il pensiero di Kierkegaard si presenta come antitesi radicale al sistema hegeliano: i concetti fondamentali su cui è articolato il suo discorso sembrano il contrappunto negativo di quelli basilari della speculazione hegeliana l'uomo non è Spirito universale autocosciente, ma Singolo la vita dell’uomo non si colloca nella trama universale dell'Idea, e quindi non possiede garanzia metafisica di razionalità, né ha uno scopo storico, né una funzione sociale l’uomo è chiuso nella sua dimensione finita, gravato dal peso delle sue responsabilità, condannato all'indecisione, all'angoscia, alla disperazione il punto d'arrivo della sua spiritualità non è, come per Hegel, la filosofia, non è l'autocontemplazione filosofica, bensí la fede, che è rinuncia a sé -------------------------------------------------------------- per Hegel la libertà coincide con la necessità, nel senso che l'uomo è libero nella misura in cui la sua azione coincide col piano dello Spinto universale per Hegel l'astuzia della ragione elimina l'errore dalla storia come pure lo scacco dell'esistenza individuale per Hegel le opposizioni si mediano in una sintesi che le conserva integrandole e superandole per Kierkegaard la libertà è l'esperienza dolorosa di poter scegliere, ma senza avere i criteri di scelta per Kierkegaard ogni uomo sperimenta sulla propria pelle il naufragio continuo della sua esistenza per Kierkegaard gli opposti, gli autaut che si presentano alla scelta dell'uomo, restano tali, sono inconciliabili, inintegrabili, irriducibili fra loro, reciprocamente escludentisi “Se si deve costruire un sistema logico, bisogna badare soprattutto che non venga assunto nulla di ciò ch’è soggetto alla dialettica dell’esistenza, cioè di quanto è unicamente perché esiste o perché è esistito, e non per via dell’essere (logico). Da ciò segue che quell’incomparabile e incomparabilmente ammirata scoperta di Hegel d’introdurre il movimento nella logica equivale a introdurre la confusione nella logica. … Nella logica nessun movimento può divenire, perché la logica è, e tutto ciò ch’è logico è [...]: l’impotenza del logico è il passaggio dalla logica al divenire dove si presentano l’esistenza e la realtà. Quando la logica si sprofonda nella concretezza delle categorie, non dice niente di piú di quanto aveva detto fin da principio.” (Kierkegaard, Briciole di filosofia) “Ciò che confonde tutta la dottrina sull’essenza nella logica è il non badare che si opera sempre con il concetto di esistenza. Ma il concetto di esistenza è un’idealità, e la difficoltà sta appunto nel vedere se l’esistenza si risolva in concetti. Se fosse così, allora Spinoza potrebbe aver ragione nel suo essentia involvit exsistentiam, cioè il concetto di esistenza, vale a dire l’esistenza ideale. Ma d’altra parte anche Kant ha ragione quando afferma che dal concetto di esistenza non scaturisce nessuna nuova determinazione di contenuto. […] Soprattutto nell’ambito dell’ideale vale il principio che l’essenza è l’esistenza (se è permesso di usare qui il concetto di esistenza). La tesi leibniziana "se Dio è possibile, è necessario" è giustissima. Ad un concetto non si aggiunge nulla in più, sia ch’esso abbia o non abbia l’esistenza: nulla importa al concetto di questo; perché esso ha ben l’esistenza, cioè esistenza di concetto, esistenza ideale. Ma l’esistenza corrisponde alla realtà singolare, al singolo (ciò che già insegnò Aristotele): essa resta fuori, ed in ogni modo non coincide con il concetto. Per un singolo animale, una singola pianta, un singolo uomo l’esistenza (essere o non essere) è qualcosa di molto decisivo; un uomo singolo non ha certo un’esistenza concettuale. Il modo nel quale la filosofia moderna parla dell’esistenza mostra ch’essa non crede all’immortalità personale; la filosofia in generale non crede, essa comprende solo l’eternità dei "concetti". (Kierkegaard, Diario) “Ora mostrerò, per chiarire la differenza fra il cammino della riflessione oggettiva e quello della riflessione soggettiva, la ricerca della riflessione soggettiva nel suo cammino all’indietro e verso l’interiorità. Il culmine dell’interiorità in un soggetto esistente è la passione, alla passione corrisponde la verità come paradosso, e il fatto che la verità diventa paradosso è precisamente fondato nel suo rapporto al soggetto esistente. Cosí l’un termine corrisponde all’altro. Se ci si dimentica di essere un soggetto esistente, la passione se ne va, la verità non diventa per compenso qualcosa di paradossale, ma il soggetto conoscente, da uomo che era, diventa un’entità fantastica e la verità un oggetto fantastico per questo conoscere. Quando si pone il problema della verità in modo oggettivo, si riflette oggettivamente sulla verità come su un oggetto al quale il conoscente si rapporta. Non si riflette sul rapporto, ma sul fatto che è la verità, il vero, ciò a cui ci si rapporta. Quando ciò a cui ci si rapporta è soltanto la verità, il vero, allora il soggetto è nella verità. Quando si pone il problema della verità in modo, soggettivo, si riflette soggettivamente sul rapporto dell’individuo; se soltanto il “come” del rapporto è nella verità, allora l’individuo è nella verità, anche se a questo modo egli si rapporta alla non-verità. [...] Prendiamo come esempio la conoscenza di Dio. Oggettivamente si riflette sul fatto che c’è il vero Dio; soggettivamente, sul fatto che l’individuo si rapporta a un qualche cosa in modo che il suo rapporto è in verità un rapporto a Dio. Ora, da quale parte si trova la verità? Ahimé, guai a noi se qui facciamo ricorso alla mediazione e diciamo: la verità non sta da nessuna delle due parti, essa è nella mediazione. Risposta eccellente, a patto che qualcuno potesse dire come fa un esistente ad essere nella mediazione, perché essere nella mediazione significa essere compiuto, mentre esistere è divenire. Un esistente non può trovarsi in due posti ad un tempo, essere soggetto-oggetto. Quando egli è ad un pelo per essere ad un tempo in due posti, egli è sotto la passione, ma la passione non si produce che momentaneamente, e la passione è precisamente il vertice della soggettività. L’esistente che sceglie il cammino della soggettività concepisce nello stesso momento tutta questa difficoltà dialettica di dover impiegare qualche tempo, forse un lungo tempo, per trovare Dio oggettivamente; egli comprende questa difficoltà dialettica in tutto il suo dolore, perché egli deve nello stesso momento usare Dio, perché ogni momento in cui egli non ha Dio è sprecato. [...] Mentre il pensatore oggettivo è indifferente rispetto al soggetto pensante e alla sua esistenza, il pensatore soggettivo, come esistente essenzialmente interessato al suo proprio pensiero, è esistente in esso. Perciò il suo pensiero ha un’altra specie di riflessione, cioè quella dell’interiorità, della possessione, con cui esso appartiene al soggetto e a nessun altro. Mentre il pensiero oggettivo pone tutto in risultato, e stimola l’intera umanità a barare copiando e proclamando risultati e fatti, il pensiero soggettivo pone tutto in divenire e omette il risultato, in parte perché proprio questo è il compito del pensatore, poiché possiede la via, in parte perché come esistente egli è sempre in divenire, ciò che del resto è ogni uomo che non si è lasciato ingannare a diventare oggettivo, a diventare la speculazione in modo disumano.” (Kierkegaard, Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di filosofia)