Viaggio nel mondo dei trapianti - Dove tutto inizia: la donazione degli organi È un dietro le quinte di cui spesso si sa poco, ma quando una vita è persa, la medicina può salvarne un’altra. La prima puntata di un'inchiesta sul trapianto di organi CHIARA PALMERINI, http://scienza.panorama.it/salute/trapianti-donazione-organi Viaggio nel mondo dei trapianti - Prima parte A luglio saranno quindici anni che ha perso sua figlia, ventunenne, in un incidente stradale. Ma quando parla al telefono della corsa in ospedale, dei cento chilometri in autostrada per andare da Vibo Valentia a Reggio Calabria dove la ragazza è stata trasferita, dell’attesa di notizie mentre i chirurghi la operano alla testa, e poi della notte e dei due giorni passati in rianimazione ad aspettare il destino di sua figlia e suo, Giuseppe Conocchiella racconta dettagli che sembrano di ieri. La comunicazione che per Tania non c’è più niente da fare, è in stato di morte cerebrale, arriva insieme a una proposta, una possibilità: consentire al prelievo degli organi. «Per noi, in quel senso, è stato facile. Mia figlia aveva sempre parlato di donare gli organi se le fosse successo qualcosa» racconta il padre. E così è stato. «Oggi chi ha ricevuto le sue cornee, le valvole mitraliche e i reni vive meglio. O si è salvato, come i due giovani che ho avuto poi l’occasione di conoscere». Storie diverse, scenari simili Sono diverse le persone e le storie, ma lo scenario è sempre sorprendentemente simile: un reparto di rianimazione, un uomo o una donna, a volte un bambino, che hanno smesso di vivere, il cuore ancora battente, ma l’elettroencefalogramma piatto. È qui che tutte le storie di trapianto di organi hanno inizio, quando ogni speranza per chi è in quel letto è persa ma, forse, se ne apre una per qualcun altro. A parte le famiglie che l’hanno sperimentato sulla pelle, gli "altri" sanno poco del dietro le quinte di questo dramma di vita e di morte: delle poche ore cruciali in cui i familiari di chi se n’è andato, oltre a fare i conti con la tragedia della loro perdita, devono prendere decisioni laceranti; e di come si mette in moto la complessa macchina organizzativa che porta speranza di vita ad altri. Oggi, nella maggior parte dei casi, la causa della morte di chi poi dona gli organi è un’emorragia cerebrale devastante, oppure un trauma cranico, o un arresto cardiaco. In inverno, purtroppo, ogni tanto capitano anche morti da monossido di carbonio. E non sempre, anche con la migliore volontà, tutti gli organi possono essere donati. Se il cuore è fermo da più di venti minuti, possono essere prelevati solo i reni, le cornee, e altri tessuti non deteriorati; con l’elettroencefalogramma piatto ma il cuore battente possono essere utilizzati anche il cuore, il fegato, i polmoni, il pancreas. La responsabilità del medico Tocca per primo al medico rianimatore compiere le pratiche per il cosiddetto accertamento di morte. "Una volta si poteva considerare una persona morta dopo pochi minuti di arresto cardiaco" ricorda Ottorino Barozzi, responsabile del coordinamento locale per il prelievo di organi agli Spedali Civili di Brescia. Oggi il processo, nei reparti di rianimazione, è più lungo e più complesso, regolato da una legge del 1993. Se il rianimatore, dopo avere fatto una serie di esami e indagini, si accorge che tutto è perduto, inizia il percorso ufficiale di accertamento di morte. Nelle sei ore necessarie per arrivare alla dichiarazione definitiva, viene proposta ai familiari la possibilità della donazione. In quel lasso di tempo deve essere presa la decisione. Un collegio di tre medici che comprende obbligatoriamente un rianimatore (diverso dal primo che ha constatato la morte presunta), un medico legale e un neurologo esperto nella lettura dell’elettroencefalogramma fa una serie di controlli ripetendo anche quelli già fatti. È l’ora zero. Nel frattempo i familiari, che probabilmente già sanno della gravità della situazione, vengono informati. È questa una delle fasi più delicate. Spesso, l’assenso o il rifiuto della donazione si giocano qui. La volontà espressa in vita La legge ha istituito una figura responsabile di gestire la situazione, il coordinatore locale dei trapianti: è il medico che dovrà parlare ai familiari, spiegare che cos’è la donazione e come avviene. Chi lo fa, confessa che non è una cosa semplice. "Alcune realtà organizzano corsi di formazione su come comunicare in queste circostanze. In Lombardia abbiamo uno psicologo in regione che talvolta ci può aiutare, molto però è lasciato alle capacità individuali e del singolo ospedale" racconta Ottorino Barozzi, che da oltre vent’anni se ne occupa. La legge in vigore sulla donazione ha valorizzato la cosiddetta "volontà espressa in vita". Si chiede a parenti e amici se la persona deceduta si sia mai espressa in modo contrario alla donazione degli organi. Ma la decisione su queste basi non avviene quasi mai. Una minoranza di persone, circa 120mila in tutta Italia, ha dichiarato in vita la propria volontà in merito alla donazione ,e di queste solo il 10 per cento sarebbe contrario. Una minoranza più numerosa, un milione e duecentomila, è quella degli iscritti all’AIDO, l’Associazione italiana donatori di organi, che è sicuramente a favore. Per gli altri quasi 59 milioni di italiani che si dovessero trovare in una situazione simile, sta ai familiari interpretare la volontà del loro caro e prendere una decisione. "Nel colloquio con le persone si cerca di spiegare, di argomentare il valore del gesto. Chiediamo di testimoniare se il paziente fosse ostile alla donazione o se invece avesse espresso un’opinione a favore. Quasi mai, però, nelle famiglie si è discusso sull’argomento e spesso i familiari non sono preparati. Si prova allora a scavare nel vissuto della persona, di capire, intuire che atteggiamento aveva di fronte alla vita e agli altri. È importante anche lasciare la possibilità di dare sfogo a emozioni e sentimenti" dice ancora Barozzi. È questo uno dei pochi casi in cui anche il convivente non sposato può dare l’assenso. Mentre nel caso di minori è necessario l’assenso di entrambi i genitori. I colloqui con la famiglia "Nella mia esperienza credo di poter dire che la famiglia che abbia condiviso l’atto di donazione ha una consolazione aggiuntiva rispetto a quelli che non l’hanno fatto. A volte porto anche questo argomento. Però è inutile nasconderselo: che si condivida il sì o si dica no, resta un nodo che accompagnerà per tutta la vita" continua Barozzi. "Serve alle famiglie per elaborare il lutto, per dire: questa morte non è stata inutile, banale" concorda Eufrasio Girardi, coordinatore alla donazione dell’Ausl 3 di Pistoia. "Per questo mi rattrista il rifiuto delle famiglie, so che la donazione potrebbe un po’ aiutarle". Le ragioni per cui capita che i familiari rifiutino? "I tempi sono molto stretti, a volte c’è chi non riesce a elaborare in quelle poche ore la perdita per prendere una decisione. Magari il giorno dopo ci ripensano" risponde Girardi. "È comunque importante diffondere la cultura del dono. Nella nostra realtà gli incontri con i ragazzi delle scuole sono fondamentali per trasmettere il valore di questo gesto di solidarietà". Mentre si svolgono questi colloqui, il tempo scorre. Alla sesta ora, la commissione incaricata svolge di nuovo tutti i controlli già fatti. Se vengono confermati, il paziente è dichiarato morto. Per lui non cambia niente. Ma se c’è il sì dei familiari al prelievo, per altri (e forse anche per loro) cambierà tutto. Sono questioni di vita e di morte il cui pensiero si tende a scansare. Eppure, in termini puramente probabilistici, come ricorda spesso Axel Rahmel, direttore della rete Eurotransplant , «la probabilità di ricevere un trapianto d’organo è tre volte superiore a quella di essere un donatore». Ogni giorno, dieci cittadini europei muoiono mentre sono in lista d’attesa per un trapianto: fanno quasi 4mila persone l’anno. La macchina per l’allocazione degli organi è a motore acceso. Se arriva un sì da parte dei familiari, partirà. Con il no, si ferma tutto. (fine prima parte)