KIERKEGAARD
(antihegelismo)
prof. Michele de Pasquale
il pensiero di Kierkegaard si presenta come antitesi
radicale al sistema hegeliano:
i concetti fondamentali su cui è articolato il suo discorso sembrano il
contrappunto negativo di quelli basilari della speculazione hegeliana
l'uomo non è
Spirito
universale
autocosciente,
ma Singolo
la vita dell’uomo non
si colloca nella trama
universale dell'Idea,
e quindi non
possiede garanzia
metafisica di
razionalità, né ha uno
scopo storico, né una
funzione sociale
l’uomo è chiuso
nella sua
dimensione finita,
gravato dal peso
delle sue
responsabilità,
condannato
all'indecisione,
all'angoscia, alla
disperazione
il punto d'arrivo della
sua spiritualità non è,
come per Hegel, la
filosofia, non è
l'autocontemplazione
filosofica, bensí la
fede, che è rinuncia a
sé
per Hegel la libertà coincide
con la necessità, nel senso
che l'uomo è libero nella
misura in cui la sua azione
coincide col piano dello
Spinto universale
per Hegel l'astuzia della
ragione elimina l'errore dalla
storia come pure lo scacco
dell'esistenza individuale
per Hegel le opposizioni si
mediano in una sintesi che le
conserva integrandole e
superandole
per Kierkegaard la libertà è
l'esperienza dolorosa di poter
scegliere, ma senza avere i criteri
di scelta
per Kierkegaard ogni uomo
sperimenta sulla propria pelle il
naufragio continuo della sua
esistenza
per Kierkegaard gli opposti, gli autaut che si presentano alla scelta
dell'uomo, restano tali, sono
inconciliabili, inintegrabili,
irriducibili fra loro, reciprocamente
escludentisi
per Kierkegaard un sistema logico è possibile, ma non è
possibile un sistema dell’esistenza (nella sfera del
pensiero puro non può esservi movimento, mentre l’esistenza è
continuo divenire):
la pretesa hegeliana di dedurre il divenire dalla dialettica di
essere e nulla è infondata (essere e nulla sono quiete)
“Se si deve costruire un sistema logico, bisogna badare soprattutto che non venga
assunto nulla di ciò ch’è soggetto alla dialettica dell’esistenza, cioè di quanto è
unicamente perché esiste o perché è esistito, e non per via dell’essere (logico). Da
ciò segue che quell’incomparabile e incomparabilmente ammirata scoperta di
Hegel d’introdurre il movimento nella logica equivale a introdurre la confusione
nella logica. … Nella logica nessun movimento può divenire, perché la logica è, e
tutto ciò ch’è logico è [...]: l’impotenza del logico è il passaggio dalla logica al
divenire dove si presentano l’esistenza e la realtà. Quando la logica si sprofonda
nella concretezza delle categorie, non dice niente di piú di quanto aveva detto fin
da principio.” (Kierkegaard, Briciole di filosofia)
l’essere non può venire dedotto dal pensiero:
il pensiero astratto fraintende l’esistenza, l’esistente non si
lascia pensare
l’esistenza è sempre la realtà singola, l’astratto
non esiste
quando l’esistenza viene ricondotta
nell’universalità del pensiero astratto, si
volatilizza:
l’esistenza che è contraddizione, movimento, discontinuità,
possibilità non può essere compresa nelle categorie
della mediazione e dello sviluppo necessario dell’Idea
“Ciò che confonde tutta la dottrina sull’essenza nella logica è il non badare che si
opera sempre con il concetto di esistenza. Ma il concetto di esistenza è un’idealità,
e la difficoltà sta appunto nel vedere se l’esistenza si risolva in concetti. Se fosse
così, allora Spinoza potrebbe aver ragione nel suo essentia involvit exsistentiam,
cioè il concetto di esistenza, vale a dire l’esistenza ideale. Ma d’altra parte anche
Kant ha ragione quando afferma che dal concetto di esistenza non scaturisce
nessuna nuova determinazione di contenuto. […] Soprattutto nell’ambito dell’ideale
vale il principio che l’essenza è l’esistenza (se è permesso di usare qui il concetto di
esistenza). La tesi leibniziana "se Dio è possibile, è necessario" è giustissima. Ad un
concetto non si aggiunge nulla in più, sia ch’esso abbia o non abbia l’esistenza:
nulla importa al concetto di questo; perché esso ha ben l’esistenza, cioè esistenza di
concetto, esistenza ideale. Ma l’esistenza corrisponde alla realtà singolare, al
singolo (ciò che già insegnò Aristotele): essa resta fuori, ed in ogni modo non
coincide con il concetto. Per un singolo animale, una singola pianta, un singolo
uomo l’esistenza (essere o non essere) è qualcosa di molto decisivo; un uomo
singolo non ha certo un’esistenza concettuale. Il modo nel quale la filosofia moderna
parla dell’esistenza mostra ch’essa non crede all’immortalità personale; la filosofia in
generale non crede, essa comprende solo l’eternità dei "concetti".
(Kierkegaard, Diario)
il sistema è identità di soggetto e oggetto, di pensiero ed
essere; l’esistenza è la separazione:
la verità, allora, non è qualcosa di oggettivo che debba essere
raggiunto, non è identità astratta di pensiero ed essere, la
verità è soggettività, è appropriazione di un’interiorità
autentica
il Singolo è fuori della verità:
l’appropriazione richiede una rottura, un salto, una discontinuità rispetto
all’immanenza che è non-verità
tra finito ed infinito vi è una differenza assoluta:
si possono mediare le differenze relative non quelle assolute
la dialettica hegeliana (quantitativa) che tenta di assorbire la coscienza
finita nel movimento dell’infinito, è inadatta ad esprimere la via del
Singolo verso l’Assoluto:
poichè l’Assoluto è totalmente altro occorre una dialettica qualitativa in cui
ogni posizione esistenziale è rottura rispetto alle altre
“Ora mostrerò, per chiarire la differenza fra il cammino della riflessione oggettiva e quello
della riflessione soggettiva, la ricerca della riflessione soggettiva nel suo cammino
all’indietro e verso l’interiorità. Il culmine dell’interiorità in un soggetto esistente è la
passione, alla passione corrisponde la verità come paradosso, e il fatto che la verità diventa
paradosso è precisamente fondato nel suo rapporto al soggetto esistente. Cosí l’un termine
corrisponde all’altro. Se ci si dimentica di essere un soggetto esistente, la passione se ne
va, la verità non diventa per compenso qualcosa di paradossale, ma il soggetto conoscente,
da uomo che era, diventa un’entità fantastica e la verità un oggetto fantastico per questo
conoscere.
Quando si pone il problema della verità in modo oggettivo, si riflette oggettivamente sulla
verità come su un oggetto al quale il conoscente si rapporta. Non si riflette sul rapporto, ma
sul fatto che è la verità, il vero, ciò a cui ci si rapporta. Quando ciò a cui ci si rapporta è
soltanto la verità, il vero, allora il soggetto è nella verità. Quando si pone il problema della
verità in modo, soggettivo, si riflette soggettivamente sul rapporto dell’individuo; se soltanto
il “come” del rapporto è nella verità, allora l’individuo è nella verità, anche se a questo modo
egli si rapporta alla non-verità. [...] Prendiamo come esempio la conoscenza di Dio.
Oggettivamente si riflette sul fatto che c’è il vero Dio; soggettivamente, sul fatto che
l’individuo si rapporta a un qualche cosa in modo che il suo rapporto è in verità un rapporto
a Dio. Ora, da quale parte si trova la verità? Ahimé, guai a noi se qui facciamo ricorso alla
mediazione e diciamo: la verità non sta da nessuna delle due parti, essa è nella
mediazione.
Risposta eccellente, a patto che qualcuno potesse dire come fa un esistente ad essere nella
mediazione, perché essere nella mediazione significa essere compiuto, mentre esistere è
divenire. Un esistente non può trovarsi in due posti ad un tempo, essere soggetto-oggetto.
Quando egli è ad un pelo per essere ad un tempo in due posti, egli è sotto la passione, ma la
passione non si produce che momentaneamente, e la passione è precisamente il vertice
della soggettività. L’esistente che sceglie il cammino della soggettività concepisce nello
stesso momento tutta questa difficoltà dialettica di dover impiegare qualche tempo, forse un
lungo tempo, per trovare Dio oggettivamente; egli comprende questa difficoltà dialettica in
tutto il suo dolore, perché egli deve nello stesso momento usare Dio, perché ogni momento
in cui egli non ha Dio è sprecato. [...]
Mentre il pensatore oggettivo è indifferente rispetto al soggetto pensante e alla sua
esistenza, il pensatore soggettivo, come esistente essenzialmente interessato al suo proprio
pensiero, è esistente in esso. Perciò il suo pensiero ha un’altra specie di riflessione, cioè
quella dell’interiorità, della possessione, con cui esso appartiene al soggetto e a nessun altro.
Mentre il pensiero oggettivo pone tutto in risultato, e stimola l’intera umanità a barare
copiando e proclamando risultati e fatti, il pensiero soggettivo pone tutto in divenire e omette
il risultato, in parte perché proprio questo è il compito del pensatore, poiché possiede la via,
in parte perché come esistente egli è sempre in divenire, ciò che del resto è ogni uomo che
non si è lasciato ingannare a diventare oggettivo, a diventare la speculazione in modo
disumano.”
(Kierkegaard, Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di filosofia)
le categorie fondamentali di questa nuova dialettica sono
la decisione (nella quale il Singolo compie il salto, la
scelta in favore dell’infinito che è in lui) e la ripresa (in
cui il Singolo realizza la sua vera essenza riprendendo
il suo passato in vista dell'avvenire)
nella dialettica qualitativa uno stadio non inghiotte il
precedente:
il passaggio dall’uno all’altro non è necessità di sviluppo
della ragione, ma possibilità della decisione
ogni sintesi raggiunta è sempre provvisoria perchè
mantiene sempre in sè i termini della contraddizione