falsità di un’ipotesi. Una nuova FISICA basata sulle LEGGI del MOTO In nessuna sua opera G. svolge una trattazione specifica del Metodo Sperimentale, ma lo pone in atto in tutte le sue ricerche, in particolare negli esperimenti sulla ‘Caduta dei Gravi’, arrivando a conclusioni che hanno rivoluzionato la Fisica. Se per Ari la velocità di caduta dei corpi è proporzionale al loro peso, G. misura e sperimenta che ‘una sfera di 1 libbra’ e un’altra ‘di 100 libbre’ arrivano a terra quasi contemporaneamente, con una piccola differenza dovuta all’attrito con l’aria, potendo concludere che non è il peso o la qualità materiale a determinare la velocità, bensì una forza che imprime un’accelerazione al moto dei corpi, cioè una variazione di velocità, che tutti i corpi subiscono nella caduta verso terra. Ugualmente decisiva è l’intuizione del Principio d’Inerzia; se si eliminasse l’attrito che una sfera incontra muovendosi su un piano orizzontale, essa tenderebbe a mantenere indefinitamente un moto uniforme, senza variazioni di velocità. Per Ari è inconcepibile un ‘mosso’ senza un ‘movente’, ma G. vede ormai chiaramente, come in un esperimento mentale, che un corpo non soggetto a forze esterne che ne modifichino lo stato, mantiene indefinitamente il proprio stato di quiete o di moto. E’ la fine della Fisica aristotelica, costruita sull’opposizione della Quiete al Moto, perché l’una e l’altro diventano perfettamente sovrapponibili e non più distinguibili, se non in relazione ad un sistema di riferimento esterno, come G. mostra, ricavando da queste premesse il Principio della Relatività del Moto, che diventa Legge dei Moti di tutti i Corpi celesti.