Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina I PERIODICO UFFICIALE DELL’A.N.T.I. – ASSOCIAZIONE NAZIONALE TRIBUTARISTI ITALIANI Direttore Responsabile Dott. MARIO NOLA Comitato di Redazione Avv. CLAUDIO BERLIRI Prof. Avv. IVO CARACCIOLI Prof. ANDREA CARINCI Prof. Avv. VALERIO FICARI Dott. PAOLO GAETA Dott. ROBERTO LUNELLI Prof. STELIO MANGIAMELI Prof. Avv. GIANNI MARONGIU Prof. Avv. FRANCESCO MOSCHETTI Avv. ALESSANDRO PALASCIANO Prof. Avv. FRANCO PAPARELLA Prof. Avv. GAETANO RAGUCCI Prof. Avv. SALVATORE SAMMARTINO Prof. Avv. FRANCESCO TESAURO Prof. Avv. MARCO VERSIGLIONI Redazione Piazza del Liberty, 8 - 20121 Milano e-mail: [email protected] sito internet: www.associazionetributaristi.it Anno VIII • n. 2/2015 Periodico Quadrimestrale Registrato presso il Tribunale di Milano il 24/4/2008 con il n. 266 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, Comma 2 - DCB Roma Service Provider: Register.it - Viale Giovine Italia, 17 - Firenze sito internet: www.associazionetributaristi.it Autorizz. Ministero delle Telecomunicazioni n. 243 del 28/01/1997 Impaginazione e Stampa Mengarelli Grafica Multiservices Via Cicerone, 28 - 00193 Roma ETICA FISCALE E FISCO ETICO DOTTRINA • LEGISLAZIONE • CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina II ANTI - CONSIGLIO NAZIONALE PRESIDENTE EMERITO Prof. Dott. Mario Boidi, Torino PRESIDENTE Prof. Avv. Gianni MARONGIU, Genova VICE PRESIDENTI Dott. Roberto LUNELLI (con funzioni di Presidente Vicario), Udine Dott. Riccardo ALBO, Ancona Avv. Pasquale IMPROTA, Napoli SEGRETARIO GENERALE E TESORIERE NAZIONALE Dott. Pietro MASTRAPASQUA, Roma CONSIGLIERI NAZIONALI Avv. Andrea BODRITO Dott. Giovanni COSSU Prof. Dott. Enrico FAZZINI Avv. Edoardo FERRAGINA Prof. Avv. Gianfranco GAFFURI Dott. Carlo DEIDDA GAGLIARDO Avv. Salvatore IANNELLO Dott. Michele IORI Dott. Roberto LUNELLI Avv. Mario MARTELLI Prof. Avv. Francesco MOSCHETTI Prof. Avv. Salvatore MUSCARÀ Dott. Marco PREVERIN Prof. Avv. Gaetano RAGUCCI Dott. Ernesto RAMOJNO Prof. Dott. Francesco ROSSI RAGAZZI Prof. Avv. Marco VERSIGLIONI Dott. Massimiliano TASINI Presidente Sezione Liguria Presidente Sezione Campania Presidente Sezione Toscana Presidente Sezione Calabria Presidente Sezione Lombardia Presidente Sezione Sardegna Presidente Sezione Sicilia Occidentale Presidente Sezione Trentino Alto Adige Presidente Sezione Friuli Venezia Giulia Presidente Sezione Emilia Romagna Presidente Sezione Veneto Presidente Sezione Sicilia Orientale Presidente Sezione Puglia Presidente Sezione Provinciale Como Presidente Sezione Piemonte-Valle D’Aosta Presidente Sezione Lazio Presidente Sezione Umbria Presidente Sezione Marche-Abruzzo FONDATA NEL 1949 Sede Legale: Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma Segreteria Nazionale: Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma • Tel. 06.3215084 • Fax 06.32507485 Sito Internet: www.associazionetributaristi.it • E-mail: [email protected] Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 1 Sommario ETICA FISCALE E FISCO ETICO “Perché questa scelta e perché questo tema” di Claudio Berliri 3 DOTTRINA • Etica fiscale e fisco etico 4 di Franco Gallo • La concezione etica del tributo 8 di Gianni Marongiu • Etica del tributo ed etica del potere fiscale nell’art. 53 Cost. 20 di Francesco Moschetti • L’etica dell’Amministrazione finanziaria fra responsabilità ed autotutela 30 di Massimo Basilavecchia • Etica e interpretazione del e nel diritto tributario 33 di Marco Versiglioni • L’etica del legislatore e la certezza del diritto 40 di Gaetano Ragucci • La giustificazione etica e costituzionale dei tributi paracommutativi 47 di Lorenzo del Federico • L’etica della spesa pubblica 55 di Gilberto Muraro • Etica e sanzioni tributarie amministrative 64 di Andrea Carinci • L’etica delle sanzioni penali di Ivo Caraccioli 67 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 2 LEGISLAZIONE • Costituzione della Repubblica Italiana Artt. 2, 3, 24, 42, 53, 54, 77, 81, 97 testo aggiornato dalla Legge Costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 69 • Statuto dei diritti del contribuente Legge 27.7.2000 testo aggiornato al 25 agosto 2015 71 CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI 82 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 3 PERCHÉ QUESTA SCELTA E PERCHÉ QUESTO TEMA “E Etica Fiscale e Fisco Etico” è il titolo del convegno organizzato dall’ANTI nell’ottobre scorso ad Ancona, al quale hanno partecipato in qualità di relatori, i più qualificati docenti dell’ANTI ed in particolare il Presidente Emerito della Corte Costituzionale prof. Franco Gallo che ha tenuto la relazione introduttiva. Il tema potrebbe apparire più teorico che pratico e quindi relativo più alla filosofia del diritto che non alla sua applicazione. Ma in realtà ciò che si è voluto analizzare è proprio il comportamento etico non soltanto dei contribuenti nell’applicare le norme di diritto tributario che li riguardano e nel versare le imposte da essi dovute, ma altresì dell’Amministrazione finanziaria nell’interpretare ed applicare le leggi. Ma i principi etici riguardano anche il legislatore che emana le leggi che debbono essere conformi agli obbiettivi ed ai fini fiscali nonché, e soprattutto, ai principi costituzionali ed altresì i giudici tributari che troppo spesso nell’interpretare le leggi divengono essi stessi legislatori. Tutti questi aspetti sono stati esaminati dai vari relatori nel convegno di Ancona, come risulta dalle relazioni che formano il presente numero di . Richiamiamo quindi l’attenzione sulla relazione introduttiva del prof. Franco Gallo e sulla relazione del nostro Presidente Nazionale prof. Gianni Marongiu relativa alla “Concezione etica del tributo”. Ricordiamo quindi gli articoli su “L’etica e l’interpretazione nel diritto tributario” elaborato dal prof. Marco Versiglioni, “L’etica dell’Amministrazione finanziaria con particolare riferimento all’autotutela” del prof. Massimo Basilavecchia, “L’etica del tributo e l’etica del potere fiscale” esaminati dal prof. Francesco Moschetti e “L’etica del legislatore e la certezza del diritto” analizzati dal prof. Gaetano Ragucci. Non meno interessanti sono le relazioni del prof. Ivo Caraccioli e del prof. Andrea Carinci sull’etica delle sanzioni amministrative e penali, nonché quella del prof. Lorenzo del Federico sulla giustificazione etica e costituzionale dei tributi paracomputativi. Nel settore riservato alla legislazione non abbiamo riportato norme fiscali specifiche ma abbiamo ritenuto opportuno trascrivere il testo vigente di quelle norme della Costituzione Italiana che riguardano il sistema fiscale, nonché il testo integrale del vigente “Statuto del contribuente” richiamati in molti interventi, e che costituiscono il presupposto etico della normativa e del comportamento fiscale. Abbiamo invece omesso il settore dedicato alla giurisprudenza. Il settore relativo all’attività dell’ANTI, riporta tutti i convegni tenuti nel 2015 successivamente a quelli già indicati nel precedente numero di nonché l’indicazione dei convegni già programmati per il 2016. Claudio Berliri Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 4 4 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO Etica fiscale e fisco etico di Franco Gallo 1. Il titolo, giustamente un po’ anodino, di questo nostro convegno ci consente di affrontare il tema dell’etica fiscale da due diversi punti di vista: quello del soggetto che concorre alle pubbliche spese, consapevole di osservare un dovere etico più che di adempiere solo ad uno specifico obbligo tributario, e quello dell’ente pubblico, deputato a realizzare politiche fiscali improntate ai principi di uguaglianza e solidarietà. Le relazioni che seguiranno questa mattina sono dedicate ad approfondire ambedue questi aspetti. Da parte mia vorrei sviluppare soprattutto il tema, che mi è più congeniale, dell’etica fiscale in un contesto di giustizia distributiva, avendo riguardo, quindi, alla funzione del tributo nella società contemporanea. E al riguardo vorrei fare una breve premessa sul ruolo che in questo momento storico dovrebbe essere assegnato al potere pubblico al fine di ridurre le sempre più forti disuguaglianze indotte dalla grave crisi economico-finanziaria che stiamo vivendo. Dovrebbe essere fuori discussione che tale crisi ha spiazzato i fautori dello stato minimo ed ha imposto, nei fatti, la necessità di uno Stato redistributore ed erogatore di servizi sociali ispirato nella sua azione ai grandi valori etici e di moralità collettiva. Ciò non tanto perché si è fatta una scelta consapevole tra interventismo e liberismo, tra stato e mercato, ma perché probabilmente ci si è resi conto che nell’attuale contingenza le politiche interventiste keynesiane danno più immediati risultati e, perciò, sono preferibili agli entusiastici piani di deregolamentazione e privatizzazione sottoscritti nel 2009 anche dai governi europei nella c.d. Agenda di Lisbona. In effetti, il continuo aumento delle distanze sociali per livello di reddito, di consumo e di patrimonializzazione potrebbe generare – e in parte ha generato – l’opposto dello stato di diritto e dello stato sociale, e cioè gerarchia e autoritarismo e, soprattutto, sospetti: il sospetto che altri più rapaci e più spietati sfruttino – come è avvenuto spesso in Italia – con maggiore efficacia le zone d’ombra delle regole per trarne vantaggi personali; il sospetto che i più ricchi finiscano per ottenere vantaggi più grandi senza contribuire alla crescita. Siamo tutti cresciuti sotto l’insegnamento dei principi fondamentali del cristianesimo, che sono la solidarietà, la sussidiarietà e la garanzia del bene comune. Non possiamo, perciò, non sentire istintivamente, in questi momenti di crisi, l’importanza dell’intervento dello Stato diretto ad arrestare la spirale delle disuguaglianze e l’involuzione dello stato sociale. Non è necessario aver letto Socrate o essere cristiani professanti per convincerci della necessità non solo di accordarci sul significato di “giusto” e di “bene” e di “equità distributiva”, ma anche di rimettere ad uno Stato mediatore e distributore l’individuazione e il ragionevole dosaggio degli strumenti da utilizzare perché una società sia, appunto, più “giusta”, più “buona” e più “equa” nella libertà. Questo passaggio è cruciale: se ci sono disuguaglianze endemiche, la riduzione di esse deve essere al primo posto tra gli obiettivi etici di politica economico-sociale che lo Stato deve perseguire nel rispetto dei diritti fondamentali dei suoi cittadini. La disuguaglianza è la vera patologia dell’epoca, è una grave minaccia al buon funzionamento di ogni democrazia, è la perdita del senso di fratellanza e della coesione sociale. Come dice Tony Judt1, la fratellanza, per quanto fatua quale obiettivo politico, è la condizione necessaria della politica. 2. È in questo contesto che il tributo si rivela, al pari e più della spesa, un indispensabile strumento di attuazione del principio di uguaglianza. Esso è indubbiamente il più duttile dei mezzi che lo Stato ha a disposizione per superare le disuguaglianze derivanti dalle maggiori o minori disponibilità dei beni della vita e per realizzare i valori solidaristici. Ordinate politiche distributive che premino i più svantaggiati e gravino gli avvantaggiati limitano certamente le risorse di alcuni a beneficio di altri. Se, però, esse hanno come effetto di medio e lungo periodo di proteggere i più vulnerabili, migliorare la salute del Paese, ridurre le tensioni sociali originate dall’invidia, incrementare e livellare l’accesso di tutti a servizi fino a quel momento riservati a pochi, non può negarsi che lo Stato che ha raggiunto questi obiettivi è sicuramente più benestante e garantisce, in ogni caso, più equità, più sicurezza sociale e, quindi, più uguaglianza e maggior rispetto di sé ai propri cittadini. 1 T. JUDT, Guasto è il mondo, Bari, 2010, pp. 113-133 e 136-156 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 5 ETICA FISCALE E FISCO ETICO Il tributo, insomma, non è un premium libertatis o solo l’altra faccia negativa del costo dei diritti. In un mondo disuguale quale il nostro, è soprattutto lo strumento non repressivo che uno Stato non meramente amministrativo ha a disposizione per correggere le distorsioni e le imperfezioni del mercato a favore delle libertà individuali e collettive e a tutela, appunto, dei diritti sociali. Come ci dirà meglio Gianni Marongiu, queste idee hanno trovato terreno fertile nella migliore cultura politica e sociale del nostro Paese. Basta ricordare al riguardo che già negli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso Ezio Vanoni (e, insieme a lui, anche altri pensatori, seppur su altri fronti politico-sociali) sottolineava l’inadeguatezza del «mercato concorrenziale» tanto ad affrontare i problemi dell’accumulazione e dello sviluppo equilibrato, quanto a produrre una redistribuzione della ricchezza eticamente accettabile. E da questo doppio grado di inadeguatezza faceva derivare quella che, a suo avviso, doveva considerarsi, nell’Italia uscita dalla seconda guerra mondiale, una delle indicazioni fondamentali, d’ordine anche morale, in tema di politica economica e fiscale: un ordinamento tributario che corregge gli esiti del mercato pur nel rispetto della concorrenza e delle libertà economiche, che attribuisce al tributo una funzione di giustizia sociale e che disciplina il dovere di concorrere alle spese pubbliche come dovere di solidarietà2. Uno dei postulati dottrinali del suo pensiero è che il tributo non è un compenso dovuto dall’individuo allo Stato per la quantità dei servizi pubblici goduti, perché per la natura dei servizi pubblici non è possibile stabilire la quantità di essi goduti dal singolo. Questa teoria dello scambio o del beneficio, che è ancora alla base di goffi tentativi di teorizzazione, è lucidamente confutata da Vanoni quando afferma che si tratta non di vedere quanta parte dei servizi pubblici è consumata da ogni individuo per prelevarne il prezzo corrispondente, ma di determinare «quanta parte dello sforzo comune deve essere sopportato da ogni singolo, secondo i concetti politici, etici, giuridici, economici dominanti in un determinato Stato, in un determinato momento». Le considerazioni di Vanoni sono perfettamente collimanti con quanto sostenuto dal Cardinale Carlo Maria Martini. Questi arriva a definire sul piano etico la contriE. VANONI, La finanza e la giustizia sociale, in Scritti di finanza pubblica e di politica economica, a cura di A. Tramontana, Padova, 1976, 103-121, dove si legge che «La finanza può intervenire in una politica tendente al fine di attuare una maggiore giustizia sociale, indirizzando la propria azione redistributiva nel senso di ridurre le disuguaglianze nella ripartizione della ricchezza, di dare stabilità al risparmio, di favorire il determinarsi delle migliori condizioni per l’occupazione e per l’incremento dei salari». 2 DOTTRINA buzione fiscale come «un gesto fondamentale per la creazione delle condizioni di un benessere condiviso». Nella relazione della commissione Giustizia e Pace da lui istituita nella diocesi di Milano il tributo è, infatti, considerato un «concorso attivo al processo di formazione e redistribuzione delle risorse, grazie alle quali promuovere i beni e i servizi della convivenza civile. In quanto parte della società – e, conseguentemente, in nome della propria responsabilità per il bene comune –, ogni soggetto contribuente è, quindi, chiamato a dare l’apporto da lui dovuto insieme con gli altri contribuenti, facendosi carico delle ragioni dei bisogni dell’intera collettività e dei mezzi con cui soddisfarli». E questo – si badi bene – ribadisce Martini «non soltanto in omaggio alla continua ripetizione di imperativi morali pur validi in sé, ma anche sulla base sperimentabile di una convivenza legata all’ottenimento di vantaggi maggiori e più duraturi di quelli che potrebbero derivare da comportamenti chiusi nel breve raggio dell’interesse individualistico3». Anche il più recente pensiero laico converge sul punto con quello cattolico. Filosofi, economisti e giuristi – non tutti necessariamente di matrice egualitarista – come John Rawls, Paul Krugman e Ronald Dworkin concordano, seppur per vie diverse, sulla centralità della giustizia distributiva, giungendo alla conclusione che il tributo limita la libertà, i diritti proprietari e le stesse potenzialità economiche dell’individuo, e in ciò sta indubbiamente un sacrificio individuale; per aumentare però la libertà stessa e il godimento dei diritti, e in ciò sta la funzione promotrice del tributo medesimo nell’ottica dell’equo riparto e dell’etica della responsabilità4. Nel pensiero di questi autori è sull’uguaglianza – a seconda delle opinioni, uguaglianza di risorse e di opportunità ovvero di capability – che si fondano, in ultima analisi, la legittimità etica dello Stato sociale e la sua funzione mediatrice e distributiva. Se, infatti, per uguaglianza si intende l’eguale interesse che lo Stato deve avere per ogni cittadino da cui pretende il rispetto delle leggi, va da sé che la sua legittimità non dipende altro che dalla eguale cura che, attraverso le leggi medesime, esso mostra per la sorte e le libertà di ciascuno dei suoi cittadini e, di conseguenza, dal suo trattarli come eguali e con uguale rispetto. 3 Commissione diocesana Giustizia e Pace, Sulla giustizia fiscale, Milano, 2000, 18, 19. 4 J. RAWLS, A theory of justice, Cambridge, MA, 1999, 19-26, trad. it., Una teoria della giustizia, Milano, 1998; P. KRUGMAN, Meno tasse per tutti, trad. it. Milano, 2001, 7 ss.; A. SEN, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, trad. it. Milano, 2000; ID., La libertà individuale come impegno sociale, trad. it., Roma, Bari 1997, 25, 26; R. DWORKIN, Virtù sovrana, teoria dell’eguaglianza, trad. it., Milano, 2002. 5 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 6 6 DOTTRINA E per fare ciò e fare acquisire e mantenere ai cittadini medesimi i necessari autorispetto e dignità e un’eguale dose di libertà e di chances, esso Stato è autorizzato a porre, sul fronte sia del reperimento delle risorse che della destinazione delle spese, una serie di ‘costrizioni’ legali alla distribuzione della ricchezza nazionale e alla fruizione in regime concorrenziale dei diritti patrimoniali, costrizioni che trovano un limite solo in altri diritti e principi fondamentali inviolabili, primi fra tutti i principi – corollari di quelli di uguaglianza e solidarietà – di razionalità, coerenza, congruità e capacità contributiva. 3. È sulla base di tali principi che va, perciò, ricercata una definizione etica del tributo nell’era contemporanea. E una prima, importante considerazione viene spontaneo fare al riguardo: sono il passaggio dallo Stato liberal-liberista sette-ottocentesco allo Stato di diritto e sociale novecentesco e la parallela evoluzione della nozione di tributo in senso solidaristico e distributivo che non consentono più di valutare, sul piano morale, il tributo come mera autolimitazione dell’individuo-persona e con riguardo esclusivo al suo impatto sulla proprietà privata. Nell’era contemporanea il prelievo fiscale dovrebbe costituire parte inestricabile di un moderno sistema complessivo di diritti di proprietà privata e di regole di mercato, che le stesse norme tributarie concorrono a creare, limitare o, a seconda dei casi, ad espandere e tutelare nel rispetto dei richiamati principi fondamentali di uguaglianza, solidarietà e dignità della persona. Sul piano etico, giustizia o ingiustizia nella tassazione dovrebbe, perciò, significare giustizia o ingiustizia in quel sistema “convenzionale” di diritti proprietari ed economici, quale risulta dal regime legale di tassazione. Il che equivale a dire, più semplicemente, che i diritti proprietari dovrebbero essere riconosciuti, tutelati e garantiti nel loro nucleo essenziale come imprescindibili e naturali strumenti dell’autonomia privata, ma nel contempo dovrebbero essere anche bilanciati, conformati e intrecciati con regole e leggi disegnate dallo Stato per assicurare altri diritti, altri valori e altre forme di ricchezza immateriali, come il benessere e la giustizia sociale, la sicurezza delle aspettative e la promozione dello sviluppo. Se così non fosse, la società correrebbe il rischio di regredire ad un modello preborghese, proprio della fase precedente alla rivoluzione francese. Sarebbe, cioè, una società senza coesione sociale, senza considerazione dei rapporti interpersonali e con scarsa formazione di capitale umano. Cosa sarebbe questa società nei paesi a capitalismo responsabile se si ragionasse esclusivamente in un’ottica naturalistica e di autoreferenzialità del mercato e in termini solo di stato minimo, di prevalenza (e non ETICA FISCALE E FISCO ETICO di bilanciamento) dei diritti proprietari rispetto a quelli sociali? E, soprattutto, quale situazione sociale avremmo oggi e di quale libertà godremmo se, attraverso l’intervento pubblico regolatore, non si fosse promossa l’equità di quello che gli economisti chiamano lo “scambio fiscale” e non si fossero garantiti, insieme ai diritti proprietari, anche i c.d. diritti “presi sul serio”, e cioè i diritti di libertà dai bisogni essenziali, su cui tanto hanno scritto Holmes, Sunstein e Berlin? 4. Se le astratte considerazioni finora svolte si calano nella realtà giuridica italiana del secondo dopoguerra, ci si rende facilmente conto che la stretta integrazione tra il regime legale delle imposte, da una parte, e quello della proprietà e di un welfare ragionevole, dall’altra, per definire gli ambiti di uno Stato distributore e redistributore non sono concetti astratti, né emblemi di visioni veterostataliste. Sono, invece, valori ben presenti nella nostra cultura e nel nostro ordinamento, che hanno rappresentato lo sfondo etico e il solido background della Costituzione italiana. E ne costituiscono oggi la componente, economica e sociale, sostanziale. Su questo tema si soffermeranno le due relazioni generali di questa mattina. Mi limito qui a sottolineare che la “crisi fiscale dello Stato sociale” che stiamo vivendo sotto il profilo sia dell’eccesso della spesa che della carenza delle entrate5, non mette necessariamente in crisi l’impianto costituzionale che il nostro Paese si è dato, attraverso la forma della costituzione rigida, quanto alla tutela e al finanziamento dei diritti civili e sociali. Gli eccessi e le carenze del legislatore sono, infatti, solo frutto delle scelte politiche, più o meno azzardate, legate alla contingenza economico-finanziaria e non la conseguenza patologica e permanente della correlazione necessaria che le singole costituzioni istituiscono tra spesa sociale e suo finanziamento a mezzo tributi. Spetta, in altri termini, solo alla ‘buona’ politica intesa nel senso etimologico più nobile di politeia, di comporre il conflitto tra i diritti individuali di protezione dello status quo (come sono i diritti proprietari) e i diritti sociali che rivendicano una oculata redistribuzione delle risorse. È sulle modalità di composizione di questo conflitto nel rispetto del principio di uguaglianza che, del resto, verte l’attuale dibattito sulla manovra di finanza pubblica; dibattito acuito anche da quelle sentenze della Corte costituzionale – la n. 10 e la n. 70 di quest’anno – sulla 5 Sul punto insiste R. BIN, Diritto civile e diritto di cittadinanza: una omologazione al ribasso?, in Diritti civili ed economici in tempi di crisi, Congresso Internazionale di Stresa, 13-14 maggio 2005, Milano, 2006, pp. 94-97. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 7 ETICA FISCALE E FISCO ETICO Robin Tax e sulla perequazione pensionistica, le quali, con una non esemplare coerenza, hanno fatto pendere la bilancia dei valori costituzionali, a volte, a favore della tutela piena dei diritti sociali e del principio di uguaglianza, a volte, a favore del principio – limitativo di tali valori – del pareggio di bilancio. Questa tendenza della giurisprudenza costituzionale a entrare, sempre più spesso e con una certa ambiguità, nelle scelte distributive operando essa stessa il bilanciamento tra l’esigenza di equilibrio finanziario e quella della protezione sociale segnala la volontà della Corte di volersi prendere carico anch’essa della grave crisi economico-finanziaria che stiamo vivendo. L’ortodossia costituzionale vorrebbe, però, che detto bilanciamento fosse fatto dal legislatore rappresentativo della comunità e solo controllato dalla Corte in termini di ragionevolezza. La nostra speranza è, perciò, che la futura produzione legislativa sia di qualità tale da evitare al giudice delle leggi di cimentarsi in questo difficilissimo – a volte imbarazzante – bilanciamento di valori, tutti meritevoli sul piano costituzionale e, quindi, tutti non facilmente graduabili. 5. È, dunque, sugli illustrati presupposti etici e giuridici e sui suddetti principi di uguaglianza, solidarietà e sussidiarietà che, nell’era contemporanea, i governi dovreb- DOTTRINA bero edificare, secondo le meditate scelte politiche del momento, tanto i sistemi fiscali da applicare nel mondo reale quanto le politiche sociali della spesa. L’obiettivo culturale – non facile da raggiungere – dovrebbe essere quello di spostare il dibattito politico e il “sentire comune” dei contribuenti da problemi tipo “quanto di ciò che è mio lo Stato può prelevare sotto forma di tributo ai fini della spesa pubblica” a problemi tipo “come e attraverso quale via le leggi dello Stato, incluse quelle fiscali, possono ragionevolmente determinare ciò su cui debbo contare come mio”. In ogni caso, si dovrebbe evitare che apprezzabili strategie fiscali dirette alla riduzione del gettito siano adottate solo per «affamare la bestia» (starving the beast, dicono gli economisti pubblici americani), e cioè per contrarre drasticamente la spesa pubblica anche sul fronte – cruciale ai fini della realizzazione di una moderna welfare community – della demografia, della sanità e della sicurezza. La spesa pubblica va senza dubbio contenuta, riqualificata e razionalizzata, ma solo perché eccessiva e inefficiente e non perché lo impone la previa strumentale riduzione della pressione fiscale. Naturalmente anche questa è eccessiva e perciò andrebbe ridotta, ma in dipendenza della riduzione della spesa, della sua ripartizione e del recupero dell’evasione. 7 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 8 8 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO La concezione etica del tributo di Gianni Marongiu Sommario 1. La Repubblica come comunità che chiede di praticare la fedeltà e la solidarietà ma nel rispetto della dignità del singolo. – 2. L’evoluzione della nozione di tributo: dal consenso nell’esperienza inglese. – 3. …all’uguaglianza e alla equa ripartizione statuite dalle prime Costituzioni francesi: l’imposta come corrispettivo del godimento dei servizi pubblici. – 4. La dottrina tedesca di fine secolo XIX: il diritto di imposizione come essenziale attributo della sovranità: i limiti e le critiche. – 5. Il crollo della sovranità nella vigente Costituzione repubblicana. – 6. L’art. 53 Cost. e la nozione moderna di tributo quale strumento di partecipazione alla vita dello Stato e della comunità. – 7. L’accentuato ruolo del contribuente nell’attuazione della pretesa fiscale. – 8. L’art. 2 Cost. e l’ineludibile legame tra diritti e doveri. – 9. Il rigoroso rispetto dello strumento legislativo ordinario e la garanzia della certezza delle regole. – 10. Il rispetto dell’art. 97 Cost. e la garanzia dell’imparzialità dell’amministrazione al servizio del contribuente. – 11. Il dovere fiscale in un contesto volto al “pieno sviluppo della persona umana”. – 12. La progressività strumentale al dovere di solidarietà economica: la scelta non ideologica del secondo comma dell’art. 53 Cost.. – 13. La sua corretta formulazione letterale. – 14. I limiti alla progressività e la garanzia dell’autosufficienza del cittadino-contribuente. 1. Non sono un teologo e neppure un filosofo o uno studioso di morale e quindi non è facile per me affrontare il tema di una definizione “etica” di tributo. Cionondimeno non mi sono sottratto all’impegno perché sono rimasto colpito dal fatto che, nella nostra Costituzione, compaiono termini che hanno una valenza e un significato vuoi come categoria etica, vuoi come categoria giuridica. Mi riferisco alle locuzioni di “dignità”, di “fedeltà” e di “solidarietà” che sono una novità in un testo giuridico anche se non in assoluto. Già l’art. 2105 del codice civile sancisce l’obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro così come, secondo l’art. 143, “dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco della fedeltà”. Ebbene, oggi, l’art. 54 statuisce che tutti i cittadini non solo devono osservare la Costituzione e le leggi ma hanno anche “il dovere di essere fedeli alla Repubblica”. Il precetto può apparire addirittura inutile perché, in uno Stato di diritto, è ovvio che alla Costituzione e alle leggi si deve, socraticamente, obbedire anche se si può dissentire, ma, in realtà, esso è innovativo perché il richiamo della fedeltà rinvia a un qualcosa che non è solo “Stato” ma è anche “comunità”, come una piccola comunità sono la famiglia e il luogo di lavoro. Constatazione che appare confermata dalla lettura dell’art. 4 della stessa Costituzione per il quale “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Ed ecco allora il quesito e cioè come si definisce il tributo in uno Stato che intende essere anche una comunità1 e che perciò richiede di praticare la fedeltà e la solidarietà, rispettando, per altro, la dignità del singolo?2 *** 2. Al riguardo anche il giurista può dire la “sua” ed io spero di riuscire a dare un contributo attraverso la storia del mutamento della concezione stessa del tributo per giungere alla nostra Costituzione che ha certamente accentuato il carattere “solidaristico” del prelievo tributario. Al riguardo è di tutta evidenza che, ancora durante l’esperienza storica delle monarchie assolute, nessun suddito avrebbe osato chiedere ragione del prelievo dei tributi e della destinazione del loro gettito. Non è un caso che la rivoluzione americana e quella francese di fine settecento siano considerate soprattutto rivoluzioni fiscali volte ad affermare i principi del consenso ai tributi, della loro generalità e dell’uguaglianza nella loro ripartizione. Osservo che in questo modo è oggi possibile coniugare patriottismo e democrazia. Certo oggi l’Italia e l’appartenenza ad essa non la si può intendere come nell’Ottocento e nella prima metà del novecento quando il patriottismo divenne addirittura aggressivo nazionalismo, ma non è il caso di celebrare funerali. Infatti, l’elaborazione del lutto per la scomparsa di quella patria è la premessa per un discorso sulla “patria dei cittadini”, vaccinati contro ogni mito nazionalista, ma consapevoli dei vincoli che nascono da quella storia conclusa. 2 L’art. 36 della Costituzione statuisce che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. 1 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 9 ETICA FISCALE E FISCO ETICO Ebbene, antesignana nell’affermazione di questi principi fu la Gran Bretagna ove (riprendendo un trend secolare) nel 1688 si sancì “No taxation without representation”3. Se il Parlamento doveva assicurare il proprio consenso al prelievo, nel corso dei decenni e per tutto il Settecento, si consolidò l’ulteriore regola per cui detto consenso sarebbe stato agevolato dalla indicazione del programma di spese tradizionalmente in mano al solo governo. In altre parole la Camera dei Comuni iniziò a subordinare il consenso del prelievo al sindacato sulla destinazione dello stesso. In questo modo il Parlamento inglese si arrogò il potere di concedere la fiducia a chi ritenesse più idoneo a realizzare un condiviso e contenuto programma di obiettivi (le spese) e di mezzi (i tributi)4. È questa, lo ricordo, la principale ragione per cui la piccola Gran Bretagna, nel ‘700, riuscì a vincere la sfida, nel mondo, con la Francia, ben più popolosa, ricca e, astrattamente, più forte5. *** 3. Non a caso la rivoluzione francese fu alimentata, in modo consistente, dall’insofferenza per gli iniqui assetti fiscali dell’”antico regime”6. Sulla scia di una diversa concezione dell’appartenenza alla “nazione”, non solo si diffusero il principio del necessario consenso (la legge) all’imposizione dei contributi pubblici7 e l’ulteriore, non meno importante “della loro eguale ripartizione tra tutti i cittadini in ragione delle loro sostanze”8. In nome della fratellanza (valore fondante della rivoluzione assieme alla libertà, alla uguaglianza e alla proprietà) l’art. 101 della Costituzione francese del 24 giugno 1793 statuì, con una punta di retorica, che “nessun cittadino è dispensato dall’onorevole obbligo di contribuire ai carichi pubblici”.9 Attraverso questo processo mutò anche la nozione di tributo, tant’è che, nell’intero continente europeo, nella 3 Per la narrazione di questa importantissima e affascinante storia si veda G. MARONGIU, I fondamenti costituzionali dell’imposizione tributaria, Torino, Giappichelli, 1991 e 1995, pg. 29-57 sg.. 4 Si veda C.W. ADAMS, For Good and Evil, Macerata, Liberilibri, 2008, pg. 312-344. 5 Si veda F. AFTALION, L’economia della rivoluzione francese, Milano, ed. Il Sole 24 Ore, 1988, pg. 7-10 e 23 sg. 6 Si vedano G. LEFEBVRE, La rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 1951, p. 136 sg.; F. FURET-D. RICHET, La rivoluzione francese, Bari, Laterza, 1974, pg. 22 sg. e A. SOBOUL, La rivoluzione francese, Bari, Laterza, 1964, pg. 84-90. 7 Si veda l’art. 1 del titolo quinto della Costituzione francese del 3 settembre 1791 in A. SAITTA, Costituenti e costituzioni della Francia moderna, Torino, Einaudi, 1952, p. 92. 8 Così l’art. 13 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino premessa alla citata Costituzione, cit., p. 67. 9 Si veda A. SAITTA, Costituenti e Costituzioni, cit. p. 127. DOTTRINA prima metà dell’Ottocento, si radicò il convincimento che l’imposta altro non era che il prezzo pagato da ciascuno per il godimento dei servizi pubblici. Significativamente quando il Proudhon presentò, nel luglio del 1848, il primo progetto di imposta progressiva all’Assemblea Nazionale Francese, questa lo respinse con una maggioranza schiacciante – solo due voti ottenne il progetto! – dichiarando, in un ordine del giorno, che l’imposta progressiva era immorale e sovvertitrice dell’ordine divino ed umano10. Infatti, come sottolineò il Thièrs11, se l’imposta è il prezzo del servigio prestato dallo Stato, e, se il godimento dei servigi è in rapporto diretto al reddito, un’imposta la cui aliquota aumenta con l’aumentare del reddito rappresenta un aggravio ingiusto del contribuente e un manifesto attacco al principio della proprietà. Ma, quali che fossero i duri contrasti sulla progressività, la sottolineatura dello scambio aveva una forte valenza politica e morale perché convinceva il contribuente che il tributo non era più solo una odiosa prestazione imposta ma il “corrispettivo” di importanti servizi pubblici, resi da una rinnovata comunità nazionale. Ed era anche un intelligente approccio per convincere popoli, molto spesso analfabeti, a contribuire alle spese pubbliche. Si diffuse cioè una nuova moralità pubblica muovendo dal concetto di “condominio” nel senso che, si diceva, così come i condomini si dividono le spese comuni, egualmente in una società politica moderna i “regnicoli” devono dividersi le spese per il funzionamento dello Stato. Il tributo non significava più distruzione di ricchezza poiché, mercè l’imposta, lo Stato crea l’ambiente giuridico e politico nel quale gli uomini possono lavorare, organizzare, inventare, produrre12. Palese era l’eco, in quei convincimenti, di un grandissimo insegnamento che, sul finire del 700, a fronte di polemiche, che avevano coinvolto la stessa ragion d’essere dei “tributi” e non solo la loro diffusa cattiva gestione, aveva scritto: “La spesa del governo è, con riguardo agli individui di una grande nazione, come la spesa di amministrazione riguardo ai comproprietari di un grande patrimonio, i quali sono tutti obbligati di contribuirvi in proporzione ai loro rispettivi interessi nel medesimo”13. 10 Cfr. PROUDHON, Proposition relative à l’impôt sur le revenu, presentée le 11 juillet 1848, Paris, 1848. 11 THIERS A., De la proprièté, Paris, Paul Lheureux et C., 1848. 12 Così L. EINAUDI, Miti e paradossi della giustizia tributaria, Torino, Einaudi, 1938, pg. 219-274. 13 Così A. SMITH, Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle Nazioni (1776), ora Torino, Utet, 1945, p. 744. 9 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 10 10 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO 4. Al tributo fu tolto, così, quel carattere di “odiosità” che si trascinava da secoli anche se la dottrina fu ben attenta a sottolineare che il descritto legame tra tributo e contributo alle spese aveva una forte valenza politica e programmatica (così nell’art. 25 dello Statuto albertino), ma non poteva ingenerare e non ingenerava alcun vincolo sinallagmatico tra soggetto attivo e passivo per la mancanza di ogni corrispondenza giuridica tra tributo e servizio pubblico. Il singolo, – si insegnava già nell’Ottocento – in quanto ha pagato il tributo, non ha diritto di pretendere dallo Stato un particolare servizio, che gli rechi un determinato beneficio equivalente al sacrificio da lui sopportato e anche quando lo Stato riconosce all’individuo, la facoltà di esigere una prestazione, il relativo diritto subiettivo non nasce direttamente dall’onere sopportato, ma perché il singolo si trova nelle condizioni previste dalla legge che impongono allo Stato, o in genere all’ente pubblico, la prestazione del servizio15. In altre parole si distingueva tra fondamento dell’imposizione e concreta obbligazione tributaria. Cionondimeno, in un empito totalmente “etatista”, sul finire dell’ottocento, soprattutto in Germania (ma la teoria si diffuse) si considerò metagiuridica la correlazione sancita anche da alcune Costituzioni tra imposte e spese e una teoria formulata dallo Stahl, dal Bluntschli, dal Rau, dal Helferich in Germania16, e dal Romano e dal Vanni17 in Italia, riprendendo la concezione di taluni dottori medioevali che consideravano il diritto d’imposizione come essenziale attributo della sovranità, ravvisò nel rapporto di sudditanza la sola fonte del diritto d’imposizione. Lo Stato, si disse, preleva tributi in virtù della sovranità che esso esercita sui sudditi (si usò questa locuzione) e il contribuente deve pagare solo per il vincolo di sudditanza che lo lega all’autorità statale. In ordine a questa prospettazione, si osservò18 che essa deprime la figura del contribuente, mentre innalza al disopra di ogni limitazione e di ogni controllo l’autorità dello Stato e si rilevò, inoltre, che il vincolo di sudditanza non riesce a spiegare l’imposizione nei rapporti internazionali. Il cittadino, che risiede all’estero e che produce e gode i suoi redditi all’estero, è sempre unito dal rapporto di sudditanza colla madre patria, ma, di regola, non paga imposte, o per lo meno non le paga nella misura del cittadino che risiede in patria. Di contro, lo straniero, che vive transitoriamente o stabilmente nello Stato, o percepisce redditi prodotti nello Stato, può essere sottoposto a tributo, mentre per i vigenti principi del diritto internazionale è assurdo affermare che entri in rapporto di sudditanza collo Stato. Se il tributo fosse dovuto unicamente per il vincolo di sudditanza, gli stranieri non sarebbero soggetti alla potestà impositiva che riguarderebbe i soli cittadini. Per superare le difficoltà contro cui urtava la teoria della sovranità, una scuola di finanzieri tedeschi, che riconobbe i suoi maestri nello Schäffle prima e nel Heckel più tardi, andò oltre, e concepì il tributo come una conseguenza della supremazia di fatto dello Stato. A questo indirizzo si accostarono buona parte dei giuristi del diritto tributario tedesco, sotto la guida di Otto Mayer. Per il Mayer, e per i giuristi della sua scuola, il tributo non è dovuto dal singolo perché suddito, e pertanto membro dello Stato, ma dal singolo in quanto si trova entro la sfera di azione del potere dello Stato ed è costretto a sopportarne la supremazia. Il tributo è manifestazione del potere dello Stato sul sottoposto: il Mayer costruì, quindi, il potere finanziario dello Stato come un potere esistente a lato del potere di polizia, e che si serve degli stessi mezzi di questo, dal quale si differenzia soltanto per il fine: il potere di polizia 14 Così M. MINGHETTI, Della economia pubblica e delle sue attinenze colla morale e col diritto, Firenze, Le Monnier, 1859 ora ristampato in M. MINGHETTI, Scritti politici, a cura di R. Gherardi, Roma, 1986, p. 409. 15 Così L. COSSA, Scienza delle finanze, Milano, Hoepli, 1887, p. 60. 16 HELFERISCH, Teoria generale dell’imposta, in Biblioteca dell’economia, serie III, vol. 14, p. III, p. 338 sg. 17 S. ROMANO, La teoria dei diritti pubblici subbiettivi, in Trattato di Diritto Amministrativo dell’Orlando, vol. I, Milano, Soc. Ed. Libraria, 1900, p. 149 sg.; VANNI ICILIO, Lezioni di filosofia del diritto, 4° ed., Bologna, 1920, p. 334. 18 B. GRIZIOTTI, L’imposition fiscale des étrangers, in Académie de Droit International, Recueil des cours, 1926, vol. III, Paris 1927, p. 28 sg. Insegnamento encomiabile e che non a caso fu posto a fondamento della difficilissima opera di rendere l’Italia una, indipendente e libera. Marco Minghetti che, all’indomani dell’unità, fu più volte presidente del consiglio e ministro delle finanze, sottolineò che “l’imposta è, dunque una porzione di entrata tolta a ciascun cittadino dal governo per le pubbliche necessità ovvero (per usare una diversa locuzione) il governo è come un altro operatore della produzione che, insieme coll’operaio, col capitalista o col possidente, viene a prendere la sua rata nel riparto del prodotto netto”. La quale immagine, soggiungeva questo grande pensatore liberale, “è da reputarsi giusta in quanto che veramente il governo coopera alla produzione coll’assicurarne alcune condizioni essenziali”14. *** Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 11 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO tende al buon ordine della comunità, il potere finanziario mira a procurare allo Stato i mezzi economici che gli sono necessari. Ma, a ben guardare, neppure questa seconda prospettiva era destinata a fare molta strada, proprio perché non è sufficiente la semplice presenza nello Stato a giustificare il sorgere di un’obbligazione tributaria: l’individuo che attraversa l’Italia in ferrovia o in aeroplano, sottostà all’obbligo di osservare per es. i regolamenti di polizia, ma non è generalmente sottoposto a imposizioni, perché si ritiene che i rapporti che esso ha con lo Stato non acquistino rilevanza sufficiente per far nascere un dovere di imposta. Seppure da posizioni di minoranza scriveva Vanoni, già negli anni ’30 che “il potere di supremazia non basta a spiegare il tributo. Tanto nei confronti degli stranieri, quanto nei confronti dei cittadini, il tributo appare legato alla partecipazione personale, colla presenza nel territorio o col godimento della cittadinanza, o alla partecipazione economica, colla percezione di redditi prodotti nel territorio, alla vita dello Stato impositore. In tale partecipazione alla vita dello Stato, che si risolve nella possibilità di godimento dei vantaggi derivanti dall’attività pubblica, va ricercata la spiegazione del dovere di sopportare l’imposta”19. *** 5. Respinta la costruzione del tributo offerta dalla scuola della sovranità e abbandonata anche la teoria elaborata da Mayer, si affermò la nozione moderna di tributo per la quale, così come in ogni associazione, sia essa naturale, volontaria o coattiva, è regola elementare che ogni membro dell’associazione in quanto partecipa dei vantaggi sia chiamato a contribuire agli oneri della collettività, non diversamente avviene nello Stato. “Lo Stato – scriveva Benvenuto Griziotti – esplica un’attività diretta al raggiungimento dei propri fini, i quali sono fini di interesse generale, la cui realizzazione si risolve in un utile della collettività. A carico di tutti coloro che appartengono a quel gruppo, e quindi hanno un interesse all’attività statale, nasce un dovere morale, prima ancora che giuridico, di concorrere a far fronte ai carichi pubblici” “sebbene, soggiungeva lo studioso, non vi sia alcuna necessaria corrispondenza, quantitativa e immediata, tra l’utilità ricavata dal singolo dall’attività pubblica, e il tributo pagato. Infatti, mentre l’astratto 19 Per queste e altre considerazioni si veda E. VANONI, Diritto all’imposta e formazione delle leggi finanziarie, in Opere giuridiche, a cura di F. FORTE e C. LONGOBARDI, 2 voll., Milano, Giuffrè, 1962, vol. secondo, pg. 473 sg. dovere di pagare il tributo nasce in seguito alla partecipazione alla vita dello Stato impositore, la legge disciplina in concreto l’occasione e la misura del prelevamento in base a criteri, che spesso prescindono dalla quantità di servizio pubblico effettivamente goduta.” E questa concezione, che a livello costituzionale sottolineava il necessario collegamento tra imposta e concorso alle spese, era destinata a prevalere quando, nel secondo dopoguerra furono approvate, specie nei paesi vinti, Costituzioni rigide, presidiate da una Corte costituzionale. Per comprendere la natura della nostra Costituzione mi sembra utile ricorrere a una metafora che è particolarmente suggestiva. Essa è tratta dall’Odissea, quando Ulisse nell’attraversare uno stretto (si suppone quello che noi chiamiamo di Messina) per non cedere alla suggestione delle sirene, si fa stringere con funi che, per sua ammissione, i compagni non devono sciogliere neanche se lui stesso glielo intimasse. Questo passo – acutamente ricordato da alcuni studiosi con la formula riassuntiva della c.d. “clausola di Ulisse”20 – individua uno dei cardini della filosofia politica di tutti i tempi, che a sua volta costituisce uno dei principi-chiave del moderno costituzionalismo: l’idea di auto-limitazione del sovrano. Ulisse – capitano della nave e condottiero dei suoi uomini – è il simbolo del sovrano e le funi con cui si fa legare sono il simbolo dei vincoli giuridico-costituzionali che delimitano il potere sovrano, anche nelle situazioni d’eccezione (canto delle sirene). Si tratta della più acuta delle metafore del “vincolo delle leggi”, anzi – nello Stato costituzionale contemporaneo – del ben più alto e forte “vincolo della Costituzione”. Il senso più integrale e radicale delle “corde” entro cui Ulisse si fa costringere risiede proprio nella necessità giuridico-costituzionale di una limitazione intrinseca del potere, quale che sia la sua origine: autoritaria o democratica. Attraverso la “clausola di Ulisse” il soggetto sovrano dimostra di avere paura di se medesimo (del potere di cui dispone in sé, che – per questa sua natura, in teoria illimitata – può danneggiare persino se stesso) e dunque si auto-vincola. Ma, auto-limitandosi, in pratica “rinuncia” alla sovranità. Si afferma, in tal modo, la tesi secondo cui la sovranità in sé è un vecchio arnese del diritto costituzionale, ormai inutilizzabile, una sorta di “bomba” pericolosa da maneggiare. 20 Si veda A. SPADARO in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2006, vol. secondo, p. 1636. 11 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 12 12 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO Ritorna così, ancora una volta, l’idea di Costituzione come “sistema di limiti giuridici essenziali senza sovrano” e, dunque, essenzialmente come limite allo stesso principio democratico. Di qui occorre muovere, senza rimpianti per la defunta sovranità finanziaria21. *** 6. Questo insegnamento è stato trasfuso nel disposto dell’art. 53 Cost. Ma, a ben guardare, la nozione moderna di tributo, quale è disegnata dall’art. 53 Cost., va ben oltre perché dell’imposta non vuole sottolineare solo il connotato della doverosità (come è naturale) e della utilità, o se si preferisce della doverosa utilità. Attraverso la locuzione “concorrere” esso vuole evitare la tentazione, sempre risorgente, che lo Stato impositore attribuisca ai suoi membri il ruolo più passivo tra quelli che si possono immaginare, il ruolo del solo debitore. “Ora il diritto di prelevare tributi – si legge nel Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea costituente – non pare possa essere qualificato in modo soddisfacente con la semplice affermazione che le imposte richiedono per essere applicate una legge considerandosi implicitamente risolto col rinvio ai caratteri di generalità e quindi di uguaglianza propri della norme di legge, tutte le necessità di definizione della potestà tributaria. Il dovere dei singoli di contribuire ai carichi pubblici e il diritto degli enti pubblici di richiamarli a contribuire merita di essere affermato esplicitamente proprio per dichiarare, che nello Stato democratico, la cosa pubblica è la cosa di tutti e che tutti hanno l’obbligo di concorrere all’azione comune col proprio sacrificio personale”: “si tratta di uno dei fondamentali rapporti di diritto-dovere che presiedono alla organizzazione politica della società”22. La Costituzione, in altre parole, non si è limitata a indicare la nozione moderna di tributo (una prestazione 21 Constatando la sopravvivenza di questa concezione per cui, quando si legifera in materia tributaria, “ si coglie una potestà finanziaria, mentre non se ne riconosce una civile-amministrativa quando di legifera in altri campi” si è scritto che … “in definitiva, la concezione della potestà finanziaria e in specie tributaria … riposa su una affievolita visione della norma giuridica … e su un evidente influsso degli schemi anteriori alla Monarchia parlamentare” (così J.M. QUERALT, La potestà tributaria, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, 4 voll., Padova, Cedam, 1994, I, tomo primo, p. 144). 22 Così Il Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea costituente, vol. V, Finanza, Roma, 1946 pubblicato anche come E. VANONI, Diritto all’imposta e formazione delle leggi finanziarie, cit., loc. cit., vol. secondo, pg. 475 sg e spec. pg. 480. patrimoniale imposta dalla legge, ripartita secondo i principi di uguaglianza e di capacità contributiva) ma ha anche disegnato il profilo del contribuente Se il legislatore avesse voluto sancire solo il profilo della doverosità avrebbe scritto che “tutti sono tenuti a pagare le imposte in ragione della loro capacità contributiva”23. Ha, invece, usato una diversa formulazione (“tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche”)24 che sembra contenere una contraddizione laddove trasforma in obbligo (“essere tenuti”) il concorso che richiama profili di volontarietà, come è proprio dei contributi a una causa, a una iniziativa politica, economica o sociale. In realtà, non di contraddizione si tratta ma del fatto che la norma costituzionale ha inteso sottolineare che, essendo i tributi meri strumenti, la vera adesione può essere riferita a un programma di spese, di obiettivi onde il pagamento delle imposte, ove lo si condivida, diventa un fatto logicamente consequenziale: appartiene alla migliore storia fiscale la risposta che Quintino Sella diede a un deputato che menava vanto di non avere condiviso nessuna delle sue scelte fiscali: “Ma, Lei, onorevole, ha votato tutte le spese proposte dal governo”. Ebbene il legislatore costituente, ha ritenuto all’evidenza, che ciascun uomo non è mosso solo dalla paura25, ma è un essere quanto meno duplice, in cui si affrontano e si confrontano carenze ed eccessi, o, per dirla con due termini greci, “eros” e “thymos”: l’uno, il primo, costituisce il polo del prendere, il desiderio sconfinato e perciò non può che essere limitato e compresso da forze esterne; il secondo, il “thymos” è orientato, invece, al dare, alla generosità, all’orgoglio, al prestigio, all’onore26. L’art. 53 intende sottolineare che il tributo non è l’esplicazione di un potere di supremazia dello Stato, che non esiste, ma è “lo strumento attraverso il quale 23 La Costituzione del Giappone statuisce, all’art. 30 che “il popolo è soggetto alle imposte secondo le modalità stabilite dalla legge”. 24 L’art. 134 della Costituzione di Weimar statuiva che “Tutti i cittadini, contribuiscono, senza distinzione ai carichi pubblici in rapporto ai loro mezzi secondo la misura fissata dalla legge”, formulazione ripresa, seppure con qualche modificazione, dall’art. 4 della vigente Costituzione greca per la quale “i cittadini greci contribuiscono senza distinzioni alle spese pubbliche in proporzione ai loro mezzi”. Molto analitico è l’art. 31 della Costituzione spagnola per il quale “Tutti contribuiranno al sostenimento delle spese pubbliche secondo le loro possibilità economiche, attraverso un sistema tributario giusto, ispirato ai principi di uguaglianza e progressività, che in nessun caso potrà avere carattere confiscatorio”. 25 Hobbes non ha forse scritto nel “Leviatano” che i contratti senza la spada sono mere parole? 26 Si veda S. RIFKIN, La civiltà dell’empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi, Milano, Mondadori, 2010. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 13 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO ciascuno partecipa alla vita dello Stato”27 della quale il contribuente è perciò stesso un protagonista. Nell’ordinamento fiscale moderno non si può più parlare di soggetto passivo dei tributi, di obbligato di imposta (lo si può tollerare a livello didattico per variare le locuzioni) ma di “contribuente”. *** 7. Per convincersi che il contribuente, da anni, ha ormai un ruolo decisivo e centrale nell’attuazione della pretesa tributaria, è sufficiente riandare alla seconda metà degli anni 70, allorquando tributi nuovi e più moderni, quali l’imposta personale e progressiva sul reddito e l’imposta sul valore aggiunto, coinvolsero un’enorme platea di contribuenti (saliti per effetto della riforma da 3,4 a 24 milioni). Divenne evidente che all’amministrazione non poteva essere più addossato l’obbligo di leggere milioni e milioni di dichiarazioni, liquidare i tributi e pretenderli con la relativa iscrizione a ruolo e la notifica di milioni di cartelle esattoriali. Fu introdotta la c.d. autotassazione, un sistema che, proprio per la sua efficienza e i corposi risultati raggiunti (il 75 per cento del gettito deriva ormai da essa), era prevedibile fosse conservato e potenziato e così è avvenuto. Osservava, nei primi anni “90”, l’allora Ministro delle finanze, Franco Gallo, che “l’obiettivo ambizioso è di recuperare, liberandolo dalle incrostazioni recenti, il sistema di gestione dei tributi diretti instaurati dopo la riforma del 1971 (e dovuto soprattutto all’opera di Visentini), basato sull’autoliquidazione del contribuente e sulle ritenute dei sostituti d’imposta. Si tratta di un sistema cosiddetto “ad iniziativa del contribuente “che, quando fu adottato, era innovativo anche rispetto ad altri Paesi europei; esso è valido ancor oggi”28. D’altro canto, era anche vero – sono ancora parole di Gallo – che “quel sistema è stato caricato di adempimenti eccessivi, di obblighi di trasmissione di informazioni non necessarie a cura del contribuente: occorre ridurli, e che l’Amministrazione finanziaria assuma maggiori compiti”. Per effetto del continuo mutamento dell’ordito normativo ogni anno, e per anni, sono mutati il modello e il contenuto delle dichiarazioni (redditi e Iva) e per anni il contribuente e l’amministrazione hanno dovuto fare i conti con provvedimenti accertativi che si affiancavano o sostituivano quelli più tradizionali previsti dai decreti dettati per l’attuazione della riforma tributaria del 1971. 27 Così E. VANONI, Natura e interpretazione delle leggi tributarie, Padova, Cedam, 1932, ora in Opere giuridiche, cit., vol. primo, pg. 78 sg. 28 Così F. GALLO, Relazione all’assemblea dell’Assonime, cit., pp. 7784 sg.. Conseguente fu la percezione della collettività e dei singoli che, in qualità di contribuenti e/o di sostituti di imposta, subivano (e subiscono) gli inesauribili costi dell’adempimento: “costi organizzativi, costi di gestione di rapporti con il fisco, costi di informazione e di aggiornamento”29, per non dire di quelli psicologici, per lo più intangibili ma non meno pesanti, derivanti dal timore di sbagliare e di dovere sostenere i successivi costi del contenzioso nonché dalla violazione della “privacy”30. Non a caso la relazione governativa alla legge delega per la riforma del sistema tributario del 200331 enunciava espressamente “il principio della minimizzazione del sacrificio del contribuente nell’adempimento di tutti gli obblighi formali e di pagamento”. Nel frattempo erano andate smarrite le immortali parole di Luigi Einaudi che, già anni fa, ammoniva che “il moltiplicarsi quotidiano di decreti, regolamenti, ordini, hanno fatto sì che la parola legge non ha più alcun senso, che la legge è diventata un arbitrio, che la legge non è più norma generale applicabile in modo duraturo a tutti, ma una regola arbitraria, creata volta per volta a regolare il caso singolo: la legge non è più ordine, certezza di vita, ma disordine, fomento d’incertezza”. Milioni di contribuenti, di differente estrazione sociale e di diversi livelli culturali, si sono così trovati stretti tra gli obblighi (e i costi) volti alla realizzazione della pretesa fiscale e una enorme pressione legislativa alimentata ormai pressoché solo da decreti-legge e riferita non solo agli elementi quantitativi della pretesa fiscale ma anche, e purtroppo, all’accertamento, alla riscossione, al processo, alle sanzioni. *** 8. Si tratta, quindi, di procedere al riscontro dell’esistenza dell’equilibrio tra i diritti e i doveri del contribuente. Si tratta, cari amici, di una indagine dettata dalla Costituzione perché essa, all’articolo 2, statuisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili 29 Sono alcune delle parole introduttive pronunciate dal presidente della sesta Commissione finanze e tesoro della Camera dei Deputati, on. Franco Piro, a proposito dell’indagine sul sistema fiscale italiano in Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, X Leg., Incontri – Dibattiti, VI Comm., p. 22. 30 Si veda G. GHESSI, I costi gestionali dei tributi, in La questione tributaria. Analisi e proposte, a cura di A. PEDONE, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 339 sg. nonché M. FERRERA, Verso la rivolta fiscale? Cittadini e tasse in Italia, in Biblioteca della libertà, 1986, ottobre-dicembre, p. 198; Il costo dei tributi, a cura di M. Leccisotti, Bari, Cacucci, 1995, nonché AA.VV., I costi dell’adempimento fiscale per le imprese italiane, in L’Italia da semplificare: le regole e le procedure, Bologna, Il Mulino, 1998. 31 Legge 7 aprile 2003, n. 80. 13 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 14 14 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Diritti e doveri sono fra loro legati e questo imprescindibile legame consente alcune importanti riflessioni. Quotidianamente è posta, anche a livello politico, l’enfasi sul dovere del contribuente e sulla lotta all’evasione tributaria, punita anche con pesanti sanzioni amministrative e penali. Orbene si deve portare l’attenzione sul fatto che non meno disgregante dei rapporti civili di convivenza è la “evasione” della parte pubblica dal dovere etico nell’adempimento dei compiti istituzionali a tutti i livelli. Una Repubblica che tutt’ora non fornisce un adeguato servizio di giustizia (non solo tributaria), che non garantisce la certezza del diritto, che ha praticato e subito per decenni lo sperpero del denaro pubblico fino ad uno storico dissesto del bilancio, viola i presupposti e le finalità dei doveri tributari e pone le premesse per rendere difficile l’educazione all’etica del tributo. Non a caso questo convegno vuole porre in luce l’interdipendenza fra i due aspetti , e la grave violazione del patto costituzionale, laddove su entrambi i versanti non è ancora soddisfacente l’etica dei comportamenti. Sono due lotte che si vincono o si perdono insieme. Ma forse è proprio lo Stato che per primo deve dimostrare che i suoi Poteri, a tutti i livelli (legislativo, amministrativo, giudiziario), hanno una giustificazione unica: l’etica del comportamento e la finalità di giustizia. L’esercizio del Potere per il Potere (e non del potere per la Giustizia) rompe il sinallagma tra doveri e diritti sancito dall’art. 2 della Costituzione. *** 9. Che cosa significa, in concreto rispettare rigorosamente il quadro costituzionale con riguardo al prelievo? La risposta è semplice ove si rammenti che proprio coloro che, da posizioni di minoranza, in Assemblea costituente sostennero che il potere di supremazia dello Stato non è idoneo a spiegare le ragioni d’essere dei tributi, sottolinearono anche che “viva doveva essere e rimanere l’esigenza di non abbandonare il singolo all’indiscriminato esercizio del potere di imposizione”32. Proprio perché ciascun singolo contribuente è uno dei protagonisti della vita collettiva, la connaturata “ar32 Così, il Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea costituente, cit., ora riprodotto con il titolo Diritto all’imposta e formazione delle leggi finanziarie, in E. VANONI, Opere giuridiche, cit., vol. secondo, pg. 473 sg. e spec. 482. bitrarietà”33 delle leggi fiscali può essere solo compensata dal confronto e dal dibattito tra coloro che, nelle assemblee elettive, rappresentano i contribuenti, tutti i contribuenti. Di qui nasce l’importanza del necessario, rigoroso rispetto delle regole disciplinanti le diverse forme legislative con cui si realizza formalmente il disposto dell’art. 23 Cost., per cui nessuna prestazione personale e patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Esse, infatti, sono tra loro diverse quanto all’esistenza di un verificato consenso. Da questo punto di vista v’è una radicale differenza tra le procedure normali di approvazione delle leggi – il passaggio e il confronto nelle Commissioni parlamentari, la predisposizione delle relazioni della maggioranza e della minoranza (o delle minoranze), l’esistenza di lavori preparatori (oggi del tutto inesistenti) e il finale confronto in aula con i tempi ragionevoli per l’illustrazione delle diverse opzioni – e le fonti riconducibili agli atti aventi forza di legge. E invero, se i principi e i criteri direttivi di una legge delega non sono nulla di più di un velo, di un papier de chiffon, la scrittura della disciplina dei tributi viene rimessa al Governo e alla sua burocrazia.34 Identicamente, se si mortifica il preciso disposto dell’art. 77 Cost., l’abuso del decreto legge, accompagnato dal voto di fiducia, elide il dibattito e il confronto parlamentare, comprime non solo la minoranza ma mortifica anche la stessa maggioranza, insomma comprime il consenso e rinvia ancora una volta al Governo35. 33 La verità è questa: che una parte quanto si voglia piccola, della base su cui si posa l’edificio della imposizione, è necessariamente arbitraria. Questa verità deve essere un monito costante ai costruttori di sistemi tributari, affinchè evitino il pericolo di aggiungere, alle presunzioni ricordate, che sono il minimo necessario, altre presunzioni non necessarie, la cui somma sempre più li allontana dalla realtà (sono parole tratte dal corso di scienza delle finanze di Antonio De Viti de Marco). 34 Se la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sancisce che “la società ha diritto di chiedere conto della sua attività amministrativa a ogni funzionario pubblico”, oggi le critiche al funzionamento della burocrazia vanno ben oltre e denunciano l’esercizio di un potere di interdizione arbitrario che spesso non risponde a oggettive esigenze di funzionalità dello Stato (si veda E. GIARDINO, La plurilateralità della funzione amministrativa, Torino, Giappichelli, 2015). 35 “Dal punto di vista della produzione normativa, nell’ultimo quindicennio si è avuto un netto spostamento dell’equilibrio. Prima era il Parlamento ad abusare della propria potestà legislativa: in assenza di una riserva di regolamento e di garanzia delle attribuzioni del Governo esso amministrava attraverso le leggi. Oggi è il Governo che, in assenza di un controllo efficace sull’uso dei provvedimenti d’urgenza, abusa della possibilità di sostituirsi al Parlamento nell’esercizio di quella potestà” (così G.B. MATTARELLA, La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, Il Mulino, 2011, pg. 31-32). Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 15 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO Significativamente Ezio Vanoni, nel farsi della Costituzione, prese posizione chiara e netta su questo punto e cioè che, per il futuro (e cioè per evitare la tragica esperienza del fascismo) il potere esecutivo non avrebbe dovuto svolgere il ruolo del legislatore tributario e i decreti legge fiscali avrebbero dovuto essere limitati ai “casi straordinari di necessità e d’urgenza” (come statuisce l’art. 77 Costituzione)36. Oggi, invece, la legislazione fiscale è di fatto affidata al decreto legge convertito con la “fiducia” come ho ricordato in altra sede37. Né si dica che il suo abuso è conseguente allo stato di emergenza economica. Se così fosse dovremmo dire che viviamo in una stagione difficile da anni e non è così perché abusarono massicciamente del decreto-legge quegli stessi governi che, pochi anni fa, assicuravano che i conti dell’Italia erano in ordine. Ma non è così perché la politica dell’emergenza la si fa manovrando le aliquote dei tributi, potenziando le basi imponibili, ma non istituendo tributi ordinari: se sopravvengono casi straordinari vi si provvede con tributi straordinari e non con contributi ordinari destinati a durare anni perché ciò è palesemente e intrinsecamente contraddittorio (e questo è avvenuto con la c.d. Robin Tax). E tanto meno con provvedimenti straordinari e urgenti si modificano, di continuo, gli strumenti giuridicoformali con i quali i tributi si accertano e si prelevano. Essi devono rimanere tendenzialmente fermi nel tempo perché i contribuenti si impadroniscano dei relativi meccanismi e, invece, con decreto legge, è stata modificata la disciplina delle sanzioni amministrative e dell’accertamento sintetico, si sono unificati l’accertamento e la riscossione dei tributi e si è introdotta la c.d. mediazione. Ed è questo che la dottrina, interprete dell’opinione pubblica, lamenta e cioè che viviamo una stagione nella quale la burocrazia non solo applica le norme ma se le scrive, tutte. E non si tratta di fumoserie dottrinali o astratte. È sufficiente riandare al monito, severo, rivolto dal Supremo Collegio al legislatore. Si legge, infatti, nella relativa sentenza: “Osserva il Collegio che l’intervento interpretativo, da parte del legislatore, piuttosto che dare forza alla soluzione adottata, che sarebbe stata recepita anche in mancanza della imposizione ex auctoritate, l’ha indebolita, in quanto può ap- Si veda il Rapporto della Commissione economica presentato dall’Assemblea costituente, cit., ora in E. VANONI, Diritto all’imposta e formazione delle leggi finanziarie, cit., loc. cit., pg. 492-493. 37 Si veda G. MARONGIU, Il Parlamento convertito alle “conversioni”: l’abuso del decreto legge fiscale, in Riv. trim. di diritto tributario, 2012. 36 parire inutilmente e dichiaratamente di parte. Infatti, il legislatore è intervenuto quando già le Sezioni Unite erano state investite del contrasto e, quindi, era imminente la rimozione del contrasto stesso da parte di un giudice terzo, nell’esercizio della specifica funzione istituzionale di garante dell’uniforme interpretazione della legge (artt. 65, 1° comma, r.d. 30 gennaio 1941, n 12, e 374, 2° comma, c.p.c.). “Si aggiunge, poi, che, come è accaduto nel caso di specie, in materia fiscale gli interventi interpretativi sono sempre pro Fisco, in quanto dettati da ragioni di cassa (nell’intento di realizzare maggiori entrate). Non sono ispirati, quindi, alla esigenza di realizzare la certezza del diritto, ma soltanto a garantire gli interessi di una delle parti in causa. Ciò non facilita l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente, basato sul principio della collaborazione e della buona fede, come vorrebbe lo Statuto del contribuente (art. 10, 1° comma, della legge n. 212 del 2000). “Nel caso di specie, poi, non è facile distinguere l’Amministrazione finanziaria, parte in causa, dal legislatore, posto che la norma interpretativa è stata approvata con decretolegge del Governo, convertito in una legge, la cui approvazione è stata condizionata dal voto di fiducia al Governo. “Tanto che se fosse stato diverso l’orientamento del Collegio (rispetto alla scelta legislativa), non ci si sarebbe potuto esimere dal valutare la compatibilità della procedura di approvazione dell’art. 36, 2° comma, del d.l. n. 23 del 2006, con il parametro costituzionale di cui all’art. 111 Cost., che presuppone una posizione di parità delle parti nel processo, posto che, nella specie, l’Amministrazione finanziaria ha avuto il privilegio di rivestire il doppio ruolo di parte in causa e di legislatore e che, in questa seconda veste, nel corso del giudizio ha dettato al giudice quale dovesse essere, pro domo sua, la corretta interpretazione della norma sub iudice. “L’intervento è apparso inopportuno anche perché la Pubblica Amministrazione, anche quando è parte in causa, ha sempre l’obbligo di essere e di apparire imparziale, in forza dell’art. 97 Costituzione”38. *** 10. Il riferimento all’art. 97 della Costituzione introduce un altro ordine di considerazioni che attengono non allo Stato legislatore ma allo Stato amministrativo. Al riguardo è estremamente significativo che il c.d. Statuto dei diritti del contribuente (approvato con legge ordinaria nel 2000) statuisca che i principi generali da esso dettati sono attuazione non solo degli artt. 3, 23 38 Così Cass., sez. un., 30 novembre 2006, n. 25506. 15 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 16 16 DOTTRINA e 53 Cost. ma anche dell’art. 97 della Costituzione (questo riferimento è una novità assoluta). In questa sede non mi soffermo a ricordare le centinaia e centinaia di sentenze delle Commissioni tributarie e della Corte di Cassazione che, quotidianamente, danno applicazione allo Statuto39. Un precetto, uno solo, va ricordato ed è il primo comma dell’art. 10 secondo il quale “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”. Lo può apprezzare chi ricorda che il principio di buona fede costituisce un pilastro della tradizione giuridica occidentale. E non a caso lo ha apprezzato il Supremo Collegio in una sentenza nella quale si legge: “L’immanenza nell’ordinamento tributario dei principi di collaborazione e di buona fede trovano il loro radicamento, specie per quel che riguarda l’amministrazione tributaria, nella forma dello Stato italiano e nei due principi fondamentali nei quali essa si manifesta, che sono costituiti dal principio dello Stato di diritto e dello Stato sociale. “Per il primo, oltre alle argomentazioni utilizzate dalla sentenza di questa Corte poc’anzi richiamata e alla quale per questo si rinvia, può valere anche la considerazione che la regola tendenziale della separatezza della sfera del singolo (governato) da quella dell’autorità (governante) e della fissazione della linea del loro contatto (confine privato/pubblico) attraverso la garanzia della legge trova un limite nei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost., secondo proposizione), tra i quali rientrano anche i vincoli – obblighi e obbligazioni – di natura tributaria del cittadino. Ma, proprio perché le intromissioni nella sfera del governato sono delle eccezioni rispetto alla regola della sua intangibilità, derivante dall’assunzione, da parte dello Stato italiano, della forma dello Stato di diritto (art. 2 Cost., prima proposizione), esse devono essere, non solo ridotte al minimo indispensabile, secondo un altro principio – quello di proporzionalità – immanente anch’esso nell’ordinamento ed esplicitato dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 1, comma 2 (“La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”) ma, devono essere ispirate al principio di collaborazione e di lealtà e devono essere tali da non indurre in errore il governato”. 39 A commento della copiosa giurisprudenza si veda AA.VV., Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del contribuente, Studi in onore del prof. Gianni Marongiu, a cura di A. Bodrito, A. Contrino, A. Marcheselli, Torino, Giappichelli, 2012, pg. 1-690. ETICA FISCALE E FISCO ETICO “Contribuisce a rafforzare questa soluzione – ha soggiunto il Supremo Collegio – anche il necessario richiamo al principio dello Stato sociale, che l’art. 2 Cost. annoda a quello dello Stato di diritto. In estrema sintesi, poiché, in quanto Stato sociale, lo Stato italiano è vincolato dal legislatore costituente a premurarsi di fornire, non solo le garanzie formali dei diritti del cittadino, ma a provvedere ai suoi bisogni sostanziali (art. 3 Cost., comma 2), i governanti sono tenuti ad operare, come s’è detto con espressione efficace per altri ordinamenti simili al nostro, come “Helfer des Buerges”, come assistenti del cittadino, come suoi aiutanti, se non addirittura come servitori”40. *** 11. La terza riflessione attiene all’adempimento del dovere di solidarietà e alla possibilità che il tributo possa e debba essere utilizzato a fini solidaristici.41 Che si tratti di un potere-dovere non c’è dubbio considerato che, secondo il 2° comma dell’art. 53 Cost., “il sistema tributario42 è informato a criteri di progressività” e il tributo progressivo ha anche una funzione redistributiva della ricchezza. Ora che il tributo possa essere progressivo e che in genere il fisco possa avere anche una finalità redistributiva deriva non solo dall’inequivocabile disposto del secondo comma dell’art. 53 della Costituzione ma dalla stessa norma fondativa della nostra Repubblica. E invero, la Carta costituzionale (a differenza delle Costituzioni ottocentesche) non si è limitata a statuire che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica e di 40 Così Cass., sez. trib., 13 febbraio 2009, n. 3559. Per evitare equivoci preciso che non è vero che solo i poveri costano. Non è vero, in altre parole, che soltanto i diritti sociali – i diritti al benessere volti innanzi tutto a promuovere la condizione umana delle fasce più deboli – richiedono sforzi finanziari ingenti alla comunità mentre i cosiddetti “diritti negativi” sarebbero una sorta di dono di natura, di cui l’individuo si limita a godere senza onere alcuno per la società. Diritti quali il diritto di proprietà, la libertà contrattuale, la libertà di parola, di religione, la libertà personale non si realizzano esclusivamente ad opera del loro titolare: richiedono l’esistenza dei magistrati, dei poliziotti, dei pompieri ecc. ccc.. Insomma, senza la protezione fornita dalla comunità, con il denaro pubblico frutto dei tributi di tutti, quei diritti resterebbero di carta (al riguardo si veda S. Holmes-C.R. Sunstein, Il costo dei diritti. Perché la libertà dipende dalle tasse, Bologna, Il Mulino, 2000). 42 Con questa locuzione la Costituzione non lascia solo intendere che la disciplina dei diversi tributi deve essere ordinata a “sistema”, obiettivo di per sé, oggi, di grandissimo rilievo; ricorda anche al futuro legislatore che l’obiettivo può essere raggiunto non solo con la tradizionale imposta personale progressiva sul reddito: si veda infra, alla nota 56. 41 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 17 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO condizioni personali e sociali” (come dispone l’art. 3, 1° comma della Costituzione). La Repubblica non solo deve assicurare un programma di tutele negative ma deve perseguire un programma positivo perché “è suo compito rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto le libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (così statuisce il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione). È significativo che i limiti possono essere anche di fatto come pure il riferimento all’uguaglianza e non alle sole libertà. La nostra Costituzione non è, incoscientemente, egualizzatrice della vita, delle iniziative dei successi di ciascuno di noi, ma indica un’azione positiva volta ad agevolare “il pieno sviluppo della persona umana” ove è oltremodo significativo il riferimento non al solo cittadino (che esiste in quanto esiste uno Stato) ma all’uomo, che esiste anche a prescindere dallo Stato. Orbene, è di tutta evidenza che questi obiettivi possono essere raggiunti anche con lo strumento fiscale dando così significato all’art. 2 ove, a fronte dei diritti inalienabili dell’uomo, si sancisce l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. ne pericoloso attribuire una larga funzione redistributiva alla imposizione diretta “e chi dichiarò “di credere poco alla redistribuzione dei redditi attraverso l’imposta”.43 E, infatti, a ben guardare la progressività è, di per sé, inidonea a realizzare autonomamente l’obiettivo di spostare ricchezza dai più ai meno abbienti. Essa direttamente può ridurre le disuguaglianze tra ricchi e poveri mediante l’impoverimento dei primi. E solo indirettamente può avere una funzione solidaristica ma a condizione che il maggior gettito fiscale sia destinato a finanziare spese a vantaggio dei meno abbienti.44 *** 13. I dubbi sopra indicati e le incertezze applicative (la scelta delle spese non spetta a chi contribuisce) spiegano l’appropriata formulazione letterale del precetto e impediscono di ritenere che la progressività possa avere un andamento sostanzialmente espropriativo al punto da consentire la confisca dei diritti proprietari con le imposte.45 È questo un tema appassionante e all’ordine del giorno in relazione al quale qualche osservazione può farsi. La locuzione del primo comma dell’art. 53 (“in ragione della propria capacità contributiva) indica che il prelievo non può essere per l’intero, deve essere parziale *** 12. Coerentemente, la nostra Costituzione non solo statuisce, al primo comma dell’art. 53, che tutti devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, ma, al secondo comma, soggiunge che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Essendo evidente la funzione solidaristico-comunitaria dell’intero precetto, di esso generalmente si sottolinea la formulazione prudente quasi che esso sia stato il risultato di una contrapposizione ideologica tra chi la progressività la voleva (la sinistra) e chi vi si opponeva. In realtà non di contrapposizione si tratta perché la riflessione sulla progressività e la istituzione di tributi progressivi si collocano all’interno dello stesso pensiero liberale e le conseguenti applicazioni si ebbero, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, in Stati liberali e capitalistici, quali l’Italia, la Francia, la Gran Bretagna e la Germania. La formulazione letterale dell’art. 53 è piuttosto figlia della consapevolezza che non tutti i tributi possono essere progressivi (ecco il riferimento al “sistema”) e del dubbio, ideologicamente trasversale, che le imposte progressive possano essere di per sé redistributrici di ricchezza. Nel farsi della nostra Costituzione questo dubbio riapparve su sponde opposte perché vi fu chi “riten- Sono queste rispettivamente le risposte dall’avv. Luigi Biamonti e del prof. Antonio Pesenti in Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea Costituente, vol. V, Finanze, (Interrogatori, questionari, monografie), Roma, 1946, p. 71 e p. 82. 44 Su questo delicato tema, a commento dell’analisi empirica condotta in Gran Bretagna e negli Stati Uniti si veda F.A. Hayek, The constitution of liberty, Chicago, 1978, pg. 311-315. A commento della spesa sociale italiana dal 1974 al 2001 si veda A. Martino, Semplicemente liberale, Macerata, 2004, pg. 73-76. 45 In anni difficili, connotati dall’esistenza di non pochi Stati autoritari, nei quali la sovranità fiscale non incontrava limiti, né nei principi né nei fatti, Benvenuto Griziotti scriveva che “vi è un limite all’esercizio della sovranità fiscale dello Stato” (così in Principi di politica, diritto e scienza delle finanze, Padova, 1929, p. 50). A commento dell’art. 53 Cost. Benvenuto Griziotti scrive che “non è necessario che siano soddisfatti fini economici o demografici e sociali distributivi, bensì che i tributi siano applicati su buoni accertamenti” e soggiunge: “L’esperienza moderna di tributi con fini redistributivi riconferma l’insegnamento antico dei dazi protettivi. Le alte aliquote dei tributi redistributivi non consentono buoni accertamenti e gettiti proficui. In Italia l’imposta complementare sul reddito è progressiva fino al 75% (la pressione tributaria arriva oltre il 100% tenendo conto degli altri tributi sullo stesso contribuente). Ma l’evasione è così elevata, che i più ricchi in proporzione al loro reddito sopportano aliquote effettive, misurabili a decimali (0,50 o 0,20%), anziché a unità intere; cioè sopportano una pressione inferiore a quella dei minori contribuenti. Lo stesso dicasi per l’imposta di successione anch’essa regolata da una progressione molto elevata di aliquote” (così B. Griziotti, L’imposta come istituto della finanza fiscale e della finanza extrafiscale, in AA.VV., Finanza pubblica contemporanea. Studi in onore di J. Tivaroni, Bari, Laterza, 1950, pg. 251 sg. e spec. P. 254-255-256). 43 17 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 18 18 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO e la parzialità deve essere intesa anche come possibilità di permanenza del prelievo (e dunque della relativa forza economica che ne costituisce la fonte) nel tempo46: questo, si noti, è il fondamento della solidarietà che non può esaurirsi in una unica dazione proprio perché deve contribuire allo “sviluppo” della persona umana.47 La locuzione “criteri”, di cui al secondo comma, non significa solo regola, principio, ma, secondo l’etimo greco e i dizionari della lingua italiana, anche “senso, avvedutezza”, onde si dice agire come criterio e chi non lo pratica viene considerato “scriteriato”: di qui il rilievo della ragionevolezza. Soggiungo che proprio l’incertezza sulla destinazione del gettito dei tributi progressivi e quindi sulla scelta delle spese finanziate, esclude la progressività confiscatoria perché una progressività totalizzante presuppone l’equivalenza tra l’importo del sacrificio e quanto ricevono i beneficati: oggi, nei fatti, la destinazione della spesa assistenziale in Italia conferma che l’utilizzatore della progressività deve agire con criterio, con ragionevolezza48, con proporzionalità (che non a caso è l’indicazione che promana dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale tedesca).49 *** 14. Proprio quest’ultimo riferimento deve indurre ad allargare lo spettro delle riflessioni perché dall’Europa (tanto bistrattata) emergono indicazioni favorevoli alle conclusioni sopra enunciate. Certo viene da una lontana e gloriosa esperienza, la rivoluzione francese del 1789, l’indicazione che, pur essendo il tributo l’onorevole obbligo di ogni cittadino, “tuttavia la porzione del prodotto dell’attività e del lavoro che sarà riconosciuta necessaria ad ogni cittadino per la sua sussistenza, non può essere sottoposta a nessun contributo”.50 46 Si veda F. MOSCHETTI, Interesse fiscale e ragioni del fisco nel prisma della capacità contributiva, in Studi in onore di G. Falsitta, cit., p. 205. 47 Nel farsi della Costituzione “l’esigenza di una limitazione quantitativa dell’esercizio della potestà impositiva” fu sottolineata dalla Corte di Cassazione che la individuò nella capacità contributiva “soddisfacendo così alla fondamentale esigenza che il contribuente non sia gravato oltre il limite necessario alle possibilità di vita della sua economia individuale”: si noti non al solo minimo vitale ma alla possibilità di vita della sua economia individuale (si veda il cap. primo del Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea costituente, cit.). 48 Si veda la tabella allegata. 49 Si veda G. Moschetti, Il principio di proporzionalità come “giusta misura” del potere nell’evoluzione del diritto tributario, Padova, Cedam, 2015, spec. 67 sg. 50 Così l’art. 5 della Costituzione francese del 24 gennaio 1793, tanto più significativo ove si colleghi l’anno (il 1793) con i concreti avvenimenti politici. E della vincolatezza del precetto volto a garantire a tutti il “minimo vitale” non più certo dubitarsi nella vigenza dell’art. 53 Cost.. Ma, oggi, la sola ipotesi di una progressività espropriatrice sembra confliggere con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e, per quanto riguarda l’Unione Europea, non solo con i principi codificati dalla Corte di Giustizia ma anche da alcuni importanti documenti. E così l’art. 17 della Carta di Nizza statuisce che “ogni individuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità”.51 Questa ultima asserzione impedisce di concludere che il prelievo può essere tale da rendere tutti uguali e cioè di garantire a tutti solo il c.d. minimo vitale. Ne costituisce conferma la constatazione che la più volte citata Costituzione francese del 1793, dopo avere garantito all’art. 5 il “minimo vitale”, soggiungeva che, in ogni caso, “non potrà essere stabilito alcun contributo che, per la sua natura o il suo modo, minaccia alla libera disposizione della proprietà, ai progressi dei capitali o violi diritti riconosciuti e dichiarati dalla Costituzione”52: a meno di essere più “sanculotti” dei “sanculotti”. Né si dica che detto limite potrebbe non valere per un tributo, ad esempio sul reddito da lavoro, in quanto il contribuente potrebbe avere un cospicuo patrimonio e quindi un ulteriore reddito. Non è tesi convincente perché il principio di capacità contributiva, la ragionevolezza e la proporzionalità devono essere rispettati con riguardo a ciascun tributo e quindi ogni imposta sul reddito deve garantire di goderlo, di usarlo, di disporne anche risparmiando (valore tutelato dalla Costituzione).53 E non a caso la Corte costituzionale tedesca ha individuato il limite costituzionale alla pressione tributaria nel diritto di proprietà privata e nel principio di proporzionalità, che impone di garantire comunque al contribuente, una volta soddisfatti gli obblighi tributari, “la garanzia di un reddito liberamente disponibile” 54. 51 Si veda anche l’art. II-77 del trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, in AA.VV., La Costituzione europea, Bologna, Il Mulino, 2004, pg. 332. 52 Così l’art. 6 in A. SAITTA, Costituzioni, cit. pg. 141-142. 53 In altre parole non occorre individuare un limite, all’imposizione, complessivo e soggettivo riferito all’intera capacità contributiva di un soggetto perché la Corte costituzionale è giudice della legittimità delle diverse e di ciascuna legge tributaria onde il limite va rispettato all’interno della disciplina di ciascuna imposta. 54 Così nella sentenza del 18 gennaio 2006: si veda al riguardo N. BOZZA-BODDEN, L’imposta confiscatoria nella giurisprudenza e nella dottrina tedesca dopo la sentenza del 18 gennaio 2006 della Corte costituzionale germanica, in AA.VV., Atti della giornata di studi in onore di Gaspare Falsitta, Padova, Cedam. 2012, pp. 99 sg.. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 19 ETICA FISCALE E FISCO ETICO Significativamente l’art. 36 della nostra Costituzione statuisce che “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.55 Un’esistenza “libera e dignitosa” va ben al di là del minimo vitale e sta a significare che, per il Costituente, l’obiettivo assegnato al legislatore non è l’uguaglianza ma l’autosufficienza. E l’obiettivo è l’autosufficienza proprio perché l’art. 3, 2° comma, vuole assicurare quel dinamismo sociale che, del capitalismo, è un apprezzato sottoprodotto ma che può essere ostacolato (e l’esperienza che stiamo vivendo ne è testimonianza) da una eccessiva pressione fiscale. Così come qualsiasi tributo sul patrimonio56 deve garantire il diritto a goderlo, a usarlo, ma anche ad amministrarlo e a non dissiparlo per lasciarlo in tutto o in parte in eredità. In altre parole, il diritto di godere della proprietà dei beni si proietta anche al di là della vita del possessore e nessun prelievo può ostacolare l’intento di provvedere ai figli, ai nipoti del possessore stesso. Se così non fosse non solo sarebbero mortificate le aspettative (legittime) dei buoni figli dei buoni genitori, ma vanificato anche l’art. 42 della Costituzione per il quale “la legge stabilisce le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”. Se, con lo strumento fiscale, al netto del minimo vitale, tutti fossimo resi uguali, non si tratterebbe di limiti alle successioni, come la Costituzione prevede, ma non vi sarebbero più eredità, con la vanificazione anche dei diritti dello Stato. In sintesi, la nostra Costituzione non è, selvaggiamente e incoscientemente, egualizzatrice e mortificatrice della vita, delle iniziative, dei successi di ciascuno di noi. Essa pone solo dei limiti, dei limiti alla proprietà (art. 42, 2° comma), dei limiti alle successioni (art, 42, 4° comma), dei limiti ragionevoli al prelievo. Non a caso, ripeto, l’art. 53 usa la locuzione “in ragione” e non a caso il 2° comma dello stesso art. 53 sancisce che il sistema tributario è informato a “criteri” di progressività. 55 Altrettanto significativamente la Repubblica “agevola la formazione della famiglia” (art. 31) e “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (art. 32). 56 Ci si riferisce anche a questo tributo perché, a fronte della crisi della tradizionale imposta personale e progressiva che non riesce più a riportare a tassazione tutti i redditi, si può realizzare l’intento della nostra Costituzione attraverso una più razionale mediazione di prelievi sul reddito e sui consumi, ma anche attraverso la valorizzazione dell’imposta di successione, che è una imposta sul patrimonio. DOTTRINA Il nostro costituente vuole che il legislatore fiscale, quanto alla progressività, la usi con criterio proprio perché nell’art. 53 e nel complesso delle sue norme non esiste contrasto tra la funzione garantista e quella solidaristica in quanto la seconda esige, richiede il mantenimento e la tutela dell’economia privata. Lo scriveva Luigi Einaudi, in una tra le più belle Prediche inutili, che “occorre andare incontro alle esigenze di sicurezza della maggior parte degli uomini ma a condizione che sia serbata in vita la minoranza di uomini disposti a vivere incertamente, a correre rischi, a ricevere onorari invece di salari, profitti invece di interessi”.57 E Carlo Arturo Jemolo commentò che “l’anima cristiana di Einaudi sentiva profondamente le esigenze del povero ma “considerava negativamente chi seppelliva i talenti”.58 57 Così L. Einaudi, In lode del profitto (1956), in Prediche inutili, Torino, Einaudi, 1959, p. 153. 58 La citazione di Jemolo è tratta dalla relazione svolta, in occasione del centenario della nascita, da Sergio Steve all’Accademia dei Lincei ora pubblicata in S. Steve, Scritti vari, Milano, F. Angeli, Cisiec, 1997, p. 747. 19 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 20 20 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO Etica del tributo ed etica del Potere fiscale nell’art. 53 Cost. di Francesco Moschetti Sommario 1. Diffusa evasione fiscale ed etica del tributo. Insegnamento di Vanoni sulla causa impositionis. Il dovere etico del contribuente è correlato al dovere etico dello Stato quanto all’uso del tributo. Approccio culturalmente limitato e politicamente perdente di una lotta all’evasione tributaria disancorata da lotta alla dissipazione del pubblico denaro. 2. L’art. 53 Cost. collega dovere tributario e carattere “pubblico” delle spese, elevando a rango costituzionale la vanoniana causa impositionis. È su entrambi i versanti (del contribuente e del Potere) la costituzionalizzazione del dovere etico. 3. Quanto al dovere fiscale costituzionalmente inteso, l’art. 53 lo descrive nel suo aspetto sostanziale e lo collega alla capacità della persona. La concezione costituzionale delle capacità personali, per sé e per gli altri, fonti di diritti e di doveri. 4. La nuova concezione (nella Costituzione repubblicana) del rapporto fra singolo e Stato, incentrata sulla persona, non confondibile con l’individuo. Rapporto biunivoco tra capacità delle persone e bene comune: le prime sono anche risorse per il bene comune, ma questo non può prescindere dalle capacità della persona. 4.1. Il “concorso” al fine comune come “dovere di riparto”. L’evasore come soggetto che si fa mantenere da altri (magari più poveri) nel riparto della spesa comune. 5. L’art. 53 non solo disciplina il dovere (del contribuente) ma anche il Potere (del legislatore fiscale). La capacità comporta il “dovere”, ma l’imposizione del dovere presuppone la “capacità” della persona. La banalizzazione del concetto di capacità, non considera la radice personalistica dell’art. 53 e dell’intero sistema costituzionale e si presta a nuove forme di autoritarismo, in antitesi alle finalità costituenti. 5.1. I plurimi vizi di un orientamento che vanifica l’art. 53 Cost. nel principio di eguaglianza tributaria e che assume a regola suprema l’”interesse fiscale”. 6. La base personalistica anche nella politica delle “spese pubbliche”, che, nell’art. 53, devono essere fondate sulle capacità delle persone concorrenti a tal fine. La costituzione come sistema di valori non può legittimare una politica redistributiva di spesa che prescinda dal presupposto personalistico. 7. Ripensare il “sistema” tributario e delle spese pubbliche. 8. Conclusione: vinciamo la nuova sfida ripristinando le basi etiche del nostro essere “comunità”. 1. Dagli interventi precedenti mi pare emerga con chiarezza quale sia il significato di questo incontro che è un voler “ripartire”, un ritornare al fondamento del tributo come elemento imprescindibile di una “convivenza sociale”1. Siamo in una situazione di crisi economica, in cui esiste una diffusa e pesante evasione tributaria2 che ha gravi conseguenze, e ci chiediamo quali siano le ragioni di base, certamente non le giustificazioni, di un comportamento, che ha così devastanti conseguenze. Crediamo che l’etica sia una risorsa, perché l’etica crea consenso, fiducia e disponibilità a realizzare fini comuni3. Oggi non stiamo qui parlando solo di problemi di filosofia politica o di filosofia morale (certo anche di questo); stiamo parlando di una nostra preoccupazione civile ed economica e di una situazione che non può essere risolta se non si torna ad una condivisione etica, una condivisione morale di tutte le parti in gioco, come è stato detto nel precedente intervento4. 1 Ricorda E. DE MITA (La funzione del tributo nel pensiero di Ezio Vanoni, ora in Interesse fiscale e tutela del contribuente. Le Garanzie costituzionali, IV, ed. Giuffrè, Milano, 2000, p. 13) che Ezio Vanoni, nel presentare in Parlamento il disegno di legge sulla perequazione tributaria, ebbe ad affermare che “ ‘nello Stato moderno, di fronte alla concezione che tutti abbiamo della società e del dovere primo del cittadino di dare la sua solidarietà all’ordinato svolgersi della vita civile, l’imposta non può essere intesa che come l’espressione del dovere morale e civico che grava su ognuno di noi, di concorrere al bene della società’. Sottrarsi a questo dovere ‘assume le caratteristiche di una vera e propria anarchia, di una negazione delle esigenze prime della convivenza sociale; è come disertare, sicché allo stesso modo con cui circondiamo di disprezzo il disertore, così dovremmo circondare di disprezzo l’evasore tributario, quando il tributo fosse equo’ ”. 2 “Unanimemente valutata dalle varie istituzioni (ISTAT, Banca d’Italia, Agenzia delle Entrate, ecc. …), intorno ai 120 miliardi di Euro” (così G. NANULA, Valore Italia. Ridare slancio e fiducia al nostro Paese, Giunti editore, Firenze-Milano, 2014, p. 15). Sul tema, cfr. GI. BERGONZINI, Evasione fiscale: un problema di diritto costituzionale, in Federalismo fiscale, 2/2011, p. 153 e ss.; M. BERTOLISSI, Contribuenti e parassiti in una società civile, Napoli, 2012, p. 29 e ss.; idem, Stato sociale e federalismo fiscale, in Autonomia e responsabilità sono punti di vista, ed. Jovene, Napoli, 2015, p. 388 e ss. 3 Come ricorda U. VINCENTI, Etica per una Repubblica, ed. Mimesis, Milano-Udine, 2015, pp. 10-11, “già Aristotele, quando prende in considerazione la forma repubblicana di governo, afferma recisamente che, se in una qualunque repubblica le leggi sono assolutamente necessarie, è però pregiudiziale una disposizione etica diffusa verso le virtù civili”. 4 Sulla necessità per la Repubblica “che i suoi cittadini siano portatori di ethos diffuso che li renda avvertiti il più possibile, nelle varie Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 21 ETICA FISCALE E FISCO ETICO Poco fa il prof. Marongiu citava la Costituzione giapponese, la quale in materia di dovere tributario è molto essenziale, limitandosi a statuire che tutti sono tenuti a pagare le imposte in base alla legge. E null’altro. La nostra cultura è più critica; è difficile coinvolgere il nostro popolo sulla base di un semplice imperativo categorico5. Il nostro approccio naturale pretende ragione e richiede una giustificazione della “prestazione imposta”. Tanto più quando, per concorrere al bene comune, si deve rinunciare in parte al proprio. Quindi non basta l’imperativo kantiano, il dover essere, il dovere per il dovere. È richiesta la giustificazione sostanziale del tributo. E non a caso la ricerca sulla causa impositionis è stata al centro di un’ importante scuola di diritto tributario italiana, la scuola di Pavia, che ha visto in Benvenuto Griziotti il principale maestro e poi in Ezio Vanoni il più equilibrato e completo sistematore, in una globale visione (etica, politica, giuridica) del tributo. Il punto di partenza in Vanoni ci sembra essere la visione dello Stato. A fronte di una concezione minimalista, in cui lo Stato avrebbe come scopo principale, se non addirittura unico, “quello della protezione delle persone e delle fortune dei cittadini”, e a fronte della – peraltro magistrale – concezione dello Stato “cooperatore della produzione” di De Viti De Marco, già nel 1932 Vanoni6, rivendicava la funzione redistributiva dello Stato, “ispirato piuttosto da concetti politici, etici, sociali, che prescindono dal fattore della produzione individuale”7. circostanze, che nello spazio pubblico, fisico come istituzionale, è preminente l’interesse generale che esige di essere rispettato”, cfr. U. VINCENTI, op. cit., p.19. 5 Già nel 1956, Luigi Einaudi scriveva: “riesce difficile persuadersi che in fondo all’imposta si debba cercare solo l’incanto delle cose che esistono. Gli uomini vogliono istintivamente rendersi ragione del perché pagano; e se quella ragione non è spiegata chiaramente, gridano all’ingiustizia. La credenza nella monarchia o nella repubblica, in una o due camere, in un presidente eletto dal popolo o da un’assemblea o, come in qualche tempo e Paese accadde, estratto a sorte, è un atto di fede. Ma la credenza dell’imposta sul reddito, sul patrimonio o sulle eredità o sui consumi non è un atto di fede”. Adesivamente, cfr. G. FALSITTA, Per un fisco civile, ed. Giuffrè, Milano, 1996, Prefazione, p. IX; M. BERTOLISSi, “Rivolta fiscale”. Federalismo. Riforme istituzionali, ed. Cedam, Padova, 1997, p. 185. 6 In Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, ora ripubblicato in Opere giuridiche, vol. I, a cura di F. FORTE e C. LONGOBARDI, Milano, 1961, p. 59. 7 Ivi, p. 59. “L’attività dello Stato, osservata nei momenti in cui si determina, nei fini concreti che si propone, nei mezzi di cui si vale, mostra di essere retta, nel suo calcolo, non dall’intento di procurare il massimo di soddisfazioni agli individui considerati, come in economia politica, quali economie separate e contrapposte, ma bensì DOTTRINA L’attività finanziaria è parte costitutiva di questo operare dello Stato volto “a procurare il massimo di soddisfazioni alla società nazionale”8. Ciò comporta, per “tutti coloro che, appartenendo personalmente od economicamente alla sfera d’azione dello Stato, si trovano nella possibilità di trarre giovamento dall’attività di quello”9, “un dovere morale, prima ancora che giuridico, di concorrere a far fronte ai carichi pubblici”10; ma comporta altresì che il tributo sia “giustificato dal fine essenziale di mettere lo Stato in condizione di soddisfare i pubblici bisogni”11. L’aspetto etico del tributo, anche sul piano dell’impiego del tributo, è molto sottolineato da Vanoni12. E così leggiamo che “il dovere dello Stato di impiegare il ricavato del tributo in pubblici servizi è un dovere dello Stato verso se stesso: mentre d’altro lato un tributo, che non serva a scopi pubblici, è impensabile. Invero la identità tra interesse dello Stato e interesse generale pone anche il limite dell’attività finanziaria dello Stato. I sacrifici che lo Stato chiede al singolo devono essere chiesti nell’interesse generale: un tributo, il cui provento non sia usato per scopi pubblici, è inconcepibile, costituendo una contraddizione in termini”13. Di più. Al limite dell’interesse generale, si aggiunge il limite di non superare quanto necessario: “come già insegnava il Romagnosi, ripetendo un precetto sul quale avevano insistito i Tomisti, il sacrificio domandato all’individuo deve fondarsi su una vera necessità dello Stato e deve essere contenuto nei limiti di tale necessità”14. “Tra tributo ed attività dello Stato, diretta alla prestazione di pubblici servigi, vi è una relazione di mezzo e fine, che non è indifferente di fronte al diritto, e di cui deve essere tenuto conto nella costruzione giuridica del tributo”15. dall’intento di procurare il massimo di soddisfazioni alla società nazionale, considerata come l’insieme delle singole economie individuali collaboranti ad un fine comune” (ivi, p. 64). 8 Ivi, p. 64, cit. nota precedente. 9 Ivi, p. 107. 10 Ivi, p. 107. Si noti come “concorrere” anticipi l’art. 53 Cost. 11 Ivi, p. 107. 12 Sul fondamento etico-politico del tributo in Vanoni, cfr. E. DE MITA, op. cit., loc. cit., pp. 1-15; idem, Maestri del diritto tributario, Milano, 2013, p. 1 e ss. Sulla stessa linea, cfr. M. BERTOLISSI, Contribuenti e parassiti, cit., p. 24 e pp. 31-32. 13 E. Vanoni, Natura e interpretazione delle leggi tributarie, cit., loc. cit., p. 100. 14 Idem, ibidem. Continua il Vanoni affermando: “dal che discende che solo il fine comune e l’utilità generale può giustificare il tributo, il quale deve essere organizzato in concreto in modo da raggiungere la massima utilità comune col minimo sacrificio dei singoli” (ivi, pp. 100-101). 15 Ivi, p. 109. Si noti come il collegamento con i “pubblici servigi” anticipi il collegamento con le “spese pubbliche” dell’art. 53 Cost. 21 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 22 22 DOTTRINA Emerge così il concetto di causa impositionis, che è visto nel rapporto che deve correre tra tributo e fini pubblici cui deve servire16, “nei vantaggi generali o particolari, che l’attività dello Stato è idonea a procurare ai singoli”17. Il Vanoni si spinge – conseguentemente – ad affermare che “un peso imposto ai cittadini per qualsiasi abuso della forza pubblica, e che non serva ai fini di utilità collettiva, ma sia disperso in vantaggi di singoli, sarà taglia, livello, spoglio, ma mai tributo”18. Qui il problema diventa delicato, poiché si tratta di stabilire quando in concreto si possa considerare rotto il rapporto causale tra tributo ed utilità pubblica e – ciò stabilito – quali possano essere le conseguenze19. “La causa del tributo manca – precisa Vanoni – non quando l’attività, messa in essere dallo Stato coi mezzi da quello procacciati, non raggiunge il fine di utilità pubblica propostosi, ma quando ogni attività manchi od i proventi del tributo siano impiegati per il raggiungimento di scopi, cui la coscienza giuridica comune rifiuta la qualifica di fini pubblici”20. Non va oltre la riflessione di Vanoni. Non si dice se la frattura del rapporto tra tributo e impiego per il “raggiungimento di scopi cui la coscienza giuridica comune rifiuta la qualifica di fini pubblici” legittimi forme di resistenza attiva e/o passiva al tributo. Implicitamente afferma che il problema deve essere risolto a monte e non solo educando il cittadino al dovere etico del tributo, ma, ancor prima, educando il Potere alla sacralità dell’uso del denaro altrui21. Così espressamente, op. cit., p.108 nota 192. Vanoni ricorda che molto si deve sul piano della causa impositionis al Griziotti (ivi, nota 193, p. 109), ma trattasi di dottrina che risale a San Tommaso (ivi, n.193). Si veda sul tema anche A. AMATUCCI, Le fondamenta del vigente principio di capacità contributiva nel pensiero di San Tommaso D’Aquino, in L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, a cura di L. SALVINI e G. MELIS, Padova, 2014, p. 97 e ss. Sulla quadruplice radice causale (causa efficiens, causa finalis, causa formalis, causa materialis) della “giusta” imposta in Alberto Magno e Tommaso D‘Aquino, cfr. G. FALSITTA, Il principio di capacità contributiva, nel suo svolgimento storico fino all’assemblea costituente, in Riv. dir. trib., 2013, I, p. 761 e ss. ed ora in Il principio di capacità contributiva nel suo svolgimento storico prima e dopo la costituzione repubblicana, Milano, 2014, p. 30 e ss. 17 Così, citando Griziotti, ancora Vanoni, op. cit., loc. cit., p.115. 18 Ivi, p.101. 19 Tra queste, quella dell’obiezione fiscale, su cui cfr. l’approfondita analisi di A. TURCHI, Coscienti evasori. Problemi e prospettive dell’obiezione fiscale, ed. F. Angeli, Milano, 2011. Precedentemente, cfr. E. DE MITA, Libertà di pensiero e obiezione fiscale, in Boll. Trib, 1986, p. 69 e ora in Interesse fiscale e tutela del contribuente, cit., p. 521 e ss. 20 Ivi, p. 117. 21 Già nel codice di Camaldoli del 1943 (cit. da E. DE MITA, La funzione del tributo, cit. , loc. cit., pp. 4-5), all’art. 92, si affermava “che il denaro pubblico è inviolabile”. E ancora che “chi disperde, male amministra o chi si appropria di denaro pubblico, pecca contro la giustizia”. 16 ETICA FISCALE E FISCO ETICO Ancorché scrivesse in pieno “ventennio”, il Vanoni segnalava al potere politico il necessario rapporto tra tributo e sfera di interesse comune, tra tributo e suoi limiti, il tutto da valutare alla luce della “coscienza giuridica comune”. Se la “coscienza giuridica comune” non ravvisa il nesso tra tributo ed utilità comune, può avere le più diverse reazioni (attive o passive o elusive), ma comunque – salvo eroismi – resisterà al tributo22. *** Ora, questo che diceva Vanoni sulla causa impositionis, sul nesso tra tributo ed utilità pubblica, sulla necessità di un comportamento etico anche da parte del Potere, sul vaglio della “coscienza giuridica comune”, è esperienza quotidiana. Tutto ciò si riscontra nelle risposte che dà la grande maggioranza delle persone quando è invitata a riflettere sul dovere etico che ha ogni cittadino al tributo. Ho sintetizzato sei tipi di risposte, che espongo senza giudizio di valore, a mero titolo di registrazione dello “spirito del popolo” (o di un certo popolo, che esiste e si comporta di conseguenza): – “pagherei, ma non ho convenienza” (atteggiamento dell’ homo oeconomicus, che non vede al di là del suo ‘io’); – “pagherei, ma cosa fanno del mio denaro?” (emerge la causa impositionis, una denuncia di carenza di etica pubblica); – “pagherei, ma quanto ritorna al nostro territorio?” (approccio che parimenti collega tributo a sfera di interesse pubblico, con in più un atteggiamento autonomistico, che, a sua volta, meriterebbe di essere indagato)23; – “pagherei, ma lo Stato è socio quando guadagno, non è socio quando perdo” (il che fa pensare ad un’etica della coerenza “nella buona e nella cattiva sorte” ed in ogni caso indica una critica ad uno Stato visto solo come “prelevatore” e non come “cooperatore”); – “pagherei, ma chi mi pagherà la pensione” (autogiustificazione in termini di necessità previdenziale); – “pagherei, ma cosa rimane per la mia impresa e per la mia famiglia” (autogiustificazione in termini di responsabilità familiare e di critica all’eccesso di pressione tributaria)24. 22 Le possibili conseguenze di uno “scollamento” tra potere pubblico e cittadino, sono richiamate da M. BERTOLISSI, Rivolta fiscale, cit., p. 53. 23 Su problematiche di equità interregionale, cfr. GI. BERGONZINI, op. cit., p. 163 e ss. 24 Già Vanoni (cit. in E. DE MITA, La funzione del tributo, cit., loc. cit., p. 3) affermava: “l’imposta deve essere sopportabile, non deve essere opprimente, non deve scoraggiare la produzione del reddito e non deve diventare causa tecnica di evasione”. Il tema è ora ripreso Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 23 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO Si noti che tutte queste risposte espongono (agli occhi di chi le ha formulate) una loro giustificazione morale, quasi a conferma che l’uomo non può fare a meno di un proprio codice etico. Giustificazioni, che, da un lato richiamano valori da tutelare (la famiglia, il lavoro, la previdenza de futuro), valori che, paradossalmente, sono anche riconosciuti dalla Costituzione; dall’altro denotano sfiducia o addirittura aperta critica all’uso del tributo da parte del Potere, rottura – appunto – della causa impositionis25. Però questo Popolo è in molti momenti anche capace di generoso coinvolgimento per fini condivisi. Non è insensibile al bene comune, come è anche dimostrato dalla capillare diffusione di tante straordinarie (ancorché silenti) iniziative volontaristiche. Deve piuttosto essere ricostituita fiducia in un comportamento virtuoso nell’esercizio del Potere26. Il cattivo esercizio del Potere ha oggettivamente incentivato27 la diseducazione al dovere etico del tributo28, la resistenza al tributo nelle sue diverse forme29. È quindi un approccio inadeguato al problema, una critica all’evasione tributaria (di per sé giusta, ma) che non vada anche alle radici del tributo, ai suoi fini, ai suoi limiti, alla sua indissolubile correlazione con l’etica della spesa pubblica. Non può predicarsi di lotta all’evasione e dimenticare pari sdegno per la dissipazione del denaro pubblico30. Questo strabismo, per cui si condanna chi non conferisce al bene comune il denaro proprio, ma non si condanna chi tale denaro (e dunque denaro altrui) lo devia dal bene comune (che è moralmente peggio), trascura la causa impositionis e non è “politicamente” adeguato. Non è “politico” in doppio senso: perché è frutto di insufficiente analisi della polis; perché, a causa di ciò, è irrimediabilmente destinato ad una perdurante sconfitta. Bisogna piuttosto convincere la “coscienza giuridica comune” che quanto viene tolto al singolo, alla famiglia, all’impresa, al presente, viene usato per scopi pubblici, di interesse comune, per l’utilità generale31. da E. DE MITA (Nuovo fisco? Tasse giuste, collaborazione vera, in Il Sole 24 ore del 19 gennaio 2016, p. 1 e 35) il quale mette in luce che “nessuna collaborazione può funzionare se il livello delle aliquote non è accettabile”. 25 Sulle ricorrenti autogiustificazioni dell’evasione tributaria, cfr. anche K. TIPKE, Moral tributaria del Estado y de los contribuentes (Besteuerungsmoral und Steuermoral), traduzione a cura di PEDRO M. HERRERA MOLINA, ed. Marcial Pons, Madrid-Barcelona, 2002, pp. 112-121. È questo aureo volumetto che ha ispirato il titolo del nostro convegno. Sulle recenti cause dell’evasione, cfr. anche GI. BERGONZINI, op. cit., p. 120 e ss. 26 È questo ancora l’insegnamento di Vanoni. Si veda in E. DE MITA, La funzione del tributo, cit., loc. cit., pp. 3-4, 11. Citando Vanoni, anche M. BERTOLISSI, Contribuenti e parassiti, cit., pp.31-32, nota 86. Ammonisce ora E. DE MITA, Nuovo fisco?, cit., loc. cit., p. 35 che in ogni caso l’adesione non può essere richiesta a ciò che non è giusto. Quindi le aliquote devono essere sopportabili e questo livello “è stato largamente raggiunto e superato in Italia”. “Se nella collaborazione – continua il chiaro autore – non viene compresa anche l’equità e la sopportabilità, la proposta (del Ministro dell’Economia) diventa una coperta per lasciare le cose come stanno”. 27 “Incentivato”, poiché esiste da secoli nel nostro Paese carenza di “spirito civico” come, già nel 1869, rilevava F. DE SANCTIS, in L’uomo del Guicciardini. Per questa citazione, si rinvia a G. FALSITTA, Profili della tutela costituzionale della giustizia tributaria, in L. PERRONE – C. BERLIRI (a cura di), Diritto tributario e Corte costituzionale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, pp. 121-122. La carenza di “spirito etico” è richiamata anche da E. DE MITA, Introduzione. Una giurisprudenza “necessitata”, ivi, p. XXXV. 28 Sulle interrelazioni tra etica fiscale del contribuente ed etica del Potere fiscale, nei tre aspetti, legislativo, amministrativo, giudiziario, cfr. K. TIPKE, op. cit., passim. 29 Su cui cfr. M. BERTOLISSI, Rivolta fiscale, cit., p. 44 e ss., p. 53. *** *** Si è parlato di un approccio culturalmente limitato e politicamente votato alla sconfitta. E sul piano giuridico? Il discorso deve dunque spostarsi sulla nostra Costituzione. 2. La Costituzione repubblicana non ha taciuto in tema di dovere tributario; e nemmeno si è limitata ad affermare che le imposte debbono essere pagate e che loro fondamento è la legge. Ha voluto piuttosto dare una risposta convincente alla “coscienza giuridica comune” che richiede un collegamento tra tributo ed utilità pubblica. E così leggiamo (non già che tutti sono tenuti ad un dovere tributario asetticamente inteso, ma) che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche”. Il dovere di tutti è un dovere di contribuzione per una spesa di interesse generale. La causa impositionis (in funzione di un bene comune), di insegnamento vanoniano, è assunta a rango costituzionale. Il che significa un monito non solo al contribuente, ma anche al Potere. Al contribuente dice: “sei chiamato a concorrere con la tua capacità personale a quel bene comune che è la spesa effettuata nell’interesse generale”. Al Potere: “quanto ricevi (che era di altri), deve essere indirizzato all’interesse generale”. 30 Sulla dissipazione del pubblico denaro, cfr. M. BERTOLISSI, Contribuenti e parassiti, cit., p. 29 e ss.; idem, Stato sociale e federalismo fiscale, cit., loc. cit., p. 392 e ss. 31 Tutte espressioni usate da Vanoni, op. cit., loc. cit., p. 100. 23 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 24 24 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO È dunque “bipolare” il comportamento etico richiesto dalla Costituzione in materia di tributo: per chi lo paga e (vorremmo dire, ancor più) per chi lo riceve e deve indirizzarlo all’interesse pubblico. *** 3. Concentrandomi nella presente relazione sul primo aspetto (del dovere fiscale del contribuente), questo, come si è detto, non è nella Costituzione italiana meramente affermato (come nella Costituzione giapponese), ma è descritto nel suo contenuto, nel suo indefettibile presupposto, nei suoi fini, nei suoi aspetti qualitativi. È un concorso alla spesa pubblica (all’interesse comune), sul presupposto e “in ragione” della capacità contributiva di ciascuno32. È affermata (come si è detto) la causa impositionis di insegnamento vanoniano, ma è anche affermato quali siano il contenuto ed il significato sostanziale dell’imposta, alla luce di quale principio di giustizia debba essere disciplinata33. Un principio di giustizia – il principio di capacità contributiva – che è ad un tempo fonte di dovere per il contribuente, ma anche limite per il legislatore34. 32 Giustamente quindi rileva Marongiu che non dovrebbe parlarsi di imposta, ma di contribuzione, per denotare l’azione corale, cooperante, verso un fine comune. 33 Sulla essenzialità del principio di giustizia “nella distribuzione dei carichi tra cittadini”, annoverato tra i diritti dell’uomo di cui all’art. 2 Cost. (“la giustizia, in ogni sua forma, resta il primo e il più umano dei diritti costituzionalmente tutelati”), fondamentale il lavoro di approfondimento e ricerca di G. FALSITTA. Per una sintesi del pensiero di tale autore, cfr., da ultimo, Profili della tutela costituzionale della giustizia tributaria, cit., p. 91 e ss., idem; Considerazioni conclusive, in M. BEGHIN – F. MOSCHETTI – R. SCHIAVOLIN – L. TOSI – G. ZIZZO (a cura di) Atti della Giornata di studi in onore di Gaspare Falsitta, , ed. Cedam, Padova, 2012, p. 271 e ss. ed ivi cfr. Presentazione di A. FANTOZZI, p. XV e ss. e La giustizia tributaria nel pensiero di G. Falsitta, di G. MARONGIU, p. 3 e ss. 34 Non posso non ricordare l’insegnamento, sul fondamento etico del principio di capacità contributiva, di K. TIPKE, (Il principio della giustizia tributaria, Relazione tenuta a Padova il 5 maggio 1997, al Convegno organizzato da A. E. S. T. sul tema “Tassazione del reddito. Confronto tra Italia, Germania e Spagna come contributo per l’armonizzazione del diritto tributario in Europa”, p. 116 degli Abstracts, traduzione di M. Pacilio), secondo cui il diritto tributario deve essere un diritto giusto anche dal punto di vista sostanziale (“Gli Stati dell’UE sono Stati di diritto. Non è sufficiente che gli Stati di diritto assicurino la certezza del diritto mediante norme formali; essi devono creare un diritto giusto anche dal punto di vista sostanziale”). L’armonizzazione deve avvenire – ricorda Tipke – anche nel campo delle imposte dirette e secondo un criterio di giustizia fiscale sostanziale. Dello stesso autore, cfr. anche La capacità contributiva come metro di giustizia tributaria, in Riforma o rivoluzione del sistema Fiscale? – Atti della seconda sessione del Seminario Permanente di Etica e Democrazia fiscale, Treviso 7 e 8 giugno 1996, allegato a il fisco, n. 8/99, p. 2715 e ss. A tutti i contribuenti viene detto che la loro capacità contributiva (la loro ricchezza, la loro disponibilità economica) è non solo per sé (per la sfera individuale), ma anche per il bene comune. Il che è una linea sottesa, nella Costituzione, per tutte le diverse “capacità” delle persone35. Emerge, ad esempio, nell’art. 4 (e lo ha ricordato il prof. Marongiu), ove il lavoro è considerato dal Costituente certo come un diritto, ma anche come dovere di solidarietà: dovere di mettere a disposizione del bene comune le proprie attitudini personali. Le attitudini personali sono anche risorse della Repubblica: è un diritto poterne godere, ma è anche un dovere di solidarietà che siano esercitate nell’interesse comune36. Questa duplice funzione , individuale e sociale, delle “capacità”, emerge anche negli artt. 42 e 41 Cost. in tema di proprietà e di iniziativa economica. È significativo: – che la proprietà privata “è riconosciuta e garantita”, ma ha anche una “funzione sociale” (secondo comma dell’art. 42); – che la legge stabilisce “diritti dello Stato sull’eredità” (quarto comma dell’art. 42); – che “l’iniziativa economica è libera” (primo comma dell’art. 41), ma “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata economicamente a fini sociali”. *** 35 Sulla rilevanza che deve essere attribuita al termine “capacità” nell’interpretazione dell’art. 53 Cost., cfr. G. BERTI, Prefazione a E. DE MITA, Interesse fiscale e tutela del contribuente, cit., p. XI. Ivi leggiamo che “la capacità contributiva non è un limite formale e debole, ma è appunto capacità, e cioè un aspetto o un momento della complessa ed unitaria capacità dell’individuo”. E ancora, “essendo capacità, anche quella contributiva non accetta intromissioni arbitrarie, decurtazioni o sconvolgimenti, che danneggerebbero il soggetto nella sua unità. È in ciò che la civiltà fiscale dello Stato deve mettersi alla prova; e cioè non sottomettendo il contribuente a irrazionali e sempre più stringenti ablazioni pecuniarie, ma calibrando pretese e procedure su bisogni collettivi reali e corrispondenti controlli da parte dei cittadini”. 36 Anche su questo punto ci fu intesa, nella prima Sottocommissione dell’assemblea Costituente (la c. d. Commissione dei 75) con Togliatti, il quale il 2 ottobre 1946 affermava che “ogni libertà è fondamento di responsabilità” e che “la libertà in regime democratico è una libertà che mira non a permettere il soddisfacimento dell’arbitrio individuale, ma la pienezza dei valori della persona e la collaborazione positiva dei singoli per la realizzazione del bene comune” (cfr., per la ricostruzione dei lavori della Commissione dei 75, F. OCCHETTA, Le radici della democrazia, ed. Jaca Book, Milano-Roma, 2012, p. 94 e ss., 104). Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 25 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO 4. E perché questa linea di fondo secondo cui le attitudini, le “capacità” (di lavoro, di impresa), le proprietà, sono per sé ma sono anche per il bene comune? Ciò dipende dalla nuova concezione del rapporto tra singoli e Stato. Non è più la concezione di un certo tipo di Stato liberale in funzione di tutela dei diritti di libertà e proprietà dell’individuo; nemmeno è la concezione autoritaria del Ventennio fascista, per cui il cittadino era in funzione dello Stato; nella Costituzione repubblicana (influenzata dal personalismo sociale di Maritain e Mounier, ben noto ad autorevoli protagonisti dell’Assemblea Costituente, come Aldo Moro, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Amintore Fanfani)37, lo Stato è in funzione della persona, non confondibile con l’individuo. Nella concezione liberale classica e neoliberale38, l’individuo – come detto – si caratterizza per i propri diritti di libertà e proprietà e lo Stato è strumento per la tutela di tali (egoistici) diritti. Non così la persona, che è certo portatrice di inviolabili diritti dell’uomo39, ma anche di responsabilità sociale. La persona è “ingaggiata” nella realizzazione del bene comune, perché le sue capacità (intellettuali, economiche, di lavoro, di impresa, ecc.) sono per sé ma anche per gli altri, sono fonte di diritti ma anche di doveri sociali. Nel contempo, e ciò è caratteristica di una visione personalistica, il bene comune, il fine sociale di interesse pubblico, proprio in quanto sprigionano dalla persona e dalle sue capacità, in tanto sono programmabili e realizzabili in quanto sussistano le capacità effettive della persona, idonee a realizzarli. Non dunque a prescindere dalle capacità, perché ciò significherebbe riedizione di Stato autoritario ove i fini del Governante sono imposti ai Governati, siano essi “capaci” o meno di assumerli40. 37 Sul ruolo “demiurgico svolto dai deputati” sopra citati ai fini della formulazione dell’art. 2 Cost., cfr. ora G. FALSITTA, Il principio di capacità contributiva nel suo svolgimento storico, cit., loc. cit., pp. 17-18 e nota 15 a p. 18. Ma si veda anche, dello stesso autore, Considerazioni conclusive, cit., loc. cit., p. 281, ove si parla di “radici cristiane ed italiane dei principi di giustizia tributaria”. In realtà si sviluppa già nella Commissione dei 75 un’intesa di La Pira, Dossetti, Moro con Togliatti e Basso. Intesa che fu promossa anche da reciproca stima (cfr. F. OCCHETTA, Le radici della democrazia, cit., p. 94 e ss.). 38 Su cui cfr. criticamente F. GALLO, Le ragioni del fisco, ed. Il Mulino, Bologna, seconda edizione, 2011, p. 34 e ss. 39 “Che esistono anche a prescindere dallo Stato, come leggiamo retro, nella relazione del prof. G. MARONGIU, par. 11 e in G. FALSITTA, Considerazioni conclusive, cit., loc. cit., p. 281. 40 Nello Stato autoritario, si prescinde non solo dalla condivisione, dal consenso, ma anche dalle capacità di attuazione (come insegna l’esperienza di certe iniziative belliche del ventennio). La centralità della persona, portatrice di diritti inviolabili, ma anche di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, si staglia nell’art. 2 Cost. e si completa nel secondo comma dell’art. 3, ove “il pieno sviluppo della persona umana” è posto come “compito” fondamentale della Repubblica. La Costituzione ha dunque anche una valenza pedagogica41 per il singolo nel suo rapporto con lo Stato: dice che il suo essere persona comporta che sono garantiti i suoi diritti, ma al contempo anche doveri di solidarietà. Ma non doveri di solidarietà acausali: bensì doveri di considerare le capacità proprie come presupposto di un concorso ad un bene comune e dunque se ed in quanto le capacità esistano, se ed in quanto venga realizzato un bene comune. *** 4.1. Esiste nell’art. 53 anche un altro aspetto di etica dell’imposta dal punto di vista del contribuente: definire l’imposta come un “concorso” (un currere cum), implica che l’imposta è un “dovere di riparto”42 per cui quello che non paga l’uno, deve pagare l’altro e quindi, se ci sono gli evasori, ci sono i tartassati43 che pagano anche per i “renitenti alla leva fiscale”44. È immorale (e disgregante l’organizzazione sociale) che ci siano soggetti che hanno capacità contributiva e che, non concorrendo al dovere comune, siano mantenuti nei servizi pubblici da chi ha capacità contributiva minore o minima45. Nell’ambito dei lavori della Commissione dei 75, Moro ebbe ad affermare “che la Carta fondamentale di uno Stato avrebbe dovuto contenere, oltre che norme giuridiche, secondo la tradizione liberale, anche norme programmatiche, ‘perché una Costituzione deve avere anche valore di insegnamento per il popolo.’ ”(cfr. F. OCCHETTA, op. cit., pp. 96-97). 42 Questo aspetto dell’imposta è molto sottolineato da G. FALSITTA (cfr., da ultimo, Il principio di capacità contributiva nel suo svolgimento storico, cit., loc. cit., p. 53 e ss.). Ma confronta anche retro la Relazione del prof. Marongiu, par. 6. 43 È il titolo di un libro di A. PEDONE, Evasori e tartassati, ed. Il Mulino, Bologna, 1979. 44 Si noti il termine “disertare” usato da Vanoni (retro, nota 1). 45 Per analoghe considerazioni, cfr. anche M. BERTOLISSI, Stato sociale e federalismo fiscale, cit., loc. cit., pp. 391-392; GI. BERGONZINI, op.cit. p. 163. Quanto all’effetto di disgregazione politica, cfr. G. MARONGIU (La giustizia tributaria nel pensiero di G. Falsitta, cit., p. 11), il quale osserva: “è già significativa la collocazione dell’art. 53 Cost. tra i rapporti politici (tra il sacro dovere del cittadino di difendere la patria e il dovere di fedeltà alla Repubblica) perché il programma disegnato è volto a creare un ordinato e perequato sistema di ripartizione delle spese comuni all’interno dei membri della comunità in assenza del quale lo Stato comunità non può né nascere né, se nato, sopravvivere”). 41 25 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 26 26 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO A fronte di questa “proporzionalità all’incontrario”46, per cui chi ha meno paga per chi ha di più, sfuma ogni possibile (teorica) giustificazione dell’evasione tributaria. *** 5. Ma nell’art. 53 l’etica del tributo impegna non meno la Parte pubblica47. Quegli stessi principi che costituiscono fondamento del dovere etico del contribuente (la concezione della persona, la capacità della persona per sé ma anche per il bene comune) costituiscono anche garanzia per il contribuente, limite per il legislatore fiscale, dovere etico del legislatore fiscale. Se sopra si è parlato del dovere dello Stato di utilizzare il tributo per “scopi pubblici”48, qui intendiamo invece parlare dei limiti costituzionali dello Stato come legislatore fiscale49. Il legislatore fiscale preleva non da “masse” indistinte, ma da “persone” specifiche ed è vincolato a rispettare il principio di capacità contributiva (di “tutti”) come presupposto, parametro e limite massimo del prelievo. La effettiva capacità contributiva di ciascuno è il punto di partenza, l’imprescindibile fonte del dovere fiscale: la capacità comporta (per chi ne sia titolare) il dovere, ma il dovere presuppone la relativa capacità. Non può dunque parlarsi di “fisco redistributivo” se non con riferimento ad effettive, accertate, attitudini alla contribuzione50. A sua volta, la capacità contributiva non può essere svuotata in fumosi concetti di asserite “capacitazioni” di vantaggio, economicamente valutabili51, ritenute idonee a differenziare un soggetto dall’altro. 46 Richiamando G. Ricca Salerno, G. FALSITTA (op. ult. cit., loc. cit., p. 53) ripropone come fondamentali criteri e principi delle “contribuzioni generali”, quelli della uguaglianza e della proporzione tra i carichi imposti ai cittadini ed i loro averi. La sottrazione al dovere tributario viola entrambi. 47 Sulla stessa linea di pensiero, cfr. retro la Relazione del prof. G. MARONGIU, par. 8. 48 Citando VANONI, op.cit., loc. cit., p. 100. 49 Il prof. K. TIPKE (Moral tributaria del Estado, cit., passim) afferma – come si è detto, retro nota 28 – la necessità di morale fiscale con riferimento ad ogni aspetto del Potere pubblico, normativo, amministrativo, giudiziario. Sopra nel testo si parla solo di alcuni aspetti normativi, mentre gli altri aspetti sono affidati alle altre Relazioni. 50 Si veda G. GAFFURI, Il senso della capacità contributiva, in L. PERRONE – C. BERLIRI (a cura di), op. cit., pp. 25 e ss. 28 – 29. 51 Così F. GALLO, da ultimo in L’evoluzione del sistema tributario e il principio di capacità contributiva, in L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, a cura di L. SALVINI – G. MELIS, ed. Cedam, Padova, 2014, pp. 9-12. L’art. 53 non ha solo funzione di differenziare (tra loro i soggetti); ancor prima ha funzione di identificare quali fatti manifestino capacità a contribuire52. Elementi differenziali che non manifestino capacità di contribuire, non possono assurgere a presupposto del tributo53. Ma ciò non solo per una (peraltro imprescindibile) interpretazione letterale (del termine “capacità”), storica (del principio)54, logica (della sua funzione di garanzia e limite), ma perché è in gioco lo stesso sistema costituzionale partendo dalle sue radici e fonti ispirative. Il sistema, cioè, per cui le capacità della persona sono per sé e per il bene comune (ex art. 4 Cost); e a sua volta il bene comune si attua avvalendosi delle capacità effettive delle persone (e non a prescindere da esse). Il sistema incentrato sulla persona non può decadere in banalizzanti invenzioni linguistiche del tipo beni-capacità, beni-capacitazioni, new properties55, che un’altra 52 Anche A. FANTOZZI (Presentazione, cit., p. XVIII), nelle sue osservazioni di sintesi, conviene “in primo luogo, che si possa pacificamente ritenere il criterio della capacità contributiva ulteriore e non meramente specificativo del principio di uguaglianza inteso come divieto di ingiustificata discriminazione”. Analogamente G. MARONGIU, La giustizia tributaria, cit., loc. cit., p. 12. Ma già in tal senso era ante litteram G. A. Micheli, come ricorda G. PUOTI, Il principio di capacità contributiva nel pensiero di G. A. Micheli, in Studi in memoria di G. A. Micheli, ed. Jovene, Napoli, 2010, p. 27. 53 A. FANTOZZI (op. cit., pp. XXI – XXII), pur non escludendo “che la capacità economica e l’attitudine solidaristica della persona siano rilevabili attraverso un presupposto privo di immediato contenuto patrimoniale”, aggiunge che “deve ammettersi che la razionalità e coerenza del riparto va comunque riferita a presupposti che direttamente o indirettamente rilevino la forza economica e l’attitudine contributiva del soggetto”. 54 Per un approfondito esame storico di tale principio, dalla “germinazione” nella dottrina giusnaturalistica del Medio Evo (con il contributo essenziale di Tommaso d’Aquino) alla filosofia politica del millesettecento, alla dottrina italiana dell’otto e novecento, cfr. ancora G. FALSITTA, Il principio della capacità contributiva nel suo svolgimento storico, loc. cit., p.28 e ss.; per i riferimenti anche all’art. 13 della Dichiarazione del 1789, ivi, p. 24. Ma si veda anche, dello stesso autore, Storia veridica, in base ai “lavori preparatori” della inclusione del principio di capacità contributiva nella Costituzione, in Riv. dir. trib., 2/2009, ora ripubblicato in Il principio della capacità contributiva, cit. p. 92 e ss. 55 Su cui cfr. le incisive osservazioni critiche di G. FALSITTA, Il principio della capacità contributiva nel suo svolgimento storico, loc. cit., p. 8 e ss. Si veda inoltre G. PUOTI (op. cit., p. 45) il quale afferma che “l’evolutività nel tempo del principio di capacità contributiva, mentre può certamente comportare che l’apprezzamento da parte del legislatore di un certo fatto da assumere a presupposto del tributo possa modificarsi, seguendo le evoluzioni dell’economia, della tecnica, delle condizioni sociali e politiche, di modo che vengano individuati nuovi presupposti dell’obbligo tributario, in passato non presi in considerazione, non può certamente significare che si venga così a modificare il significato da attribuire alla capacità contributiva, in qualche modo riducendosene la portata e la rilevanza”. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 27 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO volta umiliano il diritto e dovere della persona di concorrere (sì) alle spese pubbliche, (ma) sul presupposto e nei limiti in cui abbiano capacità dimostranti effettive attitudini a contribuire. Banalizzare un’altra volta i diritti della persona, significa restaurare – nel campo tributario – quello Stato autoritario che la Costituzione repubblicana voleva definitivamente rimuovere ponendo lo Stato in funzione della persona e non viceversa56. *** 5.1. Tutto ciò significa anche che principio di capacità contributiva e principio di eguaglianza tributaria sono due valori giuridici coordinati ma distinti. La capacità contributiva deve essere osservata (in primis e comunque) per il rispetto di ogni singolo contribuente, a prescindere da un giudizio di comparazione (tra contribuenti diversi). L’eguaglianza è garanzia ulteriore e deve assumere a suo parametro di giudizio la capacità contributiva57. L’orientamento interpretativo che: a) assorbe la garanzia del principio di capacità contributiva nella garanzia della eguaglianza; b) non richiede ai fini della capacità contributiva indici effettivi di capacità di pagamento, ma si accontenta di qualsiasi indice di differenziazione, valutabile in denaro; c) ai fini del giudizio di eguaglianza tutto riduce a mero giudizio di ragionevolezza (o di coerenza, congruità, proporzionalità), che poi viene a sua volta ridotto a mero “divieto di arbitrio”, è indirizzo che ignora: aa) il nesso costituzionale tra capacità contributiva (ex art. 53 Cost.) e capacità dell’uomo, fonte di diritti e doveri (ex art. 4 Cost.), bb) tra capacità e persona come valore primario della Costituzione da tutelare per sé e per l’interesse comune (ex artt. 2, 3 secondo comma, 4, 53 Cost.). Orientamento, dunque, a dir poco, culturalmente disattento rispetto alle dottrine sottese alla Costituzione della nostra Repubblica, alle ampie intese che su tali dot- 56 Oscar Luigi Scalfaro (Prefazione a F. OCCHETTA Le radici della democrazia, , cit. p. 13) rileva come “la Persona, così maltrattata dalla dittatura antiumana per natura, ridotta a cosa senza diritti e senza dignità, entra e si pone al centro della nostra Costituzione che nasce soprattutto per servire la Persona, per la sua dignità, per i suoi diritti e i suoi doveri”; e U. Tupini (Presidente della Commissione dei 75) ricorda che il punto di incontro nella varietà dei partiti fu l’uomo e “la ragione per cui le forze di diversa ispirazione sono riuscite a trovare l’intesa di collocare l’uomo al centro dell’ordinamento repubblicano deve ricercarsi nell’avversione all’esperienza fascista, che aveva colpito al cuore l’uomo nelle sue libertà personali, nei suoi diritti naturali” (F. OCCHETTA, op. cit., p. 105). 57 Cfr., retro nota 52. trine vennero trovate tra partiti diversi, alle ragioni storiche dell’affermarsi di tali dottrine nel passaggio dallo Stato autoritario allo Stato democratico, fondato sulla tutela della persona (ex art. 2 Cost.) e indirizzato alla promozione della persona (ex. art. 3, secondo comma, Cost.); orientamento che, in definitiva, si presta a nuove forme di autoritarismo in cui il Potere agisce a prescindere dalle capacità degli uomini. Il nuovo strumento di potere autoritario è l’interesse fiscale che sia fatto operare a prescindere dai diritti della persona58. Quello che prima (nel periodo del ventennio) era l’interesse nazionale, (lì) a fini (ridicolmente) imperiali, ora è l’interesse fiscale, (qui) a fini nobilmente redistributivo-egualitari. Ma il rapporto “singolo-Stato” è impostato in modo non dissimile: l’asserito interesse pubblico prescinderebbe, ancora, dalle capacità delle persone di realizzarlo. La Storia nulla avrebbe spiegato. Ma la Storia nulla può spiegare se, anziché leggere la Costituzione della nostra Repubblica nelle sue premesse di pensiero e nelle sue ragioni storiche, la si legge assumendo a linfa interpretativa una, del tutto estranea, produzione dottrinale di stampo anglosassone, attestata sulla dialettica con i “diritti proprietari” di (superato) stampo liberal-individualistico59. 58 Per una critica al principio di “preminenza dell’interesse fiscale (dello Stato) sul diritto alla giusta imposta (del cittadino)”, cfr. ancora G. FALSITTA, Il principio della capacità contributiva nel suo svolgimento storico, cit., loc. cit., pp. 22-27. “A queste concezioni, miopi e di scarso respiro, che non hanno radice nella vigente Costituzione Repubblicana si deve opporre che la giustizia tributaria è un momento essenziale della giustizia tout court e che nessuna società può vivere in pace se manca la giustizia” (così G. FALSITTA, op. ult. cit., loc. cit., p. 27). Anche E. DE MITA, Introduzione. Una giurisprudenza “necessitata”, cit., p. XXXIV, rileva che talora l’interesse fiscale, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in pratica ha coinciso con la vecchia “ragion di Stato”. Da ultimo, P. BORIA, Il bilanciamento di interesse fiscale e capacità contributiva nell’apprezzamento della Corte costituzionale, in L. PERRONE – C. BERLIRI (a cura di), op. cit., p. 57 e ss., parla, più che di contrapposizione, di “coesistenza – nell’art. 53 – di una dualità assiologica in una stessa regola costituzionale”, di “sintesi feconda, in cui sembrano stemperarsi i profili di netta antitesi tra l’interesse della comunità e l’interesse del singolo associato…” (ivi, p. 57). La “dualità assiologica” è condivisa da chi scrive, purché si riconosca che l’interesse della comunità può (e deve) essere realizzato fondandosi sulle capacità effettive della persona, come risorsa per il bene comune. La “dualità assiologica” non diventi una formula di “bilanciamento”, che, dopo essere teoricamente formulata, schiacci la persona, prescinda dalle capacità della persona (affermando, ad esempio, che può prescindersi, nel bilanciamento, da un limite, minimo e massimo, di imposizione). 59 Partendo da questa dialettica si sviluppa il saggio di F. GALLO, Le ragioni del fisco, cit., p. 44 e ss. 27 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 28 28 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO Lo stampo “liberal-individualistico” dei rapporti tra singolo e Stato non fa parte della premessa culturale della Costituzione repubblicana, impostata piuttosto sulla persona libera e solidale, che deve essere garantita dunque a doppio titolo, sia per i diritti dell’uomo, che la connotano, sia per le capacità di bene comune di cui è parimenti portatrice (artt. 2 e 4 Cost.). Il principio di capacità contributiva è strettamente connesso a tale valore costituzionale della persona: interpretazioni abroganti incidono dunque non semplicemente su una singola regola di giustizia (capacità contributiva), ma su un equilibrio di valori (tra capacità delle persone e bene comune, tra bene comune e capacità della persona) che connota l’intera Carta. *** 6. Lo stesso distacco dalla cultura costituzionale della persona, si nota laddove le spese pubbliche vengono considerate variabile dipendente dalla sola finalità egualitario-redistributiva60. Certo è nello spirito della Costituzione il perseguimento dell’eguaglianza sostanziale (ex art. 3, secondo comma); certo imposte e spese pubbliche possono essere strumento di tale fine costituzionale. Ma, ancora una volta, non “a prescindere da – ”, bensì “sul presupposto di –“. È chiarissimo nell’art. 53 il nesso tra capacità contributiva e spese pubbliche in senso biunivoco. Si è sopra detto con Vanoni: le imposte sono finalizzate a spese che devono essere intese come “pubbliche” secondo la “coscienza giuridica nazionale”; ma anche dette spese pubbliche devono essere rese possibili dalle capacità effettive delle persone e in ragione (e nei limiti) di tali capacità61. In assenza di capacità disponibili, se le capacità sono esaurite, nessuna politica di ulteriore spesa pubblica (ancorché servente a fini di realizzazione costituzionale) è conforme al quadro costituzionale. La Costituzione è sistema di valori coesistenti e dunque, se le spese pubbliche prescindono dalle (già esaurite) capacità delle persone, è violato l’equilibrio di valori costituzionali quale che sia il fine prefisso; sia esso pure il fine dell’art. 3 secondo comma, Cost. Dovrebbe essere finita la cultura dell’andare in guerra ancorché disarmati. 60 Questa tesi è esposta da F. GALLO, op. cit., p. 79 e ss. 61 Su tali profili (presupposto, parametro, limite) cfr., G. GAFFU- RI, op. cit., loc. cit. e, da ultimo, G. MARONGIU, La giustizia tributa- ria, cit., loc. cit., pp. 11-12. Con l’effetto di ritrovarsi su fronti più arretrati rispetto a quelli di partenza. *** 7. Ciò non significa rinuncia alla realizzazione del secondo comma dell’art. 3, ma necessità di un riesame del sistema delle imposte62 e del sistema delle spese pubbliche. Se il primo ha raggiunto un limite non superabile di pressione63 e il secondo – a causa degli infiniti sprechi di ogni tipo – non ha consentito la realizzazione di quel riequilibro economico-sociale che è momento alto (e, a mio avviso, irrinunciabile) della nostra Costituzione, vuol dire che è imprescindibile anche una nuova fase di studio e riforma. Sul piano del sistema tributario, solo un rapido cenno: se il prelievo Irpef proviene in prevalenza dal reddito di lavoro dipendente, il principio di capacità contributiva e il principio di eguaglianza tributaria sono lungi dall’essere attuati. Ma nel contempo non è un sistema che faciliti i due grandi valori costituzionali: il lavoro (artt. 1 e 4 Cost.) e la famiglia (art. 31 Cost.) e ciò in un Paese dalla preoccupante disoccupazione e dalla preoccupante disgregazione sociale. Occorre dunque una nuova stagione di cultura riformatrice del “sistema” tributario (come avvenne con gli studi che portarono alla legge delega del 1971) ma valorizzando (e non rimuovendo) il valore di riferimento costituzionale, la persona e le sue “capacità” (ex art. 4 ). Non è questa la filosofia di fondo della legislazione tributaria degli ultimi decenni che ha invece puntato su “standardizzazioni” di vario tipo, ispirate al “contribuente-massa” e non al “contribuente-persona”. Sistemi che certo semplificano il lavoro dell’amministrazione, ma negano il diritto del singolo ad essere se stesso, ad essere atipico64 e a concorrere in ragione della identità propria; sistemi di giustizia sommaria che acuiscono atteggiamenti di dissenso e resistenza ad un Fisco sentito come controparte avversa. *** 62 Rileva E. DE MITA, Nuovo fisco?, cit., loc. cit., p. 35 che “è l’intero sistema tributario che è organizzato in modo da non consentire l’auspicio che tutti paghino per pagare di meno”. 63 Sulla “preoccupazione” che l’eccesso di pressione fiscale possa contribuire ad accrescere il fenomeno evasivo, cfr. GI. BERGONZINI, op. cit., p. 172. 64 Si vedano le citazioni di Einaudi e Jemolo nei passaggi finali della Relazione di Marongiu. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 29 ETICA FISCALE E FISCO ETICO DOTTRINA 8. Concludendo, a fronte di un enorme deficit di consenso fiscale da parte dei contribuenti, esiste un deficit non minore di attuazione dei principi costituzionali da parte del Potere pubblico nel realizzare i valori di giustizia della Costituzione repubblicana, a partire dal rispetto della persona (che non è uomo-massa) e dunque dal rispetto delle sue specifiche “capacità”. E certo questo deficit è concausa del primo65. Ripartiamo dunque dall’etica dello Stato nell’esercizio dei poteri fiscali (legislativo, amministrativo, giudiziario) e dall’etica della spesa pubblica, che già per la scuola di Pavia (e da ultimo per Vanoni) era la causa giustificatrice del potere di imposizione, senza la quale il Fisco non significa “contribuzione”, ma “appropriazione”, non significa esercizio di democrazia, ma ritorno all’autoritarismo. Se l’etica, promossa dalla Parte pubblica, diventerà cultura condivisa e costume, sarà una potente risorsa (di volontà e azione), che ci consentirà di uscire da questa crisi epocale66. È in occasione delle grandi sfide che il nostro Paese è cresciuto. È dopo l’umiliazione della dittatura che risorse con la Costituzione del 1948. Ora siamo in un altro passaggio di estrema difficoltà. Ne possiamo uscire, ancora una volta avanzando, se i valori della Costituzione diventano l’identità, non solo proclamata ma anche attuata, del nostro essere italiani67; se diventiamo popolo (ex art. 1 Cost.), che decide di riconoscersi nella convinta difesa, a tutti i livelli, degli interdipendenti valori di libertà e responsabilità che ci sono stati consegnati. 65 Così anche MARONGIU, retro, La concezione etica del tributo, par. 8. Peraltro, reciprocamente, sull’evasione come fattore alterante, oltre che la concorrenza, la legislazione e l’accertamento tributari, cfr. G. FALSITTA, Considerazioni conclusive, cit., loc. cit., p. 274. 66 Si veda ancora U. VINCENTI (op. cit., p. 19) sulla necessità, per una Repubblica, di un ethos diffuso di sensibilità e lealtà per “l’interesse generale che esige di essere rispettato”. Il ritorno ad uno “spirito civico” è invocato anche da G. FALSITTA (Profili della tutela costituzionale, cit., loc. cit., pp. 121-122). 67 Per la necessità di un nuovo “patto costituzionale tra Stato e contribuenti”, cfr. GI. BERGONZINI, op. cit., p. 178. 29 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 30 30 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO L’etica dell’amministrazione finanziaria fra responsabilità e autotutela di Massimo Basilavecchia 1. Si premette che il tema viene trattato limitatamente alle problematiche che investono l’Agenzia delle entrate, la cui presenza è sempre più dominante nell’ordinamento tributario, dopo l’assorbimento in essa dell’Agenzia del territorio. Per introdurre il tema, che potrebbe avere implicazioni vastissime, non posso che citare il nostro Presidente Anti Gianni Marongiu, che in due occasioni ha colto aspetti essenziali delle difficoltà in cui si imbatte il lavoro, essenziale, dell’ Agenzia. La prima è tratta dalla sua relazione al Congresso Anti di Milano (2013, pubblicata sul numero 1/2014 di Neotera, p.4), e riguarda il cambiamento di prospettiva che sarebbe stato determinato dalla aziendalizzazione dell’Agenzia; citando criticamente il ricorrente uso di termini appunto aziandalistici (manager, target, budget), egli rivendicava la necessità di continuare ad inquadrare l’azione (e i soggetti) dell’Agenzia in termini pubblicistici, valorizzando il ruolo di attuazione della legge cui l’Agenzia è preposta e la vincolante immanenza dei principi costituzionali quali l’art. 53 e l’art. 97 (con conseguente ineludibilità di un’azione amministrativa mirata all’attuazione del concorso alle spese pubbliche in base alla capacità contributiva e regolata da efficienza, ma anche da imparzialità e da buon andamento). La seconda riguarda invece un intervento estivo sulla stampa quotidiana1, con il quale veniva richiamata l’attenzione sulla necessità che l’azione dell’Agenzia trovi una guida politica in un referente ministeriale ben preciso: criticando la soppressione del Ministero delle finanze, si osservava come non sia sufficiente la delega del settore ad un vice ministro o ad un sottosegretario, per governare in modo efficace ma imparziale la politica fiscale (che non conclude il suo raggio di azione con la sola progettazione delle norme, ma comprende anche il governo della effettiva attuazione dei tributi). 2. Dai due richiami ora citati emerge l’essenza dei problemi che investono l’Agenzia, nel suo ruolo istituzionale, e che hanno trovato l’esito lacerante nella sentenza Marongiu G., Agenzia da salvare, ma al Fisco serve anche un Ministero, in ilsole 24ore 14 luglio 2015. 1 della Corte Costituzionale n. 37 del 2015, che come noto ha invalidato le leggi che hanno consentito o procrastinato l’attribuzione di incarichi dirigenziali senza concorso. La sentenza, infatti, al di là della condivisibilità o meno della visione adottata, ha inteso richiamare tutti alla realtà di un’amministrazione pubblica che, per quanto ispirata da criteri di flessibilità e da logiche appunto manageriali, resta pur sempre soggetta alle regole costituzionali dell’art. 97 Cost., in tema di accesso all’impiego e di progressioni di carriera. A mio avviso, l’esito non poteva essere diverso, vista la concreta strada intrapresa dalla riforma che ha introdotto le agenzie fiscali nella pubblica amministrazione, con la legge n. 300 del 1999; il modo in cui l’istituzione delle Agenzie è stata intesa e attuata, il self restraint del residuo apparato ministeriale rispetto al dilagare delle competenze dell’Agenzia, hanno certamente impedito che quest’ultima possa essere intesa come un’istituzione privatistica, deputata solo all’accertamento e alla riscossione dei tributi. L’Agenzia è in realtà diventata essa stessa il Ministero che non c’è più, e questa trasformazione espansiva è rivelata soprattutto da due elementi, dal fatto che essa abbia sostanzialmente monopolizzato la funzione di interpretazione della norma tributaria, e che sia stata in questi anni troppo spesso il motore propulsivo, o invece l’ostacolo insuperabile, dello stesso esercizio della funzione legislativa2. Cito, fra i fenomeni più significativi, il fatto che una parte di assoluto rilievo della normativa tributaria secondaria viene ora emanata non più attraverso provvedimenti del ministro o della dirigenza ministeriale, ma mediante atti promananti dall’Agenzia stessa; e che è sempre più frequente che disposizioni interne di carattere organizzativo abbiano rilevanza esterna, potendo incidere sulle competenze degli uffici e, in definitiva, influire sulla stessa competenza territoriale delle commissioni tributarie. 2 Il dibattito sulla stampa quotidiana è stato vastissimo: cito ad esempio i contributi del Direttore dell’Agenzia, Orlandi, “Senza merito e competenze l’Agenzia perde in qualità”, in ilsole 24ore 12 luglio 2015, e del Sottosegretario all’Economia Zanetti, Le agenzie non sono aziende, ivi 11 luglio 2015. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 31 ETICA FISCALE E FISCO ETICO Se forse era possibile ipotizzare (ma non credo) una diversa qualificazione dell’Agenzia ove a quest’ultima fosse stato conservato il ruolo che appariva l’obiettivo della riforma del 1999, cioè quello di assumere, con maggiore elasticità gestionale, il compito di braccio esecutivo più efficiente nelle fasi di accertamento e di riscossione dei tributi, la riaffermazione piena della soggezione dell’Agenzia al complesso delle regole riservate dalla Costituzione alle pubbliche amministrazioni è invece apparsa alla Corte Costituzionale inevitabile dopo una evoluzione che ha fatto, praticamente da subito, dell’Agenzia il successore – quasi – a titolo universale del Ministero a sua volta assorbito; con una commistione di funzioni diverse che si tocca con mano: da un lato in una legislazione troppo spesso ispirata dall’Agenzia, e soltanto dall’Agenzia interpretata; dall’altro nella constatazione che spesso, quando è chiamata a svolgere i suoi compiti essenziali di accertamento, l’Agenzia si senta in un certo senso autorizzata a interpretare le norme nel modo che è più funzionale al raggiungimento dei suoi obiettivi quantitativi. È bene ricordare che, per prassi costante, anche se non tradotta in norme di diritto positivo, le pubbliche amministrazioni non sollevano mai, nei processi, questioni di legittimità costituzionale: esse cioé sono chiamate alla difesa dei propri atti sulla base della legislazione esistente, senza poter attaccare le norme di legge. Ora, se una pubblica amministrazione, quale l’Agenzia è, non può denunciare l’incostituzionalità di norme di legge, non è nemmeno ipotizzabile che, in sede di attività amministrativa attuativa delle norme, possa ridurne la portata applicativa o procedere a vere e proprie – anche se non esplicite – disapplicazioni; che invece, per esperienza comune, sono ad esempio frequenti, soprattutto in materia di verifica dei requisiti per agevolazioni. In questo senso, l’accesso ai ruoli delle pubbliche amministrazioni, e la stessa progressione di carriera, sono momenti essenziali che devono garantire la possibilità per ogni aspirante di raggiungere la carica pubblica cui ambisce: si realizza così la premessa fondamentale per l’imparzialità, che è tanto più importante per un corpo amministrativo che ha un compito assai simile a quello della magistratura. Ma certamente, sul piano organizzativo, gli effetti della sentenza n. 37 sono difficili da governare: perché all’applicazione rigida delle regole del concorso pubblico, cui dopo la sentenza si è richiamato anche, con accentuata rigidità, il Consiglio di Stato, si contrappone l’esigenza di non mortificare professionalità che negli anni hanno dato un contributo innegabile all’azione dell’Agenzia. DOTTRINA 3. Quale il nesso con il tema dell’etica? Vi sono delle incongruenze nell’attuale ruolo ordinamentale dell’Agenzia, che però, temo, a breve termine non mi sembrano ragionevolmente superabili: ma proprio la situazione attuale costituisce un valido motivo per pretendere, da un’amministrazione pubblica quale l’Agenzia è, un rigoroso rispetto della Costituzione e delle leggi, pur dovendo essa esercitare i propri compiti di recupero del gettito sottratto a tassazione con la necessaria fermezza e, se vogliamo, con aggressività. Personalmente, direi che l’etica della funzione deve essere essenzialmente espressa dal pieno rispetto delle leggi e dalla assunzione delle responsabilità connesse alla attuazione delle stesse. L’amministrazione finanziaria non deve cioè crearsi una propria “etica del tributo”, che magari la porti a sentirsi autorizzata alla stessa disapplicazione delle leggi, ma deve dare attuazione nel senso più completo alla legislazione esistente, la trovi o meno funzionale alla realizzazione dei propri obiettivi. Non deve mai cercare un proprio nucleo di valori, per quanto apprezzabili, che non sia stato posto a base di norme di legge. In questa conformazione (potremmo anche dire subordinazione) dell’azione amministrativa alla legge, dell’amministrazione al legislatore – che è ovvia, ma che non è mai inutile ribadire – a mio avviso si risolve la questione dell’etica dell’azione dell’amministrazione finanziaria. L’agire etico è quello che assume a proprio principale obiettivo il rispetto della Costituzione e delle leggi, anche di quelle non gradite o non condivise; e che, sul piano della produzione delle norme, limita il proprio intervento alla costruzione di una proposta, che spetta però solo al politico valutare, al fine di una traduzione in disciplina normativa. 4. Se si condivide questo prima conclusione, ecco che – in astratto – i due sottotemi della relazione, ossia la responsabilità e l’autotutela, possono essere agevolmente inquadrati. Responsabilità vuol dire, in primo luogo, svolgere senza timori un ruolo che, pur condizionato da “target” e “budget”, è e resta quello di dare attuazione alla legge, senza sottrarsi alla difficoltà di compiti interpretativi, e senza timore di dare applicazione anche alle norme che consentono una definizione concordata della base imponibile. Come i provvedimenti attuativi della delega ci dimostrano, la funzione stessa di accertamento sta cambiando: sempre più spesso l’accertamento si farà insieme, tra amministrazione e contribuente, e i ruoli rigidamente distinti di chi dichiara e di chi, dopo la dichiarazione, controlla e reprime, cedono il passo ad una dinamica relazionale molto più complessa, flessibile, che po- 31 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 32 32 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO trà essere gestita solo da un’amministrazione che non abbia remore e timori nel fare delle scelte valutative. Sotto questo aspetto c’è moltissimo da fare, soprattutto perché, ad una soddisfacente consapevolezza dell’Agenzia a livello centrale (vi sono circolari, soprattutto sulle metodologie di controllo, quanto mai apprezzabili per la limpidezza dei criteri direttivi espressi), non corrisponde una soddisfacente presa di coscienza a livello periferico. Là dove troppo spesso continua a prevalere una logica dilatoria, elusiva della responsabilità, poco incline a riconoscere errori e ad assicurare un dialogo semplice ed efficiente al contribuente, troppo condizionata da timori ingiustificati quando le valutazioni sono assunte in buona fede. Spesso, anzi, nel quotidiano agire degli uffici, quello che appare dominare è la tendenza a evitare faticose opere di riesame (ad es., su pp.vv.cc. che pure appaiano obiettivamente minati da vizi formali o di merito) e a concentrare la propria energia produttiva solo sulle attività che permettono di raggiungere il budget fissato a livello aziendale. E questo non può essere consentito. Questo è un aspetto esemplare di quanto può essere utile la politica, intesa come guida strategica all’attività 5. Cosa si aspetta il contribuente, cosa si aspetta l’ordinamento stesso, da un’amministrazione finanziaria che abbia un’ispirazione etica nella sua azione? La prima aspettativa, come detto, attiene al rigoroso rispetto della legge nella propria azione, senza che valori extralegali vengano sostituiti o introdotti4. Le altre, che non sono che un corollario della prima, attengono alla esecuzione inmediata delle sentenze, alla capacità di dialogo con il contribuente (artt. 10 e 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente, e nuove forme di compliance), alla capacità di riesaminare e rivedere i propri atti, alla capacità di condurre le procedure “concordate” assumendo posizioni giuste e imparziali, non influenzate dal timore delle responsabilità interne5. Sul tema, Gioé, Profili di responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Padova 2007; nonché Rossi P. (a cura di), La responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Milano 2009, volume collettaneo nel cui ambito diverse ipotesi di responsabilità dell’amministrazione finanziaria sono accuratamente vagliate. Si ritrova questa aspirazione, in termini testuali, nel bel contributo di Coelho Pasin, Derecho tributario y etica, Buenos Aires 2010, 180. 5 In una parola, l’amministrazione etica è quella che assicura la soddisfazione del diritto ad una buona amministrazione, su cui vs. Pierro, Il dovere di informazione dell’amministrazione finanziaria, Torino 2013. Forse al clima ambientale sereno allude la curiosa espressione “benessere organizzativo” che compare, a proposito delle Agenzie fiscali, nel comma 3 dell’art. 4-bis del d.l. n. 78 del 2015 sugli enti locali, come convertito dalla legge n. 125 del 6 agosto 2015. dell’amministrazione, ad esempio inserendo le attività di riesame, che pure sono “passività” in senso aziendalistico, tra quelle che, se ben condotte, concorrono al raggiungimento del target e giustificano l’utilizzo del budget. Credo che questa sia anche la chiave per spiegare quando, nei confronti dei contribuenti o dei terzi, l’amministrazione finanziaria sia chiamata ad una responsabilità risarcitoria3. 4 3 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 33 ETICA FISCALE E FISCO ETICO DOTTRINA ‘Etica’ e ‘interpretazione’ del e nel diritto tributario1 di Marco Versiglioni I SIGNIFICATO E CONCETTO DI ‘ETICA’ I.a. Indagine svolta dall’interno del termine (cos’è l’‘etica’?) I.a.1. Premessa terminologica. Se si osserva il termine “etica” alla luce del significante etimologico se ne ricava il significato di «comportamento consueto (= abitudinario o usuale)». Altro significante è (il fatto) che nei settori giuridici di riferimento (ivi compresi quelli storici, filosofici e teoretici) questo significato è di uso comune tra gli operatori o gli studiosi, e dunque può ritenersi proprio. Dalla condivisione di questi significanti e di questo significato consegue, poi, che tale termine è neutro rispetto alla scala valoriale, ossia né buono, né cattivo, né giusto, né ingiusto, né positivo, né negativo. Insomma, l’‘etica’, almeno nella prospettiva giuridica che qui s’intende sviluppare, è cosa ben diversa, e che va tenuta distinta, dalla morale. D’altro canto, se nei settori giuridici di riferimento parlare di etica implica fare un discorso sugli usi, i costumi e le abitudini dell’uomo, allora, ai fini dell’individuazione del concetto che si tenterà di illustrare, occorre separare, appunto sul piano concettuale, i comportamenti usuali di tipo intenzionale dai comportamenti di tipo innato (escludendo, però, da questi ultimi quelli meramente fisiologici, qui invero non rilevanti, come, ad es., la digestione di ciò che si è mangiato). 1.a.2. ‘Etica’ e norma: la normatività. In effetti, nel diritto, anzi proprio nel diritto, rilevano particolarmente i comportamenti che gli appartenenti a un gruppo sociale sentono di dover tenere in risposta a segni o accadimenti che, talvolta, sono già conosciuti da tutti, senza bisogno di alcuna ulteriore riflessione e che, in altri casi, invece, possono essere conosciuti soltanto tramite congetture (umane o predeterminate dalla legge). Testo della relazione presentata dall’autore al convegno che l’ANTI ha organizzato sul tema “Etica fiscale e fisco etico” e che si è svolto in Ancona in data 9 ottobre 2015. Le parole tra ‘apicetti’ individuano concetti elaborati dall’autore, le parole tra «sergentini» fissano concetti tratti dalla letteratura in materia e le parole tra “virgolette” seguono l’uso comune. 1 Del resto, il termine norma evoca il comportamento normale; perciò l’’etica’, se osservata nel suo futuro, ha certamente in sé un’attitudine e una forza normativa. Dunque, il sostantivo è sinonimo di norma e l’aggettivo specifica un particolare tipo di norma giuridica (ossia la ‘norma etica’) o di disposizione giuridica (ossia la ‘disposizione etica’), di cui si dirà meglio qui di seguito. 1.a.3. ‘Etica’ e logica: la ‘normalità etica’. Oltre questo carattere deontologico, che si svela nella proiezione di sé nel futuro che l’uomo si attende, l’‘etica’ presenta anche un carattere ontologico, che si svela, invece, nella proiezione di sé nel passato a essa storicamente contestuale. L’‘etica’ è, infatti, fondamentale sul versante logicoinferente perché costituisce uno dei (due) tipi del ponte indispensabile per spiegare e applicare la disposizione, ossia la normalità. ‘Etica’ e normalità, nello svolgersi nel tempo, sono in stretta interazione reciproca: ciò che in un certo contesto storico l’uomo fa normalmente diviene etico e, quasi nello stesso tempo, ciò che diviene etico fa la normalità. Ecco, dunque, l’etica normale e la ‘normalità etica’, ossia il comportamento normale dell’uomo nell’ambiente storico, sociale ed economico in cui vive, ambiente questo, ovviamente in continua evoluzione. Evidente è il riferimento a ponti logici, noti ai giuristi, quali l’id quod plerumque accidit, il senso comune, il buon senso, la diligenza del buon padre di famiglia. 1.a.4. ‘Etica’ e logica: ragionevolezza, retorica e argumentum. Il carattere etico sembra allora il carattere più idoneo a unificare quel millenario modo di interpretare che vive ancora oggi sia nella dottrina, sia nella giurisprudenza, in particolare della Suprema Corte di Cassazione, e che, tra l’altro: basa l’applicazione del diritto sulla ragionevolezza (tipica degli ordini procedurali isonomici); sceglie la soluzione del caso concreto in chiave retorico-dialettica (estendendo al massimo il ruolo del contraddittorio); deduce (o giustifica) la decisione mediante l’argumentum (valorizzando particolarmente la non contestazione). 33 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 34 34 DOTTRINA I.b. Indagine svolta dall’esterno del termine (cosa non è l’‘etica’? Cosa c’è oltre l’‘etica’?) I.b.1 ‘Scienza’ e norma: la normatività. Il contesto in cui il diritto nasce, vive e muore è influenzato o determinato anche dalla natura e dalle leggi naturali. Dunque, anche il ripetersi delle cose di natura ha un valore normativo. Un dado ben fatto di sei facce lanciato un milione di volte mostra, oggi, così come avrebbe mostrato al tempo di Aristotele, circa 166.666 volte la faccia uno e così, parimenti, ciascuna delle altre facce. D’altro canto, anche chi avesse dimostrato, con cinque ponderosi volumi pieni di argomenti, l’inesistenza della gravità terrestre, e volesse porre quei volumi su una mensola idonea a evitarne la caduta a terra, sarebbe comunque (consapevolmente) “obbligato” a trovarne una che fosse, però, atta a sostenerne il peso. Dunque, anche il sostantivo ‘scienza’ è sinonimo di norma e, così pure, l’aggettivo scientifica specifica un particolare tipo di norma giuridica (ossia la ‘norma scientifica’) o di disposizione giuridica (ossia la ‘disposizione scientifica’), di cui si dirà meglio qui di seguito. 1.b.2. ‘Scienza’ e logica: la probabilità. Se si muta la prospettiva di riferimento, se cioè si volge lo sguardo al passato, allora appare subito evidente che anche la scienza (così come l’etica) ha in sé un intimo carattere ontologico. Segno ne è che l’uomo giuridico, quando s’interroga su come siano andate le cose che non sono passate sotto i suoi occhi, se è possibile, ricorre a essa. In effetti, la scienza offre l’altro tipo di ponte logicoinferente indispensabile per trovare la soluzione del caso concreto, ossia la probabilità. Le differenti tipologie di probabilità rilevanti in ambito giudiziario individuate dalla dottrina prevalente e, soprattutto, dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sono, in effetti, il prodotto della scienza. Così accade sia per la probabilità quantistica (o frequenziale), sia per la probabilità logica (prevalente). 1.b.3. ‘Scienza’ e logica: razionalità, sillogismo e experimentum. In definitiva, alla concezione del diritto basata sull’etica (intesa come prodotto artificiale dell’uomo) si contrappone in modo vigoroso, da millenni, la concezione del diritto che pone invece al centro del discorso ciò che, secondo le scienze, è in natura (intesa come prodotto inartificiale). ETICA FISCALE E FISCO ETICO Questa diversa concezione si basa, tra l’altro, sulla razionalità (in luogo della ragionevolezza), sul sillogismo (in luogo della retorica) e sull’esperimento (in luogo dell’argomento). Perciò, essa, in ossequio all’ordine procedurale di tipo «asimmetrico», e in netta contrapposizione con la concezione basata sull’ordine «isonomico», svaluta sia il ruolo del contraddittorio, sia quello della non contestazione. II SIGNIFICATO E CONCETTO DI ‘INTERPRETAZIONE GIURIDICA’ II.a. Premesse, metodi e tesi tradizionali II.a.1. Descrizione dei tre elementi strutturali (critici). In effetti, se, per sintetizzare e semplificare massimamente il discorso, si escludono le correnti di pensiero in tutto o in parte di matrice scettica, si nota che l’interpretazione giuridica, nelle sue diverse accezioni (filosofiche, filosofico-giuridiche e teoretico-generali), è stata storicamente oggetto di un acceso dibattito concettuale tendenzialmente duale. Chi costruisce il concetto di interpretazione giuridica sulla “razionalità” del ragionamento giuridico da sempre si contrappone a chi struttura invece il concetto di interpretazione giuridica sulla “spiritualità” del ragionamento giuridico. Questa dialettica millenaria (riaccesa negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso) si articola su vari elementi strutturali. L’economia di questo discorso consente di esaminarne tre. A. In primo luogo, lo scontro, se così si può chiamare, vede opposti due distinti ideal-tipo di uomo giuridico, ciascuno dei quali tende a prevalere sull’altro e a porsi come ideal-tipo generale e assoluto. B. In secondo luogo, il dibattito segue, dal suo inizio, la previa adozione di un metodo, comune alle due parti contendenti, che pone la filosofia a monte dei discorsi sull’interpretazione giuridica; discorsi che, a cascata, sono poi elaborati a valle dalla filosofia del diritto, dalla teoria generale del diritto e dalle dogmatiche di settore. C. In terzo luogo, l’ambiente generale condiviso in cui il dibattito origina e si alimenta è caratterizzato dalla nota premessa filosofica che il diritto è, in sé, senza verità perché, come affermato da Hobbes: «è l’autorità e non la verità a fare il diritto». Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 35 ETICA FISCALE E FISCO ETICO II.a.2. Decostruzione e superamento di tre elementi strutturali (critici) presenti nella dialettica tradizionale. A) L’inevitabile compresenza reale di etica e scienza. Innanzi tutto, la dialettica tradizionale sembra scontare l’insuperabilità della mera astrattezza, destinata a rimanere tale, del suo ideal-tipo di uomo giuridico; ossia l’irrealtà e l’irrealizzabilità di un uomo giuridico mono pensante (o tutto etico o tutto scientifico). In effetti, basta osservare le norme giuridiche esistenti alla luce delle premesse sin qui esposte per ricevere evidenza della reale e inevitabile compresenza nel diritto di etica e scienza e, anzi, per prendere atto della loro continua interazione. Pare semmai mancare, nella dogmatica tradizionale, un modello giuridico in grado di spiegare (e/o regolare) questo confronto tra due opposte concezioni sia del diritto astrattamente inteso, sia delle sue concrete applicazioni (diritti, obbligazioni etc..). Perciò, abbandonata l’idea, risalente, di un loro insanabile e imperituro contrasto, e dunque lasciata la via che conduce a ragionare sull’evoluzione degli ordinamenti allo scopo di individuare quale sia (o sia stato) in un dato contesto storico l’ideal-tipo vincente e dominante, pare invece utile tentare di trovare il modello positivo, che c’è, da cui estrarre le regole e i principi tesi ad assicurare (sul piano logico e sul piano normativo) la pacifica e paritaria convivenza ordinamentale di ‘scienza’ e ‘etica’ (senza vinti e vincitori, senza dominati e dominatori). B) L’inversione metodologica. La metodica tradizionale (che pone a premessa della teoria dell’interpretazione della norma giuridica concetti propri della filosofia o della filosofia del diritto) non pare né propria, né utile. Per un verso, logica vuole che la premessa alla teoria dell’interpretazione delle norme giuridiche debba essere ricavata necessariamente, o almeno prioritariamente, dalle disposizioni giuridiche, dal loro testo, dal loro contesto, dalla loro natura, dalla loro struttura, dalla loro tipologia. Per altro verso, al carattere prevalentemente ideale della filosofia si oppone il carattere prevalentemente pratico del diritto; perciò, mentre può essere assai utile al filosofo indagare la puntualità nella sua pura idea, priva di dimensione, tutto ciò è invece quasi completamente inutile nel diritto, laddove la puntualità si concreta utilmente, ogni giorno miliardi e miliardi di volte, nella sua dimensione pratica approssimata. Anzi, basta constatare il numero (altissimo) delle attuazioni spontanee del diritto per dedurre da ciò che l’odierno ‘diritto di massa’, ossia il ‘diritto spontaneo’, costituisce grandissima parte degli ordinamenti moderni proprio perché prescinde dall’approssimazione. DOTTRINA C) La non attualità del dogma hobbesiano: l’esistenza di ‘diritti con verità’. Se poi si osservano gli attuali ordinamenti giuridici nel loro rapporto con la verità, si nota che oggi, in molti settori del diritto, il dogma hobbesiano non è più attuale e anzi accade esattamente l’opposto di quanto affermava Hobbes. Posti in disparte alcuni casi anormali e ancora in evoluzione, la stragrande maggioranza dei legislatori moderni non può scegliere liberamente il diritto – neppure nei paesi privi di una costituzione scritta –. Perciò, oggi, la maggior parte di ciò che è contenuto in ogni ordinamento giuridico è costituito da disposizioni ‘con verità’, ossia da disposizioni che, diversamente dalle altre (‘senza verità’), sono valide se vere, ossia se corrispondenti a parametri che sono loro esterni (costituzionali, comunitari, internazionali etc.) e, invece, sono invalide se false, ossia se non corrispondenti a quei parametri. Perciò, è corretto, perché conforme a diritto positivo, espungere da ogni discorso sull’interpretazione giuridica l’infinita miriade di “...ismi filosofici” e inserire, invece, a monte di esso, i fatti e le ragioni (laddove possibile, le cause) che le disposizioni incorporano, cioè i parametri interni di confronto che concorrono a determinare la verità (o la falsità) di ogni ‘disposizione con verità’. II.b. Ipotesi ricostruttiva del concetto di ‘interpretazione giuridica’ II.b.1. Premessa metodologica. Analizzando gli elementi intorno ai quali le disposizioni sono costruite e i parametri con cui tali elementi “devono” di volta in volta confrontarsi, possono individuarsi diversi tipi di disposizioni e di parametri di confronto. D’altro canto, esaminando la letteratura in materia di ragionamenti giuridici interpretativi (o probatori), è parso sorprendentemente sottovalutato il ruolo che, sia nell’attività sia nei risultati del ragionare, ha svolto sinora il collegamento tra i tipi del ragionamento giuridico interpretativo e i tipi delle disposizioni suscettibili di divenire oggetto del ragionamento giuridico interpretativo. In realtà (in specie, in un ‘diritto con verità’), quel collegamento pare esistere e, anzi, sembra rilevare in termini di efficacia giuridica vincolante; ciò significa che qualunque tentativo di ricostruzione del concetto di interpretazione giuridica non può prescindere da esso. In effetti, procedendo nell’ordine, è emerso in primo luogo che le disposizioni giuridiche possono essere ricondotte a distinti tipi e a distinte tipologie. 35 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 36 36 DOTTRINA II.b.2. Tipi e tipologie di disposizioni. In primo luogo si annoverano, per prevalenza quantitativa ordinamentale, le ‘disposizioni etiche’ (quali, ad. es., quelle che si riscontrano nella disciplina della determinazione della sanzione tra un minimo e un massimo dati dalla legge, del valore venale, della grave incongruenza, dell’abuso del diritto, e così via dicendo). Le ‘disposizioni etiche’ incorporano ‘temi etici’ (di fatto o di diritto), ossia temi i cui significati mutano nel tempo in funzione dei mutamenti sociali ed economici del contesto e la cui applicazione implica, anche per questo, il confronto dialettico. Tali disposizioni sono riconducibili a due distinte tipologie: ‘controvertibili entro limiti certi’ (ad es. la determinazione di una sanzione). Si tratta delle disposizioni aventi più o infinite soluzioni, tutte giuste anche se diverse tra loro, perciò accertabili, anche se in via intervallare, mediante ricorso alla discrezionalità interpretativa (o probatoria) nota anche come logica “fuzzy” (= ‘indisponibilità etica intervallare’); ‘controvertibili all’infinito’ (es. la determinazione del valore venale). Si tratta delle disposizioni prive di soluzioni predeterminate, dunque non accertabili, neppure in via intervallare, ma solo componibili mediante ricorso alla ‘equità etica’, ossia la ‘reciproca e equi-proporzionale minimizzazione del male’ conseguente all’incertezza, obiettiva e non accertabile, del testo (=‘indisponibilità rovesciata’). In secondo luogo, e in minor misura, si annoverano le ‘disposizioni scientifiche’ (quali, ad es., quelle che determinano la base imponibile facendo riferimento al numero dei cavalli di un’autovettura o alla superficie di un terreno, o al grado di parentela). Le ‘disposizioni scientifiche’ incorporano temi scientifici (di fatto o di diritto), ossia temi in cui significati sono immodificabili o tendenzialmente stabili nel tempo e, in quanto inartificiali, la loro applicazione non implica, anche per questo, il confronto dialettico. Tali disposizioni sono riconducibili a due distinte tipologie: ‘logicamente non controvertibili’ (ad es., le parti di testo che prevedono la somma di due entità numeriche). Si tratta delle disposizioni che hanno un’unica soluzione predeterminata dalla legge, priva di arrotondamenti, perciò sempre accertabile senza alcuna interpretazione perché in sé (in claris non fit interpretatio = ‘indisponibilità ideale’); ‘in pratica non controvertibili’ (ad es., la disposizione che considera il numero dei cavalli di un’autovettura come base imponibile del tributo). Si tratta delle disposizioni che incorporano “in pratica” un’unica soluzione predeterminata dalla legge, ossia una soluzione certamente arrotondata ma il cui arrotondamento è irrilevan- ETICA FISCALE E FISCO ETICO te per il diritto, perciò sempre accertabile in modo puntuale senza discrezionalità giuridicamente significativa (= ‘indisponibilità pratica’). II.b.3. Tipi di ragionamento giuridico interpretativo. Alla luce delle considerazione sopra svolte in ordine alle differenti identità (rectius: tipi e tipologie) dei ragionamenti giuridici mediante i quali si ricava l’interpretazione giuridica, ora, preso atto delle differenti identità (rectius: tipi e tipologie) degli elementi da interpretare, non resta che tratteggiare i segni del collegamento logico e normativo (rectius: del ‘combinamento’) tra tipi di disposizioni e tipi di ragionamenti interpretativi e così preparare la conclusione sul significato dei termini interpretazione giuridica e sul concetto di interpretazione giuridica. Seguendo l’ordine appena tracciato, per brevità, si limiterà il discorso da un duplice punto di vista. In effetti, per un verso, si osserveranno i soli ‘materiali’ dell’interpretazione giuridica, non essendo possibile parlare anche dei ‘veicoli’ dell’interpretazione giuridica, ossia degli atti e dei provvedimenti che trasportano i ragionamenti giuridici interpretativi. Per altro verso, l’indagine analizzerà il ‘combinamento interpretativo’ al solo, superficiale, livello dei tipi (‘etico’ e ‘scientifico’), senza approfondire quello (per altro confermativo) delle tipologie che a quei tipi ulteriormente afferiscono. Assunta questa limitata prospettiva, risalta innanzitutto il ‘ragionamento interpretativo etico’, ossia il ragionamento giuridico che: è assolutamente prevalente nell’attuazione litigiosa o obiettivamente incerta; è di tipo retorico-dialettico-argomentativo; prescinde dalla netta separabilità ‘fatto diritto’; è interamente sintetico o prevalentemente sintetico; implica il contraddittorio e in generale un contesto procedurale di tipo isonomico; applica il metodo tipologico della riconduzione per carattere rilevante e/o prevalente; conduce, dunque, ad applicare la norma anche in assenza di corrispondenza piena tra fattispecie astratta e fattispecie concreta. D’altra parte, specularmente, si presenta il ‘ragionamento interpretativo scientifico’, ossia il ragionamento giuridico che è assolutamente prevalente nell’attuazione certa, spontanea o soggettivamente incerta; è di tipo razionale probabilistico; presuppone la netta separabilità ‘fatto diritto’; è interamente analitico; non implica necessariamente il contraddittorio e in generale opera in un contesto procedurale di tipo asimmetrico; applica il metodo tipologico della sussunzione; conduce, dunque, ad applicare la norma solo se vi è piena corrispondenza tra fattispecie astratta e fattispecie concreta. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 37 ETICA FISCALE E FISCO ETICO II.b.4. Teoria. A) Significato e concetto di ‘interpretazione giuridica’. Ora, al fine di scoprire se sussista, e nel caso quale sia, il ruolo dell’etica nell’interpretazione giuridica, possono, alla luce di queste premesse, ricavarsi sia il significato, sia il concetto di interpretazione giuridica. In primo luogo, pare di poter condividere, in linea di massima, il significato di uso comune, peraltro ricavabile anch’esso con nesso etimologico, secondo cui i termini interpretazione giuridica implicherebbero la spiegazione e l’applicazione del senso della legge. Ben più complesso pare invece pervenire alla conclusione sul concetto, anche se, in tale ottica, è di ausilio la ricognizione del confine esterno del discorso. A questo riguardo, si osserva che il concetto di ‘interpretazione giuridica’ è cosa diversa da quello dei ‘mezzi di interpretazione’, siano essi legali o umani (ad es., lettera, ratio, telos, analogia, principio generale etc.). In altri termini, il concetto di ‘interpretazione giuridica’ esula e si astrae (nel senso che precede, ancorché possa essere integrato) dalle regole e dai principi presenti negli ordinamenti giuridici vigenti nei singoli paesi (si vedano, ad es., per l’ordinamento giuridico italiano, l’articolo 12 delle preleggi al codice civile, l’art. 20 del TUR o l’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente). Del resto, il concetto di ‘etica’ cui si è sopra pervenuti la disegna (o come norma o come logica) quale entità astratta che ovviamente prescinde dai contenuti positivi e dalle contingenze nazionali. Dunque, solo un’accezione dell’‘interpretazione giuridica’ avulsa da tali peculiari contenuti e contingenze è logicamente adatta a cogliere (o a cogliere appieno) quale ruolo l’‘etica’ possa svolgere nell’interpretazione giuridica. Ciò premesso, occorre ora procedere, senza ulteriore indugio, verso l’interno del concetto. L’ipotesi teorica di fondo che si propone è che il nucleo del concetto di interpretazione giuridica consista proprio nel ‘combinamento’ che l’interprete ‘deve’ operare tra il tipo di disposizione da interpretare e il tipo di ragionamento da usare per ricavare la norma del caso concreto. Poiché il tipo della disposizione esprime il grado di giustizia, ossia di verità, ossia di efficienza (= efficacia ex ante; ≈ effettività) che il legislatore-genitore ha dato a essa, ciò implica che ogni disposizione contiene in sé la ‘norma d’uso di sé stessa’, ossia la norma d’uso la cui funzione (=ragione ordinamentale) è trasferire nella norma del caso concreto lo stesso tipo, o meglio lo stesso grado di giustizia, di verità, di efficienza, che la disposizione ha geneticamente in se (in ciò starebbe, sempre secondo l’ipotesi che qui si prospetta, la ‘proporzionalità dell’interpretazione giuridica’). DOTTRINA La ‘norma d’uso di se stessa’, ossia il codice genetico che ogni disposizione giuridica (giusta, vera, efficiente) ha in sé obbliga l’operatore del diritto (cittadino o autorità o giudice) a combinare (appunto proporzionalmente) ad essa il tipo di ragionamento che a essa logicamente corrisponde: ‘disposizione etica’ implica ragionamento etico; disposizione scientifica implica ragionamento scientifico (e così via dicendo per le tipologie). La violazione della ‘norma d’uso di se stessa’ contenuta nella disposizione determina abuso interpretativo (ossia sproporzione) e dunque illiceità dell’interpretazione-attività e illegittimità dell’interpretazione-risultato; ciò consegue alla violazione del metodo (ex lege indisponibile), a prescindere dal merito. In sintesi, il concetto di ‘interpretazione giuridica’, intesa come attività dell’uomo giuridico, consiste nello svolgere un ragionamento giuridico con logica (proporzionata, vincolata, indisponibile) corrispondente al tipo di logica (di giustizia, di verità, di efficienza) che il legislatore ha codificato nella ‘norma d’uso di se stessa’ che la disposizione incorpora in sé dal giorno in cui è nata. Questo accade allo scopo ordinamentale di assicurare che (nei ‘diritti con verità’) l’estrazione della norma e il passaggio dall’astratto al concreto lascino immacolato il tipo di logica (di giustizia, di verità, di efficienza) che alla disposizione ha dato chi l’ha generata. Anche intesa come risultato, l’‘interpretazione giuridica’ implica concettualmente due diversi tipi (il tipo ‘etico’ e il tipo ‘scientifico’); questa diversità (ossia alternatività = diseguaglianza proporzionale), se conseguente al corretto uso dell’interpretazione, altro non è che l’esatta proiezione nel concreto della ontologica astratta diversità dei tipi delle disposizioni da applicare (diversità, questa, peraltro sindacabile, sotto altro punto di vista, rispetto al parametro di verità con cui le disposizioni debbono confrontarsi). In effetti, l’adempimento delle ‘norme d’uso’ incorporate nelle disposizioni implica, sul piano della giustizia dei risultati interpretativi, che risultati diversi siano però proporzionalmente eguali (=equivalenti), cioè idonei a garantire che a ciascuno sia attribuito il suo, ossia che, proporzionalmente, siano attribuiti trattamenti diversi a situazioni diverse. II.b.4. B) ‘Interpretazione giuridica’ e ‘prova giuridica’. Non è possibile dedicarsi al concetto di interpretazione giuridica senza porre almeno un cenno al rapporto che corre tra tale concetto e il concetto di prova dei fatti giuridici. Nel diritto, interpretazione e prova sono talvolta distinte e autonome ma sono in ogni caso, per molteplici ragioni, analoghe (=equivalenti). 37 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 38 38 DOTTRINA In effetti, in situazioni accertabili (ossia, in presenza di disposizioni scientifiche o di disposizioni etiche controvertibili entro limiti certi), esse, pur essendo distinte, hanno entrambe funzione di accertamento della/e soluzione/i predeterminata/e dalla legge; funzione questa, che esse realizzano servendosi di un ponte logico. Tanto che entrambe verificano sia la proporzione ‘testo: norma = fatto noto: fatto ignorato’, sia la proporzione ‘principio generale: norma = massima di comune esperienza: fatto ignorato’. D’altra parte, in situazioni ‘componibili’, ossia ‘non accertabili’ perché non esistono soluzioni predeterminate dalla legge (‘disposizioni controvertibili all’infinito’), interpretazione e prova si fondono, perdono la loro identità e lasciano entrambe posto alla decisione, ossia alla deliberazione con funzione di composizione. Per meglio dire, i ‘fatti interpretanti’ e i ‘fatti probanti’ lasciano il posto ai ‘fatti formanti’. In questi casi, la ‘norma d’uso di sé stessa’ implica che l’attuazione della disposizione in cui essa si trova avvenga senza interpretazione e senza prova e che debba avvenire, invece, mediante decisione, da assumere in base al ‘canone equi-proporzionale del male minore per entrambe le parti’ (ossia ai sensi del canone di ‘equiproporzionalità etica’). In sintesi, e più in generale, ‘interpretazione giuridica’ e ‘prova giuridica’ sono analogamente rilevanti e tra loro distinguibili se le norme da applicare sono ‘scientifiche’ o ‘etiche controvertibili entro limiti certi’ e, parimenti, non sono rilevanti e distinguibili tra loro se le disposizioni da applicare sono ‘etiche controvertibili all’infinito’. In quest’ultimo caso, prova e interpretazione perdono entrambe la loro funzione accertativa e si fondono in un mixtum (nuovo e alieno all’una e all’altra) che è propedeutico alla deliberazione con funzione compositiva (ossia ‘eticamente equiproporzionale’). II.b.5. Pratica. Casi esemplificativi dei tipi di interpretazione giuridica. Al fine di fornire qualche elemento empirico sulla cui base eventualmente testare l’ipotesi sin qui esposta, vengono di seguito indicati alcuni esempi riferiti a parti di disposizioni costituzionali o legislative tributarie riconducibili ai differenti tipi di interpretazione giuridica sin qui delineati. Si pensi, ad esempio, all’art. 53 della Costituzione. Il testo «capacità contributiva» è etico. Perciò, ‘deve’ essere interpretato con ragionamento giuridico etico. Nella disposizione si trova però anche un testo o meglio un collegamento testuale, tra il termine «tutti» e il termine «loro», che è, invece, di tipo scientifico (biunivoco) e che, perciò, ‘deve’ essere interpretato con ragionamento di tipo scientifico. ETICA FISCALE E FISCO ETICO Se, poi, si considera una disposizione di natura sostanziale, come, ad esempio, l’art. 5 del Tuir n. 917/86, vi si riscontrano sia parti di testo ‘non controvertibili’, che impongono, perciò, un’interpretazione scientifica («limitatamente al 49 per cento» ... «si intendono per familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado»), sia parti di testo ‘controvertibili entro limiti certi’, che impongono un’interpretazione etica («avere prestato in modo ... prevalente...»). Se, infine, si esamina una disposizione di natura procedurale, ad esempio l’art. 38 del D.p.r. 600/73, in essa paiono riconducibili al tipo scientifico le parti di testo «a condizione che il reddito accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato» e «redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta» mentre sembra riconducibile al tipo etico ‘controvertibile entro limiti certi’ la parte del testo «sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato..., mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze». III. Conclusioni Dunque, l’‘etica’ non è fuori, anzi, è parte importantissima del diritto (sia come materia, sia come strumento). In effetti, l’indagine, pur sommaria, sembra aver mostrato che, tra le altre cose, l’‘etica’ caratterizza sia un tipo di disposizioni giuridiche, sia un tipo di ragionamenti giuridici, sia un tipo di ‘interpretazione giuridica’, sia un tipo di ‘prova dei fatti giuridici’. Si è anche avuto modo di intuire che l’‘etica’ esercita questa sua enorme forza specificante su una vasta serie di concetti propri del diritto (giustizia, certezza, efficacia, efficienza, effettività, indisponibilità, normalità, normatività, proporzionalità, equità...,); concetti, questi, che sono tutti riconducibili al concetto, anch’esso tipologico, della verità, del e nel diritto. L’‘etica’ svolge poi una funzione delicatissima e vitale per l’ordinato convivere dei consociati, sia che la si osservi nella sua statica, sia che la si osservi nella sua dinamica e, in quest’ultimo caso, sia che si volga il pensiero al passato che non si è avuto modo di conoscere, per conoscerlo, sia che si volga il pensiero al futuro che s’intende prefigurare, per farvi affidamento. Forza specificante e funzione, queste, che, tuttavia, in ogni ordinamento giuridico non sono proprie soltanto dell’‘etica’, ma sono proprie anche della ‘scienza’. Così, pensare a un conflitto tra le due è cosa normale. In realtà, a ben vedere, almeno da un punto di vista strettamente giuridico, il conflitto tra ‘etica’ e ‘scienza’ Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 39 ETICA FISCALE E FISCO ETICO che è stato tramandato in continuità storica dai tempi della filosofia in poi pare non soltanto evitabile ma anche positivamente evitato dalle attuali disposizioni giuridiche ‘con verità’ le quali indicano (rectius: devono indicare), caso per caso, quando debba entrare in gioco l’una ovvero l’altra, in modo che esse, se tali indicazioni sono rispettate, possano convivere pacificamente, rilevando ciascuna di esse solo nel proprio ambito di competenza. In effetti, le disposizioni giuridiche ‘con verità’ possiedono dalla nascita, come se fossero cellule, un loro codice genetico, un loro DNA, che le distingue e le identifica, che ne spiega l’essere e che ne regola l’uso. La violazione di tale codice (ossia la violazione della ‘norma d’uso di se stessa’ che ogni diposizione giuridica DOTTRINA incorpora) implica sia abuso nell’attività (=illiceità), sia abuso nel risultato (illegittimità). Ciò avviene per violazione del metodo interpretativo (ossia per uso sproporzionato dell’‘etica’ o della ‘scienza’), dunque prima, e a prescindere, dal merito dell’interpretazione (e dall’uso dei ‘mezzi di interpretazione’). Così le sanzioni che l’ordinamento commina all’illiceità dell’agere e all’illegittimità dell’atto testimoniano il carattere antiabusivo della funzione (=ragione ordinamentale) delle ‘norme d’uso’, che sono infatti incorporate nelle disposizioni giuridiche proprio al fine di evitare gli abusi, ossia, prima di tutto, al fine di assicurare che sia la verità della legge, e non il singolo o l’autorità, a fare la verità del caso concreto. 39 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 40 40 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO L’etica del legislatore e la certezza del diritto (*) di Gaetano Ragucci 1. Premessa Il titolo della relazione che mi è stata affidata – L’etica del legislatore e la certezza del diritto – rende opportuno delimitarne, e, data l’ampiezza, meglio sarebbe dire limitarne, l’oggetto. Si parla di etica, che intenderò non nel senso di comportamento abituale bensì di scienza di tale comportamento, dunque come sinonimo di morale. Si propone il binomio legge e diritto, che non sono la stessa cosa, e che vorrei perciò considerare dal comune punto di vista dell’interpretazione. Del resto, quando si pensa alla moralità della legge – e qui mi riferisco alla legge in senso formale, lasciando per ora da parte la trama di principi e valori su cui poggia la dimensione costituzionale del tributo – occorre tenere presente che essa soccombe all’obiettivo di un’azione amministrativa efficiente. Chi è chiamato a obbedire alla legge, è nello stesso tempo assolto da ogni libero esame, e dalle responsabilità morali conseguenti. È come se lo Stato prendesse su di sé le colpe per trasformarle in azione efficace, o, se non efficace, inevitabile. Né potrebbe essere altrimenti, perché se così non fosse la “macchina” statale cesserebbe di funzionare. Sposterò allora l’attenzione sul diritto, inteso come l’insieme di norme coattive che è il prodotto dell’interpretazione. E partirò dall’idea che alla domanda di giustizia a cui l’interprete cerca di dare risposta è sempre presupposta una particolare concezione del diritto. Diversi sono i fondamenti che possono sostenerla – la natura dell’uomo, l’accordo o l’utilità per la maggioranza dei consociati – e a ciascuno di essi corrisponde un modello metodologico dell’interpretazione1, nel quale il ruolo dell’etica può variare anche di molto. Cercherò di indicare le principali opzioni teoriche che si offrono all’interprete, ma il punto che vorrei evidenziare subito è che, se c’è un approccio in cui l’etica non ha un ruolo, è quello proprio delle concezioni di ispirazione egoistica, perché fondate sulla convinzione che, di fronte a un ordinamento che persegue fini di effi(*) Testo della relazione letta al convegno Etica fiscale e Fisco etico, organizzato in occasione del XXXIII Congresso nazionale dell’ANTI – Associazione Nazionale dei Tributaristi Italiani, in Ancona il 9 ottobre 2015. cienza, l’individuo è a sua volta guidato dall’interesse personale, e non da un’idea di virtù che la legge non riflette; eppure non è detto che in queste concezioni la certezza del diritto cessi di avere rilevanza, anzi. Si potrebbe allora cominciare con il dire che tra morale e certezza del diritto non c’è un legame logico necessario: ed è questo uno dei risultati a cui conduce la riflessione sul tema che mi è stato affidato. Inoltre, quando si volge lo sguardo al diritto positivo, il rapporto tra morale e certezza del diritto va precisato nell’ambito della teoria dell’interpretazione giuridica, intesa come attribuzione di un significato (la norma) a un enunciato legislativo. L’interpretazione non dipende solo dall’applicazione di tecniche appropriate, ma in un certo modo anche dai dogmi e dai valori accolti dall’interprete. E può accadere che la norma individuata attraverso appropriate tecniche di interpretazione contrasti con l’idea di giustizia. Qui è la fonte di una tensione caratteristica, che è stata all’origine di una significativa evoluzione del concetto di certezza del diritto. Anche questo aspetto merita di essere evidenziato, perché offre la chiave interpretativa di uno dei fattori di crisi della teoria giuridica dell’imposta di fronte alla quale tutti noi ci misuriamo. Dunque, per svolgere il tema proporrò (senza alcuna pretesa di completezza, e ben consapevole della sommarietà dei riferimenti a cui mi capiterà di ricorrere) alcune riflessioni focalizzate sul diritto tributario. E mi limiterò a indicare: a) le opzioni teoriche implicate dal tema della certezza; b) due esempi: la prevalenza del diritto europeo sul giudicato tributario interno, e le sentenze di accoglimento delle questioni di costituzionalità che dispongono pro futuro; c) il divieto di abuso. Seguiranno d) le conclusioni, dirette a conferire per quanto possibile un senso compiuto a quanto mi accingo a illustrare. 2. Le opzioni teoriche La teorizzazione della certezza come “specifica eticità del diritto” risale alla fase degli studi seguita al doppio evento bellico che ha occupato la prima metà del secolo scorso, ed è stata considerata il risultato della proposta di restaurazione del diritto di natura, come rimedio alle degenerazioni provocate dall’avvento dello Stato totalitario. La difficoltà di impostare il tema negli stessi termini Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 41 ETICA FISCALE E FISCO ETICO nell’attuale stato di cose è tuttavia ben espressa nel saggio di Massimo Corsale a commento dell’opera di Lopez de Onate, che di quell’epoca è stata tra le più note espressioni: “troppo decisivi sono ormai i risultati che in più di mezzo secolo – l’osservazione risale agli ultimi anni ’60 – di critica al concettualismo e al positivismo legalistico sono stati raggiunti, per non respingere la pretesa che la legge possa esaurire il campo delle fonti di produzione giuridica”. Il punto di svolta si è avuto con l’acquisizione che il nodo principale del problema è il rapporto non tanto con un ideale di giustizia, quanto piuttosto con il giudizio che si compie nel processo, inteso come espressione culminante dell’esperienza del diritto. Con ciò, la certezza ha perduto la qualità di valore, e il problema si è spostato sul piano dell’interpretazione, e sull’incidenza di elementi extralegali nella formazione del giudizio. Si è così fatta strada l’idea che la certezza del diritto sia recuperabile nella rispondenza della sentenza alla realtà sociale, concepita come deposito di valori normativi, di attese e convinzioni della coscienza comune, capaci di disciplinare l’apporto creativo dell’interprete. Perciò, essa non è più attributo della regola, ma coincide con la conoscibilità e prevedibilità del diritto della parte che lo invoca, che l’interpretazione opportunamente orientata è in grado di assicurare. Seguendo questa via, si può arrivare a ridurre la certezza a valore “debole”, subordinato a istanze sociali ed economiche sempre in grado di prevalere. Immediata l’obiezione, non altrettanto l’individuazione di un’alternativa appagante. È cioè subito evidente che codesta stabilità di riferimenti è il prodotto – ricorro a espressioni che furono dell’Allorio, che di quell’epoca fu testimone – di un “ambiente socialmente e civilmente maturo”, perché estraneo a diffuse avversioni al cambiamento, come a spinte verso il sovvertimento sociale. Che così non fosse poteva forse temersi allora; oggi, il pensiero è a una società “liquida” esente da quelle tensioni, e che tuttavia vede aumentare si può dire ogni giorno la propria capacità di azione, ma nello stesso tempo anche la propria fragilità a fronte di dinamiche che la sovrastano. Difficile attendersi da questa realtà fondamentalmente instabile la promessa certezza della regola di diritto. Quale, tuttavia, la soluzione? L’interrogativo è di quelli che non consentono risposte univoche. È perciò utile rievocare sia pure per sommi capi i principali approcci alternativi, tra i molti e molto articolati che sono stati proposti. L’idea è che l’ordinamento assicuri la certezza del diritto, pur declinata in termini di mera prevedibilità delle condotte future dei decisori, quando produce effetti equivalenti a quelli prescritti dalla dottrina che la riferisce alla regola giuridica. E che quando la qualità delle leggi non assicuri questo DOTTRINA risultato, sopperiscono la consapevolezza della dimensione politica dell’interpretazione giuridica, e l’opzione per un ordinamento giuridico efficiente. a) Nella prospettiva giuspositivistica, non è in discussione che la garanzia della certezza del diritto stia nella struttura morale della società, nella quale il diritto è chiamato a operare. È però necessario che essa sia declinata a ogni livello dell’esperienza giuridica come certezza della vigenza della regola, attraverso il rifiuto di dottrine che legittimino la disapplicazione della legge in nome di un principio di giustizia che non abbia trovato riconoscimento in essa; come certezza della durata della regola, attraverso l’espunzione dall’ordinamento di norme rigide, e di clausole di retroattività; infine, come certezza della sufficienza e del significato della regola. Quest’ultimo requisito implica una ferma censura delle tecniche di interpretazione funzionale, progressiva e correttiva, che sin dagli anni ‘70 dello scorso secolo si sono venute affermando sulla scia delle dottrine che concepiscono la certezza del diritto come rispondenza ai principi e valori accolti dalla società. Un problema analogo si pone oggi per l’interpretazione secundum constitutionem compiuta dal giudice comune. Quando abbia a oggetto regole di rango diverso, v’è uno stretto legame tra gli argomenti sistematico e teleologico, che l’opzione positivistica non rifiuta a priori. E, in effetti, un’interpretazione di questo tipo è eseguita dalla Corte costituzionale nella fase accentrata del controllo di costituzionalità, al fine di conformare il diritto vivente al vincolo costituzionale, o, in mancanza di diritto vivente, per conformarvi indirizzi interpretativi in via di composizione. Ed è eseguita anche dal giudice remittente nella fase diffusa del controllo, in cui egli valuta la non manifesta infondatezza della questione, se ne è il caso anche in contrasto con il diritto vivente. Il fatto è, però, che talvolta i giudici ricorrono all’interpretazione adeguatrice anche senza sollevare la questione di costituzionalità, ed è qui che il problema si manifesta. L’eventualità si espone a critica per i dubbi che può generare sulla sufficienza e sul significato della regola, e vanifica l’affidamento dei cittadini nella sicurezza delle posizioni giuridiche di vantaggio, che il diritto vivente riconosce e protegge. Tanto più che la sentenza vale inter partes, e ha perciò un’incidenza indiretta sull’azione dell’amministrazione finanziaria, che per fare valere le proprie ragioni non deve ricorrere al giudice. Da qui viene, se ci si pensa, la diversa capacità di penetrazione nel diritto vivente dei precetti ricavati dalla giurisprudenza del c.d. divieto di abuso (che tutti ricordano travolgente, e per certi versi persino incontrollata, sino alla sua recen- 41 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 42 42 DOTTRINA te codificazione), rispetto per esempio al diritto del contraddittorio, di cui ancora faticosamente si dibatte tra contrastanti indicazioni della giurisprudenza di legittimità, malgrado goda di eguali, se non più stabili, fondamenti nel diritto costituzionale ed europeo. b) In altra prospettiva, la certezza del diritto è un aspetto della separazione tra politica e diritto, e ha fondamento nella legalità dell’amministrazione, e nell’autonomia della magistratura. Il potere politico esercita sulla legge la sua facoltà di decisione, nel senso che può abrogarla o modificarla, ma finché la lascia in vigore non ha modo di controllarne l’applicazione. L’esigenza è che i titolari di uffici pubblici non perseguano interessi particolari o arbitrari (e cioè conformi alle convinzioni di chi li ricopre, più che alla legge). Perciò, il legislatore si limita a emanare disposizioni di carattere generale, valide per un numero indefinito di casi futuri; specularmente, amministrazione e giudici non possono produrre norme, perché già conoscono le fattispecie concrete. L’astensione da tali condotte non è richiesta dalla morale individuale, ma è assicurata dal combinato effetto dei principi di legalità e di autonomia della magistratura, come detto. Tuttavia, le carenze del processo di produzione legislativa hanno l’effetto di attenuare la separazione tra politica e diritto. L’impegno per un miglioramento della qualità delle leggi può contenere questo fenomeno, ma l’impossibilità di un ordinamento giuridico linguisticamente univoco, privo di contraddizioni e di lacune, e sempre in armonia con i principi e valori della costituzione, fa in modo che non esista norma giuridica che all’atto pratico non sollevi dubbi, che il giudice è tenuto a risolvere. Viene perciò meno la neutralità politica del giudizio, perché sono sempre possibili interpretazioni innovative o capaci di effetti che vanno al di là di quelli voluti dalla legge. Ciò non rende l’ordine giudiziario un potere politico, nella misura in cui chi decide opera nell’ambito delimitato dalla legge, non persegue scopi propri, né dipende dal consenso sul suo operato. E, per quanto qui rileva, priva di consistenza le critiche mosse alle interpretazioni giudiziali che pongono rimedio a un dettato legislativo carente, sotto il profilo del pregiudizio alla separazione dei poteri. La critica, semmai, può investire il modo in cui tale funzione si esplica, quando implichi un sacrificio dell’esigenza di sicurezza e di stabilità dei rapporti giuridici, di cui il canone della certezza è la sintesi. c) Al realista la democrazia può anche apparire come un sistema di competizione per dirigere il potere monopolistico dello Stato, di cui la Costituzione fissa le regole. ETICA FISCALE E FISCO ETICO Qui l’offerta degli attori politici incontra la domanda di protezione giuridica dei gruppi di interesse, e lo scambio è assicurato da meccanismi costituzionali capaci di renderlo vincolante e stabile nel tempo. In questa logica, la certezza del diritto è indispensabile nell’ambito dei diritti individuali, al di fuori del quale può entro certi limiti essere surrogata da istituti di promozione della compliance, e cioè di accordi cooperativi tra i soggetti interessati. I diritti, invero, sono fattori di riduzione dei costi decisionali di una comunità di individui egoisti, che si propone di curare interessi collettivi. Lo si osserva in primo luogo sul piano legislativo, ove è evidente che se la Costituzione non garantisse diritti inviolabili, i partecipanti al patto costituzionale dovrebbero cautelarsi invocando la regola dell’unanimità su ogni singola legge, perché solo così si proteggono dal rischio di prevaricazioni della maggioranza. Ma lo stesso è per le decisioni di ogni autorità (amministrativa e giudiziale) la cui attività si esplichi secondo particolari procedure. In questa ottica i diritti funzionano come limiti alle decisioni collettive e individuali, e sono strumento del corretto funzionamento delle istituzioni. Inoltre, nel “mercato delle leggi” le norme giuridiche sono efficienti nella misura in cui realizzano gli obiettivi che perseguono, con il minimo dispendio di risorse. Una norma incerta è, allora, inefficiente perché lascia le parti interessate nella convinzione di potere ottenere dal conflitto benefici maggiori dei costi del giudizio. Da questo punto di vista è senz’altro vero che un recupero di efficienza si può avere attraverso istituti di promozione della compliance, ma va tenuto presente che questi non sono sempre neutrali rispetto alla funzionalità complessiva del sistema. Tale è per esempio l’istituto che consenta di eliminare incertezze sul significato e l’ambito di applicazione della legge (interpello). Ma lo stesso non si può dire per gli istituti che, a fronte di una regola obiettivamente incerta, rendono economicamente più vantaggioso l’accordo concedendo sconti sulle sanzioni (adesione, mediazione, reclamo, conciliazione). Con la preclusione al giudizio viene meno un fattore di autocorrezione del sistema di produzione normativa, che resta abbandonato alla deriva del mero calcolo di convenienza. Al termine di questa rapida rassegna non è evidentemente possibile scegliere l’una o l’altra delle dottrine rievocate, né accedere a una sintesi. Lo impediscono la complessità e l’eterogeneità degli argomenti e delle questioni sottese, e in fondo anche la vastità del problema della certezza del diritto in sé considerato. Dirò solo che, sciolto il legame con l’etica, il problema della certezza vive per così dire di vita propria, e, de- Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 43 ETICA FISCALE E FISCO ETICO purato anche dal sospetto che trovi esclusivo fondamento in premesse ideologiche, si converte nel problema della separazione tra politica e diritto, nonché dell’efficienza delle leggi e della compliance tra parti che perseguono interessi contrapposti. Si tratta di profili non secondari, vicini alla logica delle riforme a costo zero di cui in tempi di ristrettezze economiche tanto si parla. In questa prospettiva, liberi dai vincoli imposti da un principio della separazione dei poteri rigidamente inteso, possiamo solo auspicare l’attuazione per via giudiziale di quella che, non potendosi più identificare con l’etica del legislatore, nell’attuale assetto delle istituzioni può invece coerentemente essere concepita come una “politica della legalità”. In effetti, il senso di quanto sin qui detto è che nell’attuale stato della legislazione – di quella tributaria in particolare – la presenza di un sufficiente grado di certezza del diritto non si può assumere a priori, ma dipende dagli atteggiamenti dei consociati. Una volta riconosciuta l’adeguatezza delle tecniche autoritative ad assicurare il coordinamento dell’agire comune, a garantirne la regolarità, e perciò l’ordine e la stabilità sociali, concorre l’impegno dell’interprete a “valutare, dovunque possibile, le fattispecie concrete con norme generali preesistenti, anziché caso per caso”. Il tema è allora l’opportunità di quello che è stato opportunamente definito un impegno rigorista, che, a fronte della possibilità che la ricerca dell’interpretazione ottima sia causa di discontinuità pregiudizievoli per la regolarità dell’agire sociale, si esprima anche in un self restraint dell’interprete (che non implica una rinuncia al rilievo politico della sua funzione, sì una graduazione dei mezzi in cui esso si esprime). E quando ciò non bastasse a giustificarlo, allora soccorre la possibilità di equi accordi cooperativi, a cui sarebbe però bene provvedere senza compromettere la reciproca controllabilità delle condotte degli interessati che si attua anche attraverso l’intervento del giudice. 3. Due esempi: la prevalenza del diritto europeo sul giudicato; le sentenze della Corte costituzionale che dispongono pro futuro. Ciò detto sulla dimensione teorica del problema della certezza del diritto, per conferire consistenza al discorso occorre dire brevemente come esso si sia posto, e sia stato poi risolto nella giurisprudenza tributaria più recente. Anche qui converrà limitarsi a brevi spunti, funzionali alla illustrazione dei limiti che il valore della certezza incontra, quando viene a confronto con istanze concorrenti. DOTTRINA a) Se ci si riferisce alla sentenza, l’esigenza della certezza della vigenza della regola implica anche l’esclusione della proponibilità di eccezioni contro il giudicato. È tuttavia un fatto che negli ultimi anni l’intangibilità del giudicato tributario è stata messa in discussione quando contrasti con sopravvenute regole comunitarie imperative. La Corte di Giustizia ha sempre affermato che in genere il diritto dell’Unione non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme interne che attribuiscono forza di giudicato a una sentenza, neppure quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione di contrasto con tale diritto. Fanno eccezione le decisioni in cui è stato stabilito che il diritto comunitario osta all’applicazione dell’art. 2909 cod. civ., nei limiti in cui impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con esso; e quando impedisce al giudice investito di una causa in materia di IVA di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di abuso. Da qui la necessità di una generale rimeditazione della regola dell’intangibilità del giudicato, che non ha peraltro carattere assoluto (artt. 395, e 404 c.p.c.). Il fondamento della disciplina del giudicato segue le limitazioni che la giurisprudenza ha posto al potere del legislatore di disporre per il passato, ed è perciò identificabile nei principi di ragionevolezza, eguaglianza, affidamento, indipendenza dei giudici, che trovano la propria sintesi nella certezza del diritto. Anche la protezione dalla legislazione posteriore retroattiva è esposta al bilanciamento, e può cedere quando la regola retroattiva sottenda valori più meritevoli di tutela. Dunque la certezza connessa alla stabilità dei rapporti oggetto dell’accertamento giudiziario ha un valore relativo, anche se il fatto che il suo superamento possa venire a opera della Corte costituzionale all’esito del bilanciamento di valori a essa riservato esclude che il sacrificio possa essere assoluto. Allo stato, la questione è stata decisa nella logica di un adeguamento al diritto europeo che a quanto consta non ha ancora ricevuto l’avallo della Corte costituzionale. Per la dottrina, quando il giudicato si scontra con una sentenza resa dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale si verifica una situazione simile all’introduzione di una legge di interpretazione. Si propone quindi di fare valere la dottrina dei controlimiti a fronte di una “interpretazione giudiziale” autentica del diritto europeo, parificabile a uno ius superveniens retroattivo. E se ne deduce che la sentenza della Corte è sottoposta ai medesimi limiti che questo incontra sotto il profilo dei giudicati nazionali, con conseguenze che, allo stato, non consentono di individuare i casi in cui il giudicato non le ceda. In astratto, ciò potrebbe avvenire a fronte di regole dirette a incidere su situazioni concrete già oggetto del 43 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 44 44 DOTTRINA giudicato, per modificarle in maniera diretta ed esplicita. Si tratta di eventualità che si sono verificate nell’ordinamento interno, ma difficilmente ipotizzabili per le sentenze della Corte di Giustizia, le quali sono pertanto destinate a prevalere in ogni caso. b) Se la regola espressa dall’art. 136 Cost., per cui le norme dichiarate incostituzionali cessano di avere efficacia erga omnes dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza di accoglimento, concorre alla disciplina dell’efficacia della legge nel tempo, allora le sentenze che la Corte Costituzionale ha voluto disponessero solo pro futuro entrano in conflitto con l’esigenza della certezza della durata della legge. È infatti comunemente accettato che la Corte possa graduare gli effetti delle proprie sentenze di accoglimento; ma quando si abbandona il principio che quando una legge è illegittima lo è dall’origine, e che la retroattività delle sentenze della Corte possono trovare limite solo nell’esigenza di assicurare la stabilità dei rapporti esauriti, la via è aperta a una serie illimitata di variazioni sul tema. Nella sentenza n. 10/2015 è stato detto che la regola dell’efficacia retroattiva delle sentenze della Corte non subisce solo i limiti imposti dalla presenza di “rapporti esauriti”, la cui tenuta è corollario della certezza del diritto. Infatti, “come il limite dei «rapporti esauriti» ha origine nell’esigenza di tutelare il principio della certezza del diritto, così ulteriori limiti alla retroattività delle decisioni di illegittimità costituzionale possono derivare dalla necessità di salvaguardare principi o diritti di rango costituzionale che altrimenti risulterebbero irreparabilmente sacrificati”. In questi casi, l’individuazione di tali principi o diritti è ascrivibile all’attività di bilanciamento che spetta alla Corte di compiere. Su tali presupposti la Corte ha, come noto, compiuto un bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 3 e 53 Cost., quali parametri che avevano condotto alla dichiarazione dell’illegittimità della c.d. Robin Tax, e per i commentatori implicitamente anche dell’art. 24 Cost., e il principio del pareggio di bilancio ricavato dall’art. 81 Cost.. Infatti, “l’impatto macroeconomico” delle restituzioni dei versamenti eseguiti prima della dichiarazione di illegittimità della norma avrebbe causato uno squilibrio di bilancio di entità tale da rendere necessaria una manovra finanziaria aggiuntiva. Ne sarebbe potuta derivare una “irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio di quegli operatori economici che [potevano] avere invece beneficiato di una congiuntura favorevole”, con pregiudizio delle esigenze di solidarietà incompatibile con gli artt. 2 e 3 Cost.. A ciò si sarebbe poi aggiunta una disparità di trattamento rispetto agli operatori che avevano ETICA FISCALE E FISCO ETICO traslato l’onere del tributo sui consumatori finali, con pregiudizio degli artt. 3 e 53 Cost.. Da qui, la limitazione degli effetti della sentenza di accoglimento solo per il futuro, ritenuta più adeguata a una garanzia della Costituzione intesa come un tutto unitario, tale da assicurare “una tutela sistemica e non frazionata” di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione. Che, però, una legge incostituzionale possa conservare medio tempore validità in dipendenza da una ponderazione di valori riservata alla Corte, implica una involuzione del connotato della certezza della regola di diritto. A questa stregua, se in futuro il gettito di un tributo inciderà significativamente sull’equilibrio del bilancio la Corte negherà la retroattività, e la concederà invece per tributi incapaci di questo effetto. Inevitabile chiedersi in che modo l’interprete potrà prevedere quale dei due regimi sia applicabile al caso che lo occupa. Non è difficile riconoscere la linea di continuità che lega gli esempi che si sono appena indicati. Essi segnalano i limiti e le modalità di compromissione della certezza del diritto sotto due profili che si aggiungono a quello esaminato all’inizio dell’intervento, e che come detto riguardano la vigenza e la durata della legge. Inoltre, rendono evidente che si è ormai accettata la possibilità che l’esito del bilanciamento segni la prevalenza di istanze che vengono dall’ordinamento europeo, e che riguardano il corretto funzionamento del mercato unico dal punto di vista della rimozione dei c.d. aiuti di stato, e del funzionamento dell’imposta comune sui consumi (abuso del diritto). E, con esse, di istanze di equilibrio dei conti pubblici, riconosciuto come garanzia dei diritti sociali tutelati da un sistema di welfare sostenibile. Si tratta di vincoli a cui per ragioni diverse si fatica a riconoscere una piena dignità costituzionale, e che ciò non di meno sono stati giudicati capaci di incidere negativamente sulla certezza del diritto. L’impressione è tuttavia che, se adeguatamente contestualizzati e circoscritti, i risultati a cui si è pervenuti imboccando queste vie non si prestano a generalizzazioni in danno al valore della certezza, che ne viene ridimensionato in talune applicazioni pratiche, ma certamente non espulso dall’ordinamento che aspiri a conformarsi al modello di uno Stato di diritto. 4. L’abuso del diritto Non meno importante di quanto sin qui detto sulle esigenze di certezza della regola, è la necessità di certezza del comportamento regolato, quindi della posizione giu- Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 45 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO ridica del soggetto passivo dell’imposta (sia essa da qualificare come diritto soggettivo, o in altro modo, non importa precisare). Il punto è importante, perché può accadere che la certezza guadagnata su di un versante sia poi perduta sull’altro. Assume a questo proposito un valore esemplare – una volta che si attribuisca alla norma una natura sostanziale e non procedimentale – la nuova disciplina dell’abuso del diritto, contenuta nell’art. 10-bis n. 212/2000, per la quale danno corpo all’abuso “una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”. All’ovvia considerazione che con essa vengono meno molti problemi generati dalla clausola di origine giurisprudenziale che la ha preceduta – e così il problema dell’individuazione della base giuridica del divieto, e della definizione del suo ambito di applicazione – con indubbio guadagno sul versante della certezza del diritto, va aggiunto che, ciò non ostante, lascia aperta una questione fondamentale. Infatti, riferito al nesso tra abuso del diritto e giustificazione delle posizioni giuridiche di vantaggio, l’art. 10bis dello Statuto implica la messa a sistema di una caratteristica che sinora era stata oggetto di discussione soprattutto al di fuori dell’ordinamento tributario. Alludo alla questione se le posizioni giuridiche di vantaggio siano attribuite da disposizioni normative per uno o più scopi determinati, e cioè per soddisfare uno o più interessi dei soggetti che ne sono titolari, oppure lo siano per sé stesse, come delimitazione dell’area d’insindacabile autonomia del contribuente. Da questo punto di vista l’art. 10-bis presuppone che, se la posizione di vantaggio riconosciuta dalla legge tributaria non è esercitata per realizzare lo scopo o gli scopi dell’attribuzione, gli effetti che produce possono essere disconosciuti. Infatti, il suo esercizio in maniera conforme alla formulazione linguistica della norma che la riconosce può rivelarsi contrario al diritto oggettivo, perché non riconducibile alle ragioni dell’attribuzione. Di fronte a simili eventualità, la capacità dell’enunciato normativo di indicare con sufficiente determinatezza le condotte che sono esercizio della posizione di vantaggio viene meno. Di contro, intere classi di casi regolati in base a tale segno possono essere sottratte alla disciplina positiva a opera di un interprete qualificato (l’amministrazione), per la presenza o l’assenza di uno o più elementi, in ragione di quella che si presenta come una riduzione teleologica richiesta dall’ordinamento. È dunque prevedibile che la concezione della posizione giuridica del contribuente sottesa all’art. 10-bis L. n. 212/2000 finisca per influenzare l’interpretazione di qualunque disposizione tributaria, imponendo all’interprete di colmare anche l’eventuale scarto tra lettera e scopo della legge. Ne discende il rischio di un’abnorme dilatazione del concetto di abuso, per la ricorrenza di riduzioni teleologiche tanto ampie da svuotare di contenuto immediatamente percepibile la posizione giuridica, pur formalmente attribuita dall’ordinamento. Il risultato è all’apparenza paradossale, se si pensa che l’intervento del legislatore è stato invocato a rimedio della situazione di incertezza generata dai caratteri della massima giurisprudenziale che lo ha preceduto. Ma si allinea con ben precise premesse indagate a livello di teoria generale e di dottrina economica sull’ordine giuridico del mercato, trasferite nel nostro settore in punto di elaborazione della nozione costituzionale di tributo. In prospettiva la posta in gioco è la certezza delle posizione giuridiche di vantaggio del contribuente, e quindi dei comportamenti regolati, pur a fronte di discipline capaci di soddisfare il canone della certezza sotto ogni altro profilo. 5. Conclusioni Per avviare a conclusione – se una conclusione è mai possibile – le considerazioni sin qui fatte su argomenti tanto vasti e articolati, occorrerebbe esplicitare i parametri costituzionali ai quali l’interpretazione delle leggi tributarie si adegua, e delineare in modo coerente l’idea di tributo che vi è sottesa – ma è compito che non si può affrontare in questa sede, e che neppure mi compete. Opto per una conclusione meno ambiziosa, e mi limiterò quindi a proporre una sommaria valutazione dei tre argomenti del giudicato, degli effetti delle sentenze della Corte costituzionale e dell’abuso, secondo i parametri, emersi dalla discussione teorica sulla certezza del diritto, dell’efficienza della regola, e della sua capacità di favorire accordi cooperativi tra le parti del rapporto regolato. Ne emergeranno differenze forse utili sollecitare ulteriori riflessioni. a) La prima osservazione è che la cedevolezza del giudicato nazionale a fronte di una sentenza resa dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale è neutrale rispetto al parametro valutativo dell’efficienza, perché le materie nelle quali è stato ammesso (rimozione degli aiuti di stato; funzionamento dell’imposta comune sugli scambi; equilibrio dei conti pubblici) riguardano la stabilità dell’assetto di istituzioni (nazionali e sovranazionali), al cui interno l’accordo tra gli operatori è salvaguardato. Guardata dal punto di vista della capacità di provocare accordi collaborativi, la regola della cedevolezza torna a es- 45 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 46 46 DOTTRINA sere neutrale, ma per ragioni diverse a seconda che la si applichi al giudicato interno o esterno: nel primo caso, lo è perché si limita a inibirne determinati effetti, lasciando tuttavia intatto l’accertamento giudiziale; nel secondo, perché la sentenza della Corte è tra gli elementi che concorrono nel calcolo dei costi e dei benefici della promozione del giudizio in cui il giudicato è destinato a non valere. Diverso il giudizio sugli altri due casi, che mi sembrano da valutare negativamente con riguardo a entrambi i parametri evocati. b) La disposizione contraria alla Costituzione è infatti un esempio di regola inefficiente, perché capace di sollevare il più alto tasso di resistenza da parte degli operatori che sia dato immaginare. L’accordo che la ha prodotta non può aspirare alla protezione dell’ordinamento, e il conseguente processo di espulsione è causa di costi che sono a totale danno della collettività. Sotto altro aspetto, tra le conseguenze della limitazione pro futuro degli effetti delle sentenze di accoglimento v’è che queste non incidono nel procedimento in cui la questione è sorta, e ciò (oltre a essere una lesione del diritto della difesa, anzi proprio per questo) è un disincentivo al ricorso a rimedi giuridici per la correzione di una situazione di ingiustizia che l’ordinamento non approva, con quali ricadute sull’affidamento del contribuente si può solo immaginare. ETICA FISCALE E FISCO ETICO c) Quanto alla disciplina positiva dell’abuso, occorre riconoscere che la riduzione teleologica della regola attributiva della posizione giuridica di vantaggio non è causa di inefficienza, nella misura in cui la sua interpretazione si fondi sull’argomento storico, e abbia perciò riguardo all’intenzione degli autori della legge chiaramente espressa. Invece la sua capacità di favorire accordi cooperativi è inversamente proporzionale allo scarto tra l’elenco delle condotte comprese nella definizione letterale della fattispecie, e l’elenco delle condotte che, oltre a ciò, soddisfano anche l’interesse che la regola si propone di tutelare. Come dire che, in situazioni limite, la massima efficienza può convertirsi nella minima compliance tra le parti del rapporto regolato. Con questo genere di interventi si pongono le migliori premesse del fallimento della politica di collaborazione tra le parti del rapporto tributario, e in prospettiva all’azione di contrasto della piaga dell’evasione. Si tratta di aspetti che non pare utile trascurare, e che orientano l’interpretazione della legge verso un assetto connotato da una maggiore stabilità del dato normativo, anche in un contesto in cui la perdita del legame con l’etica del legislatore sia compensata da un’acquisita consapevolezza della peculiare dimensione politica del ruolo del giurista. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 47 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO La giustificazione etica e costituzionale dei tributi paracommutativi di Lorenzo del Federico Premessa Negli ultimi anni si assiste alla crisi di modelli impostivi che si ritenevano ormai acquisiti e stabilizzati. L’impianto solidaristico dei sistemi tributari, il principio di progressività, la centralità delle imposte sui redditi ecc., subiscono l’impatto di spinte liberistiche che vaticinano il ritorno alle logica dello scambio nell’imposizione. Tornano di attualità problematiche che nei Paesi anglosassoni danno corpo al Pay – as – you – government 1, centrato sul principio del beneficio. In tale contesto una riflessione sui rapporti tra imposizione tributaria e commutatività nel finanziamento dei servizi pubblici pone in evidenza: – i confini tra l’area della fiscalità e quella della contrattualità; – la rilevanza della categoria dei prezzi pubblici; – la suddivisione tra servizi pubblici divisibili ed indivisibili; – le peculiarità dei tributi collegati alla fruizione dei servizi divisibili; – la modulazione della capacità contributiva nei diversi tipi di tributo; – la rilevanza della capacità contributiva nelle forme di prelievo correlate alla fruizione di servizi pubblici essenziali, quand’anche tali prelievi vengano configurati come extratributari. Il filo conduttore tra queste complesse problematiche può essere rinvenuto nel variegato articolarsi della capacità contributiva, ma altrettanto significativo risulta l’equilibrio tra l’autoritatività dell’imposizione tributaria e la libertà negoziale. Dal punto di vista dell’economia della finanza pubblica le entrate vengono articolate a partire dal prezzo privato, sino alle imposte, tenendo conto che, al crescere dell’interesse pubblico e dell’indivisibilità del costo del servizio ci si allontana sempre più dai criteri di fissazione dei prezzi analoghi a quelli che si hanno nell’offerta dei beni e dei servizi da parte dei privati ed acquistano sempre maggior rilievo prelievi di natura coattiva. È quindi evidente che gli economisti fanno riferimento ai prezzi pubblici per identificare le entrate pubbliche fondate sui principi del beneficio e della contro- 1 V. ad es. The Economist, Pay – as – you – government, September 4th 2015, 26. prestazione, più o meno caratterizzate dalla divisibilità del servizio e dall’intensità dell’interesse pubblico, al solo fine di studiarne gli effetti nell’ambito della finanza pubblica. In tale ottica, ferma restando l’attenzione per i criteri di determinazione del prezzo, anche le tasse, i contributi ed i meri corrispettivi privatistici (sia pure in regime di prezzi amministrati et similia), vengono ricondotti alla categoria dei prezzi pubblici. Esemplificando il costo dei servizi pubblici può essere coperto mediante la fiscalità generale, e quindi, indirettamente, attraverso le imposte, con le quali si finanzia indistintamente la spesa pubblica, ovvero mediante «prezzi» direttamente correlati alla prestazione pubblica. Dal punto di vista giuridico il problema si pone sotto diversi profili; ma in questa sede rilevano sopratutto la giustificazione etica e costituzionale delle varie forme di imposizione correlate ai servizi pubblici. Sono infatti pregnanti e significative, sotto molteplici punti di vista, le differenze tra un regime paritetico di diritto privato, in cui il «prezzo» si configura come corrispettivo contrattuale, un regime tributario, in cui il «prezzo» si configura come tassa, contributo ecc., ed un ibrido regime pubblicistico, in cui il «prezzo» si configura come prezzo pubblico. Pertanto l’analisi dei rapporti tra imposizione tributaria e corrispettività nel finanziamento dei servizi pubblici viene qui incentrata sui seguenti punti: la giustificazione etica e costituzionale delle varie forme di imposizione; la sussistenza giuridica della categoria dei prezzi pubblici, delle tariffe ecc.; l’identificazione dei tributi più propriamente riconducibili al finanziamento dei servizi divisibili. 1. L’interesse per le forme di finanziamento correlate alla fruizione dei servizi divisibili Nei vari paesi dell’Unione europea, e non soltanto in Italia, negli ultimi anni la crisi dell’imposizione sui redditi (personale e progressiva), la rigidità dell’imposta sul valore aggiunto (fortemente armonizzata dalle direttive comunitarie), il ridimensionamento dell’imposizione indiretta sugli affari, i rigori di bilancio imposti dai trat- 47 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 48 48 DOTTRINA tati comunitari, la concorrenza fiscale fra Stati, il favor da globalizzazione (prepotentemente ottenuto, sia pure a fasi alterne, dalle multinazionali e dai grandi operatori finanziari), hanno costretto le finanze pubbliche a rivitalizzare multiformi meccanismi di prelievo diversi dalle imposte2. Si spiega così la ridestata attenzione per i tributi paracommutativi, per le tariffe ed in generale per i prezzi pubblici, che nell’era del welfare state (ovvero dal secondo dopoguerra sino agli anni 90) erano stati piuttosto trascurati, dominando politiche fiscali fondate su principi solidaristici e finalità redistributive. La tendenza a finanziare i servizi divisibili mediante le imposte va attenuandosi, mentre riprendono vigore le forme di finanziamento correlate alla fruizione dei servizi, nella logica del beneficio e della controprestazione. Tale fenomeno risulta inoltre accentuato dall’avvento del federalismo fiscale, che sulla base del nuovo titolo V della nostra Costituzione, negli ultimi anni ha caratterizzato (seppure in modo incompiuto e discutibile) la finanza delle regioni e degli enti locali. Peraltro, a prescindere dal federalismo fiscale italiano, l’interesse a valorizzare le forme di finanziamento correlate alla fruizione dei servizi divisibili caratterizza le più recenti esperienze delle finanze pubbliche nei vari Paesi dell’Unione europea, non solo per quanto riguarda le vere e proprie funzioni pubbliche, ma anche, seppure in via strisciante e altalenante, per quanto riguarda i servizi pubblici e l’ambiente3. 2. Il ridestato interesse per i tributi paracommutativi (e per i tributi di scopo) La legislazione finanziaria italiana degli ultimi venticinque anni ha dimostrato la velleitarietà del tentativo di sviluppare l’ambigua fenomenologia dei c.d. prezzi pubblici4. Il finanziamento dei servizi pubblici resta quindi saldamente ancorato ai due tradizionali e contrapposti sistemi della corrispettività e dell’imposizione. Il sistema della corrispettività si articola mediante tariffe, canoni, diritti Ancora una volta v. The Economist, Pay – as – you – government, September 4th 2015, 26. 3 V. ad es. PITRONE, Would enviromental taxes by any other name smell as sweet ?, in AA.VV., L’evoluzione del sistema fiscale ed il principio di capacità contributiva, a cura di L. Salvini e G. Melis, Padova, 2014, 768. 4 In merito v. DEL FEDERICO, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000, cui si rinvia anche per gli ulteriori approfondimenti e riferimenti sui vari aspetti delle tematiche esaminate in questa sede. 2 ETICA FISCALE E FISCO ETICO ecc., caratterizzati da assetti paritetici e relazioni sinallagmatiche; il sistema dell’imposizione (a fronte dei servizi pubblici) si articola mediante tasse e contributi, riconducibili alla categoria dei c.d. tributi paracommutativi, aventi come tratto comune la rilevanza del principio del beneficio. Sotto questo profilo emergono molteplici punti di contatto con i tributi di scopo, che possono essere considerati una specie del genere paracommutativo. È indubbio che nell’ambito del dibattito sulla finanza pubblica sviluppatosi negli ultimi anni, i tributi paracommutativi ed i tributi di scopo hanno suscitato notevole interesse5 sotto diversi profili: – in un mercato globalizzzato in cui attività produttive, residenze, domicili fiscali e cespiti possono essere agevolmente delocalizzati, i tributi paracommutativi ed i tributi di scopo consentono di sottoporre ad imposizione coloro che effettivamente “gravano” sulla collettività, fruendo dei servizi e dei beni pubblici, secondo il principio del beneficio; – il tributo di scopo, finalizzato ad es. al finanziamento di un’opera pubblica, o comunque caratterizzato da un vincolo di destinazione, risulta di per sè tale da rendere immediatamente percepibile e condivisibile per la collettività locale la funzione del prelievo e la sua diretta ed immediata utilità; – le così dette tasse facoltative (tasse universitarie, contributo unificato per le spese degli atti giudiziari, tasse di concessione ecc.) risultano caratterizzate da scarso impatto impositivo, e da notevole efficienza e semplicità dei controlli, in quanto il prelievo è assicurato indefettibilmente dall’interesse del contribuente al godimento della prestazione pubblica; – i contributi e le tasse sono tributi non necessariamente coattivi e quindi consentono di allargare l’orizzonte degli strumenti a disposizione del Legislatore tributario sino a ricomprendere l’onere. Si può così costruire un meccanismo di prelievo estremamente efficace, senza necessità di apparati coercitivi e sanzionatori; 5 Al riguardo v. Proposta ANCI, UPI, UNCEM e LEGAUTONOMIE per l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione, in data 28.4.2003; Documento delle Regioni sull’attuazione dell’art. 119 della Costituzione, in data 21.6.2005; ANCI, Piattaforma programmatica per la prossima legislatura (la XV), in data 15.6.2006; VITALETTI, Il sistema tributario nel contesto federalista: le proposte dell’Alta Commissione, in Riv. dir. fin. 2006, 52; BASILAVECCHIA - DEL FEDERICO - OSCULATI, Il finanziamento delle Regioni a statuto ordinario mediante tributi propri e compartecipazioni: basi teoriche ed evidenza empirica nella difficile attuazione dell’art. 119 della Costituzione, in Ist. Federal., 2006, 669 – 706; FICARI, L’autonomia normativa tributaria degli enti locali e la legge finanziaria 2007, in Rass. trib., 2007, 896; GALLO, Le ragioni del fisco, Bologna, 2011, 113. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 49 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO – le tasse risultano particolarmente congeniali alla finanza locale in quanto: a livello locale è stringente il collegamento tra servizi erogati dall’ente e relativi costi; i servizi indivisibili finanziati con imposte gravano sullo Stato, mentre sull’ente locale grava gran parte dei servizi divisibili; la necessità di conciliare riserva di legge e tutela delle autonomie è più agevole per i tributi paracommutativi che non per le imposte, anche perché per quelli la giurisprudenza costituzionale tende ad applicare il principio di legalità con minor rigore; – nell’ottica della evoluzione federale del nostro ordinamento, risulta agevole concepire la potestà di imporre i tributi paracommutativi come implicitamente ricompresa nel potere legislativo riguardante le varie materie ripartite tra Stato e Regioni, secondo il principio della continenza (v. art. 2, 2 co., lett. p, l.d. 5 marzo 2009, n. 42); – i tributi paracommutativi sembrano infine meglio rispondenti alle esigenze dell’imposizione ambientale. Possono infatti dare attuazione diretta al principio etico e giuridico “chi inquina paga”, in ragione sia della loro peculiare giustificazione (consistente nella necessità di far fronte ad una spesa pubblica riferibile ad un determinato soggetto che l’ha causata o che ne ha tratto vantaggio, evitando di far gravare i corrispondenti oneri sull’intera collettività), sia della specifica correlazione – giuridicamente rilevante a livello di fattispecie imponibile – tra prestazione pubblica e prelievo. 3. I rapporti tra i principi della capacità contributiva e del beneficio Fra i giuristi il principio del beneficio è ormai da tempo contestato sotto molteplici punti di vista, ma il principale argomento contrario è dato dalla costituzionalizzazione del principio di capacità contributiva6. Invero nel nostro ordinamento, in ossequio alla prevalente concezione solidaristica della capacità contributiva, accade spesso che l’onere di determinati servizi (sociali, assistenziali, sanitari ecc.) gravi proprio su coloro che meno beneficio ne traggono, in quanto meno li utilizzano. 6 Si è assistito al tentativo di recuperare il principio del beneficio identificando la capacità contributiva con la manifestazione di godimento dei pubblici servizi. Si tratta della tesi propugnata sopratutto da MAFFEZZONI e FORTE (sulla scia di DE VITI DE MARCO e GRIZIOTTI), aspramente criticata dalla dottrina dominante (GAFFURI, MANZONI, MOSCHETTI, DE MITA, BATISTONI – FERRARA) e disattesa dalla giurisprudenza (tra le tante v.: Corte Cost. 10.7.1975, n. 201, in Giur. Cost., 1975, 1563). Tuttavia con il ridestarsi dell’attenzione per forme impositive diverse dalle imposte sui redditi e sui consumi emerge la tendenza a rivalutare, in ottica diversa, il principio del beneficio, come risulta soprattutto dal dibattito sulle imposte locali aventi ad oggetto il patrimonio immobiliare. Successivamente un tentativo di rivalutazione del principio del beneficio si è sviluppato in occasione dell’introduzione dell’imposta regionale sulle attività produttive. È chiaro comunque che, anche nelle sue più moderne prospettive, il principio del beneficio non può certo confortare la concezione del tributo come fenomeno di scambio e quindi portare a configurare il tributo come entrata corrispettiva7. Resta tuttavia una differenzazione, giuridicamente apprezzabile, tra tributi caratterizzati esclusivamente dalla capacità contributiva (intesa in senso solidaristico) e tributi caratterizzati anche dal beneficio, almeno quando questi risultano giustificati da una correlazione tra prelievo ed utlità, positivamente assunta a delimitare il presupposto e la fattispecie imponibile (il che tuttavia non si verifica nelle imposte patrimoniali e tantomeno nell’IRAP). Gran parte della dottrina, pur attenta e sensibile alle garanzie costituzionali, relega al principio del beneficio i tributi (para)commutativi, limitando l’applicazione della capacità contributiva alle sole imposte, o comunque ai tributi non collegati con un servizio divisibile, con un servizio goduto singolarmente, o con un vantaggio individuale del contribuente8. La giurisprudenza è pacifica nel negare ogni qualsivoglia corrispettività per tutti i tributi, anche per quelli correlati con un servizio pubblico (tra le tante v.: Corte Cost. 27.6.1959, n. 36 e 30.1.1962, n. 2, in Giur. it., 1959, I, 1, 897, e Foto amm. 1962, IV, 61). 8 La letteratura è vastissima, limitatamente ai contributi monografici v.: GIARDINA, Le basi teoriche del principio di capacità contributiva, Milano 1961, 457-458; GAFFURI, L’attitudine alla contribuzione, Milano 1969, 28 ss., e MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, 99 ss., ai quali si rinvia per l’ampia bibliografia; contra: MANZONI, Il principio di capacità contributiva nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino 1964, 156 ss.; MAFFEZZONI, Il principio di capacità contributiva nel diritto finanziario, Torino 1970, 7 ss.; BATISTONI FERRARA, Art.53, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca ed A. Pizzorusso, Rapporti politici, Artt. 53 e 54, Bologna - Roma, 1994, 44, il quale tuttavia in un successivo studio non ricomprenda più nell’ambito oggettivo dell’art. 53, 1 co., tutte le tasse, ma soltanto quelle (ovvero anche i prezzi e le tariffe) aventi ad oggetto servizi pubblici essenziali (Capacità contributiva, in Enc. dir., Agg., III, 347). Per un quadro aggiornato sulle questioni generali si rinvia ai contributi di DE MITA, FEDELE, GAFFURI, MOSCHETTI e FALSITTA, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale, a cura di L. Perrone e C. Berliri, Napoli, 2006); inoltre per i profili di attualità e per la più recente evoluzione del dibattito v. AA.VV., L’evoluzione del sistema fiscale ed il principio di capacità contributiva, a cura di L. Salvini e G. Melis, Padova, 2014. 7 49 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 50 50 DOTTRINA Tale orientamento non è condivisibile. Soltanto la corrispettività strictu sensu esclude la natura tributaria del prelievo e lo colloca fuori dall’ambito applicativo dell’art. 53 Cost. Invero o il prelievo è veramente commutativo in senso tecnico giuridico (civilistico), ed è quindi incentrato sul sinallagma negoziale, ed allora ben si può affermare che tale commutatività lo configura come corrispettivo di diritto privato e quindi lo colloca fuori dall’ambito applicativo dell’art. 53; o viceversa il prelievo è configurato come imposizione autoritativa che attua il “concorso alle pubbliche spese”, ed allora non potrà essere sottratto alla garanzia costituzionale. In sostanza al Legislatore è consentito sottrarre il prelievo ai principi di cui all’art. 53, soltanto ove operino meccanismi realmente corrispettivi e paritetici9, ovvero laddove gli interventi sui diritti patrimoniali dei privati realizzino una decurtazione avente giustificazione in altri principi costituzionali (si pensi ad es. agli artt. 25, 41, 42, 43, 44 ecc.). In ordine a tale problematica è stato evidenziato che «il particolare collegamento fra art. 53 ed art. 2 fa si che debbano escludersi dal primo quei tributi che abbiano come loro causa giuridica, intesa nel senso di ratio, non un dovere di solidarietà, ma una particolare prestazione o un particolare servizio ricevuti dalla pubblica amministrazione»; deve peraltro trattarsi non di un «collegamento con l’attività o il bene pubblico... puramente estrinseco od occasionale», ma di «un collegamento che individui la giustificazione sostanziale della contribu- Si ricorda che durante i lavori dell’Assemblea Costituente la Corte di Cassazione aveva proposto di inserire nella Costituzione il principio della capacità contributiva, adducendo che esso «mentre esclude il concetto di prestazione corrispettiva all’obbligazione tributaria in relazione all’indole dei servizi pubblici indivisibili, soddisfa, dall’altro, la fondamentale esigenza “di rispetto del minimo imponibile”» (Rapporto della Commissione Economica presentato all’Assemblea Costituente, V, tomo II, 176). 9 Commutatività e concorso alle pubbliche spese operano su due piani distinti ed incompatibili: – la commutatività è propria di quei contratti (rapporti) a prestazioni corrispettive che hanno la funzione di attuare uno scambio fra prestazioni economicamente equivalenti (la prestazione di ciascuna parte trova giustificazione, o causa, nella prestazione dell’altra, in un rapporto di interdipendenza detto sinallagmatico); il concorso è partecipazione alle spese pubbliche in cui il collegamento tra la prestazione del privato (il pagamento del tributo) e la prestazione pubblica (addirittura mancante nella fattispecie imponibile tipica delle imposte) è assunto come fatto giuridicizzato dalla legge tributaria e quindi rilevante nella fattispecie imponibile, ma non nel rapporto fra le parti. Inoltre è necessario chiarire che il concorso viene attuato per sua natura in assetto autoritativo (non la mera coattività, ma la doverosità è immanente all’art. 53 – conf. Corte Cost. 13 febbraio 2008, n. 64). ETICA FISCALE E FISCO ETICO zione»10. Su tali basi si distingue poi tra tributi giustificati da un fatto relativo alla sfera giuridica del contribuente, che deve essere necessariamente espressivo di capacità contributiva (imposte dirette ed indirette), e tributi commutativi che trovano la loro giustificazione «in uno scambio di utilità», che può essere quindi sganciato dalla capacità contributiva (tasse). I due punti critici di tale concezione stanno nel ritenere assolutamente inconciliabili beneficio e capacità contributiva e nel fondare la distinzione tra «tributi commutativi» (basati essenzialmente sul beneficio) e «tributi contributivi» (basati sulla capacità contributiva) non sulla struttura del presupposto di fatto e sul regime giuridico della fattispecie, ma sulla «ratio del prelievo». Nel privilegiare la ratio, rispetto ai dati formali e strutturali, questa autorevole dottrina pone l’accento sulla necessità di «vedere se» il prelievo «sia “finalizzato” a colpire una manifestazione di ricchezza in quanto tale o una particolare “utilità ricevuta”». Il discrimine tra entrate contributive e commutative risulta quindi incentrato sul criterio funzionale. Orbene, pur riconoscendosi l’indubbia proficuità del criterio funzionale si ritiene prioritario il criterio strutturale, dovendosi altresì prestare particolare attenzione al regime giuridico della fattispecie11. Nei tributi paracommutativi la correlazione tra prelievo ed utilità caratterizza giuridicamente la fattispecie imponibile (non è relegata a mera ratio del prelievo), ma non ha rilevanza sinallagmatica (corrispettiva), non vi sono reciproche obbligazioni delle parti; lo schema è quello tipico della fattispecie tributaria: legge – presupposto (o meglio fattispecie imponibile) – obbligazione. 3. I razionali criteri di riparto che giustificano i tributi paracommutativi In genere la capacità contributiva viene intesa come la capacità economica – superiore ad una certa soglia minima – ritenuta idonea a concorrere alle spese pubbliche alla luce dei valori costituzionali12. Così MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva cit., 100; in senso analogo VIOTTO, Tributo, in Digesto, disc. priv. sez. comm., ed in Riv. dir. trib., 1998, I, 787-789. 11 I rischi del metodo funzionale sono chiaramente avvertiti da MOSCHETTI il quale precisa che per accertare il fine del prelievo «l’elemento oggettivo e la struttura del presupposto debbono essere valutati unitamente a tutti gli altri elementi della fattispecie e all’intera disciplina del tributo...»; tuttavia la prospettiva resta di tipo funzionalista (come si desume anche dall’analisi delle fattispecie -op. cit., 103 ss.). 12 GIARDINA, Le basi teoriche cit., 434 ss.; MANZONI, Il principio di capacità contributiva cit., 67 ss.; GAFFURI, L’attitudine 10 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 51 ETICA FISCALE E FISCO ETICO Nel contesto del variegato dibattito dogmatico, e dei non sempre coerenti contributi giurisprudenziali, è andato emergendo quell’autorevole orientamento che valorizza il collegamento tra l’art. 53 e l’art. 2 Cost., qualificando la capacità contributiva come capacità economica idonea a realizzare nel campo economico e sociale le esigenze collettive accolte dalla Costituzione13. Si è quindi giunti a puntualizzare che «l’elaborazione del concetto costituzionale di capacità contributiva richiede in primis l’interpretazione dell’art. 53 secondo criteri letterali, logici, storici (senza ignorare anche gli apporti della scienza delle finanze), ma oltre a ciò richiede altresì che l’art. 53 sia collegato all’art. 2 ed agli altri disposti indicanti le scelte di valore della costituzione», e, conseguentemente a sintetizzare i seguenti principi: «a) l’art. 53 vuole fissare un criterio di giustizia in materia tributaria; b) tale criterio di giustizia è distinto dal principio di uguaglianza e dai canoni formali della mera razionalità e coerenza delle scelte legislative (costituisce “interpretazio abrogans” ridurre l’art. 53 a mera applicazione del generale principio di eguaglianza); c) tale criterio presuppone, come condizione necessaria e non sufficiente, la capacità economica del soggetto; d) la capacità economica deve essere superiore ad un certo minimo e deve essere considerata idonea a concorrere alle spese pubbliche in relazione alle scelte di valore enunciate nella Carta costituzionale; e) a parità di ammontare può pertanto sussistere diversità di capacità contributiva in relazione alla qualifica costituzionale della capacità economica»14. In tale ottica si ritiene che costituiscono adempimento di un dovere di solidarietà, e rientrano quindi nell’art. 53, 1 co., Cost., quei soli tributi che risultano giustificati da un fatto particolare del contribuente espressivo di capacità economica (reddito, patrimonio, spesa ecc.), a prescindere dal godimento di un bene pubblico o dalla fruizione di un servizio pubblico; solo queste sono entrate a titolo contributivo (rectius, come si preferirà dire alla contribuzione cit., 63 ss.; MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva cit., 21 ss.; DE MITA, Capacità contributiva, in Digesto, disc. priv., sez, comm., Torino, 1987, 456; L. ANTONINI, Dovere tributario, interesse fiscale e diritto costituzionale, Milano 1996, 325 ss., 359 ss. 13 MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva cit., 245; ID., Capacità contributiva, in Enc. giur., 9 ss.; ID., La capacità contributiva. Profili generali, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, Padova 1996, vol. I, 245-246; SCHIAVOLIN, La capacità contributiva. Il collegamento soggettivo, ibidem, I 273 e seg.; TOSI, La capacità contributiva. il requisito di effettività, ibidem, 322 e seg.; LORENZON, La capacità contributiva. L’ambito oggettivo di applicazione, ibidem, 306 e seg.; L. ANTONINI, Dovere tributario cit., 347 ss. 14 MOSCHETTI, La capacità contributiva cit., 246. DOTTRINA in seguito, “redistributivo”), mentre quelle che, come le tasse, trovano la loro giustificazione in uno scambio di utilità sono entrate a titolo commutativo, alle quali non è applicabile il principio di capacità contributiva15. Tale concezione solidaristica è diffusa e radicata16, ma non univocamente condivisa. A prescindere dalla superata opinione della capacità contributiva come godimento dei servizi pubblici17, e dall’orientamento garantista, ma nettamente minoritario, che concepisce la capacità contributiva come forza economica espressa dall’incremento di valore delle fonti produttive18, si deve prendere atto della emergente e vitale tesi razionalistica. Secondo tale tesi «l’art. 53 Cost. definisce la funzione fiscale come funzione di “riparto” di carichi pubblici, imponendo, con la formula della “capacità contributiva”, equi e ragionevoli criteri distributivi fra i consociati», per cui «il riparto richiede l’individuazione di posizioni differenziate dei singoli contribuenti, cui collegare nell’an e nel quantum, il concorso alle pubbliche spese»19. In tale prospettiva viene compressa la componente solidaristica e valorizzato il ruolo del principio di uguaglianza, e quindi dei corollari della razionalità e coerenza delle scelte legislative, come cano- 15 In tal senso v. ad es. MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva cit., 100, il quale assimila i contributi alle imposte. 16 Secondo BATISTONI FERRARA, Capacità contributiva cit., 346, «è questa l’impostazione… più convincente, e che ormai, si può ritenere generalmente accettata, in via di principio, anche dalla Corte Costituzionale». 17 MAFFEZZONI, Il principio della capacità contributiva cit., 59 ss.; ID., Capacità contributiva cit., 1089 ss. 18 V. per tutti GAFFURI, L’attitudine alla contribuzione cit., 94 ss., secondo cui la capacità contributiva non può essere mai rinvenuta nella mera esistenza delle fonti produttive, necessitando effettivi incrementi di valore; la forza economica che giustifica il prelievo deve essere qualificata alla luce dei fondamentali principi costituzionali in tema di rapporti tra organizzazione economica privata e attività pubblica, e siccome la Costituzione garantisce il mantenimento dell’economia privata è illegittima l’imposta che pregiudica la coesistenza dei due ordini economici (op. cit., 150, 155); ID., La compatibilità dell’imposta regionale sulle attività produttive cit., 850 ss., ove si ribadisce, anche alla luce del più recente dibattito dogmatico, la necessità che «i presupposti del tributo siano scelti tra le manifestazioni di forza economica, l’unica che contenga in sé i mezzi idonei al pagamento…» (851). 19 Così FEDELE, Prime osservazioni in tema di Irap cit., 472; ID., Gli incrementi nominali di valore nell’INVIM e il principio di capacità contributiva, in Riv. dir. fin., 1982, I, 56 e seg; ID., Dovere tributario e garanzie dell’iniziativa economica e della proprietà nella costituzione italiana (relazione al Convegno di Bergamo del 2930.10.1999, Dalle costituzioni nazionali alla costituzione europea. Potestà, diritti, doveri e giurisprudenza costituzionale in materia tributaria), in Riv. dir. trib., 2000, I, 972-973; GALLO, Le ragioni del fisco cit., 81 ss.; v. altresì i contributi di GALLO, FEDELE e BERGONZINI in AA.VV., L’evoluzione del sistema fiscale cit. 51 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 52 52 DOTTRINA ne fondante l’art. 53, 1 co., Cost., ritenuto norma applicabile a tutti i tributi, comprese le tasse ed i contributi. La tesi della capacità contributiva come razionale criterio di riparto, pur autorevolmente propugnata, non incontra il favore della giurisprudenza che tende a circoscrivere l’ambito applicativo dell’art. 53, 1 co., Cost. ai soli tributi relativi ai servizi indivisibili, evitando, al tempo stesso, di fare esplicito riferimento alla categoria dei tributi caratterizzati da connotazione solidaristico-contributiva. Tuttavia non v’è dubbio che anche i tributi relativi a servizi divisibili, e quindi, per quanto qui particolarmente interessa, anche i tributi paracommutativi, e cioè le tasse ed i contributi, sono costituzionalmente legittimi; si tratta di individuarne la giustificazione etica e costituzionale. In più occasioni la Corte Costituzionale ha valorizzato il costo del servizio pubblico fruito dal privato come elemento per giustificare i tributi cui essa ritiene inapplicabile la capacità contributiva. Si tratta di alcune note pronunce rese in tema di «tributi giudiziari»20, nelle quali la Corte afferma i seguenti principi: – l’organizzazione generale dei servizi giudiziari è sostenuta dallo Stato nell’interesse indistinto della collettività; – «risponde tuttavia ad un principio di giustizia distributiva che il “costo del processo” sia sopportato in definitiva da chi ha reso necessaria l’attività del giudice, ed ha perciò occasionato la “spesa” implicata dal suo svolgimento» (ed è questo il nucleo etico caratterizzante); – il principio di capacità contributiva non si applica ai «tributi giudiziari» (tra i quali la Corte colloca anche l’imposta di bollo, senza tuttavia ritenerne utile la qualifica come tassa o come imposta)21. L’art. 53 Cost. «non concerne quelle spese giudiziarie la cui entità è misurabile per ogni singolo atto, e che quindi possono gravare individualmente su chi vi ha dato occasione; ed è richiamabile solo per la spesa della organizzazione generale dei servizi giudiziari»; – l’art. 53 ha «riguardo soltanto a prestazioni di servizi il cui costo non si può determinare divisibilmente». È bene chiarire che le pronunce della Corte Costituzionale che hanno escluso l’applicabilità del principio di capacità contributiva ai tributi prelevati a fronte di servizi divisibili non hanno mai fatto riferimento specifico al- ETICA FISCALE E FISCO ETICO le tasse in senso stretto, occupandosi del rimborso delle spese processuali penali, dei contributi previdenziali forensi, ovvero dell’imposta di bollo sugli atti giudiziari. In questo ambito merita quindi particolare attenzione una interessante ma poco nota sentenza resa dalla Corte Costitizionale in tema di contributi22. La Corte è giunta a dichiarare illegittime talune norme che avevano introdotto un’addizionale ai contributi di miglioria, per contrasto con l’art. 53, 1 co., dopo aver precisato che non vi sono ragioni per escludere l’applicabilità di tale norma ai contributi, «sia per l’ampiezza della formula costituzionale (concorrere alle spese pubbliche), sia perché l’esclusione già affermata in ordine a prestazioni di servizi il cui costo si possa determinare divisibilmente (sentenza n. 30 del 1964) va riferita alla particolare fattispecie delle spese processuali…», a nulla rilevando che nei contributi, «a differenza che nelle imposte, il vantaggio dell’obbligato rilevi come elemento costitutivo del presupposto», giacché è proprio «la specifica natura di questo elemento essenziale che garantisce di per se l’effettività del rapporto tra presupposto e capacità contributiva». Sono quindi evidenti le incertezze, o meglio le insospettabili, sia pure moderate aperture, della giurisprudenza costituzionale in tema di tributi paracommutativi23. Cercando di valorizzare gli spunti giurisprudenziali più significativi, ed al tempo stesso maggiormente coerenti con gli orientamenti di fondo, si può affermare che nel sistema costituzionale possono certamente trovare collocazione anche tributi fondati su un criterio di riparto diverso da quello della capacità contributiva (intesa in senso solidaristico), individuabile nel principio etico di «giustizia distributiva» secondo cui il costo pubblico deve essere sopportato «da chi ha reso necessaria l’attività… ed ha perciò occasionato la “spesa” implicata dal suo svolgimento». È quindi possibile individuare una giustificazione etica e costituzionale dei tributi paracommutativi nella esigenza di far fronte ad una spesa pubblica riferibile ad un determinato soggetto che l’ha causata o che ne ha tratto vantaggio, evitando di far gravare i corrispondenti oneri sull’intera collettività. Si possono tuttavia enuclea22 22.4.1980, n. 54, in Foro it., 1980, I, 1557. 20 V. le già citate pronunce: 2.4.1964, n. 30, 29.12.1966, n. 128, 6.12.1984, n. 268 e 19.1.1993, n. 8. 21 In più occasioni la Corte Costituzionale ha ritenuto che i contributi per la previdenza ed assistenza degli avvocati, prelevati in occasione di attività processuali, hanno natura di «tributi latu sensu giudiziari» (17.4.1968, n. 23, in Foro it., 1968, I, 1116; 17.4.1969, n. 85, ibidem, 1969, I, 1373; 20.4.1977, n. 62, ibidem, 1977, I, 1056). 23 Prescindendo – nell’ottica che qui interessa – dalle critiche a taluni eccessivi cedimenti alla bieca ragion fiscale, sta di fatto che la Corte Costituzionale giustifica i privilegia fisci in ragione dell’interesse fiscale, incentrato sull’art. 53 Cost., ed inteso come interesse pubblico alla regolare percezione dei tributi, condizione di vita per la comunità perché rende possibile il funzionamento dei servizi pubblici (v. tra le tante: 9.4.1963, n. 43, in Foro it., 1963, I, 646; 6.6.1974, n. 164, in Foro it., 1975, I, 27; 6.3.1975, n. 53, in Giur. cost., 1975, I, 177; 16.1.1978, n. 6, ibidem, 1978, I, 40; 22.6. 1994, n. 358). Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 53 ETICA FISCALE E FISCO ETICO re due diversi profili: un primo criterio di riparto è fondato sulla responsabilità individuale per la spesa pubblica specificamente causata dal privato; un secondo criterio di riparto è invece fondato sulla esigenza di compensare la situazione di vantaggio che il privato ritrae dall’espletamento di un servizio pubblico o dal godimento di un bene pubblico, così da evitare l’arricchimento individuale a carico della collettività. Inteso in tal modo il principio del beneficio, è subordinato alla solidarietà: il concorso alle spese pubbliche mediante la tassa è giustificabile soltanto laddove il servizio pubblico possa essere reso divisibile ed individualizzato senza pregiudicare il fondamento solidaristico della Costituzione, e senza ledere i diritti costituzionalmente garantiti (a minori problemi dà luogo il godimento individuale dei beni pubblici). Si tratta di giustificazione etica e costituzionale analoga a quella individuata dalla dottrina tedesca24, che, in assenza di norma ad hoc sulla capacità contributiva, è giunta ad occuparsi anche della determinazione dell’ammontare delle tasse25, individuando il principio del costo (Kostendeckungsprinzip), per i casi in cui la tassa si determina in base alla spesa causata dal debitore, ed il principio di equivalenza (Aquivalenzprinzip), per i casi in cui la tassa si determina in base al valore di mercato della prestazione pubblica. Tali principi assumono rilevanza anche nel nostro ordinamento, e del resto hanno trovato un qualche avallo nella giurisprudenza costituzionale in tema di tributi per servizi divisibili. Dal confronto tra la concezione solidaristica della capacità contributiva, intesa come capacità economica qualificata, e la concezione razionalistica della capacità contributiva, intesa come «pluralità di equi e ragionevoli criteri distributivi» delle spese fra i consociati, può essere enucleato un articolato quadro di meccanismi di concorso alle pubbliche spese, aventi differenti giustificazioni, nel quale è consentito salvaguardare la capacità economica come fondamentale giustificazione del prelievo solidaristico, senza obliterare la rilevanza costituzionale dei criteri distributivi peculiari dei tributi paracommutativi. V. sopratutto VOGEL, Vorteil und Verantwortlichkeit. Der doppelgliedrige Gebuhrenbegriff des Grundgesetzes, in Festschrift fur W. Geiger, Tubingen, 1989, 105; WENDT, Die Gebuhr als Lenkungsmittel, Hamburg, 1975, 49 ss.; P. KIRCHHOF, Staatliche Einnahmen, in ISENSEE - P. KIRCHHOF, Handbuch des Staatsrechts, Heidelberg, 1990, 170. 25 RAECKE, Das Kostendeckungsprinzip Moglichkeiten und Grenzen Seiner Anwendung bei Verwaltungsgebuhren, Koln - Berlin - Bonn - Munchen, 1971, 17 ss.; F. KIRCHHOF, Die Hohe der Gebuhr, Berlin, 1981, 41 ss. 24 DOTTRINA I tributi solidaristici, denominati anche «tributi a titolo contributivo» (o meglio redistributivo), sono caratterizzati dal conseguimento di finalità generali, rectius dal finanziamento dei servizi indivisibili26 (nell’ordinamento francese si parla di “tributi fiscali”); si tratta in buona sostanza delle imposte, dirette o indirette, che per loro natura hanno essenzialmente finalità redistributiva. Per tali tributi l’equo e ragionevole criterio di riparto non può che essere la capacità economica qualificata27. I tributi paracommutativi sono caratterizzati da una specifica correlazione giuridicamente rilevante nella fattispecie imponibile tra attività pubblica (o beni pubblici) e responsabilità o vantaggio del contribuente (in linea di principio ove la responsabilità o il vantaggio rilevano individualmente avremo le tasse, ove, viceversa, rilevano per il contribuente in quanto membro di una collettività qualificata avremo i contributi). Per i tributi paracommutativi l’equo e ragionevole criterio di riparto non può che rivenirsi nella responsabilità individuale per la spesa pubblica specificamente causata, ovvero nella necessità di compensare la situazione di vantaggio che il contribuente ritrae dall’espletamento di un servizio pubblico o dal godimento di un bene pubblico (o per i contributi dalla realizzazione di un’opera pubblica). Conseguentemente per tali tributi la capacità economica qualificata (solidaristica) non può rilevare, salve talune eccezioni promozionali, in quanto ad essi è estranea ogni finalità redistributiva e/o di finanziamento delle spese pubbliche per i servizi indivisibili. Altri equi e ragionevoli criteri di riparto potrebbero essere indivibiduati per i tributi ambientali, si pensi al principio “chi inquina paga”28, ovvero per i contributi previdenziali ecc. È tuttavia necessario precisare che mentre le imposte sono acausali, cioè non richiedono particolare giustifica26 MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva cit., 100; LORENZON, La capacità contributiva cit., 314. 27 Con tale formula si intende far riferimento alla nozione di capacità contributiva elaborata da MOSCHETTI. Tuttavia le argomentazioni che seguono, finalizzate ad individuare il criterio di riparto giustificativo delle tasse, conserverebbero la loro conseguenzialità anche aderendo all’orientamento minoritario, ma schiettamente garantista, che intende la capacità contributiva come forza economica (GAFFURI). 28 Al riguardo v. i fondamentali contributi di: GALLO - MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, in Rass. Trib. 1999, 139-140, 115; VERRIGNI, La rilevanza del principio comunitario “chi inquina paga” nei tributi ambientali, in Rass. trib., 2003, 1614; SELICATO, La tassazione ambientale: nuovi indici di ricchezza, razionalità del prelievo e principi dell’ordinamento comunitario, Riv. Dir. Trib. Int., 2004, 257 ss.; ALFANO, Tributi ambientali. Profili interni ed europei, Torino, 2012, 51 ss.; PEVERINI, I tributi ambientali, in AA. VV., L’evoluzione del sistema fiscale cit., 719. 53 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 54 54 DOTTRINA zione se non la sussistenza nella fattispecie imponibile della capacità economica solidaristica, per i tributi paracommutativi la particolare causa che li contraddistingue deve necessariamente caratterizzare la fattispecie imponibile, nella quale deve quindi risultare giuridicamente rilevante la specifica correlazione tra attività pubblica (o beni pubblici) e responsabilità o vantaggio del contribuente. Pertanto un tributo nel quale la paracommutatività emergesse soltanto sul piano della ratio, assumerebbe nella sostanza natura di imposta e quindi dovrebbe inevitabilmente trovare giustificazione nella capacità economica29. In tale ottica la correlazione tra attività pubblica (o beni pubblici) e responsabilità o vantaggio del contribuente deve essere tale da dare rilievo giuridico all’equilibrio tra quota parte (individuale) del costo del servizio, ovvero valore della prestazione, ed ammontare della tassa, sia pure mediante quantificazioni forfettarie, basate sui costi medi, su criteri probabilistici, su indici statistici ecc. Conclusioni A questo punto è possibile focalizzare le conclusioni rispetto alle complesse questioni affrontate. La tradizionale suddivisione tra servizi pubblici divisibili ed indivisibili ha rilievo meramente descrittivo. Può essere utile per classificare le entrate fiscali, ma risulta totalmente in balia della discrezionalità legislativa. Nel solco delle dottrine finanziarie la Corte Costituzionale distingue le imposte, correlate al finanziamento dei servizi, e quindi delle spese, indivisibili, dalle tasse (e più in generale dalle entrate paracommutative tributarie), correlate ai servizi, ed alle spese, divisibili, tendendo ad escludere che per queste entrate, proprio in ragione della loro natura, possa trovare applicazione il principio di capacità contributiva. La prospettiva potrebbe risultare preoccupante: – taluni servizi indivisibili potrebbero essere frazionati e resi divisibili; – verrebbero conseguentemente introdotte nuove tasse aggiuntive rispetto ai tributi già esistenti, volti a finanziare le spese pubbliche per servizi indivisibili; – un tale fenomeno risulterebbe avulso dal principio di capacità contributiva, pilastro del concorso alle pubbliche spese. Che si tratti di ipotesi di concreto interesse è dimostrato dalle recenti vicende, evoluzioni ed involuzioni, Puntuale la critica di GAFFURI, La compatibilità dell’imposta regionale cit., 853, in merito all’impossibilità di giustificare l’IRAP in base al principio del beneficio, «si tratta di un’enunciazione solo suggestiva: non esiste alcuna relazione causale (giuridicamente rilevante) tra quel prelievo e lo sfruttamento delle utilità genericamente offerte dall’ente pubblico…». 29 ETICA FISCALE E FISCO ETICO della tassa rifiuti, della TARES, della TASI, della c.d. service tax o council tax , ancora in fase embrionale, ecc. Ulteriori questioni emblematiche sono rinvenibili anche nell’abnorme sviluppo ed incremento del contributo giudiziario, nella continua crescita dei ticket sanitari, dei corrispettivi dei servizi sociali ecc. Si è avuto modo di chiarire che la categoria del tributo ricomprende anche le tasse ed i contributi, qualificati come tributi paracommutativi, nei quali la correlazione tra le utilità caratterizza giuridicamente la fattispecie imponibile, ma non ha rilevanza sinallagmatica. Sul piano costituzionale, optando per la concezione razionalistica della capacità contributiva, intesa come «pluralità di equi e ragionevoli criteri distributivi» può essere enucleato un articolato quadro di meccanismi di concorso alle pubbliche spese, aventi differenti giustificazioni. Risulta così possibile salvaguardare la capacità economica, come fondamentale giustificazione del prelievo solidaristico, senza obliterare la rilevanza costituzionale dei criteri distributivi peculiari dei tributi paracommutativi. I tributi solidaristici, ovvero con funzione redistributiva (quali le imposte sui redditi), sono caratterizzati dal conseguimento di finalità generali (dal finanziamento dei servizi indivisibili). Per tali tributi l’equo e ragionevole criterio di riparto non può che essere la capacità economica qualificata. Per i tributi paracommutativi l’equo e ragionevole criterio di riparto non può che rinvenirsi nella responsabilità individuale per la spesa pubblica specificamente causata (principio del costo), ovvero nella necessità di compensare la situazione di vantaggio che il contribuente ritrae dall’espletamento di un servizio pubblico, o dal godimento di un bene pubblico, o dalla realizzazione di un’opera pubblica (principio dell’equivalenza). Conseguentemente per tali tributi la capacità economica qualificata non può rilevare, in quanto ad essi è estranea ogni finalità redistributiva e/o di finanziamento delle spese pubbliche per i servizi indivisibili. In tale ottica è agevole percepire una valida giustificazione etica non solo per i tributi solidaristici, ma anche per i tributi paracommutativi. Infine si deve escludere che il principio di capacità contributiva possa trovare applicazione al di fuori del sistema tributario, e quindi anche in riferimento ai corrispettivi per i pubblici servizi. Tuttavia la capacità contributiva dovrà comunque essere rispettata nel caso di uso improprio della categoria giuridica del corrispettivo, ove sia configurabile un prelievo tributario camuffato. Sotto tale profilo un’area a rischio è certamente quella dei servizi idrici e, per quanto riguarda il godimento dei beni pubblici, l’area dei canoni demaniali. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 55 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO L’etica della spesa pubblica di Gilberto Muraro 1. Premessa L’etica della spesa pubblica è un tema quasi illimitato a causa delle molte interrelazioni che tale spesa comporta con la vita individuale e collettiva. Ai fini di questa breve riflessione il tema va quindi preliminarmente delimitato. I confini qui assunti escludono sia il lato entrate, indirettamente toccato solo per una riflessione sul problema del saldo di bilancio, sia gli approfondimenti settoriali o territoriali della spesa sia la ripartizione di competenze tra diversi livelli di governo. Esclusioni forti, se si pensa che gli effetti dell’azione pubblica sono il frutto congiunto di entrate e di uscite nonché di interventi di enti periferici, oltre che del governo centrale, e hanno impatti diversi a seconda del territorio su cui si manifestano; e se si pensa inoltre che i principali settori di spesa – quali la previdenza, la sanità, l’istruzione, la giustizia e la difesa – hanno importanti e peculiari implicazioni etiche. Ma credo che rimanga abbastanza da investigare nei ristretti limiti così posti, che dunque configurano in termini generali il tema del rapporto tra Stato e comunità sul versante della la spesa pubblica. Circa l’articolazione della nota, essa ricalca quella ovvia di ogni analisi sull’azione pubblica, che distingue tra gli obiettivi e gli strumenti. Ci si interrogherà quindi sulle finalità e le modalità della spesa pubblica, esaminate sotto il profilo dell’etica. Va infine chiarito in via preliminare il concetto stesso di etica cui ci si ispira, un concetto inevitabilmente convenzionale. Il punto di partenza di tale chiarimento, che spero trovi consenso unanime, è la visione liberale dello Stato, quale risulta in termini impareggiabili dalla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti del 1776: persone uguali e libere, che creano lo Stato come strumento che aiuti gli individui nella ricerca della sicurezza e della felicità. Di fatto, se non per necessità logica, tale visione porta ad un’economia di mercato, in cui persone uguali e libere contrattano volontariamente tra loro entro la cornice delle leggi collettivamente adottate. Al binomio libertà e uguaglianza della rivoluzione americana bisogna aggiungere il paradigma della fraternità, introdotto dopo pochi anni dalla rivoluzione francese; però, se è pacifico che la solidarietà rappresenta un riferimento etico insopprimibile, non è semplice stabilire come essa si rapporti agli altri due riferimenti dei quali potreb- be rappresentare una qualificazione ma anche una limitazione. Il tema sarà esplorato nel testo. Qui basta concludere che nell’ambito assunto – all’insegna della democrazia, della libertà d’impresa e della sovranità del consumatore entro l’esistente quadro normativo – diventa etica la spesa pubblica che, nelle finalità e nelle modalità, si ispira al criterio del massimo benessere sociale inteso in senso personalistico, considerando peraltro i legami di solidarietà tra persone. Purtroppo non basta tale affermazione per avere un metro di giudizio sufficiente in tutti i problemi di scelta, come si argomenterà tra poco; ma basta per inoltrarci nell’analisi. 2. Le finalità della spesa pubblica Circa le finalità della spesa pubblica in una società liberale e solidale, è pacifica tra gli economisti da oltre mezzo secolo la tripartizione suggerita e analizzata da Musgrave, sia con riferimento descrittivo a quanto avviene che con riferimento prescrittivo, quindi etico, a ciò che dovrebbe avvenire: la spesa pubblica persegue di fatto, e deve perseguire in vista del benessere sociale, fini di allocazione delle risorse, di loro ridistribuzione, di stabilizzazione macroeconomica1. La funzione di allocazione corrisponde alla fornitura di beni e servizi che l’operatore pubblico effettua a integrazione di quelli forniti dal mercato. In un’ottica prescrittiva, trattasi essenzialmente di beni a fruizione collettiva forniti senza prezzo o di beni con rilevanti effetti esterni positivi e quindi forniti a prezzi inferiori al costo: difesa, giustizia, ordine pubblico, ricerca, istruzione, infrastrutture, ecc.; beni che i privati non produrrebbero o produrrebbero in quantità o qualità insufficiente perché privi di corrispettivo adeguato. 1 La presente nota rappresenta una riflessione personale che si basa soltanto sui principi fondamentali dell’intervento pubblico sull’economia. Non ci sono quindi citazioni specifiche sui vari argomenti affrontati, ma solo un rinvio a tali principi per il cui approfondimento basta qualsiasi buon manuale di Scienza delle finanze, ad esempio: B.Bises, Lezioni di Scienza delle Finanze, 2° edizione, vol.1, Giappicchelli, Torino, 2012; H. S.Rosen e T. Gayer, Scienza delle Finanze, 4° edizione, McGraw Hill, Milano, 2014; G. Brosio, Economia pubblica moderna, Giappicchelli, Torino, 2010. 55 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 56 56 DOTTRINA La funzione di ridistribuzione corrisponde all’insieme di trasferimenti alle imprese e alle famiglie volti a correggere, nel senso voluto dal decisore politico, i risultati economici emergenti dalla mercato privato. La funzione di stabilizzazione non trova corrispondenza in voci specifiche di bilancio. Le spese reali sono solo quelle appena viste, per beni e servizi o per trasferimenti. Ma, rispetto alle astratte esigenze dell’allocazione e della ridistribuzione, la politica macroeconomica può indurre ad un aumento o ad una riduzione della spesa al fine di stabilizzare il ciclo economico, contrastando gli opposti fenomeni patologici che accompagnano l’economia di mercato, ossia l’inflazione e la recessione. Per meglio valutare ora le implicazioni etiche della spesa pubblica, si ricorre all’usuale ipotesi semplificativa che esamina le spese attinenti a ciascuna delle tre funzioni anzidette, immaginando che le altre due siano state già affrontate in modo adeguato. 2.1. La funzione allocativa Cominciamo dalla funzione allocativa, supponendo, come appena chiarito, che il contesto sia privo di rilevanti problemi ridistributivi e congiunturali. Cosa e quanto produrre? Il tema ha dato vita nel Novecento a uno specifico filone di teoria economica, noto sotto il nome di “economia del benessere”, che ha prodotto significativi contributi alla definizione di criteri di giudizio e di decisione: dal criterio di Vilfredo Pareto (intervenire per massimizzare il benessere sociale aggregato, sotto il vincolo che nessuno stia peggio di prima e quindi dando compensazioni adeguate ai danneggiati) al criterio della compensazione potenziale elaborato da Nicholas Kaldor e John Hicks (intervenire per massimizzare il saldo netto tra guadagni e perdite individuali, affidando al confronto politico la decisione su eventuali compensazioni interne).È quest’ultimo, in pratica, il criterio di valutazione delle azioni economiche implicito nella cultura politica dominante. Esso separa le decisioni sull’allocazione, che devono puntare al massimo risultato netto, da quelle sulla distribuzione dei costi e dei risultati stessi, che sono viste come un posterius delle prime e lasciate alle separate scelte politiche Omettendo vari passaggi analitici, in buona parte intuitivi, si tratta del criterio che sottende al paradigma della concorrenza perfetta di Adam Smith come sistema ideale di mercato, che a livello macroeconomico porta a perseguire l’obiettivo del massimo prodotto interno lordo, che infine ispira l’analisi costi-benefici elaborata per le decisioni sugli investimenti pubblici. La sua forza sul piano dell’analisi è che esso si presenta concettualmente come ETICA FISCALE E FISCO ETICO guida sufficiente, ossia come criterio esaustivo ed univoco delle azioni economiche. In campo pubblico esistono in realtà enormi problemi di misurazione e stima del prodotto pubblico, dato che molti beni e servizi sono resi disponibili a prezzo zero o comunque inferiore al costo: sono problemi che l’affinamento dell’analisi costi-benefici ha consentito di ridurre, ma gli spazi di indeterminazione sono ancora rilevanti e suggeriscono di ricorrere spesso a varianti non monetarie dell’analisi, quali l’analisi costi-efficacia o l’analisi a criteri multipli. Resta tuttavia vero che sul piano concettuale, ignorando i problemi concreti di misura e stima, l’anzidetto criterio del massimo prodotto ha senso anche per la spesa pubblica in beni e servizi: esso implica precisamente che il valore di tali beni e servizi sia dato dalla disponibilità dei cittadini a pagarli (disponibilità “sincera”, che ipotizziamo di poter stimare al di là delle dichiarazioni opportunistiche dei cittadini-contribuenti che cercano di minimizzare il prelievo cui saranno sottoposti). È allora da ritenersi tale criterio come valido anche sul piano etico? Molti studiosi rispondono positivamente, perché conviene comunque produrre il massimo possibile, per poter ridistribuire di più qualora non si giudicasse appropriata l’esistente distribuzione della ricchezza. Mutatis mutandis, è il concetto affermato con forza da Milton Friedman contro ogni teoria di responsabilità sociale dell’impresa. Per quanto gravi siano i problemi sociali, egli sostiene, li si affronta meglio se il prodotto interno lordo è maggiore; e quindi le imprese devono pensare solo al massimo profitto, naturalmente nel rispetto delle leggi. L’obiezione è duplice. Innanzitutto, si sottolinea che le leggi non cadono dal cielo e che, se una modifica dei comportamenti appare positiva, meglio è anticiparla nei fatti per quanto possibile e consentito, in attesa che una nuova regola, stimolata dalle pressioni sociali, la renda obbligatoria. In secondo luogo, si ricorda che i problemi sociali possono nascere anche dalle modalità di produzione e non solo dalla scarsità di prodotto. Ad esempio, non è la stessa cosa far lavorare il disoccupato anche a produttività bassa o nulla e pagargli invece a casa un sussidio pari al salario perso. In tal caso, esiste un trade-off, un rapporto di scambio, tra il quanto e il come; e ciò basta a inficiare la teoria del massimo prodotto. Al contempo, bisogna evitare che simili argomentazioni si estendano oltre il dovuto e giustifichino la mancanza di ogni obbligo di valutazione economica in campo pubblico.Sotto tale profilo aiuta il ricorso alla menzionata analisi costi-benefici. Essa consente infatti di tener conto di simili aspetti, introducendo nel calcolo Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 57 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO pubblico di convenienza sociale degli appropriati prezzi virtuali al posto dei prezzi di mercato che sarebbero fuorvianti in presenza di effetti esterni o di estesa disoccupazione. In conclusione, ignorando per il momento i problemi di ridistribuzione, l’etica suggerisce che la spesa pubblica per beni e servizi si ispiri all’obiettivo del massimo beneficio sociale netto, misurando il valore dei beni e servizi pubblici in base al valore ad essi attribuito dai cittadini, come avviene per i beni e servizi scambiati sul mercato. Come appena detto, aiuta in tal senso il ricorso, per quanto possibile, all’analisi costi- benefici, che assicura trasparenza e coerenza nella valutazione degli effetti misurabili della spesa pubblica, mentre, per la larga parte di spesa con benefici non misurabili in termini monetari, occorrerà sperare nelle valutazioni soggettive di decisori che siano sinceramente ispirate da tale obiettivo. Sono quindi contrarie all’etica le spese finalizzate a realizzare vantaggi di gruppi di pressione o addirittura di singoli, mediante leggi ad personam, anziché il bene comune; a maggior ragione se le decisioni sono indotte da corruzione o da interessi diretti dei decisori. Se sulle forme estreme di degenerazione della spesa pubblica non occorre spendere parole di chiarimento, bisogna invece avvertire che la democrazia rappresentativa è strutturalmente esposta alle influenze dei gruppi di pressione attraverso gli accordi di voto, di cui una manifestazione vistosa è l’emanazione in fase preelettorale di “leggi e leggine” a beneficio dei singoli collegi elettorali. Attenzione tuttavia che gli accordi di voto potrebbero anche portare a decisioni positive dal punto di vista del benessere sociale, consentendo di superare il limite intrinseco della regola “una testa, un voto”: regola quasi universale, in mancanza di meglio, ma che soffre dell’intrinseca debolezza di non tener conto della intensità delle preferenze e quindi di attribuire uguale potere decisionale a Tizio e Caio, anche se la questione in esame è irrilevante per Tizio ed è di vitale importanza per Caio.Diventa perciò necessario un giudizio sui singoli casi, con tutte le difficoltà che ne conseguono. Non potendo in questa sede approfondire l’analisi dei meccanismi palesi e occulti delle scelte collettive, su cui si è ormai accumulata una vasta letteratura, concludo segnalando due strumenti adottati in Italia per aiutare i parlamentari di buona volontà che vogliano decidere secondo etica e quindi in vista del massimo benessere sociale. Il primo è costituito dagli uffici tecnici delle due Camere, chiamati a enucleare e possibilmente misurare gli effetti delle spese proposte: è un’approssimazione all’analisi costi-benefici più volte menzionata, che, per quanto perfezionabile, rappresenta un valido ausilio alle decisioni. Il secondo strumento è costituito dalla nuova struttura del bilancio adottata nel 2007, su iniziativa del Ministro dell’economia e delle finanze Tommaso Padoa Schioppa, la cui riforma ridusse drasticamente le migliaia di capitoli di bilancio riconducendoli a 168 programmi ministeriali, ciascuno con un chiaro contenuto politico, a loro volta raggruppati in 34 missioni interministeriali, Ciò consente, volendo, scelte più meditate, trasparenti e coerenti. Non mi pare, purtroppo, che siano strumenti diffusamente utilizzati; e potrebbe essere una buona missione degli studiosi quello di diffonderne la conoscenza nell’opinione pubblica e stimolarne l’utilizzo da parte dei parlamentari. 2.2. La spesa ridistributiva Passiamo alla seconda componente della spesa pubblica, quella che cerca di ridistribuire la ricchezza rispetto agli esiti di mercato. Questo è il campo in cui, a giudicare dal dibattito politico e dall’opinione pubblica, è massima la difficoltà di trovare un qualche preciso riferimento etico. Non si tratta qui di difficoltà di misurazione, come nel caso del beneficio sociale creato dalla spesa per beni e servizi. Si tratta di difficoltà concettuale: qual è la giusta distribuzione della ricchezza? Non esistono teoremi al riguardo; e la stessa esistenza di una molteplicità di criteri proposti lo dimostra. Autorevoli studiosi, da John Stuart Mill a Luigi Einaudi, hanno sostenuto che, nella visone dello Stato liberale formato da uomini uguali e liberi, appaiono particolarmente ingiuste le disuguaglianze non giustificate dal merito, invocando quindi l’uguaglianza dei punti di partenza e spingendosi in alcuni casi a chiedere un’imposta successoria estremamente elevata. Ed è interessante notare che essi non erano bloccati dal timore di togliere stimoli al lavoro e al risparmio. Con una singolare sintonia tra pensiero marxista e pensiero liberale, il capitalista veniva designato in tali analisi come il sacerdote del capitale, cioè una persona che si realizzava attraverso il successo nel lavoro cui si sarebbe totalmente dedicato anche in assenza di eredi. Di fatto, è stata una strada non perseguita, anche se al riguardo le odierne differenze tra Stati sono notevoli sia per quanto riguarda l’imposta sulle successioni sia per quanto riguarda i comportamenti volontari (si pensi alla cultura americana in fatto di donazioni filantropiche a scapito dell’eredità in famiglia). In realtà gli Stati liberali, pur senza puntare all’uguaglianza dei punti di partenza, hanno cercato di dare opportunità diffuse alla popolazione non già attraverso l’imposta successoria bensì attraverso la spesa pubblica 57 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 58 58 DOTTRINA in beni e servizi universali – previdenza, istruzione e sanità di massa – finanziata da sistemi tributari progressivi. Si tratta dello “Stato sociale” che si è affermato nei paesi occidentali, in particolare in Europa, nel secondo dopoguerra e che, pur con il forte ridimensionamento avvenuto negli anni ‘80 del Novecento, è ancora il paradigma dominante in tali paesi. Rimangono peraltro forti differenze nelle posizioni di ricchezza tra famiglie e in particolare rimangono quote non trascurabili di popolazione in condizioni di povertà relativa e addirittura di povertà assoluta; e si sa che la crisi da cui stiamo faticosamente uscendo ha notevolmente aggravato la situazione. Cercando il miglior criterio di spesa ridistributiva, bisogna partire da duplice riconoscimento che l’istinto di solidarietà è radicato ovunque, in particolare nelle società a religione monoteista in cui l’aiuto al debole discende dal riconoscersi tutti fratelli ed è comunque un dovere sancito dalla Rivelazione; e che tale istinto si manifesta da sempre con svariate forme spontanee di carità. Perché allora l’intervento pubblico che va a modificare i risultati del libero mercato e della ridistribuzione volontaria ? Mille risposte vengono alla mente, che spaziano dalla insufficienza quantitativa delle erogazioni private ai principi costituzionali sui diritti individuali che hanno sostituito il paternalismo del dono, fino alle ragioni economiche di maggiore efficienza ed efficacia di un’azione pubblica coordinata rispetto alle azioni volontarie. Ma la sistemazione teorica più appropriata nell’ambito della visione di Stato qui adottata è quella che si rifà al più volte richiamato criterio del benessere sociale valutato su basi personalistiche: in una società permeata da cultura laica o religiosa tesa alla solidarietà, l’individuo tipico è propenso a dare a patto che gli altri in analoga situazione economica diano altrettanto; altrimenti impoverisce se stesso senza migliorare il mondo. Senza questa fiducia in un’azione collettiva, il singolo dà poco o nulla. Lo Stato diventa quindi il garante del generale sforzo di solidarietà: in altre parole, lo Stato, attraverso la coercizione dell’imposta che finanzia i sussidi pubblici, realizza ciò che i cittadini desiderano ma non sanno attuare volontariamente. La teoria offre anche indicazioni astratte sulla dimensione ottimale della ridistribuzione. Ragionando ancora sul cittadino tipo e assumendo la realistica ipotesi di un sacrificio marginale crescente dell’imposta e di un’utilità marginale decrescente del sussidio, si tratta di arrivare al punto in cui tale cittadino avverte, come contribuente, un sacrificio marginale provocato da un euro in più di imposta pari alla soddisfazione marginale che gli dà, come donatore, un euro in più di sussidio erogato. Super- ETICA FISCALE E FISCO ETICO fluo dire che non si riesce a dare una misurazione oggettiva di simile punto di equilibrio e che dunque il quantum da ridistribuire è lasciato alla sensibilità dei decisori politici che interpretano la propensioni dei cittadini nella loro duplice veste di contribuenti e di donatori. Se ci si fermasse qui, si sarebbe raggiunta la conclusone che la spesa per ridistribuire la ricchezza è giustificata sul piano etico, anche se la dimensione ottimale non è oggettivamente definibile. Ma vale la pena anche di valutare sul piano etico il dilemma affrontato dal decisore politico che deve decidere se ridistribuire in denaro o in natura, ossia dando ai beneficiari un sussidio monetario o fornendogli servizi gratuiti (alimenti, alloggio, medicinali, ecc.). È intuitivo che, a parità di spesa per il donatore, il beneficiario sta meglio se riceve denaro che non se riceve un paniere di beni e servizi di pari valore. Nel caso limite, di identità tra l’ipotetico paniere comprato e quello effettivamente ricevuto, c’è pari beneficio; in tutti gli altri casi, il paniere ricevuto, diverso da quello che avrebbe comprato, gli dà meno soddisfazione. E tuttavia l’assistenza in natura si osserva in tutti i paesi. Le ragioni sono essenzialmente due. La prima è che la messa a disposizione di beni e servizi riduce le truffe (il non bisognoso è più tentato dal sussidio in denaro che non dal posto nella mensa o nell’alloggio pubblico ). Sotto questo profilo, il timore di truffe è attenuato dall’uso crescente in Italia di uno specifico strumento di rappresentazione della situazione reddituale e patrimoniale di chi richiede assistenza, il cosiddetto Isee (Indicatore della situazione economica equivalente); ma, a detta degli esperti, le false dichiarazioni sono ancora molto numerose. La seconda ragione è più delicata sul piano etico e concerne soprattutto la fascia dell’emarginazione sociale. Il presupposto è che il beneficiario userebbe il denaro per spese non appropriate, sicché il decisore pubblico, quale rappresentante dei donatori, preferisce offrire i beni e servizi che ritiene effettivamente utili al beneficiario, violando così, ma a fin di bene, il principio della sovranità del consumatore 2. Se queste poche righe bastano a far capire che è eticamente necessaria la spesa pubblica ridistributiva e che è eticamente giustificata la ridistribuzione in natura anziché in denaro, esse non rendono l’idea di quanto il problema delle disuguaglianze sia diventato cruciale per la tenuta sociale degli Stati liberali. Rispetto a quanto avve2 Una soluzione intermedia è rappresentata dal sistema dei voucher,ossia dei buoni- spesa a destinazione vincolata che tolgono al beneficiario libertà di scegliere il tipo di spesa ma gli consentono di scegliere il fornitore. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 59 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO nuto nella seconda metà del ‘900, quando la crescente ricchezza media si accompagnava a una riduzione delle disuguaglianze, si assiste da quasi vent’anni a disuguaglianze crescenti3. Varie la cause, tra cui prioritaria la globalizzazione che aumenta la ricchezza globale e riduce le differenze tra Stati ma aumenta le distanze tra classi sociali all’interno degli Stati. Con l’aggravante di uno Stato che deve diminuire la spesa sociale perché impoverito dalla crescente difficoltà di prelievo fiscale, dato che in un mondo globalizzato sfuggono molto più di prima le rendite finanziarie, i redditi delle imprese con stabilimenti esteri, gli alti redditi e consumi personali. Peggio ancora, è stato riscontrato che in molti paesi le forti disuguaglianze sono associate con una bassa mobilità sociale intergenerazionale: la situazione economica delle nuove generazioni è fortemente legata alla situazione delle famiglie di origine. È la fine del sistema di mercato come fattore di mobilità sociale e dispensatore di ricchezza diffusa? Non è detto; può essere solo l’avvio di un nuovo ciclo lungo che vede lo sviluppo economico accentuare dapprima e poi ridurre le differenze, come avvenuto in passato. Ma è certo che la miscela maggiori differenze- minore mobilità sociale è esplosiva, perché rende le differenze intollerabili, come più volte ha ricordato Papa Francesco. Se al fenomeno delle crescenti disuguaglianze all’interno della popolazione esistente si aggiungono le migrazioni di massa, ci si accorge come la ridistribuzione della ricchezza sia problema gigantesco che incombe su tutta la vita collettiva e che forse richiede nuovi paradigmi culturali ed etici. 2.3. la spesa anticiclica Passando alla terza finalità della spesa pubblica, si è già detto che essa nasce dalla presenza di cicli economici nelle economie di mercato e dall’opportunità di contrastarli per evitare o almeno ridurre le fasi di inflazione o di recessione. Le manovre anticicliche si avvalgono anche e soprattutto di variazioni nell’imposizione fiscale, ma qui guardiamo solo al lato spesa. Esemplifichiamo con il caso della recessione, che viene contrastata con un aumento della spesa pubblica. Nella situazione ideale si tratterebbe di anticipare le spese comunque previste come appropriate per il benessere sociale sul piano allocativo o ridistributivo; e in tal caso non si porrebbe un autonomo problema di valutazione sotto il profilo etico. Nelle politiche reali, invece, può rivelarsi opportuno ef3 OECD, DIVID4 ED We Stand. Why Inequality Keeps Rising, Paris, 2011. fettuare subito spese in beni e servizi che in condizioni di normalità sarebbero posposte ad altre solo perché presentano maggiore rapidità di attuazione o maggiore impatto sull’occupazione. E analogamente sul versante della ridistribuzione, dove possono essere preferiti aumenti di sussidi a effetto più rapido e forte sui consumi a quelli più aderenti a principi di equità. Nei manuali di economia si usa ricordare che il padre della politica anticiclica, John M. Keynes, giustificava anche l’opera inutile – il canale scavato da una squadra e subito riempito da un’altra – pur di rilanciare il sistema economico inceppato. Purtroppo la provocazione teorica si è trasformata frequentemente in un alibi per parlamenti, governi e uffici pubblici che hanno favorito l’espansione della spesa pubblica, e quindi della loro area di potere, senza troppo riguardi per la qualità dei singoli progetti: un atteggiamento che ha provocato molti investimenti scarsamente utili o autentici sprechi, provocando una tardiva reazione contro la dottrina keynesiana, magari ignorando che non di cattiva teoria si trattava ma di degenerazione pratica di una buona teoria.Analogamente, sul fronte redistributivo l’urgenza del risultato può mascherare interventi dettati da interessi di gruppi di potere. Il dettato etico è astrattamente chiaro e impone al decisore pubblico di contemperare nel modo più congruo per il benessere sociale la finalità anticiclica con quella allocativa e ridistributiva. È superfluo aggiungere che la chiarezza teorica si accompagna all’estrema difficoltà pratica di trovare criteri operativi che consentano di giudicare le manovre anticicliche dal punto di vista etico. 3. Spesa con deficit di bilancio Un problema etico si pone poi a livello di spesa pubblica complessiva quando essa generi un deficit di bilancio e sia quindi finanziata con debito. Ovviamente non rileva qui il breve squilibrio di tesoreria, legato ai temporanei ritardi dei flussi di entrata rispetto a quelli di uscita; e neppure il deficit generato dalla politica antirecessiva, che venga presto sanato nella fase ascendente del ciclo economico, secondo la citata teoria keynesiana; e neppure il deficit che nasce da efficaci investimenti produttivi che saranno capaci di più che compensare la spesa. Rileva invece il debito accumulato attraverso un prolungato deficit di parte corrente che implica un persistente livello di spesa non coperto dal prelievo tributario. Esso è chiaramente contrario a quel concetto di sostenibilità economica che, al pari della sostenibilità ambientale, rappresenta l’essenza dell’etica nei rapporti tra generazioni. 59 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 60 60 DOTTRINA Si comprende allora la pregnanza etica della regola dell’Unione Europea introdotta con il Fiscal Compact del 2012, che impone l’equilibrio del bilancio strutturale, tollerando solo un deficit pari allo 0,50% del Pil. Com’è noto, il saldo del bilancio strutturale (o normale o a regime o aggiustato per il ciclo, che dir si voglia) è frutto di una stima, non un risultato della contabilità effettiva. Precisamente è il saldo che si verificherebbe a legislazione invariata, una volta tolti dal bilancio corrente gli effetti delle misure una tantum e soprattutto gli effetti della congiuntura economica che potrebbe essere eccezionalmente buona o cattiva. Si noti che un bilancio strutturale in pareggio contiene una flessibilità automatica. A legislazione invariata, infatti, esso genera un surplus di bilancio nella fase ascendente del ciclo economico, quando diminuiscono i sussidi e aumenta il prelievo; e simmetricamente genera un deficit di bilancio corrente nella fase recessiva. Personalmente, giudico insufficiente la flessibilità automatica e ritengo necessarie deroghe più marcate per superare crisi profonde come quella da cui stiamo faticosamente uscendo. Considero quindi positiva l’evoluzione della politica comunitaria che ha recentemente introdotto gradi di flessibilità aggiuntiva a fronte di recessioni acute, di investimenti effettivamente produttivi e di buone riforme. I livelli di flessibilità non appaiono adeguati ma la direzione i marcia è corretta4. Quanto detto rende più chiaro il buon fondamento etico delle due regole del Fiscal Compact che impongono, a regime, di mantenere il (quasi) pareggio del bilancio strutturale e di non superare un livello fisiologico di debito pubblico, posto convenzionalmente al 60% del Pil. Esse significano che ogni generazione paghi le proprie spese, evitando la cattiva prassi, di cui l’Italia è stata triste campione, di scaricare l’onere sui giovani: l’Italia, che di tale prassi è stata triste campione, ha adottato nel 2012 la stessa regola, modificando l’art. 81 della Costituzione; a nzi, ha voluto primeggiare, rinunciando al deficit di mezzo punto del Pil ammesso nel patto europeo e imponendo il pareggio senza sconti. ETICA FISCALE E FISCO ETICO un corpo di civil servants obbedienti solo alle leggi di cui effettuava una scrupolosa applicazione erga omnes, nei confronti quindi dei cittadini ma anche del governo. Nelle analisi di economia pubblica, essa appariva priva di un ruolo autonomo: era solo una cinghia di trasmissione più o meno perfetta, non un meccanismo capace di influenzare la direzione di marcia. È solo da pochi decenni che la pubblicistica economica si è accorta che per capire il mondo bisognava attribuire alla burocrazia un largo spazio di autonomia e decifrarne l’uso che essa ne faceva. La letteratura economica sull’argomento è cresciuta rapidamente, seguendo l’espansione della spesa pubblica nel secondo dopoguerra ma anche inserendosi nella più vasta teoria dei “contratti incompleti”. Tale teoria afferma che non è possibile prevedere tutti gli eventi né predeterminare tutti i corrispondenti comportamenti e comunque non è conveniente investire risorse per farlo. Occorre pertanto accettare che tutti i contratti, sia quelli commerciali tra soggetti indipendenti sia quelli di lavoro all’interno di una struttura complessa, lascino margini di indeterminazione che il singolo è libero di usare discrezionalmente. La conseguenza è che i risultati economici dipendono anche dal livello di etica negli affari, intesa come il sistema dei valori che porta ad aderire alle regole anche quando i comportamenti non siano controllabili o sanzionabili. È un fattore che spiega perché lo stesso problema economico possa razionalmente originare soluzioni diverse nei diversi tempi e paesi, che spiega molte differenze tra paesi con analoga dotazione di risorse fisiche e umane, che spiega purtroppo varie peculiarità negative del’Italia. Il problema è quindi generale; ma esso giganteggia, appunto, nel settore pubblico, dove una burocrazia stabile e informata si trova di fronte parlamentari e ministri provvisori ed inesperti. Le conclusioni di tali analisi sono note: la burocrazia tende in generale a dilatare la spesa pubblica, a diminuire l’efficienza operativa (il potere le deriva più dagli input gestiti che non dai risultati sociali ottenuti), a rendere complessi i processi decisionali e la stessa normativa5. 4. Le modalità della spesa e il ruolo della burocrazia Passando dalle finalità alle modalità della spesa, viene in rilievo essenzialmente il tema della burocrazia, Nella teoria dello Stato liberale la burocrazia è stata idealizzata: 4 Cfr. il mio scritto:”Italia – Unione Europea: le regole e le deroghe “, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Venezia, tomo CLXXIII ( 2014-2015), Classe di Scienze morali, lettere ed arti, pp.55-67. Come presidente della Commissione tecnica per la finanza pubblica (CTFP), che da aprile 2007 e maggio 2008 svolse, su mandato del Ministro Tommaso Padoa Schioppa, un sistematico processo di revisione della spesa ( Spending Review), ho potuto toccare con mano le molte possibilità di “spendere meglio”, come recitava il sottotitolo del primo documento della Commissione. Ho poi verificato da lontano le difficoltà di attuazione, tanto che leggo ancora proposte di intervento già formulate sette anni fa. Cfr. MEF-CTSP, Libro verde sulla spesa pubblica, Roma, 6.9.2007; La revisione della spesa pubblica, Rapporto 2008, Roma, 12.6. 2008. 5 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 61 ETICA FISCALE E FISCO ETICO Nell’applicazione delle leggi di spesa l’etica assume dunque un contenuto preciso: essa significa adesione spontanea alle finalità istituzionali, in termini di efficacia e di efficienza dell’intervento pubblico, anche quando i comportamenti non siano controllabili o sanzionabili. Quanto si sia lontani da livelli soddisfacenti di etica in Italia, non occorre dire; e neppure vale la pena di spendere molte parole sui rimedi sperimentati, sinora senza molto successo: la definizione di precisi obiettivi e strumenti, la valutazione dei risultati, le promozioni e le premiazioni selettive, infine e soprattutto, i controlli sulle procedure, sui comportamenti e sulle assenze. L’ANAC ha visto crescere rapidamente le proprie competenze, forse un po’ troppo rapidamente per l’organizzazione interna dell’ente, mentre la recente legge delega 124/2015 sulla riforma della PA promette modifiche positive e incisive. Peccato che alcuni principi risultino già contemplati in leggi passate e mai pienamente attuate: dall’Ufficio territoriale del Governo, previsto dalla legge Bassanini del 1997 (legge delega 59/1997 e D.lgs.300/1999), alla durata certa dei processi amministrativi già imposta dalla legge 241/1990, alla meritocrazia che stava al centro della legge Brunetta del 2009 (D.lgs. 150/2009). Ciò dimostra ancora una volta che in Italia la legge è forse condizione necessaria, certamente non è condizione sufficiente per cambiare la realtà. E tuttavia non resta che proseguire su questa strada, sperando che una maggiore consapevolezza sociale, un affinamento delle leggi e il maggiore controllo dell’Europa portino a qualche positivo risultato. 5. Riepilogo La presente nota ha assunto un concetto di etica pubblica aderente ad una visone politica che mette al centro la persona e quindi postula che la spesa pubblica debba perseguire il massimo benessere sociale inteso in senso personalistico: meglio se nessuno soffre dell’azione pubblica, che dovrà allora prevedere adeguate compensazioni per coloro che in via immediata ne risultino danneggiati, secondo il criterio di Pareto; necessario comunque che, quando non ci sono compensazioni perché impossibili o indesiderate, sia positivo il saldo tra i guadagni e le perdite della spesa pubblica, secondo il criterio della compensazione potenziale. In un mondo senza problemi di ridistribuzione della ricchezza e di stabilizzazione del ciclo economico, un’impostazione del genere equivale a riconoscere validità etica alla massimizzazione del Pil e, in campo pubblico, alla massimizzazione del saldo benefici-costi, mi- DOTTRINA surati in base alla disponibilità a pagare dei cittadini. Diventa quindi non etica ogni spesa dettata da interessi particolari che non consentano di realizzare il benessere sociale potenziale. Aprendo poi ai problemi reali delle disuguaglianze, oggi paradossalmente ancora più gravi che in passato, nonché a quelli creati dal ciclo economico, ci si accorge che l’obiettivo del massimo prodotto deve venire a patti con le esigenze della ridistribuzione e della stabilizzazione. La ridistribuzione operata dallo Stato deve realizzare con giustizia ed efficienza la solidarietà che è diffusa nella nostra società, assicurando l’equità nel prelievo e l’efficacia ed efficienza nella erogazione, consentendo anche, a fin di bene, servizi in natura al posto dei sussidi in denaro che sarebbero più coerenti con la visione personalistica del benessere sociale. La politica di stabilizzazione dal lato della spesa deve accelerare o frenare l’intervento pubblico in funzione anticiclica. L’attenzione va posta sulla composizione della spesa, che deve derogare il meno possibile dagli obiettivi di efficacia individuati nella sfera dell’allocazione e in quella della ridistribuzione delle risorse. Il pericolo maggiore sotto il profilo dell’etica è che l’urgenza dell’intervento produca o nasconda sprechi e spese sociali poco utili. A livello complessivo di finanziamento della spesa pubblica si pone il problema del deficit e del debito. Va riconosciuto a tale riguardo il fondamento etico delle regole europee del Fiscal Compact del 2012 che, richiedendo l’equilibrio del bilancio strutturale e imponendo a regime il tetto del 60% al debito rispetto al Pil, obbliga ogni generazione a pagare le proprie spese, senza scaricare l’onere sulle future generazioni. Va quindi chiesta un’adeguata flessibilità della regola in situazione di crisi ma senza rinnegare la regola a regime. Sotto il profilo dell’etica pubblica, non meno importanti delle finalità della spesa, che toccano Parlamento e Governo, sono le modalità esecutive, che pongono in primo piano la Pubblica Amministrazione. Al di là dell’ovvia e unanime condanna dei comportamenti illegali, c’è concordia nelle analisi economiche sulla pressione della burocrazia a favore della dilatazione della spesa e alla sua minore efficienza, dato che il potere del dirigente poggia più sulla dimensione degli input amministrati che non dei risultati sociali ottenuti. Si può a questo punto sintetizzare l’intera analisi sull’etica della spesa pubblica nel duplice comandamento: i legislatori operino per il benessere sociale e gli esecutori siano efficienti e leali nel realizzare le finalità istituzionali; e ciò anche quando i comportamenti non siano controllabili o sanzionabili. 61 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 62 62 DOTTRINA 6. Si può promuovere l’etica? A conclusione dell’analisi sul significato dell’etica della spesa pubblica, serve una riflessione sul da farsi. In quest’ottica viene in rilievo la disastrosa situazione italiana, che rende necessario interrogarsi, prima ancora che sull’eticità, sulla legalità delle azioni degli operatori pubblici. Assumendo come esempio la piaga principale, la corruzione, essa non è stata prima esaminata perché non occorre alcuna analisi per condannarla sul piano morale. In un’ottica di contrasto, invece, serve un approfondito esame per capire le sue determinanti e prospettare i possibili rimedi6. In estrema sintesi, si ritiene che le principali cause della maggiore diffusione della corruzione in Italia rispetto ai paesi sviluppati con cui si è soliti confrontarsi possano essere così configurate: il forte potere della malavita organizzata, che cerca protezioni o omissioni in campo pubblico; l’ inefficienza della macchina giudiziaria, che rende probabile la prescrizione di molti reati e diffonde tra i colpevoli un senso di impunità; il professionismo politico, che agevola la connivenza di parlamentari e governanti con i gruppi di potere nella società; la legislazione farraginosa e la burocrazia inefficiente, che generano la “corruzione indotta” da parte del cittadino che deve pagare favori anche solo per ottenere in tempi ragionevoli il riconoscimento dei propri diritti. Quest’ultimo appare il principale fattore del degrado della vita pubblica in Italia, non per il danno direttamente prodotto ma perché indebolisce il principale argine contro la corruzione, costituito dal controllo e dalla condanna da parte della comunità civile. Non ha aiutato in questo senso la scarsa severità della gerarchia cattolica italiana verso i violatori della morale sociale. Tale analisi porta a concludere che non bastano, per quanto utili, le misure specifiche, come la creazione di un’apposita autorità anticorruzione (Anac). Non è la cura giusta neppure l’aumento a dismisura dei controlli e delle sanzioni: perché i controlli costano; perché non si può derogare dal principio di proporzionalità tra reati e pene; e soprattutto perché una società con scarsa etica e abbondante corruzione non può fidarsi ciecamente neanche dai controllori ai quali consegna un “valore di corruzione potenziale” tanto maggiore quanto più alta è la sanzione che possono infliggere o togliere. Insomma, la lotta alla corruzione coincide in gran parte con la quotidiana e faticosa battaglia generale per aumentare il livello di efficienza e di etica dello Stato. Cfr. il mio scritto: “La battaglia da fare contro la corruzione”, Lavoce.info, 25.02.2014. 6 ETICA FISCALE E FISCO ETICO Non è una conclusione priva di speranza. Perché la mia età avanzata mi fa dire che una volta era peggio: la sensibilità sociale è cresciuta; la gerarchia cattolica italiana, specie con Papa Francesco, sta agendo da agente di moralizzazione; e soprattutto i controllori – Corte dei conti, magistratura ordinaria, uffici fiscali e Guardia di Finanza- hanno innalzato il livello di competenza e credibilità rispetto ai primi decenni del dopoguerra. Avere individuato tra i massimi fattori della radicata illegalità in Italia la diffusa “corruzione indotta” e la conseguente caduta del controllo sociale porta a pensare ad un continuum nel tema dei comportamenti, che va dalla carenza di senso etico, ossia di spontanea adesione non solo alla lettera ma anche allo spirito delle norme e dei doveri istituzionali, alla esplicita violazione delle leggi. Con la conseguenza che ogni punto di questo continuum influenza il resto della catena. Per comodità espositiva conviene tuttavia distinguere i due capitoli dell’analisi: come imporre coercitivamente l’osservanza delle leggi e quindi contrastare, tra l’altro, la corruzione; e come ottenere la spontanea adesione alla lettera e allo spirito delle buone leggi, e quindi indurre ad operare con convinzione per il benessere sociale, anche quando i comportamenti non siano controllabili o sanzionabili. È questo secondo capitolo che viene in rilievo, ed è venuto in rilievo in questa nota, quando si parla di etica. La non controllabilità o sanzionabilità pone un lacerante problema al singolo7. Perché da un lato egli capisce la validità dell’imperativo categorico kantiano, in parole povere capisce che il mondo andrebbe meglio se tutti seguissero regole giuste; dall’altro capisce che, se gli altri non le seguono, il suo solitario ossequio alle regole lo porterebbe alla rovina senza migliorare il mondo. Si entra in una specie di circolo vizioso, perché l’etica diffusa induce a comportamenti etici, mentre la carenza di etica distoglie dall’osservanza anche i volonterosi. Si pone allora il quesito: si può promuovere l’etica, al di là delle prediche morali che pure sono necessarie e possono anche essere efficaci se provengono da leader rispettati?La mia risposta è positiva, anche se accompagnata da un forte disincanto. Alcuni strumenti sono stati sopra illustrati: la griglia di missioni e programmi nel bilancio pubblico, la sistematica analisi preventiva degli impatti delle norme (analisi costi-benefici e valutazione d’impatto ambientale, per esempio ), la predefi7 Il punto è tratto dal mio scritto “Ricordi di un economista applicato”, Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, n. 1/2014, pp.64-85. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 63 ETICA FISCALE E FISCO ETICO nizione degli obiettivi e la valutazione ex post dei risultati, la politica meritocratica all’interno della PA e, buon ultimo, un efficiente ed equilibrato sistema di controlli. Sono strumenti che cercano di supplire alla carenza di etica, che cercano cioè di realizzare mediante incentivi e disincentivi ciò che una società permeata da senso etico produrrebbe spontaneamente. Ma al contempo essi diffondono la percezione che l’osservanza della lettera e dello spirito delle leggi sarà premiata, e DOTTRINA ciò dovrebbe aumentare l’adesione spontanea dei singoli alle regole etiche, adesione non più vista come inutile sacrificio personale ma come partecipazione ad un circolo virtuoso tra regole e comportamenti.E dunque, non resta che superare lo sconforto di fronte all’ennesima riproposizione di interventi rimasti senza seguito e continuare, come cittadini e come studiosi, a elaborare e proporre strumenti utili ad elevare il grado di etica nell’azione pubblica. 63 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 64 64 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO Etica e sanzioni tributarie amministrative di Andrea Carinci Le sanzioni sono, per definizione, uno strumento etico, rectius dell’etica, in quanto funzionalmente ordinate ad imporre precisi modelli comportamentali. Ma le sanzioni, a loro volta, possono avere un’etica? Altrimenti detto, oltre a prescrivere un comportamento ideale – o ritenuto tale da chi gestisce il potere di imporre sanzioni – esiste un modello ideale di sistema sanzionatorio? Un modello, insomma, che si imponga in termini deontologici? Seguendo un approccio pratico e non metafisico, si potrebbe – banalmente – affermare che le sanzioni sono etiche, ossia ideali, se assolvono correttamente il compito e la missione per cui sono stabilite: retribuire la commissione di un illecito (punire) e prevenirne la sua commissione (deterrenza). Ebbene, già alla stregua di questo parametro alquanto rozzo è possibile dubitare che il nostro sistema nazionale di sanzioni amministrative tributarie sia etico, nel senso di ideale. Come noto, reiterando una lunga consuetudine oramai inveterata (come non ricordare le famose “grida manzoniane”?), le sanzioni amministrative tributarie sono tradizionalmente ispirate ad una concezione di rigore estremo, più di espiazione che di punizione. Limitando l’attenzione alle sanzioni vigenti nell’ultimo periodo, ossia all’assetto del sistema sanzionatorio risultante a seguito della riforma del ’97, la conformazione di questo tradisce un concezione della sanzione come punizione fortemente afflittiva. Pure troppo, se solo si considera che le sanzioni che, in via ordinaria, andavano da un minimo del 100 ad un massimo del 200% dell’imposta evasa, divenivano dal 120 al 240% per il caso di omessa dichiarazione. Sanzioni quindi estremamente elevate, sovente destinate peraltro a convivere con quelle penali. Nonostante, infatti, l’espressa previsione del principio di specialità in materia di sanzioni penali tributarie, in forza del quale, in presenza di sanzioni penali ed amministrative per la medesima condotta, si applica solo la sanzione speciale, non di meno esistono molteplici ipotesi in cui è ammessa l’applicazione di entrambe le sanzioni: nel caso di omesso versamento di ritenute certificate; in tutti i casi in cui le sanzioni amministrative sono comminate alla società e quella penale all’amministratore1. Un simile rigore sanzionatorio è tradizionalmente giustificato con l’estrema insidiosità delle condotte illecite che si intendono reprimere, ossia l’evasione fiscale, soprattutto laddove connotata da pratiche ritenute particolarmente riprovevoli (omissione della dichiarazione; evasione internazionale; utilizzo di crediti inesistenti ecc.). È però possibile ipotizzare anche una differente lettura, meno ideale e più pratica: minacciando una reazione sanzionatoria tanto consistente, che di fatto moltiplica esponenzialmente il debito dell’imposta (le sanzioni sono generalmente parametrate, come un moltiplicatore, all’imposta evasa), si vuole rendere particolarmente conveniente, se non necessitata, la fruizione delle varie soluzioni definitorie congeniate dal sistema (acquiescenza, adesione, ravvedimento). Si tratta infatti di soluzioni che appaiono particolarmente appetibili proprio perché assicurano abbattimenti più o meno consistenti delle sanzioni: sicché, più queste sono alte più il ricorso a dette soluzioni diventa “invitante”. Tutto questo, va detto, non è di per sé negativo; al contempo, però, può apparire contradittorio un sistema che, nel momento stesso in cui minaccia sanzioni estremamente elevate, ne consente la riduzione in modo tanto significativo: la portata deterrente della sanzione rischia infatti di restare compromessa (così, ad esempio, non poteva che destare perplessità la possibilità, originariamente accordata, di fruire dell’abbattimento ad 1/8 delle sanzioni per il caso di acquiescenza al Pvc ovvero all’invito all’adesione; lo sconto era tale – sanzioni al 12,5% – da svilire, di fatto, il rigore sanzionatorio e la deterrenza della sanzione, posto che, in taluni casi, rendeva addirittura più conveniente l’evasione rispetto agli ordinari e fisiologici mezzi di finanziamento dell’impresa). L’esperienza concreta, in ogni caso, insegna altro. Accade così che le sanzioni, per quanto “spaventose”, non riescano in effetti a fungere da deterrente alla commissione di illeciti. Colpa una tradizione “perdonistica”, che ha caratterizzato la nostra storia recente (i famosi condoni) ma che si auspica superata, le sanzioni non sono mai state un efficace dissuasore dell’evasione fiscale, che ha infatti mantenuto livelli sempre assai elevati. Del resto è 1 A. CARINCI, Il principio di specialità nelle sanzioni tributarie: tra crisi del principio e crisi del sistema, in Rassegna tributaria, 2015, pag. 499; I. CARACCIOLI – G. FALSITTA, Il principio di non cumulabilità fra sanzioni penali e sanzioni tributarie e la sua aberrante mutilazione con decreto delegato n. 74/2000, in il Fisco, 2000, pag. 9746; A. GIOVANNINI, Il ne bis in idem per la Coerte EDU e il sistema sanzionatorio tributario, in Rass. trib., 2014, pag. 1166 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 65 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO noto come non sia la gravità della sanzione bensì la certezza e l’effettività nella sua applicazione a dissuadere dalla commissione dell’illecito. Effettività e certezza che, anche per la ragione sopra detta, sono invece state tradizionalmente carenti. Se quindi sul piano generale della politica repressiva le sanzioni tributarie hanno, fino ad ora, fallito la loro missione – e quindi, in una prospettiva funzionalistica, si sono mostrate poco etiche – lo stesso si deve dire anche nel piano micro dei casi singoli, dove hanno trovato concreta applicazione. Rispetto al singolo che subisce le sanzioni tributarie, infatti, si verifica un fenomeno di esplosione del debito, che, in ragione delle sanzioni, si moltiplica fino a raggiungere valori insostenibili. Il debito/costo dell’evasione raggiunge così dimensioni tali da divenire, sovente, di impossibile soddisfacimento. Gli effetti sono deflagranti: le imprese chiudono e i singoli perdono tutti i loro beni. Con questo non si vuole certamente arrivare a giustificare l’evasione. Non di meno, è indubitabile che, anche nella prospettiva micro del singolo che subisce la sanzione, un simile effetto rappresenta, di fatto, un fallimento ed una mancanza di etica della sanzione. Questa, invero, da strumento di punizione teso a retribuire la commissione dell’illecito diviene strumento di espiazione, in cui il contribuente/reo diventa una vittima sacrificale al sistema. In questa particolare prospettiva, ad esempio, possono essere lette le previsioni che limitano l’operatività del cumulo giuridico (ad esempio in tema di accertamento per adesione), letto e concepito come beneficio al contribuente da moderare e non come dovrebbe di corretto criterio di misurazione dell’effettivo disvalore di una condotta. Ancora, il cumulo tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, nei casi dinnanzi evocati, ovvero l’applicazione estremamente rigorosa dell’esimente per obiettive condizioni di incertezza. Ma gli esempi possono essere molteplici. Insomma, le sanzioni amministrative tributarie si sono fino ad ora comportate come un elemento di distorsione; e ciò, essenzialmente, in ragione del carattere spropositato che hanno tradizionalmente manifestato tanto nella loro conformazione quanto, altresì, nella loro applicazione concreta (quindi, con una responsabilità anche della giurisprudenza e della prassi: al riguardo, è sufficiente ricordare l’estrema prudenza, se non reticenza, manifestata dall’Agenzia ad applicare la riduzione delle sanzioni per manifesta sproporzione, di cui all’art. 7, co. 4, del D.lgs. n. 472/1997). La situazione è però destinata a cambiare; segnatamente, per effetto di un’oramai compiuta affermazione del principio di proporzionalità in tema di sanzioni amministrative tributarie2. Il principio di proporzionalità della sanzione ha infatti assunto i caratteri di precisa coordinata cui debbono ispirarsi i sistemi sanzionatori come il nostro, divenendo così cifra di un sistema sanzionatorio etico. Come ampiamente noto, merito e responsabilità dell’affermazione del principio di proporzionalità vanno riferiti alla Corte di Giustizia. Questa, chiamata a pronunciarsi segnatamente in tema di sanzioni Iva, ha invero riconosciuto che in mancanza di armonizzazione nel settore delle sanzioni gli Stati membri possono scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate. Tuttavia, ha pure precisato che «essi sono tuttavia tenuti ad esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità» (CG del 19 luglio 2012, causa C 263/11, R dlihs, punto 44; cfr. anche sentenze del 21 settembre 1989, Commissione/Grecia, 68/88, punto 23; del 16 dicembre 1992, Commissione/Grecia, C 210/91, punto 19, e del 26 ottobre 1995, Siesse, C 36/94, punto 21). Ad avviso della Corte, in particolare, occorre che l’importo della sanzione non ecceda quanto necessario per conseguire gli obiettivi che vi sono propri, consistenti nell’assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione. Debbono però essere considerate le circostanze del caso di specie, sicché non sono consentite applicazioni indistinte e generalizzate, dovendo trovare adeguata valorizzazione l’entità della somma inflitta nonché e soprattutto la sussistenza o meno di una concreta evasione o di un’elusione della normativa imputabili al soggetto passivo. Pur trattandosi di un principio elaborato in sede dell’Unione e, come tale, idealmente destinato a trovare riconoscimento solo in materia di tributi armonizzati (con tutte le perplessità a mantenere, ancora oggi, un siffatta distinzione nell’unità dell’ordinamento)3, la sua penetrazione nel sistema nazionale è stata completa. E questo, invece, per merito del Legislatore, che, nella predisposizione della Legge di delega fiscale del’11 marzo 2014, n. 23, all’art. 8 dedicato alla revisione del sistema sanzionatorio, ha espressamente individuato come criterio direttivo il criterio di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti. Senza declinarlo, però, con la conseguenza che sarà inevitabile interpretarlo alla stregua della giurisprudenza della Corte di Giustizia. G. INGRAO, Appunti sull’applicazione del principio di proporzionalità per la revisione delle sanzioni amministrative tributarie, in Riv. dir. trib., 9, 2014, pag. 970. 3 In argomento, ampiamente A. MONDINI, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’IVA europea, Pisa, 2012. 2 65 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 66 66 DOTTRINA In attuazione della delega, è stato quindi emanato il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha profondamente riformato il sistema (anche) delle sanzioni ammnistrative tributarie, sia in ordine alla selezione delle fattispecie sanzionate ed alla misura della reazione per ciascuna di queste, sia in relazione alle regole generali applicabili ai procedimenti sanzionatori4. Senza voler in questa sede attendere ad una disamina compiuta della riforma, è possibile comunque formulare alcune considerazioni in ordine alla corretta osservanza, in sede di attuazione, del criterio di delega rappresentato dal principio di proporzionalità. In altre parole: il sistema sanzionatorio amministrativo tributario quale risulta ad esito della riforma operata dalla delega è, effettivamente, un sistema ispirato al principio di proporzionalità? La risposta, va detto, è ambigua, certamente non netta, in quanto sebbene in molti casi la riforma ha, effettivamente, modulato su criteri di maggiore proporzionalità la reazione sanzionatoria, in altri casi il giudizio resta più incerto e sfumato. Sicuramente rende la sanzione più proporzionata la riduzione dal 100 al 90% e dal 200 al 180% della sanzione per infedele dichiarazione (art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 471/1997). Parimenti, è nel segno del criterio di proporzionalità la completa riscrittura delle sanzioni in tema di reverse charge, in attuazione della giurisprudenza comunitaria5 (art. 6, co. 9-bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3), per cui le sanzioni sono in linea di principio determinate in misura fissa e non più proporzionale all’imposta (resta non di meno una perplessità con riguardo alla determinazione della sanzione nell’ipotesi di mancata registrazione dell’operazione, dal momento che viene parametrata all’imponibile). Nella medesima prospettiva, va accolta con favore l’eliminazione dell’aggettivo “eccezionali” riferito alle circostanze che possono indurre gli Uffici a ridurre la sanzione fino alla metà in presenza di una manifesta sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione (nuovo art. 7, co. 4, del d.lgs. n. 472/1997). In altri casi, invece, la risposta appare più incerta. Così è, ad esempio, per il caso della modifica alla recidiva. Ad esito della novella, infatti, è stato modificato il co. 3 dell’art. 7, D.lgs. n. 472/1997, prevedendo ora come obbligatoria, e non più facoltativa, la contestazione della recidiva nei confronti di chi , nei tre anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole. L’articolo 7 del Dlgs 472/1997, non detta al riguardo condizioni 4 A. CARINCI, Prime considerazioni sulla riforma delle sanzioni amministrative tributarie, in il fisco, 2015, pag. 3929. 5 CGUE del 17 luglio 2014, C 272/13, Equoland; CGUE del 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade. ETICA FISCALE E FISCO ETICO particolari, con l’effetto che la recidiva parrebbe invocabile per la sola circostanza che in un triennio, al medesimo soggetto, siano addebitabili più violazioni della stessa indole. Con palesi distorsioni: un omesso versamento reiterato per più anni consecutivi dovrebbe comportare la sanzione al 45% e non al 30%, in modo automatico e generalizzato, per tutte le violazioni successive alla prima. Si tratta però di una conclusione non accettabile, perché è chiaro che per giustificare un aggravamento della sanzione occorre un addebito ulteriore, un quid pluris di offensività della condotta, che non può che essere la reiterazione, non tanto della condotta, bensì dell’illecito: di una condotta, cioè, che è già stata sanzionata nel momento in cui è reiterata. Conformemente al modello penalistico (art. 99 c.p.), che prevede la recidiva solo per chi è già stato condannato, si deve pertanto ritenere che gli Uffici possano contestare la recidiva solo nei confronti di chi, avendo già subito una contestazione formale, reitera la medesima condotta illecita. Solo in questo caso, ossia quando risulta reiterata una condotta già sanzionata, trova ragione l’aggravamento di pena della recidiva, in ossequio al principio di proporzionalità. Un altro problema interpretativo che il principio di proporzionalità può aiutare a risolvere attiene all’operatività della peculiare aggravante prevista per la dichiarazione infedele (art. 1, co. 3, D.lgs. n. 471/1997), per cui la sanzione è aumentata della metà quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente. Sennonché la sanzione per infedele dichiarazione è una sola, sicché si tratta di comprendere come far convivere la predetta aggravante con altre infedeltà nella medesima dichiarazione (ad esempio, in tema di competenza temporale, che invece comporta un’attenuante ai sensi del co. 4 del medesimo articolo). Ed ecco allora che, nell’alternativa di applicare l’aggravante per la sanzione globale di infedeltà (quindi su tutta l’imposta evasa) ovvero in proporzione dei diversi illeciti, questa seconda soluzione si impone proprio in ragione del principio di proporzionalità. Questo, quale direttiva della delega costituisce, invero, un puntuale criterio ermeneutico che va valorizzato proprio in casi di lettura ambivalente del testo normativo. In conclusione, il giudizio sulla riforma deve restare sospeso, perché sono ancora troppi i punti da chiarire e le incertezze da sciogliere. Vero è però che il criterio direttivo della delega è chiaro (proporzionalità della sanzione alla gravità dell’illecito), sicché, nel dubbio e stante i valori ordinariamente assai alti delle sanzioni, debbono essere preferite letture che temperino, piuttosto che aggravino, la reazione punitiva. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 67 DOTTRINA ETICA FISCALE E FISCO ETICO L’etica Delle Sanzioni Penali (*) di Ivo Caraccioli Il tema dei rapporti tra etica e fisco in materia penale tributaria, a mio avviso, deve prescindere da qualsiasi enfatizzazione linguistica, come quelle connesse alla consueta espressione “lotta all’evasione fiscale” (che sa tanto di “lotta alla mafia”: in entrambi i casi non c’è da fare nessuna lotta, trattandosi solo di applicare le leggi dello Stato). Come deve, quindi, essere inquadrato il problema da un punto di vista strettamente scientifico, e prescindendo da formule esclusivamente di taglio giornalistico? Si tratta di vedere fino a quale punto sono sufficienti, per sanzionare i fenomeni di evasione tributaria, le sanzioni amministrative e da quale punto in avanti circa la gravità del fatto devono intervenire le sanzioni penali. È questa la linea che correttamente ha seguito la Delega fiscale del 2014, rispetto alla quale è ora intervenuto il D.Lgs. 158/2015, che – al di là di forse talune imprecisioni linguistiche e manchevolezze sistematiche – rappresenta peraltro, a mio avviso, un punto di partenza di notevole spessore culturale. Non dimentichiamo, infatti, ed anzi sottolineiamolo con vigore, che nelle altre legislazioni dell’U.E. alla sanzione penale si ricorre solo in casi di comportamenti molto gravi di “frode” o distruzione di documenti. In Italia, invece, si è fatto uso ed abuso delle sanzioni penali tributarie anche in relazione a comportamenti assolutamente privi di elementi frodatori, ma consistenti ad es. solo nel mancato versamento di imposte od in passato di irregolare tenuta delle scritture contabili. È, dunque, dai principi della Delega, tendenti a ridurre fortemente l’intervento delle sanzioni penali a vantaggio di quelle amministrativo-tributarie, che si deve partire per individuare il limite di intervento del giudice penale, che, non lo si dimentichi, è sempre un intervento distruttivo – comunque vadano a finire i procedimenti – di persone e di imprese. Se, invero, si fa ricorso (o si continua a fare ricorso) alla sanzione penale per comportamenti che si trovano al di sotto di tale linea di rilevanza sostanziale si rischia di inquinare lo stesso profilo etico del sistema tributario. Entrando, dunque, nel merito delle riforme del sistema penal-tributario conseguenti all’attuazione della De- (*) Relazione tenuta al XXXIII Congresso Nazionale “Associazione Nazionale Tributaristi Italiani” (Ancona 9/10/2015). lega si deve, a mio avviso, giudicare positivamente l’innalzamento delle soglie di punibilità per i reati di dichiarazione fraudolenta (art. 3 D.Lgs. 74/2000) ed infedele (art. 4 stesso D.Lgs.), od omessa dichiarazione (art. 5 stesso D.Lgs.); anche se non si può negare – come parere personale – che sarebbe stato preferibile un innalzamento ancora maggiore, e questo appunto in considerazione dell’inopportunità di portare davanti al giudice penale dei comportamenti che in tanti casi concreti sarebbe meglio riservare al contenzioso tributario. Censurabile è, invece, a mio avviso, il mantenimento della sanzione penale per talune ipotesi di omessi versamenti (ritenute certificate ed IVA: art. 10-bis e ter D.Lgs. 74/2000), dato che è notorio che le Procure della Repubblica sono intasate da procedimenti di questo genere, i quali poi in tanti casi vengono ridimensionati con patteggiamenti sulla pena od applicazione di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi. A mio parere – anche se so di toccare un tasto su cui molti non saranno d’accordo – è censurabile il mantenimento negli attuali larghissimi confini applicativi della fattispecie di “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte” di cui all’art. 11 D.Lgs. 74/2000, non tanto per come essa è legislativamente configurata, quanto per il modo in cui la giurisprudenza, anche della Cassazione (con motivazioni che rivelano talvolta una non completa conoscenza degli istituti), ha ritenuto sostanzialmente di giungere a disapplicare il richiesto requisito della “fraudolenza” della condotta, nel momento, ad es., in cui – senza tener conto di specifiche normative interne ed internazionali – ha attribuito possibile (e rischiosa) rilevanza penale ad istituti specificamente (anche se incompletamente) disciplinati da norme interne ed internazionali (pensiamo al fondo patrimoniale, al “patto di famiglia” ed al TRUST), e quindi non meritevoli di essere inserite in un calderone generico di rischio penale (per soggetti, famiglie, imprese, professionisti), come oggi sostanzialmente avviene, con generale disorientamento degli addetti ai lavori. Un altro profilo che, da un punto di vista generale e sistematico, suscita perplessità è – a mio avviso, anche se so di non essere d’accordo con molti commentatori – quello dell’ampliamento a dismisura dell’efficacia estintiva degli illeciti penali ora attribuito, con il Decreto Legislativo, a tante procedure conciliative e di accertamento. 67 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 68 68 DOTTRINA Ed invero – sotto un profilo di carattere generale – o il fatto è grave e quindi meritevole dell’intervento del giudice penale, oppure appare improduttivo estinguere il reato per la circostanza che si è pagato il tributo dovuto, ”anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie” (nuovo art. 13-bis Decreto legislativo). Sul piano dell’alleggerimento del carico fiscale si rischia, infatti, di ottenere il risultato opposto: apertura di tanti procedimenti penali destinati a chiudersi mediante l’adesione alle richieste patrimoniali dell’A.F.: ossia il processo penale usato come strumento di pressione per adesioni anche a richieste infondate dell’A.F. solo per “fare cassa”. Sul piano più generale dell’efficacia intimidatoria delle sanzioni penali tributarie, dunque, si rischia di ottenere un risultato opposto e perverso: il contribuente può comunque tranquillamente evadere, anche al di là delle soglie previste, calcolando i vantaggi derivanti dal ritardato versamento di tributi e sanzioni rispetto alla sicura eliminazione del rischio penale. Molto più lineare, dunque, sarebbe un sistema penaltributario che riservasse la sanzione criminale a fatti veramente degni di essere puniti perché molto simili agli altri tipi di truffa o di distruzione di documenti generalmente sanzionati penalmente negli altri sistemi penali europei; ma, invece, non lasciasse la possibilità di evitare agevolmente il rischio penale con un pagamento delle imposte e delle sanzioni ritardato nel tempo. A mio avviso, in conclusione su questo punto, si tratta dunque di un’applicazione distorta del principio della Delega del 2014, la quale voleva invece ragionevolmente limitare il campo applicativo delle sanzioni penali rispetto a quello delle sanzioni amministrative. Sotto un altro profilo di carattere sistematico, un aspetto della riforma che mi sembra doversi pienamente condividere è, invece, quello della limitazione della responsabilità penale, sulla base di criteri di carattere generale introdotti anche, ma non solo, nelle norme generali delle definizioni contenute nel primo articolo del D.Lgs. 74/2000, in forza delle quali si tende a: ETICA FISCALE E FISCO ETICO – non considerare imposta evasa “quella teorica e non effettivamente collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili”; – specificare il concetto di “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” ed il concetto di “mezzi fraudolenti”; – disancorare il concetto di “infedeltà” della dichiarazione dalla possibile rilevanza penale delle valutazioni, che sappiamo essere operazioni quanto mai incerte nella loro applicazione concreta, oltre che dipendenti dalle diverse sensibilità soggettive di periti e consulenti (riforma questa che si ricollega anche a quella parallela dell’esclusione del rischio penale per operazioni valutative nella nuova formulazione del falso in bilancio di cui alla recente L. 69/2015, su cui peraltro è già intervenuta la Cassazione con corrette prese d’atto della riforma). Quale, dunque, la conclusione sistematica di questo sintetico ragionamento? A mio avviso, guai a ritenere la moralità di un sistema sanzionatorio tributario solo perché esso enfatizza ed amplia la portata applicativa dell’intervento del giudice penale invece dell’Amministrazione finanziaria. La moralità del sistema sanzionatorio può, invece, essere individuata alla luce delle seguenti considerazioni di carattere assolutamente generale e che in questa sede desidero circoscrivere al massimo: – limitazione dell’intervento del giudice penale solo a fronte di comportamenti gravi,aventi un certo spessore di fraudolenza; – completo distacco dell’intervento del giudice penale dal profilo del risarcimento dell’Erario; – liberazione del rischio penale con riferimento a condotte che rientrano negli schemi di istituti civilisticamente e tributariamente legittimi sulla base di concetti di contenuto del tutto generico come quello della “fraudolenza”. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 69 LEGISLAZIONE ETICA FISCALE E FISCO ETICO Costituzione della Repubblica italiana. 27dicembre 1947 Testo aggiornato Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Art. 24. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. Art. 42. La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità. Art. 53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Art. 54. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge. Art. 77. Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti. Art. 81. Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. 69 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 70 70 LEGISLAZIONE Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale (1). (1) Articolo così sostituito dal comma 1 dell’art. 1, L.Cost. 20 aprile 2012, n. 1. Le disposizioni di cui alla citata L.Cost. n. 1/2012 si applicano, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 6 della stessa, a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014. Vedi, anche, l’art. 5 dello stesso provvedimento. Vedi, inoltre, l’art. 165, Reg.Senato 17 febbraio 1971 e l’art. 66, Reg.Camera 18 febbraio 1971. ETICA FISCALE E FISCO ETICO Art. 97. Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico (2). I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge (2) Comma così premesso dal comma 1 dell’art. 2, L.Cost. 20 aprile 2012, n. 1. Le disposizioni di cui alla citata L.Cost. n. 1/2012 si applicano, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 6 della stessa, a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 71 LEGISLAZIONE ETICA FISCALE E FISCO ETICO Legge 27 luglio 2000, n. 212 Statuto dei diritti del contribuente In vigore dal 25 agosto 2015 Art. 1. Princìpi generali Art. 2. Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie Art. 3. Efficacia temporale delle norme tributarie Art. 4. Utilizzo del decreto-legge in materia tributaria Art. 5. Informazione del contribuente Art. 6. Conoscenza degli atti e semplificazione Art. 7. Chiarezza e motivazione degli atti Art. 8. Tutela dell’integrità patrimoniale Art. 9. Rimessione in termini Art. 10. Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente Art. 10-bis. Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale Art. 11. Diritto di interpello Art. 12. Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali Art. 13. Garante del contribuente Art. 14. Contribuenti non residenti Art. 15. Codice di comportamento per il personale addetto alle verifiche tributarie Art. 16. Coordinamento normativo Art. 17. Concessionari della riscossione Art. 18. Disposizioni di attuazione Art. 19. Attuazione del diritto di interpello del contribuente Art. 20. Copertura finanziaria Art. 1. Princìpi generali 1. Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. 2. L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica (3). 3. Le regioni a statuto ordinario regolano le materie disciplinate dalla presente legge in attuazione delle disposizioni in essa contenute; le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle norme fondamentali contenute nella medesima legge. 4. Gli enti locali provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad adeguare i rispettivi statuti e gli atti normativi da essi emanati ai princìpi dettati dalla presente legge. (3) In deroga al presente comma vedi il comma 265 dell’art. 1, L. 24 dicembre 2007, n. 244. Art. 2. Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie 1. Le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono menzionarne l’oggetto nel titolo; la rubrica delle partizioni interne e dei singoli articoli deve menzionare l’oggetto delle disposizioni ivi contenute. 2. Le leggi e gli atti aventi forza di legge che non hanno un oggetto tributario non possono contenere disposizioni di carattere tributario, fatte salve quelle strettamente inerenti all’oggetto della legge medesima. 3. I richiami di altre disposizioni contenuti nei provvedimenti normativi in materia tributaria si fanno indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare rinvio. 4. Le disposizioni modificative di leggi tributarie debbono essere introdotte riportando il testo conseguentemente modificato. Art. 3. Efficacia temporale delle norme tributarie (6) 1. Salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono (4). 2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti. 3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati (5) . 71 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 72 72 LEGISLAZIONE (4) In deroga alle disposizioni di cui al presente comma vedi l’art. 5, comma 3, L. 18 ottobre 2001, n. 383, l’art. 3, comma 5, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, come sostituito dall’art. 10, comma 1, L. 28 dicembre 2001, n. 448, l’art. 15-bis, comma 3, D.L. 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2007, n. 127, l’art. 29, comma 14, D.L. 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 febbraio 2012, n. 14, l’art. 12, comma 1, D.L. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 ottobre 2013, n. 124 e l’art. 18, comma 3, D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175. (5) In deroga alle disposizioni di cui al presente comma vedi l’art. 18, comma 4, L. 23 dicembre 2000, n. 388, l’art. 27, comma 9, L. 28 dicembre 2001, n. 448, l’art. 10, comma 1, l’art. 11, comma 1 e l’art. 31, comma 16, L. 27 dicembre 2002, n. 289, come modificata dall’art. 5-bis, D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, l’art. 36, comma 8, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come sostituito dall’art. 2, comma 18, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2006, n. 286, l’art. 2, comma 72, del citato D.L. n. 262 del 2006, l’art. 1, comma 357, L. 27 dicembre 2006, n. 296, l’art. 23, comma 6, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 e l’art. 12, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159. Vedi, inoltre, l’art. 1, comma 2-octies, D.L. 24 giugno 2003, n. 143, aggiunto dalla relativa legge di conversione, l’art. 37, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, l’art. 2, comma 33, L. 24 dicembre 2003, n. 350, l’art. 1, commi 67 e 464, L. 30 dicembre 2004, n. 311, l’art. 1-quater, D.L. 30 dicembre 2004, n. 314, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, l’art. 27, comma 5, L. 18 aprile 2005, n. 62 – Legge comunitaria 2004 – l’art. 11-quater, comma 10, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, aggiunto dalla relativa legge di conversione, e l’art. 36, commi 30, 34 e 34-bis, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. (6) In deroga alle disposizioni di cui al presente articolo vedi l’art. 1, comma 2, D.L. 20 marzo 2007, n. 23, l’art. 1, comma 264, L. 24 dicembre 2007, n. 244, l’art. 81, comma 17 e l’art. 82, commi 2, 4, 8, 13 e 29, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, l’art. 1, comma 16, L. 13 dicembre 2010, n. 220, l’art. 2, comma 59, D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, l’art. 7, comma 2, D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148, l’ art. 24, comma 31, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, l’art. 88, comma 2, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, l’art. 68, comma 3, D.L. 22 ETICA FISCALE E FISCO ETICO giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, l’art. 1, comma 2-bis, D.L. 24 settembre 2002, n. 209, come modificato dall’art. 1, comma 506, L. 24 dicembre 2012, n. 228, l’art. 2, comma 2, D.L. 30 novembre 2013, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 gennaio 2014, n. 5 e l’art. 1, commi 624 e 655, L. 23 dicembre 2014, n. 190. Art. 4. Utilizzo del decreto-legge in materia tributaria 1. Non si può disporre con decreto-legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti. Art. 5. Informazione del contribuente 1. L’amministrazione finanziaria deve assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria, anche curando la predisposizione di testi coordinati e mettendo gli stessi a disposizione dei contribuenti presso ogni ufficio impositore. L’amministrazione finanziaria deve altresì assumere idonee iniziative di informazione elettronica, tale da consentire aggiornamenti in tempo reale, ponendola a disposizione gratuita dei contribuenti. 2. L’amministrazione finanziaria deve portare a conoscenza dei contribuenti tempestivamente e con i mezzi idonei tutte le circolari e le risoluzioni da essa emanate, nonché ogni altro atto o decreto che dispone sulla organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti. Art. 6. Conoscenza degli atti e semplificazione 1. L’amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati. A tal fine essa provvede comunque a comunicarli nel luogo di effettivo domicilio del contribuente, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare. Gli atti sono in ogni caso comunicati con modalità idonee a garantire che il loro contenuto non sia conosciuto da soggetti diversi dal loro destinatario. Restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 73 ETICA FISCALE E FISCO ETICO 2. L’amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito. 3. L’amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le istruzioni e, in generale, ogni altra propria comunicazione siano messi a disposizione del contribuente in tempi utili e siano comprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenze in materia tributaria e che il contribuente possa adempiere le obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli. 4. Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa. 5. Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta . La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma. (7) (7) Vedi, anche, il comma 412 dell’art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311 e l’art. 2-bis, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, aggiunto dalla relativa legge di conversione. Art. 7. Chiarezza e motivazione degli atti 1. Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presup- LEGISLAZIONE posti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama. 2. Gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare: a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; b) l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela; c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili. 3. Sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria. 4. La natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti. Art. 8. Tutela dell’integrità patrimoniale 1. L’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione. 2. È ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario. 3. Le disposizioni tributarie non possono stabilire né prorogare termini di prescrizione oltre il limite ordinario stabilito dal codice civile. 4. L’amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi. Il rimborso va effettuato quando sia stato definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata. 5. L’obbligo di conservazione di atti e documenti, stabilito a soli effetti tributari, non può eccedere il termine di dieci anni dalla loro emanazione o dalla loro formazione. 6. Con decreto del Ministro delle finanze, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, sono emanate le disposizioni di attuazione del presente articolo. 7. La pubblicazione e ogni informazione relative ai redditi tassati, anche previste dall’articolo 15 della legge 73 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 74 74 LEGISLAZIONE 5 luglio 1982, n. 441, sia nelle forme previste dalla stessa legge sia da parte di altri soggetti, deve sempre comprendere l’indicazione dei redditi anche al netto delle relative imposte. 8. Ferme restando, in via transitoria, le disposizioni vigenti in materia di compensazione, con regolamenti emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, è disciplinata l’estinzione dell’obbligazione tributaria mediante compensazione, estendendo, a decorrere dall’anno d’imposta 2002, l’applicazione di tale istituto anche a tributi per i quali attualmente non è previsto. Art. 9. Rimessione in termini 1. Il Ministro delle finanze, con decreto da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, rimette in termini i contribuenti interessati, nel caso in cui il tempestivo adempimento di obblighi tributari è impedito da cause di forza maggiore. Qualora la rimessione in termini concerna il versamento di tributi, il decreto è adottato dal Ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. 2. Con proprio decreto il Ministro delle finanze, sentito il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica , può sospendere o differire il termine per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti interessati da eventi eccezionali ed imprevedibili. (9) 2-bis. La ripresa dei versamenti dei tributi sospesi o differiti ai sensi del comma 2 avviene, senza applicazione di sanzioni, interessi e oneri accessori relativi al periodo di sospensione, anche mediante rateizzazione fino a un massimo di diciotto rate mensili di pari importo, a decorrere dal mese successivo alla data di scadenza della sospensione. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono definiti le modalità e i termini della ripresa dei versamenti, tenendo anche conto della durata del periodo di sospensione, nei limiti delle risorse preordinate allo scopo. (8) 2-ter. Per i tributi non sospesi né differiti ai sensi del comma 2, nei limiti delle risorse preordinate allo scopo, i contribuenti residenti o aventi sede legale o sede operativa nei territori colpiti da eventi calamitosi con danni riconducibili all’evento e individuati con la medesima ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri con la quale è dichiarato lo stato di emergenza possono chiedere la rateizzazione, fino a un massimo di diciotto rate mensili di pari importo, dei tributi che scadono nei sei mesi successivi alla dichiarazione dello stato di emer- ETICA FISCALE E FISCO ETICO genza, con istanza da presentare al competente ufficio, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. (8) (8) Comma aggiunto dall’ art. 1, comma 429, L. 28 dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal 1° gennaio 2016. (9) Con D.M. 17 ottobre 2000 (Gazz. Uff. 18 ottobre 2000, n. 244) è stata disposta la sospensione dei termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dagli eventi calamitosi verificatisi nelle regioni Piemonte e Valle d‘Aosta e nella provincia di Savona. Con D.M. 16 novembre 2000 (Gazz. Uff. 23 novembre 2000, n. 274) è stata disposta la proroga della sospensione con il suddetto D.M. 17 ottobre 2000. Con D.M. 29 novembre 2000 (Gazz. Uff. 13 dicembre 2000, n. 290) è stato stabilito che le disposizioni contenute nell’art. 1 del decreto 16 novembre 2000, si applicano anche ai territori delle regioni Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto e Puglia e della provincia autonoma di Trento danneggiati dagli eventi alluvionali e dai dissesti idrogeologici del mese di novembre 2000. Con D.M. 12 luglio 2001 (Gazz. Uff. 27 luglio 2001, n. 173) è stata disposta la sospensione dei termini degli obblighi tributari a favore dei soggetti colpiti dalla «tromba d’aria» nella Regione Lombardia in data 7 luglio 2001. Con D.M. 9 agosto 2001 (Gazz. Uff. 27 agosto 2001, n. 198) è stata disposta la sospensione dei termini dei versamenti e degli adempimenti tributari a favore dei soggetti residenti o aventi sede operativa nei territori della provincia di Catania colpiti dall’eruzione del vulcano Etna. Con D.M. 13 novembre 2001 (Gazz. Uff. 16 novembre 2001, n. 267) è stata disposta la sospensione dei termini relativi agli obblighi tributari a favore dei soggetti colpiti dagli eventi alluvionali verificatisi nel territorio delle province di Avellino, Caserta, Napoli e Salerno nei giorni 22 agosto, 5 settembre, 14 e 15 settembre 2001. Con D.M. 24 maggio 2002 (Gazz. Uff. 4 giugno 2002, n. 129) è stato disposto il differimento al 17 aprile 2002 dei termini dei versamenti tributari scadenti il 16 aprile 2002 a seguito dello sciopero generale intervenuto alla medesima data. Con D.M. 28 giugno 2002 (Gazz. Uff. 5 luglio 2002, n. 156) è stata disposta la sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari a seguito dell’evento che ha interessato il «Grattacielo Pirelli», sede della regione Lombardia. Con D.M. 14 novembre 2002 (Gazz. Uff. 18 novembre 2002, n. 270) e con D.M. 15 novembre 2002 (Gazz. Uff. 20 novembre 2002, n. 272), modificato dall’art. 2, D.M. 9 gennaio 2003 (Gazz. Uff. 21 gennaio 2003, n. 16), è Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 75 ETICA FISCALE E FISCO ETICO stata disposta la sospensione dei termini relativi agli adempimenti di obblighi tributari aventi scadenza nel periodo dal 31 ottobre 2002 al 31 marzo 2003 a favore dei soggetti residenti, alla data del 31 ottobre 2002, in taluni comuni della provincia di Campobasso e in un comune della provincia di Foggia interessati dagli eventi sismici verificatisi nella stessa data del 31 ottobre 2002. Con D.M. 14 novembre 2002 (Gazz. Uff. 18 novembre 2002, n. 270), modificato dal comma 117 dell’art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244, è stata disposta la sospensione dei termini relativi agli adempimenti di obblighi tributari aventi scadenza nel periodo dal 29 ottobre 2002 al 31 marzo 2003 a favore dei soggetti residenti, alla data del 29 ottobre 2002, in taluni comuni della provincia di Catania interessati dall’eruzione del vulcano Etna. L’art. 10, O.P.C.M. 2 ottobre 2003, n. 3315 ha differito al 31 marzo 2004 i termini già sospesi dal citato D.M. 14 novembre 2002. Con D.M. 5 dicembre 2002 (Gazz. Uff. 9 dicembre 2002, n. 288) è stata disposta la sospensione dei termini relativi agli adempimenti e ai versamenti tributari scadenti nel periodo dal 25 novembre 2002 al 31 marzo 2003 nei confronti dei soggetti, residenti in comuni delle regioni dell’Italia settentrionale colpiti dagli eventi alluvionali verificatisi nel mese di novembre 2002. Con D.M. 9 gennaio 2003 (Gazz. Uff. 21 gennaio 2003, n. 16) è stata disposta la sospensione dei termini relativi agli adempimenti degli obblighi tributari per i soggetti residenti nei territori dei comuni di Provvidenti e Pietra Montecorvino. Vedi, anche, l’art. 18, O.P.C.M. 18 aprile 2003, n. 3282. Con D.M. 18 luglio 2003 (Gazz. Uff. 2 agosto 2003, n. 178) e con D.M. 25 agosto 2004 (Gazz. Uff. 3 settembre 2004, n. 207) è stato disposto il differimento dei termini di ripresa della riscossione dei tributi sospesi a seguito del sisma del 1997 che ha colpito i territori delle regioni Marche e Umbria. L’art. 4, O.P.C.M. 8 settembre 2003, n. 3308 (Gazz. Uff. 13 settembre 2003, n. 213) ha differito i termini relativi ad adempimenti di obblighi tributari, già sospesi con i citati D.M. 14 novembre 2002, D.M. 15 novembre 2002 e D.M. 9 gennaio 2003, a favore dei soggetti residenti in taluni comuni delle province di Campobasso e di Foggia. Con D.M. 19 settembre 2003 (Gazz. Uff. 24 settembre 2003, n. 222) è stata disposta la sospensione dei termini relativi agli adempimenti di obblighi tributari dei soggetti residenti alla data del 29 agosto 2003 nei comuni della regione Friuli-Venezia Giulia interessati dagli eventi alluvionali verificatisi a partire dalla stessa data del 29 agosto 2003. L’art. 3, O.P.C.M. 27 novembre 2003, n. 3328 (Gazz. Uff. 4 dicembre 2003, n. 282) ha disposto che i versamenti relativi agli adempimenti di obblighi tributari non eseguiti per effetto delle sospensioni intervenute ai sensi LEGISLAZIONE del presente comma, a favore dei soggetti residenti nelle regioni Liguria, Lombardia, Piemonte, Veneto, FriuliVenezia Giulia ed Emilia-Romagna, interessati dagli eventi alluvionali verificatisi nel mese di novembre 2002, sono effettuati in quindici rate a partire dal 1° dicembre 2003. L’art. 4, O.P.C.M. 7 maggio 2004, n. 3354 (Gazz. Uff. 14 maggio 2004, n. 112), modificato dall’art. 1, O.P.C.M. 17 febbraio 2006, n. 3496 (Gazz. Uff. 1° marzo 2006, n. 50), a sua volta modificato dall’art. 1, O.P.C.M. 5 aprile 2006, n. 3507 (Gazz. Uff. 13 aprile 2006, n. 87), ha ulteriormente differito i termini relativi ad adempimenti di obblighi tributari già sospesi a favore dei soggetti residenti in taluni comuni delle province di Campobasso e di Foggia e della provincia di Catania. Con Provv. 23 luglio 2004 (Gazz. Uff. 11 agosto 2004, n. 187) è stata disposta la ripresa della riscossione dei tributi sospesi in seguito agli eventi sismici del 26 settembre 1997 che hanno colpito il territorio delle regioni Marche e Umbria. Con D.M. 23 novembre 2004 (Gazz. Uff. 2 dicembre 2004, n. 283) è stata disposta la sospensione dei termini per i versamenti di natura tributaria a favore di taluni imprenditori agricoli, operanti nella Regione Puglia. Con D.M. 29 novembre 2004 (Gazz. Uff. 30 novembre 2004, n. 281) è stato disposto il differimento al 1° dicembre 2004 dei termini per l’adempimento degli obblighi tributari in scadenza al 30 novembre 2004 a seguito dello sciopero generale del 30 novembre 2004. Con D.M. 30 novembre 2004 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2004, n. 287), modificato dall’art. 1, D.M. 21 dicembre 2004 (Gazz. Uff. 28 dicembre 2004, n. 303), è stata disposta la sospensione dei termini per i versamenti di natura tributaria a favore dei soggetti residenti in taluni comuni della provincia di Brescia. Con D.M. 17 maggio 2005 (Gazz. Uff. 23 maggio 2005, n. 118) è stato ulteriormente differito il termine di sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari a favore dei soggetti residenti nella provincia di Catania. Con D.M. 13 marzo 2009 (Gazz. Uff. 23 marzo 2009, n. 68) è stato disposto il differimento dei termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti dei tributi erariali a favore dei titolari di reddito d’impresa interessati dall’alluvione dell’11 dicembre 2008 che ha colpito taluni territori del comune di Roma. Con D.M. 9 aprile 2009 sono stati sospesi gli adempimenti ed i versamenti tributari a favore dei soggetti residenti nel territorio della provincia di L’Aquila, colpiti dal terremoto del 6 aprile 2009. Con D.M. 4 dicembre 2009 sono stati differiti i termini relativi agli adempimenti degli obblighi tributari che scadevano nel periodo interessato dagli eccezionali eventi meteorologici del mese di novembre 2008, nella provincia di Trento. Con D.M. 26 febbraio 2010 sono stati sospesi i termini relativi agli 75 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 76 76 LEGISLAZIONE adempimenti e ai versamenti dei tributi erariali a favore dei soggetti interessati dagli eccezionali eventi meteorologici che hanno colpito le regioni Emilia-Romagna, Liguria e Toscana nell’ultima decade del mese di dicembre 2009 e nei primi giorni del mese di gennaio 2010. Con D.M. 1° giugno 2012 sono stati sospesi i termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dal sisma del 20 maggio 2012, verificatosi nelle province di Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo. Con D.M. 30 novembre 2013 sono stati sospesi i termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dagli eventi meteorologici del novembre 2013, verificatisi nella regione Sardegna. Con D.M. 20 ottobre 2014 sono stati sospesi i termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dagli eventi meteorologici del 10 – 14 ottobre 2014 verificatisi nelle regioni: Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Friuli-Venezia Giulia. Con D.M. 5 dicembre 2014 sono stati sospesi i termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dagli eventi meteorologici dal 1° al 6 settembre 2014 verificatisi nei territori della provincia di Foggia. Con D.M. 5 dicembre 2014 sono stati sospesi i termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dagli eventi meteorologici del 19 e 20 settembre 2014 verificatisi nella regione Toscana. Con D.M. 8 maggio 2015 sono stati sospesi i termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dagli eventi atmosferici dal 4 al 7 febbraio 2015 verificatisi nella regione Emilia-Romagna. Art. 10. Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente 1. I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede. 2. Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa. 3. Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera viola- ETICA FISCALE E FISCO ETICO zione formale senza alcun debito di imposta; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria . Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto. (10) (10) Comma modificato dall’art. 1, comma 1, D.L. 17 giugno 2005, n. 106, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 luglio 2005, n. 156. Art. 10-bis. Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale (11) 1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni. 2. Ai fini del comma 1 si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato; b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario. 3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell‘attività professionale del contribuente. 4. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale. 5. Il contribuente può proporre interpello ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera c), per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto. (12) (13) 6. Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 77 ETICA FISCALE E FISCO ETICO nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto. (12) 7. La richiesta di chiarimenti è notificata dall’amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni. (12) 8. Fermo quanto disposto per i singoli tributi, l’atto impositivo è specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente nel termine di cui al comma 6. (12) 9. L’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3. (12) 10. In caso di ricorso, i tributi o i maggiori tributi accertati, unitamente ai relativi interessi, sono posti in riscossione, ai sensi dell’articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e, successive modificazioni, e dell’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. (12) 11. I soggetti diversi da quelli cui sono applicate le disposizioni del presente articolo possono chiedere il rimborso delle imposte pagate a seguito delle operazioni abusive i cui vantaggi fiscali sono stati disconosciuti dall’amministrazione finanziaria, inoltrando a tal fine, entro un anno dal giorno in cui l’accertamento è divenuto definitivo ovvero è stato definito mediante adesione o conciliazione giudiziale, istanza all’Agenzia delle entrate, che provvede nei limiti dell’imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure. (12) 12. In sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie. 13. Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie. LEGISLAZIONE (11) Articolo inserito dall’ art. 1, comma 1, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128; per l’efficacia e l’applicabilità delle disposizioni del presente articolo vedi l’ art. 1, comma 5, del medesimo D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128. (12) Sull’applicabilità delle disposizioni del presente comma, vedi l’ art. 1, comma 4, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128. (13) Comma così sostituito dall’ art. 7, comma 15, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016, ai sensi di quanto disposto dall’ art. 12, comma 1 del medesimo D.Lgs. n. 156/2015. Art. 11. Diritto di interpello (14) (15) 1. Il contribuente può interpellare l’amministrazione per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a: a) l’applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e la corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza e non siano comunque attivabili le procedure di cui all’articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall’articolo 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 e di cui all’articolo 2 del medesimo decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147; b) la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti; c) l’applicazione della disciplina sull’abuso del diritto ad una specifica fattispecie. 2. Il contribuente interpella l’amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi. Nei casi in cui non sia stata resa risposta favorevole, resta comunque ferma la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione di cui al periodo precedente anche ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. 3. L’amministrazione risponde alle istanze di cui alla lettera a) del comma 1 nel termine di novanta giorni e a quelle di cui alle lettere b) e c) del medesimo comma 1 ed a quelle di cui al comma 2 nel termine di centoventi giorni. 77 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 78 78 LEGISLAZIONE La risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo della amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente. Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione, da parte dell’amministrazione, della soluzione prospettata dal contribuente. Gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli. Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’amministrazione con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell’istante. 4. Non ricorrono condizioni di obiettiva incertezza quando l’amministrazione ha compiutamente fornito la soluzione per fattispecie corrispondenti a quella rappresentata dal contribuente mediante atti pubblicati ai sensi dell’articolo 5, comma 2. 5. La presentazione delle istanze di cui ai commi 1 e 2 non ha effetto sulle scadenze previste dalle norme tributarie, né sulla decorrenza dei termini di decadenza e non comporta interruzione o sospensione dei termini di prescrizione. 6. L’amministrazione provvede alla pubblicazione mediante la forma di circolare o di risoluzione delle risposte rese nei casi in cui un numero elevato di contribuenti abbia presentato istanze aventi ad oggetto la stessa questione o questioni analoghe fra loro, nei casi in cui il parere sia reso in relazione a norme di recente approvazione o per le quali non siano stati resi chiarimenti ufficiali, nei casi in cui siano segnalati comportamenti non uniformi da parte degli uffici, nonché in ogni altro caso in cui ritenga di interesse generale il chiarimento fornito. Resta ferma, in ogni caso, la comunicazione della risposta ai singoli istanti. (14) Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016, ai sensi di quanto disposto dall’ art. 12, comma 1 del medesimo D.Lgs. n. 156/2015. (15) Vedi, anche, gli artt. da 2 a 6, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 e il Provvedimento 4 gennaio 2016. Art. 12. Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali (19) 1. Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul ETICA FISCALE E FISCO ETICO luogo. Essi si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l’orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente. 2. Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche. 3. Su richiesta del contribuente, l’esame dei documenti amministrativi e contabili può essere effettuato nell’ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta. 4. Delle osservazioni e dei rilievi del contribuente e del professionista, che eventualmente lo assista, deve darsi atto nel processo verbale delle operazioni di verifica. 5. La permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni. Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, così come l’eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell’arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi. In entrambi i casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente. (16) 6. Il contribuente, nel caso ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, può rivolgersi anche al Garante del contribuente, secondo quanto previsto dall’articolo 13. 7. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 79 ETICA FISCALE E FISCO ETICO non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Per gli accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all’articolo 34 del testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, si applicano le disposizioni dell’articolo 11 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374. (17) (18) (16) Comma così modificato dall’ art. 7, comma 2, lettera c), D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106. (17) Comma così modificato dall’art. 92, comma 2, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27. (18) La Corte costituzionale, con ordinanza 16 – 24 luglio 2009, n. 244 (Gazz. Uff. 29 luglio 2009, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione. (19) Per l’applicazione delle disposizioni del presente articolo vedi, anche, la lettera d) del comma 2 dell’art. 7, D.L. 13 maggio 2011, n. 70. Art. 13. Garante del contribuente 1. Presso ogni direzione regionale delle entrate e direzione delle entrate delle province autonome è istituito il Garante del contribuente. 2. Il Garante del contribuente, operante in piena autonomia, è organo monocratico scelto e nominato dal presidente della commissione tributaria regionale o sua sezione distaccata nella cui circoscrizione è compresa la direzione regionale dell’Agenzia delle entrate, tra gli appartenenti alle seguenti categorie: (22) a) magistrati, professori universitari di materie giuridiche ed economiche, notai, sia a riposo sia in attività di servizio; b) dirigenti dell’amministrazione finanziaria e ufficiali generali e superiori della Guardia di finanza, a riposo da almeno due anni, scelti in una terna formata, per ciascuna direzione regionale delle entrate, rispettivamente, per i primi, dal direttore generale del Dipartimento delle entrate e, per i secondi, dal Comandante generale della Guardia di finanza; (23) ] c) avvocati, dottori commercialisti e ragionieri collegiati, pensionati, scelti in una terna formata, per ciascuna direzione regionale delle entrate, dai rispettivi ordini di appartenenza. LEGISLAZIONE 3. L’incarico ha durata quadriennale ed è rinnovabile tenendo presenti professionalità, produttività ed attività già svolta. (20) 4. Con decreto del Ministro delle finanze sono determinati il compenso ed i rimborsi spettanti ai componenti del Garante del contribuente. (24) 5. Le funzioni di segreteria e tecniche sono assicurate al Garante del contribuente dagli uffici delle direzioni regionali delle entrate presso le quali lo stesso è istituito. 6. Il Garante del contribuente, anche sulla base di segnalazioni inoltrate per iscritto dal contribuente o da qualsiasi altro soggetto interessato che lamenti disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione finanziaria, rivolge richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti, i quali rispondono entro trenta giorni, e attiva le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente. Il Garante del contribuente comunica l’esito dell’attività svolta alla direzione regionale o compartimentale o al comando di zona della Guardia di finanza competente nonché agli organi di controllo, informandone l’autore della segnalazione. 7. Il Garante del contribuente rivolge raccomandazioni ai dirigenti degli uffici ai fini della tutela del contribuente e della migliore organizzazione dei servizi. 8. Il Garante del contribuente ha il potere di accedere agli uffici finanziari e di controllare la funzionalità dei servizi di assistenza e di informazione al contribuente nonché l’agibilità degli spazi aperti al pubblico. 9. Il Garante del contribuente richiama gli uffici al rispetto di quanto previsto dagli articoli 5 e 12 della presente legge. 10. Il Garante del contribuente richiama gli uffici al rispetto dei termini previsti per il rimborso d’imposta. 11. Il Garante del contribuente individua i casi di particolare rilevanza in cui le disposizioni in vigore ovvero i comportamenti dell’amministrazione determinano un pregiudizio dei contribuenti o conseguenze negative nei loro rapporti con l’amministrazione, segnalandoli al direttore regionale o compartimentale o al comandante di zona della Guardia di finanza competente e all’ufficio centrale per l’informazione del contribuente, al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare. Prospetta al Ministro delle finanze i casi in cui possono essere esercitati i poteri di rimessione in termini previsti dall’articolo 9. 12. Ogni sei mesi il Garante del contribuente presenta una relazione sull’attività svolta al Ministro delle finanze, al direttore regionale delle entrate, ai direttori 79 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 80 80 LEGISLAZIONE compartimentali delle dogane e del territorio nonché al comandante di zona della Guardia di finanza, individuando gli aspetti critici più rilevanti e prospettando le relative soluzioni. 13. Il Ministro delle finanze riferisce annualmente alle competenti Commissioni parlamentari in ordine al funzionamento del Garante del contribuente, all’efficacia dell’azione da esso svolta ed alla natura delle questioni segnalate nonché ai provvedimenti adottati a seguito delle segnalazioni del Garante stesso. 13-bis. Con relazione annuale, il Garante fornisce al Governo ed al Parlamento dati e notizie sullo stato dei rapporti tra fisco e contribuenti nel campo della politica fiscale (21). (20) Comma modificato dall’art. 94, comma 7, L. 27 dicembre 2002, n. 289, a decorrere dal 1° gennaio 2003 e dall’art. 4, comma 36, lett. b), L. 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal 1° gennaio 2012; vedi anche l’art. 4, comma 37, L. n. 183/2011. (21) Comma aggiunto dall’art. 94, comma 8, L. 27 dicembre 2002, n. 289, a decorrere dal 1° gennaio 2003. (22) Alinea così sostituito dall’art. 4, comma 36, lett. a), n. 1), L. 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal 1° gennaio 2012; vedi anche l’art. 4, comma 37, L. n. 183/2011. (23) Lettera abrogata dall’art. 4, comma 36, lett. a), n. 2), L. 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal 1° gennaio 2012; vedi anche l’art. 4, comma 37, L. n. 183/2011. (24) Vedi, anche, l’ art. 1, commi 404 e 405, L. 27 dicembre 2013, n. 147. Art. 14. Contribuenti non residenti 1. Al contribuente residente all’estero sono assicurate le informazioni sulle modalità di applicazione delle imposte, la utilizzazione di moduli semplificati nonché agevolazioni relativamente all’attribuzione del codice fiscale e alle modalità di presentazione delle dichiarazioni e di pagamento delle imposte. 2. Con decreto del Ministro delle finanze , adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, sono emanate le disposizioni di attuazione del presente articolo. (25) (25) Con D.M. 17 maggio 2001, n. 281, è stato emanato il regolamento contenente le norme in materia di agevolazioni relativamente all’attribuzione del codice ETICA FISCALE E FISCO ETICO fiscale ed alle modalità di presentazione delle dichiarazioni e di pagamento delle imposte per i contribuenti residenti all’estero. Art. 15. Codice di comportamento per il personale addetto alle verifiche tributarie 1. Il Ministro delle finanze, sentiti i direttori generali del Ministero delle finanze ed il Comandante generale della Guardia di finanza, emana un codice di comportamento che regoli le attività del personale addetto alle verifiche tributarie, aggiornandolo eventualmente anche in base alle segnalazioni delle disfunzioni operate annualmente dal Garante del contribuente. Art. 16. Coordinamento normativo 1. Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti strettamente necessarie a garantirne la coerenza con i princìpi desumibili dalle disposizioni della presente legge (26). 2. Entro il termine di cui al comma 1 il Governo provvede ad abrogare le norme regolamentari incompatibili con la presente legge. (26) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32. Art. 17. Concessionari della riscossione 1. Le disposizioni della presente legge si applicano anche nei confronti dei soggetti che rivestono la qualifica di concessionari e di organi indiretti dell’amministrazione finanziaria, ivi compresi i soggetti che esercitano l’attività di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura. Art. 18. Disposizioni di attuazione 1. I decreti ministeriali previsti dagli articoli 8 e 11 devono essere emanati entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. 2. Entro il termine di cui al comma 1 sono nominati i componenti del Garante del contribuente di cui all’articolo 13. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 81 LEGISLAZIONE ETICA FISCALE E FISCO ETICO Art. 19. Attuazione del diritto di interpello del contribuente 1. L’amministrazione finanziaria, nel quadro dell’attuazione del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, adotta ogni opportuno adeguamento della struttura organizzativa ed individua l’occorrente riallocazione delle risorse umane, allo scopo di assicurare la piena operatività delle disposizioni dell’articolo 11 della presente legge. 2. Per le finalità di cui al comma 1 il Ministro delle finanze è altresì autorizzato ad adottare gli opportuni provvedimenti per la riqualificazione del personale in servizio. 2. Agli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo 19, determinati nel limite massimo di lire 14 miliardi annue per il triennio 2000-2002, si provvede, mediante utilizzo dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2000-2002, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 2000, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione. 3. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 20. Copertura finanziaria 1. Agli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo 13, valutati in lire 6 miliardi annue a decorrere dall’anno 2000, si provvede mediante utilizzo dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2000-2002, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 2000, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione. Art. 21. Entrata in vigore 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. 81 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 82 82 CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI ETICA FISCALE E FISCO ETICO A.N.T.I. I convegni organizzati o sponsorizzati dall’ANTI successivamente a quelli già segnalati nel precedente numero di sono stati i seguenti che come tradizione sono tutti pubblicati sul nostro sito web www.associazionetributaristi.it nella sezione “Eventi” – segnaliamo: – il convegno organizzato dalla Sezione ANTI Lazio il 7 maggio 2015 presso l’Hotel N.H. Leonardo da Vinci sul tema: “Voluntary Disclosure – Nuovo ravvedimento operoso”. Coordinatore: Prof. Dott. Francesco Rossi Ragazzi e relatori la Dott. Sabrina Capilupi e l’avv. Claudio Berliri; – il convegno organizzato a Catanzaro il 5 giugno 2015 dalla Sezione ANTI Calabria con il patrocinio degli Ordini dei Dottori Commercialisti e degli Avvocati di Catanzaro sul tema: “Novità penali e tributarie: confronto tra professioni”. Relatori: Avv. Lorenzo Imperato e Dott. Giuseppe Ierace; – il convegno organizzato il 9 giugno 2015 dalla Sezione Lombardia presso l’Hotel De la Ville in Milano sul tema: “La gestione e la valutazione della Continuità Aziendale”. Relatore: Prof. Alberto Bubbio; – il convegno organizzato il 25 giugno 2015 dalla Sezione Piemonte e Valle d’Aosta presso la Banca Popolare di Torino sul tema: “Voluntary Disclosure – Questioni applicative”. Relatori: Dott. Gianluca Odetto e dott. Salvatore Sanna; – il convegno organizzato presso il Convento San Domenico a Bologna il 26 giugno 2015 dalla Sezione Emilia Romagna sul tema: “Il diritto al contraddittorio procedimentale con l’Amministrazione finanziaria – Profili sistematici ed applicativi”. Moderatore Prof. Avv. Gianni Marongiu, Relatori: Avv. Roberto Iaia, Prof. Avv. Lorenzo Del Federico, Prof. Avv. Massimo Basilavecchia, Prof. Avv. Marco Versiglioni, Prof. Avv. Andrea Carinci, Avv. Mario Martelli e Prof. Avv. Francesco Tesauro; – il convegno organizzato a Napoli il 9 luglio 2015 dalla Sezione Campania sul tema: “Voluntary Disclosure ultime novità”. Relatori: Dott. Marco Finocchi Finn e Dott. Loredana Carpentieri; – il XXXII Congresso Nazionale ANTI organizzato ad Ancona il 9 ottobre 2015 sul tema: “Etica Fiscale e Fisco Etico”; – il convegno organizzato presso la Banca Polare di Novara a Torino il 22 ottobre 2015 dalla Sezione Pie- monte e Valle d’Aosta sul tema: “Abuso del diritto”, Relatori: Prof. Massimo Boidi e Avv. Mario Garavoglia; – il convegno organizzato presso la Sala Conferenze Marco Biagi a Bologna il 22 ottobre 2015 dalla Sezione Emilia Romagna sul tema: “Il diritto di difesa del contribuente nel corso del procedimento tributario”. Relatori: Prof. Mauro Beghin, Gen. D. Piero Burla, Dott. Antonino Di Geronimo, Dott. Guido Federico, Dott. Cesare Lamberti, Dott. Francesco Pintor e Prof. Giuseppe Zizzo; – il convegno organizzato dalla Sezione Calabria presso l’Hotel Guglielmo di Catanzaro il 24 ottobre 2015 sul tema: “Diritto penale tributario: primo esame delle novità del decreto legislativo”. Relatori: Dott. Gianfranco Migliaccio, Prof. Avv. Ivo Caraccioli, Col. Mario Palumbo e avv. Vincenzo Cardone; Moderatore: Avv. Edoardo Ferragina; – il convegno organizzato dalla Sezione Friuli Venezia Giulia presso il Castello di Udine il 6 novembre 2015 sul tema: “Le nuove sanzioni tributarie amministrative e penali”. Relatori: Prof. Avv. Gianni Maroniu, Prof. Salvatore Sammartino, Prof. Avv. Ivo Caraccioli, Prof.ssa Maria Cecilia Fregni; – il convegno organizzato presso il NH Leonardo da Vinci di Roma il 2 dicembre 2015 sul tema: “La fiscalità degli immobili”. Relatori: Dott. Stefano Chirichigno, Dott. Francesco Guidi e Avv. Mario del Vaglio; Presiede e coordina Prof. Francesco Rossi Ragazzi; – il convegno organizzato dalla Sezione Piemonte e Valle d’Aosta presso la Banca Popolare di Novara, a Torino il 10 dicembre 2015 sul tema: “La liquidazione delle società: le funzioni dei professionisti”. Relatore Prof. Avv. Giuseppe Di Chio; – il convegno organizzato il 12 dicembre 2015 dalla Sezione Calabria presso Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro il 12 dicembre 2015 sul tema: “Il bilancio d’esercizio tra norme civilistiche e fiscali”; – il convegno organizzato presso il Tribunale di Catania il 14 dicembre 2015 dalla Sezione Sicilia Orientale sul tema: “Questioni attuali sulla Giustizia tributaria”. Relatori: Dott. Giuseppe Fichera e Prof. Avv. Salvo Muscarà; Presiede e saluta Dott. Giavambattista Macrì; – il convegno organizzato dalle Sezioni Calabria, Campania e Puglia presso il Palazzo Ateneo di Bari il 14 dicembre 2015 sul tema: “L’attuazione della Delega fiscale nei decreti approvati dal Parlamento”. Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 83 ETICA FISCALE E FISCO ETICO Per quanto riguarda il 2016 i convegni previsti sono i seguenti: – il convegno organizzato dalla Sezione Friuli Venezia Giulia unitamente all’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Udine a Torreano di Martignanno (Udine) l’11 gennaio 2016 sul tema: “Novità tributarie 2016 – Dai decreti attuativi della Legge delega 23/2014 alla Legge di stabilità 2016; – il convegno organizzato a Torino il 28 gennaio 2016 dalla Sezione ANTI Piemonte e Valle d’Aosta sul tema: “Novità fiscali della legge di stabilità 2016 – Aspetti operativi e chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate”. Relatori: Dott. Gianluca Odetto e Dott. Salvatore Sanna; CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI – il convegno organizzato dall’ANTI unitamente ai Consigli dell’Ordine dei dottori Commercialisti e degli Avvocati di Catanzaro per il 29 gennaio 2016 presso l’Hotel Guglielmo di Catanzaro sul tema: “La riforma del processo tributario” Relatori: Prof. Avv. Salvatore Sammartino, Avv. Tommaso Landi e avv. Marco Mecacci; – il convegno organizzato a Milano il 3 marzo 2016 presso l’Hotel De la Ville dalla Sezione Lombardia in tema di: “La Riforma del diritto penale tributario – D.Lgs 158/2015”. Relatori: Prof. Avv. Alessio Lanzi, Avv. Francesco Colaianni, Prof. Avv. Oliviero Mazza e Prof. Avv. Giuseppe Zizzo. 83 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 84 Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina III Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina IV L’A.N.T.I. Associazione Nazionale Tributaristi Italiani è stata costituita il 13 giugno 1949 e, nella sua lunghissima storia, ha avuto illustri Presidenti quali: Giovanni Battista Adonnino, Ernesto D’Albergo, Epicarmo Corbino, Ignazio Manzoni, Victor Uckmar, Giuseppe De Angelis e Mario Boidi. Attualmente è presieduta dal Prof. Gianni Marongiu. L’Associazione, che ha sezioni in tutta Italia, si propone, attraverso incontri di studio, convegni e pubblicazioni, di approfondire le tematiche fiscali, sotto il profilo scientifico, ma attenta anche alle applicazioni professionali. Essa tiene, altresì, contatti con Governo e Parlamento collaborando quando richiesto allo studio e alla formazione delle leggi. L’A.N.T.I. è socia della Confédération Fiscale Européenne, l’unico raggruppamento Europeo di consulenti tributari che opera a livello Comunitario e nell’anno 2004 è stato presieduto dal Prof. Mario Boidi. SEDE LEGALE Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma • Tel. 06.3215084 • Fax 06.32507485 Sito Internet: www.associazionetributaristi.it PRESIDENZA Via Roma, 11/5 • 16121 Genova • Tel 010.29117911 • Fax 010.29117912 E-mail: [email protected] SEGRETERIA NAZIONALE E TESORERIA NAZIONALE Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma • Tel. 06.3215084 • Fax 06.32507485 E-mail: [email protected] • [email protected]