Neotera 215 interno.qxp_Neotera

Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina I
PERIODICO UFFICIALE DELL’A.N.T.I. – ASSOCIAZIONE NAZIONALE TRIBUTARISTI ITALIANI
Direttore Responsabile
Dott. MARIO NOLA
Comitato di Redazione
Avv. CLAUDIO BERLIRI
Prof. Avv. IVO CARACCIOLI
Prof. ANDREA CARINCI
Prof. Avv. VALERIO FICARI
Dott. PAOLO GAETA
Dott. ROBERTO LUNELLI
Prof. STELIO MANGIAMELI
Prof. Avv. GIANNI MARONGIU
Prof. Avv. FRANCESCO MOSCHETTI
Avv. ALESSANDRO PALASCIANO
Prof. Avv. FRANCO PAPARELLA
Prof. Avv. GAETANO RAGUCCI
Prof. Avv. SALVATORE SAMMARTINO
Prof. Avv. FRANCESCO TESAURO
Prof. Avv. MARCO VERSIGLIONI
Redazione
Piazza del Liberty, 8 - 20121 Milano
e-mail: [email protected]
sito internet: www.associazionetributaristi.it
Anno VIII • n. 2/2015
Periodico Quadrimestrale
Registrato presso il Tribunale di Milano
il 24/4/2008 con il n. 266
Poste Italiane S.p.A.
Spedizione in abbonamento postale
D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1, Comma 2 - DCB Roma
Service Provider:
Register.it - Viale Giovine Italia, 17 - Firenze
sito internet: www.associazionetributaristi.it
Autorizz. Ministero delle Telecomunicazioni
n. 243 del 28/01/1997
Impaginazione e Stampa
Mengarelli Grafica Multiservices
Via Cicerone, 28 - 00193 Roma
ETICA FISCALE
E FISCO ETICO
DOTTRINA
•
LEGISLAZIONE
•
CONVEGNI ED
ATTIVITÀ ANTI
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina II
ANTI - CONSIGLIO NAZIONALE
PRESIDENTE EMERITO
Prof. Dott. Mario Boidi, Torino
PRESIDENTE
Prof. Avv. Gianni MARONGIU, Genova
VICE PRESIDENTI
Dott. Roberto LUNELLI (con funzioni di Presidente Vicario), Udine
Dott. Riccardo ALBO, Ancona
Avv. Pasquale IMPROTA, Napoli
SEGRETARIO GENERALE E TESORIERE NAZIONALE
Dott. Pietro MASTRAPASQUA, Roma
CONSIGLIERI NAZIONALI
Avv. Andrea BODRITO
Dott. Giovanni COSSU
Prof. Dott. Enrico FAZZINI
Avv. Edoardo FERRAGINA
Prof. Avv. Gianfranco GAFFURI
Dott. Carlo DEIDDA GAGLIARDO
Avv. Salvatore IANNELLO
Dott. Michele IORI
Dott. Roberto LUNELLI
Avv. Mario MARTELLI
Prof. Avv. Francesco MOSCHETTI
Prof. Avv. Salvatore MUSCARÀ
Dott. Marco PREVERIN
Prof. Avv. Gaetano RAGUCCI
Dott. Ernesto RAMOJNO
Prof. Dott. Francesco ROSSI RAGAZZI
Prof. Avv. Marco VERSIGLIONI
Dott. Massimiliano TASINI
Presidente Sezione Liguria
Presidente Sezione Campania
Presidente Sezione Toscana
Presidente Sezione Calabria
Presidente Sezione Lombardia
Presidente Sezione Sardegna
Presidente Sezione Sicilia Occidentale
Presidente Sezione Trentino Alto Adige
Presidente Sezione Friuli Venezia Giulia
Presidente Sezione Emilia Romagna
Presidente Sezione Veneto
Presidente Sezione Sicilia Orientale
Presidente Sezione Puglia
Presidente Sezione Provinciale Como
Presidente Sezione Piemonte-Valle D’Aosta
Presidente Sezione Lazio
Presidente Sezione Umbria
Presidente Sezione Marche-Abruzzo
FONDATA NEL 1949
Sede Legale: Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma
Segreteria Nazionale: Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma • Tel. 06.3215084 • Fax 06.32507485
Sito Internet: www.associazionetributaristi.it • E-mail: [email protected]
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 1
Sommario
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
“Perché questa scelta e perché questo tema” di Claudio Berliri
3
DOTTRINA
•
Etica fiscale e fisco etico
4
di Franco Gallo
•
La concezione etica del tributo
8
di Gianni Marongiu
•
Etica del tributo ed etica del potere fiscale nell’art. 53 Cost.
20
di Francesco Moschetti
•
L’etica dell’Amministrazione finanziaria fra responsabilità ed autotutela
30
di Massimo Basilavecchia
•
Etica e interpretazione del e nel diritto tributario
33
di Marco Versiglioni
•
L’etica del legislatore e la certezza del diritto
40
di Gaetano Ragucci
•
La giustificazione etica e costituzionale dei tributi paracommutativi
47
di Lorenzo del Federico
•
L’etica della spesa pubblica
55
di Gilberto Muraro
•
Etica e sanzioni tributarie amministrative
64
di Andrea Carinci
•
L’etica delle sanzioni penali
di Ivo Caraccioli
67
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 2
LEGISLAZIONE
•
Costituzione della Repubblica Italiana
Artt. 2, 3, 24, 42, 53, 54, 77, 81, 97
testo aggiornato dalla Legge Costituzionale 20 aprile 2012, n. 1
69
•
Statuto dei diritti del contribuente Legge 27.7.2000
testo aggiornato al 25 agosto 2015
71
CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI
82
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 3
PERCHÉ QUESTA SCELTA E PERCHÉ QUESTO TEMA
“E
Etica Fiscale e Fisco Etico” è il titolo del convegno organizzato dall’ANTI nell’ottobre
scorso ad Ancona, al quale hanno partecipato in qualità di relatori, i più qualificati
docenti dell’ANTI ed in particolare il Presidente Emerito della Corte Costituzionale prof. Franco
Gallo che ha tenuto la relazione introduttiva.
Il tema potrebbe apparire più teorico che pratico e quindi relativo più alla filosofia del diritto
che non alla sua applicazione. Ma in realtà ciò che si è voluto analizzare è proprio il comportamento
etico non soltanto dei contribuenti nell’applicare le norme di diritto tributario che li riguardano e
nel versare le imposte da essi dovute, ma altresì dell’Amministrazione finanziaria nell’interpretare
ed applicare le leggi.
Ma i principi etici riguardano anche il legislatore che emana le leggi che debbono essere conformi agli obbiettivi ed ai fini fiscali nonché, e soprattutto, ai principi costituzionali ed altresì i
giudici tributari che troppo spesso nell’interpretare le leggi divengono essi stessi legislatori.
Tutti questi aspetti sono stati esaminati dai vari relatori nel convegno di Ancona, come risulta
dalle relazioni che formano il presente numero di
.
Richiamiamo quindi l’attenzione sulla relazione introduttiva del prof. Franco Gallo e sulla
relazione del nostro Presidente Nazionale prof. Gianni Marongiu relativa alla “Concezione etica del
tributo”. Ricordiamo quindi gli articoli su “L’etica e l’interpretazione nel diritto tributario” elaborato dal prof. Marco Versiglioni, “L’etica dell’Amministrazione finanziaria con particolare riferimento
all’autotutela” del prof. Massimo Basilavecchia, “L’etica del tributo e l’etica del potere fiscale” esaminati dal prof. Francesco Moschetti e “L’etica del legislatore e la certezza del diritto” analizzati dal
prof. Gaetano Ragucci.
Non meno interessanti sono le relazioni del prof. Ivo Caraccioli e del prof. Andrea Carinci
sull’etica delle sanzioni amministrative e penali, nonché quella del prof. Lorenzo del Federico sulla
giustificazione etica e costituzionale dei tributi paracomputativi.
Nel settore riservato alla legislazione non abbiamo riportato norme fiscali specifiche ma abbiamo ritenuto opportuno trascrivere il testo vigente di quelle norme della Costituzione Italiana che
riguardano il sistema fiscale, nonché il testo integrale del vigente “Statuto del contribuente” richiamati in molti interventi, e che costituiscono il presupposto etico della normativa e del comportamento fiscale.
Abbiamo invece omesso il settore dedicato alla giurisprudenza.
Il settore relativo all’attività dell’ANTI, riporta tutti i convegni tenuti nel 2015 successivamente
a quelli già indicati nel precedente numero di
nonché l’indicazione dei convegni
già programmati per il 2016.
Claudio Berliri
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 4
4
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Etica fiscale e fisco etico
di Franco Gallo
1. Il titolo, giustamente un po’ anodino, di questo nostro convegno ci consente di affrontare il tema dell’etica
fiscale da due diversi punti di vista: quello del soggetto
che concorre alle pubbliche spese, consapevole di osservare un dovere etico più che di adempiere solo ad uno
specifico obbligo tributario, e quello dell’ente pubblico,
deputato a realizzare politiche fiscali improntate ai principi di uguaglianza e solidarietà.
Le relazioni che seguiranno questa mattina sono dedicate ad approfondire ambedue questi aspetti. Da parte
mia vorrei sviluppare soprattutto il tema, che mi è più
congeniale, dell’etica fiscale in un contesto di giustizia
distributiva, avendo riguardo, quindi, alla funzione del
tributo nella società contemporanea.
E al riguardo vorrei fare una breve premessa sul ruolo
che in questo momento storico dovrebbe essere assegnato al potere pubblico al fine di ridurre le sempre più forti
disuguaglianze indotte dalla grave crisi economico-finanziaria che stiamo vivendo.
Dovrebbe essere fuori discussione che tale crisi ha
spiazzato i fautori dello stato minimo ed ha imposto, nei
fatti, la necessità di uno Stato redistributore ed erogatore
di servizi sociali ispirato nella sua azione ai grandi valori
etici e di moralità collettiva. Ciò non tanto perché si è
fatta una scelta consapevole tra interventismo e liberismo, tra stato e mercato, ma perché probabilmente ci si
è resi conto che nell’attuale contingenza le politiche interventiste keynesiane danno più immediati risultati e,
perciò, sono preferibili agli entusiastici piani di deregolamentazione e privatizzazione sottoscritti nel 2009 anche dai governi europei nella c.d. Agenda di Lisbona.
In effetti, il continuo aumento delle distanze sociali
per livello di reddito, di consumo e di patrimonializzazione potrebbe generare – e in parte ha generato – l’opposto dello stato di diritto e dello stato sociale, e cioè gerarchia e autoritarismo e, soprattutto, sospetti: il sospetto che altri più rapaci e più spietati sfruttino – come è
avvenuto spesso in Italia – con maggiore efficacia le zone
d’ombra delle regole per trarne vantaggi personali; il sospetto che i più ricchi finiscano per ottenere vantaggi
più grandi senza contribuire alla crescita.
Siamo tutti cresciuti sotto l’insegnamento dei principi fondamentali del cristianesimo, che sono la solidarietà, la sussidiarietà e la garanzia del bene comune. Non
possiamo, perciò, non sentire istintivamente, in questi
momenti di crisi, l’importanza dell’intervento dello Stato diretto ad arrestare la spirale delle disuguaglianze e
l’involuzione dello stato sociale. Non è necessario aver
letto Socrate o essere cristiani professanti per convincerci della necessità non solo di accordarci sul significato di
“giusto” e di “bene” e di “equità distributiva”, ma anche
di rimettere ad uno Stato mediatore e distributore l’individuazione e il ragionevole dosaggio degli strumenti da
utilizzare perché una società sia, appunto, più “giusta”,
più “buona” e più “equa” nella libertà. Questo passaggio
è cruciale: se ci sono disuguaglianze endemiche, la riduzione di esse deve essere al primo posto tra gli obiettivi
etici di politica economico-sociale che lo Stato deve perseguire nel rispetto dei diritti fondamentali dei suoi cittadini. La disuguaglianza è la vera patologia dell’epoca, è
una grave minaccia al buon funzionamento di ogni democrazia, è la perdita del senso di fratellanza e della coesione sociale. Come dice Tony Judt1, la fratellanza, per
quanto fatua quale obiettivo politico, è la condizione
necessaria della politica.
2. È in questo contesto che il tributo si rivela, al pari e
più della spesa, un indispensabile strumento di attuazione del principio di uguaglianza. Esso è indubbiamente il
più duttile dei mezzi che lo Stato ha a disposizione per
superare le disuguaglianze derivanti dalle maggiori o minori disponibilità dei beni della vita e per realizzare i valori solidaristici.
Ordinate politiche distributive che premino i più
svantaggiati e gravino gli avvantaggiati limitano certamente le risorse di alcuni a beneficio di altri. Se, però, esse hanno come effetto di medio e lungo periodo di proteggere i più vulnerabili, migliorare la salute del Paese,
ridurre le tensioni sociali originate dall’invidia, incrementare e livellare l’accesso di tutti a servizi fino a quel
momento riservati a pochi, non può negarsi che lo Stato
che ha raggiunto questi obiettivi è sicuramente più benestante e garantisce, in ogni caso, più equità, più sicurezza sociale e, quindi, più uguaglianza e maggior rispetto di sé ai propri cittadini.
1 T. JUDT, Guasto è il mondo, Bari, 2010, pp. 113-133 e 136-156
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 5
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Il tributo, insomma, non è un premium libertatis o solo l’altra faccia negativa del costo dei diritti. In un mondo
disuguale quale il nostro, è soprattutto lo strumento non
repressivo che uno Stato non meramente amministrativo
ha a disposizione per correggere le distorsioni e le imperfezioni del mercato a favore delle libertà individuali e collettive e a tutela, appunto, dei diritti sociali.
Come ci dirà meglio Gianni Marongiu, queste idee
hanno trovato terreno fertile nella migliore cultura politica e sociale del nostro Paese. Basta ricordare al riguardo
che già negli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso
Ezio Vanoni (e, insieme a lui, anche altri pensatori, seppur su altri fronti politico-sociali) sottolineava l’inadeguatezza del «mercato concorrenziale» tanto ad affrontare i problemi dell’accumulazione e dello sviluppo equilibrato, quanto a produrre una redistribuzione della ricchezza eticamente accettabile. E da questo doppio grado
di inadeguatezza faceva derivare quella che, a suo avviso,
doveva considerarsi, nell’Italia uscita dalla seconda guerra mondiale, una delle indicazioni fondamentali, d’ordine anche morale, in tema di politica economica e fiscale:
un ordinamento tributario che corregge gli esiti del mercato pur nel rispetto della concorrenza e delle libertà
economiche, che attribuisce al tributo una funzione di
giustizia sociale e che disciplina il dovere di concorrere
alle spese pubbliche come dovere di solidarietà2.
Uno dei postulati dottrinali del suo pensiero è che il
tributo non è un compenso dovuto dall’individuo allo
Stato per la quantità dei servizi pubblici goduti, perché
per la natura dei servizi pubblici non è possibile stabilire
la quantità di essi goduti dal singolo. Questa teoria dello
scambio o del beneficio, che è ancora alla base di goffi
tentativi di teorizzazione, è lucidamente confutata da
Vanoni quando afferma che si tratta non di vedere quanta parte dei servizi pubblici è consumata da ogni individuo per prelevarne il prezzo corrispondente, ma di determinare «quanta parte dello sforzo comune deve essere
sopportato da ogni singolo, secondo i concetti politici,
etici, giuridici, economici dominanti in un determinato
Stato, in un determinato momento».
Le considerazioni di Vanoni sono perfettamente collimanti con quanto sostenuto dal Cardinale Carlo Maria
Martini. Questi arriva a definire sul piano etico la contriE. VANONI, La finanza e la giustizia sociale, in Scritti di finanza
pubblica e di politica economica, a cura di A. Tramontana, Padova,
1976, 103-121, dove si legge che «La finanza può intervenire in una
politica tendente al fine di attuare una maggiore giustizia sociale, indirizzando la propria azione redistributiva nel senso di ridurre le disuguaglianze nella ripartizione della ricchezza, di dare stabilità al risparmio, di favorire il determinarsi delle migliori condizioni per
l’occupazione e per l’incremento dei salari».
2
DOTTRINA
buzione fiscale come «un gesto fondamentale per la creazione delle condizioni di un benessere condiviso». Nella
relazione della commissione Giustizia e Pace da lui istituita nella diocesi di Milano il tributo è, infatti, considerato
un «concorso attivo al processo di formazione e redistribuzione delle risorse, grazie alle quali promuovere i beni
e i servizi della convivenza civile. In quanto parte della
società – e, conseguentemente, in nome della propria responsabilità per il bene comune –, ogni soggetto contribuente è, quindi, chiamato a dare l’apporto da lui dovuto
insieme con gli altri contribuenti, facendosi carico delle
ragioni dei bisogni dell’intera collettività e dei mezzi con
cui soddisfarli». E questo – si badi bene – ribadisce Martini «non soltanto in omaggio alla continua ripetizione di
imperativi morali pur validi in sé, ma anche sulla base
sperimentabile di una convivenza legata all’ottenimento
di vantaggi maggiori e più duraturi di quelli che potrebbero derivare da comportamenti chiusi nel breve raggio
dell’interesse individualistico3».
Anche il più recente pensiero laico converge sul punto con quello cattolico. Filosofi, economisti e giuristi –
non tutti necessariamente di matrice egualitarista – come John Rawls, Paul Krugman e Ronald Dworkin concordano, seppur per vie diverse, sulla centralità della giustizia distributiva, giungendo alla conclusione che il tributo limita la libertà, i diritti proprietari e le stesse potenzialità economiche dell’individuo, e in ciò sta indubbiamente un sacrificio individuale; per aumentare però
la libertà stessa e il godimento dei diritti, e in ciò sta la
funzione promotrice del tributo medesimo nell’ottica
dell’equo riparto e dell’etica della responsabilità4.
Nel pensiero di questi autori è sull’uguaglianza – a seconda delle opinioni, uguaglianza di risorse e di opportunità ovvero di capability – che si fondano, in ultima analisi, la legittimità etica dello Stato sociale e la sua funzione
mediatrice e distributiva. Se, infatti, per uguaglianza si
intende l’eguale interesse che lo Stato deve avere per ogni
cittadino da cui pretende il rispetto delle leggi, va da sé
che la sua legittimità non dipende altro che dalla eguale
cura che, attraverso le leggi medesime, esso mostra per la
sorte e le libertà di ciascuno dei suoi cittadini e, di conseguenza, dal suo trattarli come eguali e con uguale rispetto.
3 Commissione diocesana Giustizia e Pace, Sulla giustizia fiscale,
Milano, 2000, 18, 19.
4 J. RAWLS, A theory of justice, Cambridge, MA, 1999, 19-26,
trad. it., Una teoria della giustizia, Milano, 1998; P. KRUGMAN, Meno
tasse per tutti, trad. it. Milano, 2001, 7 ss.; A. SEN, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, trad. it. Milano, 2000;
ID., La libertà individuale come impegno sociale, trad. it., Roma, Bari
1997, 25, 26; R. DWORKIN, Virtù sovrana, teoria dell’eguaglianza,
trad. it., Milano, 2002.
5
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 6
6
DOTTRINA
E per fare ciò e fare acquisire e mantenere ai cittadini medesimi i necessari autorispetto e dignità e un’eguale dose
di libertà e di chances, esso Stato è autorizzato a porre, sul
fronte sia del reperimento delle risorse che della destinazione delle spese, una serie di ‘costrizioni’ legali alla distribuzione della ricchezza nazionale e alla fruizione in regime concorrenziale dei diritti patrimoniali, costrizioni che
trovano un limite solo in altri diritti e principi fondamentali inviolabili, primi fra tutti i principi – corollari di
quelli di uguaglianza e solidarietà – di razionalità, coerenza, congruità e capacità contributiva.
3. È sulla base di tali principi che va, perciò, ricercata una
definizione etica del tributo nell’era contemporanea.
E una prima, importante considerazione viene spontaneo fare al riguardo: sono il passaggio dallo Stato liberal-liberista sette-ottocentesco allo Stato di diritto e sociale novecentesco e la parallela evoluzione della nozione
di tributo in senso solidaristico e distributivo che non
consentono più di valutare, sul piano morale, il tributo
come mera autolimitazione dell’individuo-persona e
con riguardo esclusivo al suo impatto sulla proprietà privata. Nell’era contemporanea il prelievo fiscale dovrebbe
costituire parte inestricabile di un moderno sistema
complessivo di diritti di proprietà privata e di regole di
mercato, che le stesse norme tributarie concorrono a
creare, limitare o, a seconda dei casi, ad espandere e tutelare nel rispetto dei richiamati principi fondamentali di
uguaglianza, solidarietà e dignità della persona.
Sul piano etico, giustizia o ingiustizia nella tassazione
dovrebbe, perciò, significare giustizia o ingiustizia in
quel sistema “convenzionale” di diritti proprietari ed
economici, quale risulta dal regime legale di tassazione.
Il che equivale a dire, più semplicemente, che i diritti
proprietari dovrebbero essere riconosciuti, tutelati e garantiti nel loro nucleo essenziale come imprescindibili e
naturali strumenti dell’autonomia privata, ma nel contempo dovrebbero essere anche bilanciati, conformati e
intrecciati con regole e leggi disegnate dallo Stato per assicurare altri diritti, altri valori e altre forme di ricchezza
immateriali, come il benessere e la giustizia sociale, la sicurezza delle aspettative e la promozione dello sviluppo.
Se così non fosse, la società correrebbe il rischio di regredire ad un modello preborghese, proprio della fase
precedente alla rivoluzione francese. Sarebbe, cioè, una
società senza coesione sociale, senza considerazione dei
rapporti interpersonali e con scarsa formazione di capitale umano. Cosa sarebbe questa società nei paesi a capitalismo responsabile se si ragionasse esclusivamente in
un’ottica naturalistica e di autoreferenzialità del mercato
e in termini solo di stato minimo, di prevalenza (e non
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
di bilanciamento) dei diritti proprietari rispetto a quelli
sociali? E, soprattutto, quale situazione sociale avremmo
oggi e di quale libertà godremmo se, attraverso l’intervento pubblico regolatore, non si fosse promossa l’equità di quello che gli economisti chiamano lo “scambio fiscale” e non si fossero garantiti, insieme ai diritti proprietari, anche i c.d. diritti “presi sul serio”, e cioè i diritti
di libertà dai bisogni essenziali, su cui tanto hanno scritto Holmes, Sunstein e Berlin?
4. Se le astratte considerazioni finora svolte si calano nella realtà giuridica italiana del secondo dopoguerra, ci si
rende facilmente conto che la stretta integrazione tra il
regime legale delle imposte, da una parte, e quello della
proprietà e di un welfare ragionevole, dall’altra, per definire gli ambiti di uno Stato distributore e redistributore
non sono concetti astratti, né emblemi di visioni veterostataliste. Sono, invece, valori ben presenti nella nostra
cultura e nel nostro ordinamento, che hanno rappresentato lo sfondo etico e il solido background della Costituzione italiana. E ne costituiscono oggi la componente,
economica e sociale, sostanziale.
Su questo tema si soffermeranno le due relazioni generali di questa mattina. Mi limito qui a sottolineare che
la “crisi fiscale dello Stato sociale” che stiamo vivendo
sotto il profilo sia dell’eccesso della spesa che della carenza delle entrate5, non mette necessariamente in crisi
l’impianto costituzionale che il nostro Paese si è dato, attraverso la forma della costituzione rigida, quanto alla
tutela e al finanziamento dei diritti civili e sociali. Gli eccessi e le carenze del legislatore sono, infatti, solo frutto
delle scelte politiche, più o meno azzardate, legate alla
contingenza economico-finanziaria e non la conseguenza patologica e permanente della correlazione necessaria
che le singole costituzioni istituiscono tra spesa sociale e
suo finanziamento a mezzo tributi. Spetta, in altri termini, solo alla ‘buona’ politica intesa nel senso etimologico
più nobile di politeia, di comporre il conflitto tra i diritti
individuali di protezione dello status quo (come sono i
diritti proprietari) e i diritti sociali che rivendicano una
oculata redistribuzione delle risorse.
È sulle modalità di composizione di questo conflitto
nel rispetto del principio di uguaglianza che, del resto,
verte l’attuale dibattito sulla manovra di finanza pubblica; dibattito acuito anche da quelle sentenze della Corte
costituzionale – la n. 10 e la n. 70 di quest’anno – sulla
5 Sul punto insiste R. BIN, Diritto civile e diritto di cittadinanza:
una omologazione al ribasso?, in Diritti civili ed economici in tempi di
crisi, Congresso Internazionale di Stresa, 13-14 maggio 2005, Milano, 2006, pp. 94-97.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 7
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Robin Tax e sulla perequazione pensionistica, le quali,
con una non esemplare coerenza, hanno fatto pendere la
bilancia dei valori costituzionali, a volte, a favore della tutela piena dei diritti sociali e del principio di uguaglianza,
a volte, a favore del principio – limitativo di tali valori –
del pareggio di bilancio. Questa tendenza della giurisprudenza costituzionale a entrare, sempre più spesso e con
una certa ambiguità, nelle scelte distributive operando
essa stessa il bilanciamento tra l’esigenza di equilibrio finanziario e quella della protezione sociale segnala la volontà della Corte di volersi prendere carico anch’essa della grave crisi economico-finanziaria che stiamo vivendo.
L’ortodossia costituzionale vorrebbe, però, che detto
bilanciamento fosse fatto dal legislatore rappresentativo
della comunità e solo controllato dalla Corte in termini
di ragionevolezza. La nostra speranza è, perciò, che la futura produzione legislativa sia di qualità tale da evitare al
giudice delle leggi di cimentarsi in questo difficilissimo
– a volte imbarazzante – bilanciamento di valori, tutti
meritevoli sul piano costituzionale e, quindi, tutti non
facilmente graduabili.
5. È, dunque, sugli illustrati presupposti etici e giuridici
e sui suddetti principi di uguaglianza, solidarietà e sussidiarietà che, nell’era contemporanea, i governi dovreb-
DOTTRINA
bero edificare, secondo le meditate scelte politiche del
momento, tanto i sistemi fiscali da applicare nel mondo
reale quanto le politiche sociali della spesa. L’obiettivo
culturale – non facile da raggiungere – dovrebbe essere
quello di spostare il dibattito politico e il “sentire comune” dei contribuenti da problemi tipo “quanto di ciò che
è mio lo Stato può prelevare sotto forma di tributo ai fini
della spesa pubblica” a problemi tipo “come e attraverso
quale via le leggi dello Stato, incluse quelle fiscali, possono ragionevolmente determinare ciò su cui debbo contare come mio”.
In ogni caso, si dovrebbe evitare che apprezzabili
strategie fiscali dirette alla riduzione del gettito siano
adottate solo per «affamare la bestia» (starving the beast,
dicono gli economisti pubblici americani), e cioè per
contrarre drasticamente la spesa pubblica anche sul
fronte – cruciale ai fini della realizzazione di una moderna welfare community – della demografia, della sanità e
della sicurezza. La spesa pubblica va senza dubbio contenuta, riqualificata e razionalizzata, ma solo perché eccessiva e inefficiente e non perché lo impone la previa strumentale riduzione della pressione fiscale. Naturalmente
anche questa è eccessiva e perciò andrebbe ridotta, ma in
dipendenza della riduzione della spesa, della sua ripartizione e del recupero dell’evasione.
7
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 8
8
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
La concezione etica del tributo
di Gianni Marongiu
Sommario
1. La Repubblica come comunità che chiede di praticare la fedeltà e la solidarietà ma nel rispetto della dignità
del singolo. – 2. L’evoluzione della nozione di tributo:
dal consenso nell’esperienza inglese. – 3. …all’uguaglianza e alla equa ripartizione statuite dalle prime Costituzioni francesi: l’imposta come corrispettivo del godimento dei servizi pubblici. – 4. La dottrina tedesca di
fine secolo XIX: il diritto di imposizione come essenziale attributo della sovranità: i limiti e le critiche. – 5. Il
crollo della sovranità nella vigente Costituzione repubblicana. – 6. L’art. 53 Cost. e la nozione moderna di tributo quale strumento di partecipazione alla vita dello
Stato e della comunità. – 7. L’accentuato ruolo del contribuente nell’attuazione della pretesa fiscale. – 8. L’art.
2 Cost. e l’ineludibile legame tra diritti e doveri. – 9. Il
rigoroso rispetto dello strumento legislativo ordinario e
la garanzia della certezza delle regole. – 10. Il rispetto
dell’art. 97 Cost. e la garanzia dell’imparzialità dell’amministrazione al servizio del contribuente. – 11. Il dovere fiscale in un contesto volto al “pieno sviluppo della
persona umana”. – 12. La progressività strumentale al
dovere di solidarietà economica: la scelta non ideologica del secondo comma dell’art. 53 Cost.. – 13. La sua
corretta formulazione letterale. – 14. I limiti alla progressività e la garanzia dell’autosufficienza del cittadino-contribuente.
1. Non sono un teologo e neppure un filosofo o uno studioso di morale e quindi non è facile per me affrontare il
tema di una definizione “etica” di tributo.
Cionondimeno non mi sono sottratto all’impegno
perché sono rimasto colpito dal fatto che, nella nostra
Costituzione, compaiono termini che hanno una valenza e un significato vuoi come categoria etica, vuoi come
categoria giuridica.
Mi riferisco alle locuzioni di “dignità”, di “fedeltà” e
di “solidarietà” che sono una novità in un testo giuridico
anche se non in assoluto. Già l’art. 2105 del codice civile
sancisce l’obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro così
come, secondo l’art. 143, “dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco della fedeltà”.
Ebbene, oggi, l’art. 54 statuisce che tutti i cittadini
non solo devono osservare la Costituzione e le leggi ma
hanno anche “il dovere di essere fedeli alla Repubblica”.
Il precetto può apparire addirittura inutile perché, in
uno Stato di diritto, è ovvio che alla Costituzione e alle
leggi si deve, socraticamente, obbedire anche se si può
dissentire, ma, in realtà, esso è innovativo perché il richiamo della fedeltà rinvia a un qualcosa che non è solo
“Stato” ma è anche “comunità”, come una piccola comunità sono la famiglia e il luogo di lavoro.
Constatazione che appare confermata dalla lettura
dell’art. 4 della stessa Costituzione per il quale “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che
concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Ed ecco allora il quesito e cioè come si definisce il tributo in uno Stato che intende essere anche una comunità1 e che perciò richiede di praticare la fedeltà e la solidarietà, rispettando, per altro, la dignità del singolo?2
***
2. Al riguardo anche il giurista può dire la “sua” ed io spero di riuscire a dare un contributo attraverso la storia del
mutamento della concezione stessa del tributo per giungere alla nostra Costituzione che ha certamente accentuato il carattere “solidaristico” del prelievo tributario.
Al riguardo è di tutta evidenza che, ancora durante
l’esperienza storica delle monarchie assolute, nessun
suddito avrebbe osato chiedere ragione del prelievo dei
tributi e della destinazione del loro gettito.
Non è un caso che la rivoluzione americana e quella
francese di fine settecento siano considerate soprattutto
rivoluzioni fiscali volte ad affermare i principi del consenso ai tributi, della loro generalità e dell’uguaglianza
nella loro ripartizione.
Osservo che in questo modo è oggi possibile coniugare patriottismo e democrazia. Certo oggi l’Italia e l’appartenenza ad essa non la
si può intendere come nell’Ottocento e nella prima metà del novecento quando il patriottismo divenne addirittura aggressivo nazionalismo, ma non è il caso di celebrare funerali. Infatti, l’elaborazione del
lutto per la scomparsa di quella patria è la premessa per un discorso
sulla “patria dei cittadini”, vaccinati contro ogni mito nazionalista,
ma consapevoli dei vincoli che nascono da quella storia conclusa.
2 L’art. 36 della Costituzione statuisce che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del
suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia
un’esistenza libera e dignitosa”.
1
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 9
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Ebbene, antesignana nell’affermazione di questi principi fu la Gran Bretagna ove (riprendendo un trend secolare)
nel 1688 si sancì “No taxation without representation”3.
Se il Parlamento doveva assicurare il proprio consenso
al prelievo, nel corso dei decenni e per tutto il Settecento,
si consolidò l’ulteriore regola per cui detto consenso sarebbe stato agevolato dalla indicazione del programma di
spese tradizionalmente in mano al solo governo. In altre
parole la Camera dei Comuni iniziò a subordinare il consenso del prelievo al sindacato sulla destinazione dello
stesso. In questo modo il Parlamento inglese si arrogò il
potere di concedere la fiducia a chi ritenesse più idoneo a
realizzare un condiviso e contenuto programma di obiettivi (le spese) e di mezzi (i tributi)4. È questa, lo ricordo,
la principale ragione per cui la piccola Gran Bretagna, nel
‘700, riuscì a vincere la sfida, nel mondo, con la Francia,
ben più popolosa, ricca e, astrattamente, più forte5.
***
3. Non a caso la rivoluzione francese fu alimentata, in
modo consistente, dall’insofferenza per gli iniqui assetti
fiscali dell’”antico regime”6.
Sulla scia di una diversa concezione dell’appartenenza
alla “nazione”, non solo si diffusero il principio del necessario consenso (la legge) all’imposizione dei contributi pubblici7 e l’ulteriore, non meno importante “della loro eguale ripartizione tra tutti i cittadini in ragione delle
loro sostanze”8.
In nome della fratellanza (valore fondante della rivoluzione assieme alla libertà, alla uguaglianza e alla proprietà) l’art. 101 della Costituzione francese del 24 giugno 1793 statuì, con una punta di retorica, che “nessun
cittadino è dispensato dall’onorevole obbligo di contribuire ai carichi pubblici”.9
Attraverso questo processo mutò anche la nozione di
tributo, tant’è che, nell’intero continente europeo, nella
3 Per la narrazione di questa importantissima e affascinante storia si veda G. MARONGIU, I fondamenti costituzionali dell’imposizione
tributaria, Torino, Giappichelli, 1991 e 1995, pg. 29-57 sg..
4 Si veda C.W. ADAMS, For Good and Evil, Macerata, Liberilibri,
2008, pg. 312-344.
5 Si veda F. AFTALION, L’economia della rivoluzione francese, Milano, ed. Il Sole 24 Ore, 1988, pg. 7-10 e 23 sg.
6 Si vedano G. LEFEBVRE, La rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 1951, p. 136 sg.; F. FURET-D. RICHET, La rivoluzione francese,
Bari, Laterza, 1974, pg. 22 sg. e A. SOBOUL, La rivoluzione francese,
Bari, Laterza, 1964, pg. 84-90.
7 Si veda l’art. 1 del titolo quinto della Costituzione francese del
3 settembre 1791 in A. SAITTA, Costituenti e costituzioni della Francia moderna, Torino, Einaudi, 1952, p. 92.
8 Così l’art. 13 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino premessa alla citata Costituzione, cit., p. 67.
9 Si veda A. SAITTA, Costituenti e Costituzioni, cit. p. 127.
DOTTRINA
prima metà dell’Ottocento, si radicò il convincimento
che l’imposta altro non era che il prezzo pagato da ciascuno per il godimento dei servizi pubblici.
Significativamente quando il Proudhon presentò, nel
luglio del 1848, il primo progetto di imposta progressiva
all’Assemblea Nazionale Francese, questa lo respinse con
una maggioranza schiacciante – solo due voti ottenne il
progetto! – dichiarando, in un ordine del giorno, che
l’imposta progressiva era immorale e sovvertitrice dell’ordine divino ed umano10.
Infatti, come sottolineò il Thièrs11, se l’imposta è il
prezzo del servigio prestato dallo Stato, e, se il godimento dei servigi è in rapporto diretto al reddito, un’imposta
la cui aliquota aumenta con l’aumentare del reddito rappresenta un aggravio ingiusto del contribuente e un manifesto attacco al principio della proprietà.
Ma, quali che fossero i duri contrasti sulla progressività, la sottolineatura dello scambio aveva una forte valenza politica e morale perché convinceva il contribuente che il tributo non era più solo una odiosa prestazione
imposta ma il “corrispettivo” di importanti servizi pubblici, resi da una rinnovata comunità nazionale.
Ed era anche un intelligente approccio per convincere
popoli, molto spesso analfabeti, a contribuire alle spese
pubbliche.
Si diffuse cioè una nuova moralità pubblica muovendo dal concetto di “condominio” nel senso che, si diceva,
così come i condomini si dividono le spese comuni,
egualmente in una società politica moderna i “regnicoli”
devono dividersi le spese per il funzionamento dello Stato.
Il tributo non significava più distruzione di ricchezza
poiché, mercè l’imposta, lo Stato crea l’ambiente giuridico e politico nel quale gli uomini possono lavorare, organizzare, inventare, produrre12.
Palese era l’eco, in quei convincimenti, di un grandissimo insegnamento che, sul finire del 700, a fronte di
polemiche, che avevano coinvolto la stessa ragion d’essere dei “tributi” e non solo la loro diffusa cattiva gestione,
aveva scritto: “La spesa del governo è, con riguardo agli
individui di una grande nazione, come la spesa di amministrazione riguardo ai comproprietari di un grande patrimonio, i quali sono tutti obbligati di contribuirvi in
proporzione ai loro rispettivi interessi nel medesimo”13.
10 Cfr. PROUDHON, Proposition relative à l’impôt sur le revenu,
presentée le 11 juillet 1848, Paris, 1848.
11 THIERS A., De la proprièté, Paris, Paul Lheureux et C., 1848.
12 Così L. EINAUDI, Miti e paradossi della giustizia tributaria, Torino, Einaudi, 1938, pg. 219-274.
13 Così A. SMITH, Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza
delle Nazioni (1776), ora Torino, Utet, 1945, p. 744.
9
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 10
10
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
4. Al tributo fu tolto, così, quel carattere di “odiosità”
che si trascinava da secoli anche se la dottrina fu ben attenta a sottolineare che il descritto legame tra tributo e
contributo alle spese aveva una forte valenza politica e
programmatica (così nell’art. 25 dello Statuto albertino), ma non poteva ingenerare e non ingenerava alcun
vincolo sinallagmatico tra soggetto attivo e passivo per la
mancanza di ogni corrispondenza giuridica tra tributo e
servizio pubblico. Il singolo, – si insegnava già nell’Ottocento – in quanto ha pagato il tributo, non ha diritto
di pretendere dallo Stato un particolare servizio, che gli
rechi un determinato beneficio equivalente al sacrificio
da lui sopportato e anche quando lo Stato riconosce all’individuo, la facoltà di esigere una prestazione, il relativo diritto subiettivo non nasce direttamente dall’onere
sopportato, ma perché il singolo si trova nelle condizioni
previste dalla legge che impongono allo Stato, o in genere all’ente pubblico, la prestazione del servizio15.
In altre parole si distingueva tra fondamento dell’imposizione e concreta obbligazione tributaria.
Cionondimeno, in un empito totalmente “etatista”,
sul finire dell’ottocento, soprattutto in Germania (ma la
teoria si diffuse) si considerò metagiuridica la correlazione sancita anche da alcune Costituzioni tra imposte e
spese e una teoria formulata dallo Stahl, dal Bluntschli,
dal Rau, dal Helferich in Germania16, e dal Romano e
dal Vanni17 in Italia, riprendendo la concezione di taluni
dottori medioevali che consideravano il diritto d’imposizione come essenziale attributo della sovranità, ravvisò
nel rapporto di sudditanza la sola fonte del diritto d’imposizione. Lo Stato, si disse, preleva tributi in virtù della
sovranità che esso esercita sui sudditi (si usò questa locuzione) e il contribuente deve pagare solo per il vincolo di
sudditanza che lo lega all’autorità statale.
In ordine a questa prospettazione, si osservò18 che essa deprime la figura del contribuente, mentre innalza al
disopra di ogni limitazione e di ogni controllo l’autorità
dello Stato e si rilevò, inoltre, che il vincolo di sudditanza non riesce a spiegare l’imposizione nei rapporti internazionali. Il cittadino, che risiede all’estero e che produce e gode i suoi redditi all’estero, è sempre unito dal rapporto di sudditanza colla madre patria, ma, di regola,
non paga imposte, o per lo meno non le paga nella misura del cittadino che risiede in patria. Di contro, lo straniero, che vive transitoriamente o stabilmente nello Stato, o percepisce redditi prodotti nello Stato, può essere
sottoposto a tributo, mentre per i vigenti principi del diritto internazionale è assurdo affermare che entri in rapporto di sudditanza collo Stato.
Se il tributo fosse dovuto unicamente per il vincolo
di sudditanza, gli stranieri non sarebbero soggetti alla
potestà impositiva che riguarderebbe i soli cittadini.
Per superare le difficoltà contro cui urtava la teoria
della sovranità, una scuola di finanzieri tedeschi, che riconobbe i suoi maestri nello Schäffle prima e nel Heckel
più tardi, andò oltre, e concepì il tributo come una conseguenza della supremazia di fatto dello Stato.
A questo indirizzo si accostarono buona parte dei
giuristi del diritto tributario tedesco, sotto la guida di
Otto Mayer. Per il Mayer, e per i giuristi della sua scuola,
il tributo non è dovuto dal singolo perché suddito, e pertanto membro dello Stato, ma dal singolo in quanto si
trova entro la sfera di azione del potere dello Stato ed è
costretto a sopportarne la supremazia.
Il tributo è manifestazione del potere dello Stato sul
sottoposto: il Mayer costruì, quindi, il potere finanziario
dello Stato come un potere esistente a lato del potere di
polizia, e che si serve degli stessi mezzi di questo, dal
quale si differenzia soltanto per il fine: il potere di polizia
14 Così M. MINGHETTI, Della economia pubblica e delle sue attinenze colla morale e col diritto, Firenze, Le Monnier, 1859 ora ristampato in M. MINGHETTI, Scritti politici, a cura di R. Gherardi, Roma,
1986, p. 409.
15 Così L. COSSA, Scienza delle finanze, Milano, Hoepli, 1887,
p. 60.
16 HELFERISCH, Teoria generale dell’imposta, in Biblioteca dell’economia, serie III, vol. 14, p. III, p. 338 sg.
17 S. ROMANO, La teoria dei diritti pubblici subbiettivi, in Trattato
di Diritto Amministrativo dell’Orlando, vol. I, Milano, Soc. Ed. Libraria, 1900, p. 149 sg.; VANNI ICILIO, Lezioni di filosofia del diritto, 4° ed., Bologna, 1920, p. 334.
18 B. GRIZIOTTI, L’imposition fiscale des étrangers, in Académie
de Droit International, Recueil des cours, 1926, vol. III, Paris 1927,
p. 28 sg.
Insegnamento encomiabile e che non a caso fu posto
a fondamento della difficilissima opera di rendere l’Italia una, indipendente e libera. Marco Minghetti che, all’indomani dell’unità, fu più volte presidente del consiglio e ministro delle finanze, sottolineò che “l’imposta
è, dunque una porzione di entrata tolta a ciascun cittadino dal governo per le pubbliche necessità ovvero (per
usare una diversa locuzione) il governo è come un altro
operatore della produzione che, insieme coll’operaio,
col capitalista o col possidente, viene a prendere la sua
rata nel riparto del prodotto netto”. La quale immagine, soggiungeva questo grande pensatore liberale, “è da
reputarsi giusta in quanto che veramente il governo
coopera alla produzione coll’assicurarne alcune condizioni essenziali”14.
***
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 11
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
tende al buon ordine della comunità, il potere finanziario mira a procurare allo Stato i mezzi economici che gli
sono necessari.
Ma, a ben guardare, neppure questa seconda prospettiva era destinata a fare molta strada, proprio perché non
è sufficiente la semplice presenza nello Stato a giustificare il sorgere di un’obbligazione tributaria: l’individuo
che attraversa l’Italia in ferrovia o in aeroplano, sottostà
all’obbligo di osservare per es. i regolamenti di polizia,
ma non è generalmente sottoposto a imposizioni, perché si ritiene che i rapporti che esso ha con lo Stato non
acquistino rilevanza sufficiente per far nascere un dovere
di imposta.
Seppure da posizioni di minoranza scriveva Vanoni,
già negli anni ’30 che “il potere di supremazia non basta
a spiegare il tributo. Tanto nei confronti degli stranieri,
quanto nei confronti dei cittadini, il tributo appare legato alla partecipazione personale, colla presenza nel territorio o col godimento della cittadinanza, o alla partecipazione economica, colla percezione di redditi prodotti
nel territorio, alla vita dello Stato impositore. In tale partecipazione alla vita dello Stato, che si risolve nella possibilità di godimento dei vantaggi derivanti dall’attività
pubblica, va ricercata la spiegazione del dovere di sopportare l’imposta”19.
***
5. Respinta la costruzione del tributo offerta dalla scuola
della sovranità e abbandonata anche la teoria elaborata
da Mayer, si affermò la nozione moderna di tributo per
la quale, così come in ogni associazione, sia essa naturale, volontaria o coattiva, è regola elementare che ogni
membro dell’associazione in quanto partecipa dei vantaggi sia chiamato a contribuire agli oneri della collettività, non diversamente avviene nello Stato.
“Lo Stato – scriveva Benvenuto Griziotti – esplica
un’attività diretta al raggiungimento dei propri fini, i
quali sono fini di interesse generale, la cui realizzazione
si risolve in un utile della collettività. A carico di tutti coloro che appartengono a quel gruppo, e quindi hanno
un interesse all’attività statale, nasce un dovere morale,
prima ancora che giuridico, di concorrere a far fronte ai
carichi pubblici” “sebbene, soggiungeva lo studioso, non
vi sia alcuna necessaria corrispondenza, quantitativa e
immediata, tra l’utilità ricavata dal singolo dall’attività
pubblica, e il tributo pagato. Infatti, mentre l’astratto
19 Per queste e altre considerazioni si veda E. VANONI, Diritto
all’imposta e formazione delle leggi finanziarie, in Opere giuridiche, a
cura di F. FORTE e C. LONGOBARDI, 2 voll., Milano, Giuffrè, 1962,
vol. secondo, pg. 473 sg.
dovere di pagare il tributo nasce in seguito alla partecipazione alla vita dello Stato impositore, la legge disciplina in concreto l’occasione e la misura del prelevamento
in base a criteri, che spesso prescindono dalla quantità di
servizio pubblico effettivamente goduta.”
E questa concezione, che a livello costituzionale sottolineava il necessario collegamento tra imposta e concorso alle spese, era destinata a prevalere quando, nel secondo dopoguerra furono approvate, specie nei paesi
vinti, Costituzioni rigide, presidiate da una Corte costituzionale.
Per comprendere la natura della nostra Costituzione
mi sembra utile ricorrere a una metafora che è particolarmente suggestiva.
Essa è tratta dall’Odissea, quando Ulisse nell’attraversare uno stretto (si suppone quello che noi chiamiamo di Messina) per non cedere alla suggestione delle sirene, si fa stringere con funi che, per sua ammissione, i
compagni non devono sciogliere neanche se lui stesso
glielo intimasse.
Questo passo – acutamente ricordato da alcuni studiosi con la formula riassuntiva della c.d. “clausola di
Ulisse”20 – individua uno dei cardini della filosofia politica di tutti i tempi, che a sua volta costituisce uno dei
principi-chiave del moderno costituzionalismo: l’idea di
auto-limitazione del sovrano.
Ulisse – capitano della nave e condottiero dei suoi
uomini – è il simbolo del sovrano e le funi con cui si fa
legare sono il simbolo dei vincoli giuridico-costituzionali che delimitano il potere sovrano, anche nelle situazioni d’eccezione (canto delle sirene).
Si tratta della più acuta delle metafore del “vincolo
delle leggi”, anzi – nello Stato costituzionale contemporaneo – del ben più alto e forte “vincolo della Costituzione”. Il senso più integrale e radicale delle “corde” entro cui Ulisse si fa costringere risiede proprio nella necessità giuridico-costituzionale di una limitazione intrinseca del potere, quale che sia la sua origine: autoritaria o
democratica. Attraverso la “clausola di Ulisse” il soggetto sovrano dimostra di avere paura di se medesimo (del
potere di cui dispone in sé, che – per questa sua natura,
in teoria illimitata – può danneggiare persino se stesso) e
dunque si auto-vincola. Ma, auto-limitandosi, in pratica
“rinuncia” alla sovranità.
Si afferma, in tal modo, la tesi secondo cui la sovranità in sé è un vecchio arnese del diritto costituzionale, ormai inutilizzabile, una sorta di “bomba” pericolosa da
maneggiare.
20 Si veda A. SPADARO in Dizionario di diritto pubblico, diretto
da S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2006, vol. secondo, p. 1636.
11
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 12
12
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Ritorna così, ancora una volta, l’idea di Costituzione
come “sistema di limiti giuridici essenziali senza sovrano” e, dunque, essenzialmente come limite allo stesso
principio democratico.
Di qui occorre muovere, senza rimpianti per la defunta sovranità finanziaria21.
***
6. Questo insegnamento è stato trasfuso nel disposto
dell’art. 53 Cost.
Ma, a ben guardare, la nozione moderna di tributo,
quale è disegnata dall’art. 53 Cost., va ben oltre perché
dell’imposta non vuole sottolineare solo il connotato
della doverosità (come è naturale) e della utilità, o se si
preferisce della doverosa utilità.
Attraverso la locuzione “concorrere” esso vuole evitare
la tentazione, sempre risorgente, che lo Stato impositore
attribuisca ai suoi membri il ruolo più passivo tra quelli
che si possono immaginare, il ruolo del solo debitore.
“Ora il diritto di prelevare tributi – si legge nel Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea costituente – non pare possa essere qualificato
in modo soddisfacente con la semplice affermazione che
le imposte richiedono per essere applicate una legge considerandosi implicitamente risolto col rinvio ai caratteri
di generalità e quindi di uguaglianza propri della norme
di legge, tutte le necessità di definizione della potestà tributaria. Il dovere dei singoli di contribuire ai carichi
pubblici e il diritto degli enti pubblici di richiamarli a
contribuire merita di essere affermato esplicitamente
proprio per dichiarare, che nello Stato democratico, la
cosa pubblica è la cosa di tutti e che tutti hanno l’obbligo di concorrere all’azione comune col proprio sacrificio
personale”: “si tratta di uno dei fondamentali rapporti di
diritto-dovere che presiedono alla organizzazione politica della società”22.
La Costituzione, in altre parole, non si è limitata a indicare la nozione moderna di tributo (una prestazione
21 Constatando la sopravvivenza di questa concezione per cui,
quando si legifera in materia tributaria, “ si coglie una potestà finanziaria, mentre non se ne riconosce una civile-amministrativa
quando di legifera in altri campi” si è scritto che … “in definitiva, la
concezione della potestà finanziaria e in specie tributaria … riposa
su una affievolita visione della norma giuridica … e su un evidente
influsso degli schemi anteriori alla Monarchia parlamentare” (così
J.M. QUERALT, La potestà tributaria, in Trattato di diritto tributario,
diretto da A. Amatucci, 4 voll., Padova, Cedam, 1994, I, tomo primo, p. 144).
22 Così Il Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea costituente, vol. V, Finanza, Roma, 1946 pubblicato anche
come E. VANONI, Diritto all’imposta e formazione delle leggi finanziarie, cit., loc. cit., vol. secondo, pg. 475 sg e spec. pg. 480.
patrimoniale imposta dalla legge, ripartita secondo i
principi di uguaglianza e di capacità contributiva) ma ha
anche disegnato il profilo del contribuente
Se il legislatore avesse voluto sancire solo il profilo
della doverosità avrebbe scritto che “tutti sono tenuti a
pagare le imposte in ragione della loro capacità contributiva”23.
Ha, invece, usato una diversa formulazione (“tutti
sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche”)24 che
sembra contenere una contraddizione laddove trasforma
in obbligo (“essere tenuti”) il concorso che richiama profili di volontarietà, come è proprio dei contributi a una
causa, a una iniziativa politica, economica o sociale.
In realtà, non di contraddizione si tratta ma del fatto
che la norma costituzionale ha inteso sottolineare che,
essendo i tributi meri strumenti, la vera adesione può essere riferita a un programma di spese, di obiettivi onde il
pagamento delle imposte, ove lo si condivida, diventa
un fatto logicamente consequenziale: appartiene alla migliore storia fiscale la risposta che Quintino Sella diede a
un deputato che menava vanto di non avere condiviso
nessuna delle sue scelte fiscali: “Ma, Lei, onorevole, ha
votato tutte le spese proposte dal governo”.
Ebbene il legislatore costituente, ha ritenuto all’evidenza, che ciascun uomo non è mosso solo dalla paura25,
ma è un essere quanto meno duplice, in cui si affrontano
e si confrontano carenze ed eccessi, o, per dirla con due
termini greci, “eros” e “thymos”: l’uno, il primo, costituisce il polo del prendere, il desiderio sconfinato e perciò non può che essere limitato e compresso da forze
esterne; il secondo, il “thymos” è orientato, invece, al dare, alla generosità, all’orgoglio, al prestigio, all’onore26.
L’art. 53 intende sottolineare che il tributo non è
l’esplicazione di un potere di supremazia dello Stato,
che non esiste, ma è “lo strumento attraverso il quale
23 La Costituzione del Giappone statuisce, all’art. 30 che “il popolo è soggetto alle imposte secondo le modalità stabilite dalla legge”.
24 L’art. 134 della Costituzione di Weimar statuiva che “Tutti i
cittadini, contribuiscono, senza distinzione ai carichi pubblici in
rapporto ai loro mezzi secondo la misura fissata dalla legge”, formulazione ripresa, seppure con qualche modificazione, dall’art. 4 della
vigente Costituzione greca per la quale “i cittadini greci contribuiscono senza distinzioni alle spese pubbliche in proporzione ai loro
mezzi”. Molto analitico è l’art. 31 della Costituzione spagnola per il
quale “Tutti contribuiranno al sostenimento delle spese pubbliche
secondo le loro possibilità economiche, attraverso un sistema tributario giusto, ispirato ai principi di uguaglianza e progressività, che in
nessun caso potrà avere carattere confiscatorio”.
25 Hobbes non ha forse scritto nel “Leviatano” che i contratti
senza la spada sono mere parole?
26 Si veda S. RIFKIN, La civiltà dell’empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi, Milano, Mondadori, 2010.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 13
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
ciascuno partecipa alla vita dello Stato”27 della quale il
contribuente è perciò stesso un protagonista.
Nell’ordinamento fiscale moderno non si può più
parlare di soggetto passivo dei tributi, di obbligato di
imposta (lo si può tollerare a livello didattico per variare
le locuzioni) ma di “contribuente”.
***
7. Per convincersi che il contribuente, da anni, ha ormai
un ruolo decisivo e centrale nell’attuazione della pretesa
tributaria, è sufficiente riandare alla seconda metà degli
anni 70, allorquando tributi nuovi e più moderni, quali
l’imposta personale e progressiva sul reddito e l’imposta
sul valore aggiunto, coinvolsero un’enorme platea di
contribuenti (saliti per effetto della riforma da 3,4 a 24
milioni). Divenne evidente che all’amministrazione non
poteva essere più addossato l’obbligo di leggere milioni e
milioni di dichiarazioni, liquidare i tributi e pretenderli
con la relativa iscrizione a ruolo e la notifica di milioni di
cartelle esattoriali.
Fu introdotta la c.d. autotassazione, un sistema che,
proprio per la sua efficienza e i corposi risultati raggiunti
(il 75 per cento del gettito deriva ormai da essa), era prevedibile fosse conservato e potenziato e così è avvenuto.
Osservava, nei primi anni “90”, l’allora Ministro delle finanze, Franco Gallo, che “l’obiettivo ambizioso è di
recuperare, liberandolo dalle incrostazioni recenti, il sistema di gestione dei tributi diretti instaurati dopo la riforma del 1971 (e dovuto soprattutto all’opera di Visentini), basato sull’autoliquidazione del contribuente e
sulle ritenute dei sostituti d’imposta. Si tratta di un sistema cosiddetto “ad iniziativa del contribuente “che,
quando fu adottato, era innovativo anche rispetto ad altri Paesi europei; esso è valido ancor oggi”28.
D’altro canto, era anche vero – sono ancora parole di
Gallo – che “quel sistema è stato caricato di adempimenti
eccessivi, di obblighi di trasmissione di informazioni non
necessarie a cura del contribuente: occorre ridurli, e che
l’Amministrazione finanziaria assuma maggiori compiti”.
Per effetto del continuo mutamento dell’ordito normativo ogni anno, e per anni, sono mutati il modello e il
contenuto delle dichiarazioni (redditi e Iva) e per anni il
contribuente e l’amministrazione hanno dovuto fare i
conti con provvedimenti accertativi che si affiancavano
o sostituivano quelli più tradizionali previsti dai decreti
dettati per l’attuazione della riforma tributaria del 1971.
27 Così E. VANONI, Natura e interpretazione delle leggi tributarie, Padova, Cedam, 1932, ora in Opere giuridiche, cit., vol. primo, pg. 78 sg.
28 Così F. GALLO, Relazione all’assemblea dell’Assonime, cit., pp.
7784 sg..
Conseguente fu la percezione della collettività e dei
singoli che, in qualità di contribuenti e/o di sostituti di
imposta, subivano (e subiscono) gli inesauribili costi
dell’adempimento: “costi organizzativi, costi di gestione
di rapporti con il fisco, costi di informazione e di aggiornamento”29, per non dire di quelli psicologici, per lo più
intangibili ma non meno pesanti, derivanti dal timore di
sbagliare e di dovere sostenere i successivi costi del contenzioso nonché dalla violazione della “privacy”30.
Non a caso la relazione governativa alla legge delega
per la riforma del sistema tributario del 200331 enunciava espressamente “il principio della minimizzazione del
sacrificio del contribuente nell’adempimento di tutti gli
obblighi formali e di pagamento”.
Nel frattempo erano andate smarrite le immortali
parole di Luigi Einaudi che, già anni fa, ammoniva che
“il moltiplicarsi quotidiano di decreti, regolamenti, ordini, hanno fatto sì che la parola legge non ha più alcun
senso, che la legge è diventata un arbitrio, che la legge
non è più norma generale applicabile in modo duraturo
a tutti, ma una regola arbitraria, creata volta per volta a
regolare il caso singolo: la legge non è più ordine, certezza di vita, ma disordine, fomento d’incertezza”.
Milioni di contribuenti, di differente estrazione sociale e di diversi livelli culturali, si sono così trovati stretti tra gli obblighi (e i costi) volti alla realizzazione della
pretesa fiscale e una enorme pressione legislativa alimentata ormai pressoché solo da decreti-legge e riferita non
solo agli elementi quantitativi della pretesa fiscale ma
anche, e purtroppo, all’accertamento, alla riscossione, al
processo, alle sanzioni.
***
8. Si tratta, quindi, di procedere al riscontro dell’esistenza dell’equilibrio tra i diritti e i doveri del contribuente.
Si tratta, cari amici, di una indagine dettata dalla
Costituzione perché essa, all’articolo 2, statuisce che “La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
29 Sono alcune delle parole introduttive pronunciate dal presidente della sesta Commissione finanze e tesoro della Camera dei
Deputati, on. Franco Piro, a proposito dell’indagine sul sistema fiscale italiano in Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, X Leg., Incontri – Dibattiti, VI Comm., p. 22.
30 Si veda G. GHESSI, I costi gestionali dei tributi, in La questione
tributaria. Analisi e proposte, a cura di A. PEDONE, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 339 sg. nonché M. FERRERA, Verso la rivolta fiscale? Cittadini e tasse in Italia, in Biblioteca della libertà, 1986, ottobre-dicembre, p. 198; Il costo dei tributi, a cura di M. Leccisotti, Bari, Cacucci, 1995, nonché AA.VV., I costi dell’adempimento fiscale per le
imprese italiane, in L’Italia da semplificare: le regole e le procedure, Bologna, Il Mulino, 1998.
31 Legge 7 aprile 2003, n. 80.
13
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 14
14
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Diritti e doveri sono fra loro legati e questo imprescindibile legame consente alcune importanti riflessioni.
Quotidianamente è posta, anche a livello politico,
l’enfasi sul dovere del contribuente e sulla lotta all’evasione tributaria, punita anche con pesanti sanzioni amministrative e penali.
Orbene si deve portare l’attenzione sul fatto che non
meno disgregante dei rapporti civili di convivenza è la
“evasione” della parte pubblica dal dovere etico nell’adempimento dei compiti istituzionali a tutti i livelli.
Una Repubblica che tutt’ora non fornisce un adeguato servizio di giustizia (non solo tributaria), che non garantisce la certezza del diritto, che ha praticato e subito
per decenni lo sperpero del denaro pubblico fino ad uno
storico dissesto del bilancio, viola i presupposti e le finalità dei doveri tributari e pone le premesse per rendere
difficile l’educazione all’etica del tributo.
Non a caso questo convegno vuole porre in luce l’interdipendenza fra i due aspetti , e la grave violazione del
patto costituzionale, laddove su entrambi i versanti non
è ancora soddisfacente l’etica dei comportamenti.
Sono due lotte che si vincono o si perdono insieme.
Ma forse è proprio lo Stato che per primo deve dimostrare che i suoi Poteri, a tutti i livelli (legislativo, amministrativo, giudiziario), hanno una giustificazione unica:
l’etica del comportamento e la finalità di giustizia.
L’esercizio del Potere per il Potere (e non del potere
per la Giustizia) rompe il sinallagma tra doveri e diritti
sancito dall’art. 2 della Costituzione.
***
9. Che cosa significa, in concreto rispettare rigorosamente il quadro costituzionale con riguardo al prelievo?
La risposta è semplice ove si rammenti che proprio
coloro che, da posizioni di minoranza, in Assemblea costituente sostennero che il potere di supremazia dello
Stato non è idoneo a spiegare le ragioni d’essere dei tributi, sottolinearono anche che “viva doveva essere e rimanere l’esigenza di non abbandonare il singolo all’indiscriminato esercizio del potere di imposizione”32.
Proprio perché ciascun singolo contribuente è uno
dei protagonisti della vita collettiva, la connaturata “ar32 Così, il Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea costituente, cit., ora riprodotto con il titolo Diritto all’imposta e formazione delle leggi finanziarie, in E. VANONI, Opere giuridiche, cit., vol. secondo, pg. 473 sg. e spec. 482.
bitrarietà”33 delle leggi fiscali può essere solo compensata dal confronto e dal dibattito tra coloro che, nelle assemblee elettive, rappresentano i contribuenti, tutti i
contribuenti.
Di qui nasce l’importanza del necessario, rigoroso rispetto delle regole disciplinanti le diverse forme legislative con cui si realizza formalmente il disposto dell’art. 23
Cost., per cui nessuna prestazione personale e patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
Esse, infatti, sono tra loro diverse quanto all’esistenza
di un verificato consenso.
Da questo punto di vista v’è una radicale differenza
tra le procedure normali di approvazione delle leggi – il
passaggio e il confronto nelle Commissioni parlamentari, la predisposizione delle relazioni della maggioranza e
della minoranza (o delle minoranze), l’esistenza di lavori
preparatori (oggi del tutto inesistenti) e il finale confronto in aula con i tempi ragionevoli per l’illustrazione
delle diverse opzioni – e le fonti riconducibili agli atti
aventi forza di legge.
E invero, se i principi e i criteri direttivi di una legge
delega non sono nulla di più di un velo, di un papier de
chiffon, la scrittura della disciplina dei tributi viene rimessa al Governo e alla sua burocrazia.34
Identicamente, se si mortifica il preciso disposto dell’art. 77 Cost., l’abuso del decreto legge, accompagnato
dal voto di fiducia, elide il dibattito e il confronto parlamentare, comprime non solo la minoranza ma mortifica
anche la stessa maggioranza, insomma comprime il consenso e rinvia ancora una volta al Governo35.
33 La verità è questa: che una parte quanto si voglia piccola, della
base su cui si posa l’edificio della imposizione, è necessariamente arbitraria. Questa verità deve essere un monito costante ai costruttori di sistemi
tributari, affinchè evitino il pericolo di aggiungere, alle presunzioni ricordate, che sono il minimo necessario, altre presunzioni non necessarie,
la cui somma sempre più li allontana dalla realtà (sono parole tratte dal
corso di scienza delle finanze di Antonio De Viti de Marco).
34 Se la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sancisce
che “la società ha diritto di chiedere conto della sua attività amministrativa a ogni funzionario pubblico”, oggi le critiche al funzionamento della burocrazia vanno ben oltre e denunciano l’esercizio di un
potere di interdizione arbitrario che spesso non risponde a oggettive
esigenze di funzionalità dello Stato (si veda E. GIARDINO, La plurilateralità della funzione amministrativa, Torino, Giappichelli, 2015).
35 “Dal punto di vista della produzione normativa, nell’ultimo
quindicennio si è avuto un netto spostamento dell’equilibrio. Prima
era il Parlamento ad abusare della propria potestà legislativa: in assenza di una riserva di regolamento e di garanzia delle attribuzioni del
Governo esso amministrava attraverso le leggi. Oggi è il Governo
che, in assenza di un controllo efficace sull’uso dei provvedimenti
d’urgenza, abusa della possibilità di sostituirsi al Parlamento nell’esercizio di quella potestà” (così G.B. MATTARELLA, La trappola delle
leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, Il Mulino, 2011, pg. 31-32).
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 15
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Significativamente Ezio Vanoni, nel farsi della Costituzione, prese posizione chiara e netta su questo punto e
cioè che, per il futuro (e cioè per evitare la tragica esperienza del fascismo) il potere esecutivo non avrebbe dovuto svolgere il ruolo del legislatore tributario e i decreti
legge fiscali avrebbero dovuto essere limitati ai “casi straordinari di necessità e d’urgenza” (come statuisce l’art.
77 Costituzione)36.
Oggi, invece, la legislazione fiscale è di fatto affidata
al decreto legge convertito con la “fiducia” come ho ricordato in altra sede37.
Né si dica che il suo abuso è conseguente allo stato di
emergenza economica. Se così fosse dovremmo dire che
viviamo in una stagione difficile da anni e non è così
perché abusarono massicciamente del decreto-legge
quegli stessi governi che, pochi anni fa, assicuravano che
i conti dell’Italia erano in ordine. Ma non è così perché
la politica dell’emergenza la si fa manovrando le aliquote
dei tributi, potenziando le basi imponibili, ma non istituendo tributi ordinari: se sopravvengono casi straordinari vi si provvede con tributi straordinari e non con
contributi ordinari destinati a durare anni perché ciò è
palesemente e intrinsecamente contraddittorio (e questo
è avvenuto con la c.d. Robin Tax).
E tanto meno con provvedimenti straordinari e urgenti si modificano, di continuo, gli strumenti giuridicoformali con i quali i tributi si accertano e si prelevano. Essi devono rimanere tendenzialmente fermi nel tempo
perché i contribuenti si impadroniscano dei relativi meccanismi e, invece, con decreto legge, è stata modificata la
disciplina delle sanzioni amministrative e dell’accertamento sintetico, si sono unificati l’accertamento e la riscossione dei tributi e si è introdotta la c.d. mediazione.
Ed è questo che la dottrina, interprete dell’opinione
pubblica, lamenta e cioè che viviamo una stagione nella
quale la burocrazia non solo applica le norme ma se le
scrive, tutte.
E non si tratta di fumoserie dottrinali o astratte.
È sufficiente riandare al monito, severo, rivolto dal
Supremo Collegio al legislatore.
Si legge, infatti, nella relativa sentenza: “Osserva il
Collegio che l’intervento interpretativo, da parte del legislatore, piuttosto che dare forza alla soluzione adottata,
che sarebbe stata recepita anche in mancanza della imposizione ex auctoritate, l’ha indebolita, in quanto può ap-
Si veda il Rapporto della Commissione economica presentato
dall’Assemblea costituente, cit., ora in E. VANONI, Diritto all’imposta e
formazione delle leggi finanziarie, cit., loc. cit., pg. 492-493.
37 Si veda G. MARONGIU, Il Parlamento convertito alle “conversioni”:
l’abuso del decreto legge fiscale, in Riv. trim. di diritto tributario, 2012.
36
parire inutilmente e dichiaratamente di parte. Infatti, il
legislatore è intervenuto quando già le Sezioni Unite erano state investite del contrasto e, quindi, era imminente
la rimozione del contrasto stesso da parte di un giudice
terzo, nell’esercizio della specifica funzione istituzionale
di garante dell’uniforme interpretazione della legge (artt.
65, 1° comma, r.d. 30 gennaio 1941, n 12, e 374, 2°
comma, c.p.c.). “Si aggiunge, poi, che, come è accaduto
nel caso di specie, in materia fiscale gli interventi interpretativi sono sempre pro Fisco, in quanto dettati da ragioni di cassa (nell’intento di realizzare maggiori entrate).
Non sono ispirati, quindi, alla esigenza di realizzare la
certezza del diritto, ma soltanto a garantire gli interessi di
una delle parti in causa. Ciò non facilita l’instaurarsi di
un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente, basato sul principio della collaborazione e della buona
fede, come vorrebbe lo Statuto del contribuente (art. 10,
1° comma, della legge n. 212 del 2000).
“Nel caso di specie, poi, non è facile distinguere l’Amministrazione finanziaria, parte in causa, dal legislatore, posto
che la norma interpretativa è stata approvata con decretolegge del Governo, convertito in una legge, la cui approvazione è stata condizionata dal voto di fiducia al Governo.
“Tanto che se fosse stato diverso l’orientamento del
Collegio (rispetto alla scelta legislativa), non ci si sarebbe
potuto esimere dal valutare la compatibilità della procedura di approvazione dell’art. 36, 2° comma, del d.l. n.
23 del 2006, con il parametro costituzionale di cui all’art. 111 Cost., che presuppone una posizione di parità
delle parti nel processo, posto che, nella specie, l’Amministrazione finanziaria ha avuto il privilegio di rivestire il
doppio ruolo di parte in causa e di legislatore e che, in
questa seconda veste, nel corso del giudizio ha dettato al
giudice quale dovesse essere, pro domo sua, la corretta interpretazione della norma sub iudice.
“L’intervento è apparso inopportuno anche perché la
Pubblica Amministrazione, anche quando è parte in
causa, ha sempre l’obbligo di essere e di apparire imparziale, in forza dell’art. 97 Costituzione”38.
***
10. Il riferimento all’art. 97 della Costituzione introduce un altro ordine di considerazioni che attengono non
allo Stato legislatore ma allo Stato amministrativo.
Al riguardo è estremamente significativo che il c.d.
Statuto dei diritti del contribuente (approvato con legge ordinaria nel 2000) statuisca che i principi generali
da esso dettati sono attuazione non solo degli artt. 3, 23
38 Così Cass., sez. un., 30 novembre 2006, n. 25506.
15
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 16
16
DOTTRINA
e 53 Cost. ma anche dell’art. 97 della Costituzione
(questo riferimento è una novità assoluta).
In questa sede non mi soffermo a ricordare le centinaia e centinaia di sentenze delle Commissioni tributarie e della Corte di Cassazione che, quotidianamente,
danno applicazione allo Statuto39.
Un precetto, uno solo, va ricordato ed è il primo
comma dell’art. 10 secondo il quale “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati
al principio della collaborazione e della buona fede”.
Lo può apprezzare chi ricorda che il principio di buona fede costituisce un pilastro della tradizione giuridica
occidentale.
E non a caso lo ha apprezzato il Supremo Collegio in
una sentenza nella quale si legge: “L’immanenza nell’ordinamento tributario dei principi di collaborazione e di
buona fede trovano il loro radicamento, specie per quel
che riguarda l’amministrazione tributaria, nella forma
dello Stato italiano e nei due principi fondamentali nei
quali essa si manifesta, che sono costituiti dal principio
dello Stato di diritto e dello Stato sociale.
“Per il primo, oltre alle argomentazioni utilizzate dalla sentenza di questa Corte poc’anzi richiamata e alla
quale per questo si rinvia, può valere anche la considerazione che la regola tendenziale della separatezza della sfera del singolo (governato) da quella dell’autorità (governante) e della fissazione della linea del loro contatto
(confine privato/pubblico) attraverso la garanzia della
legge trova un limite nei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost., secondo
proposizione), tra i quali rientrano anche i vincoli – obblighi e obbligazioni – di natura tributaria del cittadino.
Ma, proprio perché le intromissioni nella sfera del governato sono delle eccezioni rispetto alla regola della sua
intangibilità, derivante dall’assunzione, da parte dello
Stato italiano, della forma dello Stato di diritto (art. 2
Cost., prima proposizione), esse devono essere, non solo
ridotte al minimo indispensabile, secondo un altro principio – quello di proporzionalità – immanente anch’esso
nell’ordinamento ed esplicitato dalla L. 7 agosto 1990,
n. 241, art. 1, comma 2 (“La pubblica amministrazione
non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”) ma, devono essere ispirate al principio di
collaborazione e di lealtà e devono essere tali da non indurre in errore il governato”.
39 A commento della copiosa giurisprudenza si veda AA.VV.,
Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del contribuente, Studi in
onore del prof. Gianni Marongiu, a cura di A. Bodrito, A. Contrino,
A. Marcheselli, Torino, Giappichelli, 2012, pg. 1-690.
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
“Contribuisce a rafforzare questa soluzione – ha soggiunto il Supremo Collegio – anche il necessario richiamo al principio dello Stato sociale, che l’art. 2 Cost. annoda a quello dello Stato di diritto. In estrema sintesi,
poiché, in quanto Stato sociale, lo Stato italiano è vincolato
dal legislatore costituente a premurarsi di fornire, non solo
le garanzie formali dei diritti del cittadino, ma a provvedere ai suoi bisogni sostanziali (art. 3 Cost., comma 2), i governanti sono tenuti ad operare, come s’è detto con espressione efficace per altri ordinamenti simili al nostro, come
“Helfer des Buerges”, come assistenti del cittadino, come
suoi aiutanti, se non addirittura come servitori”40.
***
11. La terza riflessione attiene all’adempimento del dovere di solidarietà e alla possibilità che il tributo possa e
debba essere utilizzato a fini solidaristici.41
Che si tratti di un potere-dovere non c’è dubbio considerato che, secondo il 2° comma dell’art. 53 Cost., “il
sistema tributario42 è informato a criteri di progressività” e il tributo progressivo ha anche una funzione redistributiva della ricchezza.
Ora che il tributo possa essere progressivo e che in genere il fisco possa avere anche una finalità redistributiva
deriva non solo dall’inequivocabile disposto del secondo
comma dell’art. 53 della Costituzione ma dalla stessa
norma fondativa della nostra Repubblica.
E invero, la Carta costituzionale (a differenza delle
Costituzioni ottocentesche) non si è limitata a statuire
che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinione politica e di
40 Così Cass., sez. trib., 13 febbraio 2009, n. 3559.
Per evitare equivoci preciso che non è vero che solo i poveri
costano. Non è vero, in altre parole, che soltanto i diritti sociali – i
diritti al benessere volti innanzi tutto a promuovere la condizione
umana delle fasce più deboli – richiedono sforzi finanziari ingenti
alla comunità mentre i cosiddetti “diritti negativi” sarebbero una
sorta di dono di natura, di cui l’individuo si limita a godere senza
onere alcuno per la società. Diritti quali il diritto di proprietà, la libertà contrattuale, la libertà di parola, di religione, la libertà personale non si realizzano esclusivamente ad opera del loro titolare: richiedono l’esistenza dei magistrati, dei poliziotti, dei pompieri ecc.
ccc.. Insomma, senza la protezione fornita dalla comunità, con il denaro pubblico frutto dei tributi di tutti, quei diritti resterebbero di
carta (al riguardo si veda S. Holmes-C.R. Sunstein, Il costo dei diritti.
Perché la libertà dipende dalle tasse, Bologna, Il Mulino, 2000).
42 Con questa locuzione la Costituzione non lascia solo intendere che la disciplina dei diversi tributi deve essere ordinata a “sistema”,
obiettivo di per sé, oggi, di grandissimo rilievo; ricorda anche al futuro legislatore che l’obiettivo può essere raggiunto non solo con la
tradizionale imposta personale progressiva sul reddito: si veda infra,
alla nota 56.
41
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 17
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
condizioni personali e sociali” (come dispone l’art. 3, 1°
comma della Costituzione).
La Repubblica non solo deve assicurare un programma di tutele negative ma deve perseguire un programma
positivo perché “è suo compito rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che, limitando di fatto le libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana” (così statuisce il secondo
comma dell’art. 3 della Costituzione).
È significativo che i limiti possono essere anche di
fatto come pure il riferimento all’uguaglianza e non alle
sole libertà.
La nostra Costituzione non è, incoscientemente,
egualizzatrice della vita, delle iniziative dei successi di
ciascuno di noi, ma indica un’azione positiva volta ad
agevolare “il pieno sviluppo della persona umana” ove è
oltremodo significativo il riferimento non al solo cittadino (che esiste in quanto esiste uno Stato) ma all’uomo,
che esiste anche a prescindere dallo Stato.
Orbene, è di tutta evidenza che questi obiettivi possono essere raggiunti anche con lo strumento fiscale dando
così significato all’art. 2 ove, a fronte dei diritti inalienabili
dell’uomo, si sancisce l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
ne pericoloso attribuire una larga funzione redistributiva
alla imposizione diretta “e chi dichiarò “di credere poco
alla redistribuzione dei redditi attraverso l’imposta”.43
E, infatti, a ben guardare la progressività è, di per sé,
inidonea a realizzare autonomamente l’obiettivo di spostare ricchezza dai più ai meno abbienti. Essa direttamente può ridurre le disuguaglianze tra ricchi e poveri
mediante l’impoverimento dei primi. E solo indirettamente può avere una funzione solidaristica ma a condizione che il maggior gettito fiscale sia destinato a finanziare spese a vantaggio dei meno abbienti.44
***
13. I dubbi sopra indicati e le incertezze applicative (la
scelta delle spese non spetta a chi contribuisce) spiegano
l’appropriata formulazione letterale del precetto e impediscono di ritenere che la progressività possa avere un andamento sostanzialmente espropriativo al punto da consentire la confisca dei diritti proprietari con le imposte.45
È questo un tema appassionante e all’ordine del giorno in relazione al quale qualche osservazione può farsi.
La locuzione del primo comma dell’art. 53 (“in ragione della propria capacità contributiva) indica che il
prelievo non può essere per l’intero, deve essere parziale
***
12. Coerentemente, la nostra Costituzione non solo statuisce, al primo comma dell’art. 53, che tutti devono
concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria
capacità contributiva, ma, al secondo comma, soggiunge che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Essendo evidente la funzione solidaristico-comunitaria dell’intero precetto, di esso generalmente si sottolinea la formulazione prudente quasi che esso sia stato il
risultato di una contrapposizione ideologica tra chi la
progressività la voleva (la sinistra) e chi vi si opponeva.
In realtà non di contrapposizione si tratta perché la
riflessione sulla progressività e la istituzione di tributi
progressivi si collocano all’interno dello stesso pensiero
liberale e le conseguenti applicazioni si ebbero, tra la fine
dell’Ottocento e i primi del Novecento, in Stati liberali e
capitalistici, quali l’Italia, la Francia, la Gran Bretagna e
la Germania.
La formulazione letterale dell’art. 53 è piuttosto figlia della consapevolezza che non tutti i tributi possono
essere progressivi (ecco il riferimento al “sistema”) e del
dubbio, ideologicamente trasversale, che le imposte progressive possano essere di per sé redistributrici di ricchezza. Nel farsi della nostra Costituzione questo dubbio riapparve su sponde opposte perché vi fu chi “riten-
Sono queste rispettivamente le risposte dall’avv. Luigi Biamonti e del prof. Antonio Pesenti in Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea Costituente, vol. V, Finanze, (Interrogatori, questionari, monografie), Roma, 1946, p. 71 e p. 82.
44 Su questo delicato tema, a commento dell’analisi empirica
condotta in Gran Bretagna e negli Stati Uniti si veda F.A. Hayek,
The constitution of liberty, Chicago, 1978, pg. 311-315.
A commento della spesa sociale italiana dal 1974 al 2001 si veda
A. Martino, Semplicemente liberale, Macerata, 2004, pg. 73-76.
45 In anni difficili, connotati dall’esistenza di non pochi Stati autoritari, nei quali la sovranità fiscale non incontrava limiti, né nei
principi né nei fatti, Benvenuto Griziotti scriveva che “vi è un limite
all’esercizio della sovranità fiscale dello Stato” (così in Principi di politica, diritto e scienza delle finanze, Padova, 1929, p. 50).
A commento dell’art. 53 Cost. Benvenuto Griziotti scrive che “non è
necessario che siano soddisfatti fini economici o demografici e sociali
distributivi, bensì che i tributi siano applicati su buoni accertamenti” e
soggiunge: “L’esperienza moderna di tributi con fini redistributivi riconferma l’insegnamento antico dei dazi protettivi. Le alte aliquote
dei tributi redistributivi non consentono buoni accertamenti e gettiti
proficui. In Italia l’imposta complementare sul reddito è progressiva
fino al 75% (la pressione tributaria arriva oltre il 100% tenendo conto
degli altri tributi sullo stesso contribuente). Ma l’evasione è così elevata, che i più ricchi in proporzione al loro reddito sopportano aliquote
effettive, misurabili a decimali (0,50 o 0,20%), anziché a unità intere;
cioè sopportano una pressione inferiore a quella dei minori contribuenti. Lo stesso dicasi per l’imposta di successione anch’essa regolata
da una progressione molto elevata di aliquote” (così B. Griziotti, L’imposta come istituto della finanza fiscale e della finanza extrafiscale, in
AA.VV., Finanza pubblica contemporanea. Studi in onore di J. Tivaroni,
Bari, Laterza, 1950, pg. 251 sg. e spec. P. 254-255-256).
43
17
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 18
18
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
e la parzialità deve essere intesa anche come possibilità di
permanenza del prelievo (e dunque della relativa forza
economica che ne costituisce la fonte) nel tempo46: questo, si noti, è il fondamento della solidarietà che non
può esaurirsi in una unica dazione proprio perché deve
contribuire allo “sviluppo” della persona umana.47
La locuzione “criteri”, di cui al secondo comma, non
significa solo regola, principio, ma, secondo l’etimo greco e i dizionari della lingua italiana, anche “senso, avvedutezza”, onde si dice agire come criterio e chi non lo
pratica viene considerato “scriteriato”: di qui il rilievo
della ragionevolezza.
Soggiungo che proprio l’incertezza sulla destinazione
del gettito dei tributi progressivi e quindi sulla scelta delle
spese finanziate, esclude la progressività confiscatoria perché una progressività totalizzante presuppone l’equivalenza tra l’importo del sacrificio e quanto ricevono i beneficati: oggi, nei fatti, la destinazione della spesa assistenziale in
Italia conferma che l’utilizzatore della progressività deve
agire con criterio, con ragionevolezza48, con proporzionalità (che non a caso è l’indicazione che promana dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale tedesca).49
***
14. Proprio quest’ultimo riferimento deve indurre ad allargare lo spettro delle riflessioni perché dall’Europa
(tanto bistrattata) emergono indicazioni favorevoli alle
conclusioni sopra enunciate.
Certo viene da una lontana e gloriosa esperienza, la rivoluzione francese del 1789, l’indicazione che, pur essendo il tributo l’onorevole obbligo di ogni cittadino, “tuttavia la porzione del prodotto dell’attività e del lavoro che sarà riconosciuta necessaria ad ogni cittadino per la sua sussistenza, non può essere sottoposta a nessun contributo”.50
46 Si veda F. MOSCHETTI, Interesse fiscale e ragioni del fisco nel
prisma della capacità contributiva, in Studi in onore di G. Falsitta,
cit., p. 205.
47 Nel farsi della Costituzione “l’esigenza di una limitazione
quantitativa dell’esercizio della potestà impositiva” fu sottolineata
dalla Corte di Cassazione che la individuò nella capacità contributiva “soddisfacendo così alla fondamentale esigenza che il contribuente non sia gravato oltre il limite necessario alle possibilità di vita della
sua economia individuale”: si noti non al solo minimo vitale ma alla
possibilità di vita della sua economia individuale (si veda il cap. primo del Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea costituente, cit.).
48 Si veda la tabella allegata.
49 Si veda G. Moschetti, Il principio di proporzionalità come “giusta misura” del potere nell’evoluzione del diritto tributario, Padova, Cedam, 2015, spec. 67 sg.
50 Così l’art. 5 della Costituzione francese del 24 gennaio 1793,
tanto più significativo ove si colleghi l’anno (il 1793) con i concreti
avvenimenti politici.
E della vincolatezza del precetto volto a garantire a
tutti il “minimo vitale” non più certo dubitarsi nella vigenza dell’art. 53 Cost..
Ma, oggi, la sola ipotesi di una progressività espropriatrice sembra confliggere con la Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e, per quanto riguarda l’Unione Europea, non solo con i principi codificati dalla Corte di Giustizia ma anche da alcuni importanti documenti. E così l’art. 17 della
Carta di Nizza statuisce che “ogni individuo ha il diritto
di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità”.51
Questa ultima asserzione impedisce di concludere
che il prelievo può essere tale da rendere tutti uguali e
cioè di garantire a tutti solo il c.d. minimo vitale.
Ne costituisce conferma la constatazione che la più
volte citata Costituzione francese del 1793, dopo avere
garantito all’art. 5 il “minimo vitale”, soggiungeva che,
in ogni caso, “non potrà essere stabilito alcun contributo
che, per la sua natura o il suo modo, minaccia alla libera
disposizione della proprietà, ai progressi dei capitali o
violi diritti riconosciuti e dichiarati dalla Costituzione”52: a meno di essere più “sanculotti” dei “sanculotti”.
Né si dica che detto limite potrebbe non valere per
un tributo, ad esempio sul reddito da lavoro, in quanto
il contribuente potrebbe avere un cospicuo patrimonio e
quindi un ulteriore reddito. Non è tesi convincente perché il principio di capacità contributiva, la ragionevolezza e la proporzionalità devono essere rispettati con riguardo a ciascun tributo e quindi ogni imposta sul reddito deve garantire di goderlo, di usarlo, di disporne anche risparmiando (valore tutelato dalla Costituzione).53
E non a caso la Corte costituzionale tedesca ha individuato il limite costituzionale alla pressione tributaria
nel diritto di proprietà privata e nel principio di proporzionalità, che impone di garantire comunque al contribuente, una volta soddisfatti gli obblighi tributari, “la
garanzia di un reddito liberamente disponibile” 54.
51 Si veda anche l’art. II-77 del trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, in AA.VV., La Costituzione europea, Bologna, Il
Mulino, 2004, pg. 332.
52 Così l’art. 6 in A. SAITTA, Costituzioni, cit. pg. 141-142.
53 In altre parole non occorre individuare un limite, all’imposizione, complessivo e soggettivo riferito all’intera capacità contributiva di un soggetto perché la Corte costituzionale è giudice della legittimità delle diverse e di ciascuna legge tributaria onde il limite va rispettato all’interno della disciplina di ciascuna imposta.
54 Così nella sentenza del 18 gennaio 2006: si veda al riguardo
N. BOZZA-BODDEN, L’imposta confiscatoria nella giurisprudenza e
nella dottrina tedesca dopo la sentenza del 18 gennaio 2006 della Corte
costituzionale germanica, in AA.VV., Atti della giornata di studi in
onore di Gaspare Falsitta, Padova, Cedam. 2012, pp. 99 sg..
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 19
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Significativamente l’art. 36 della nostra Costituzione
statuisce che “il lavoratore ha diritto a una retribuzione
proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e
in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia
un’esistenza libera e dignitosa”.55
Un’esistenza “libera e dignitosa” va ben al di là del
minimo vitale e sta a significare che, per il Costituente,
l’obiettivo assegnato al legislatore non è l’uguaglianza
ma l’autosufficienza.
E l’obiettivo è l’autosufficienza proprio perché l’art. 3,
2° comma, vuole assicurare quel dinamismo sociale che,
del capitalismo, è un apprezzato sottoprodotto ma che
può essere ostacolato (e l’esperienza che stiamo vivendo
ne è testimonianza) da una eccessiva pressione fiscale.
Così come qualsiasi tributo sul patrimonio56 deve garantire il diritto a goderlo, a usarlo, ma anche ad amministrarlo e a non dissiparlo per lasciarlo in tutto o in parte in eredità.
In altre parole, il diritto di godere della proprietà dei
beni si proietta anche al di là della vita del possessore e
nessun prelievo può ostacolare l’intento di provvedere ai
figli, ai nipoti del possessore stesso.
Se così non fosse non solo sarebbero mortificate le
aspettative (legittime) dei buoni figli dei buoni genitori,
ma vanificato anche l’art. 42 della Costituzione per il
quale “la legge stabilisce le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”.
Se, con lo strumento fiscale, al netto del minimo vitale, tutti fossimo resi uguali, non si tratterebbe di limiti
alle successioni, come la Costituzione prevede, ma non
vi sarebbero più eredità, con la vanificazione anche dei
diritti dello Stato.
In sintesi, la nostra Costituzione non è, selvaggiamente e incoscientemente, egualizzatrice e mortificatrice della vita, delle iniziative, dei successi di ciascuno di
noi. Essa pone solo dei limiti, dei limiti alla proprietà
(art. 42, 2° comma), dei limiti alle successioni (art, 42,
4° comma), dei limiti ragionevoli al prelievo. Non a caso, ripeto, l’art. 53 usa la locuzione “in ragione” e non a
caso il 2° comma dello stesso art. 53 sancisce che il sistema tributario è informato a “criteri” di progressività.
55 Altrettanto significativamente la Repubblica “agevola la formazione della famiglia” (art. 31) e “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (art. 32).
56 Ci si riferisce anche a questo tributo perché, a fronte della crisi
della tradizionale imposta personale e progressiva che non riesce più
a riportare a tassazione tutti i redditi, si può realizzare l’intento della
nostra Costituzione attraverso una più razionale mediazione di prelievi sul reddito e sui consumi, ma anche attraverso la valorizzazione
dell’imposta di successione, che è una imposta sul patrimonio.
DOTTRINA
Il nostro costituente vuole che il legislatore fiscale,
quanto alla progressività, la usi con criterio proprio perché nell’art. 53 e nel complesso delle sue norme non esiste contrasto tra la funzione garantista e quella solidaristica in quanto la seconda esige, richiede il mantenimento e la tutela dell’economia privata.
Lo scriveva Luigi Einaudi, in una tra le più belle Prediche inutili, che “occorre andare incontro alle esigenze
di sicurezza della maggior parte degli uomini ma a condizione che sia serbata in vita la minoranza di uomini disposti a vivere incertamente, a correre rischi, a ricevere
onorari invece di salari, profitti invece di interessi”.57
E Carlo Arturo Jemolo commentò che “l’anima cristiana di Einaudi sentiva profondamente le esigenze del
povero ma “considerava negativamente chi seppelliva i
talenti”.58
57 Così L. Einaudi, In lode del profitto (1956), in Prediche inutili,
Torino, Einaudi, 1959, p. 153.
58 La citazione di Jemolo è tratta dalla relazione svolta, in occasione del centenario della nascita, da Sergio Steve all’Accademia dei
Lincei ora pubblicata in S. Steve, Scritti vari, Milano, F. Angeli, Cisiec, 1997, p. 747.
19
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 20
20
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Etica del tributo ed etica del Potere fiscale nell’art. 53 Cost.
di Francesco Moschetti
Sommario
1. Diffusa evasione fiscale ed etica del tributo. Insegnamento di Vanoni sulla causa impositionis. Il dovere etico del
contribuente è correlato al dovere etico dello Stato quanto
all’uso del tributo. Approccio culturalmente limitato e politicamente perdente di una lotta all’evasione tributaria disancorata da lotta alla dissipazione del pubblico denaro. 2.
L’art. 53 Cost. collega dovere tributario e carattere “pubblico” delle spese, elevando a rango costituzionale la vanoniana causa impositionis. È su entrambi i versanti (del contribuente e del Potere) la costituzionalizzazione del dovere
etico. 3. Quanto al dovere fiscale costituzionalmente inteso,
l’art. 53 lo descrive nel suo aspetto sostanziale e lo collega alla capacità della persona. La concezione costituzionale delle
capacità personali, per sé e per gli altri, fonti di diritti e di
doveri. 4. La nuova concezione (nella Costituzione repubblicana) del rapporto fra singolo e Stato, incentrata sulla
persona, non confondibile con l’individuo. Rapporto biunivoco tra capacità delle persone e bene comune: le prime
sono anche risorse per il bene comune, ma questo non può
prescindere dalle capacità della persona. 4.1. Il “concorso”
al fine comune come “dovere di riparto”. L’evasore come
soggetto che si fa mantenere da altri (magari più poveri) nel
riparto della spesa comune. 5. L’art. 53 non solo disciplina
il dovere (del contribuente) ma anche il Potere (del legislatore fiscale). La capacità comporta il “dovere”, ma l’imposizione del dovere presuppone la “capacità” della persona.
La banalizzazione del concetto di capacità, non considera
la radice personalistica dell’art. 53 e dell’intero sistema costituzionale e si presta a nuove forme di autoritarismo, in
antitesi alle finalità costituenti. 5.1. I plurimi vizi di un
orientamento che vanifica l’art. 53 Cost. nel principio di
eguaglianza tributaria e che assume a regola suprema l’”interesse fiscale”. 6. La base personalistica anche nella politica
delle “spese pubbliche”, che, nell’art. 53, devono essere fondate sulle capacità delle persone concorrenti a tal fine. La
costituzione come sistema di valori non può legittimare una
politica redistributiva di spesa che prescinda dal presupposto personalistico. 7. Ripensare il “sistema” tributario e delle
spese pubbliche. 8. Conclusione: vinciamo la nuova sfida
ripristinando le basi etiche del nostro essere “comunità”.
1. Dagli interventi precedenti mi pare emerga con chiarezza quale sia il significato di questo incontro che è un voler
“ripartire”, un ritornare al fondamento del tributo come
elemento imprescindibile di una “convivenza sociale”1.
Siamo in una situazione di crisi economica, in cui
esiste una diffusa e pesante evasione tributaria2 che ha
gravi conseguenze, e ci chiediamo quali siano le ragioni
di base, certamente non le giustificazioni, di un comportamento, che ha così devastanti conseguenze.
Crediamo che l’etica sia una risorsa, perché l’etica crea
consenso, fiducia e disponibilità a realizzare fini comuni3.
Oggi non stiamo qui parlando solo di problemi di filosofia politica o di filosofia morale (certo anche di questo); stiamo parlando di una nostra preoccupazione civile ed economica e di una situazione che non può essere
risolta se non si torna ad una condivisione etica, una condivisione morale di tutte le parti in gioco, come è stato
detto nel precedente intervento4.
1 Ricorda E. DE MITA (La funzione del tributo nel pensiero di Ezio
Vanoni, ora in Interesse fiscale e tutela del contribuente. Le Garanzie costituzionali, IV, ed. Giuffrè, Milano, 2000, p. 13) che Ezio Vanoni,
nel presentare in Parlamento il disegno di legge sulla perequazione
tributaria, ebbe ad affermare che “ ‘nello Stato moderno, di fronte alla concezione che tutti abbiamo della società e del dovere primo del
cittadino di dare la sua solidarietà all’ordinato svolgersi della vita civile, l’imposta non può essere intesa che come l’espressione del dovere
morale e civico che grava su ognuno di noi, di concorrere al bene della società’. Sottrarsi a questo dovere ‘assume le caratteristiche di una
vera e propria anarchia, di una negazione delle esigenze prime della
convivenza sociale; è come disertare, sicché allo stesso modo con cui
circondiamo di disprezzo il disertore, così dovremmo circondare di
disprezzo l’evasore tributario, quando il tributo fosse equo’ ”.
2 “Unanimemente valutata dalle varie istituzioni (ISTAT, Banca
d’Italia, Agenzia delle Entrate, ecc. …), intorno ai 120 miliardi di
Euro” (così G. NANULA, Valore Italia. Ridare slancio e fiducia al nostro Paese, Giunti editore, Firenze-Milano, 2014, p. 15).
Sul tema, cfr. GI. BERGONZINI, Evasione fiscale: un problema di diritto costituzionale, in Federalismo fiscale, 2/2011, p. 153 e ss.; M. BERTOLISSI, Contribuenti e parassiti in una società civile, Napoli, 2012, p.
29 e ss.; idem, Stato sociale e federalismo fiscale, in Autonomia e responsabilità sono punti di vista, ed. Jovene, Napoli, 2015, p. 388 e ss.
3 Come ricorda U. VINCENTI, Etica per una Repubblica, ed. Mimesis, Milano-Udine, 2015, pp. 10-11, “già Aristotele, quando
prende in considerazione la forma repubblicana di governo, afferma
recisamente che, se in una qualunque repubblica le leggi sono assolutamente necessarie, è però pregiudiziale una disposizione etica diffusa verso le virtù civili”.
4 Sulla necessità per la Repubblica “che i suoi cittadini siano portatori di ethos diffuso che li renda avvertiti il più possibile, nelle varie
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 21
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Poco fa il prof. Marongiu citava la Costituzione giapponese, la quale in materia di dovere tributario è molto
essenziale, limitandosi a statuire che tutti sono tenuti a
pagare le imposte in base alla legge. E null’altro.
La nostra cultura è più critica; è difficile coinvolgere
il nostro popolo sulla base di un semplice imperativo categorico5.
Il nostro approccio naturale pretende ragione e richiede una giustificazione della “prestazione imposta”.
Tanto più quando, per concorrere al bene comune, si
deve rinunciare in parte al proprio.
Quindi non basta l’imperativo kantiano, il dover essere, il dovere per il dovere.
È richiesta la giustificazione sostanziale del tributo.
E non a caso la ricerca sulla causa impositionis è stata
al centro di un’ importante scuola di diritto tributario
italiana, la scuola di Pavia, che ha visto in Benvenuto
Griziotti il principale maestro e poi in Ezio Vanoni il più
equilibrato e completo sistematore, in una globale visione (etica, politica, giuridica) del tributo.
Il punto di partenza in Vanoni ci sembra essere la visione dello Stato.
A fronte di una concezione minimalista, in cui lo Stato avrebbe come scopo principale, se non addirittura
unico, “quello della protezione delle persone e delle fortune dei cittadini”, e a fronte della – peraltro magistrale
– concezione dello Stato “cooperatore della produzione”
di De Viti De Marco, già nel 1932 Vanoni6, rivendicava
la funzione redistributiva dello Stato, “ispirato piuttosto
da concetti politici, etici, sociali, che prescindono dal
fattore della produzione individuale”7.
circostanze, che nello spazio pubblico, fisico come istituzionale, è
preminente l’interesse generale che esige di essere rispettato”, cfr. U.
VINCENTI, op. cit., p.19.
5 Già nel 1956, Luigi Einaudi scriveva: “riesce difficile persuadersi che in fondo all’imposta si debba cercare solo l’incanto delle
cose che esistono. Gli uomini vogliono istintivamente rendersi ragione del perché pagano; e se quella ragione non è spiegata chiaramente, gridano all’ingiustizia. La credenza nella monarchia o nella
repubblica, in una o due camere, in un presidente eletto dal popolo
o da un’assemblea o, come in qualche tempo e Paese accadde, estratto a sorte, è un atto di fede. Ma la credenza dell’imposta sul reddito,
sul patrimonio o sulle eredità o sui consumi non è un atto di fede”.
Adesivamente, cfr. G. FALSITTA, Per un fisco civile, ed. Giuffrè, Milano, 1996, Prefazione, p. IX; M. BERTOLISSi, “Rivolta fiscale”. Federalismo. Riforme istituzionali, ed. Cedam, Padova, 1997, p. 185.
6 In Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, ora ripubblicato in Opere giuridiche, vol. I, a cura di F. FORTE e C. LONGOBARDI,
Milano, 1961, p. 59.
7 Ivi, p. 59. “L’attività dello Stato, osservata nei momenti in cui
si determina, nei fini concreti che si propone, nei mezzi di cui si vale,
mostra di essere retta, nel suo calcolo, non dall’intento di procurare
il massimo di soddisfazioni agli individui considerati, come in economia politica, quali economie separate e contrapposte, ma bensì
DOTTRINA
L’attività finanziaria è parte costitutiva di questo operare dello Stato volto “a procurare il massimo di soddisfazioni alla società nazionale”8.
Ciò comporta, per “tutti coloro che, appartenendo
personalmente od economicamente alla sfera d’azione
dello Stato, si trovano nella possibilità di trarre giovamento dall’attività di quello”9, “un dovere morale, prima
ancora che giuridico, di concorrere a far fronte ai carichi
pubblici”10; ma comporta altresì che il tributo sia “giustificato dal fine essenziale di mettere lo Stato in condizione di soddisfare i pubblici bisogni”11.
L’aspetto etico del tributo, anche sul piano dell’impiego del tributo, è molto sottolineato da Vanoni12.
E così leggiamo che “il dovere dello Stato di impiegare il ricavato del tributo in pubblici servizi è un dovere
dello Stato verso se stesso: mentre d’altro lato un tributo,
che non serva a scopi pubblici, è impensabile. Invero la
identità tra interesse dello Stato e interesse generale pone
anche il limite dell’attività finanziaria dello Stato. I sacrifici che lo Stato chiede al singolo devono essere chiesti
nell’interesse generale: un tributo, il cui provento non
sia usato per scopi pubblici, è inconcepibile, costituendo
una contraddizione in termini”13.
Di più. Al limite dell’interesse generale, si aggiunge il
limite di non superare quanto necessario: “come già insegnava il Romagnosi, ripetendo un precetto sul quale
avevano insistito i Tomisti, il sacrificio domandato all’individuo deve fondarsi su una vera necessità dello Stato e deve essere contenuto nei limiti di tale necessità”14.
“Tra tributo ed attività dello Stato, diretta alla prestazione di pubblici servigi, vi è una relazione di mezzo e fine,
che non è indifferente di fronte al diritto, e di cui deve essere tenuto conto nella costruzione giuridica del tributo”15.
dall’intento di procurare il massimo di soddisfazioni alla società nazionale, considerata come l’insieme delle singole economie individuali collaboranti ad un fine comune” (ivi, p. 64).
8 Ivi, p. 64, cit. nota precedente.
9 Ivi, p. 107.
10 Ivi, p. 107. Si noti come “concorrere” anticipi l’art. 53 Cost.
11 Ivi, p. 107.
12 Sul fondamento etico-politico del tributo in Vanoni, cfr. E.
DE MITA, op. cit., loc. cit., pp. 1-15; idem, Maestri del diritto tributario, Milano, 2013, p. 1 e ss. Sulla stessa linea, cfr. M. BERTOLISSI,
Contribuenti e parassiti, cit., p. 24 e pp. 31-32.
13 E. Vanoni, Natura e interpretazione delle leggi tributarie, cit.,
loc. cit., p. 100.
14 Idem, ibidem. Continua il Vanoni affermando: “dal che discende che solo il fine comune e l’utilità generale può giustificare il
tributo, il quale deve essere organizzato in concreto in modo da raggiungere la massima utilità comune col minimo sacrificio dei singoli” (ivi, pp. 100-101).
15 Ivi, p. 109. Si noti come il collegamento con i “pubblici servigi” anticipi il collegamento con le “spese pubbliche” dell’art. 53 Cost.
21
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 22
22
DOTTRINA
Emerge così il concetto di causa impositionis, che è visto nel rapporto che deve correre tra tributo e fini pubblici
cui deve servire16, “nei vantaggi generali o particolari, che
l’attività dello Stato è idonea a procurare ai singoli”17.
Il Vanoni si spinge – conseguentemente – ad affermare che “un peso imposto ai cittadini per qualsiasi abuso della forza pubblica, e che non serva ai fini di utilità
collettiva, ma sia disperso in vantaggi di singoli, sarà taglia, livello, spoglio, ma mai tributo”18.
Qui il problema diventa delicato, poiché si tratta di
stabilire quando in concreto si possa considerare rotto il
rapporto causale tra tributo ed utilità pubblica e – ciò
stabilito – quali possano essere le conseguenze19.
“La causa del tributo manca – precisa Vanoni – non
quando l’attività, messa in essere dallo Stato coi mezzi da
quello procacciati, non raggiunge il fine di utilità pubblica propostosi, ma quando ogni attività manchi od i
proventi del tributo siano impiegati per il raggiungimento di scopi, cui la coscienza giuridica comune rifiuta
la qualifica di fini pubblici”20.
Non va oltre la riflessione di Vanoni. Non si dice se la
frattura del rapporto tra tributo e impiego per il “raggiungimento di scopi cui la coscienza giuridica comune
rifiuta la qualifica di fini pubblici” legittimi forme di resistenza attiva e/o passiva al tributo.
Implicitamente afferma che il problema deve essere
risolto a monte e non solo educando il cittadino al dovere etico del tributo, ma, ancor prima, educando il Potere
alla sacralità dell’uso del denaro altrui21.
Così espressamente, op. cit., p.108 nota 192. Vanoni ricorda che
molto si deve sul piano della causa impositionis al Griziotti (ivi, nota
193, p. 109), ma trattasi di dottrina che risale a San Tommaso (ivi,
n.193). Si veda sul tema anche A. AMATUCCI, Le fondamenta del vigente
principio di capacità contributiva nel pensiero di San Tommaso D’Aquino,
in L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, a
cura di L. SALVINI e G. MELIS, Padova, 2014, p. 97 e ss. Sulla quadruplice radice causale (causa efficiens, causa finalis, causa formalis, causa materialis) della “giusta” imposta in Alberto Magno e Tommaso D‘Aquino,
cfr. G. FALSITTA, Il principio di capacità contributiva, nel suo svolgimento
storico fino all’assemblea costituente, in Riv. dir. trib., 2013, I, p. 761 e ss.
ed ora in Il principio di capacità contributiva nel suo svolgimento storico
prima e dopo la costituzione repubblicana, Milano, 2014, p. 30 e ss.
17 Così, citando Griziotti, ancora Vanoni, op. cit., loc. cit., p.115.
18 Ivi, p.101.
19 Tra queste, quella dell’obiezione fiscale, su cui cfr. l’approfondita analisi di A. TURCHI, Coscienti evasori. Problemi e prospettive dell’obiezione fiscale, ed. F. Angeli, Milano, 2011. Precedentemente, cfr.
E. DE MITA, Libertà di pensiero e obiezione fiscale, in Boll. Trib, 1986,
p. 69 e ora in Interesse fiscale e tutela del contribuente, cit., p. 521 e ss.
20 Ivi, p. 117.
21 Già nel codice di Camaldoli del 1943 (cit. da E. DE MITA, La funzione del tributo, cit. , loc. cit., pp. 4-5), all’art. 92, si affermava “che il denaro pubblico è inviolabile”. E ancora che “chi disperde, male amministra o chi si appropria di denaro pubblico, pecca contro la giustizia”.
16
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Ancorché scrivesse in pieno “ventennio”, il Vanoni segnalava al potere politico il necessario rapporto tra tributo
e sfera di interesse comune, tra tributo e suoi limiti, il tutto
da valutare alla luce della “coscienza giuridica comune”.
Se la “coscienza giuridica comune” non ravvisa il nesso tra tributo ed utilità comune, può avere le più diverse
reazioni (attive o passive o elusive), ma comunque – salvo eroismi – resisterà al tributo22.
***
Ora, questo che diceva Vanoni sulla causa impositionis, sul nesso tra tributo ed utilità pubblica, sulla necessità di un comportamento etico anche da parte del Potere,
sul vaglio della “coscienza giuridica comune”, è esperienza quotidiana.
Tutto ciò si riscontra nelle risposte che dà la grande
maggioranza delle persone quando è invitata a riflettere
sul dovere etico che ha ogni cittadino al tributo.
Ho sintetizzato sei tipi di risposte, che espongo senza
giudizio di valore, a mero titolo di registrazione dello
“spirito del popolo” (o di un certo popolo, che esiste e si
comporta di conseguenza):
– “pagherei, ma non ho convenienza” (atteggiamento dell’
homo oeconomicus, che non vede al di là del suo ‘io’);
– “pagherei, ma cosa fanno del mio denaro?” (emerge la
causa impositionis, una denuncia di carenza di etica
pubblica);
– “pagherei, ma quanto ritorna al nostro territorio?” (approccio che parimenti collega tributo a sfera di interesse
pubblico, con in più un atteggiamento autonomistico,
che, a sua volta, meriterebbe di essere indagato)23;
– “pagherei, ma lo Stato è socio quando guadagno, non è
socio quando perdo” (il che fa pensare ad un’etica della
coerenza “nella buona e nella cattiva sorte” ed in ogni
caso indica una critica ad uno Stato visto solo come
“prelevatore” e non come “cooperatore”);
– “pagherei, ma chi mi pagherà la pensione” (autogiustificazione in termini di necessità previdenziale);
– “pagherei, ma cosa rimane per la mia impresa e per la
mia famiglia” (autogiustificazione in termini di responsabilità familiare e di critica all’eccesso di pressione tributaria)24.
22 Le possibili conseguenze di uno “scollamento” tra potere pubblico e cittadino, sono richiamate da M. BERTOLISSI, Rivolta fiscale,
cit., p. 53.
23 Su problematiche di equità interregionale, cfr. GI. BERGONZINI, op. cit., p. 163 e ss.
24 Già Vanoni (cit. in E. DE MITA, La funzione del tributo, cit.,
loc. cit., p. 3) affermava: “l’imposta deve essere sopportabile, non deve essere opprimente, non deve scoraggiare la produzione del reddito
e non deve diventare causa tecnica di evasione”. Il tema è ora ripreso
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 23
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Si noti che tutte queste risposte espongono (agli occhi di chi le ha formulate) una loro giustificazione morale, quasi a conferma che l’uomo non può fare a meno di
un proprio codice etico.
Giustificazioni, che, da un lato richiamano valori da
tutelare (la famiglia, il lavoro, la previdenza de futuro),
valori che, paradossalmente, sono anche riconosciuti
dalla Costituzione; dall’altro denotano sfiducia o addirittura aperta critica all’uso del tributo da parte del Potere, rottura – appunto – della causa impositionis25.
Però questo Popolo è in molti momenti anche capace
di generoso coinvolgimento per fini condivisi.
Non è insensibile al bene comune, come è anche dimostrato dalla capillare diffusione di tante straordinarie
(ancorché silenti) iniziative volontaristiche.
Deve piuttosto essere ricostituita fiducia in un comportamento virtuoso nell’esercizio del Potere26.
Il cattivo esercizio del Potere ha oggettivamente incentivato27 la diseducazione al dovere etico del tributo28,
la resistenza al tributo nelle sue diverse forme29.
È quindi un approccio inadeguato al problema, una
critica all’evasione tributaria (di per sé giusta, ma) che
non vada anche alle radici del tributo, ai suoi fini, ai suoi
limiti, alla sua indissolubile correlazione con l’etica della
spesa pubblica.
Non può predicarsi di lotta all’evasione e dimenticare pari sdegno per la dissipazione del denaro pubblico30.
Questo strabismo, per cui si condanna chi non conferisce al bene comune il denaro proprio, ma non si condanna chi tale denaro (e dunque denaro altrui) lo devia
dal bene comune (che è moralmente peggio), trascura la
causa impositionis e non è “politicamente” adeguato.
Non è “politico” in doppio senso: perché è frutto di
insufficiente analisi della polis; perché, a causa di ciò, è irrimediabilmente destinato ad una perdurante sconfitta.
Bisogna piuttosto convincere la “coscienza giuridica
comune” che quanto viene tolto al singolo, alla famiglia,
all’impresa, al presente, viene usato per scopi pubblici, di
interesse comune, per l’utilità generale31.
da E. DE MITA (Nuovo fisco? Tasse giuste, collaborazione vera, in Il Sole
24 ore del 19 gennaio 2016, p. 1 e 35) il quale mette in luce che “nessuna collaborazione può funzionare se il livello delle aliquote non è
accettabile”.
25 Sulle ricorrenti autogiustificazioni dell’evasione tributaria, cfr.
anche K. TIPKE, Moral tributaria del Estado y de los contribuentes (Besteuerungsmoral und Steuermoral), traduzione a cura di PEDRO M.
HERRERA MOLINA, ed. Marcial Pons, Madrid-Barcelona, 2002, pp.
112-121. È questo aureo volumetto che ha ispirato il titolo del nostro convegno. Sulle recenti cause dell’evasione, cfr. anche GI. BERGONZINI, op. cit., p. 120 e ss.
26 È questo ancora l’insegnamento di Vanoni. Si veda in E. DE
MITA, La funzione del tributo, cit., loc. cit., pp. 3-4, 11. Citando Vanoni, anche M. BERTOLISSI, Contribuenti e parassiti, cit., pp.31-32,
nota 86. Ammonisce ora E. DE MITA, Nuovo fisco?, cit., loc. cit., p.
35 che in ogni caso l’adesione non può essere richiesta a ciò che non
è giusto. Quindi le aliquote devono essere sopportabili e questo livello “è stato largamente raggiunto e superato in Italia”. “Se nella
collaborazione – continua il chiaro autore – non viene compresa anche l’equità e la sopportabilità, la proposta (del Ministro dell’Economia) diventa una coperta per lasciare le cose come stanno”.
27 “Incentivato”, poiché esiste da secoli nel nostro Paese carenza
di “spirito civico” come, già nel 1869, rilevava F. DE SANCTIS, in
L’uomo del Guicciardini. Per questa citazione, si rinvia a G. FALSITTA,
Profili della tutela costituzionale della giustizia tributaria, in L. PERRONE – C. BERLIRI (a cura di), Diritto tributario e Corte costituzionale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, pp. 121-122. La carenza di “spirito etico” è richiamata anche da E. DE MITA, Introduzione. Una giurisprudenza “necessitata”, ivi, p. XXXV.
28 Sulle interrelazioni tra etica fiscale del contribuente ed etica
del Potere fiscale, nei tre aspetti, legislativo, amministrativo, giudiziario, cfr. K. TIPKE, op. cit., passim.
29 Su cui cfr. M. BERTOLISSI, Rivolta fiscale, cit., p. 44 e ss., p. 53.
***
***
Si è parlato di un approccio culturalmente limitato e
politicamente votato alla sconfitta.
E sul piano giuridico?
Il discorso deve dunque spostarsi sulla nostra Costituzione.
2. La Costituzione repubblicana non ha taciuto in tema
di dovere tributario; e nemmeno si è limitata ad affermare che le imposte debbono essere pagate e che loro fondamento è la legge.
Ha voluto piuttosto dare una risposta convincente
alla “coscienza giuridica comune” che richiede un collegamento tra tributo ed utilità pubblica.
E così leggiamo (non già che tutti sono tenuti ad un
dovere tributario asetticamente inteso, ma) che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche”.
Il dovere di tutti è un dovere di contribuzione per una
spesa di interesse generale. La causa impositionis (in funzione di un bene comune), di insegnamento vanoniano,
è assunta a rango costituzionale.
Il che significa un monito non solo al contribuente,
ma anche al Potere.
Al contribuente dice: “sei chiamato a concorrere con
la tua capacità personale a quel bene comune che è la
spesa effettuata nell’interesse generale”.
Al Potere: “quanto ricevi (che era di altri), deve essere
indirizzato all’interesse generale”.
30 Sulla dissipazione del pubblico denaro, cfr. M. BERTOLISSI,
Contribuenti e parassiti, cit., p. 29 e ss.; idem, Stato sociale e federalismo fiscale, cit., loc. cit., p. 392 e ss.
31 Tutte espressioni usate da Vanoni, op. cit., loc. cit., p. 100.
23
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 24
24
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
È dunque “bipolare” il comportamento etico richiesto dalla Costituzione in materia di tributo: per chi lo
paga e (vorremmo dire, ancor più) per chi lo riceve e deve indirizzarlo all’interesse pubblico.
***
3. Concentrandomi nella presente relazione sul primo
aspetto (del dovere fiscale del contribuente), questo, come si è detto, non è nella Costituzione italiana meramente affermato (come nella Costituzione giapponese),
ma è descritto nel suo contenuto, nel suo indefettibile
presupposto, nei suoi fini, nei suoi aspetti qualitativi.
È un concorso alla spesa pubblica (all’interesse comune), sul presupposto e “in ragione” della capacità contributiva di ciascuno32.
È affermata (come si è detto) la causa impositionis di
insegnamento vanoniano, ma è anche affermato quali
siano il contenuto ed il significato sostanziale dell’imposta, alla luce di quale principio di giustizia debba essere
disciplinata33.
Un principio di giustizia – il principio di capacità
contributiva – che è ad un tempo fonte di dovere per il
contribuente, ma anche limite per il legislatore34.
32 Giustamente quindi rileva Marongiu che non dovrebbe parlarsi di imposta, ma di contribuzione, per denotare l’azione corale,
cooperante, verso un fine comune.
33 Sulla essenzialità del principio di giustizia “nella distribuzione
dei carichi tra cittadini”, annoverato tra i diritti dell’uomo di cui
all’art. 2 Cost. (“la giustizia, in ogni sua forma, resta il primo e il più
umano dei diritti costituzionalmente tutelati”), fondamentale il lavoro di approfondimento e ricerca di G. FALSITTA. Per una sintesi
del pensiero di tale autore, cfr., da ultimo, Profili della tutela costituzionale della giustizia tributaria, cit., p. 91 e ss., idem; Considerazioni
conclusive, in M. BEGHIN – F. MOSCHETTI – R. SCHIAVOLIN – L. TOSI – G. ZIZZO (a cura di) Atti della Giornata di studi in onore di Gaspare Falsitta, , ed. Cedam, Padova, 2012, p. 271 e ss. ed ivi cfr. Presentazione di A. FANTOZZI, p. XV e ss. e La giustizia tributaria nel
pensiero di G. Falsitta, di G. MARONGIU, p. 3 e ss.
34 Non posso non ricordare l’insegnamento, sul fondamento etico del principio di capacità contributiva, di K. TIPKE, (Il principio
della giustizia tributaria, Relazione tenuta a Padova il 5 maggio 1997,
al Convegno organizzato da A. E. S. T. sul tema “Tassazione del reddito. Confronto tra Italia, Germania e Spagna come contributo per l’armonizzazione del diritto tributario in Europa”, p. 116 degli Abstracts, traduzione di M. Pacilio), secondo cui il diritto tributario deve essere un
diritto giusto anche dal punto di vista sostanziale (“Gli Stati dell’UE
sono Stati di diritto. Non è sufficiente che gli Stati di diritto assicurino la certezza del diritto mediante norme formali; essi devono creare
un diritto giusto anche dal punto di vista sostanziale”). L’armonizzazione deve avvenire – ricorda Tipke – anche nel campo delle imposte
dirette e secondo un criterio di giustizia fiscale sostanziale. Dello stesso autore, cfr. anche La capacità contributiva come metro di giustizia
tributaria, in Riforma o rivoluzione del sistema Fiscale? – Atti della seconda sessione del Seminario Permanente di Etica e Democrazia fiscale,
Treviso 7 e 8 giugno 1996, allegato a il fisco, n. 8/99, p. 2715 e ss.
A tutti i contribuenti viene detto che la loro capacità
contributiva (la loro ricchezza, la loro disponibilità economica) è non solo per sé (per la sfera individuale), ma
anche per il bene comune. Il che è una linea sottesa,
nella Costituzione, per tutte le diverse “capacità” delle
persone35.
Emerge, ad esempio, nell’art. 4 (e lo ha ricordato il
prof. Marongiu), ove il lavoro è considerato dal Costituente certo come un diritto, ma anche come dovere di
solidarietà: dovere di mettere a disposizione del bene comune le proprie attitudini personali.
Le attitudini personali sono anche risorse della Repubblica: è un diritto poterne godere, ma è anche un dovere
di solidarietà che siano esercitate nell’interesse comune36.
Questa duplice funzione , individuale e sociale, delle
“capacità”, emerge anche negli artt. 42 e 41 Cost. in tema di proprietà e di iniziativa economica.
È significativo:
– che la proprietà privata “è riconosciuta e garantita”,
ma ha anche una “funzione sociale” (secondo comma
dell’art. 42);
– che la legge stabilisce “diritti dello Stato sull’eredità”
(quarto comma dell’art. 42);
– che “l’iniziativa economica è libera” (primo comma
dell’art. 41), ma “la legge determina i programmi e i
controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata economicamente a fini sociali”.
***
35 Sulla rilevanza che deve essere attribuita al termine “capacità”
nell’interpretazione dell’art. 53 Cost., cfr. G. BERTI, Prefazione a E.
DE MITA, Interesse fiscale e tutela del contribuente, cit., p. XI. Ivi leggiamo che “la capacità contributiva non è un limite formale e debole, ma è appunto capacità, e cioè un aspetto o un momento della
complessa ed unitaria capacità dell’individuo”. E ancora, “essendo
capacità, anche quella contributiva non accetta intromissioni arbitrarie, decurtazioni o sconvolgimenti, che danneggerebbero il soggetto nella sua unità. È in ciò che la civiltà fiscale dello Stato deve
mettersi alla prova; e cioè non sottomettendo il contribuente a irrazionali e sempre più stringenti ablazioni pecuniarie, ma calibrando
pretese e procedure su bisogni collettivi reali e corrispondenti controlli da parte dei cittadini”.
36 Anche su questo punto ci fu intesa, nella prima Sottocommissione dell’assemblea Costituente (la c. d. Commissione dei 75) con
Togliatti, il quale il 2 ottobre 1946 affermava che “ogni libertà è fondamento di responsabilità” e che “la libertà in regime democratico è
una libertà che mira non a permettere il soddisfacimento dell’arbitrio individuale, ma la pienezza dei valori della persona e la collaborazione positiva dei singoli per la realizzazione del bene comune”
(cfr., per la ricostruzione dei lavori della Commissione dei 75, F. OCCHETTA, Le radici della democrazia, ed. Jaca Book, Milano-Roma,
2012, p. 94 e ss., 104).
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 25
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
4. E perché questa linea di fondo secondo cui le attitudini, le “capacità” (di lavoro, di impresa), le proprietà, sono per sé ma sono anche per il bene comune?
Ciò dipende dalla nuova concezione del rapporto tra
singoli e Stato.
Non è più la concezione di un certo tipo di Stato liberale in funzione di tutela dei diritti di libertà e proprietà dell’individuo; nemmeno è la concezione autoritaria del Ventennio fascista, per cui il cittadino era in
funzione dello Stato; nella Costituzione repubblicana
(influenzata dal personalismo sociale di Maritain e Mounier, ben noto ad autorevoli protagonisti dell’Assemblea
Costituente, come Aldo Moro, Giuseppe Dossetti,
Giorgio La Pira, Amintore Fanfani)37, lo Stato è in funzione della persona, non confondibile con l’individuo.
Nella concezione liberale classica e neoliberale38, l’individuo – come detto – si caratterizza per i propri diritti
di libertà e proprietà e lo Stato è strumento per la tutela
di tali (egoistici) diritti.
Non così la persona, che è certo portatrice di inviolabili
diritti dell’uomo39, ma anche di responsabilità sociale.
La persona è “ingaggiata” nella realizzazione del bene
comune, perché le sue capacità (intellettuali, economiche, di lavoro, di impresa, ecc.) sono per sé ma anche per
gli altri, sono fonte di diritti ma anche di doveri sociali.
Nel contempo, e ciò è caratteristica di una visione
personalistica, il bene comune, il fine sociale di interesse
pubblico, proprio in quanto sprigionano dalla persona e
dalle sue capacità, in tanto sono programmabili e realizzabili in quanto sussistano le capacità effettive della persona, idonee a realizzarli.
Non dunque a prescindere dalle capacità, perché ciò
significherebbe riedizione di Stato autoritario ove i fini
del Governante sono imposti ai Governati, siano essi
“capaci” o meno di assumerli40.
37 Sul ruolo “demiurgico svolto dai deputati” sopra citati ai fini
della formulazione dell’art. 2 Cost., cfr. ora G. FALSITTA, Il principio
di capacità contributiva nel suo svolgimento storico, cit., loc. cit., pp.
17-18 e nota 15 a p. 18. Ma si veda anche, dello stesso autore, Considerazioni conclusive, cit., loc. cit., p. 281, ove si parla di “radici cristiane ed italiane dei principi di giustizia tributaria”. In realtà si sviluppa
già nella Commissione dei 75 un’intesa di La Pira, Dossetti, Moro con
Togliatti e Basso. Intesa che fu promossa anche da reciproca stima
(cfr. F. OCCHETTA, Le radici della democrazia, cit., p. 94 e ss.).
38 Su cui cfr. criticamente F. GALLO, Le ragioni del fisco, ed. Il
Mulino, Bologna, seconda edizione, 2011, p. 34 e ss.
39 “Che esistono anche a prescindere dallo Stato, come leggiamo
retro, nella relazione del prof. G. MARONGIU, par. 11 e in G. FALSITTA,
Considerazioni conclusive, cit., loc. cit., p. 281.
40 Nello Stato autoritario, si prescinde non solo dalla condivisione, dal consenso, ma anche dalle capacità di attuazione (come insegna
l’esperienza di certe iniziative belliche del ventennio).
La centralità della persona, portatrice di diritti inviolabili, ma anche di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, si staglia nell’art. 2 Cost. e si
completa nel secondo comma dell’art. 3, ove “il pieno
sviluppo della persona umana” è posto come “compito”
fondamentale della Repubblica.
La Costituzione ha dunque anche una valenza pedagogica41 per il singolo nel suo rapporto con lo Stato: dice
che il suo essere persona comporta che sono garantiti i
suoi diritti, ma al contempo anche doveri di solidarietà.
Ma non doveri di solidarietà acausali: bensì doveri di
considerare le capacità proprie come presupposto di un
concorso ad un bene comune e dunque se ed in quanto le
capacità esistano, se ed in quanto venga realizzato un bene comune.
***
4.1. Esiste nell’art. 53 anche un altro aspetto di etica dell’imposta dal punto di vista del contribuente: definire
l’imposta come un “concorso” (un currere cum), implica
che l’imposta è un “dovere di riparto”42 per cui quello che
non paga l’uno, deve pagare l’altro e quindi, se ci sono
gli evasori, ci sono i tartassati43 che pagano anche per i
“renitenti alla leva fiscale”44.
È immorale (e disgregante l’organizzazione sociale)
che ci siano soggetti che hanno capacità contributiva e
che, non concorrendo al dovere comune, siano mantenuti nei servizi pubblici da chi ha capacità contributiva
minore o minima45.
Nell’ambito dei lavori della Commissione dei 75, Moro ebbe
ad affermare “che la Carta fondamentale di uno Stato avrebbe dovuto contenere, oltre che norme giuridiche, secondo la tradizione liberale, anche norme programmatiche, ‘perché una Costituzione deve
avere anche valore di insegnamento per il popolo.’ ”(cfr. F. OCCHETTA,
op. cit., pp. 96-97).
42 Questo aspetto dell’imposta è molto sottolineato da G. FALSITTA (cfr., da ultimo, Il principio di capacità contributiva nel suo svolgimento storico, cit., loc. cit., p. 53 e ss.). Ma confronta anche retro la
Relazione del prof. Marongiu, par. 6.
43 È il titolo di un libro di A. PEDONE, Evasori e tartassati, ed. Il
Mulino, Bologna, 1979.
44 Si noti il termine “disertare” usato da Vanoni (retro, nota 1).
45 Per analoghe considerazioni, cfr. anche M. BERTOLISSI, Stato
sociale e federalismo fiscale, cit., loc. cit., pp. 391-392; GI. BERGONZINI, op.cit. p. 163.
Quanto all’effetto di disgregazione politica, cfr. G. MARONGIU (La
giustizia tributaria nel pensiero di G. Falsitta, cit., p. 11), il quale
osserva: “è già significativa la collocazione dell’art. 53 Cost. tra i
rapporti politici (tra il sacro dovere del cittadino di difendere la patria e il dovere di fedeltà alla Repubblica) perché il programma disegnato è volto a creare un ordinato e perequato sistema di ripartizione delle spese comuni all’interno dei membri della comunità in
assenza del quale lo Stato comunità non può né nascere né, se nato, sopravvivere”).
41
25
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 26
26
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
A fronte di questa “proporzionalità all’incontrario”46, per cui chi ha meno paga per chi ha di più, sfuma ogni possibile (teorica) giustificazione dell’evasione
tributaria.
***
5. Ma nell’art. 53 l’etica del tributo impegna non meno
la Parte pubblica47. Quegli stessi principi che costituiscono fondamento del dovere etico del contribuente (la
concezione della persona, la capacità della persona per sé
ma anche per il bene comune) costituiscono anche garanzia per il contribuente, limite per il legislatore fiscale,
dovere etico del legislatore fiscale.
Se sopra si è parlato del dovere dello Stato di utilizzare il tributo per “scopi pubblici”48, qui intendiamo invece parlare dei limiti costituzionali dello Stato come legislatore fiscale49.
Il legislatore fiscale preleva non da “masse” indistinte,
ma da “persone” specifiche ed è vincolato a rispettare il
principio di capacità contributiva (di “tutti”) come presupposto, parametro e limite massimo del prelievo.
La effettiva capacità contributiva di ciascuno è il
punto di partenza, l’imprescindibile fonte del dovere fiscale: la capacità comporta (per chi ne sia titolare) il dovere, ma il dovere presuppone la relativa capacità.
Non può dunque parlarsi di “fisco redistributivo” se
non con riferimento ad effettive, accertate, attitudini alla contribuzione50.
A sua volta, la capacità contributiva non può essere
svuotata in fumosi concetti di asserite “capacitazioni” di
vantaggio, economicamente valutabili51, ritenute idonee
a differenziare un soggetto dall’altro.
46 Richiamando G. Ricca Salerno, G. FALSITTA (op. ult. cit., loc.
cit., p. 53) ripropone come fondamentali criteri e principi delle
“contribuzioni generali”, quelli della uguaglianza e della proporzione
tra i carichi imposti ai cittadini ed i loro averi. La sottrazione al dovere tributario viola entrambi.
47 Sulla stessa linea di pensiero, cfr. retro la Relazione del prof. G.
MARONGIU, par. 8.
48 Citando VANONI, op.cit., loc. cit., p. 100.
49 Il prof. K. TIPKE (Moral tributaria del Estado, cit., passim) afferma – come si è detto, retro nota 28 – la necessità di morale fiscale
con riferimento ad ogni aspetto del Potere pubblico, normativo, amministrativo, giudiziario. Sopra nel testo si parla solo di alcuni aspetti normativi, mentre gli altri aspetti sono affidati alle altre Relazioni.
50 Si veda G. GAFFURI, Il senso della capacità contributiva, in L.
PERRONE – C. BERLIRI (a cura di), op. cit., pp. 25 e ss. 28 – 29.
51 Così F. GALLO, da ultimo in L’evoluzione del sistema tributario
e il principio di capacità contributiva, in L’evoluzione del sistema fiscale
e il principio di capacità contributiva, a cura di L. SALVINI – G. MELIS, ed. Cedam, Padova, 2014, pp. 9-12.
L’art. 53 non ha solo funzione di differenziare (tra loro i soggetti); ancor prima ha funzione di identificare
quali fatti manifestino capacità a contribuire52.
Elementi differenziali che non manifestino capacità
di contribuire, non possono assurgere a presupposto del
tributo53.
Ma ciò non solo per una (peraltro imprescindibile)
interpretazione letterale (del termine “capacità”), storica
(del principio)54, logica (della sua funzione di garanzia e
limite), ma perché è in gioco lo stesso sistema costituzionale partendo dalle sue radici e fonti ispirative.
Il sistema, cioè, per cui le capacità della persona sono
per sé e per il bene comune (ex art. 4 Cost); e a sua volta
il bene comune si attua avvalendosi delle capacità effettive delle persone (e non a prescindere da esse).
Il sistema incentrato sulla persona non può decadere
in banalizzanti invenzioni linguistiche del tipo beni-capacità, beni-capacitazioni, new properties55, che un’altra
52 Anche A. FANTOZZI (Presentazione, cit., p. XVIII), nelle sue
osservazioni di sintesi, conviene “in primo luogo, che si possa pacificamente ritenere il criterio della capacità contributiva ulteriore e
non meramente specificativo del principio di uguaglianza inteso come divieto di ingiustificata discriminazione”. Analogamente G. MARONGIU, La giustizia tributaria, cit., loc. cit., p. 12. Ma già in tal senso era ante litteram G. A. Micheli, come ricorda G. PUOTI, Il principio di capacità contributiva nel pensiero di G. A. Micheli, in Studi in
memoria di G. A. Micheli, ed. Jovene, Napoli, 2010, p. 27.
53 A. FANTOZZI (op. cit., pp. XXI – XXII), pur non escludendo
“che la capacità economica e l’attitudine solidaristica della persona
siano rilevabili attraverso un presupposto privo di immediato contenuto patrimoniale”, aggiunge che “deve ammettersi che la razionalità e coerenza del riparto va comunque riferita a presupposti che direttamente o indirettamente rilevino la forza economica e l’attitudine contributiva del soggetto”.
54 Per un approfondito esame storico di tale principio, dalla “germinazione” nella dottrina giusnaturalistica del Medio Evo (con il contributo essenziale di Tommaso d’Aquino) alla filosofia politica del millesettecento, alla dottrina italiana dell’otto e novecento, cfr. ancora G.
FALSITTA, Il principio della capacità contributiva nel suo svolgimento storico, loc. cit., p.28 e ss.; per i riferimenti anche all’art. 13 della Dichiarazione del 1789, ivi, p. 24. Ma si veda anche, dello stesso autore, Storia veridica, in base ai “lavori preparatori” della inclusione del principio
di capacità contributiva nella Costituzione, in Riv. dir. trib., 2/2009, ora
ripubblicato in Il principio della capacità contributiva, cit. p. 92 e ss.
55 Su cui cfr. le incisive osservazioni critiche di G. FALSITTA, Il
principio della capacità contributiva nel suo svolgimento storico, loc.
cit., p. 8 e ss. Si veda inoltre G. PUOTI (op. cit., p. 45) il quale afferma che “l’evolutività nel tempo del principio di capacità contributiva, mentre può certamente comportare che l’apprezzamento da parte del legislatore di un certo fatto da assumere a presupposto del tributo possa modificarsi, seguendo le evoluzioni dell’economia, della
tecnica, delle condizioni sociali e politiche, di modo che vengano individuati nuovi presupposti dell’obbligo tributario, in passato non
presi in considerazione, non può certamente significare che si venga
così a modificare il significato da attribuire alla capacità contributiva, in qualche modo riducendosene la portata e la rilevanza”.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 27
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
volta umiliano il diritto e dovere della persona di concorrere (sì) alle spese pubbliche, (ma) sul presupposto e
nei limiti in cui abbiano capacità dimostranti effettive
attitudini a contribuire.
Banalizzare un’altra volta i diritti della persona, significa restaurare – nel campo tributario – quello Stato autoritario che la Costituzione repubblicana voleva definitivamente rimuovere ponendo lo Stato in funzione della
persona e non viceversa56.
***
5.1. Tutto ciò significa anche che principio di capacità
contributiva e principio di eguaglianza tributaria sono
due valori giuridici coordinati ma distinti.
La capacità contributiva deve essere osservata (in primis e comunque) per il rispetto di ogni singolo contribuente, a prescindere da un giudizio di comparazione
(tra contribuenti diversi).
L’eguaglianza è garanzia ulteriore e deve assumere a
suo parametro di giudizio la capacità contributiva57.
L’orientamento interpretativo che: a) assorbe la garanzia del principio di capacità contributiva nella garanzia della eguaglianza; b) non richiede ai fini della capacità contributiva indici effettivi di capacità di pagamento, ma si accontenta di qualsiasi indice di differenziazione, valutabile in denaro; c) ai fini del giudizio di
eguaglianza tutto riduce a mero giudizio di ragionevolezza (o di coerenza, congruità, proporzionalità), che poi
viene a sua volta ridotto a mero “divieto di arbitrio”, è
indirizzo che ignora: aa) il nesso costituzionale tra capacità contributiva (ex art. 53 Cost.) e capacità dell’uomo,
fonte di diritti e doveri (ex art. 4 Cost.), bb) tra capacità
e persona come valore primario della Costituzione da
tutelare per sé e per l’interesse comune (ex artt. 2, 3 secondo comma, 4, 53 Cost.).
Orientamento, dunque, a dir poco, culturalmente
disattento rispetto alle dottrine sottese alla Costituzione
della nostra Repubblica, alle ampie intese che su tali dot-
56 Oscar Luigi Scalfaro (Prefazione a F. OCCHETTA Le radici della
democrazia, , cit. p. 13) rileva come “la Persona, così maltrattata dalla dittatura antiumana per natura, ridotta a cosa senza diritti e senza
dignità, entra e si pone al centro della nostra Costituzione che nasce
soprattutto per servire la Persona, per la sua dignità, per i suoi diritti
e i suoi doveri”; e U. Tupini (Presidente della Commissione dei 75) ricorda che il punto di incontro nella varietà dei partiti fu l’uomo e “la
ragione per cui le forze di diversa ispirazione sono riuscite a trovare
l’intesa di collocare l’uomo al centro dell’ordinamento repubblicano
deve ricercarsi nell’avversione all’esperienza fascista, che aveva colpito al cuore l’uomo nelle sue libertà personali, nei suoi diritti naturali” (F. OCCHETTA, op. cit., p. 105).
57 Cfr., retro nota 52.
trine vennero trovate tra partiti diversi, alle ragioni storiche dell’affermarsi di tali dottrine nel passaggio dallo
Stato autoritario allo Stato democratico, fondato sulla
tutela della persona (ex art. 2 Cost.) e indirizzato alla
promozione della persona (ex. art. 3, secondo comma,
Cost.); orientamento che, in definitiva, si presta a nuove
forme di autoritarismo in cui il Potere agisce a prescindere dalle capacità degli uomini.
Il nuovo strumento di potere autoritario è l’interesse
fiscale che sia fatto operare a prescindere dai diritti della
persona58.
Quello che prima (nel periodo del ventennio) era
l’interesse nazionale, (lì) a fini (ridicolmente) imperiali,
ora è l’interesse fiscale, (qui) a fini nobilmente redistributivo-egualitari.
Ma il rapporto “singolo-Stato” è impostato in modo
non dissimile: l’asserito interesse pubblico prescinderebbe, ancora, dalle capacità delle persone di realizzarlo.
La Storia nulla avrebbe spiegato.
Ma la Storia nulla può spiegare se, anziché leggere la
Costituzione della nostra Repubblica nelle sue premesse
di pensiero e nelle sue ragioni storiche, la si legge assumendo a linfa interpretativa una, del tutto estranea, produzione dottrinale di stampo anglosassone, attestata sulla dialettica con i “diritti proprietari” di (superato) stampo liberal-individualistico59.
58 Per una critica al principio di “preminenza dell’interesse fiscale (dello Stato) sul diritto alla giusta imposta (del cittadino)”, cfr. ancora G. FALSITTA, Il principio della capacità contributiva nel suo svolgimento storico, cit., loc. cit., pp. 22-27. “A queste concezioni, miopi
e di scarso respiro, che non hanno radice nella vigente Costituzione
Repubblicana si deve opporre che la giustizia tributaria è un momento essenziale della giustizia tout court e che nessuna società può
vivere in pace se manca la giustizia” (così G. FALSITTA, op. ult. cit.,
loc. cit., p. 27). Anche E. DE MITA, Introduzione. Una giurisprudenza “necessitata”, cit., p. XXXIV, rileva che talora l’interesse fiscale,
nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in pratica ha coinciso con la vecchia “ragion di Stato”.
Da ultimo, P. BORIA, Il bilanciamento di interesse fiscale e capacità
contributiva nell’apprezzamento della Corte costituzionale, in L. PERRONE – C. BERLIRI (a cura di), op. cit., p. 57 e ss., parla, più che di
contrapposizione, di “coesistenza – nell’art. 53 – di una dualità assiologica in una stessa regola costituzionale”, di “sintesi feconda, in
cui sembrano stemperarsi i profili di netta antitesi tra l’interesse della comunità e l’interesse del singolo associato…” (ivi, p. 57).
La “dualità assiologica” è condivisa da chi scrive, purché si riconosca che l’interesse della comunità può (e deve) essere realizzato
fondandosi sulle capacità effettive della persona, come risorsa per il
bene comune. La “dualità assiologica” non diventi una formula di
“bilanciamento”, che, dopo essere teoricamente formulata, schiacci
la persona, prescinda dalle capacità della persona (affermando, ad
esempio, che può prescindersi, nel bilanciamento, da un limite, minimo e massimo, di imposizione).
59 Partendo da questa dialettica si sviluppa il saggio di F. GALLO,
Le ragioni del fisco, cit., p. 44 e ss.
27
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 28
28
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Lo stampo “liberal-individualistico” dei rapporti tra
singolo e Stato non fa parte della premessa culturale della Costituzione repubblicana, impostata piuttosto sulla
persona libera e solidale, che deve essere garantita dunque
a doppio titolo, sia per i diritti dell’uomo, che la connotano, sia per le capacità di bene comune di cui è parimenti
portatrice (artt. 2 e 4 Cost.).
Il principio di capacità contributiva è strettamente
connesso a tale valore costituzionale della persona: interpretazioni abroganti incidono dunque non semplicemente su una singola regola di giustizia (capacità contributiva), ma su un equilibrio di valori (tra capacità delle
persone e bene comune, tra bene comune e capacità della persona) che connota l’intera Carta.
***
6. Lo stesso distacco dalla cultura costituzionale della
persona, si nota laddove le spese pubbliche vengono considerate variabile dipendente dalla sola finalità egualitario-redistributiva60.
Certo è nello spirito della Costituzione il perseguimento dell’eguaglianza sostanziale (ex art. 3, secondo
comma); certo imposte e spese pubbliche possono essere
strumento di tale fine costituzionale.
Ma, ancora una volta, non “a prescindere da – ”, bensì
“sul presupposto di –“.
È chiarissimo nell’art. 53 il nesso tra capacità contributiva e spese pubbliche in senso biunivoco.
Si è sopra detto con Vanoni: le imposte sono finalizzate a spese che devono essere intese come “pubbliche” secondo la “coscienza giuridica nazionale”; ma anche dette
spese pubbliche devono essere rese possibili dalle capacità effettive delle persone e in ragione (e nei limiti) di tali
capacità61.
In assenza di capacità disponibili, se le capacità sono
esaurite, nessuna politica di ulteriore spesa pubblica (ancorché servente a fini di realizzazione costituzionale) è
conforme al quadro costituzionale.
La Costituzione è sistema di valori coesistenti e dunque, se le spese pubbliche prescindono dalle (già esaurite) capacità delle persone, è violato l’equilibrio di valori
costituzionali quale che sia il fine prefisso; sia esso pure il
fine dell’art. 3 secondo comma, Cost.
Dovrebbe essere finita la cultura dell’andare in guerra
ancorché disarmati.
60 Questa tesi è esposta da F. GALLO, op. cit., p. 79 e ss.
61 Su tali profili (presupposto, parametro, limite) cfr., G. GAFFU-
RI, op. cit., loc. cit. e, da ultimo, G. MARONGIU, La giustizia tributa-
ria, cit., loc. cit., pp. 11-12.
Con l’effetto di ritrovarsi su fronti più arretrati rispetto a quelli di partenza.
***
7. Ciò non significa rinuncia alla realizzazione del secondo comma dell’art. 3, ma necessità di un riesame del sistema delle imposte62 e del sistema delle spese pubbliche.
Se il primo ha raggiunto un limite non superabile di
pressione63 e il secondo – a causa degli infiniti sprechi di
ogni tipo – non ha consentito la realizzazione di quel riequilibro economico-sociale che è momento alto (e, a
mio avviso, irrinunciabile) della nostra Costituzione,
vuol dire che è imprescindibile anche una nuova fase di
studio e riforma.
Sul piano del sistema tributario, solo un rapido cenno: se il prelievo Irpef proviene in prevalenza dal reddito
di lavoro dipendente, il principio di capacità contributiva e il principio di eguaglianza tributaria sono lungi
dall’essere attuati.
Ma nel contempo non è un sistema che faciliti i due
grandi valori costituzionali: il lavoro (artt. 1 e 4 Cost.) e
la famiglia (art. 31 Cost.) e ciò in un Paese dalla preoccupante disoccupazione e dalla preoccupante disgregazione sociale.
Occorre dunque una nuova stagione di cultura riformatrice del “sistema” tributario (come avvenne con gli
studi che portarono alla legge delega del 1971) ma valorizzando (e non rimuovendo) il valore di riferimento costituzionale, la persona e le sue “capacità” (ex art. 4 ).
Non è questa la filosofia di fondo della legislazione
tributaria degli ultimi decenni che ha invece puntato su
“standardizzazioni” di vario tipo, ispirate al “contribuente-massa” e non al “contribuente-persona”.
Sistemi che certo semplificano il lavoro dell’amministrazione, ma negano il diritto del singolo ad essere se
stesso, ad essere atipico64 e a concorrere in ragione della
identità propria; sistemi di giustizia sommaria che acuiscono atteggiamenti di dissenso e resistenza ad un Fisco
sentito come controparte avversa.
***
62 Rileva E. DE MITA, Nuovo fisco?, cit., loc. cit., p. 35 che “è l’intero sistema tributario che è organizzato in modo da non consentire
l’auspicio che tutti paghino per pagare di meno”.
63 Sulla “preoccupazione” che l’eccesso di pressione fiscale possa
contribuire ad accrescere il fenomeno evasivo, cfr. GI. BERGONZINI,
op. cit., p. 172.
64 Si vedano le citazioni di Einaudi e Jemolo nei passaggi finali
della Relazione di Marongiu.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 29
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
DOTTRINA
8. Concludendo, a fronte di un enorme deficit di consenso fiscale da parte dei contribuenti, esiste un deficit
non minore di attuazione dei principi costituzionali da
parte del Potere pubblico nel realizzare i valori di giustizia della Costituzione repubblicana, a partire dal rispetto
della persona (che non è uomo-massa) e dunque dal rispetto delle sue specifiche “capacità”.
E certo questo deficit è concausa del primo65.
Ripartiamo dunque dall’etica dello Stato nell’esercizio
dei poteri fiscali (legislativo, amministrativo, giudiziario)
e dall’etica della spesa pubblica, che già per la scuola di Pavia (e da ultimo per Vanoni) era la causa giustificatrice del
potere di imposizione, senza la quale il Fisco non significa
“contribuzione”, ma “appropriazione”, non significa esercizio di democrazia, ma ritorno all’autoritarismo.
Se l’etica, promossa dalla Parte pubblica, diventerà
cultura condivisa e costume, sarà una potente risorsa (di
volontà e azione), che ci consentirà di uscire da questa
crisi epocale66.
È in occasione delle grandi sfide che il nostro Paese è
cresciuto. È dopo l’umiliazione della dittatura che risorse con la Costituzione del 1948.
Ora siamo in un altro passaggio di estrema difficoltà.
Ne possiamo uscire, ancora una volta avanzando, se i valori della Costituzione diventano l’identità, non solo
proclamata ma anche attuata, del nostro essere italiani67;
se diventiamo popolo (ex art. 1 Cost.), che decide di riconoscersi nella convinta difesa, a tutti i livelli, degli interdipendenti valori di libertà e responsabilità che ci sono
stati consegnati.
65 Così anche MARONGIU, retro, La concezione etica del tributo,
par. 8. Peraltro, reciprocamente, sull’evasione come fattore alterante, oltre che la concorrenza, la legislazione e l’accertamento tributari,
cfr. G. FALSITTA, Considerazioni conclusive, cit., loc. cit., p. 274.
66 Si veda ancora U. VINCENTI (op. cit., p. 19) sulla necessità,
per una Repubblica, di un ethos diffuso di sensibilità e lealtà per
“l’interesse generale che esige di essere rispettato”. Il ritorno ad uno
“spirito civico” è invocato anche da G. FALSITTA (Profili della tutela
costituzionale, cit., loc. cit., pp. 121-122).
67 Per la necessità di un nuovo “patto costituzionale tra Stato e
contribuenti”, cfr. GI. BERGONZINI, op. cit., p. 178.
29
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 30
30
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
L’etica dell’amministrazione finanziaria
fra responsabilità e autotutela
di Massimo Basilavecchia
1. Si premette che il tema viene trattato limitatamente
alle problematiche che investono l’Agenzia delle entrate,
la cui presenza è sempre più dominante nell’ordinamento tributario, dopo l’assorbimento in essa dell’Agenzia
del territorio.
Per introdurre il tema, che potrebbe avere implicazioni vastissime, non posso che citare il nostro Presidente Anti Gianni Marongiu, che in due occasioni ha colto
aspetti essenziali delle difficoltà in cui si imbatte il lavoro, essenziale, dell’ Agenzia.
La prima è tratta dalla sua relazione al Congresso Anti di Milano (2013, pubblicata sul numero 1/2014 di
Neotera, p.4), e riguarda il cambiamento di prospettiva
che sarebbe stato determinato dalla aziendalizzazione
dell’Agenzia; citando criticamente il ricorrente uso di
termini appunto aziandalistici (manager, target, budget), egli rivendicava la necessità di continuare ad inquadrare l’azione (e i soggetti) dell’Agenzia in termini pubblicistici, valorizzando il ruolo di attuazione della legge
cui l’Agenzia è preposta e la vincolante immanenza dei
principi costituzionali quali l’art. 53 e l’art. 97 (con conseguente ineludibilità di un’azione amministrativa mirata all’attuazione del concorso alle spese pubbliche in base alla capacità contributiva e regolata da efficienza, ma
anche da imparzialità e da buon andamento).
La seconda riguarda invece un intervento estivo sulla
stampa quotidiana1, con il quale veniva richiamata l’attenzione sulla necessità che l’azione dell’Agenzia trovi
una guida politica in un referente ministeriale ben preciso: criticando la soppressione del Ministero delle finanze, si osservava come non sia sufficiente la delega del settore ad un vice ministro o ad un sottosegretario, per governare in modo efficace ma imparziale la politica fiscale
(che non conclude il suo raggio di azione con la sola progettazione delle norme, ma comprende anche il governo
della effettiva attuazione dei tributi).
2. Dai due richiami ora citati emerge l’essenza dei problemi che investono l’Agenzia, nel suo ruolo istituzionale, e che hanno trovato l’esito lacerante nella sentenza
Marongiu G., Agenzia da salvare, ma al Fisco serve anche un
Ministero, in ilsole 24ore 14 luglio 2015.
1
della Corte Costituzionale n. 37 del 2015, che come noto ha invalidato le leggi che hanno consentito o procrastinato l’attribuzione di incarichi dirigenziali senza concorso. La sentenza, infatti, al di là della condivisibilità o
meno della visione adottata, ha inteso richiamare tutti
alla realtà di un’amministrazione pubblica che, per
quanto ispirata da criteri di flessibilità e da logiche appunto manageriali, resta pur sempre soggetta alle regole
costituzionali dell’art. 97 Cost., in tema di accesso all’impiego e di progressioni di carriera.
A mio avviso, l’esito non poteva essere diverso, vista
la concreta strada intrapresa dalla riforma che ha introdotto le agenzie fiscali nella pubblica amministrazione,
con la legge n. 300 del 1999; il modo in cui l’istituzione
delle Agenzie è stata intesa e attuata, il self restraint del
residuo apparato ministeriale rispetto al dilagare delle
competenze dell’Agenzia, hanno certamente impedito
che quest’ultima possa essere intesa come un’istituzione
privatistica, deputata solo all’accertamento e alla riscossione dei tributi. L’Agenzia è in realtà diventata essa stessa il Ministero che non c’è più, e questa trasformazione
espansiva è rivelata soprattutto da due elementi, dal fatto che essa abbia sostanzialmente monopolizzato la funzione di interpretazione della norma tributaria, e che sia
stata in questi anni troppo spesso il motore propulsivo, o
invece l’ostacolo insuperabile, dello stesso esercizio della
funzione legislativa2.
Cito, fra i fenomeni più significativi, il fatto che una
parte di assoluto rilievo della normativa tributaria secondaria viene ora emanata non più attraverso provvedimenti del ministro o della dirigenza ministeriale, ma
mediante atti promananti dall’Agenzia stessa; e che è
sempre più frequente che disposizioni interne di carattere organizzativo abbiano rilevanza esterna, potendo incidere sulle competenze degli uffici e, in definitiva, influire sulla stessa competenza territoriale delle commissioni
tributarie.
2 Il dibattito sulla stampa quotidiana è stato vastissimo: cito ad
esempio i contributi del Direttore dell’Agenzia, Orlandi, “Senza merito e competenze l’Agenzia perde in qualità”, in ilsole 24ore 12 luglio 2015, e del Sottosegretario all’Economia Zanetti, Le agenzie
non sono aziende, ivi 11 luglio 2015.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 31
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Se forse era possibile ipotizzare (ma non credo) una
diversa qualificazione dell’Agenzia ove a quest’ultima
fosse stato conservato il ruolo che appariva l’obiettivo
della riforma del 1999, cioè quello di assumere, con
maggiore elasticità gestionale, il compito di braccio esecutivo più efficiente nelle fasi di accertamento e di riscossione dei tributi, la riaffermazione piena della soggezione dell’Agenzia al complesso delle regole riservate
dalla Costituzione alle pubbliche amministrazioni è invece apparsa alla Corte Costituzionale inevitabile dopo
una evoluzione che ha fatto, praticamente da subito,
dell’Agenzia il successore – quasi – a titolo universale
del Ministero a sua volta assorbito; con una commistione di funzioni diverse che si tocca con mano: da un lato
in una legislazione troppo spesso ispirata dall’Agenzia, e
soltanto dall’Agenzia interpretata; dall’altro nella constatazione che spesso, quando è chiamata a svolgere i
suoi compiti essenziali di accertamento, l’Agenzia si
senta in un certo senso autorizzata a interpretare le norme nel modo che è più funzionale al raggiungimento
dei suoi obiettivi quantitativi.
È bene ricordare che, per prassi costante, anche se
non tradotta in norme di diritto positivo, le pubbliche
amministrazioni non sollevano mai, nei processi, questioni di legittimità costituzionale: esse cioé sono chiamate alla difesa dei propri atti sulla base della legislazione esistente, senza poter attaccare le norme di legge.
Ora, se una pubblica amministrazione, quale l’Agenzia è, non può denunciare l’incostituzionalità di norme
di legge, non è nemmeno ipotizzabile che, in sede di attività amministrativa attuativa delle norme, possa ridurne la portata applicativa o procedere a vere e proprie –
anche se non esplicite – disapplicazioni; che invece, per
esperienza comune, sono ad esempio frequenti, soprattutto in materia di verifica dei requisiti per agevolazioni.
In questo senso, l’accesso ai ruoli delle pubbliche amministrazioni, e la stessa progressione di carriera, sono
momenti essenziali che devono garantire la possibilità
per ogni aspirante di raggiungere la carica pubblica cui
ambisce: si realizza così la premessa fondamentale per
l’imparzialità, che è tanto più importante per un corpo
amministrativo che ha un compito assai simile a quello
della magistratura.
Ma certamente, sul piano organizzativo, gli effetti
della sentenza n. 37 sono difficili da governare: perché
all’applicazione rigida delle regole del concorso pubblico, cui dopo la sentenza si è richiamato anche, con accentuata rigidità, il Consiglio di Stato, si contrappone
l’esigenza di non mortificare professionalità che negli
anni hanno dato un contributo innegabile all’azione
dell’Agenzia.
DOTTRINA
3. Quale il nesso con il tema dell’etica? Vi sono delle incongruenze nell’attuale ruolo ordinamentale dell’Agenzia, che però, temo, a breve termine non mi sembrano
ragionevolmente superabili: ma proprio la situazione attuale costituisce un valido motivo per pretendere, da
un’amministrazione pubblica quale l’Agenzia è, un rigoroso rispetto della Costituzione e delle leggi, pur dovendo essa esercitare i propri compiti di recupero del gettito
sottratto a tassazione con la necessaria fermezza e, se vogliamo, con aggressività.
Personalmente, direi che l’etica della funzione deve essere essenzialmente espressa dal pieno rispetto delle leggi
e dalla assunzione delle responsabilità connesse alla attuazione delle stesse. L’amministrazione finanziaria non deve
cioè crearsi una propria “etica del tributo”, che magari la
porti a sentirsi autorizzata alla stessa disapplicazione delle
leggi, ma deve dare attuazione nel senso più completo alla
legislazione esistente, la trovi o meno funzionale alla realizzazione dei propri obiettivi. Non deve mai cercare un
proprio nucleo di valori, per quanto apprezzabili, che
non sia stato posto a base di norme di legge.
In questa conformazione (potremmo anche dire subordinazione) dell’azione amministrativa alla legge,
dell’amministrazione al legislatore – che è ovvia, ma che
non è mai inutile ribadire – a mio avviso si risolve la questione dell’etica dell’azione dell’amministrazione finanziaria. L’agire etico è quello che assume a proprio principale obiettivo il rispetto della Costituzione e delle leggi,
anche di quelle non gradite o non condivise; e che, sul
piano della produzione delle norme, limita il proprio intervento alla costruzione di una proposta, che spetta però solo al politico valutare, al fine di una traduzione in
disciplina normativa.
4. Se si condivide questo prima conclusione, ecco che –
in astratto – i due sottotemi della relazione, ossia la responsabilità e l’autotutela, possono essere agevolmente
inquadrati.
Responsabilità vuol dire, in primo luogo, svolgere
senza timori un ruolo che, pur condizionato da “target”
e “budget”, è e resta quello di dare attuazione alla legge,
senza sottrarsi alla difficoltà di compiti interpretativi, e
senza timore di dare applicazione anche alle norme che
consentono una definizione concordata della base imponibile. Come i provvedimenti attuativi della delega ci
dimostrano, la funzione stessa di accertamento sta cambiando: sempre più spesso l’accertamento si farà insieme, tra amministrazione e contribuente, e i ruoli rigidamente distinti di chi dichiara e di chi, dopo la dichiarazione, controlla e reprime, cedono il passo ad una dinamica relazionale molto più complessa, flessibile, che po-
31
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 32
32
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
trà essere gestita solo da un’amministrazione che non abbia remore e timori nel fare delle scelte valutative.
Sotto questo aspetto c’è moltissimo da fare, soprattutto perché, ad una soddisfacente consapevolezza dell’Agenzia a livello centrale (vi sono circolari, soprattutto sulle
metodologie di controllo, quanto mai apprezzabili per la
limpidezza dei criteri direttivi espressi), non corrisponde
una soddisfacente presa di coscienza a livello periferico. Là
dove troppo spesso continua a prevalere una logica dilatoria, elusiva della responsabilità, poco incline a riconoscere
errori e ad assicurare un dialogo semplice ed efficiente al
contribuente, troppo condizionata da timori ingiustificati
quando le valutazioni sono assunte in buona fede.
Spesso, anzi, nel quotidiano agire degli uffici, quello
che appare dominare è la tendenza a evitare faticose opere di riesame (ad es., su pp.vv.cc. che pure appaiano
obiettivamente minati da vizi formali o di merito) e a
concentrare la propria energia produttiva solo sulle attività che permettono di raggiungere il budget fissato a livello aziendale.
E questo non può essere consentito.
Questo è un aspetto esemplare di quanto può essere
utile la politica, intesa come guida strategica all’attività
5. Cosa si aspetta il contribuente, cosa si aspetta l’ordinamento stesso, da un’amministrazione finanziaria che
abbia un’ispirazione etica nella sua azione?
La prima aspettativa, come detto, attiene al rigoroso
rispetto della legge nella propria azione, senza che valori
extralegali vengano sostituiti o introdotti4.
Le altre, che non sono che un corollario della prima,
attengono alla esecuzione inmediata delle sentenze, alla
capacità di dialogo con il contribuente (artt. 10 e 10-bis
dello Statuto dei diritti del contribuente, e nuove forme
di compliance), alla capacità di riesaminare e rivedere i
propri atti, alla capacità di condurre le procedure “concordate” assumendo posizioni giuste e imparziali, non
influenzate dal timore delle responsabilità interne5.
Sul tema, Gioé, Profili di responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Padova 2007; nonché Rossi P. (a cura di), La responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Milano 2009,
volume collettaneo nel cui ambito diverse ipotesi di responsabilità
dell’amministrazione finanziaria sono accuratamente vagliate.
Si ritrova questa aspirazione, in termini testuali, nel bel contributo di Coelho Pasin, Derecho tributario y etica, Buenos Aires
2010, 180.
5 In una parola, l’amministrazione etica è quella che assicura la
soddisfazione del diritto ad una buona amministrazione, su cui vs.
Pierro, Il dovere di informazione dell’amministrazione finanziaria,
Torino 2013. Forse al clima ambientale sereno allude la curiosa
espressione “benessere organizzativo” che compare, a proposito delle
Agenzie fiscali, nel comma 3 dell’art. 4-bis del d.l. n. 78 del 2015 sugli enti locali, come convertito dalla legge n. 125 del 6 agosto 2015.
dell’amministrazione, ad esempio inserendo le attività di
riesame, che pure sono “passività” in senso aziendalistico,
tra quelle che, se ben condotte, concorrono al raggiungimento del target e giustificano l’utilizzo del budget.
Credo che questa sia anche la chiave per spiegare
quando, nei confronti dei contribuenti o dei terzi, l’amministrazione finanziaria sia chiamata ad una responsabilità risarcitoria3.
4
3
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 33
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
DOTTRINA
‘Etica’ e ‘interpretazione’ del e nel diritto tributario1
di Marco Versiglioni
I
SIGNIFICATO E CONCETTO DI ‘ETICA’
I.a. Indagine svolta dall’interno del termine (cos’è
l’‘etica’?)
I.a.1. Premessa terminologica. Se si osserva il termine
“etica” alla luce del significante etimologico se ne ricava
il significato di «comportamento consueto (= abitudinario o usuale)».
Altro significante è (il fatto) che nei settori giuridici
di riferimento (ivi compresi quelli storici, filosofici e
teoretici) questo significato è di uso comune tra gli operatori o gli studiosi, e dunque può ritenersi proprio.
Dalla condivisione di questi significanti e di questo
significato consegue, poi, che tale termine è neutro rispetto alla scala valoriale, ossia né buono, né cattivo, né
giusto, né ingiusto, né positivo, né negativo. Insomma,
l’‘etica’, almeno nella prospettiva giuridica che qui s’intende sviluppare, è cosa ben diversa, e che va tenuta distinta, dalla morale.
D’altro canto, se nei settori giuridici di riferimento
parlare di etica implica fare un discorso sugli usi, i costumi e le abitudini dell’uomo, allora, ai fini dell’individuazione del concetto che si tenterà di illustrare, occorre separare, appunto sul piano concettuale, i comportamenti
usuali di tipo intenzionale dai comportamenti di tipo
innato (escludendo, però, da questi ultimi quelli meramente fisiologici, qui invero non rilevanti, come, ad es.,
la digestione di ciò che si è mangiato).
1.a.2. ‘Etica’ e norma: la normatività. In effetti, nel diritto, anzi proprio nel diritto, rilevano particolarmente i
comportamenti che gli appartenenti a un gruppo sociale
sentono di dover tenere in risposta a segni o accadimenti
che, talvolta, sono già conosciuti da tutti, senza bisogno
di alcuna ulteriore riflessione e che, in altri casi, invece,
possono essere conosciuti soltanto tramite congetture
(umane o predeterminate dalla legge).
Testo della relazione presentata dall’autore al convegno che
l’ANTI ha organizzato sul tema “Etica fiscale e fisco etico” e che si è
svolto in Ancona in data 9 ottobre 2015. Le parole tra ‘apicetti’ individuano concetti elaborati dall’autore, le parole tra «sergentini» fissano concetti tratti dalla letteratura in materia e le parole tra “virgolette” seguono l’uso comune.
1
Del resto, il termine norma evoca il comportamento
normale; perciò l’’etica’, se osservata nel suo futuro, ha
certamente in sé un’attitudine e una forza normativa.
Dunque, il sostantivo è sinonimo di norma e l’aggettivo specifica un particolare tipo di norma giuridica (ossia la ‘norma etica’) o di disposizione giuridica (ossia la
‘disposizione etica’), di cui si dirà meglio qui di seguito.
1.a.3. ‘Etica’ e logica: la ‘normalità etica’. Oltre questo
carattere deontologico, che si svela nella proiezione di sé
nel futuro che l’uomo si attende, l’‘etica’ presenta anche
un carattere ontologico, che si svela, invece, nella proiezione di sé nel passato a essa storicamente contestuale.
L’‘etica’ è, infatti, fondamentale sul versante logicoinferente perché costituisce uno dei (due) tipi del ponte
indispensabile per spiegare e applicare la disposizione,
ossia la normalità.
‘Etica’ e normalità, nello svolgersi nel tempo, sono in
stretta interazione reciproca: ciò che in un certo contesto
storico l’uomo fa normalmente diviene etico e, quasi
nello stesso tempo, ciò che diviene etico fa la normalità.
Ecco, dunque, l’etica normale e la ‘normalità etica’,
ossia il comportamento normale dell’uomo nell’ambiente storico, sociale ed economico in cui vive, ambiente questo, ovviamente in continua evoluzione. Evidente
è il riferimento a ponti logici, noti ai giuristi, quali l’id
quod plerumque accidit, il senso comune, il buon senso,
la diligenza del buon padre di famiglia.
1.a.4. ‘Etica’ e logica: ragionevolezza, retorica e argumentum. Il carattere etico sembra allora il carattere più
idoneo a unificare quel millenario modo di interpretare
che vive ancora oggi sia nella dottrina, sia nella giurisprudenza, in particolare della Suprema Corte di Cassazione, e che, tra l’altro: basa l’applicazione del diritto
sulla ragionevolezza (tipica degli ordini procedurali isonomici); sceglie la soluzione del caso concreto in chiave
retorico-dialettica (estendendo al massimo il ruolo del
contraddittorio); deduce (o giustifica) la decisione mediante l’argumentum (valorizzando particolarmente la
non contestazione).
33
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 34
34
DOTTRINA
I.b. Indagine svolta dall’esterno del termine (cosa non
è l’‘etica’? Cosa c’è oltre l’‘etica’?)
I.b.1 ‘Scienza’ e norma: la normatività. Il contesto in
cui il diritto nasce, vive e muore è influenzato o determinato anche dalla natura e dalle leggi naturali.
Dunque, anche il ripetersi delle cose di natura ha un
valore normativo.
Un dado ben fatto di sei facce lanciato un milione di
volte mostra, oggi, così come avrebbe mostrato al tempo
di Aristotele, circa 166.666 volte la faccia uno e così, parimenti, ciascuna delle altre facce.
D’altro canto, anche chi avesse dimostrato, con cinque ponderosi volumi pieni di argomenti, l’inesistenza
della gravità terrestre, e volesse porre quei volumi su una
mensola idonea a evitarne la caduta a terra, sarebbe comunque (consapevolmente) “obbligato” a trovarne una
che fosse, però, atta a sostenerne il peso.
Dunque, anche il sostantivo ‘scienza’ è sinonimo di
norma e, così pure, l’aggettivo scientifica specifica un
particolare tipo di norma giuridica (ossia la ‘norma scientifica’) o di disposizione giuridica (ossia la ‘disposizione
scientifica’), di cui si dirà meglio qui di seguito.
1.b.2. ‘Scienza’ e logica: la probabilità. Se si muta la
prospettiva di riferimento, se cioè si volge lo sguardo al
passato, allora appare subito evidente che anche la
scienza (così come l’etica) ha in sé un intimo carattere
ontologico.
Segno ne è che l’uomo giuridico, quando s’interroga
su come siano andate le cose che non sono passate sotto i
suoi occhi, se è possibile, ricorre a essa.
In effetti, la scienza offre l’altro tipo di ponte logicoinferente indispensabile per trovare la soluzione del caso
concreto, ossia la probabilità.
Le differenti tipologie di probabilità rilevanti in ambito giudiziario individuate dalla dottrina prevalente e,
soprattutto, dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di
Cassazione sono, in effetti, il prodotto della scienza. Così accade sia per la probabilità quantistica (o frequenziale), sia per la probabilità logica (prevalente).
1.b.3. ‘Scienza’ e logica: razionalità, sillogismo e experimentum. In definitiva, alla concezione del diritto basata sull’etica (intesa come prodotto artificiale dell’uomo)
si contrappone in modo vigoroso, da millenni, la concezione del diritto che pone invece al centro del discorso
ciò che, secondo le scienze, è in natura (intesa come prodotto inartificiale).
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Questa diversa concezione si basa, tra l’altro, sulla razionalità (in luogo della ragionevolezza), sul sillogismo
(in luogo della retorica) e sull’esperimento (in luogo dell’argomento).
Perciò, essa, in ossequio all’ordine procedurale di tipo «asimmetrico», e in netta contrapposizione con la
concezione basata sull’ordine «isonomico», svaluta sia
il ruolo del contraddittorio, sia quello della non contestazione.
II
SIGNIFICATO E CONCETTO
DI ‘INTERPRETAZIONE GIURIDICA’
II.a. Premesse, metodi e tesi tradizionali
II.a.1. Descrizione dei tre elementi strutturali (critici).
In effetti, se, per sintetizzare e semplificare massimamente il discorso, si escludono le correnti di pensiero in
tutto o in parte di matrice scettica, si nota che l’interpretazione giuridica, nelle sue diverse accezioni (filosofiche,
filosofico-giuridiche e teoretico-generali), è stata storicamente oggetto di un acceso dibattito concettuale tendenzialmente duale.
Chi costruisce il concetto di interpretazione giuridica
sulla “razionalità” del ragionamento giuridico da sempre
si contrappone a chi struttura invece il concetto di interpretazione giuridica sulla “spiritualità” del ragionamento giuridico.
Questa dialettica millenaria (riaccesa negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso) si articola su vari elementi strutturali.
L’economia di questo discorso consente di esaminarne tre.
A. In primo luogo, lo scontro, se così si può chiamare, vede opposti due distinti ideal-tipo di uomo giuridico, ciascuno dei quali tende a prevalere sull’altro e a porsi come ideal-tipo generale e assoluto.
B. In secondo luogo, il dibattito segue, dal suo inizio,
la previa adozione di un metodo, comune alle due parti
contendenti, che pone la filosofia a monte dei discorsi
sull’interpretazione giuridica; discorsi che, a cascata, sono poi elaborati a valle dalla filosofia del diritto, dalla
teoria generale del diritto e dalle dogmatiche di settore.
C. In terzo luogo, l’ambiente generale condiviso in
cui il dibattito origina e si alimenta è caratterizzato dalla
nota premessa filosofica che il diritto è, in sé, senza verità
perché, come affermato da Hobbes: «è l’autorità e non la
verità a fare il diritto».
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 35
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
II.a.2. Decostruzione e superamento di tre elementi
strutturali (critici) presenti nella dialettica tradizionale.
A) L’inevitabile compresenza reale di etica e scienza.
Innanzi tutto, la dialettica tradizionale sembra scontare
l’insuperabilità della mera astrattezza, destinata a rimanere tale, del suo ideal-tipo di uomo giuridico; ossia l’irrealtà e l’irrealizzabilità di un uomo giuridico mono
pensante (o tutto etico o tutto scientifico).
In effetti, basta osservare le norme giuridiche esistenti alla luce delle premesse sin qui esposte per ricevere evidenza della reale e inevitabile compresenza nel diritto di
etica e scienza e, anzi, per prendere atto della loro continua interazione.
Pare semmai mancare, nella dogmatica tradizionale,
un modello giuridico in grado di spiegare (e/o regolare)
questo confronto tra due opposte concezioni sia del diritto astrattamente inteso, sia delle sue concrete applicazioni (diritti, obbligazioni etc..).
Perciò, abbandonata l’idea, risalente, di un loro insanabile e imperituro contrasto, e dunque lasciata la via che
conduce a ragionare sull’evoluzione degli ordinamenti allo scopo di individuare quale sia (o sia stato) in un dato
contesto storico l’ideal-tipo vincente e dominante, pare
invece utile tentare di trovare il modello positivo, che c’è,
da cui estrarre le regole e i principi tesi ad assicurare (sul
piano logico e sul piano normativo) la pacifica e paritaria
convivenza ordinamentale di ‘scienza’ e ‘etica’ (senza vinti
e vincitori, senza dominati e dominatori).
B) L’inversione metodologica. La metodica tradizionale (che pone a premessa della teoria dell’interpretazione della norma giuridica concetti propri della filosofia o
della filosofia del diritto) non pare né propria, né utile.
Per un verso, logica vuole che la premessa alla teoria
dell’interpretazione delle norme giuridiche debba essere
ricavata necessariamente, o almeno prioritariamente,
dalle disposizioni giuridiche, dal loro testo, dal loro
contesto, dalla loro natura, dalla loro struttura, dalla loro tipologia.
Per altro verso, al carattere prevalentemente ideale
della filosofia si oppone il carattere prevalentemente pratico del diritto; perciò, mentre può essere assai utile al filosofo indagare la puntualità nella sua pura idea, priva di
dimensione, tutto ciò è invece quasi completamente
inutile nel diritto, laddove la puntualità si concreta utilmente, ogni giorno miliardi e miliardi di volte, nella sua
dimensione pratica approssimata. Anzi, basta constatare
il numero (altissimo) delle attuazioni spontanee del diritto per dedurre da ciò che l’odierno ‘diritto di massa’,
ossia il ‘diritto spontaneo’, costituisce grandissima parte
degli ordinamenti moderni proprio perché prescinde
dall’approssimazione.
DOTTRINA
C) La non attualità del dogma hobbesiano: l’esistenza di ‘diritti con verità’. Se poi si osservano gli attuali ordinamenti giuridici nel loro rapporto con la verità, si nota che oggi, in molti settori del diritto, il dogma
hobbesiano non è più attuale e anzi accade esattamente
l’opposto di quanto affermava Hobbes.
Posti in disparte alcuni casi anormali e ancora in evoluzione, la stragrande maggioranza dei legislatori moderni non può scegliere liberamente il diritto – neppure
nei paesi privi di una costituzione scritta –.
Perciò, oggi, la maggior parte di ciò che è contenuto
in ogni ordinamento giuridico è costituito da disposizioni ‘con verità’, ossia da disposizioni che, diversamente
dalle altre (‘senza verità’), sono valide se vere, ossia se
corrispondenti a parametri che sono loro esterni (costituzionali, comunitari, internazionali etc.) e, invece, sono invalide se false, ossia se non corrispondenti a quei
parametri.
Perciò, è corretto, perché conforme a diritto positivo,
espungere da ogni discorso sull’interpretazione giuridica
l’infinita miriade di “...ismi filosofici” e inserire, invece,
a monte di esso, i fatti e le ragioni (laddove possibile, le
cause) che le disposizioni incorporano, cioè i parametri
interni di confronto che concorrono a determinare la verità (o la falsità) di ogni ‘disposizione con verità’.
II.b. Ipotesi ricostruttiva del concetto di ‘interpretazione giuridica’
II.b.1. Premessa metodologica. Analizzando gli elementi intorno ai quali le disposizioni sono costruite e i
parametri con cui tali elementi “devono” di volta in volta confrontarsi, possono individuarsi diversi tipi di disposizioni e di parametri di confronto.
D’altro canto, esaminando la letteratura in materia
di ragionamenti giuridici interpretativi (o probatori), è
parso sorprendentemente sottovalutato il ruolo che, sia
nell’attività sia nei risultati del ragionare, ha svolto sinora il collegamento tra i tipi del ragionamento giuridico interpretativo e i tipi delle disposizioni suscettibili di divenire oggetto del ragionamento giuridico interpretativo.
In realtà (in specie, in un ‘diritto con verità’), quel
collegamento pare esistere e, anzi, sembra rilevare in termini di efficacia giuridica vincolante; ciò significa che
qualunque tentativo di ricostruzione del concetto di interpretazione giuridica non può prescindere da esso.
In effetti, procedendo nell’ordine, è emerso in primo
luogo che le disposizioni giuridiche possono essere ricondotte a distinti tipi e a distinte tipologie.
35
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 36
36
DOTTRINA
II.b.2. Tipi e tipologie di disposizioni. In primo luogo si
annoverano, per prevalenza quantitativa ordinamentale,
le ‘disposizioni etiche’ (quali, ad. es., quelle che si riscontrano nella disciplina della determinazione della sanzione
tra un minimo e un massimo dati dalla legge, del valore
venale, della grave incongruenza, dell’abuso del diritto, e
così via dicendo). Le ‘disposizioni etiche’ incorporano ‘temi etici’ (di fatto o di diritto), ossia temi i cui significati
mutano nel tempo in funzione dei mutamenti sociali ed
economici del contesto e la cui applicazione implica, anche per questo, il confronto dialettico. Tali disposizioni
sono riconducibili a due distinte tipologie:
‘controvertibili entro limiti certi’ (ad es. la determinazione di una sanzione). Si tratta delle disposizioni aventi
più o infinite soluzioni, tutte giuste anche se diverse tra
loro, perciò accertabili, anche se in via intervallare, mediante ricorso alla discrezionalità interpretativa (o probatoria) nota anche come logica “fuzzy” (= ‘indisponibilità etica intervallare’);
‘controvertibili all’infinito’ (es. la determinazione del
valore venale). Si tratta delle disposizioni prive di soluzioni predeterminate, dunque non accertabili, neppure
in via intervallare, ma solo componibili mediante ricorso alla ‘equità etica’, ossia la ‘reciproca e equi-proporzionale minimizzazione del male’ conseguente all’incertezza,
obiettiva e non accertabile, del testo (=‘indisponibilità
rovesciata’).
In secondo luogo, e in minor misura, si annoverano
le ‘disposizioni scientifiche’ (quali, ad es., quelle che determinano la base imponibile facendo riferimento al numero dei cavalli di un’autovettura o alla superficie di un
terreno, o al grado di parentela). Le ‘disposizioni scientifiche’ incorporano temi scientifici (di fatto o di diritto),
ossia temi in cui significati sono immodificabili o tendenzialmente stabili nel tempo e, in quanto inartificiali,
la loro applicazione non implica, anche per questo, il
confronto dialettico. Tali disposizioni sono riconducibili
a due distinte tipologie:
‘logicamente non controvertibili’ (ad es., le parti di testo che prevedono la somma di due entità numeriche).
Si tratta delle disposizioni che hanno un’unica soluzione
predeterminata dalla legge, priva di arrotondamenti,
perciò sempre accertabile senza alcuna interpretazione
perché in sé (in claris non fit interpretatio = ‘indisponibilità ideale’);
‘in pratica non controvertibili’ (ad es., la disposizione
che considera il numero dei cavalli di un’autovettura come base imponibile del tributo). Si tratta delle disposizioni che incorporano “in pratica” un’unica soluzione
predeterminata dalla legge, ossia una soluzione certamente arrotondata ma il cui arrotondamento è irrilevan-
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
te per il diritto, perciò sempre accertabile in modo puntuale senza discrezionalità giuridicamente significativa
(= ‘indisponibilità pratica’).
II.b.3. Tipi di ragionamento giuridico interpretativo.
Alla luce delle considerazione sopra svolte in ordine alle
differenti identità (rectius: tipi e tipologie) dei ragionamenti giuridici mediante i quali si ricava l’interpretazione giuridica, ora, preso atto delle differenti identità
(rectius: tipi e tipologie) degli elementi da interpretare,
non resta che tratteggiare i segni del collegamento logico e normativo (rectius: del ‘combinamento’) tra tipi di
disposizioni e tipi di ragionamenti interpretativi e così
preparare la conclusione sul significato dei termini interpretazione giuridica e sul concetto di interpretazione
giuridica.
Seguendo l’ordine appena tracciato, per brevità, si limiterà il discorso da un duplice punto di vista. In effetti,
per un verso, si osserveranno i soli ‘materiali’ dell’interpretazione giuridica, non essendo possibile parlare anche dei ‘veicoli’ dell’interpretazione giuridica, ossia degli
atti e dei provvedimenti che trasportano i ragionamenti
giuridici interpretativi. Per altro verso, l’indagine analizzerà il ‘combinamento interpretativo’ al solo, superficiale, livello dei tipi (‘etico’ e ‘scientifico’), senza approfondire quello (per altro confermativo) delle tipologie che a
quei tipi ulteriormente afferiscono.
Assunta questa limitata prospettiva, risalta innanzitutto il ‘ragionamento interpretativo etico’, ossia il ragionamento giuridico che: è assolutamente prevalente
nell’attuazione litigiosa o obiettivamente incerta; è di tipo retorico-dialettico-argomentativo; prescinde dalla
netta separabilità ‘fatto diritto’; è interamente sintetico o
prevalentemente sintetico; implica il contraddittorio e
in generale un contesto procedurale di tipo isonomico;
applica il metodo tipologico della riconduzione per carattere rilevante e/o prevalente; conduce, dunque, ad applicare la norma anche in assenza di corrispondenza piena tra fattispecie astratta e fattispecie concreta.
D’altra parte, specularmente, si presenta il ‘ragionamento interpretativo scientifico’, ossia il ragionamento
giuridico che è assolutamente prevalente nell’attuazione
certa, spontanea o soggettivamente incerta; è di tipo razionale probabilistico; presuppone la netta separabilità
‘fatto diritto’; è interamente analitico; non implica necessariamente il contraddittorio e in generale opera in
un contesto procedurale di tipo asimmetrico; applica il
metodo tipologico della sussunzione; conduce, dunque,
ad applicare la norma solo se vi è piena corrispondenza
tra fattispecie astratta e fattispecie concreta.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 37
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
II.b.4. Teoria. A) Significato e concetto di ‘interpretazione giuridica’. Ora, al fine di scoprire se sussista, e nel
caso quale sia, il ruolo dell’etica nell’interpretazione giuridica, possono, alla luce di queste premesse, ricavarsi sia
il significato, sia il concetto di interpretazione giuridica.
In primo luogo, pare di poter condividere, in linea di
massima, il significato di uso comune, peraltro ricavabile anch’esso con nesso etimologico, secondo cui i termini interpretazione giuridica implicherebbero la spiegazione e l’applicazione del senso della legge.
Ben più complesso pare invece pervenire alla conclusione sul concetto, anche se, in tale ottica, è di ausilio la
ricognizione del confine esterno del discorso.
A questo riguardo, si osserva che il concetto di ‘interpretazione giuridica’ è cosa diversa da quello dei ‘mezzi
di interpretazione’, siano essi legali o umani (ad es., lettera, ratio, telos, analogia, principio generale etc.). In altri termini, il concetto di ‘interpretazione giuridica’ esula e si astrae (nel senso che precede, ancorché possa essere integrato) dalle regole e dai principi presenti negli ordinamenti giuridici vigenti nei singoli paesi (si vedano,
ad es., per l’ordinamento giuridico italiano, l’articolo 12
delle preleggi al codice civile, l’art. 20 del TUR o l’art.
10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente). Del resto, il concetto di ‘etica’ cui si è sopra pervenuti la disegna (o come norma o come logica) quale entità astratta
che ovviamente prescinde dai contenuti positivi e dalle
contingenze nazionali. Dunque, solo un’accezione
dell’‘interpretazione giuridica’ avulsa da tali peculiari
contenuti e contingenze è logicamente adatta a cogliere
(o a cogliere appieno) quale ruolo l’‘etica’ possa svolgere
nell’interpretazione giuridica.
Ciò premesso, occorre ora procedere, senza ulteriore
indugio, verso l’interno del concetto.
L’ipotesi teorica di fondo che si propone è che il nucleo del concetto di interpretazione giuridica consista
proprio nel ‘combinamento’ che l’interprete ‘deve’ operare tra il tipo di disposizione da interpretare e il tipo di
ragionamento da usare per ricavare la norma del caso
concreto.
Poiché il tipo della disposizione esprime il grado di
giustizia, ossia di verità, ossia di efficienza (= efficacia ex
ante; ≈ effettività) che il legislatore-genitore ha dato a essa, ciò implica che ogni disposizione contiene in sé la
‘norma d’uso di sé stessa’, ossia la norma d’uso la cui funzione (=ragione ordinamentale) è trasferire nella norma
del caso concreto lo stesso tipo, o meglio lo stesso grado
di giustizia, di verità, di efficienza, che la disposizione ha
geneticamente in se (in ciò starebbe, sempre secondo
l’ipotesi che qui si prospetta, la ‘proporzionalità dell’interpretazione giuridica’).
DOTTRINA
La ‘norma d’uso di se stessa’, ossia il codice genetico
che ogni disposizione giuridica (giusta, vera, efficiente)
ha in sé obbliga l’operatore del diritto (cittadino o autorità o giudice) a combinare (appunto proporzionalmente) ad essa il tipo di ragionamento che a essa logicamente
corrisponde: ‘disposizione etica’ implica ragionamento
etico; disposizione scientifica implica ragionamento
scientifico (e così via dicendo per le tipologie).
La violazione della ‘norma d’uso di se stessa’ contenuta
nella disposizione determina abuso interpretativo (ossia
sproporzione) e dunque illiceità dell’interpretazione-attività e illegittimità dell’interpretazione-risultato; ciò
consegue alla violazione del metodo (ex lege indisponibile), a prescindere dal merito.
In sintesi, il concetto di ‘interpretazione giuridica’,
intesa come attività dell’uomo giuridico, consiste nello
svolgere un ragionamento giuridico con logica (proporzionata, vincolata, indisponibile) corrispondente al tipo
di logica (di giustizia, di verità, di efficienza) che il legislatore ha codificato nella ‘norma d’uso di se stessa’ che la
disposizione incorpora in sé dal giorno in cui è nata.
Questo accade allo scopo ordinamentale di assicurare
che (nei ‘diritti con verità’) l’estrazione della norma e il
passaggio dall’astratto al concreto lascino immacolato il
tipo di logica (di giustizia, di verità, di efficienza) che alla disposizione ha dato chi l’ha generata. Anche intesa
come risultato, l’‘interpretazione giuridica’ implica concettualmente due diversi tipi (il tipo ‘etico’ e il tipo
‘scientifico’); questa diversità (ossia alternatività = diseguaglianza proporzionale), se conseguente al corretto
uso dell’interpretazione, altro non è che l’esatta proiezione nel concreto della ontologica astratta diversità dei
tipi delle disposizioni da applicare (diversità, questa, peraltro sindacabile, sotto altro punto di vista, rispetto al
parametro di verità con cui le disposizioni debbono confrontarsi). In effetti, l’adempimento delle ‘norme d’uso’
incorporate nelle disposizioni implica, sul piano della
giustizia dei risultati interpretativi, che risultati diversi
siano però proporzionalmente eguali (=equivalenti),
cioè idonei a garantire che a ciascuno sia attribuito il
suo, ossia che, proporzionalmente, siano attribuiti trattamenti diversi a situazioni diverse.
II.b.4. B) ‘Interpretazione giuridica’ e ‘prova giuridica’. Non è possibile dedicarsi al concetto di interpretazione giuridica senza porre almeno un cenno al rapporto che corre tra tale concetto e il concetto di prova dei
fatti giuridici.
Nel diritto, interpretazione e prova sono talvolta distinte e autonome ma sono in ogni caso, per molteplici
ragioni, analoghe (=equivalenti).
37
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 38
38
DOTTRINA
In effetti, in situazioni accertabili (ossia, in presenza
di disposizioni scientifiche o di disposizioni etiche controvertibili entro limiti certi), esse, pur essendo distinte,
hanno entrambe funzione di accertamento della/e soluzione/i predeterminata/e dalla legge; funzione questa,
che esse realizzano servendosi di un ponte logico. Tanto
che entrambe verificano sia la proporzione ‘testo: norma
= fatto noto: fatto ignorato’, sia la proporzione ‘principio
generale: norma = massima di comune esperienza: fatto
ignorato’.
D’altra parte, in situazioni ‘componibili’, ossia ‘non
accertabili’ perché non esistono soluzioni predeterminate dalla legge (‘disposizioni controvertibili all’infinito’),
interpretazione e prova si fondono, perdono la loro
identità e lasciano entrambe posto alla decisione, ossia
alla deliberazione con funzione di composizione. Per
meglio dire, i ‘fatti interpretanti’ e i ‘fatti probanti’ lasciano il posto ai ‘fatti formanti’. In questi casi, la ‘norma
d’uso di sé stessa’ implica che l’attuazione della disposizione in cui essa si trova avvenga senza interpretazione e
senza prova e che debba avvenire, invece, mediante decisione, da assumere in base al ‘canone equi-proporzionale
del male minore per entrambe le parti’ (ossia ai sensi del
canone di ‘equiproporzionalità etica’).
In sintesi, e più in generale, ‘interpretazione giuridica’ e ‘prova giuridica’ sono analogamente rilevanti e tra
loro distinguibili se le norme da applicare sono ‘scientifiche’ o ‘etiche controvertibili entro limiti certi’ e, parimenti, non sono rilevanti e distinguibili tra loro se le disposizioni da applicare sono ‘etiche controvertibili all’infinito’. In quest’ultimo caso, prova e interpretazione perdono entrambe la loro funzione accertativa e si fondono
in un mixtum (nuovo e alieno all’una e all’altra) che è
propedeutico alla deliberazione con funzione compositiva (ossia ‘eticamente equiproporzionale’).
II.b.5. Pratica. Casi esemplificativi dei tipi di interpretazione giuridica. Al fine di fornire qualche elemento
empirico sulla cui base eventualmente testare l’ipotesi
sin qui esposta, vengono di seguito indicati alcuni esempi riferiti a parti di disposizioni costituzionali o legislative tributarie riconducibili ai differenti tipi di interpretazione giuridica sin qui delineati.
Si pensi, ad esempio, all’art. 53 della Costituzione. Il
testo «capacità contributiva» è etico. Perciò, ‘deve’ essere
interpretato con ragionamento giuridico etico. Nella disposizione si trova però anche un testo o meglio un collegamento testuale, tra il termine «tutti» e il termine «loro», che è, invece, di tipo scientifico (biunivoco) e che,
perciò, ‘deve’ essere interpretato con ragionamento di tipo scientifico.
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Se, poi, si considera una disposizione di natura sostanziale, come, ad esempio, l’art. 5 del Tuir n. 917/86,
vi si riscontrano sia parti di testo ‘non controvertibili’,
che impongono, perciò, un’interpretazione scientifica
(«limitatamente al 49 per cento» ... «si intendono per familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado»), sia
parti di testo ‘controvertibili entro limiti certi’, che impongono un’interpretazione etica («avere prestato in
modo ... prevalente...»).
Se, infine, si esamina una disposizione di natura procedurale, ad esempio l’art. 38 del D.p.r. 600/73, in essa
paiono riconducibili al tipo scientifico le parti di testo «a
condizione che il reddito accertabile ecceda di almeno un
quinto quello dichiarato» e «redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta» mentre sembra riconducibile al tipo etico ‘controvertibile entro limiti certi’ la parte del testo «sul contenuto induttivo di elementi
indicativi di capacità contributiva individuato..., mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti,
con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze».
III. Conclusioni
Dunque, l’‘etica’ non è fuori, anzi, è parte importantissima del diritto (sia come materia, sia come strumento).
In effetti, l’indagine, pur sommaria, sembra aver mostrato che, tra le altre cose, l’‘etica’ caratterizza sia un tipo
di disposizioni giuridiche, sia un tipo di ragionamenti
giuridici, sia un tipo di ‘interpretazione giuridica’, sia un
tipo di ‘prova dei fatti giuridici’. Si è anche avuto modo
di intuire che l’‘etica’ esercita questa sua enorme forza
specificante su una vasta serie di concetti propri del diritto (giustizia, certezza, efficacia, efficienza, effettività,
indisponibilità, normalità, normatività, proporzionalità, equità...,); concetti, questi, che sono tutti riconducibili al concetto, anch’esso tipologico, della verità, del e
nel diritto.
L’‘etica’ svolge poi una funzione delicatissima e vitale
per l’ordinato convivere dei consociati, sia che la si osservi nella sua statica, sia che la si osservi nella sua dinamica
e, in quest’ultimo caso, sia che si volga il pensiero al passato che non si è avuto modo di conoscere, per conoscerlo, sia che si volga il pensiero al futuro che s’intende prefigurare, per farvi affidamento.
Forza specificante e funzione, queste, che, tuttavia,
in ogni ordinamento giuridico non sono proprie soltanto dell’‘etica’, ma sono proprie anche della ‘scienza’.
Così, pensare a un conflitto tra le due è cosa normale.
In realtà, a ben vedere, almeno da un punto di vista
strettamente giuridico, il conflitto tra ‘etica’ e ‘scienza’
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 39
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
che è stato tramandato in continuità storica dai tempi
della filosofia in poi pare non soltanto evitabile ma anche
positivamente evitato dalle attuali disposizioni giuridiche
‘con verità’ le quali indicano (rectius: devono indicare),
caso per caso, quando debba entrare in gioco l’una ovvero l’altra, in modo che esse, se tali indicazioni sono rispettate, possano convivere pacificamente, rilevando ciascuna di esse solo nel proprio ambito di competenza.
In effetti, le disposizioni giuridiche ‘con verità’ possiedono dalla nascita, come se fossero cellule, un loro codice genetico, un loro DNA, che le distingue e le identifica, che ne spiega l’essere e che ne regola l’uso.
La violazione di tale codice (ossia la violazione della
‘norma d’uso di se stessa’ che ogni diposizione giuridica
DOTTRINA
incorpora) implica sia abuso nell’attività (=illiceità), sia
abuso nel risultato (illegittimità).
Ciò avviene per violazione del metodo interpretativo
(ossia per uso sproporzionato dell’‘etica’ o della ‘scienza’), dunque prima, e a prescindere, dal merito dell’interpretazione (e dall’uso dei ‘mezzi di interpretazione’).
Così le sanzioni che l’ordinamento commina all’illiceità dell’agere e all’illegittimità dell’atto testimoniano il
carattere antiabusivo della funzione (=ragione ordinamentale) delle ‘norme d’uso’, che sono infatti incorporate nelle disposizioni giuridiche proprio al fine di evitare
gli abusi, ossia, prima di tutto, al fine di assicurare che
sia la verità della legge, e non il singolo o l’autorità, a fare
la verità del caso concreto.
39
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 40
40
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
L’etica del legislatore e la certezza del diritto (*)
di Gaetano Ragucci
1. Premessa
Il titolo della relazione che mi è stata affidata – L’etica
del legislatore e la certezza del diritto – rende opportuno
delimitarne, e, data l’ampiezza, meglio sarebbe dire limitarne, l’oggetto.
Si parla di etica, che intenderò non nel senso di comportamento abituale bensì di scienza di tale comportamento, dunque come sinonimo di morale. Si propone il
binomio legge e diritto, che non sono la stessa cosa, e
che vorrei perciò considerare dal comune punto di vista
dell’interpretazione.
Del resto, quando si pensa alla moralità della legge –
e qui mi riferisco alla legge in senso formale, lasciando
per ora da parte la trama di principi e valori su cui poggia la dimensione costituzionale del tributo – occorre tenere presente che essa soccombe all’obiettivo di un’azione amministrativa efficiente. Chi è chiamato a obbedire
alla legge, è nello stesso tempo assolto da ogni libero esame, e dalle responsabilità morali conseguenti. È come se
lo Stato prendesse su di sé le colpe per trasformarle in
azione efficace, o, se non efficace, inevitabile. Né potrebbe essere altrimenti, perché se così non fosse la “macchina” statale cesserebbe di funzionare.
Sposterò allora l’attenzione sul diritto, inteso come
l’insieme di norme coattive che è il prodotto dell’interpretazione. E partirò dall’idea che alla domanda di giustizia a cui l’interprete cerca di dare risposta è sempre
presupposta una particolare concezione del diritto. Diversi sono i fondamenti che possono sostenerla – la natura dell’uomo, l’accordo o l’utilità per la maggioranza
dei consociati – e a ciascuno di essi corrisponde un modello metodologico dell’interpretazione1, nel quale il
ruolo dell’etica può variare anche di molto.
Cercherò di indicare le principali opzioni teoriche
che si offrono all’interprete, ma il punto che vorrei evidenziare subito è che, se c’è un approccio in cui l’etica
non ha un ruolo, è quello proprio delle concezioni di
ispirazione egoistica, perché fondate sulla convinzione
che, di fronte a un ordinamento che persegue fini di effi(*) Testo della relazione letta al convegno Etica fiscale e Fisco etico, organizzato in occasione del XXXIII Congresso nazionale dell’ANTI – Associazione Nazionale dei Tributaristi Italiani, in Ancona
il 9 ottobre 2015.
cienza, l’individuo è a sua volta guidato dall’interesse
personale, e non da un’idea di virtù che la legge non riflette; eppure non è detto che in queste concezioni la
certezza del diritto cessi di avere rilevanza, anzi. Si potrebbe allora cominciare con il dire che tra morale e certezza del diritto non c’è un legame logico necessario: ed
è questo uno dei risultati a cui conduce la riflessione sul
tema che mi è stato affidato.
Inoltre, quando si volge lo sguardo al diritto positivo,
il rapporto tra morale e certezza del diritto va precisato
nell’ambito della teoria dell’interpretazione giuridica, intesa come attribuzione di un significato (la norma) a un
enunciato legislativo. L’interpretazione non dipende solo
dall’applicazione di tecniche appropriate, ma in un certo
modo anche dai dogmi e dai valori accolti dall’interprete.
E può accadere che la norma individuata attraverso appropriate tecniche di interpretazione contrasti con l’idea
di giustizia. Qui è la fonte di una tensione caratteristica,
che è stata all’origine di una significativa evoluzione del
concetto di certezza del diritto. Anche questo aspetto
merita di essere evidenziato, perché offre la chiave interpretativa di uno dei fattori di crisi della teoria giuridica
dell’imposta di fronte alla quale tutti noi ci misuriamo.
Dunque, per svolgere il tema proporrò (senza alcuna
pretesa di completezza, e ben consapevole della sommarietà dei riferimenti a cui mi capiterà di ricorrere) alcune
riflessioni focalizzate sul diritto tributario. E mi limiterò
a indicare: a) le opzioni teoriche implicate dal tema della
certezza; b) due esempi: la prevalenza del diritto europeo
sul giudicato tributario interno, e le sentenze di accoglimento delle questioni di costituzionalità che dispongono pro futuro; c) il divieto di abuso. Seguiranno d) le
conclusioni, dirette a conferire per quanto possibile un
senso compiuto a quanto mi accingo a illustrare.
2. Le opzioni teoriche
La teorizzazione della certezza come “specifica eticità
del diritto” risale alla fase degli studi seguita al doppio
evento bellico che ha occupato la prima metà del secolo
scorso, ed è stata considerata il risultato della proposta di
restaurazione del diritto di natura, come rimedio alle degenerazioni provocate dall’avvento dello Stato totalitario.
La difficoltà di impostare il tema negli stessi termini
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 41
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
nell’attuale stato di cose è tuttavia ben espressa nel saggio
di Massimo Corsale a commento dell’opera di Lopez de
Onate, che di quell’epoca è stata tra le più note espressioni: “troppo decisivi sono ormai i risultati che in più di mezzo secolo – l’osservazione risale agli ultimi anni ’60 – di
critica al concettualismo e al positivismo legalistico sono stati
raggiunti, per non respingere la pretesa che la legge possa
esaurire il campo delle fonti di produzione giuridica”.
Il punto di svolta si è avuto con l’acquisizione che il
nodo principale del problema è il rapporto non tanto con
un ideale di giustizia, quanto piuttosto con il giudizio
che si compie nel processo, inteso come espressione culminante dell’esperienza del diritto. Con ciò, la certezza
ha perduto la qualità di valore, e il problema si è spostato
sul piano dell’interpretazione, e sull’incidenza di elementi extralegali nella formazione del giudizio. Si è così fatta
strada l’idea che la certezza del diritto sia recuperabile
nella rispondenza della sentenza alla realtà sociale, concepita come deposito di valori normativi, di attese e convinzioni della coscienza comune, capaci di disciplinare
l’apporto creativo dell’interprete. Perciò, essa non è più
attributo della regola, ma coincide con la conoscibilità e
prevedibilità del diritto della parte che lo invoca, che l’interpretazione opportunamente orientata è in grado di assicurare. Seguendo questa via, si può arrivare a ridurre la
certezza a valore “debole”, subordinato a istanze sociali ed
economiche sempre in grado di prevalere.
Immediata l’obiezione, non altrettanto l’individuazione di un’alternativa appagante. È cioè subito evidente
che codesta stabilità di riferimenti è il prodotto – ricorro
a espressioni che furono dell’Allorio, che di quell’epoca
fu testimone – di un “ambiente socialmente e civilmente
maturo”, perché estraneo a diffuse avversioni al cambiamento, come a spinte verso il sovvertimento sociale.
Che così non fosse poteva forse temersi allora; oggi, il
pensiero è a una società “liquida” esente da quelle tensioni, e che tuttavia vede aumentare si può dire ogni giorno
la propria capacità di azione, ma nello stesso tempo anche la propria fragilità a fronte di dinamiche che la sovrastano. Difficile attendersi da questa realtà fondamentalmente instabile la promessa certezza della regola di diritto. Quale, tuttavia, la soluzione?
L’interrogativo è di quelli che non consentono risposte univoche. È perciò utile rievocare sia pure per sommi
capi i principali approcci alternativi, tra i molti e molto
articolati che sono stati proposti. L’idea è che l’ordinamento assicuri la certezza del diritto, pur declinata in
termini di mera prevedibilità delle condotte future dei
decisori, quando produce effetti equivalenti a quelli prescritti dalla dottrina che la riferisce alla regola giuridica.
E che quando la qualità delle leggi non assicuri questo
DOTTRINA
risultato, sopperiscono la consapevolezza della dimensione politica dell’interpretazione giuridica, e l’opzione
per un ordinamento giuridico efficiente.
a) Nella prospettiva giuspositivistica, non è in discussione che la garanzia della certezza del diritto stia nella
struttura morale della società, nella quale il diritto è
chiamato a operare. È però necessario che essa sia declinata a ogni livello dell’esperienza giuridica come certezza della vigenza della regola, attraverso il rifiuto di dottrine che legittimino la disapplicazione della legge in nome di un principio di giustizia che non abbia trovato riconoscimento in essa; come certezza della durata della
regola, attraverso l’espunzione dall’ordinamento di norme rigide, e di clausole di retroattività; infine, come certezza della sufficienza e del significato della regola.
Quest’ultimo requisito implica una ferma censura
delle tecniche di interpretazione funzionale, progressiva
e correttiva, che sin dagli anni ‘70 dello scorso secolo si
sono venute affermando sulla scia delle dottrine che
concepiscono la certezza del diritto come rispondenza ai
principi e valori accolti dalla società. Un problema analogo si pone oggi per l’interpretazione secundum constitutionem compiuta dal giudice comune.
Quando abbia a oggetto regole di rango diverso, v’è
uno stretto legame tra gli argomenti sistematico e teleologico, che l’opzione positivistica non rifiuta a priori. E,
in effetti, un’interpretazione di questo tipo è eseguita
dalla Corte costituzionale nella fase accentrata del controllo di costituzionalità, al fine di conformare il diritto
vivente al vincolo costituzionale, o, in mancanza di diritto vivente, per conformarvi indirizzi interpretativi in
via di composizione. Ed è eseguita anche dal giudice remittente nella fase diffusa del controllo, in cui egli valuta
la non manifesta infondatezza della questione, se ne è il
caso anche in contrasto con il diritto vivente. Il fatto è,
però, che talvolta i giudici ricorrono all’interpretazione
adeguatrice anche senza sollevare la questione di costituzionalità, ed è qui che il problema si manifesta.
L’eventualità si espone a critica per i dubbi che può
generare sulla sufficienza e sul significato della regola, e
vanifica l’affidamento dei cittadini nella sicurezza delle
posizioni giuridiche di vantaggio, che il diritto vivente
riconosce e protegge. Tanto più che la sentenza vale inter
partes, e ha perciò un’incidenza indiretta sull’azione
dell’amministrazione finanziaria, che per fare valere le
proprie ragioni non deve ricorrere al giudice. Da qui viene, se ci si pensa, la diversa capacità di penetrazione nel
diritto vivente dei precetti ricavati dalla giurisprudenza
del c.d. divieto di abuso (che tutti ricordano travolgente,
e per certi versi persino incontrollata, sino alla sua recen-
41
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 42
42
DOTTRINA
te codificazione), rispetto per esempio al diritto del contraddittorio, di cui ancora faticosamente si dibatte tra
contrastanti indicazioni della giurisprudenza di legittimità, malgrado goda di eguali, se non più stabili, fondamenti nel diritto costituzionale ed europeo.
b) In altra prospettiva, la certezza del diritto è un
aspetto della separazione tra politica e diritto, e ha fondamento nella legalità dell’amministrazione, e nell’autonomia della magistratura.
Il potere politico esercita sulla legge la sua facoltà di
decisione, nel senso che può abrogarla o modificarla, ma
finché la lascia in vigore non ha modo di controllarne
l’applicazione. L’esigenza è che i titolari di uffici pubblici
non perseguano interessi particolari o arbitrari (e cioè
conformi alle convinzioni di chi li ricopre, più che alla
legge). Perciò, il legislatore si limita a emanare disposizioni di carattere generale, valide per un numero indefinito di casi futuri; specularmente, amministrazione e
giudici non possono produrre norme, perché già conoscono le fattispecie concrete. L’astensione da tali condotte non è richiesta dalla morale individuale, ma è assicurata dal combinato effetto dei principi di legalità e di autonomia della magistratura, come detto.
Tuttavia, le carenze del processo di produzione legislativa hanno l’effetto di attenuare la separazione tra politica
e diritto. L’impegno per un miglioramento della qualità
delle leggi può contenere questo fenomeno, ma l’impossibilità di un ordinamento giuridico linguisticamente
univoco, privo di contraddizioni e di lacune, e sempre in
armonia con i principi e valori della costituzione, fa in
modo che non esista norma giuridica che all’atto pratico
non sollevi dubbi, che il giudice è tenuto a risolvere. Viene perciò meno la neutralità politica del giudizio, perché
sono sempre possibili interpretazioni innovative o capaci
di effetti che vanno al di là di quelli voluti dalla legge.
Ciò non rende l’ordine giudiziario un potere politico, nella misura in cui chi decide opera nell’ambito delimitato dalla legge, non persegue scopi propri, né dipende dal consenso sul suo operato. E, per quanto qui rileva, priva di consistenza le critiche mosse alle interpretazioni giudiziali che pongono rimedio a un dettato legislativo carente, sotto il profilo del pregiudizio alla separazione dei poteri. La critica, semmai, può investire il
modo in cui tale funzione si esplica, quando implichi un
sacrificio dell’esigenza di sicurezza e di stabilità dei rapporti giuridici, di cui il canone della certezza è la sintesi.
c) Al realista la democrazia può anche apparire come
un sistema di competizione per dirigere il potere monopolistico dello Stato, di cui la Costituzione fissa le regole.
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Qui l’offerta degli attori politici incontra la domanda di
protezione giuridica dei gruppi di interesse, e lo scambio
è assicurato da meccanismi costituzionali capaci di renderlo vincolante e stabile nel tempo. In questa logica, la
certezza del diritto è indispensabile nell’ambito dei diritti
individuali, al di fuori del quale può entro certi limiti essere surrogata da istituti di promozione della compliance,
e cioè di accordi cooperativi tra i soggetti interessati.
I diritti, invero, sono fattori di riduzione dei costi
decisionali di una comunità di individui egoisti, che si
propone di curare interessi collettivi. Lo si osserva in
primo luogo sul piano legislativo, ove è evidente che se
la Costituzione non garantisse diritti inviolabili, i partecipanti al patto costituzionale dovrebbero cautelarsi invocando la regola dell’unanimità su ogni singola legge,
perché solo così si proteggono dal rischio di prevaricazioni della maggioranza. Ma lo stesso è per le decisioni
di ogni autorità (amministrativa e giudiziale) la cui attività si esplichi secondo particolari procedure. In questa
ottica i diritti funzionano come limiti alle decisioni collettive e individuali, e sono strumento del corretto funzionamento delle istituzioni.
Inoltre, nel “mercato delle leggi” le norme giuridiche
sono efficienti nella misura in cui realizzano gli obiettivi
che perseguono, con il minimo dispendio di risorse. Una
norma incerta è, allora, inefficiente perché lascia le parti
interessate nella convinzione di potere ottenere dal conflitto benefici maggiori dei costi del giudizio. Da questo
punto di vista è senz’altro vero che un recupero di efficienza si può avere attraverso istituti di promozione della
compliance, ma va tenuto presente che questi non sono
sempre neutrali rispetto alla funzionalità complessiva del
sistema. Tale è per esempio l’istituto che consenta di eliminare incertezze sul significato e l’ambito di applicazione della legge (interpello). Ma lo stesso non si può dire
per gli istituti che, a fronte di una regola obiettivamente
incerta, rendono economicamente più vantaggioso l’accordo concedendo sconti sulle sanzioni (adesione, mediazione, reclamo, conciliazione). Con la preclusione al
giudizio viene meno un fattore di autocorrezione del sistema di produzione normativa, che resta abbandonato
alla deriva del mero calcolo di convenienza.
Al termine di questa rapida rassegna non è evidentemente possibile scegliere l’una o l’altra delle dottrine rievocate, né accedere a una sintesi. Lo impediscono la
complessità e l’eterogeneità degli argomenti e delle questioni sottese, e in fondo anche la vastità del problema
della certezza del diritto in sé considerato.
Dirò solo che, sciolto il legame con l’etica, il problema della certezza vive per così dire di vita propria, e, de-
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 43
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
purato anche dal sospetto che trovi esclusivo fondamento
in premesse ideologiche, si converte nel problema della
separazione tra politica e diritto, nonché dell’efficienza
delle leggi e della compliance tra parti che perseguono interessi contrapposti. Si tratta di profili non secondari, vicini alla logica delle riforme a costo zero di cui in tempi
di ristrettezze economiche tanto si parla. In questa prospettiva, liberi dai vincoli imposti da un principio della
separazione dei poteri rigidamente inteso, possiamo solo
auspicare l’attuazione per via giudiziale di quella che,
non potendosi più identificare con l’etica del legislatore,
nell’attuale assetto delle istituzioni può invece coerentemente essere concepita come una “politica della legalità”.
In effetti, il senso di quanto sin qui detto è che nell’attuale stato della legislazione – di quella tributaria in
particolare – la presenza di un sufficiente grado di certezza del diritto non si può assumere a priori, ma dipende dagli atteggiamenti dei consociati. Una volta riconosciuta l’adeguatezza delle tecniche autoritative ad assicurare il coordinamento dell’agire comune, a garantirne la
regolarità, e perciò l’ordine e la stabilità sociali, concorre
l’impegno dell’interprete a “valutare, dovunque possibile,
le fattispecie concrete con norme generali preesistenti, anziché caso per caso”.
Il tema è allora l’opportunità di quello che è stato opportunamente definito un impegno rigorista, che, a
fronte della possibilità che la ricerca dell’interpretazione
ottima sia causa di discontinuità pregiudizievoli per la
regolarità dell’agire sociale, si esprima anche in un self restraint dell’interprete (che non implica una rinuncia al
rilievo politico della sua funzione, sì una graduazione
dei mezzi in cui esso si esprime). E quando ciò non bastasse a giustificarlo, allora soccorre la possibilità di equi
accordi cooperativi, a cui sarebbe però bene provvedere
senza compromettere la reciproca controllabilità delle
condotte degli interessati che si attua anche attraverso
l’intervento del giudice.
3. Due esempi: la prevalenza del diritto europeo sul
giudicato; le sentenze della Corte costituzionale
che dispongono pro futuro.
Ciò detto sulla dimensione teorica del problema della certezza del diritto, per conferire consistenza al discorso occorre dire brevemente come esso si sia posto, e sia
stato poi risolto nella giurisprudenza tributaria più recente. Anche qui converrà limitarsi a brevi spunti, funzionali alla illustrazione dei limiti che il valore della certezza incontra, quando viene a confronto con istanze
concorrenti.
DOTTRINA
a) Se ci si riferisce alla sentenza, l’esigenza della certezza della vigenza della regola implica anche l’esclusione della proponibilità di eccezioni contro il giudicato. È tuttavia
un fatto che negli ultimi anni l’intangibilità del giudicato
tributario è stata messa in discussione quando contrasti
con sopravvenute regole comunitarie imperative.
La Corte di Giustizia ha sempre affermato che in genere il diritto dell’Unione non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme interne che attribuiscono
forza di giudicato a una sentenza, neppure quando ciò
permetterebbe di porre rimedio a una situazione di contrasto con tale diritto. Fanno eccezione le decisioni in
cui è stato stabilito che il diritto comunitario osta all’applicazione dell’art. 2909 cod. civ., nei limiti in cui impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto
con esso; e quando impedisce al giudice investito di una
causa in materia di IVA di prendere in considerazione le
norme comunitarie in materia di abuso. Da qui la necessità di una generale rimeditazione della regola dell’intangibilità del giudicato, che non ha peraltro carattere assoluto (artt. 395, e 404 c.p.c.).
Il fondamento della disciplina del giudicato segue le
limitazioni che la giurisprudenza ha posto al potere del
legislatore di disporre per il passato, ed è perciò identificabile nei principi di ragionevolezza, eguaglianza, affidamento, indipendenza dei giudici, che trovano la propria
sintesi nella certezza del diritto. Anche la protezione dalla legislazione posteriore retroattiva è esposta al bilanciamento, e può cedere quando la regola retroattiva sottenda valori più meritevoli di tutela. Dunque la certezza
connessa alla stabilità dei rapporti oggetto dell’accertamento giudiziario ha un valore relativo, anche se il fatto
che il suo superamento possa venire a opera della Corte
costituzionale all’esito del bilanciamento di valori a essa
riservato esclude che il sacrificio possa essere assoluto.
Allo stato, la questione è stata decisa nella logica di un
adeguamento al diritto europeo che a quanto consta non
ha ancora ricevuto l’avallo della Corte costituzionale. Per
la dottrina, quando il giudicato si scontra con una sentenza resa dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale si verifica una situazione simile all’introduzione di una legge di interpretazione. Si propone quindi di
fare valere la dottrina dei controlimiti a fronte di una “interpretazione giudiziale” autentica del diritto europeo,
parificabile a uno ius superveniens retroattivo. E se ne deduce che la sentenza della Corte è sottoposta ai medesimi
limiti che questo incontra sotto il profilo dei giudicati
nazionali, con conseguenze che, allo stato, non consentono di individuare i casi in cui il giudicato non le ceda.
In astratto, ciò potrebbe avvenire a fronte di regole
dirette a incidere su situazioni concrete già oggetto del
43
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 44
44
DOTTRINA
giudicato, per modificarle in maniera diretta ed esplicita. Si tratta di eventualità che si sono verificate nell’ordinamento interno, ma difficilmente ipotizzabili per le
sentenze della Corte di Giustizia, le quali sono pertanto
destinate a prevalere in ogni caso.
b) Se la regola espressa dall’art. 136 Cost., per cui le
norme dichiarate incostituzionali cessano di avere efficacia erga omnes dal giorno successivo alla pubblicazione
della sentenza di accoglimento, concorre alla disciplina
dell’efficacia della legge nel tempo, allora le sentenze che
la Corte Costituzionale ha voluto disponessero solo pro
futuro entrano in conflitto con l’esigenza della certezza
della durata della legge. È infatti comunemente accettato che la Corte possa graduare gli effetti delle proprie
sentenze di accoglimento; ma quando si abbandona il
principio che quando una legge è illegittima lo è dall’origine, e che la retroattività delle sentenze della Corte possono trovare limite solo nell’esigenza di assicurare la stabilità dei rapporti esauriti, la via è aperta a una serie illimitata di variazioni sul tema.
Nella sentenza n. 10/2015 è stato detto che la regola
dell’efficacia retroattiva delle sentenze della Corte non
subisce solo i limiti imposti dalla presenza di “rapporti
esauriti”, la cui tenuta è corollario della certezza del diritto. Infatti, “come il limite dei «rapporti esauriti» ha origine nell’esigenza di tutelare il principio della certezza del
diritto, così ulteriori limiti alla retroattività delle decisioni
di illegittimità costituzionale possono derivare dalla necessità di salvaguardare principi o diritti di rango costituzionale che altrimenti risulterebbero irreparabilmente sacrificati”. In questi casi, l’individuazione di tali principi o diritti è ascrivibile all’attività di bilanciamento che spetta
alla Corte di compiere.
Su tali presupposti la Corte ha, come noto, compiuto
un bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 3 e 53 Cost.,
quali parametri che avevano condotto alla dichiarazione
dell’illegittimità della c.d. Robin Tax, e per i commentatori implicitamente anche dell’art. 24 Cost., e il principio del pareggio di bilancio ricavato dall’art. 81 Cost..
Infatti, “l’impatto macroeconomico” delle restituzioni
dei versamenti eseguiti prima della dichiarazione di illegittimità della norma avrebbe causato uno squilibrio di
bilancio di entità tale da rendere necessaria una manovra
finanziaria aggiuntiva. Ne sarebbe potuta derivare una
“irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio
di quegli operatori economici che [potevano] avere invece
beneficiato di una congiuntura favorevole”, con pregiudizio delle esigenze di solidarietà incompatibile con gli
artt. 2 e 3 Cost.. A ciò si sarebbe poi aggiunta una disparità di trattamento rispetto agli operatori che avevano
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
traslato l’onere del tributo sui consumatori finali, con
pregiudizio degli artt. 3 e 53 Cost..
Da qui, la limitazione degli effetti della sentenza di
accoglimento solo per il futuro, ritenuta più adeguata a
una garanzia della Costituzione intesa come un tutto
unitario, tale da assicurare “una tutela sistemica e non frazionata” di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione. Che, però, una legge incostituzionale possa conservare medio tempore validità in dipendenza da una
ponderazione di valori riservata alla Corte, implica una
involuzione del connotato della certezza della regola di
diritto. A questa stregua, se in futuro il gettito di un tributo inciderà significativamente sull’equilibrio del bilancio la Corte negherà la retroattività, e la concederà invece per tributi incapaci di questo effetto. Inevitabile
chiedersi in che modo l’interprete potrà prevedere quale
dei due regimi sia applicabile al caso che lo occupa.
Non è difficile riconoscere la linea di continuità che
lega gli esempi che si sono appena indicati. Essi segnalano i limiti e le modalità di compromissione della certezza del diritto sotto due profili che si aggiungono a quello
esaminato all’inizio dell’intervento, e che come detto riguardano la vigenza e la durata della legge.
Inoltre, rendono evidente che si è ormai accettata la
possibilità che l’esito del bilanciamento segni la prevalenza di istanze che vengono dall’ordinamento europeo,
e che riguardano il corretto funzionamento del mercato
unico dal punto di vista della rimozione dei c.d. aiuti di
stato, e del funzionamento dell’imposta comune sui
consumi (abuso del diritto). E, con esse, di istanze di
equilibrio dei conti pubblici, riconosciuto come garanzia dei diritti sociali tutelati da un sistema di welfare sostenibile. Si tratta di vincoli a cui per ragioni diverse si
fatica a riconoscere una piena dignità costituzionale, e
che ciò non di meno sono stati giudicati capaci di incidere negativamente sulla certezza del diritto.
L’impressione è tuttavia che, se adeguatamente contestualizzati e circoscritti, i risultati a cui si è pervenuti
imboccando queste vie non si prestano a generalizzazioni in danno al valore della certezza, che ne viene ridimensionato in talune applicazioni pratiche, ma certamente non espulso dall’ordinamento che aspiri a conformarsi al modello di uno Stato di diritto.
4. L’abuso del diritto
Non meno importante di quanto sin qui detto sulle
esigenze di certezza della regola, è la necessità di certezza
del comportamento regolato, quindi della posizione giu-
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 45
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
ridica del soggetto passivo dell’imposta (sia essa da qualificare come diritto soggettivo, o in altro modo, non
importa precisare). Il punto è importante, perché può
accadere che la certezza guadagnata su di un versante sia
poi perduta sull’altro.
Assume a questo proposito un valore esemplare – una
volta che si attribuisca alla norma una natura sostanziale e
non procedimentale – la nuova disciplina dell’abuso del
diritto, contenuta nell’art. 10-bis n. 212/2000, per la quale danno corpo all’abuso “una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”.
All’ovvia considerazione che con essa vengono meno
molti problemi generati dalla clausola di origine giurisprudenziale che la ha preceduta – e così il problema dell’individuazione della base giuridica del divieto, e della
definizione del suo ambito di applicazione – con indubbio guadagno sul versante della certezza del diritto, va
aggiunto che, ciò non ostante, lascia aperta una questione fondamentale.
Infatti, riferito al nesso tra abuso del diritto e giustificazione delle posizioni giuridiche di vantaggio, l’art. 10bis dello Statuto implica la messa a sistema di una caratteristica che sinora era stata oggetto di discussione soprattutto al di fuori dell’ordinamento tributario. Alludo
alla questione se le posizioni giuridiche di vantaggio siano attribuite da disposizioni normative per uno o più
scopi determinati, e cioè per soddisfare uno o più interessi dei soggetti che ne sono titolari, oppure lo siano per
sé stesse, come delimitazione dell’area d’insindacabile
autonomia del contribuente.
Da questo punto di vista l’art. 10-bis presuppone
che, se la posizione di vantaggio riconosciuta dalla legge
tributaria non è esercitata per realizzare lo scopo o gli
scopi dell’attribuzione, gli effetti che produce possono
essere disconosciuti. Infatti, il suo esercizio in maniera
conforme alla formulazione linguistica della norma che
la riconosce può rivelarsi contrario al diritto oggettivo,
perché non riconducibile alle ragioni dell’attribuzione.
Di fronte a simili eventualità, la capacità dell’enunciato normativo di indicare con sufficiente determinatezza le condotte che sono esercizio della posizione di
vantaggio viene meno. Di contro, intere classi di casi regolati in base a tale segno possono essere sottratte alla disciplina positiva a opera di un interprete qualificato
(l’amministrazione), per la presenza o l’assenza di uno o
più elementi, in ragione di quella che si presenta come
una riduzione teleologica richiesta dall’ordinamento.
È dunque prevedibile che la concezione della posizione giuridica del contribuente sottesa all’art. 10-bis L.
n. 212/2000 finisca per influenzare l’interpretazione di
qualunque disposizione tributaria, imponendo all’interprete di colmare anche l’eventuale scarto tra lettera e
scopo della legge. Ne discende il rischio di un’abnorme
dilatazione del concetto di abuso, per la ricorrenza di riduzioni teleologiche tanto ampie da svuotare di contenuto immediatamente percepibile la posizione giuridica, pur formalmente attribuita dall’ordinamento.
Il risultato è all’apparenza paradossale, se si pensa che
l’intervento del legislatore è stato invocato a rimedio della situazione di incertezza generata dai caratteri della
massima giurisprudenziale che lo ha preceduto. Ma si allinea con ben precise premesse indagate a livello di teoria
generale e di dottrina economica sull’ordine giuridico del
mercato, trasferite nel nostro settore in punto di elaborazione della nozione costituzionale di tributo. In prospettiva la posta in gioco è la certezza delle posizione giuridiche di vantaggio del contribuente, e quindi dei comportamenti regolati, pur a fronte di discipline capaci di soddisfare il canone della certezza sotto ogni altro profilo.
5. Conclusioni
Per avviare a conclusione – se una conclusione è mai
possibile – le considerazioni sin qui fatte su argomenti
tanto vasti e articolati, occorrerebbe esplicitare i parametri costituzionali ai quali l’interpretazione delle leggi tributarie si adegua, e delineare in modo coerente l’idea di
tributo che vi è sottesa – ma è compito che non si può
affrontare in questa sede, e che neppure mi compete.
Opto per una conclusione meno ambiziosa, e mi limiterò quindi a proporre una sommaria valutazione dei
tre argomenti del giudicato, degli effetti delle sentenze
della Corte costituzionale e dell’abuso, secondo i parametri, emersi dalla discussione teorica sulla certezza del
diritto, dell’efficienza della regola, e della sua capacità di
favorire accordi cooperativi tra le parti del rapporto regolato. Ne emergeranno differenze forse utili sollecitare
ulteriori riflessioni.
a) La prima osservazione è che la cedevolezza del giudicato nazionale a fronte di una sentenza resa dalla Corte
di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale è neutrale rispetto al parametro valutativo dell’efficienza, perché le
materie nelle quali è stato ammesso (rimozione degli aiuti di stato; funzionamento dell’imposta comune sugli
scambi; equilibrio dei conti pubblici) riguardano la stabilità dell’assetto di istituzioni (nazionali e sovranazionali),
al cui interno l’accordo tra gli operatori è salvaguardato.
Guardata dal punto di vista della capacità di provocare
accordi collaborativi, la regola della cedevolezza torna a es-
45
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 46
46
DOTTRINA
sere neutrale, ma per ragioni diverse a seconda che la si applichi al giudicato interno o esterno: nel primo caso, lo è
perché si limita a inibirne determinati effetti, lasciando
tuttavia intatto l’accertamento giudiziale; nel secondo,
perché la sentenza della Corte è tra gli elementi che concorrono nel calcolo dei costi e dei benefici della promozione del giudizio in cui il giudicato è destinato a non valere.
Diverso il giudizio sugli altri due casi, che mi sembrano da valutare negativamente con riguardo a entrambi i
parametri evocati.
b) La disposizione contraria alla Costituzione è infatti un esempio di regola inefficiente, perché capace di sollevare il più alto tasso di resistenza da parte degli operatori che sia dato immaginare. L’accordo che la ha prodotta non può aspirare alla protezione dell’ordinamento, e il conseguente processo di espulsione è causa di costi che sono a totale danno della collettività.
Sotto altro aspetto, tra le conseguenze della limitazione pro futuro degli effetti delle sentenze di accoglimento v’è che queste non incidono nel procedimento in
cui la questione è sorta, e ciò (oltre a essere una lesione
del diritto della difesa, anzi proprio per questo) è un disincentivo al ricorso a rimedi giuridici per la correzione
di una situazione di ingiustizia che l’ordinamento non
approva, con quali ricadute sull’affidamento del contribuente si può solo immaginare.
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
c) Quanto alla disciplina positiva dell’abuso, occorre
riconoscere che la riduzione teleologica della regola attributiva della posizione giuridica di vantaggio non è
causa di inefficienza, nella misura in cui la sua interpretazione si fondi sull’argomento storico, e abbia perciò riguardo all’intenzione degli autori della legge chiaramente espressa.
Invece la sua capacità di favorire accordi cooperativi
è inversamente proporzionale allo scarto tra l’elenco
delle condotte comprese nella definizione letterale della
fattispecie, e l’elenco delle condotte che, oltre a ciò,
soddisfano anche l’interesse che la regola si propone di
tutelare. Come dire che, in situazioni limite, la massima
efficienza può convertirsi nella minima compliance tra
le parti del rapporto regolato. Con questo genere di interventi si pongono le migliori premesse del fallimento
della politica di collaborazione tra le parti del rapporto
tributario, e in prospettiva all’azione di contrasto della
piaga dell’evasione.
Si tratta di aspetti che non pare utile trascurare, e che
orientano l’interpretazione della legge verso un assetto
connotato da una maggiore stabilità del dato normativo,
anche in un contesto in cui la perdita del legame con
l’etica del legislatore sia compensata da un’acquisita consapevolezza della peculiare dimensione politica del ruolo
del giurista.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 47
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
La giustificazione etica e costituzionale
dei tributi paracommutativi
di Lorenzo del Federico
Premessa
Negli ultimi anni si assiste alla crisi di modelli impostivi che si ritenevano ormai acquisiti e stabilizzati. L’impianto solidaristico dei sistemi tributari, il principio di
progressività, la centralità delle imposte sui redditi ecc.,
subiscono l’impatto di spinte liberistiche che vaticinano
il ritorno alle logica dello scambio nell’imposizione.
Tornano di attualità problematiche che nei Paesi anglosassoni danno corpo al Pay – as – you – government 1,
centrato sul principio del beneficio.
In tale contesto una riflessione sui rapporti tra imposizione tributaria e commutatività nel finanziamento dei
servizi pubblici pone in evidenza: – i confini tra l’area
della fiscalità e quella della contrattualità; – la rilevanza
della categoria dei prezzi pubblici; – la suddivisione tra
servizi pubblici divisibili ed indivisibili; – le peculiarità
dei tributi collegati alla fruizione dei servizi divisibili; – la
modulazione della capacità contributiva nei diversi tipi
di tributo; – la rilevanza della capacità contributiva nelle
forme di prelievo correlate alla fruizione di servizi pubblici essenziali, quand’anche tali prelievi vengano configurati come extratributari.
Il filo conduttore tra queste complesse problematiche può essere rinvenuto nel variegato articolarsi della
capacità contributiva, ma altrettanto significativo risulta
l’equilibrio tra l’autoritatività dell’imposizione tributaria e la libertà negoziale.
Dal punto di vista dell’economia della finanza pubblica le entrate vengono articolate a partire dal prezzo
privato, sino alle imposte, tenendo conto che, al crescere
dell’interesse pubblico e dell’indivisibilità del costo del
servizio ci si allontana sempre più dai criteri di fissazione
dei prezzi analoghi a quelli che si hanno nell’offerta dei
beni e dei servizi da parte dei privati ed acquistano sempre maggior rilievo prelievi di natura coattiva.
È quindi evidente che gli economisti fanno riferimento ai prezzi pubblici per identificare le entrate pubbliche fondate sui principi del beneficio e della contro-
1 V. ad es. The Economist, Pay – as – you – government, September
4th 2015, 26.
prestazione, più o meno caratterizzate dalla divisibilità
del servizio e dall’intensità dell’interesse pubblico, al solo fine di studiarne gli effetti nell’ambito della finanza
pubblica. In tale ottica, ferma restando l’attenzione per i
criteri di determinazione del prezzo, anche le tasse, i
contributi ed i meri corrispettivi privatistici (sia pure in
regime di prezzi amministrati et similia), vengono ricondotti alla categoria dei prezzi pubblici.
Esemplificando il costo dei servizi pubblici può essere coperto mediante la fiscalità generale, e quindi, indirettamente, attraverso le imposte, con le quali si finanzia
indistintamente la spesa pubblica, ovvero mediante
«prezzi» direttamente correlati alla prestazione pubblica.
Dal punto di vista giuridico il problema si pone sotto
diversi profili; ma in questa sede rilevano sopratutto la
giustificazione etica e costituzionale delle varie forme di
imposizione correlate ai servizi pubblici. Sono infatti
pregnanti e significative, sotto molteplici punti di vista,
le differenze tra un regime paritetico di diritto privato,
in cui il «prezzo» si configura come corrispettivo contrattuale, un regime tributario, in cui il «prezzo» si configura come tassa, contributo ecc., ed un ibrido regime
pubblicistico, in cui il «prezzo» si configura come prezzo
pubblico.
Pertanto l’analisi dei rapporti tra imposizione tributaria e corrispettività nel finanziamento dei servizi pubblici viene qui incentrata sui seguenti punti: la giustificazione etica e costituzionale delle varie forme di imposizione; la sussistenza giuridica della categoria dei prezzi
pubblici, delle tariffe ecc.; l’identificazione dei tributi
più propriamente riconducibili al finanziamento dei servizi divisibili.
1. L’interesse per le forme di finanziamento correlate
alla fruizione dei servizi divisibili
Nei vari paesi dell’Unione europea, e non soltanto in
Italia, negli ultimi anni la crisi dell’imposizione sui redditi (personale e progressiva), la rigidità dell’imposta sul
valore aggiunto (fortemente armonizzata dalle direttive
comunitarie), il ridimensionamento dell’imposizione
indiretta sugli affari, i rigori di bilancio imposti dai trat-
47
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 48
48
DOTTRINA
tati comunitari, la concorrenza fiscale fra Stati, il favor
da globalizzazione (prepotentemente ottenuto, sia pure
a fasi alterne, dalle multinazionali e dai grandi operatori
finanziari), hanno costretto le finanze pubbliche a rivitalizzare multiformi meccanismi di prelievo diversi
dalle imposte2.
Si spiega così la ridestata attenzione per i tributi paracommutativi, per le tariffe ed in generale per i prezzi
pubblici, che nell’era del welfare state (ovvero dal secondo dopoguerra sino agli anni 90) erano stati piuttosto
trascurati, dominando politiche fiscali fondate su principi solidaristici e finalità redistributive. La tendenza a
finanziare i servizi divisibili mediante le imposte va attenuandosi, mentre riprendono vigore le forme di finanziamento correlate alla fruizione dei servizi, nella logica
del beneficio e della controprestazione.
Tale fenomeno risulta inoltre accentuato dall’avvento del federalismo fiscale, che sulla base del nuovo titolo
V della nostra Costituzione, negli ultimi anni ha caratterizzato (seppure in modo incompiuto e discutibile) la finanza delle regioni e degli enti locali.
Peraltro, a prescindere dal federalismo fiscale italiano, l’interesse a valorizzare le forme di finanziamento
correlate alla fruizione dei servizi divisibili caratterizza le
più recenti esperienze delle finanze pubbliche nei vari
Paesi dell’Unione europea, non solo per quanto riguarda
le vere e proprie funzioni pubbliche, ma anche, seppure
in via strisciante e altalenante, per quanto riguarda i servizi pubblici e l’ambiente3.
2. Il ridestato interesse per i tributi paracommutativi
(e per i tributi di scopo)
La legislazione finanziaria italiana degli ultimi venticinque anni ha dimostrato la velleitarietà del tentativo di sviluppare l’ambigua fenomenologia dei c.d. prezzi pubblici4.
Il finanziamento dei servizi pubblici resta quindi saldamente ancorato ai due tradizionali e contrapposti sistemi della corrispettività e dell’imposizione. Il sistema della
corrispettività si articola mediante tariffe, canoni, diritti
Ancora una volta v. The Economist, Pay – as – you – government,
September 4th 2015, 26.
3 V. ad es. PITRONE, Would enviromental taxes by any other
name smell as sweet ?, in AA.VV., L’evoluzione del sistema fiscale ed
il principio di capacità contributiva, a cura di L. Salvini e G. Melis,
Padova, 2014, 768.
4 In merito v. DEL FEDERICO, Tasse, tributi paracommutativi
e prezzi pubblici, Torino, 2000, cui si rinvia anche per gli ulteriori
approfondimenti e riferimenti sui vari aspetti delle tematiche esaminate in questa sede.
2
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
ecc., caratterizzati da assetti paritetici e relazioni sinallagmatiche; il sistema dell’imposizione (a fronte dei servizi
pubblici) si articola mediante tasse e contributi, riconducibili alla categoria dei c.d. tributi paracommutativi,
aventi come tratto comune la rilevanza del principio del
beneficio. Sotto questo profilo emergono molteplici
punti di contatto con i tributi di scopo, che possono essere considerati una specie del genere paracommutativo.
È indubbio che nell’ambito del dibattito sulla finanza pubblica sviluppatosi negli ultimi anni, i tributi paracommutativi ed i tributi di scopo hanno suscitato notevole interesse5 sotto diversi profili:
– in un mercato globalizzzato in cui attività produttive,
residenze, domicili fiscali e cespiti possono essere
agevolmente delocalizzati, i tributi paracommutativi
ed i tributi di scopo consentono di sottoporre ad imposizione coloro che effettivamente “gravano” sulla
collettività, fruendo dei servizi e dei beni pubblici,
secondo il principio del beneficio;
– il tributo di scopo, finalizzato ad es. al finanziamento
di un’opera pubblica, o comunque caratterizzato da
un vincolo di destinazione, risulta di per sè tale da
rendere immediatamente percepibile e condivisibile
per la collettività locale la funzione del prelievo e la
sua diretta ed immediata utilità;
– le così dette tasse facoltative (tasse universitarie, contributo unificato per le spese degli atti giudiziari, tasse di concessione ecc.) risultano caratterizzate da
scarso impatto impositivo, e da notevole efficienza e
semplicità dei controlli, in quanto il prelievo è assicurato indefettibilmente dall’interesse del contribuente
al godimento della prestazione pubblica;
– i contributi e le tasse sono tributi non necessariamente coattivi e quindi consentono di allargare l’orizzonte
degli strumenti a disposizione del Legislatore tributario sino a ricomprendere l’onere. Si può così costruire
un meccanismo di prelievo estremamente efficace,
senza necessità di apparati coercitivi e sanzionatori;
5 Al riguardo v. Proposta ANCI, UPI, UNCEM e LEGAUTONOMIE per l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione, in data
28.4.2003; Documento delle Regioni sull’attuazione dell’art. 119
della Costituzione, in data 21.6.2005; ANCI, Piattaforma programmatica per la prossima legislatura (la XV), in data 15.6.2006;
VITALETTI, Il sistema tributario nel contesto federalista: le proposte dell’Alta Commissione, in Riv. dir. fin. 2006, 52; BASILAVECCHIA - DEL FEDERICO - OSCULATI, Il finanziamento
delle Regioni a statuto ordinario mediante tributi propri e compartecipazioni: basi teoriche ed evidenza empirica nella difficile attuazione dell’art. 119 della Costituzione, in Ist. Federal., 2006, 669 –
706; FICARI, L’autonomia normativa tributaria degli enti locali e
la legge finanziaria 2007, in Rass. trib., 2007, 896; GALLO, Le ragioni del fisco, Bologna, 2011, 113.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 49
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
– le tasse risultano particolarmente congeniali alla finanza locale in quanto: a livello locale è stringente il collegamento tra servizi erogati dall’ente e relativi costi; i
servizi indivisibili finanziati con imposte gravano sullo
Stato, mentre sull’ente locale grava gran parte dei servizi divisibili; la necessità di conciliare riserva di legge e
tutela delle autonomie è più agevole per i tributi paracommutativi che non per le imposte, anche perché per
quelli la giurisprudenza costituzionale tende ad applicare il principio di legalità con minor rigore;
– nell’ottica della evoluzione federale del nostro ordinamento, risulta agevole concepire la potestà di imporre i tributi paracommutativi come implicitamente ricompresa nel potere legislativo riguardante le varie materie ripartite tra Stato e Regioni, secondo il
principio della continenza (v. art. 2, 2 co., lett. p, l.d.
5 marzo 2009, n. 42);
– i tributi paracommutativi sembrano infine meglio rispondenti alle esigenze dell’imposizione ambientale.
Possono infatti dare attuazione diretta al principio etico e giuridico “chi inquina paga”, in ragione sia della
loro peculiare giustificazione (consistente nella necessità di far fronte ad una spesa pubblica riferibile ad un
determinato soggetto che l’ha causata o che ne ha tratto vantaggio, evitando di far gravare i corrispondenti
oneri sull’intera collettività), sia della specifica correlazione – giuridicamente rilevante a livello di fattispecie imponibile – tra prestazione pubblica e prelievo.
3. I rapporti tra i principi della capacità contributiva
e del beneficio
Fra i giuristi il principio del beneficio è ormai da
tempo contestato sotto molteplici punti di vista, ma il
principale argomento contrario è dato dalla costituzionalizzazione del principio di capacità contributiva6.
Invero nel nostro ordinamento, in ossequio alla prevalente concezione solidaristica della capacità contributiva, accade spesso che l’onere di determinati servizi (sociali, assistenziali, sanitari ecc.) gravi proprio su coloro
che meno beneficio ne traggono, in quanto meno li utilizzano.
6 Si è assistito al tentativo di recuperare il principio del beneficio
identificando la capacità contributiva con la manifestazione di godimento dei pubblici servizi. Si tratta della tesi propugnata sopratutto
da MAFFEZZONI e FORTE (sulla scia di DE VITI DE MARCO
e GRIZIOTTI), aspramente criticata dalla dottrina dominante
(GAFFURI, MANZONI, MOSCHETTI, DE MITA, BATISTONI – FERRARA) e disattesa dalla giurisprudenza (tra le tante v.:
Corte Cost. 10.7.1975, n. 201, in Giur. Cost., 1975, 1563).
Tuttavia con il ridestarsi dell’attenzione per forme
impositive diverse dalle imposte sui redditi e sui consumi emerge la tendenza a rivalutare, in ottica diversa, il
principio del beneficio, come risulta soprattutto dal dibattito sulle imposte locali aventi ad oggetto il patrimonio immobiliare.
Successivamente un tentativo di rivalutazione del principio del beneficio si è sviluppato in occasione dell’introduzione dell’imposta regionale sulle attività produttive.
È chiaro comunque che, anche nelle sue più moderne prospettive, il principio del beneficio non può certo
confortare la concezione del tributo come fenomeno di
scambio e quindi portare a configurare il tributo come
entrata corrispettiva7. Resta tuttavia una differenzazione, giuridicamente apprezzabile, tra tributi caratterizzati
esclusivamente dalla capacità contributiva (intesa in senso solidaristico) e tributi caratterizzati anche dal beneficio, almeno quando questi risultano giustificati da una
correlazione tra prelievo ed utlità, positivamente assunta
a delimitare il presupposto e la fattispecie imponibile (il
che tuttavia non si verifica nelle imposte patrimoniali e
tantomeno nell’IRAP).
Gran parte della dottrina, pur attenta e sensibile alle
garanzie costituzionali, relega al principio del beneficio i
tributi (para)commutativi, limitando l’applicazione della capacità contributiva alle sole imposte, o comunque ai
tributi non collegati con un servizio divisibile, con un
servizio goduto singolarmente, o con un vantaggio individuale del contribuente8.
La giurisprudenza è pacifica nel negare ogni qualsivoglia corrispettività per tutti i tributi, anche per quelli correlati con un servizio
pubblico (tra le tante v.: Corte Cost. 27.6.1959, n. 36 e 30.1.1962,
n. 2, in Giur. it., 1959, I, 1, 897, e Foto amm. 1962, IV, 61).
8 La letteratura è vastissima, limitatamente ai contributi monografici v.: GIARDINA, Le basi teoriche del principio di capacità contributiva, Milano 1961, 457-458; GAFFURI, L’attitudine alla contribuzione, Milano 1969, 28 ss., e MOSCHETTI, Il principio della capacità
contributiva, Padova, 1973, 99 ss., ai quali si rinvia per l’ampia bibliografia; contra: MANZONI, Il principio di capacità contributiva nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino 1964, 156 ss.; MAFFEZZONI, Il principio di capacità contributiva nel diritto finanziario,
Torino 1970, 7 ss.; BATISTONI FERRARA, Art.53, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca ed A. Pizzorusso, Rapporti
politici, Artt. 53 e 54, Bologna - Roma, 1994, 44, il quale tuttavia in
un successivo studio non ricomprenda più nell’ambito oggettivo dell’art. 53, 1 co., tutte le tasse, ma soltanto quelle (ovvero anche i prezzi e
le tariffe) aventi ad oggetto servizi pubblici essenziali (Capacità contributiva, in Enc. dir., Agg., III, 347). Per un quadro aggiornato sulle
questioni generali si rinvia ai contributi di DE MITA, FEDELE,
GAFFURI, MOSCHETTI e FALSITTA, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale, a cura di L. Perrone e C. Berliri, Napoli,
2006); inoltre per i profili di attualità e per la più recente evoluzione
del dibattito v. AA.VV., L’evoluzione del sistema fiscale ed il principio
di capacità contributiva, a cura di L. Salvini e G. Melis, Padova, 2014.
7
49
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 50
50
DOTTRINA
Tale orientamento non è condivisibile. Soltanto la
corrispettività strictu sensu esclude la natura tributaria
del prelievo e lo colloca fuori dall’ambito applicativo
dell’art. 53 Cost.
Invero o il prelievo è veramente commutativo in senso tecnico giuridico (civilistico), ed è quindi incentrato
sul sinallagma negoziale, ed allora ben si può affermare
che tale commutatività lo configura come corrispettivo
di diritto privato e quindi lo colloca fuori dall’ambito
applicativo dell’art. 53; o viceversa il prelievo è configurato come imposizione autoritativa che attua il “concorso alle pubbliche spese”, ed allora non potrà essere sottratto alla garanzia costituzionale.
In sostanza al Legislatore è consentito sottrarre il prelievo ai principi di cui all’art. 53, soltanto ove operino
meccanismi realmente corrispettivi e paritetici9, ovvero
laddove gli interventi sui diritti patrimoniali dei privati
realizzino una decurtazione avente giustificazione in altri principi costituzionali (si pensi ad es. agli artt. 25, 41,
42, 43, 44 ecc.).
In ordine a tale problematica è stato evidenziato che
«il particolare collegamento fra art. 53 ed art. 2 fa si che
debbano escludersi dal primo quei tributi che abbiano
come loro causa giuridica, intesa nel senso di ratio, non
un dovere di solidarietà, ma una particolare prestazione
o un particolare servizio ricevuti dalla pubblica amministrazione»; deve peraltro trattarsi non di un «collegamento con l’attività o il bene pubblico... puramente
estrinseco od occasionale», ma di «un collegamento che
individui la giustificazione sostanziale della contribu-
Si ricorda che durante i lavori dell’Assemblea Costituente la Corte di
Cassazione aveva proposto di inserire nella Costituzione il principio
della capacità contributiva, adducendo che esso «mentre esclude il
concetto di prestazione corrispettiva all’obbligazione tributaria in
relazione all’indole dei servizi pubblici indivisibili, soddisfa, dall’altro, la fondamentale esigenza “di rispetto del minimo imponibile”»
(Rapporto della Commissione Economica presentato all’Assemblea
Costituente, V, tomo II, 176).
9 Commutatività e concorso alle pubbliche spese operano su due
piani distinti ed incompatibili: – la commutatività è propria di quei
contratti (rapporti) a prestazioni corrispettive che hanno la funzione
di attuare uno scambio fra prestazioni economicamente equivalenti
(la prestazione di ciascuna parte trova giustificazione, o causa, nella
prestazione dell’altra, in un rapporto di interdipendenza detto sinallagmatico); il concorso è partecipazione alle spese pubbliche in cui il
collegamento tra la prestazione del privato (il pagamento del tributo) e la prestazione pubblica (addirittura mancante nella fattispecie
imponibile tipica delle imposte) è assunto come fatto giuridicizzato
dalla legge tributaria e quindi rilevante nella fattispecie imponibile,
ma non nel rapporto fra le parti. Inoltre è necessario chiarire che il
concorso viene attuato per sua natura in assetto autoritativo (non la
mera coattività, ma la doverosità è immanente all’art. 53 – conf.
Corte Cost. 13 febbraio 2008, n. 64).
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
zione»10. Su tali basi si distingue poi tra tributi giustificati da un fatto relativo alla sfera giuridica del contribuente, che deve essere necessariamente espressivo di
capacità contributiva (imposte dirette ed indirette), e
tributi commutativi che trovano la loro giustificazione
«in uno scambio di utilità», che può essere quindi sganciato dalla capacità contributiva (tasse).
I due punti critici di tale concezione stanno nel ritenere assolutamente inconciliabili beneficio e capacità
contributiva e nel fondare la distinzione tra «tributi
commutativi» (basati essenzialmente sul beneficio) e
«tributi contributivi» (basati sulla capacità contributiva)
non sulla struttura del presupposto di fatto e sul regime
giuridico della fattispecie, ma sulla «ratio del prelievo».
Nel privilegiare la ratio, rispetto ai dati formali e strutturali, questa autorevole dottrina pone l’accento sulla necessità di «vedere se» il prelievo «sia “finalizzato” a colpire una manifestazione di ricchezza in quanto tale o una
particolare “utilità ricevuta”». Il discrimine tra entrate
contributive e commutative risulta quindi incentrato sul
criterio funzionale. Orbene, pur riconoscendosi l’indubbia proficuità del criterio funzionale si ritiene prioritario
il criterio strutturale, dovendosi altresì prestare particolare attenzione al regime giuridico della fattispecie11.
Nei tributi paracommutativi la correlazione tra prelievo ed utilità caratterizza giuridicamente la fattispecie
imponibile (non è relegata a mera ratio del prelievo), ma
non ha rilevanza sinallagmatica (corrispettiva), non vi
sono reciproche obbligazioni delle parti; lo schema è
quello tipico della fattispecie tributaria: legge – presupposto (o meglio fattispecie imponibile) – obbligazione.
3. I razionali criteri di riparto che giustificano i tributi
paracommutativi
In genere la capacità contributiva viene intesa come
la capacità economica – superiore ad una certa soglia
minima – ritenuta idonea a concorrere alle spese pubbliche alla luce dei valori costituzionali12.
Così MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva
cit., 100; in senso analogo VIOTTO, Tributo, in Digesto, disc. priv.
sez. comm., ed in Riv. dir. trib., 1998, I, 787-789.
11 I rischi del metodo funzionale sono chiaramente avvertiti da
MOSCHETTI il quale precisa che per accertare il fine del prelievo
«l’elemento oggettivo e la struttura del presupposto debbono essere valutati unitamente a tutti gli altri elementi della fattispecie e all’intera disciplina del tributo...»; tuttavia la prospettiva resta di tipo funzionalista
(come si desume anche dall’analisi delle fattispecie -op. cit., 103 ss.).
12 GIARDINA, Le basi teoriche cit., 434 ss.; MANZONI, Il
principio di capacità contributiva cit., 67 ss.; GAFFURI, L’attitudine
10
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 51
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Nel contesto del variegato dibattito dogmatico, e dei
non sempre coerenti contributi giurisprudenziali, è andato emergendo quell’autorevole orientamento che valorizza il collegamento tra l’art. 53 e l’art. 2 Cost., qualificando la capacità contributiva come capacità economica idonea a realizzare nel campo economico e sociale le
esigenze collettive accolte dalla Costituzione13.
Si è quindi giunti a puntualizzare che «l’elaborazione
del concetto costituzionale di capacità contributiva richiede in primis l’interpretazione dell’art. 53 secondo
criteri letterali, logici, storici (senza ignorare anche gli apporti della scienza delle finanze), ma oltre a ciò richiede
altresì che l’art. 53 sia collegato all’art. 2 ed agli altri disposti indicanti le scelte di valore della costituzione», e,
conseguentemente a sintetizzare i seguenti principi: «a)
l’art. 53 vuole fissare un criterio di giustizia in materia tributaria; b) tale criterio di giustizia è distinto dal principio
di uguaglianza e dai canoni formali della mera razionalità
e coerenza delle scelte legislative (costituisce “interpretazio abrogans” ridurre l’art. 53 a mera applicazione del generale principio di eguaglianza); c) tale criterio presuppone, come condizione necessaria e non sufficiente, la capacità economica del soggetto; d) la capacità economica deve essere superiore ad un certo minimo e deve essere considerata idonea a concorrere alle spese pubbliche in relazione alle scelte di valore enunciate nella Carta costituzionale; e) a parità di ammontare può pertanto sussistere
diversità di capacità contributiva in relazione alla qualifica costituzionale della capacità economica»14.
In tale ottica si ritiene che costituiscono adempimento di un dovere di solidarietà, e rientrano quindi nell’art.
53, 1 co., Cost., quei soli tributi che risultano giustificati
da un fatto particolare del contribuente espressivo di capacità economica (reddito, patrimonio, spesa ecc.), a
prescindere dal godimento di un bene pubblico o dalla
fruizione di un servizio pubblico; solo queste sono entrate a titolo contributivo (rectius, come si preferirà dire
alla contribuzione cit., 63 ss.; MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva cit., 21 ss.; DE MITA, Capacità contributiva, in Digesto, disc. priv., sez, comm., Torino, 1987, 456; L. ANTONINI,
Dovere tributario, interesse fiscale e diritto costituzionale, Milano
1996, 325 ss., 359 ss.
13 MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva cit.,
245; ID., Capacità contributiva, in Enc. giur., 9 ss.; ID., La capacità
contributiva. Profili generali, in Trattato di diritto tributario, diretto
da A. Amatucci, Padova 1996, vol. I, 245-246; SCHIAVOLIN, La
capacità contributiva. Il collegamento soggettivo, ibidem, I 273 e
seg.; TOSI, La capacità contributiva. il requisito di effettività, ibidem, 322 e seg.; LORENZON, La capacità contributiva. L’ambito
oggettivo di applicazione, ibidem, 306 e seg.; L. ANTONINI, Dovere tributario cit., 347 ss.
14 MOSCHETTI, La capacità contributiva cit., 246.
DOTTRINA
in seguito, “redistributivo”), mentre quelle che, come le
tasse, trovano la loro giustificazione in uno scambio di
utilità sono entrate a titolo commutativo, alle quali non
è applicabile il principio di capacità contributiva15.
Tale concezione solidaristica è diffusa e radicata16,
ma non univocamente condivisa.
A prescindere dalla superata opinione della capacità
contributiva come godimento dei servizi pubblici17, e
dall’orientamento garantista, ma nettamente minoritario, che concepisce la capacità contributiva come forza
economica espressa dall’incremento di valore delle fonti
produttive18, si deve prendere atto della emergente e vitale tesi razionalistica. Secondo tale tesi «l’art. 53 Cost.
definisce la funzione fiscale come funzione di “riparto”
di carichi pubblici, imponendo, con la formula della
“capacità contributiva”, equi e ragionevoli criteri distributivi fra i consociati», per cui «il riparto richiede l’individuazione di posizioni differenziate dei singoli contribuenti, cui collegare nell’an e nel quantum, il concorso
alle pubbliche spese»19. In tale prospettiva viene compressa la componente solidaristica e valorizzato il ruolo
del principio di uguaglianza, e quindi dei corollari della
razionalità e coerenza delle scelte legislative, come cano-
15 In tal senso v. ad es. MOSCHETTI, Il principio della capacità
contributiva cit., 100, il quale assimila i contributi alle imposte.
16 Secondo BATISTONI FERRARA, Capacità contributiva
cit., 346, «è questa l’impostazione… più convincente, e che ormai,
si può ritenere generalmente accettata, in via di principio, anche dalla Corte Costituzionale».
17 MAFFEZZONI, Il principio della capacità contributiva cit.,
59 ss.; ID., Capacità contributiva cit., 1089 ss.
18 V. per tutti GAFFURI, L’attitudine alla contribuzione cit., 94
ss., secondo cui la capacità contributiva non può essere mai rinvenuta nella mera esistenza delle fonti produttive, necessitando effettivi
incrementi di valore; la forza economica che giustifica il prelievo deve essere qualificata alla luce dei fondamentali principi costituzionali
in tema di rapporti tra organizzazione economica privata e attività
pubblica, e siccome la Costituzione garantisce il mantenimento
dell’economia privata è illegittima l’imposta che pregiudica la coesistenza dei due ordini economici (op. cit., 150, 155); ID., La compatibilità dell’imposta regionale sulle attività produttive cit., 850 ss.,
ove si ribadisce, anche alla luce del più recente dibattito dogmatico,
la necessità che «i presupposti del tributo siano scelti tra le manifestazioni di forza economica, l’unica che contenga in sé i mezzi idonei
al pagamento…» (851).
19 Così FEDELE, Prime osservazioni in tema di Irap cit., 472;
ID., Gli incrementi nominali di valore nell’INVIM e il principio di
capacità contributiva, in Riv. dir. fin., 1982, I, 56 e seg; ID., Dovere
tributario e garanzie dell’iniziativa economica e della proprietà nella
costituzione italiana (relazione al Convegno di Bergamo del 2930.10.1999, Dalle costituzioni nazionali alla costituzione europea.
Potestà, diritti, doveri e giurisprudenza costituzionale in materia tributaria), in Riv. dir. trib., 2000, I, 972-973; GALLO, Le ragioni del
fisco cit., 81 ss.; v. altresì i contributi di GALLO, FEDELE e BERGONZINI in AA.VV., L’evoluzione del sistema fiscale cit.
51
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 52
52
DOTTRINA
ne fondante l’art. 53, 1 co., Cost., ritenuto norma applicabile a tutti i tributi, comprese le tasse ed i contributi.
La tesi della capacità contributiva come razionale criterio di riparto, pur autorevolmente propugnata, non incontra il favore della giurisprudenza che tende a circoscrivere l’ambito applicativo dell’art. 53, 1 co., Cost. ai soli
tributi relativi ai servizi indivisibili, evitando, al tempo
stesso, di fare esplicito riferimento alla categoria dei tributi
caratterizzati da connotazione solidaristico-contributiva.
Tuttavia non v’è dubbio che anche i tributi relativi a
servizi divisibili, e quindi, per quanto qui particolarmente
interessa, anche i tributi paracommutativi, e cioè le tasse
ed i contributi, sono costituzionalmente legittimi; si tratta
di individuarne la giustificazione etica e costituzionale.
In più occasioni la Corte Costituzionale ha valorizzato il costo del servizio pubblico fruito dal privato come
elemento per giustificare i tributi cui essa ritiene inapplicabile la capacità contributiva. Si tratta di alcune note
pronunce rese in tema di «tributi giudiziari»20, nelle
quali la Corte afferma i seguenti principi:
– l’organizzazione generale dei servizi giudiziari è sostenuta dallo Stato nell’interesse indistinto della collettività;
– «risponde tuttavia ad un principio di giustizia distributiva che il “costo del processo” sia sopportato in definitiva da chi ha reso necessaria l’attività del giudice, ed ha
perciò occasionato la “spesa” implicata dal suo svolgimento» (ed è questo il nucleo etico caratterizzante);
– il principio di capacità contributiva non si applica ai
«tributi giudiziari» (tra i quali la Corte colloca anche
l’imposta di bollo, senza tuttavia ritenerne utile la
qualifica come tassa o come imposta)21. L’art. 53
Cost. «non concerne quelle spese giudiziarie la cui
entità è misurabile per ogni singolo atto, e che quindi
possono gravare individualmente su chi vi ha dato
occasione; ed è richiamabile solo per la spesa della organizzazione generale dei servizi giudiziari»;
– l’art. 53 ha «riguardo soltanto a prestazioni di servizi
il cui costo non si può determinare divisibilmente».
È bene chiarire che le pronunce della Corte Costituzionale che hanno escluso l’applicabilità del principio di
capacità contributiva ai tributi prelevati a fronte di servizi divisibili non hanno mai fatto riferimento specifico al-
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
le tasse in senso stretto, occupandosi del rimborso delle
spese processuali penali, dei contributi previdenziali forensi, ovvero dell’imposta di bollo sugli atti giudiziari.
In questo ambito merita quindi particolare attenzione
una interessante ma poco nota sentenza resa dalla Corte
Costitizionale in tema di contributi22. La Corte è giunta
a dichiarare illegittime talune norme che avevano introdotto un’addizionale ai contributi di miglioria, per contrasto con l’art. 53, 1 co., dopo aver precisato che non vi
sono ragioni per escludere l’applicabilità di tale norma ai
contributi, «sia per l’ampiezza della formula costituzionale (concorrere alle spese pubbliche), sia perché l’esclusione già affermata in ordine a prestazioni di servizi il cui
costo si possa determinare divisibilmente (sentenza n. 30
del 1964) va riferita alla particolare fattispecie delle spese processuali…», a nulla rilevando che nei contributi,
«a differenza che nelle imposte, il vantaggio dell’obbligato rilevi come elemento costitutivo del presupposto»,
giacché è proprio «la specifica natura di questo elemento
essenziale che garantisce di per se l’effettività del rapporto
tra presupposto e capacità contributiva».
Sono quindi evidenti le incertezze, o meglio le insospettabili, sia pure moderate aperture, della giurisprudenza costituzionale in tema di tributi paracommutativi23.
Cercando di valorizzare gli spunti giurisprudenziali
più significativi, ed al tempo stesso maggiormente coerenti con gli orientamenti di fondo, si può affermare che
nel sistema costituzionale possono certamente trovare
collocazione anche tributi fondati su un criterio di riparto diverso da quello della capacità contributiva (intesa in
senso solidaristico), individuabile nel principio etico di
«giustizia distributiva» secondo cui il costo pubblico deve essere sopportato «da chi ha reso necessaria l’attività… ed ha perciò occasionato la “spesa” implicata dal
suo svolgimento».
È quindi possibile individuare una giustificazione
etica e costituzionale dei tributi paracommutativi nella
esigenza di far fronte ad una spesa pubblica riferibile ad
un determinato soggetto che l’ha causata o che ne ha
tratto vantaggio, evitando di far gravare i corrispondenti
oneri sull’intera collettività. Si possono tuttavia enuclea22 22.4.1980, n. 54, in Foro it., 1980, I, 1557.
20 V. le già citate pronunce: 2.4.1964, n. 30, 29.12.1966, n. 128,
6.12.1984, n. 268 e 19.1.1993, n. 8.
21 In più occasioni la Corte Costituzionale ha ritenuto che i contributi per la previdenza ed assistenza degli avvocati, prelevati in occasione di attività processuali, hanno natura di «tributi latu sensu giudiziari» (17.4.1968, n. 23, in Foro it., 1968, I, 1116; 17.4.1969, n.
85, ibidem, 1969, I, 1373; 20.4.1977, n. 62, ibidem, 1977, I, 1056).
23 Prescindendo – nell’ottica che qui interessa – dalle critiche a taluni eccessivi cedimenti alla bieca ragion fiscale, sta di fatto che la
Corte Costituzionale giustifica i privilegia fisci in ragione dell’interesse fiscale, incentrato sull’art. 53 Cost., ed inteso come interesse pubblico alla regolare percezione dei tributi, condizione di vita per la comunità perché rende possibile il funzionamento dei servizi pubblici
(v. tra le tante: 9.4.1963, n. 43, in Foro it., 1963, I, 646; 6.6.1974, n.
164, in Foro it., 1975, I, 27; 6.3.1975, n. 53, in Giur. cost., 1975, I,
177; 16.1.1978, n. 6, ibidem, 1978, I, 40; 22.6. 1994, n. 358).
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 53
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
re due diversi profili: un primo criterio di riparto è fondato sulla responsabilità individuale per la spesa pubblica specificamente causata dal privato; un secondo criterio di riparto è invece fondato sulla esigenza di compensare la situazione di vantaggio che il privato ritrae dall’espletamento di un servizio pubblico o dal godimento
di un bene pubblico, così da evitare l’arricchimento individuale a carico della collettività.
Inteso in tal modo il principio del beneficio, è subordinato alla solidarietà: il concorso alle spese pubbliche
mediante la tassa è giustificabile soltanto laddove il servizio pubblico possa essere reso divisibile ed individualizzato senza pregiudicare il fondamento solidaristico
della Costituzione, e senza ledere i diritti costituzionalmente garantiti (a minori problemi dà luogo il godimento individuale dei beni pubblici).
Si tratta di giustificazione etica e costituzionale analoga a quella individuata dalla dottrina tedesca24, che, in
assenza di norma ad hoc sulla capacità contributiva, è
giunta ad occuparsi anche della determinazione dell’ammontare delle tasse25, individuando il principio del costo (Kostendeckungsprinzip), per i casi in cui la tassa si determina in base alla spesa causata dal debitore, ed il principio di equivalenza (Aquivalenzprinzip), per i casi in cui
la tassa si determina in base al valore di mercato della
prestazione pubblica.
Tali principi assumono rilevanza anche nel nostro ordinamento, e del resto hanno trovato un qualche avallo
nella giurisprudenza costituzionale in tema di tributi per
servizi divisibili.
Dal confronto tra la concezione solidaristica della capacità contributiva, intesa come capacità economica
qualificata, e la concezione razionalistica della capacità
contributiva, intesa come «pluralità di equi e ragionevoli
criteri distributivi» delle spese fra i consociati, può essere
enucleato un articolato quadro di meccanismi di concorso alle pubbliche spese, aventi differenti giustificazioni,
nel quale è consentito salvaguardare la capacità economica come fondamentale giustificazione del prelievo solidaristico, senza obliterare la rilevanza costituzionale dei criteri distributivi peculiari dei tributi paracommutativi.
V. sopratutto VOGEL, Vorteil und Verantwortlichkeit. Der
doppelgliedrige Gebuhrenbegriff des Grundgesetzes, in Festschrift
fur W. Geiger, Tubingen, 1989, 105; WENDT, Die Gebuhr als Lenkungsmittel, Hamburg, 1975, 49 ss.; P. KIRCHHOF, Staatliche
Einnahmen, in ISENSEE - P. KIRCHHOF, Handbuch des Staatsrechts, Heidelberg, 1990, 170.
25 RAECKE, Das Kostendeckungsprinzip Moglichkeiten und
Grenzen Seiner Anwendung bei Verwaltungsgebuhren, Koln - Berlin - Bonn - Munchen, 1971, 17 ss.; F. KIRCHHOF, Die Hohe der
Gebuhr, Berlin, 1981, 41 ss.
24
DOTTRINA
I tributi solidaristici, denominati anche «tributi a titolo contributivo» (o meglio redistributivo), sono caratterizzati dal conseguimento di finalità generali, rectius
dal finanziamento dei servizi indivisibili26 (nell’ordinamento francese si parla di “tributi fiscali”); si tratta in
buona sostanza delle imposte, dirette o indirette, che per
loro natura hanno essenzialmente finalità redistributiva.
Per tali tributi l’equo e ragionevole criterio di riparto
non può che essere la capacità economica qualificata27.
I tributi paracommutativi sono caratterizzati da una
specifica correlazione giuridicamente rilevante nella fattispecie imponibile tra attività pubblica (o beni pubblici) e responsabilità o vantaggio del contribuente (in linea di principio ove la responsabilità o il vantaggio rilevano individualmente avremo le tasse, ove, viceversa, rilevano per il contribuente in quanto membro di una collettività qualificata avremo i contributi).
Per i tributi paracommutativi l’equo e ragionevole criterio di riparto non può che rivenirsi nella responsabilità
individuale per la spesa pubblica specificamente causata,
ovvero nella necessità di compensare la situazione di vantaggio che il contribuente ritrae dall’espletamento di un
servizio pubblico o dal godimento di un bene pubblico (o
per i contributi dalla realizzazione di un’opera pubblica).
Conseguentemente per tali tributi la capacità economica qualificata (solidaristica) non può rilevare, salve talune eccezioni promozionali, in quanto ad essi è estranea
ogni finalità redistributiva e/o di finanziamento delle
spese pubbliche per i servizi indivisibili.
Altri equi e ragionevoli criteri di riparto potrebbero
essere indivibiduati per i tributi ambientali, si pensi al
principio “chi inquina paga”28, ovvero per i contributi
previdenziali ecc.
È tuttavia necessario precisare che mentre le imposte
sono acausali, cioè non richiedono particolare giustifica26 MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva cit.,
100; LORENZON, La capacità contributiva cit., 314.
27 Con tale formula si intende far riferimento alla nozione di capacità contributiva elaborata da MOSCHETTI. Tuttavia le argomentazioni che seguono, finalizzate ad individuare il criterio di riparto giustificativo delle tasse, conserverebbero la loro conseguenzialità anche aderendo all’orientamento minoritario, ma schiettamente garantista, che intende la capacità contributiva come forza
economica (GAFFURI).
28 Al riguardo v. i fondamentali contributi di: GALLO - MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, in Rass. Trib.
1999, 139-140, 115; VERRIGNI, La rilevanza del principio comunitario “chi inquina paga” nei tributi ambientali, in Rass. trib., 2003,
1614; SELICATO, La tassazione ambientale: nuovi indici di ricchezza, razionalità del prelievo e principi dell’ordinamento comunitario,
Riv. Dir. Trib. Int., 2004, 257 ss.; ALFANO, Tributi ambientali. Profili interni ed europei, Torino, 2012, 51 ss.; PEVERINI, I tributi ambientali, in AA. VV., L’evoluzione del sistema fiscale cit., 719.
53
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 54
54
DOTTRINA
zione se non la sussistenza nella fattispecie imponibile della capacità economica solidaristica, per i tributi paracommutativi la particolare causa che li contraddistingue deve
necessariamente caratterizzare la fattispecie imponibile,
nella quale deve quindi risultare giuridicamente rilevante
la specifica correlazione tra attività pubblica (o beni pubblici) e responsabilità o vantaggio del contribuente. Pertanto un tributo nel quale la paracommutatività emergesse soltanto sul piano della ratio, assumerebbe nella sostanza natura di imposta e quindi dovrebbe inevitabilmente
trovare giustificazione nella capacità economica29.
In tale ottica la correlazione tra attività pubblica (o beni pubblici) e responsabilità o vantaggio del contribuente
deve essere tale da dare rilievo giuridico all’equilibrio tra
quota parte (individuale) del costo del servizio, ovvero valore della prestazione, ed ammontare della tassa, sia pure
mediante quantificazioni forfettarie, basate sui costi medi, su criteri probabilistici, su indici statistici ecc.
Conclusioni
A questo punto è possibile focalizzare le conclusioni
rispetto alle complesse questioni affrontate.
La tradizionale suddivisione tra servizi pubblici divisibili ed indivisibili ha rilievo meramente descrittivo.
Può essere utile per classificare le entrate fiscali, ma risulta totalmente in balia della discrezionalità legislativa.
Nel solco delle dottrine finanziarie la Corte Costituzionale distingue le imposte, correlate al finanziamento
dei servizi, e quindi delle spese, indivisibili, dalle tasse (e
più in generale dalle entrate paracommutative tributarie), correlate ai servizi, ed alle spese, divisibili, tendendo
ad escludere che per queste entrate, proprio in ragione
della loro natura, possa trovare applicazione il principio
di capacità contributiva.
La prospettiva potrebbe risultare preoccupante: – taluni servizi indivisibili potrebbero essere frazionati e resi divisibili; – verrebbero conseguentemente introdotte nuove
tasse aggiuntive rispetto ai tributi già esistenti, volti a finanziare le spese pubbliche per servizi indivisibili; – un tale fenomeno risulterebbe avulso dal principio di capacità
contributiva, pilastro del concorso alle pubbliche spese.
Che si tratti di ipotesi di concreto interesse è dimostrato dalle recenti vicende, evoluzioni ed involuzioni,
Puntuale la critica di GAFFURI, La compatibilità dell’imposta regionale cit., 853, in merito all’impossibilità di giustificare
l’IRAP in base al principio del beneficio, «si tratta di un’enunciazione solo suggestiva: non esiste alcuna relazione causale (giuridicamente rilevante) tra quel prelievo e lo sfruttamento delle utilità genericamente offerte dall’ente pubblico…».
29
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
della tassa rifiuti, della TARES, della TASI, della c.d. service tax o council tax , ancora in fase embrionale, ecc.
Ulteriori questioni emblematiche sono rinvenibili anche
nell’abnorme sviluppo ed incremento del contributo
giudiziario, nella continua crescita dei ticket sanitari, dei
corrispettivi dei servizi sociali ecc.
Si è avuto modo di chiarire che la categoria del tributo ricomprende anche le tasse ed i contributi, qualificati
come tributi paracommutativi, nei quali la correlazione
tra le utilità caratterizza giuridicamente la fattispecie imponibile, ma non ha rilevanza sinallagmatica.
Sul piano costituzionale, optando per la concezione
razionalistica della capacità contributiva, intesa come
«pluralità di equi e ragionevoli criteri distributivi» può essere enucleato un articolato quadro di meccanismi di concorso alle pubbliche spese, aventi differenti giustificazioni. Risulta così possibile salvaguardare la capacità economica, come fondamentale giustificazione del prelievo solidaristico, senza obliterare la rilevanza costituzionale dei
criteri distributivi peculiari dei tributi paracommutativi.
I tributi solidaristici, ovvero con funzione redistributiva (quali le imposte sui redditi), sono caratterizzati dal
conseguimento di finalità generali (dal finanziamento
dei servizi indivisibili). Per tali tributi l’equo e ragionevole criterio di riparto non può che essere la capacità
economica qualificata.
Per i tributi paracommutativi l’equo e ragionevole
criterio di riparto non può che rinvenirsi nella responsabilità individuale per la spesa pubblica specificamente
causata (principio del costo), ovvero nella necessità di
compensare la situazione di vantaggio che il contribuente ritrae dall’espletamento di un servizio pubblico, o dal
godimento di un bene pubblico, o dalla realizzazione di
un’opera pubblica (principio dell’equivalenza). Conseguentemente per tali tributi la capacità economica qualificata non può rilevare, in quanto ad essi è estranea
ogni finalità redistributiva e/o di finanziamento delle
spese pubbliche per i servizi indivisibili.
In tale ottica è agevole percepire una valida giustificazione etica non solo per i tributi solidaristici, ma anche
per i tributi paracommutativi.
Infine si deve escludere che il principio di capacità
contributiva possa trovare applicazione al di fuori del sistema tributario, e quindi anche in riferimento ai corrispettivi per i pubblici servizi. Tuttavia la capacità contributiva dovrà comunque essere rispettata nel caso di uso
improprio della categoria giuridica del corrispettivo, ove
sia configurabile un prelievo tributario camuffato. Sotto
tale profilo un’area a rischio è certamente quella dei servizi
idrici e, per quanto riguarda il godimento dei beni pubblici, l’area dei canoni demaniali.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 55
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
L’etica della spesa pubblica
di Gilberto Muraro
1. Premessa
L’etica della spesa pubblica è un tema quasi illimitato
a causa delle molte interrelazioni che tale spesa comporta con la vita individuale e collettiva. Ai fini di questa
breve riflessione il tema va quindi preliminarmente delimitato. I confini qui assunti escludono sia il lato entrate,
indirettamente toccato solo per una riflessione sul problema del saldo di bilancio, sia gli approfondimenti settoriali o territoriali della spesa sia la ripartizione di competenze tra diversi livelli di governo. Esclusioni forti, se
si pensa che gli effetti dell’azione pubblica sono il frutto
congiunto di entrate e di uscite nonché di interventi di
enti periferici, oltre che del governo centrale, e hanno
impatti diversi a seconda del territorio su cui si manifestano; e se si pensa inoltre che i principali settori di spesa
– quali la previdenza, la sanità, l’istruzione, la giustizia e
la difesa – hanno importanti e peculiari implicazioni etiche. Ma credo che rimanga abbastanza da investigare nei
ristretti limiti così posti, che dunque configurano in termini generali il tema del rapporto tra Stato e comunità
sul versante della la spesa pubblica.
Circa l’articolazione della nota, essa ricalca quella ovvia di ogni analisi sull’azione pubblica, che distingue tra
gli obiettivi e gli strumenti. Ci si interrogherà quindi
sulle finalità e le modalità della spesa pubblica, esaminate sotto il profilo dell’etica.
Va infine chiarito in via preliminare il concetto stesso
di etica cui ci si ispira, un concetto inevitabilmente convenzionale. Il punto di partenza di tale chiarimento, che
spero trovi consenso unanime, è la visione liberale dello
Stato, quale risulta in termini impareggiabili dalla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti del 1776:
persone uguali e libere, che creano lo Stato come strumento che aiuti gli individui nella ricerca della sicurezza
e della felicità. Di fatto, se non per necessità logica, tale
visione porta ad un’economia di mercato, in cui persone
uguali e libere contrattano volontariamente tra loro entro la cornice delle leggi collettivamente adottate. Al binomio libertà e uguaglianza della rivoluzione americana
bisogna aggiungere il paradigma della fraternità, introdotto dopo pochi anni dalla rivoluzione francese; però,
se è pacifico che la solidarietà rappresenta un riferimento etico insopprimibile, non è semplice stabilire come
essa si rapporti agli altri due riferimenti dei quali potreb-
be rappresentare una qualificazione ma anche una limitazione. Il tema sarà esplorato nel testo. Qui basta concludere che nell’ambito assunto – all’insegna della democrazia, della libertà d’impresa e della sovranità del
consumatore entro l’esistente quadro normativo – diventa etica la spesa pubblica che, nelle finalità e nelle
modalità, si ispira al criterio del massimo benessere sociale inteso in senso personalistico, considerando peraltro i legami di solidarietà tra persone. Purtroppo non basta tale affermazione per avere un metro di giudizio sufficiente in tutti i problemi di scelta, come si argomenterà
tra poco; ma basta per inoltrarci nell’analisi.
2. Le finalità della spesa pubblica
Circa le finalità della spesa pubblica in una società liberale e solidale, è pacifica tra gli economisti da oltre
mezzo secolo la tripartizione suggerita e analizzata da
Musgrave, sia con riferimento descrittivo a quanto avviene che con riferimento prescrittivo, quindi etico, a
ciò che dovrebbe avvenire: la spesa pubblica persegue di
fatto, e deve perseguire in vista del benessere sociale, fini
di allocazione delle risorse, di loro ridistribuzione, di stabilizzazione macroeconomica1.
La funzione di allocazione corrisponde alla fornitura
di beni e servizi che l’operatore pubblico effettua a integrazione di quelli forniti dal mercato. In un’ottica prescrittiva, trattasi essenzialmente di beni a fruizione collettiva forniti senza prezzo o di beni con rilevanti effetti
esterni positivi e quindi forniti a prezzi inferiori al costo:
difesa, giustizia, ordine pubblico, ricerca, istruzione, infrastrutture, ecc.; beni che i privati non produrrebbero o
produrrebbero in quantità o qualità insufficiente perché
privi di corrispettivo adeguato.
1 La presente nota rappresenta una riflessione personale che si
basa soltanto sui principi fondamentali dell’intervento pubblico sull’economia. Non ci sono quindi citazioni specifiche sui vari argomenti affrontati, ma solo un rinvio a tali principi per il cui approfondimento basta qualsiasi buon manuale di Scienza delle finanze,
ad esempio: B.Bises, Lezioni di Scienza delle Finanze, 2° edizione,
vol.1, Giappicchelli, Torino, 2012; H. S.Rosen e T. Gayer, Scienza
delle Finanze, 4° edizione, McGraw Hill, Milano, 2014; G. Brosio,
Economia pubblica moderna, Giappicchelli, Torino, 2010.
55
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 56
56
DOTTRINA
La funzione di ridistribuzione corrisponde all’insieme di trasferimenti alle imprese e alle famiglie volti a
correggere, nel senso voluto dal decisore politico, i risultati economici emergenti dalla mercato privato.
La funzione di stabilizzazione non trova corrispondenza in voci specifiche di bilancio. Le spese reali sono
solo quelle appena viste, per beni e servizi o per trasferimenti. Ma, rispetto alle astratte esigenze dell’allocazione
e della ridistribuzione, la politica macroeconomica può
indurre ad un aumento o ad una riduzione della spesa al
fine di stabilizzare il ciclo economico, contrastando gli
opposti fenomeni patologici che accompagnano l’economia di mercato, ossia l’inflazione e la recessione.
Per meglio valutare ora le implicazioni etiche della
spesa pubblica, si ricorre all’usuale ipotesi semplificativa
che esamina le spese attinenti a ciascuna delle tre funzioni anzidette, immaginando che le altre due siano state
già affrontate in modo adeguato.
2.1. La funzione allocativa
Cominciamo dalla funzione allocativa, supponendo,
come appena chiarito, che il contesto sia privo di rilevanti problemi ridistributivi e congiunturali. Cosa e
quanto produrre? Il tema ha dato vita nel Novecento a
uno specifico filone di teoria economica, noto sotto il
nome di “economia del benessere”, che ha prodotto significativi contributi alla definizione di criteri di giudizio e di decisione: dal criterio di Vilfredo Pareto (intervenire per massimizzare il benessere sociale aggregato,
sotto il vincolo che nessuno stia peggio di prima e quindi dando compensazioni adeguate ai danneggiati) al criterio della compensazione potenziale elaborato da Nicholas Kaldor e John Hicks (intervenire per massimizzare il saldo netto tra guadagni e perdite individuali, affidando al confronto politico la decisione su eventuali
compensazioni interne).È quest’ultimo, in pratica, il
criterio di valutazione delle azioni economiche implicito nella cultura politica dominante. Esso separa le decisioni sull’allocazione, che devono puntare al massimo
risultato netto, da quelle sulla distribuzione dei costi e
dei risultati stessi, che sono viste come un posterius delle
prime e lasciate alle separate scelte politiche Omettendo
vari passaggi analitici, in buona parte intuitivi, si tratta
del criterio che sottende al paradigma della concorrenza
perfetta di Adam Smith come sistema ideale di mercato,
che a livello macroeconomico porta a perseguire l’obiettivo del massimo prodotto interno lordo, che infine
ispira l’analisi costi-benefici elaborata per le decisioni
sugli investimenti pubblici. La sua forza sul piano dell’analisi è che esso si presenta concettualmente come
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
guida sufficiente, ossia come criterio esaustivo ed univoco delle azioni economiche.
In campo pubblico esistono in realtà enormi problemi di misurazione e stima del prodotto pubblico, dato
che molti beni e servizi sono resi disponibili a prezzo zero o comunque inferiore al costo: sono problemi che
l’affinamento dell’analisi costi-benefici ha consentito di
ridurre, ma gli spazi di indeterminazione sono ancora rilevanti e suggeriscono di ricorrere spesso a varianti non
monetarie dell’analisi, quali l’analisi costi-efficacia o
l’analisi a criteri multipli. Resta tuttavia vero che sul piano concettuale, ignorando i problemi concreti di misura
e stima, l’anzidetto criterio del massimo prodotto ha
senso anche per la spesa pubblica in beni e servizi: esso
implica precisamente che il valore di tali beni e servizi sia
dato dalla disponibilità dei cittadini a pagarli (disponibilità “sincera”, che ipotizziamo di poter stimare al di là
delle dichiarazioni opportunistiche dei cittadini-contribuenti che cercano di minimizzare il prelievo cui saranno sottoposti).
È allora da ritenersi tale criterio come valido anche
sul piano etico? Molti studiosi rispondono positivamente, perché conviene comunque produrre il massimo possibile, per poter ridistribuire di più qualora non si giudicasse appropriata l’esistente distribuzione della ricchezza. Mutatis mutandis, è il concetto affermato con forza
da Milton Friedman contro ogni teoria di responsabilità
sociale dell’impresa. Per quanto gravi siano i problemi
sociali, egli sostiene, li si affronta meglio se il prodotto
interno lordo è maggiore; e quindi le imprese devono
pensare solo al massimo profitto, naturalmente nel rispetto delle leggi.
L’obiezione è duplice. Innanzitutto, si sottolinea che
le leggi non cadono dal cielo e che, se una modifica dei
comportamenti appare positiva, meglio è anticiparla nei
fatti per quanto possibile e consentito, in attesa che una
nuova regola, stimolata dalle pressioni sociali, la renda
obbligatoria. In secondo luogo, si ricorda che i problemi
sociali possono nascere anche dalle modalità di produzione e non solo dalla scarsità di prodotto. Ad esempio,
non è la stessa cosa far lavorare il disoccupato anche a
produttività bassa o nulla e pagargli invece a casa un sussidio pari al salario perso. In tal caso, esiste un trade-off,
un rapporto di scambio, tra il quanto e il come; e ciò basta a inficiare la teoria del massimo prodotto.
Al contempo, bisogna evitare che simili argomentazioni si estendano oltre il dovuto e giustifichino la mancanza di ogni obbligo di valutazione economica in campo pubblico.Sotto tale profilo aiuta il ricorso alla menzionata analisi costi-benefici. Essa consente infatti di tener conto di simili aspetti, introducendo nel calcolo
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 57
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
pubblico di convenienza sociale degli appropriati prezzi
virtuali al posto dei prezzi di mercato che sarebbero
fuorvianti in presenza di effetti esterni o di estesa disoccupazione.
In conclusione, ignorando per il momento i problemi
di ridistribuzione, l’etica suggerisce che la spesa pubblica
per beni e servizi si ispiri all’obiettivo del massimo beneficio sociale netto, misurando il valore dei beni e servizi
pubblici in base al valore ad essi attribuito dai cittadini,
come avviene per i beni e servizi scambiati sul mercato.
Come appena detto, aiuta in tal senso il ricorso, per
quanto possibile, all’analisi costi- benefici, che assicura
trasparenza e coerenza nella valutazione degli effetti misurabili della spesa pubblica, mentre, per la larga parte di
spesa con benefici non misurabili in termini monetari,
occorrerà sperare nelle valutazioni soggettive di decisori
che siano sinceramente ispirate da tale obiettivo.
Sono quindi contrarie all’etica le spese finalizzate a
realizzare vantaggi di gruppi di pressione o addirittura di
singoli, mediante leggi ad personam, anziché il bene comune; a maggior ragione se le decisioni sono indotte da
corruzione o da interessi diretti dei decisori. Se sulle forme estreme di degenerazione della spesa pubblica non
occorre spendere parole di chiarimento, bisogna invece
avvertire che la democrazia rappresentativa è strutturalmente esposta alle influenze dei gruppi di pressione attraverso gli accordi di voto, di cui una manifestazione vistosa è l’emanazione in fase preelettorale di “leggi e leggine” a beneficio dei singoli collegi elettorali. Attenzione
tuttavia che gli accordi di voto potrebbero anche portare
a decisioni positive dal punto di vista del benessere sociale, consentendo di superare il limite intrinseco della
regola “una testa, un voto”: regola quasi universale, in
mancanza di meglio, ma che soffre dell’intrinseca debolezza di non tener conto della intensità delle preferenze e
quindi di attribuire uguale potere decisionale a Tizio e
Caio, anche se la questione in esame è irrilevante per Tizio ed è di vitale importanza per Caio.Diventa perciò necessario un giudizio sui singoli casi, con tutte le difficoltà che ne conseguono.
Non potendo in questa sede approfondire l’analisi
dei meccanismi palesi e occulti delle scelte collettive, su
cui si è ormai accumulata una vasta letteratura, concludo segnalando due strumenti adottati in Italia per aiutare i parlamentari di buona volontà che vogliano decidere
secondo etica e quindi in vista del massimo benessere sociale. Il primo è costituito dagli uffici tecnici delle due
Camere, chiamati a enucleare e possibilmente misurare
gli effetti delle spese proposte: è un’approssimazione
all’analisi costi-benefici più volte menzionata, che, per
quanto perfezionabile, rappresenta un valido ausilio alle
decisioni. Il secondo strumento è costituito dalla nuova
struttura del bilancio adottata nel 2007, su iniziativa del
Ministro dell’economia e delle finanze Tommaso Padoa
Schioppa, la cui riforma ridusse drasticamente le migliaia di capitoli di bilancio riconducendoli a 168 programmi ministeriali, ciascuno con un chiaro contenuto politico, a loro volta raggruppati in 34 missioni interministeriali, Ciò consente, volendo, scelte più meditate, trasparenti e coerenti.
Non mi pare, purtroppo, che siano strumenti diffusamente utilizzati; e potrebbe essere una buona missione
degli studiosi quello di diffonderne la conoscenza nell’opinione pubblica e stimolarne l’utilizzo da parte dei
parlamentari.
2.2. La spesa ridistributiva
Passiamo alla seconda componente della spesa pubblica, quella che cerca di ridistribuire la ricchezza rispetto agli esiti di mercato. Questo è il campo in cui, a giudicare dal dibattito politico e dall’opinione pubblica, è
massima la difficoltà di trovare un qualche preciso riferimento etico. Non si tratta qui di difficoltà di misurazione, come nel caso del beneficio sociale creato dalla spesa
per beni e servizi. Si tratta di difficoltà concettuale: qual
è la giusta distribuzione della ricchezza? Non esistono
teoremi al riguardo; e la stessa esistenza di una molteplicità di criteri proposti lo dimostra.
Autorevoli studiosi, da John Stuart Mill a Luigi Einaudi, hanno sostenuto che, nella visone dello Stato liberale formato da uomini uguali e liberi, appaiono particolarmente ingiuste le disuguaglianze non giustificate
dal merito, invocando quindi l’uguaglianza dei punti di
partenza e spingendosi in alcuni casi a chiedere un’imposta successoria estremamente elevata. Ed è interessante notare che essi non erano bloccati dal timore di togliere stimoli al lavoro e al risparmio. Con una singolare sintonia tra pensiero marxista e pensiero liberale, il capitalista veniva designato in tali analisi come il sacerdote del
capitale, cioè una persona che si realizzava attraverso il
successo nel lavoro cui si sarebbe totalmente dedicato
anche in assenza di eredi. Di fatto, è stata una strada non
perseguita, anche se al riguardo le odierne differenze tra
Stati sono notevoli sia per quanto riguarda l’imposta sulle successioni sia per quanto riguarda i comportamenti
volontari (si pensi alla cultura americana in fatto di donazioni filantropiche a scapito dell’eredità in famiglia).
In realtà gli Stati liberali, pur senza puntare all’uguaglianza dei punti di partenza, hanno cercato di dare opportunità diffuse alla popolazione non già attraverso
l’imposta successoria bensì attraverso la spesa pubblica
57
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 58
58
DOTTRINA
in beni e servizi universali – previdenza, istruzione e sanità di massa – finanziata da sistemi tributari progressivi. Si tratta dello “Stato sociale” che si è affermato nei
paesi occidentali, in particolare in Europa, nel secondo
dopoguerra e che, pur con il forte ridimensionamento
avvenuto negli anni ‘80 del Novecento, è ancora il paradigma dominante in tali paesi.
Rimangono peraltro forti differenze nelle posizioni
di ricchezza tra famiglie e in particolare rimangono quote non trascurabili di popolazione in condizioni di povertà relativa e addirittura di povertà assoluta; e si sa che
la crisi da cui stiamo faticosamente uscendo ha notevolmente aggravato la situazione.
Cercando il miglior criterio di spesa ridistributiva,
bisogna partire da duplice riconoscimento che l’istinto
di solidarietà è radicato ovunque, in particolare nelle società a religione monoteista in cui l’aiuto al debole discende dal riconoscersi tutti fratelli ed è comunque un
dovere sancito dalla Rivelazione; e che tale istinto si manifesta da sempre con svariate forme spontanee di carità.
Perché allora l’intervento pubblico che va a modificare i
risultati del libero mercato e della ridistribuzione volontaria ? Mille risposte vengono alla mente, che spaziano
dalla insufficienza quantitativa delle erogazioni private
ai principi costituzionali sui diritti individuali che hanno sostituito il paternalismo del dono, fino alle ragioni
economiche di maggiore efficienza ed efficacia di
un’azione pubblica coordinata rispetto alle azioni volontarie. Ma la sistemazione teorica più appropriata nell’ambito della visione di Stato qui adottata è quella che si
rifà al più volte richiamato criterio del benessere sociale
valutato su basi personalistiche: in una società permeata
da cultura laica o religiosa tesa alla solidarietà, l’individuo tipico è propenso a dare a patto che gli altri in analoga situazione economica diano altrettanto; altrimenti
impoverisce se stesso senza migliorare il mondo. Senza
questa fiducia in un’azione collettiva, il singolo dà poco
o nulla. Lo Stato diventa quindi il garante del generale
sforzo di solidarietà: in altre parole, lo Stato, attraverso la
coercizione dell’imposta che finanzia i sussidi pubblici,
realizza ciò che i cittadini desiderano ma non sanno attuare volontariamente.
La teoria offre anche indicazioni astratte sulla dimensione ottimale della ridistribuzione. Ragionando ancora
sul cittadino tipo e assumendo la realistica ipotesi di un
sacrificio marginale crescente dell’imposta e di un’utilità
marginale decrescente del sussidio, si tratta di arrivare al
punto in cui tale cittadino avverte, come contribuente,
un sacrificio marginale provocato da un euro in più di
imposta pari alla soddisfazione marginale che gli dà, come donatore, un euro in più di sussidio erogato. Super-
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
fluo dire che non si riesce a dare una misurazione oggettiva di simile punto di equilibrio e che dunque il quantum da ridistribuire è lasciato alla sensibilità dei decisori
politici che interpretano la propensioni dei cittadini nella loro duplice veste di contribuenti e di donatori.
Se ci si fermasse qui, si sarebbe raggiunta la conclusone che la spesa per ridistribuire la ricchezza è giustificata sul piano etico, anche se la dimensione ottimale
non è oggettivamente definibile. Ma vale la pena anche
di valutare sul piano etico il dilemma affrontato dal decisore politico che deve decidere se ridistribuire in denaro o in natura, ossia dando ai beneficiari un sussidio
monetario o fornendogli servizi gratuiti (alimenti, alloggio, medicinali, ecc.).
È intuitivo che, a parità di spesa per il donatore, il beneficiario sta meglio se riceve denaro che non se riceve
un paniere di beni e servizi di pari valore. Nel caso limite, di identità tra l’ipotetico paniere comprato e quello
effettivamente ricevuto, c’è pari beneficio; in tutti gli altri casi, il paniere ricevuto, diverso da quello che avrebbe
comprato, gli dà meno soddisfazione. E tuttavia l’assistenza in natura si osserva in tutti i paesi. Le ragioni sono
essenzialmente due. La prima è che la messa a disposizione di beni e servizi riduce le truffe (il non bisognoso è
più tentato dal sussidio in denaro che non dal posto nella mensa o nell’alloggio pubblico ). Sotto questo profilo,
il timore di truffe è attenuato dall’uso crescente in Italia
di uno specifico strumento di rappresentazione della situazione reddituale e patrimoniale di chi richiede assistenza, il cosiddetto Isee (Indicatore della situazione economica equivalente); ma, a detta degli esperti, le false dichiarazioni sono ancora molto numerose.
La seconda ragione è più delicata sul piano etico e
concerne soprattutto la fascia dell’emarginazione sociale. Il presupposto è che il beneficiario userebbe il denaro
per spese non appropriate, sicché il decisore pubblico,
quale rappresentante dei donatori, preferisce offrire i beni e servizi che ritiene effettivamente utili al beneficiario,
violando così, ma a fin di bene, il principio della sovranità del consumatore 2.
Se queste poche righe bastano a far capire che è eticamente necessaria la spesa pubblica ridistributiva e che è
eticamente giustificata la ridistribuzione in natura anziché in denaro, esse non rendono l’idea di quanto il problema delle disuguaglianze sia diventato cruciale per la
tenuta sociale degli Stati liberali. Rispetto a quanto avve2 Una soluzione intermedia è rappresentata dal sistema dei voucher,ossia dei buoni- spesa a destinazione vincolata che tolgono al
beneficiario libertà di scegliere il tipo di spesa ma gli consentono di
scegliere il fornitore.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 59
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
nuto nella seconda metà del ‘900, quando la crescente
ricchezza media si accompagnava a una riduzione delle
disuguaglianze, si assiste da quasi vent’anni a disuguaglianze crescenti3. Varie la cause, tra cui prioritaria la
globalizzazione che aumenta la ricchezza globale e riduce le differenze tra Stati ma aumenta le distanze tra classi
sociali all’interno degli Stati. Con l’aggravante di uno
Stato che deve diminuire la spesa sociale perché impoverito dalla crescente difficoltà di prelievo fiscale, dato che
in un mondo globalizzato sfuggono molto più di prima
le rendite finanziarie, i redditi delle imprese con stabilimenti esteri, gli alti redditi e consumi personali. Peggio
ancora, è stato riscontrato che in molti paesi le forti disuguaglianze sono associate con una bassa mobilità sociale intergenerazionale: la situazione economica delle
nuove generazioni è fortemente legata alla situazione
delle famiglie di origine. È la fine del sistema di mercato
come fattore di mobilità sociale e dispensatore di ricchezza diffusa? Non è detto; può essere solo l’avvio di un
nuovo ciclo lungo che vede lo sviluppo economico accentuare dapprima e poi ridurre le differenze, come avvenuto in passato. Ma è certo che la miscela maggiori
differenze- minore mobilità sociale è esplosiva, perché
rende le differenze intollerabili, come più volte ha ricordato Papa Francesco.
Se al fenomeno delle crescenti disuguaglianze all’interno della popolazione esistente si aggiungono le migrazioni di massa, ci si accorge come la ridistribuzione
della ricchezza sia problema gigantesco che incombe su
tutta la vita collettiva e che forse richiede nuovi paradigmi culturali ed etici.
2.3. la spesa anticiclica
Passando alla terza finalità della spesa pubblica, si è
già detto che essa nasce dalla presenza di cicli economici
nelle economie di mercato e dall’opportunità di contrastarli per evitare o almeno ridurre le fasi di inflazione o
di recessione. Le manovre anticicliche si avvalgono anche e soprattutto di variazioni nell’imposizione fiscale,
ma qui guardiamo solo al lato spesa. Esemplifichiamo
con il caso della recessione, che viene contrastata con un
aumento della spesa pubblica. Nella situazione ideale si
tratterebbe di anticipare le spese comunque previste come appropriate per il benessere sociale sul piano allocativo o ridistributivo; e in tal caso non si porrebbe un autonomo problema di valutazione sotto il profilo etico.
Nelle politiche reali, invece, può rivelarsi opportuno ef3 OECD, DIVID4 ED We Stand. Why Inequality Keeps Rising,
Paris, 2011.
fettuare subito spese in beni e servizi che in condizioni
di normalità sarebbero posposte ad altre solo perché presentano maggiore rapidità di attuazione o maggiore impatto sull’occupazione. E analogamente sul versante della ridistribuzione, dove possono essere preferiti aumenti
di sussidi a effetto più rapido e forte sui consumi a quelli
più aderenti a principi di equità.
Nei manuali di economia si usa ricordare che il padre
della politica anticiclica, John M. Keynes, giustificava
anche l’opera inutile – il canale scavato da una squadra e
subito riempito da un’altra – pur di rilanciare il sistema
economico inceppato. Purtroppo la provocazione teorica
si è trasformata frequentemente in un alibi per parlamenti, governi e uffici pubblici che hanno favorito l’espansione della spesa pubblica, e quindi della loro area di potere,
senza troppo riguardi per la qualità dei singoli progetti:
un atteggiamento che ha provocato molti investimenti
scarsamente utili o autentici sprechi, provocando una
tardiva reazione contro la dottrina keynesiana, magari
ignorando che non di cattiva teoria si trattava ma di degenerazione pratica di una buona teoria.Analogamente,
sul fronte redistributivo l’urgenza del risultato può mascherare interventi dettati da interessi di gruppi di potere.
Il dettato etico è astrattamente chiaro e impone al decisore pubblico di contemperare nel modo più congruo
per il benessere sociale la finalità anticiclica con quella
allocativa e ridistributiva. È superfluo aggiungere che la
chiarezza teorica si accompagna all’estrema difficoltà
pratica di trovare criteri operativi che consentano di giudicare le manovre anticicliche dal punto di vista etico.
3. Spesa con deficit di bilancio
Un problema etico si pone poi a livello di spesa pubblica complessiva quando essa generi un deficit di bilancio e sia quindi finanziata con debito. Ovviamente non
rileva qui il breve squilibrio di tesoreria, legato ai temporanei ritardi dei flussi di entrata rispetto a quelli di uscita; e neppure il deficit generato dalla politica antirecessiva, che venga presto sanato nella fase ascendente del ciclo economico, secondo la citata teoria keynesiana; e
neppure il deficit che nasce da efficaci investimenti produttivi che saranno capaci di più che compensare la spesa. Rileva invece il debito accumulato attraverso un prolungato deficit di parte corrente che implica un persistente livello di spesa non coperto dal prelievo tributario. Esso è chiaramente contrario a quel concetto di sostenibilità economica che, al pari della sostenibilità ambientale, rappresenta l’essenza dell’etica nei rapporti tra
generazioni.
59
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 60
60
DOTTRINA
Si comprende allora la pregnanza etica della regola
dell’Unione Europea introdotta con il Fiscal Compact
del 2012, che impone l’equilibrio del bilancio strutturale, tollerando solo un deficit pari allo 0,50% del Pil. Com’è noto, il saldo del bilancio strutturale (o normale o a
regime o aggiustato per il ciclo, che dir si voglia) è frutto
di una stima, non un risultato della contabilità effettiva.
Precisamente è il saldo che si verificherebbe a legislazione invariata, una volta tolti dal bilancio corrente gli effetti delle misure una tantum e soprattutto gli effetti della congiuntura economica che potrebbe essere eccezionalmente buona o cattiva. Si noti che un bilancio strutturale in pareggio contiene una flessibilità automatica. A
legislazione invariata, infatti, esso genera un surplus di
bilancio nella fase ascendente del ciclo economico,
quando diminuiscono i sussidi e aumenta il prelievo; e
simmetricamente genera un deficit di bilancio corrente
nella fase recessiva. Personalmente, giudico insufficiente
la flessibilità automatica e ritengo necessarie deroghe più
marcate per superare crisi profonde come quella da cui
stiamo faticosamente uscendo. Considero quindi positiva l’evoluzione della politica comunitaria che ha recentemente introdotto gradi di flessibilità aggiuntiva a fronte di recessioni acute, di investimenti effettivamente
produttivi e di buone riforme. I livelli di flessibilità non
appaiono adeguati ma la direzione i marcia è corretta4.
Quanto detto rende più chiaro il buon fondamento
etico delle due regole del Fiscal Compact che impongono, a regime, di mantenere il (quasi) pareggio del bilancio strutturale e di non superare un livello fisiologico di
debito pubblico, posto convenzionalmente al 60% del
Pil. Esse significano che ogni generazione paghi le proprie spese, evitando la cattiva prassi, di cui l’Italia è stata
triste campione, di scaricare l’onere sui giovani: l’Italia,
che di tale prassi è stata triste campione, ha adottato nel
2012 la stessa regola, modificando l’art. 81 della Costituzione; a nzi, ha voluto primeggiare, rinunciando al deficit di mezzo punto del Pil ammesso nel patto europeo e
imponendo il pareggio senza sconti.
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
un corpo di civil servants obbedienti solo alle leggi di cui
effettuava una scrupolosa applicazione erga omnes, nei
confronti quindi dei cittadini ma anche del governo.
Nelle analisi di economia pubblica, essa appariva priva
di un ruolo autonomo: era solo una cinghia di trasmissione più o meno perfetta, non un meccanismo capace
di influenzare la direzione di marcia. È solo da pochi decenni che la pubblicistica economica si è accorta che per
capire il mondo bisognava attribuire alla burocrazia un
largo spazio di autonomia e decifrarne l’uso che essa ne
faceva. La letteratura economica sull’argomento è cresciuta rapidamente, seguendo l’espansione della spesa
pubblica nel secondo dopoguerra ma anche inserendosi
nella più vasta teoria dei “contratti incompleti”. Tale
teoria afferma che non è possibile prevedere tutti gli
eventi né predeterminare tutti i corrispondenti comportamenti e comunque non è conveniente investire risorse
per farlo. Occorre pertanto accettare che tutti i contratti,
sia quelli commerciali tra soggetti indipendenti sia quelli
di lavoro all’interno di una struttura complessa, lascino
margini di indeterminazione che il singolo è libero di
usare discrezionalmente. La conseguenza è che i risultati
economici dipendono anche dal livello di etica negli affari, intesa come il sistema dei valori che porta ad aderire
alle regole anche quando i comportamenti non siano
controllabili o sanzionabili. È un fattore che spiega perché lo stesso problema economico possa razionalmente
originare soluzioni diverse nei diversi tempi e paesi, che
spiega molte differenze tra paesi con analoga dotazione
di risorse fisiche e umane, che spiega purtroppo varie peculiarità negative del’Italia.
Il problema è quindi generale; ma esso giganteggia,
appunto, nel settore pubblico, dove una burocrazia stabile e informata si trova di fronte parlamentari e ministri
provvisori ed inesperti. Le conclusioni di tali analisi sono note: la burocrazia tende in generale a dilatare la spesa pubblica, a diminuire l’efficienza operativa (il potere
le deriva più dagli input gestiti che non dai risultati sociali ottenuti), a rendere complessi i processi decisionali
e la stessa normativa5.
4. Le modalità della spesa e il ruolo della burocrazia
Passando dalle finalità alle modalità della spesa, viene
in rilievo essenzialmente il tema della burocrazia, Nella
teoria dello Stato liberale la burocrazia è stata idealizzata:
4 Cfr. il mio scritto:”Italia – Unione Europea: le regole e le deroghe “, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Venezia, tomo CLXXIII ( 2014-2015), Classe di Scienze morali, lettere ed arti,
pp.55-67.
Come presidente della Commissione tecnica per la finanza
pubblica (CTFP), che da aprile 2007 e maggio 2008 svolse, su mandato del Ministro Tommaso Padoa Schioppa, un sistematico processo di revisione della spesa ( Spending Review), ho potuto toccare con
mano le molte possibilità di “spendere meglio”, come recitava il sottotitolo del primo documento della Commissione. Ho poi verificato
da lontano le difficoltà di attuazione, tanto che leggo ancora proposte di intervento già formulate sette anni fa. Cfr. MEF-CTSP, Libro
verde sulla spesa pubblica, Roma, 6.9.2007; La revisione della spesa
pubblica, Rapporto 2008, Roma, 12.6. 2008.
5
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 61
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Nell’applicazione delle leggi di spesa l’etica assume
dunque un contenuto preciso: essa significa adesione
spontanea alle finalità istituzionali, in termini di efficacia
e di efficienza dell’intervento pubblico, anche quando i
comportamenti non siano controllabili o sanzionabili.
Quanto si sia lontani da livelli soddisfacenti di etica
in Italia, non occorre dire; e neppure vale la pena di
spendere molte parole sui rimedi sperimentati, sinora
senza molto successo: la definizione di precisi obiettivi e
strumenti, la valutazione dei risultati, le promozioni e le
premiazioni selettive, infine e soprattutto, i controlli sulle procedure, sui comportamenti e sulle assenze.
L’ANAC ha visto crescere rapidamente le proprie competenze, forse un po’ troppo rapidamente per l’organizzazione interna dell’ente, mentre la recente legge delega
124/2015 sulla riforma della PA promette modifiche
positive e incisive. Peccato che alcuni principi risultino
già contemplati in leggi passate e mai pienamente attuate: dall’Ufficio territoriale del Governo, previsto dalla
legge Bassanini del 1997 (legge delega 59/1997 e
D.lgs.300/1999), alla durata certa dei processi amministrativi già imposta dalla legge 241/1990, alla meritocrazia che stava al centro della legge Brunetta del 2009
(D.lgs. 150/2009). Ciò dimostra ancora una volta che in
Italia la legge è forse condizione necessaria, certamente
non è condizione sufficiente per cambiare la realtà. E
tuttavia non resta che proseguire su questa strada, sperando che una maggiore consapevolezza sociale, un affinamento delle leggi e il maggiore controllo dell’Europa
portino a qualche positivo risultato.
5. Riepilogo
La presente nota ha assunto un concetto di etica pubblica aderente ad una visone politica che mette al centro
la persona e quindi postula che la spesa pubblica debba
perseguire il massimo benessere sociale inteso in senso
personalistico: meglio se nessuno soffre dell’azione pubblica, che dovrà allora prevedere adeguate compensazioni per coloro che in via immediata ne risultino danneggiati, secondo il criterio di Pareto; necessario comunque
che, quando non ci sono compensazioni perché impossibili o indesiderate, sia positivo il saldo tra i guadagni e
le perdite della spesa pubblica, secondo il criterio della
compensazione potenziale.
In un mondo senza problemi di ridistribuzione della
ricchezza e di stabilizzazione del ciclo economico,
un’impostazione del genere equivale a riconoscere validità etica alla massimizzazione del Pil e, in campo pubblico, alla massimizzazione del saldo benefici-costi, mi-
DOTTRINA
surati in base alla disponibilità a pagare dei cittadini. Diventa quindi non etica ogni spesa dettata da interessi
particolari che non consentano di realizzare il benessere
sociale potenziale.
Aprendo poi ai problemi reali delle disuguaglianze, oggi paradossalmente ancora più gravi che in passato, nonché a quelli creati dal ciclo economico, ci si accorge che
l’obiettivo del massimo prodotto deve venire a patti con le
esigenze della ridistribuzione e della stabilizzazione.
La ridistribuzione operata dallo Stato deve realizzare
con giustizia ed efficienza la solidarietà che è diffusa nella nostra società, assicurando l’equità nel prelievo e l’efficacia ed efficienza nella erogazione, consentendo anche,
a fin di bene, servizi in natura al posto dei sussidi in denaro che sarebbero più coerenti con la visione personalistica del benessere sociale.
La politica di stabilizzazione dal lato della spesa deve
accelerare o frenare l’intervento pubblico in funzione
anticiclica. L’attenzione va posta sulla composizione della spesa, che deve derogare il meno possibile dagli obiettivi di efficacia individuati nella sfera dell’allocazione e
in quella della ridistribuzione delle risorse. Il pericolo
maggiore sotto il profilo dell’etica è che l’urgenza dell’intervento produca o nasconda sprechi e spese sociali
poco utili.
A livello complessivo di finanziamento della spesa
pubblica si pone il problema del deficit e del debito. Va
riconosciuto a tale riguardo il fondamento etico delle regole europee del Fiscal Compact del 2012 che, richiedendo l’equilibrio del bilancio strutturale e imponendo
a regime il tetto del 60% al debito rispetto al Pil, obbliga
ogni generazione a pagare le proprie spese, senza scaricare l’onere sulle future generazioni. Va quindi chiesta
un’adeguata flessibilità della regola in situazione di crisi
ma senza rinnegare la regola a regime.
Sotto il profilo dell’etica pubblica, non meno importanti delle finalità della spesa, che toccano Parlamento e
Governo, sono le modalità esecutive, che pongono in
primo piano la Pubblica Amministrazione. Al di là dell’ovvia e unanime condanna dei comportamenti illegali,
c’è concordia nelle analisi economiche sulla pressione
della burocrazia a favore della dilatazione della spesa e alla sua minore efficienza, dato che il potere del dirigente
poggia più sulla dimensione degli input amministrati
che non dei risultati sociali ottenuti.
Si può a questo punto sintetizzare l’intera analisi
sull’etica della spesa pubblica nel duplice comandamento: i legislatori operino per il benessere sociale e gli esecutori siano efficienti e leali nel realizzare le finalità istituzionali; e ciò anche quando i comportamenti non siano controllabili o sanzionabili.
61
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 62
62
DOTTRINA
6. Si può promuovere l’etica?
A conclusione dell’analisi sul significato dell’etica
della spesa pubblica, serve una riflessione sul da farsi. In
quest’ottica viene in rilievo la disastrosa situazione italiana, che rende necessario interrogarsi, prima ancora che
sull’eticità, sulla legalità delle azioni degli operatori pubblici. Assumendo come esempio la piaga principale, la
corruzione, essa non è stata prima esaminata perché non
occorre alcuna analisi per condannarla sul piano morale.
In un’ottica di contrasto, invece, serve un approfondito
esame per capire le sue determinanti e prospettare i possibili rimedi6. In estrema sintesi, si ritiene che le principali cause della maggiore diffusione della corruzione in
Italia rispetto ai paesi sviluppati con cui si è soliti confrontarsi possano essere così configurate: il forte potere
della malavita organizzata, che cerca protezioni o omissioni in campo pubblico; l’ inefficienza della macchina
giudiziaria, che rende probabile la prescrizione di molti
reati e diffonde tra i colpevoli un senso di impunità; il
professionismo politico, che agevola la connivenza di
parlamentari e governanti con i gruppi di potere nella
società; la legislazione farraginosa e la burocrazia inefficiente, che generano la “corruzione indotta” da parte del
cittadino che deve pagare favori anche solo per ottenere
in tempi ragionevoli il riconoscimento dei propri diritti.
Quest’ultimo appare il principale fattore del degrado
della vita pubblica in Italia, non per il danno direttamente prodotto ma perché indebolisce il principale argine contro la corruzione, costituito dal controllo e dalla
condanna da parte della comunità civile. Non ha aiutato
in questo senso la scarsa severità della gerarchia cattolica
italiana verso i violatori della morale sociale.
Tale analisi porta a concludere che non bastano, per
quanto utili, le misure specifiche, come la creazione di
un’apposita autorità anticorruzione (Anac). Non è la cura giusta neppure l’aumento a dismisura dei controlli e
delle sanzioni: perché i controlli costano; perché non si
può derogare dal principio di proporzionalità tra reati e
pene; e soprattutto perché una società con scarsa etica e
abbondante corruzione non può fidarsi ciecamente neanche dai controllori ai quali consegna un “valore di corruzione potenziale” tanto maggiore quanto più alta è la
sanzione che possono infliggere o togliere. Insomma, la
lotta alla corruzione coincide in gran parte con la quotidiana e faticosa battaglia generale per aumentare il livello di efficienza e di etica dello Stato.
Cfr. il mio scritto: “La battaglia da fare contro la corruzione”,
Lavoce.info, 25.02.2014.
6
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Non è una conclusione priva di speranza. Perché la
mia età avanzata mi fa dire che una volta era peggio: la
sensibilità sociale è cresciuta; la gerarchia cattolica italiana, specie con Papa Francesco, sta agendo da agente di
moralizzazione; e soprattutto i controllori – Corte dei
conti, magistratura ordinaria, uffici fiscali e Guardia di
Finanza- hanno innalzato il livello di competenza e credibilità rispetto ai primi decenni del dopoguerra.
Avere individuato tra i massimi fattori della radicata
illegalità in Italia la diffusa “corruzione indotta” e la conseguente caduta del controllo sociale porta a pensare ad
un continuum nel tema dei comportamenti, che va dalla
carenza di senso etico, ossia di spontanea adesione non
solo alla lettera ma anche allo spirito delle norme e dei
doveri istituzionali, alla esplicita violazione delle leggi.
Con la conseguenza che ogni punto di questo continuum influenza il resto della catena.
Per comodità espositiva conviene tuttavia distinguere
i due capitoli dell’analisi: come imporre coercitivamente
l’osservanza delle leggi e quindi contrastare, tra l’altro, la
corruzione; e come ottenere la spontanea adesione alla
lettera e allo spirito delle buone leggi, e quindi indurre
ad operare con convinzione per il benessere sociale, anche quando i comportamenti non siano controllabili o
sanzionabili. È questo secondo capitolo che viene in rilievo, ed è venuto in rilievo in questa nota, quando si
parla di etica.
La non controllabilità o sanzionabilità pone un lacerante problema al singolo7. Perché da un lato egli capisce la validità dell’imperativo categorico kantiano, in
parole povere capisce che il mondo andrebbe meglio se
tutti seguissero regole giuste; dall’altro capisce che, se
gli altri non le seguono, il suo solitario ossequio alle regole lo porterebbe alla rovina senza migliorare il mondo. Si entra in una specie di circolo vizioso, perché l’etica diffusa induce a comportamenti etici, mentre la carenza di etica distoglie dall’osservanza anche i volonterosi. Si pone allora il quesito: si può promuovere l’etica,
al di là delle prediche morali che pure sono necessarie e
possono anche essere efficaci se provengono da leader
rispettati?La mia risposta è positiva, anche se accompagnata da un forte disincanto. Alcuni strumenti sono
stati sopra illustrati: la griglia di missioni e programmi
nel bilancio pubblico, la sistematica analisi preventiva
degli impatti delle norme (analisi costi-benefici e valutazione d’impatto ambientale, per esempio ), la predefi7 Il punto è tratto dal mio scritto “Ricordi di un economista applicato”, Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, n.
1/2014, pp.64-85.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 63
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
nizione degli obiettivi e la valutazione ex post dei risultati, la politica meritocratica all’interno della PA e,
buon ultimo, un efficiente ed equilibrato sistema di
controlli. Sono strumenti che cercano di supplire alla
carenza di etica, che cercano cioè di realizzare mediante
incentivi e disincentivi ciò che una società permeata da
senso etico produrrebbe spontaneamente. Ma al contempo essi diffondono la percezione che l’osservanza
della lettera e dello spirito delle leggi sarà premiata, e
DOTTRINA
ciò dovrebbe aumentare l’adesione spontanea dei singoli alle regole etiche, adesione non più vista come inutile
sacrificio personale ma come partecipazione ad un circolo virtuoso tra regole e comportamenti.E dunque,
non resta che superare lo sconforto di fronte all’ennesima riproposizione di interventi rimasti senza seguito e
continuare, come cittadini e come studiosi, a elaborare
e proporre strumenti utili ad elevare il grado di etica
nell’azione pubblica.
63
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 64
64
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Etica e sanzioni tributarie amministrative
di Andrea Carinci
Le sanzioni sono, per definizione, uno strumento etico, rectius dell’etica, in quanto funzionalmente ordinate
ad imporre precisi modelli comportamentali. Ma le sanzioni, a loro volta, possono avere un’etica? Altrimenti detto, oltre a prescrivere un comportamento ideale – o ritenuto tale da chi gestisce il potere di imporre sanzioni – esiste un modello ideale di sistema sanzionatorio? Un modello, insomma, che si imponga in termini deontologici?
Seguendo un approccio pratico e non metafisico, si
potrebbe – banalmente – affermare che le sanzioni sono
etiche, ossia ideali, se assolvono correttamente il compito e la missione per cui sono stabilite: retribuire la commissione di un illecito (punire) e prevenirne la sua commissione (deterrenza).
Ebbene, già alla stregua di questo parametro alquanto rozzo è possibile dubitare che il nostro sistema nazionale di sanzioni amministrative tributarie sia etico, nel
senso di ideale.
Come noto, reiterando una lunga consuetudine oramai inveterata (come non ricordare le famose “grida
manzoniane”?), le sanzioni amministrative tributarie sono tradizionalmente ispirate ad una concezione di rigore
estremo, più di espiazione che di punizione.
Limitando l’attenzione alle sanzioni vigenti nell’ultimo periodo, ossia all’assetto del sistema sanzionatorio risultante a seguito della riforma del ’97, la conformazione di questo tradisce un concezione della sanzione come
punizione fortemente afflittiva. Pure troppo, se solo si
considera che le sanzioni che, in via ordinaria, andavano
da un minimo del 100 ad un massimo del 200% dell’imposta evasa, divenivano dal 120 al 240% per il caso
di omessa dichiarazione.
Sanzioni quindi estremamente elevate, sovente destinate peraltro a convivere con quelle penali. Nonostante,
infatti, l’espressa previsione del principio di specialità in
materia di sanzioni penali tributarie, in forza del quale,
in presenza di sanzioni penali ed amministrative per la
medesima condotta, si applica solo la sanzione speciale,
non di meno esistono molteplici ipotesi in cui è ammessa l’applicazione di entrambe le sanzioni: nel caso di
omesso versamento di ritenute certificate; in tutti i casi
in cui le sanzioni amministrative sono comminate alla
società e quella penale all’amministratore1.
Un simile rigore sanzionatorio è tradizionalmente giustificato con l’estrema insidiosità delle condotte illecite che
si intendono reprimere, ossia l’evasione fiscale, soprattutto
laddove connotata da pratiche ritenute particolarmente riprovevoli (omissione della dichiarazione; evasione internazionale; utilizzo di crediti inesistenti ecc.). È però possibile ipotizzare anche una differente lettura, meno ideale e
più pratica: minacciando una reazione sanzionatoria tanto
consistente, che di fatto moltiplica esponenzialmente il
debito dell’imposta (le sanzioni sono generalmente parametrate, come un moltiplicatore, all’imposta evasa), si
vuole rendere particolarmente conveniente, se non necessitata, la fruizione delle varie soluzioni definitorie congeniate dal sistema (acquiescenza, adesione, ravvedimento).
Si tratta infatti di soluzioni che appaiono particolarmente
appetibili proprio perché assicurano abbattimenti più o
meno consistenti delle sanzioni: sicché, più queste sono alte più il ricorso a dette soluzioni diventa “invitante”.
Tutto questo, va detto, non è di per sé negativo; al
contempo, però, può apparire contradittorio un sistema
che, nel momento stesso in cui minaccia sanzioni estremamente elevate, ne consente la riduzione in modo tanto
significativo: la portata deterrente della sanzione rischia
infatti di restare compromessa (così, ad esempio, non poteva che destare perplessità la possibilità, originariamente
accordata, di fruire dell’abbattimento ad 1/8 delle sanzioni per il caso di acquiescenza al Pvc ovvero all’invito all’adesione; lo sconto era tale – sanzioni al 12,5% – da svilire, di fatto, il rigore sanzionatorio e la deterrenza della
sanzione, posto che, in taluni casi, rendeva addirittura
più conveniente l’evasione rispetto agli ordinari e fisiologici mezzi di finanziamento dell’impresa).
L’esperienza concreta, in ogni caso, insegna altro. Accade così che le sanzioni, per quanto “spaventose”, non
riescano in effetti a fungere da deterrente alla commissione di illeciti. Colpa una tradizione “perdonistica”, che
ha caratterizzato la nostra storia recente (i famosi condoni) ma che si auspica superata, le sanzioni non sono mai
state un efficace dissuasore dell’evasione fiscale, che ha
infatti mantenuto livelli sempre assai elevati. Del resto è
1 A. CARINCI, Il principio di specialità nelle sanzioni tributarie: tra
crisi del principio e crisi del sistema, in Rassegna tributaria, 2015, pag.
499; I. CARACCIOLI – G. FALSITTA, Il principio di non cumulabilità
fra sanzioni penali e sanzioni tributarie e la sua aberrante mutilazione
con decreto delegato n. 74/2000, in il Fisco, 2000, pag. 9746; A. GIOVANNINI, Il ne bis in idem per la Coerte EDU e il sistema sanzionatorio tributario, in Rass. trib., 2014, pag. 1166
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 65
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
noto come non sia la gravità della sanzione bensì la certezza e l’effettività nella sua applicazione a dissuadere
dalla commissione dell’illecito. Effettività e certezza che,
anche per la ragione sopra detta, sono invece state tradizionalmente carenti.
Se quindi sul piano generale della politica repressiva
le sanzioni tributarie hanno, fino ad ora, fallito la loro
missione – e quindi, in una prospettiva funzionalistica,
si sono mostrate poco etiche – lo stesso si deve dire anche nel piano micro dei casi singoli, dove hanno trovato
concreta applicazione. Rispetto al singolo che subisce le
sanzioni tributarie, infatti, si verifica un fenomeno di
esplosione del debito, che, in ragione delle sanzioni, si
moltiplica fino a raggiungere valori insostenibili. Il debito/costo dell’evasione raggiunge così dimensioni tali da
divenire, sovente, di impossibile soddisfacimento.
Gli effetti sono deflagranti: le imprese chiudono e i
singoli perdono tutti i loro beni.
Con questo non si vuole certamente arrivare a giustificare l’evasione. Non di meno, è indubitabile che, anche nella prospettiva micro del singolo che subisce la
sanzione, un simile effetto rappresenta, di fatto, un fallimento ed una mancanza di etica della sanzione. Questa,
invero, da strumento di punizione teso a retribuire la
commissione dell’illecito diviene strumento di espiazione, in cui il contribuente/reo diventa una vittima sacrificale al sistema.
In questa particolare prospettiva, ad esempio, possono essere lette le previsioni che limitano l’operatività del
cumulo giuridico (ad esempio in tema di accertamento
per adesione), letto e concepito come beneficio al contribuente da moderare e non come dovrebbe di corretto
criterio di misurazione dell’effettivo disvalore di una
condotta. Ancora, il cumulo tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, nei casi dinnanzi evocati, ovvero l’applicazione estremamente rigorosa dell’esimente per
obiettive condizioni di incertezza. Ma gli esempi possono essere molteplici.
Insomma, le sanzioni amministrative tributarie si sono fino ad ora comportate come un elemento di distorsione; e ciò, essenzialmente, in ragione del carattere
spropositato che hanno tradizionalmente manifestato
tanto nella loro conformazione quanto, altresì, nella loro
applicazione concreta (quindi, con una responsabilità
anche della giurisprudenza e della prassi: al riguardo, è
sufficiente ricordare l’estrema prudenza, se non reticenza, manifestata dall’Agenzia ad applicare la riduzione
delle sanzioni per manifesta sproporzione, di cui all’art.
7, co. 4, del D.lgs. n. 472/1997).
La situazione è però destinata a cambiare; segnatamente, per effetto di un’oramai compiuta affermazione del
principio di proporzionalità in tema di sanzioni amministrative tributarie2. Il principio di proporzionalità della
sanzione ha infatti assunto i caratteri di precisa coordinata
cui debbono ispirarsi i sistemi sanzionatori come il nostro,
divenendo così cifra di un sistema sanzionatorio etico.
Come ampiamente noto, merito e responsabilità dell’affermazione del principio di proporzionalità vanno riferiti alla Corte di Giustizia. Questa, chiamata a pronunciarsi segnatamente in tema di sanzioni Iva, ha invero riconosciuto che in mancanza di armonizzazione nel
settore delle sanzioni gli Stati membri possono scegliere
le sanzioni che sembrano loro appropriate. Tuttavia, ha
pure precisato che «essi sono tuttavia tenuti ad esercitare la
loro competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei
suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del
principio di proporzionalità» (CG del 19 luglio 2012,
causa C 263/11, R dlihs, punto 44; cfr. anche sentenze
del 21 settembre 1989, Commissione/Grecia, 68/88,
punto 23; del 16 dicembre 1992, Commissione/Grecia,
C 210/91, punto 19, e del 26 ottobre 1995, Siesse,
C 36/94, punto 21). Ad avviso della Corte, in particolare, occorre che l’importo della sanzione non ecceda
quanto necessario per conseguire gli obiettivi che vi sono propri, consistenti nell’assicurare l’esatta riscossione
dell’imposta ed evitare l’evasione. Debbono però essere
considerate le circostanze del caso di specie, sicché non
sono consentite applicazioni indistinte e generalizzate,
dovendo trovare adeguata valorizzazione l’entità della
somma inflitta nonché e soprattutto la sussistenza o meno di una concreta evasione o di un’elusione della normativa imputabili al soggetto passivo.
Pur trattandosi di un principio elaborato in sede
dell’Unione e, come tale, idealmente destinato a trovare
riconoscimento solo in materia di tributi armonizzati
(con tutte le perplessità a mantenere, ancora oggi, un siffatta distinzione nell’unità dell’ordinamento)3, la sua
penetrazione nel sistema nazionale è stata completa. E
questo, invece, per merito del Legislatore, che, nella predisposizione della Legge di delega fiscale del’11 marzo
2014, n. 23, all’art. 8 dedicato alla revisione del sistema
sanzionatorio, ha espressamente individuato come criterio direttivo il criterio di proporzionalità rispetto alla
gravità dei comportamenti. Senza declinarlo, però, con
la conseguenza che sarà inevitabile interpretarlo alla stregua della giurisprudenza della Corte di Giustizia.
G. INGRAO, Appunti sull’applicazione del principio di proporzionalità per la revisione delle sanzioni amministrative tributarie, in Riv.
dir. trib., 9, 2014, pag. 970.
3 In argomento, ampiamente A. MONDINI, Contributo allo studio
del principio di proporzionalità nel sistema dell’IVA europea, Pisa, 2012.
2
65
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 66
66
DOTTRINA
In attuazione della delega, è stato quindi emanato il
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha profondamente riformato il sistema (anche) delle sanzioni ammnistrative tributarie, sia in ordine alla selezione delle
fattispecie sanzionate ed alla misura della reazione per
ciascuna di queste, sia in relazione alle regole generali
applicabili ai procedimenti sanzionatori4.
Senza voler in questa sede attendere ad una disamina
compiuta della riforma, è possibile comunque formulare
alcune considerazioni in ordine alla corretta osservanza,
in sede di attuazione, del criterio di delega rappresentato
dal principio di proporzionalità. In altre parole: il sistema
sanzionatorio amministrativo tributario quale risulta ad
esito della riforma operata dalla delega è, effettivamente,
un sistema ispirato al principio di proporzionalità?
La risposta, va detto, è ambigua, certamente non netta, in quanto sebbene in molti casi la riforma ha, effettivamente, modulato su criteri di maggiore proporzionalità la reazione sanzionatoria, in altri casi il giudizio resta
più incerto e sfumato.
Sicuramente rende la sanzione più proporzionata la riduzione dal 100 al 90% e dal 200 al 180% della sanzione
per infedele dichiarazione (art. 1, co. 2, del d.lgs. n.
471/1997). Parimenti, è nel segno del criterio di proporzionalità la completa riscrittura delle sanzioni in tema di
reverse charge, in attuazione della giurisprudenza comunitaria5 (art. 6, co. 9-bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3), per cui le
sanzioni sono in linea di principio determinate in misura
fissa e non più proporzionale all’imposta (resta non di
meno una perplessità con riguardo alla determinazione
della sanzione nell’ipotesi di mancata registrazione dell’operazione, dal momento che viene parametrata all’imponibile). Nella medesima prospettiva, va accolta con favore l’eliminazione dell’aggettivo “eccezionali” riferito alle
circostanze che possono indurre gli Uffici a ridurre la sanzione fino alla metà in presenza di una manifesta sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la
sanzione (nuovo art. 7, co. 4, del d.lgs. n. 472/1997).
In altri casi, invece, la risposta appare più incerta.
Così è, ad esempio, per il caso della modifica alla recidiva. Ad esito della novella, infatti, è stato modificato il
co. 3 dell’art. 7, D.lgs. n. 472/1997, prevedendo ora come obbligatoria, e non più facoltativa, la contestazione
della recidiva nei confronti di chi , nei tre anni precedenti,
sia incorso in altra violazione della stessa indole. L’articolo
7 del Dlgs 472/1997, non detta al riguardo condizioni
4 A. CARINCI, Prime considerazioni sulla riforma delle sanzioni
amministrative tributarie, in il fisco, 2015, pag. 3929.
5 CGUE del 17 luglio 2014, C 272/13, Equoland; CGUE del 8
maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade.
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
particolari, con l’effetto che la recidiva parrebbe invocabile per la sola circostanza che in un triennio, al medesimo
soggetto, siano addebitabili più violazioni della stessa indole. Con palesi distorsioni: un omesso versamento reiterato per più anni consecutivi dovrebbe comportare la sanzione al 45% e non al 30%, in modo automatico e generalizzato, per tutte le violazioni successive alla prima.
Si tratta però di una conclusione non accettabile, perché è chiaro che per giustificare un aggravamento della
sanzione occorre un addebito ulteriore, un quid pluris di
offensività della condotta, che non può che essere la reiterazione, non tanto della condotta, bensì dell’illecito: di
una condotta, cioè, che è già stata sanzionata nel momento in cui è reiterata. Conformemente al modello penalistico (art. 99 c.p.), che prevede la recidiva solo per chi
è già stato condannato, si deve pertanto ritenere che gli
Uffici possano contestare la recidiva solo nei confronti di
chi, avendo già subito una contestazione formale, reitera
la medesima condotta illecita. Solo in questo caso, ossia
quando risulta reiterata una condotta già sanzionata, trova ragione l’aggravamento di pena della recidiva, in ossequio al principio di proporzionalità.
Un altro problema interpretativo che il principio di
proporzionalità può aiutare a risolvere attiene all’operatività della peculiare aggravante prevista per la dichiarazione infedele (art. 1, co. 3, D.lgs. n. 471/1997), per cui
la sanzione è aumentata della metà quando la violazione
è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa
o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri,
condotte simulatorie o fraudolente.
Sennonché la sanzione per infedele dichiarazione è
una sola, sicché si tratta di comprendere come far convivere la predetta aggravante con altre infedeltà nella medesima dichiarazione (ad esempio, in tema di competenza
temporale, che invece comporta un’attenuante ai sensi del
co. 4 del medesimo articolo). Ed ecco allora che, nell’alternativa di applicare l’aggravante per la sanzione globale
di infedeltà (quindi su tutta l’imposta evasa) ovvero in
proporzione dei diversi illeciti, questa seconda soluzione
si impone proprio in ragione del principio di proporzionalità. Questo, quale direttiva della delega costituisce, invero, un puntuale criterio ermeneutico che va valorizzato
proprio in casi di lettura ambivalente del testo normativo.
In conclusione, il giudizio sulla riforma deve restare
sospeso, perché sono ancora troppi i punti da chiarire e
le incertezze da sciogliere.
Vero è però che il criterio direttivo della delega è chiaro
(proporzionalità della sanzione alla gravità dell’illecito),
sicché, nel dubbio e stante i valori ordinariamente assai alti delle sanzioni, debbono essere preferite letture che temperino, piuttosto che aggravino, la reazione punitiva.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 67
DOTTRINA
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
L’etica Delle Sanzioni Penali (*)
di Ivo Caraccioli
Il tema dei rapporti tra etica e fisco in materia penale
tributaria, a mio avviso, deve prescindere da qualsiasi enfatizzazione linguistica, come quelle connesse alla consueta espressione “lotta all’evasione fiscale” (che sa tanto
di “lotta alla mafia”: in entrambi i casi non c’è da fare nessuna lotta, trattandosi solo di applicare le leggi dello Stato). Come deve, quindi, essere inquadrato il problema da
un punto di vista strettamente scientifico, e prescindendo da formule esclusivamente di taglio giornalistico?
Si tratta di vedere fino a quale punto sono sufficienti,
per sanzionare i fenomeni di evasione tributaria, le sanzioni amministrative e da quale punto in avanti circa la
gravità del fatto devono intervenire le sanzioni penali. È
questa la linea che correttamente ha seguito la Delega fiscale del 2014, rispetto alla quale è ora intervenuto il
D.Lgs. 158/2015, che – al di là di forse talune imprecisioni linguistiche e manchevolezze sistematiche – rappresenta peraltro, a mio avviso, un punto di partenza di
notevole spessore culturale.
Non dimentichiamo, infatti, ed anzi sottolineiamolo
con vigore, che nelle altre legislazioni dell’U.E. alla sanzione penale si ricorre solo in casi di comportamenti
molto gravi di “frode” o distruzione di documenti. In
Italia, invece, si è fatto uso ed abuso delle sanzioni penali
tributarie anche in relazione a comportamenti assolutamente privi di elementi frodatori, ma consistenti ad es.
solo nel mancato versamento di imposte od in passato di
irregolare tenuta delle scritture contabili.
È, dunque, dai principi della Delega, tendenti a ridurre fortemente l’intervento delle sanzioni penali a
vantaggio di quelle amministrativo-tributarie, che si deve partire per individuare il limite di intervento del giudice penale, che, non lo si dimentichi, è sempre un intervento distruttivo – comunque vadano a finire i procedimenti – di persone e di imprese. Se, invero, si fa ricorso (o si continua a fare ricorso) alla sanzione penale per
comportamenti che si trovano al di sotto di tale linea di
rilevanza sostanziale si rischia di inquinare lo stesso profilo etico del sistema tributario.
Entrando, dunque, nel merito delle riforme del sistema penal-tributario conseguenti all’attuazione della De-
(*) Relazione tenuta al XXXIII Congresso Nazionale “Associazione Nazionale Tributaristi Italiani” (Ancona 9/10/2015).
lega si deve, a mio avviso, giudicare positivamente l’innalzamento delle soglie di punibilità per i reati di dichiarazione fraudolenta (art. 3 D.Lgs. 74/2000) ed infedele
(art. 4 stesso D.Lgs.), od omessa dichiarazione (art. 5
stesso D.Lgs.); anche se non si può negare – come parere
personale – che sarebbe stato preferibile un innalzamento ancora maggiore, e questo appunto in considerazione
dell’inopportunità di portare davanti al giudice penale
dei comportamenti che in tanti casi concreti sarebbe
meglio riservare al contenzioso tributario.
Censurabile è, invece, a mio avviso, il mantenimento
della sanzione penale per talune ipotesi di omessi versamenti (ritenute certificate ed IVA: art. 10-bis e ter
D.Lgs. 74/2000), dato che è notorio che le Procure della
Repubblica sono intasate da procedimenti di questo genere, i quali poi in tanti casi vengono ridimensionati con
patteggiamenti sulla pena od applicazione di sanzioni
sostitutive delle pene detentive brevi.
A mio parere – anche se so di toccare un tasto su cui
molti non saranno d’accordo – è censurabile il mantenimento negli attuali larghissimi confini applicativi della
fattispecie di “sottrazione fraudolenta al pagamento di
imposte” di cui all’art. 11 D.Lgs. 74/2000, non tanto
per come essa è legislativamente configurata, quanto per
il modo in cui la giurisprudenza, anche della Cassazione
(con motivazioni che rivelano talvolta una non completa conoscenza degli istituti), ha ritenuto sostanzialmente
di giungere a disapplicare il richiesto requisito della
“fraudolenza” della condotta, nel momento, ad es., in
cui – senza tener conto di specifiche normative interne
ed internazionali – ha attribuito possibile (e rischiosa)
rilevanza penale ad istituti specificamente (anche se incompletamente) disciplinati da norme interne ed internazionali (pensiamo al fondo patrimoniale, al “patto di
famiglia” ed al TRUST), e quindi non meritevoli di essere inserite in un calderone generico di rischio penale (per
soggetti, famiglie, imprese, professionisti), come oggi
sostanzialmente avviene, con generale disorientamento
degli addetti ai lavori.
Un altro profilo che, da un punto di vista generale e
sistematico, suscita perplessità è – a mio avviso, anche se
so di non essere d’accordo con molti commentatori –
quello dell’ampliamento a dismisura dell’efficacia estintiva degli illeciti penali ora attribuito, con il Decreto Legislativo, a tante procedure conciliative e di accertamento.
67
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 68
68
DOTTRINA
Ed invero – sotto un profilo di carattere generale – o
il fatto è grave e quindi meritevole dell’intervento del
giudice penale, oppure appare improduttivo estinguere
il reato per la circostanza che si è pagato il tributo dovuto, ”anche a seguito delle speciali procedure conciliative
e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie” (nuovo art. 13-bis Decreto legislativo).
Sul piano dell’alleggerimento del carico fiscale si rischia, infatti, di ottenere il risultato opposto: apertura di
tanti procedimenti penali destinati a chiudersi mediante
l’adesione alle richieste patrimoniali dell’A.F.: ossia il
processo penale usato come strumento di pressione per
adesioni anche a richieste infondate dell’A.F. solo per
“fare cassa”.
Sul piano più generale dell’efficacia intimidatoria
delle sanzioni penali tributarie, dunque, si rischia di ottenere un risultato opposto e perverso: il contribuente
può comunque tranquillamente evadere, anche al di là
delle soglie previste, calcolando i vantaggi derivanti dal
ritardato versamento di tributi e sanzioni rispetto alla sicura eliminazione del rischio penale.
Molto più lineare, dunque, sarebbe un sistema penaltributario che riservasse la sanzione criminale a fatti veramente degni di essere puniti perché molto simili agli
altri tipi di truffa o di distruzione di documenti generalmente sanzionati penalmente negli altri sistemi penali
europei; ma, invece, non lasciasse la possibilità di evitare
agevolmente il rischio penale con un pagamento delle
imposte e delle sanzioni ritardato nel tempo. A mio avviso, in conclusione su questo punto, si tratta dunque di
un’applicazione distorta del principio della Delega del
2014, la quale voleva invece ragionevolmente limitare il
campo applicativo delle sanzioni penali rispetto a quello
delle sanzioni amministrative.
Sotto un altro profilo di carattere sistematico, un
aspetto della riforma che mi sembra doversi pienamente
condividere è, invece, quello della limitazione della responsabilità penale, sulla base di criteri di carattere generale introdotti anche, ma non solo, nelle norme generali
delle definizioni contenute nel primo articolo del D.Lgs.
74/2000, in forza delle quali si tende a:
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
– non considerare imposta evasa “quella teorica e non
effettivamente collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili”;
– specificare il concetto di “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” ed il concetto di “mezzi fraudolenti”;
– disancorare il concetto di “infedeltà” della dichiarazione dalla possibile rilevanza penale delle valutazioni, che sappiamo essere operazioni quanto mai incerte nella loro applicazione concreta, oltre che dipendenti dalle diverse sensibilità soggettive di periti e
consulenti (riforma questa che si ricollega anche a
quella parallela dell’esclusione del rischio penale per
operazioni valutative nella nuova formulazione del
falso in bilancio di cui alla recente L. 69/2015, su cui
peraltro è già intervenuta la Cassazione con corrette
prese d’atto della riforma).
Quale, dunque, la conclusione sistematica di questo
sintetico ragionamento?
A mio avviso, guai a ritenere la moralità di un sistema
sanzionatorio tributario solo perché esso enfatizza ed
amplia la portata applicativa dell’intervento del giudice
penale invece dell’Amministrazione finanziaria.
La moralità del sistema sanzionatorio può, invece, essere individuata alla luce delle seguenti considerazioni di
carattere assolutamente generale e che in questa sede desidero circoscrivere al massimo:
– limitazione dell’intervento del giudice penale solo a
fronte di comportamenti gravi,aventi un certo spessore di fraudolenza;
– completo distacco dell’intervento del giudice penale
dal profilo del risarcimento dell’Erario;
– liberazione del rischio penale con riferimento a condotte che rientrano negli schemi di istituti civilisticamente e tributariamente legittimi sulla base di concetti di contenuto del tutto generico come quello
della “fraudolenza”.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 69
LEGISLAZIONE
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Costituzione della Repubblica italiana.
27dicembre 1947
Testo aggiornato
Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 24. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei
propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del
procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i
mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
Art. 42. La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla
legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e
di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla
legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione
legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Art. 53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Art. 54. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli
alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
Art. 77. Il Governo non può, senza delegazione delle
Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge
ordinaria.
Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza,
il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso
presentarli per la conversione alle Camere che, anche se
sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono
entro cinque giorni.
I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono
convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i
rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
Art. 81. Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le
spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di
considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei
rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.
Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio
e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere
concesso se non per legge e per periodi non superiori
complessivamente a quattro mesi.
69
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 70
70
LEGISLAZIONE
Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del
complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale (1).
(1) Articolo così sostituito dal comma 1 dell’art. 1,
L.Cost. 20 aprile 2012, n. 1. Le disposizioni di cui alla citata L.Cost. n. 1/2012 si applicano, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 6 della stessa, a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014. Vedi, anche,
l’art. 5 dello stesso provvedimento. Vedi, inoltre, l’art. 165,
Reg.Senato 17 febbraio 1971 e l’art. 66, Reg.Camera 18
febbraio 1971.
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Art. 97. Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con
l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico (2).
I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione.
Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le
sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità
proprie dei funzionari.
Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge
(2) Comma così premesso dal comma 1 dell’art. 2,
L.Cost. 20 aprile 2012, n. 1. Le disposizioni di cui alla citata L.Cost. n. 1/2012 si applicano, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 6 della stessa, a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 71
LEGISLAZIONE
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Legge 27 luglio 2000, n. 212
Statuto dei diritti del contribuente
In vigore dal 25 agosto 2015
Art. 1. Princìpi generali
Art. 2. Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie
Art. 3. Efficacia temporale delle norme tributarie
Art. 4. Utilizzo del decreto-legge in materia tributaria
Art. 5. Informazione del contribuente
Art. 6. Conoscenza degli atti e semplificazione
Art. 7. Chiarezza e motivazione degli atti
Art. 8. Tutela dell’integrità patrimoniale
Art. 9. Rimessione in termini
Art. 10. Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori
del contribuente
Art. 10-bis. Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale
Art. 11. Diritto di interpello
Art. 12. Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a
verifiche fiscali
Art. 13. Garante del contribuente
Art. 14. Contribuenti non residenti
Art. 15. Codice di comportamento per il personale addetto
alle verifiche tributarie
Art. 16. Coordinamento normativo
Art. 17. Concessionari della riscossione
Art. 18. Disposizioni di attuazione
Art. 19. Attuazione del diritto di interpello del contribuente
Art. 20. Copertura finanziaria
Art. 1. Princìpi generali
1. Le disposizioni della presente legge, in attuazione
degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario e
possono essere derogate o modificate solo espressamente
e mai da leggi speciali.
2. L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e
con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica (3).
3. Le regioni a statuto ordinario regolano le materie
disciplinate dalla presente legge in attuazione delle disposizioni in essa contenute; le regioni a statuto speciale
e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, entro un anno dalla data di entrata in vigore della
presente legge, ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle
norme fondamentali contenute nella medesima legge.
4. Gli enti locali provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad adeguare i
rispettivi statuti e gli atti normativi da essi emanati ai
princìpi dettati dalla presente legge.
(3) In deroga al presente comma vedi il comma 265
dell’art. 1, L. 24 dicembre 2007, n. 244.
Art. 2. Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie
1. Le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono menzionarne
l’oggetto nel titolo; la rubrica delle partizioni interne e
dei singoli articoli deve menzionare l’oggetto delle disposizioni ivi contenute.
2. Le leggi e gli atti aventi forza di legge che non hanno un oggetto tributario non possono contenere disposizioni di carattere tributario, fatte salve quelle strettamente inerenti all’oggetto della legge medesima.
3. I richiami di altre disposizioni contenuti nei provvedimenti normativi in materia tributaria si fanno indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare rinvio.
4. Le disposizioni modificative di leggi tributarie
debbono essere introdotte riportando il testo conseguentemente modificato.
Art. 3. Efficacia temporale delle norme tributarie (6)
1. Salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, le
disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo.
Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono (4).
2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la
cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo
giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.
3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati (5) .
71
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 72
72
LEGISLAZIONE
(4) In deroga alle disposizioni di cui al presente comma vedi l’art. 5, comma 3, L. 18 ottobre 2001, n. 383,
l’art. 3, comma 5, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507,
come sostituito dall’art. 10, comma 1, L. 28 dicembre
2001, n. 448, l’art. 15-bis, comma 3, D.L. 2 luglio
2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla L. 3
agosto 2007, n. 127, l’art. 29, comma 14, D.L. 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni,
dalla L. 24 febbraio 2012, n. 14, l’art. 12, comma 1,
D.L. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 ottobre 2013, n. 124 e l’art. 18, comma 3, D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175.
(5) In deroga alle disposizioni di cui al presente comma vedi l’art. 18, comma 4, L. 23 dicembre 2000, n.
388, l’art. 27, comma 9, L. 28 dicembre 2001, n. 448,
l’art. 10, comma 1, l’art. 11, comma 1 e l’art. 31, comma 16, L. 27 dicembre 2002, n. 289, come modificata
dall’art. 5-bis, D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, nel testo
integrato dalla relativa legge di conversione, l’art. 36,
comma 8, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come sostituito
dall’art. 2, comma 18, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2006,
n. 286, l’art. 2, comma 72, del citato D.L. n. 262 del
2006, l’art. 1, comma 357, L. 27 dicembre 2006, n.
296, l’art. 23, comma 6, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 e
l’art. 12, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159. Vedi, inoltre, l’art. 1, comma 2-octies, D.L. 24 giugno 2003, n.
143, aggiunto dalla relativa legge di conversione, l’art.
37, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, l’art. 2, comma 33,
L. 24 dicembre 2003, n. 350, l’art. 1, commi 67 e 464,
L. 30 dicembre 2004, n. 311, l’art. 1-quater, D.L. 30 dicembre 2004, n. 314, nel testo integrato dalla relativa
legge di conversione, l’art. 27, comma 5, L. 18 aprile
2005, n. 62 – Legge comunitaria 2004 – l’art. 11-quater, comma 10, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, aggiunto dalla relativa legge di conversione, e l’art. 36, commi
30, 34 e 34-bis, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(6) In deroga alle disposizioni di cui al presente articolo vedi l’art. 1, comma 2, D.L. 20 marzo 2007, n. 23,
l’art. 1, comma 264, L. 24 dicembre 2007, n. 244, l’art.
81, comma 17 e l’art. 82, commi 2, 4, 8, 13 e 29, D.L.
25 giugno 2008, n. 112, l’art. 1, comma 16, L. 13 dicembre 2010, n. 220, l’art. 2, comma 59, D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, nel testo integrato dalla relativa
legge di conversione, l’art. 7, comma 2, D.L. 13 agosto
2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14
settembre 2011, n. 148, l’ art. 24, comma 31, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,
dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, l’art. 88, comma 2,
D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, l’art. 68, comma 3, D.L. 22
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla
L. 7 agosto 2012, n. 134, l’art. 1, comma 2-bis, D.L. 24
settembre 2002, n. 209, come modificato dall’art. 1,
comma 506, L. 24 dicembre 2012, n. 228, l’art. 2, comma 2, D.L. 30 novembre 2013, n. 133, convertito, con
modificazioni, dalla L. 29 gennaio 2014, n. 5 e l’art. 1,
commi 624 e 655, L. 23 dicembre 2014, n. 190.
Art. 4. Utilizzo del decreto-legge in materia tributaria
1. Non si può disporre con decreto-legge l’istituzione
di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti.
Art. 5. Informazione del contribuente
1. L’amministrazione finanziaria deve assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative
vigenti in materia tributaria, anche curando la predisposizione di testi coordinati e mettendo gli stessi a disposizione dei contribuenti presso ogni ufficio impositore.
L’amministrazione finanziaria deve altresì assumere idonee iniziative di informazione elettronica, tale da consentire aggiornamenti in tempo reale, ponendola a disposizione gratuita dei contribuenti.
2. L’amministrazione finanziaria deve portare a conoscenza dei contribuenti tempestivamente e con i mezzi idonei tutte le circolari e le risoluzioni da essa emanate, nonché ogni altro atto o decreto che dispone sulla organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti.
Art. 6. Conoscenza degli atti e semplificazione
1. L’amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a
lui destinati. A tal fine essa provvede comunque a comunicarli nel luogo di effettivo domicilio del contribuente,
quale desumibile dalle informazioni in possesso della
stessa amministrazione o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove il
contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello
specifico procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare. Gli atti sono in ogni caso comunicati con
modalità idonee a garantire che il loro contenuto non sia
conosciuto da soggetti diversi dal loro destinatario. Restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli
atti tributari.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 73
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
2. L’amministrazione deve informare il contribuente
di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali
possa derivare il mancato riconoscimento di un credito
ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di
integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono
il riconoscimento, seppure parziale, di un credito.
3. L’amministrazione finanziaria assume iniziative
volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le istruzioni e, in generale, ogni altra propria comunicazione
siano messi a disposizione del contribuente in tempi utili e siano comprensibili anche ai contribuenti sforniti di
conoscenze in materia tributaria e che il contribuente
possa adempiere le obbligazioni tributarie con il minor
numero di adempimenti e nelle forme meno costose e
più agevoli.
4. Al contribuente non possono, in ogni caso, essere
richiesti documenti ed informazioni già in possesso
dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa.
5. Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti
dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni,
qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare
il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi
telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i
documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta . La disposizione si applica anche qualora, a
seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La
disposizione non si applica nell’ipotesi di iscrizione a
ruolo di tributi per i quali il contribuente non è tenuto
ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al
presente comma. (7)
(7) Vedi, anche, il comma 412 dell’art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311 e l’art. 2-bis, D.L. 30 settembre 2005, n.
203, aggiunto dalla relativa legge di conversione.
Art. 7. Chiarezza e motivazione degli atti
1. Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione
dei provvedimenti amministrativi, indicando i presup-
LEGISLAZIONE
posti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.
2. Gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei
concessionari della riscossione devono tassativamente
indicare:
a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento;
b) l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è
possibile promuovere un riesame anche nel merito
dell’atto in sede di autotutela;
c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o
l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in
caso di atti impugnabili.
3. Sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in
mancanza, la motivazione della pretesa tributaria.
4. La natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti.
Art. 8. Tutela dell’integrità patrimoniale
1. L’obbligazione tributaria può essere estinta anche
per compensazione.
2. È ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui
senza liberazione del contribuente originario.
3. Le disposizioni tributarie non possono stabilire né
prorogare termini di prescrizione oltre il limite ordinario
stabilito dal codice civile.
4. L’amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento
o la rateizzazione o il rimborso dei tributi. Il rimborso va
effettuato quando sia stato definitivamente accertato
che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata.
5. L’obbligo di conservazione di atti e documenti,
stabilito a soli effetti tributari, non può eccedere il termine di dieci anni dalla loro emanazione o dalla loro formazione.
6. Con decreto del Ministro delle finanze, adottato ai
sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto
1988, n. 400, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, sono emanate le
disposizioni di attuazione del presente articolo.
7. La pubblicazione e ogni informazione relative ai
redditi tassati, anche previste dall’articolo 15 della legge
73
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 74
74
LEGISLAZIONE
5 luglio 1982, n. 441, sia nelle forme previste dalla stessa legge sia da parte di altri soggetti, deve sempre comprendere l’indicazione dei redditi anche al netto delle
relative imposte.
8. Ferme restando, in via transitoria, le disposizioni
vigenti in materia di compensazione, con regolamenti
emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge
23 agosto 1988, n. 400, è disciplinata l’estinzione dell’obbligazione tributaria mediante compensazione,
estendendo, a decorrere dall’anno d’imposta 2002, l’applicazione di tale istituto anche a tributi per i quali attualmente non è previsto.
Art. 9. Rimessione in termini
1. Il Ministro delle finanze, con decreto da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, rimette in termini i contribuenti interessati, nel caso in cui il tempestivo adempimento di obblighi tributari è impedito da cause di forza
maggiore. Qualora la rimessione in termini concerna il
versamento di tributi, il decreto è adottato dal Ministro
delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica.
2. Con proprio decreto il Ministro delle finanze, sentito il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica , può sospendere o differire il termine per l’adempimento degli obblighi tributari a favore
dei contribuenti interessati da eventi eccezionali ed imprevedibili. (9)
2-bis. La ripresa dei versamenti dei tributi sospesi o
differiti ai sensi del comma 2 avviene, senza applicazione
di sanzioni, interessi e oneri accessori relativi al periodo
di sospensione, anche mediante rateizzazione fino a un
massimo di diciotto rate mensili di pari importo, a decorrere dal mese successivo alla data di scadenza della sospensione. Con decreto del Ministro dell’economia e
delle finanze sono definiti le modalità e i termini della
ripresa dei versamenti, tenendo anche conto della durata
del periodo di sospensione, nei limiti delle risorse preordinate allo scopo. (8)
2-ter. Per i tributi non sospesi né differiti ai sensi del
comma 2, nei limiti delle risorse preordinate allo scopo,
i contribuenti residenti o aventi sede legale o sede operativa nei territori colpiti da eventi calamitosi con danni
riconducibili all’evento e individuati con la medesima
ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri
con la quale è dichiarato lo stato di emergenza possono
chiedere la rateizzazione, fino a un massimo di diciotto
rate mensili di pari importo, dei tributi che scadono nei
sei mesi successivi alla dichiarazione dello stato di emer-
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
genza, con istanza da presentare al competente ufficio,
secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. (8)
(8) Comma aggiunto dall’ art. 1, comma 429, L. 28
dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal 1° gennaio 2016.
(9) Con D.M. 17 ottobre 2000 (Gazz. Uff. 18 ottobre 2000, n. 244) è stata disposta la sospensione dei termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore
dei contribuenti colpiti dagli eventi calamitosi verificatisi
nelle regioni Piemonte e Valle d‘Aosta e nella provincia di
Savona. Con D.M. 16 novembre 2000 (Gazz. Uff. 23
novembre 2000, n. 274) è stata disposta la proroga della
sospensione con il suddetto D.M. 17 ottobre 2000. Con
D.M. 29 novembre 2000 (Gazz. Uff. 13 dicembre 2000,
n. 290) è stato stabilito che le disposizioni contenute
nell’art. 1 del decreto 16 novembre 2000, si applicano
anche ai territori delle regioni Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia,
Veneto e Puglia e della provincia autonoma di Trento
danneggiati dagli eventi alluvionali e dai dissesti idrogeologici del mese di novembre 2000. Con D.M. 12 luglio
2001 (Gazz. Uff. 27 luglio 2001, n. 173) è stata disposta
la sospensione dei termini degli obblighi tributari a favore dei soggetti colpiti dalla «tromba d’aria» nella Regione
Lombardia in data 7 luglio 2001. Con D.M. 9 agosto
2001 (Gazz. Uff. 27 agosto 2001, n. 198) è stata disposta
la sospensione dei termini dei versamenti e degli adempimenti tributari a favore dei soggetti residenti o aventi sede operativa nei territori della provincia di Catania colpiti dall’eruzione del vulcano Etna. Con D.M. 13 novembre 2001 (Gazz. Uff. 16 novembre 2001, n. 267) è stata
disposta la sospensione dei termini relativi agli obblighi
tributari a favore dei soggetti colpiti dagli eventi alluvionali verificatisi nel territorio delle province di Avellino,
Caserta, Napoli e Salerno nei giorni 22 agosto, 5 settembre, 14 e 15 settembre 2001. Con D.M. 24 maggio 2002
(Gazz. Uff. 4 giugno 2002, n. 129) è stato disposto il differimento al 17 aprile 2002 dei termini dei versamenti
tributari scadenti il 16 aprile 2002 a seguito dello sciopero generale intervenuto alla medesima data. Con D.M.
28 giugno 2002 (Gazz. Uff. 5 luglio 2002, n. 156) è stata
disposta la sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari a seguito dell’evento che ha interessato il
«Grattacielo Pirelli», sede della regione Lombardia. Con
D.M. 14 novembre 2002 (Gazz. Uff. 18 novembre
2002, n. 270) e con D.M. 15 novembre 2002 (Gazz. Uff.
20 novembre 2002, n. 272), modificato dall’art. 2, D.M.
9 gennaio 2003 (Gazz. Uff. 21 gennaio 2003, n. 16), è
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 75
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
stata disposta la sospensione dei termini relativi agli
adempimenti di obblighi tributari aventi scadenza nel
periodo dal 31 ottobre 2002 al 31 marzo 2003 a favore
dei soggetti residenti, alla data del 31 ottobre 2002, in taluni comuni della provincia di Campobasso e in un comune della provincia di Foggia interessati dagli eventi sismici verificatisi nella stessa data del 31 ottobre 2002.
Con D.M. 14 novembre 2002 (Gazz. Uff. 18 novembre
2002, n. 270), modificato dal comma 117 dell’art. 2, L.
24 dicembre 2007, n. 244, è stata disposta la sospensione
dei termini relativi agli adempimenti di obblighi tributari aventi scadenza nel periodo dal 29 ottobre 2002 al 31
marzo 2003 a favore dei soggetti residenti, alla data del
29 ottobre 2002, in taluni comuni della provincia di Catania interessati dall’eruzione del vulcano Etna. L’art. 10,
O.P.C.M. 2 ottobre 2003, n. 3315 ha differito al 31 marzo 2004 i termini già sospesi dal citato D.M. 14 novembre 2002. Con D.M. 5 dicembre 2002 (Gazz. Uff. 9 dicembre 2002, n. 288) è stata disposta la sospensione dei
termini relativi agli adempimenti e ai versamenti tributari scadenti nel periodo dal 25 novembre 2002 al 31 marzo 2003 nei confronti dei soggetti, residenti in comuni
delle regioni dell’Italia settentrionale colpiti dagli eventi
alluvionali verificatisi nel mese di novembre 2002. Con
D.M. 9 gennaio 2003 (Gazz. Uff. 21 gennaio 2003, n.
16) è stata disposta la sospensione dei termini relativi agli
adempimenti degli obblighi tributari per i soggetti residenti nei territori dei comuni di Provvidenti e Pietra
Montecorvino. Vedi, anche, l’art. 18, O.P.C.M. 18 aprile
2003, n. 3282. Con D.M. 18 luglio 2003 (Gazz. Uff. 2
agosto 2003, n. 178) e con D.M. 25 agosto 2004 (Gazz.
Uff. 3 settembre 2004, n. 207) è stato disposto il differimento dei termini di ripresa della riscossione dei tributi
sospesi a seguito del sisma del 1997 che ha colpito i territori delle regioni Marche e Umbria. L’art. 4, O.P.C.M. 8
settembre 2003, n. 3308 (Gazz. Uff. 13 settembre 2003,
n. 213) ha differito i termini relativi ad adempimenti di
obblighi tributari, già sospesi con i citati D.M. 14 novembre 2002, D.M. 15 novembre 2002 e D.M. 9 gennaio 2003, a favore dei soggetti residenti in taluni comuni
delle province di Campobasso e di Foggia. Con D.M. 19
settembre 2003 (Gazz. Uff. 24 settembre 2003, n. 222) è
stata disposta la sospensione dei termini relativi agli
adempimenti di obblighi tributari dei soggetti residenti
alla data del 29 agosto 2003 nei comuni della regione
Friuli-Venezia Giulia interessati dagli eventi alluvionali
verificatisi a partire dalla stessa data del 29 agosto 2003.
L’art. 3, O.P.C.M. 27 novembre 2003, n. 3328 (Gazz.
Uff. 4 dicembre 2003, n. 282) ha disposto che i versamenti relativi agli adempimenti di obblighi tributari non
eseguiti per effetto delle sospensioni intervenute ai sensi
LEGISLAZIONE
del presente comma, a favore dei soggetti residenti nelle
regioni Liguria, Lombardia, Piemonte, Veneto, FriuliVenezia Giulia ed Emilia-Romagna, interessati dagli
eventi alluvionali verificatisi nel mese di novembre 2002,
sono effettuati in quindici rate a partire dal 1° dicembre
2003. L’art. 4, O.P.C.M. 7 maggio 2004, n. 3354 (Gazz.
Uff. 14 maggio 2004, n. 112), modificato dall’art. 1,
O.P.C.M. 17 febbraio 2006, n. 3496 (Gazz. Uff. 1° marzo 2006, n. 50), a sua volta modificato dall’art. 1,
O.P.C.M. 5 aprile 2006, n. 3507 (Gazz. Uff. 13 aprile
2006, n. 87), ha ulteriormente differito i termini relativi
ad adempimenti di obblighi tributari già sospesi a favore
dei soggetti residenti in taluni comuni delle province di
Campobasso e di Foggia e della provincia di Catania.
Con Provv. 23 luglio 2004 (Gazz. Uff. 11 agosto 2004,
n. 187) è stata disposta la ripresa della riscossione dei tributi sospesi in seguito agli eventi sismici del 26 settembre
1997 che hanno colpito il territorio delle regioni Marche
e Umbria. Con D.M. 23 novembre 2004 (Gazz. Uff. 2
dicembre 2004, n. 283) è stata disposta la sospensione
dei termini per i versamenti di natura tributaria a favore
di taluni imprenditori agricoli, operanti nella Regione
Puglia. Con D.M. 29 novembre 2004 (Gazz. Uff. 30 novembre 2004, n. 281) è stato disposto il differimento al
1° dicembre 2004 dei termini per l’adempimento degli
obblighi tributari in scadenza al 30 novembre 2004 a seguito dello sciopero generale del 30 novembre 2004.
Con D.M. 30 novembre 2004 (Gazz. Uff. 7 dicembre
2004, n. 287), modificato dall’art. 1, D.M. 21 dicembre
2004 (Gazz. Uff. 28 dicembre 2004, n. 303), è stata disposta la sospensione dei termini per i versamenti di natura tributaria a favore dei soggetti residenti in taluni comuni della provincia di Brescia. Con D.M. 17 maggio
2005 (Gazz. Uff. 23 maggio 2005, n. 118) è stato ulteriormente differito il termine di sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari a favore dei soggetti residenti nella provincia di Catania. Con D.M. 13 marzo
2009 (Gazz. Uff. 23 marzo 2009, n. 68) è stato disposto
il differimento dei termini relativi agli adempimenti ed ai
versamenti dei tributi erariali a favore dei titolari di reddito d’impresa interessati dall’alluvione dell’11 dicembre
2008 che ha colpito taluni territori del comune di Roma.
Con D.M. 9 aprile 2009 sono stati sospesi gli adempimenti ed i versamenti tributari a favore dei soggetti residenti nel territorio della provincia di L’Aquila, colpiti dal
terremoto del 6 aprile 2009. Con D.M. 4 dicembre 2009
sono stati differiti i termini relativi agli adempimenti degli obblighi tributari che scadevano nel periodo interessato dagli eccezionali eventi meteorologici del mese di novembre 2008, nella provincia di Trento. Con D.M. 26
febbraio 2010 sono stati sospesi i termini relativi agli
75
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 76
76
LEGISLAZIONE
adempimenti e ai versamenti dei tributi erariali a favore
dei soggetti interessati dagli eccezionali eventi meteorologici che hanno colpito le regioni Emilia-Romagna, Liguria e Toscana nell’ultima decade del mese di dicembre
2009 e nei primi giorni del mese di gennaio 2010. Con
D.M. 1° giugno 2012 sono stati sospesi i termini per
l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dal sisma del 20 maggio 2012, verificatosi nelle province di Bologna, Ferrara, Modena, Reggio
Emilia, Mantova e Rovigo. Con D.M. 30 novembre
2013 sono stati sospesi i termini per l’adempimento degli
obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dagli
eventi meteorologici del novembre 2013, verificatisi nella regione Sardegna. Con D.M. 20 ottobre 2014 sono
stati sospesi i termini per l’adempimento degli obblighi
tributari a favore dei contribuenti colpiti dagli eventi meteorologici del 10 – 14 ottobre 2014 verificatisi nelle regioni: Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Friuli-Venezia Giulia. Con D.M. 5 dicembre 2014
sono stati sospesi i termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dagli
eventi meteorologici dal 1° al 6 settembre 2014 verificatisi nei territori della provincia di Foggia. Con D.M. 5
dicembre 2014 sono stati sospesi i termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti
colpiti dagli eventi meteorologici del 19 e 20 settembre
2014 verificatisi nella regione Toscana. Con D.M. 8
maggio 2015 sono stati sospesi i termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti
colpiti dagli eventi atmosferici dal 4 al 7 febbraio 2015
verificatisi nella regione Emilia-Romagna.
Art. 10. Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori
del contribuente
1. I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede.
2. Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi
moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato
a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa.
3. Le sanzioni non sono comunque irrogate quando
la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della
norma tributaria o quando si traduce in una mera viola-
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
zione formale senza alcun debito di imposta; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la
pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della
norma tributaria . Le violazioni di disposizioni di rilievo
esclusivamente tributario non possono essere causa di
nullità del contratto. (10)
(10) Comma modificato dall’art. 1, comma 1, D.L.
17 giugno 2005, n. 106, convertito, con modificazioni,
dalla L. 31 luglio 2005, n. 156.
Art. 10-bis. Disciplina dell’abuso del diritto o elusione
fiscale (11)
1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i
vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e
dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal
contribuente per effetto di dette operazioni.
2. Ai fini del comma 1 si considerano:
a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti
e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali.
Sono indici di mancanza di sostanza economica, in
particolare, la non coerenza della qualificazione delle
singole operazioni con il fondamento giuridico del
loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli
strumenti giuridici a normali logiche di mercato;
b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme
fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.
3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell‘attività professionale del
contribuente.
4. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra
regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.
5. Il contribuente può proporre interpello ai sensi
dell’articolo 11, comma 1, lettera c), per conoscere se le
operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto.
(12) (13)
6. Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice
nei termini stabiliti per i singoli tributi, l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 77
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di
chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto. (12)
7. La richiesta di chiarimenti è notificata dall’amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.
600, e successive modificazioni, entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo.
Tra la data di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto,
il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni. (12)
8. Fermo quanto disposto per i singoli tributi, l’atto
impositivo è specificamente motivato, a pena di nullità,
in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai
chiarimenti forniti dal contribuente nel termine di cui al
comma 6. (12)
9. L’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e
2. Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza
delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3. (12)
10. In caso di ricorso, i tributi o i maggiori tributi accertati, unitamente ai relativi interessi, sono posti in riscossione, ai sensi dell’articolo 68 del decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 546, e, successive modificazioni, e
dell’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. (12)
11. I soggetti diversi da quelli cui sono applicate le
disposizioni del presente articolo possono chiedere il
rimborso delle imposte pagate a seguito delle operazioni
abusive i cui vantaggi fiscali sono stati disconosciuti
dall’amministrazione finanziaria, inoltrando a tal fine,
entro un anno dal giorno in cui l’accertamento è divenuto definitivo ovvero è stato definito mediante adesione o
conciliazione giudiziale, istanza all’Agenzia delle entrate, che provvede nei limiti dell’imposta e degli interessi
effettivamente riscossi a seguito di tali procedure. (12)
12. In sede di accertamento l’abuso del diritto può
essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono
essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie.
13. Le operazioni abusive non danno luogo a fatti
punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma
l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.
LEGISLAZIONE
(11) Articolo inserito dall’ art. 1, comma 1, D.Lgs. 5
agosto 2015, n. 128; per l’efficacia e l’applicabilità delle
disposizioni del presente articolo vedi l’ art. 1, comma 5,
del medesimo D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128.
(12) Sull’applicabilità delle disposizioni del presente
comma, vedi l’ art. 1, comma 4, D.Lgs. 5 agosto 2015,
n. 128.
(13) Comma così sostituito dall’ art. 7, comma 15,
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1°
gennaio 2016, ai sensi di quanto disposto dall’ art. 12,
comma 1 del medesimo D.Lgs. n. 156/2015.
Art. 11. Diritto di interpello (14) (15)
1. Il contribuente può interpellare l’amministrazione
per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a:
a) l’applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi
sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e la corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie
applicabili alle medesime, ove ricorrano condizioni di
obiettiva incertezza e non siano comunque attivabili le
procedure di cui all’articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall’articolo 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 e di cui all’articolo 2 del medesimo decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147;
b) la sussistenza delle condizioni e la valutazione della
idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge
per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi
espressamente previsti;
c) l’applicazione della disciplina sull’abuso del diritto
ad una specifica fattispecie.
2. Il contribuente interpella l’amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme tributarie che, allo
scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano
deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse
dall’ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione
che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non
possono verificarsi. Nei casi in cui non sia stata resa risposta favorevole, resta comunque ferma la possibilità
per il contribuente di fornire la dimostrazione di cui al
periodo precedente anche ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa.
3. L’amministrazione risponde alle istanze di cui alla
lettera a) del comma 1 nel termine di novanta giorni e a
quelle di cui alle lettere b) e c) del medesimo comma 1 ed a
quelle di cui al comma 2 nel termine di centoventi giorni.
77
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 78
78
LEGISLAZIONE
La risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo della
amministrazione con esclusivo riferimento alla questione
oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente. Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il
termine previsto, il silenzio equivale a condivisione, da
parte dell’amministrazione, della soluzione prospettata dal
contribuente. Gli atti, anche a contenuto impositivo o
sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli. Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto
di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa
da parte dell’amministrazione con valenza esclusivamente
per gli eventuali comportamenti futuri dell’istante.
4. Non ricorrono condizioni di obiettiva incertezza
quando l’amministrazione ha compiutamente fornito la
soluzione per fattispecie corrispondenti a quella rappresentata dal contribuente mediante atti pubblicati ai sensi
dell’articolo 5, comma 2.
5. La presentazione delle istanze di cui ai commi 1 e 2
non ha effetto sulle scadenze previste dalle norme tributarie, né sulla decorrenza dei termini di decadenza e non
comporta interruzione o sospensione dei termini di prescrizione.
6. L’amministrazione provvede alla pubblicazione
mediante la forma di circolare o di risoluzione delle risposte rese nei casi in cui un numero elevato di contribuenti abbia presentato istanze aventi ad oggetto la stessa questione o questioni analoghe fra loro, nei casi in cui
il parere sia reso in relazione a norme di recente approvazione o per le quali non siano stati resi chiarimenti ufficiali, nei casi in cui siano segnalati comportamenti non
uniformi da parte degli uffici, nonché in ogni altro caso
in cui ritenga di interesse generale il chiarimento fornito. Resta ferma, in ogni caso, la comunicazione della risposta ai singoli istanti.
(14) Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1,
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1°
gennaio 2016, ai sensi di quanto disposto dall’ art. 12,
comma 1 del medesimo D.Lgs. n. 156/2015.
(15) Vedi, anche, gli artt. da 2 a 6, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 e il Provvedimento 4 gennaio 2016.
Art. 12. Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a
verifiche fiscali (19)
1. Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati
sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
luogo. Essi si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti
adeguatamente documentati, durante l’orario ordinario
di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la
minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività
stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali
del contribuente.
2. Quando viene iniziata la verifica, il contribuente
ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano
giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di
farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche.
3. Su richiesta del contribuente, l’esame dei documenti amministrativi e contabili può essere effettuato
nell’ufficio dei verificatori o presso il professionista che
lo assiste o rappresenta.
4. Delle osservazioni e dei rilievi del contribuente e
del professionista, che eventualmente lo assista, deve darsi atto nel processo verbale delle operazioni di verifica.
5. La permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la
sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di
particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per
esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente
presentate dal contribuente dopo la conclusione delle
operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del
dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni. Il periodo di
permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, così come l’eventuale proroga ivi prevista,
non può essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell’arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in
cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi. In entrambi i
casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria
presso la sede del contribuente. (16)
6. Il contribuente, nel caso ritenga che i verificatori
procedano con modalità non conformi alla legge, può
rivolgersi anche al Garante del contribuente, secondo
quanto previsto dall’articolo 13.
7. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia
del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte
degli organi di controllo, il contribuente può comunicare
entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 79
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
non può essere emanato prima della scadenza del predetto
termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Per
gli accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti
doganali di cui all’articolo 34 del testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con del
decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973,
n. 43, si applicano le disposizioni dell’articolo 11 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374. (17) (18)
(16) Comma così modificato dall’ art. 7, comma 2,
lettera c), D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con
modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106.
(17) Comma così modificato dall’art. 92, comma 2,
D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27.
(18) La Corte costituzionale, con ordinanza 16 – 24
luglio 2009, n. 244 (Gazz. Uff. 29 luglio 2009, n. 30, 1ª
Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art.
12, comma 7, sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111
della Costituzione.
(19) Per l’applicazione delle disposizioni del presente
articolo vedi, anche, la lettera d) del comma 2 dell’art. 7,
D.L. 13 maggio 2011, n. 70.
Art. 13. Garante del contribuente
1. Presso ogni direzione regionale delle entrate e direzione delle entrate delle province autonome è istituito il
Garante del contribuente.
2. Il Garante del contribuente, operante in piena autonomia, è organo monocratico scelto e nominato dal
presidente della commissione tributaria regionale o sua
sezione distaccata nella cui circoscrizione è compresa la
direzione regionale dell’Agenzia delle entrate, tra gli appartenenti alle seguenti categorie: (22)
a) magistrati, professori universitari di materie giuridiche ed economiche, notai, sia a riposo sia in attività
di servizio;
b) dirigenti dell’amministrazione finanziaria e ufficiali
generali e superiori della Guardia di finanza, a riposo
da almeno due anni, scelti in una terna formata, per
ciascuna direzione regionale delle entrate, rispettivamente, per i primi, dal direttore generale del Dipartimento delle entrate e, per i secondi, dal Comandante
generale della Guardia di finanza; (23) ]
c) avvocati, dottori commercialisti e ragionieri collegiati, pensionati, scelti in una terna formata, per ciascuna direzione regionale delle entrate, dai rispettivi ordini di appartenenza.
LEGISLAZIONE
3. L’incarico ha durata quadriennale ed è rinnovabile
tenendo presenti professionalità, produttività ed attività
già svolta. (20)
4. Con decreto del Ministro delle finanze sono determinati il compenso ed i rimborsi spettanti ai componenti del Garante del contribuente. (24)
5. Le funzioni di segreteria e tecniche sono assicurate
al Garante del contribuente dagli uffici delle direzioni
regionali delle entrate presso le quali lo stesso è istituito.
6. Il Garante del contribuente, anche sulla base di segnalazioni inoltrate per iscritto dal contribuente o da
qualsiasi altro soggetto interessato che lamenti disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento
suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini
e amministrazione finanziaria, rivolge richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti, i quali rispondono entro trenta giorni, e attiva le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o
di riscossione notificati al contribuente. Il Garante del
contribuente comunica l’esito dell’attività svolta alla direzione regionale o compartimentale o al comando di zona
della Guardia di finanza competente nonché agli organi
di controllo, informandone l’autore della segnalazione.
7. Il Garante del contribuente rivolge raccomandazioni ai dirigenti degli uffici ai fini della tutela del contribuente e della migliore organizzazione dei servizi.
8. Il Garante del contribuente ha il potere di accedere
agli uffici finanziari e di controllare la funzionalità dei
servizi di assistenza e di informazione al contribuente
nonché l’agibilità degli spazi aperti al pubblico.
9. Il Garante del contribuente richiama gli uffici al
rispetto di quanto previsto dagli articoli 5 e 12 della presente legge.
10. Il Garante del contribuente richiama gli uffici al
rispetto dei termini previsti per il rimborso d’imposta.
11. Il Garante del contribuente individua i casi di
particolare rilevanza in cui le disposizioni in vigore ovvero i comportamenti dell’amministrazione determinano
un pregiudizio dei contribuenti o conseguenze negative
nei loro rapporti con l’amministrazione, segnalandoli al
direttore regionale o compartimentale o al comandante
di zona della Guardia di finanza competente e all’ufficio
centrale per l’informazione del contribuente, al fine di
un eventuale avvio del procedimento disciplinare. Prospetta al Ministro delle finanze i casi in cui possono essere esercitati i poteri di rimessione in termini previsti
dall’articolo 9.
12. Ogni sei mesi il Garante del contribuente presenta una relazione sull’attività svolta al Ministro delle finanze, al direttore regionale delle entrate, ai direttori
79
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 80
80
LEGISLAZIONE
compartimentali delle dogane e del territorio nonché al
comandante di zona della Guardia di finanza, individuando gli aspetti critici più rilevanti e prospettando le
relative soluzioni.
13. Il Ministro delle finanze riferisce annualmente alle competenti Commissioni parlamentari in ordine al
funzionamento del Garante del contribuente, all’efficacia dell’azione da esso svolta ed alla natura delle questioni segnalate nonché ai provvedimenti adottati a seguito
delle segnalazioni del Garante stesso.
13-bis. Con relazione annuale, il Garante fornisce al
Governo ed al Parlamento dati e notizie sullo stato dei
rapporti tra fisco e contribuenti nel campo della politica
fiscale (21).
(20) Comma modificato dall’art. 94, comma 7, L. 27
dicembre 2002, n. 289, a decorrere dal 1° gennaio 2003
e dall’art. 4, comma 36, lett. b), L. 12 novembre 2011,
n. 183, a decorrere dal 1° gennaio 2012; vedi anche l’art.
4, comma 37, L. n. 183/2011.
(21) Comma aggiunto dall’art. 94, comma 8, L. 27
dicembre 2002, n. 289, a decorrere dal 1° gennaio 2003.
(22) Alinea così sostituito dall’art. 4, comma 36, lett.
a), n. 1), L. 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal
1° gennaio 2012; vedi anche l’art. 4, comma 37, L. n.
183/2011.
(23) Lettera abrogata dall’art. 4, comma 36, lett. a),
n. 2), L. 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal 1°
gennaio 2012; vedi anche l’art. 4, comma 37, L. n.
183/2011.
(24) Vedi, anche, l’ art. 1, commi 404 e 405, L. 27
dicembre 2013, n. 147.
Art. 14. Contribuenti non residenti
1. Al contribuente residente all’estero sono assicurate
le informazioni sulle modalità di applicazione delle imposte, la utilizzazione di moduli semplificati nonché
agevolazioni relativamente all’attribuzione del codice fiscale e alle modalità di presentazione delle dichiarazioni
e di pagamento delle imposte.
2. Con decreto del Ministro delle finanze , adottato
ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto
1988, n. 400, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, sono emanate le
disposizioni di attuazione del presente articolo. (25)
(25) Con D.M. 17 maggio 2001, n. 281, è stato
emanato il regolamento contenente le norme in materia
di agevolazioni relativamente all’attribuzione del codice
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
fiscale ed alle modalità di presentazione delle dichiarazioni e di pagamento delle imposte per i contribuenti residenti all’estero.
Art. 15. Codice di comportamento per il personale addetto
alle verifiche tributarie
1. Il Ministro delle finanze, sentiti i direttori generali
del Ministero delle finanze ed il Comandante generale
della Guardia di finanza, emana un codice di comportamento che regoli le attività del personale addetto alle verifiche tributarie, aggiornandolo eventualmente anche
in base alle segnalazioni delle disfunzioni operate annualmente dal Garante del contribuente.
Art. 16. Coordinamento normativo
1. Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti strettamente
necessarie a garantirne la coerenza con i princìpi desumibili dalle disposizioni della presente legge (26).
2. Entro il termine di cui al comma 1 il Governo
provvede ad abrogare le norme regolamentari incompatibili con la presente legge.
(26) In attuazione di quanto disposto dal presente
comma vedi il D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32.
Art. 17. Concessionari della riscossione
1. Le disposizioni della presente legge si applicano
anche nei confronti dei soggetti che rivestono la qualifica di concessionari e di organi indiretti dell’amministrazione finanziaria, ivi compresi i soggetti che esercitano
l’attività di accertamento, liquidazione e riscossione di
tributi di qualunque natura.
Art. 18. Disposizioni di attuazione
1. I decreti ministeriali previsti dagli articoli 8 e 11
devono essere emanati entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
2. Entro il termine di cui al comma 1 sono nominati
i componenti del Garante del contribuente di cui all’articolo 13.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 81
LEGISLAZIONE
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Art. 19. Attuazione del diritto di interpello del contribuente
1. L’amministrazione finanziaria, nel quadro dell’attuazione del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300,
adotta ogni opportuno adeguamento della struttura organizzativa ed individua l’occorrente riallocazione delle
risorse umane, allo scopo di assicurare la piena operatività delle disposizioni dell’articolo 11 della presente legge.
2. Per le finalità di cui al comma 1 il Ministro delle finanze è altresì autorizzato ad adottare gli opportuni provvedimenti per la riqualificazione del personale in servizio.
2. Agli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo 19,
determinati nel limite massimo di lire 14 miliardi annue
per il triennio 2000-2002, si provvede, mediante utilizzo dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2000-2002, nell’ambito dell’unità previsionale di
base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di
previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica per l’anno 2000, allo scopo
parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al
Ministero della pubblica istruzione.
3. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare,
con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Art. 20. Copertura finanziaria
1. Agli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo
13, valutati in lire 6 miliardi annue a decorrere dall’anno
2000, si provvede mediante utilizzo dello stanziamento
iscritto, ai fini del bilancio triennale 2000-2002, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente
“Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero
del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 2000, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione.
Art. 21. Entrata in vigore
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo
a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà
inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della
Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
81
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 82
82
CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
A.N.T.I.
I convegni organizzati o sponsorizzati dall’ANTI
successivamente a quelli già segnalati nel precedente
numero di
sono stati i seguenti che come tradizione sono tutti pubblicati sul nostro sito web
www.associazionetributaristi.it nella sezione “Eventi” –
segnaliamo:
– il convegno organizzato dalla Sezione ANTI Lazio
il 7 maggio 2015 presso l’Hotel N.H. Leonardo da Vinci sul tema: “Voluntary Disclosure – Nuovo ravvedimento
operoso”. Coordinatore: Prof. Dott. Francesco Rossi Ragazzi e relatori la Dott. Sabrina Capilupi e l’avv. Claudio Berliri;
– il convegno organizzato a Catanzaro il 5 giugno
2015 dalla Sezione ANTI Calabria con il patrocinio degli Ordini dei Dottori Commercialisti e degli Avvocati
di Catanzaro sul tema: “Novità penali e tributarie: confronto tra professioni”. Relatori: Avv. Lorenzo Imperato e
Dott. Giuseppe Ierace;
– il convegno organizzato il 9 giugno 2015 dalla Sezione Lombardia presso l’Hotel De la Ville in Milano sul
tema: “La gestione e la valutazione della Continuità
Aziendale”. Relatore: Prof. Alberto Bubbio;
– il convegno organizzato il 25 giugno 2015 dalla Sezione Piemonte e Valle d’Aosta presso la Banca Popolare
di Torino sul tema: “Voluntary Disclosure – Questioni applicative”. Relatori: Dott. Gianluca Odetto e dott. Salvatore Sanna;
– il convegno organizzato presso il Convento San
Domenico a Bologna il 26 giugno 2015 dalla Sezione
Emilia Romagna sul tema: “Il diritto al contraddittorio
procedimentale con l’Amministrazione finanziaria – Profili sistematici ed applicativi”. Moderatore Prof. Avv. Gianni Marongiu, Relatori: Avv. Roberto Iaia, Prof. Avv. Lorenzo Del Federico, Prof. Avv. Massimo Basilavecchia,
Prof. Avv. Marco Versiglioni, Prof. Avv. Andrea Carinci,
Avv. Mario Martelli e Prof. Avv. Francesco Tesauro;
– il convegno organizzato a Napoli il 9 luglio 2015
dalla Sezione Campania sul tema: “Voluntary Disclosure
ultime novità”. Relatori: Dott. Marco Finocchi Finn e
Dott. Loredana Carpentieri;
– il XXXII Congresso Nazionale ANTI organizzato
ad Ancona il 9 ottobre 2015 sul tema: “Etica Fiscale e Fisco Etico”;
– il convegno organizzato presso la Banca Polare di
Novara a Torino il 22 ottobre 2015 dalla Sezione Pie-
monte e Valle d’Aosta sul tema: “Abuso del diritto”, Relatori: Prof. Massimo Boidi e Avv. Mario Garavoglia;
– il convegno organizzato presso la Sala Conferenze
Marco Biagi a Bologna il 22 ottobre 2015 dalla Sezione
Emilia Romagna sul tema: “Il diritto di difesa del contribuente nel corso del procedimento tributario”. Relatori:
Prof. Mauro Beghin, Gen. D. Piero Burla, Dott. Antonino Di Geronimo, Dott. Guido Federico, Dott. Cesare
Lamberti, Dott. Francesco Pintor e Prof. Giuseppe Zizzo;
– il convegno organizzato dalla Sezione Calabria
presso l’Hotel Guglielmo di Catanzaro il 24 ottobre
2015 sul tema: “Diritto penale tributario: primo esame
delle novità del decreto legislativo”. Relatori: Dott. Gianfranco Migliaccio, Prof. Avv. Ivo Caraccioli, Col. Mario
Palumbo e avv. Vincenzo Cardone; Moderatore: Avv.
Edoardo Ferragina;
– il convegno organizzato dalla Sezione Friuli Venezia Giulia presso il Castello di Udine il 6 novembre 2015
sul tema: “Le nuove sanzioni tributarie amministrative e
penali”. Relatori: Prof. Avv. Gianni Maroniu, Prof. Salvatore Sammartino, Prof. Avv. Ivo Caraccioli, Prof.ssa
Maria Cecilia Fregni;
– il convegno organizzato presso il NH Leonardo da
Vinci di Roma il 2 dicembre 2015 sul tema: “La fiscalità
degli immobili”. Relatori: Dott. Stefano Chirichigno,
Dott. Francesco Guidi e Avv. Mario del Vaglio; Presiede
e coordina Prof. Francesco Rossi Ragazzi;
– il convegno organizzato dalla Sezione Piemonte e
Valle d’Aosta presso la Banca Popolare di Novara, a Torino il 10 dicembre 2015 sul tema: “La liquidazione delle
società: le funzioni dei professionisti”. Relatore Prof. Avv.
Giuseppe Di Chio;
– il convegno organizzato il 12 dicembre 2015 dalla
Sezione Calabria presso Università degli Studi Magna
Graecia di Catanzaro il 12 dicembre 2015 sul tema: “Il
bilancio d’esercizio tra norme civilistiche e fiscali”;
– il convegno organizzato presso il Tribunale di Catania il 14 dicembre 2015 dalla Sezione Sicilia Orientale
sul tema: “Questioni attuali sulla Giustizia tributaria”.
Relatori: Dott. Giuseppe Fichera e Prof. Avv. Salvo Muscarà; Presiede e saluta Dott. Giavambattista Macrì;
– il convegno organizzato dalle Sezioni Calabria,
Campania e Puglia presso il Palazzo Ateneo di Bari il 14
dicembre 2015 sul tema: “L’attuazione della Delega fiscale nei decreti approvati dal Parlamento”.
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 83
ETICA FISCALE E FISCO ETICO
Per quanto riguarda il 2016 i convegni previsti sono i
seguenti:
– il convegno organizzato dalla Sezione Friuli Venezia Giulia unitamente all’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Udine a Torreano di Martignanno (Udine) l’11 gennaio 2016 sul tema: “Novità
tributarie 2016 – Dai decreti attuativi della Legge delega
23/2014 alla Legge di stabilità 2016;
– il convegno organizzato a Torino il 28 gennaio
2016 dalla Sezione ANTI Piemonte e Valle d’Aosta sul
tema: “Novità fiscali della legge di stabilità 2016 – Aspetti
operativi e chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate”. Relatori: Dott. Gianluca Odetto e Dott. Salvatore Sanna;
CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI
– il convegno organizzato dall’ANTI unitamente ai
Consigli dell’Ordine dei dottori Commercialisti e degli
Avvocati di Catanzaro per il 29 gennaio 2016 presso
l’Hotel Guglielmo di Catanzaro sul tema: “La riforma del
processo tributario” Relatori: Prof. Avv. Salvatore Sammartino, Avv. Tommaso Landi e avv. Marco Mecacci;
– il convegno organizzato a Milano il 3 marzo 2016
presso l’Hotel De la Ville dalla Sezione Lombardia in tema di: “La Riforma del diritto penale tributario – D.Lgs
158/2015”. Relatori: Prof. Avv. Alessio Lanzi, Avv. Francesco Colaianni, Prof. Avv. Oliviero Mazza e Prof. Avv.
Giuseppe Zizzo.
83
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina 84
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina III
Neotera 215 interno.qxp_Neotera 23/02/16 11:55 Pagina IV
L’A.N.T.I. Associazione Nazionale Tributaristi Italiani è stata costituita
il 13 giugno 1949 e, nella sua lunghissima storia, ha avuto illustri Presidenti
quali: Giovanni Battista Adonnino, Ernesto D’Albergo, Epicarmo Corbino,
Ignazio Manzoni, Victor Uckmar, Giuseppe De Angelis e Mario Boidi.
Attualmente è presieduta dal Prof. Gianni Marongiu. L’Associazione,
che ha sezioni in tutta Italia, si propone, attraverso incontri di studio,
convegni e pubblicazioni, di approfondire le tematiche fiscali, sotto il
profilo scientifico, ma attenta anche alle applicazioni professionali. Essa
tiene, altresì, contatti con Governo e Parlamento collaborando quando
richiesto allo studio e alla formazione delle leggi. L’A.N.T.I. è socia della
Confédération Fiscale Européenne, l’unico raggruppamento Europeo di
consulenti tributari che opera a livello Comunitario e nell’anno 2004 è
stato presieduto dal Prof. Mario Boidi.
SEDE LEGALE
Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma • Tel. 06.3215084 • Fax 06.32507485
Sito Internet: www.associazionetributaristi.it
PRESIDENZA
Via Roma, 11/5 • 16121 Genova • Tel 010.29117911 • Fax 010.29117912
E-mail: [email protected]
SEGRETERIA NAZIONALE E TESORERIA NAZIONALE
Viale delle Milizie, 14 • 00192 Roma • Tel. 06.3215084 • Fax 06.32507485
E-mail: [email protected][email protected]