L`Islanda terra di salute e di pari opportunità affossata dalle banche

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LA SICILIA
LUNEDÌ 12 SE T TEMBRE 2011
12.
ggi
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• spettacoli
DIARIO DI VIAGGIO. Vivere al Circolo Polare Artico
L’Islanda terra di salute
e di pari opportunità
affossata dalle banche
All’Università di Akureyri l’incontro con un
filosofo di Genova e due studenti siciliani
FRANCESCO MILAZZO
I
n fuga dall’afa opprimente di Catania, già smarrita la rinfrescante
memoria delle acque di Ognina,
giungo a destinazione dopo alcune
ore di volo e chiedo al tassista "how
cold" fosse la giornata, ma l’interlocutore mi corregge: "Stamani non c’è
freddo, Sir, abbiamo dodici gradi!". E
in effetti, in un posto che di media ad
agosto fa 14 gradi e che quest’anno,
con un massimo di 8, ha avuto con la
neve il giugno peggiore che da decenni si ricordi, parlare di freddo con 12
gradi è quasi un nonsenso. E allora,
per dare un senso a quanto mi sta intorno, devo non solo arretrare di due
ore le lancette dell’orologio ma anche
resettare il termometro e ricordarmi
che sono in Islanda e che, come da
quasi un decennio per lavoro mi succede, io - uomo del sud, nato in Sicilia
ma poco più giù di Tunisi - sono persino nel nord del nord di quest’isola,
più vicino al Circolo Polare Artico, distante solo 60 km, che alla sua capitale (per moltissimi solo un ricordo impronunciabile - Reykjavik - dai testi di
geografia di scuola media), che mi
sono lasciata alle spalle, ben 400 km
a sud.
Sì, proprio 400 km, in un posto che
siamo abituati a guardare come poco
più di uno scoglio per la sua marginalità rispetto al resto d’Europa (800
km dalla Scozia, poco più dalla Norvegia), ma che invece si staglia a metà
dell’Atlantico settentrionale, a sole
cinque ore e mezza di volo da Boston, con una superficie quattro volte
(sic) quella siciliana, pari quasi al nord
Italia più la Toscana. La superficie senza requie di una terra giovane che,
nata dalla deriva dei continenti europeo ed americano, va spezzandosi in
due alla media di due centimetri l’anno, dando vita a fenomeni unici quanto estremi - geyser, fiumi e laghi termali, soffioni - dei quali quelli più familiari ad un siciliano restano le eruzioni vulcaniche e, ahimè, i sommovimenti tellurici. Certo, non potrebbe
dirsi, neanche mutuando una celebre battuta cinematografica su Bari e
Milano, che l’Islanda sia come Catania, ma senza l’Etna, o che, viceversa,
Catania sia come l’Islanda, ma con un
vulcano solo e senza le molteplici "Etne" che contraddistinguono il territorio di quest’isola. A parte i ghiacciai
(qui - altro nome impronunciabile c’è il più grande d’Europa), sui quali
talvolta si scarica il fuoco lavico in
un’irripetibile sintesi biancorossa, il
modestissimo popolamento del territorio islandese non ha nulla in comune con quello, elevatissimo, dell’ambiente etneo, che da solo stacca
nettamente i 319.000 abitanti dell’intera isola (agli inizi del XX secolo erano a stento 60.000!), che è per questo
il Paese meno densamente abitato
d’Europa: 3 abitanti per km2 (la Sicilia, sedici volte più popolosa, ne registra 196/km2). Nondimeno il grigio-
Terra giovane l’Islanda, con una superficie quattro volte quella siciliana e una
esigua popolazione: 319 mila abitanti. Sembra di essere a Catania, ma con una
molteplicità di vulcani e di ghiacciai
nero di tanta massiccia pietra aggressiva e i grani di pepe nero di sconfinate estensioni evocano l’habitat del
Mongibello inducendo all’ingenua incredulità che a 3800 km di distanza
da Catania possa registrarsi una tale
continuità.
Terra di gente tranquilla l’Islanda,
usa a misurarsi con ambienti naturali e metereologie perverse, affronta il
rapporto umano in modo rilassato e
disponibile, senza fretta e con pazienza, pur gelosa della propria riserva-
tezza in conseguenza di un isolamento ultrasecolare, che le ha permesso di
conservare una parlata simile a quella dei primi colonizzatori, i Vichingi,
nel IX secolo (è come se noi Siciliani
parlassimo il greco di Archimede o il
latino di Verre in una qualche forma
alterata ma complessivamente fedele). Una rilassatezza che è forse una
delle ragioni dell’alta aspettativa di vita che contrassegna questo Paese,
sempre che, l’alcol, si intende, qui
molto amato e per nulla scoraggiato
dal monopolio statale della vendita
né dalla tutt’altro che allettante etichetta del brandy nazionale, il Brennivín, non arrivi prima a scompaginare le più incoraggianti previsioni. Per
fortuna, nelle stazioni di vendita, che
la clientela il fine settimana sembra
prendere d’assalto, sono arrivati, last
but not least, anche i vini siciliani,
dopo quelli francesi e spagnoli ed in
forte concorrenza con i cileni o i californiani, e ciò rende il bere, per chi
sa limitarsi, una graziosa e salutare
consuetudine piuttosto che un disperato aggrapparsi ad un salvagente già
sgonfio che dovrebbe "salvare" da
giornate che in inverno possono arrivare a 19/20 ore di buio, quando fuori la neve è alta e persino la programmazione televisiva (non quella locale,
modestissima, ma quella internazionale) appare non avere altro da dire.
Terra di salute l’Islanda, che garantisce il benessere delle madri, come
solo succede in Norvegia ed Australia,
e Paese più virtuoso al mondo in termini di mortalità neonatale, ferma ai
minimi termini di un 2,6%.
Democrazia avanzatissima, la quarta al mondo (secondo il "barometro
della democrazia", lo stesso che colloca l’Italia al 22. posto), e la prima per
le "pari opportunità" con il governo
presieduto da una donna e molte altre che lo compongono. Una democrazia, però, all’ombra della quale
banchieri senza scrupoli, datisi alla
macchia al momento giusto, affossarono, grazie anche a connivenze governative, le tre banche del Paese nella crisi esplosa nel 2008 sull’onda di
quella americana, ma annunciata almeno un paio d’anni prima. Una crisi da cui il Paese cerca faticosamente
di risollevarsi con l’energia di un popolo giovane e fiero pur di fronte alle
inevitabili contraddizioni di queste
fasi convulse, come l’esito del referendum con cui pressoché unanimemente il popolo islandese ha bocciato il piano governativo che prevedeva
il rimborso pubblico degli enormi debiti contratti dalle banche decotte con
gli investitori inglesi e olandesi. La
cosa non potrà non influire a sua volta sulla richiesta di adesione all’Ue
avviata dal Primo Ministro dopo e
per lo scossone di tre anni fa; i sondaggi denotano però una netta contrarietà popolare, cui non sembrano
estranei i temi caldi dell’agricoltura e,
soprattutto, della pesca, che resta l’asse portante dell’economia nazionale.
C’è in ballo pure la nuova costituzione, elaborata da venticinque cittadini
senza tessera o vincolo di partito eletti dal popolo, che sarà discussa dal
prossimo ottobre in parlamento. Scettico sull’esito finale il mio amico e
collega Giorgio Baruchello, filosofo
morale dell’Università di Akureyri, di
nascita, formazione, studi ed orgoglio genovesi, allievo di Agazzi e dottorato in Canada con medaglia. Metà
dei Baruchello sono già islandesi. Parlo dei suoi splendidi bambini destinati dal primo vagito a confrontarsi con
tre lingue: l’italiano di papà, l’inglese
di mamma, collega giurista di Glasgow, e l’islandese di tutti gli altri. Un
cervello in fuga il Prof. Baruchello,
dirà qualcuno. Un cervellone sicuramente, aggiungo io; forse anche in
fuga da un’Università, quella italiana, che misconosceva molti dei suoi
figli migliori già prima della riforma
Gelmini. Ma chi fugge si nasconde ed
egli non ne ha motivo, anzi ha imparato il difficilissimo islandese e insegna anche italiano ai molti che persino qui sentono il fascino della nostra
lingua. In Islanda, in origine, era arrivato con l’Erasmus: doveva restarci da
studente e c’è rimasto da studioso
per merito suo e per demerito dell’Università italiana. Fra i miei studenti
di qui ne rivedo due da Catania: Carminia, 22 anni, di Mascalucia e Walter, 22 anni, di Licata. Nei loro occhi
entusiasti, ma anche carichi di incertezze per un soggiorno Erasmus da
poco iniziato, traspongo gli occhi dei
miei bimbi, mi interrogo sul loro futuro e benedico un’opportunità come
l’Erasmus che solo trent’anni fa sarebbe stata impensabile. In fondo, nell’essere fedeli al posto in cui si è nati
e contemporaneamente aperti al
mondo può risiedere la chiave di
un’esistenza serena ed appagante come la auguriamo alle giovani generazioni di questa decadente ma insostituibile vecchia Europa.
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